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Robotti - che non doveva ignorare, essendo uno dei massimi<br />
dirigenti del PCI - resta un brutto mistero.<br />
Per quanto mi sforzi, non riesco a trovare parole adegua¬<br />
te per parlare del libro Russia 1932-1934, che il Pajetta<br />
minore, Giuliano, ha pubblicato nel 1985 per rievocare un<br />
lontano soggiorno moscovita, durante il quale aveva fre¬<br />
quentato la Scuola leninista. 76<br />
Quattro anni prima del crollo<br />
del muro di Berlino e del mondo comunista, scrisse che<br />
«"basta imparare dai russi e fare come hanno fatto loro e il<br />
mondo intero andrà a posto» (p.10).<br />
Arrivato a Mosca - per sua fortuna - prima delle purghe<br />
staliniste, visse momenti di grande noia, «...il famoso Lux<br />
non mi entusiasmava», scrisse, per «l'atmosfera "chiusa"<br />
che sembrava caratterizzarlo» e nel quale i grandi mandarini<br />
del Komintern vivevano «isolati dalla vita sovietica, dalla<br />
vita tout court». A lui apparvero degli «isolati saccenti»<br />
(p.22), tutti grigi e ottusi, meno Togliatti e Longo.<br />
Scrisse che dopo il XX congresso del PCUS, quando lo<br />
informarono dei crimini di Stalin, restò «dolorosamente»<br />
colpito, perché non aveva mai saputo nulla. E aggiunse:<br />
«Ripensando, dieci, cento volte quale logica potesse dettare<br />
la volontà di Stalin, trovo come la più credibile quella di<br />
voler essere l'unica persona a pensare, a parlare, a decidere:<br />
la strage allora di tanti dirigenti non appare così né assurda,<br />
né incredibile» (p.61). Tra le tante tormentate autoassoluzio¬<br />
ni dei dirigenti dell'ex PCI, questa mi sembra la più comica<br />
e penosa a un tempo.<br />
Dei numerosi compagni conosciuti durante i suoi "ozi<br />
moscoviti" e scomparsi nei gulag non disse una parola né<br />
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G. Pajetta, Russia 1932-1934, Editori Riuniti, Roma 1985, pp. XI+109.<br />
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