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poliziesco del mondo intero» (p.350), anche se gli parve<br />
eccessivo che qualcuno decidesse «per me dove andare a<br />
riposarmi, quali libri e quanti dovevo leggere» (p.289).<br />
Ignobile il giudizio che diede, senza nominarli, degli<br />
antifascisti vittime delle purghe staliniste. Scrisse che la<br />
maggior parte degli esuli che si trovavano a Mosca «non<br />
erano quadri selezionati né dal punto di vista politico né da<br />
quello ideologico» e che alcuni erano addirittura «agenti<br />
provocatori» (p.288).<br />
A quasi vent'anni di distanza dal rapporto Krusciov ebbe<br />
l'impudenza di sostenere che Stalin era innocente e che non<br />
«conosceva neanche lui tutto quello che ordiva e realizzava<br />
il servizio di sicurezza» (p.352), esattamente come, dopo la<br />
caduta del fascismo, si giustificavano gli ex gerarchi del dit¬<br />
tatore italiano. Alla fine del libro, forse in un momento di<br />
distrazione, ammise: «anch'io... qualcosa sapevo» (p.353).<br />
La verità è che tutti sapevano tutto e non solo qualcosa<br />
perché in URSS si viveva in un clima di terrore. Solo una<br />
persona in malafede avrebbe potuto negare la tragica realtà<br />
che stava sotto gli occhi di tutti.<br />
In quegli anni visse a Mosca il livornese Ilio Barontini,<br />
che nel 1944 diventerà il responsabile della lotta di libera¬<br />
zione in Emilia-Romagna. Tornato a casa nel dopoguerra,<br />
parlò della sua vicenda politica con la figlia Era la quale,<br />
molti anni dopo la sua morte, ha ricordato in un libro quanto<br />
le disse. 64<br />
Ha scritto: «A Mosca non si viveva troppo tran¬<br />
quillamente, era in corso il "piano" ed in giro c'era molto<br />
sospetto. Si vedevano nemici ovunque, bastava un non nulla<br />
per essere isolato, messo in quarantena, osservato dalla mat-<br />
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E Barontini, V. Marchi, Dario, Ilio Barontini, Nuova fortezza, Bologna 1988, pp 269<br />
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