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DOLO EVENTUALE E COLPA COSCIENTE ... - giovanniolmi

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Ai fini della comprensione dell’assetto di cui trattasi, ad ogni modo, non può che<br />

farsi riferimento alla citata sentenza delle Sezioni Unite (del 1983), la quale avrebbe<br />

dovuto consolidarlo: in essa, si muove dalla considerazione per cui il dolo non sia<br />

qualcosa di esterno al fatto ed interno al soggetto, bensì una componente che si<br />

trasferisca nel fatto stesso; il altri termini, si evidenzia che sia proprio il fatto, alla luce<br />

del complesso dei suoi fattori indizianti, a rivelare l’elemento psicologico del reato: di<br />

conseguenza, l’essenza dell’elemento soggettivo andrebbe ricavata in<br />

considerazione del livello di “adeguatezza” dell’azione rispetto all’evento 564 . I giudici<br />

di legittimità, in secondo luogo, pongono l’accento sull’infondatezza dell’impostazione<br />

teorica che considera il delitto tentato come fattispecie distinta rispetto al reato<br />

consumato, sostenendo che “il delitto tentato non è un reato diverso da quello<br />

consumato, ma è lo stesso reato in formato ridotto solo quanto all’elemento<br />

materiale, essendo privo dell’evento (tentativo compiuto) o della parte finale<br />

dell’azione (tentativo incompiuto)”: in base a ciò, si nega che il dolo del tentativo,<br />

inteso come rappresentazione e volontà del fatto tipico, debba riguardare<br />

necessariamente l’elemento dell’univocità della direzione degli atti. Si conclude,<br />

quindi, che l’elemento dell’univocità dell’azione non abbia la funzione di individuare lo<br />

specifico delitto tentato che si realizzi, bensì quella di segnare l’inizio dell’attività<br />

punibile, attraverso una valutazione che deve essere effettuata da un punto di vista<br />

oggettivo: l’univocità, quindi, rivelerebbe l’intenzione dell’agente, ma non<br />

coinciderebbe con essa. Infine, si giunge ad affermare che il dolo, in linea generale,<br />

debba riguardare il fine ultimo dell’azione tipica, e non necessariamente anche i<br />

traguardi intermedi di essa: ragion per cui il dolo, qualora vengano poste in essere<br />

azioni con valore finalistico plurimo, non dovrebbe venire meno per mancanza di<br />

oggettiva univocità degli atti, poiché a rilevare sarebbe la tendenza finalistica di essi,<br />

che dovrebbe a sua volta essere inquadrata non già sulla base dei criteri di cui all’art.<br />

56 c.p., bensì in base alle regole in materia di reato progressivo. Ciò che assume<br />

maggior rilevanza, comunque, è la concezione dell’elemento dell’univocità, di cui<br />

all’art. 56, come requisito di carattere puramente oggettivo: il dolo del delitto tentato<br />

non necessiterebbe, quindi, di “coscienza e volontà” dell’univocità degli atti, ma<br />

consisterebbe nella direzione della volontà alla produzione dell’offesa; direzione,<br />

questa, ricavabile alla luce dell’elemento dell’univocità della direzione degli atti,<br />

valutato in modo oggettivo ed alla stregua di un criterio di prova 565 . Il corollari di tali<br />

sviluppi argomentativi sono sintetizzabili nell’accoglimento del principio per cui “il<br />

dolo del tentativo è lo stesso della consumazione” 566 , e nella constatazione in base<br />

alla quale “il dolo eventuale è del tutto compatibile col delitto tentato”, in quanto “il<br />

requisito della non equivocità degli atti rispetto all’evento di pericolo si riferisce alla<br />

collocazione sopra un’identica linea ideale ascendente, per cui ciò che è diretto al meno sarebbe<br />

automaticamente diretto anche al più.”<br />

564 Cass. Pen., Sez. Un., 18 giugno 1983, in Cass. pen., 1983, 3 – 4, 493 ss.: “Il dolo non è<br />

qualcosa di esterno al fatto, di valore ideologico, interno al soggetto, ma qualcosa che si trasferisce<br />

nel fatto al momento attuativo, e che esso realizza e manifesta. […] Essendo […] il fatto, con la sua<br />

carica di fattori indizianti, ad esprimere essenzialmente l’elemento psicologico del reato, è evidente<br />

che quando l’azione è adeguata all’evento, nel senso che esso appaia come una sua conseguenza<br />

certa, questo deve ritenersi intenzionale. Parimenti intenzionale è l’evento, quando si presenta come<br />

una conseguenza possibile (in modo però apprezzabile) dell’azione (dolo eventuale), purché l’autore<br />

non abbia agito nel ragionevole convincimento […] di una sua mancata realizzazione” (ivi, 495 – 496).<br />

565 M. FILIÈ, Delitto tentato e dolo eventuale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1983, 2, 745.<br />

566 Cass. Pen., Sez. Un., 18 giugno 1983, in Cass. pen., 1983, 3 – 4, 493 ss.<br />

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