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Relazione finale sull'attività svolta e sugli obbiettivi conseguiti nell ...

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<strong>Relazione</strong> <strong>finale</strong> sull’attività <strong>svolta</strong> e <strong>sugli</strong> <strong>obbiettivi</strong> <strong>conseguiti</strong> <strong>nell</strong>’ambito del<br />

Progetto di Formazione di “PERSONALE DI ALTA QUALIFICAZIONE<br />

NELL’ANALISI, MONITORAGGIO E GESTIONE DEL RISCHIO<br />

AMBIENTALE” del Centro Regionale di Competenza Analisi e Monitoraggio del<br />

Rischio Ambientale (CRdC-AMRA).<br />

Assegnista Tutor<br />

Ing LUCIANO SPERANZA Ing ANTONIO BORGHESE<br />

Profilo: J3<br />

Tematica dell’attività di formazione:<br />

“Rivelazione ottica remota di inquinanti atmosferici gassosi e particellari”


Organizzazione relazione <strong>finale</strong><br />

La prima parte della relazione è dedicata ad illustrare l’attività di ricerca, lo stato delle<br />

conoscenze ed i risultati ottenuti in questo anno di formazione. In questa parte vengono anche<br />

indicate le ricadute all’esterno dell’attività <strong>svolta</strong> con le possibili applicazioni. Nel paragrafo<br />

dedicato alle conclusioni di questa parte della relazione sono illustrate anche le opportunità di<br />

proseguimento dell’attività <strong>svolta</strong>.<br />

Dopo questa parte, che è il corpo della relazione, vi sono due paragrafi dedicati ad illustrare le<br />

interazioni con le PMI e all’acquisizione delle competenze organizzativo manageriali.


Emissioni Antropogeniche, Inquinanti Gassosi e Particellari e loro Effetti<br />

Gli inquinanti atmosferici possono essere sia di natura antropica che di origine naturale.<br />

Inoltre possono essere emessi direttamente dalla loro sorgente (primari) oppure possono essere<br />

generati in atmosfera ad esempio attraverso reazioni di natura fotochimica (secondari). Gli<br />

inquinanti di natura antropica sono essenzialmente quelli derivanti da processi di combustione. In<br />

primo luogo ci sono gli inquinanti derivanti dal traffico veicolare (scarichi dei motori a<br />

combustione interna), quindi dal riscaldamento domestico, dagli impianti industriali, dalle<br />

discariche, dagli inceneritori, ecc… Di qualunque natura essi siano diventa fondamentale per la<br />

salvaguardia della salute e dell’ambiente la loro caratterizzazione e misura.<br />

In particolare noi ci siamo occupati della rivelazione degli inquinanti atmosferici sia di natura<br />

gassosa che particellare oltre che della comprensione di alcuni fenomeni atmosferici che<br />

contribuiscono alla loro formazione ed evoluzione. In particolare abbiamo focalizzato la nostra<br />

attenzione sulla caratterizzazione di polveri sospese sia dal punto di vista fisico (dimensioni e<br />

concentrazione) che dal punto di vista chimico (composizione), con maggiore enfasi su quelle a<br />

composizione carboniosa. In questa ottica ci siamo occupati anche delle sorgenti di emissione di<br />

questi inquinanti (scarichi di autoveicoli).<br />

I prodotti primari della combustione sono:<br />

Gas: ossidi di carbonio, di azoto, di zolfo, idrocarburi<br />

Particelle: carbonio elementare (EC) e organico (OC)<br />

Mentre gli inquinanti secondari sono:<br />

Gas: NO2, O3, HNO3, H2SO4, …<br />

Particelle: nitrati/solfati di ammonio, OC<br />

La concentrazione degli inquinanti atmosferici dipende dalla distanza dalle fonti di emissione<br />

e dalla loro intensità, dall’urbanistica della città, nonché dalle condizioni meteorologiche che<br />

determinano il grado di dispersione degli inquinanti e la diluizione con aria più pulita dopo che le<br />

emissioni hanno avuto luogo.<br />

C’è una connessione tra inquinamento atmosferico urbano e inquinamento su scala più ampia:<br />

la concentrazione degli inquinanti a scala regionale è un livello di background al quale le<br />

concentrazioni causate dalle emissioni locali urbane si aggiungono. Questa concentrazione di<br />

background regionale è talvolta una parte significativa della concentrazione totale urbana. Inoltre<br />

gran parte degli inquinanti che creano problemi a scala regionale e globale sono emessi <strong>nell</strong>e aree<br />

urbane.


Il traffico veicolare, che costituisce la principale causa dell’inquinamento atmosferico <strong>nell</strong>e<br />

aree urbane, è all’origine di elevate concentrazioni di inquinanti <strong>nell</strong>e aree occupate da grandi<br />

infrastrutture stradali e autostradali, soprattutto quando a un elevato traffico, e quindi a grandi<br />

quantità di inquinanti emessi, corrispondono condizioni poco favorevoli alla dispersione. Queste<br />

situazioni, oltre ad avere effetti negativi sulla salute delle persone che permangono in tali zone per<br />

periodi significativi, hanno anche un impatto <strong>sugli</strong> ecosistemi e sulla vegetazione circostante,<br />

nonché su eventuali altri recettori presenti.<br />

I componenti che si trovano in tracce in atmosfera hanno un tempo di vita, ovvero un tempo<br />

di permanenza in atmosfera, che dipende dalla sorgente, da come si muovono ovvero come sono<br />

trasportate in atmosfera e da come sono rimossi. I processi di rimozione fisica si dividono in dry<br />

deposition <strong>nell</strong>a quale le specie sono assorbite irreversibilmente nel suolo, <strong>nell</strong>’acqua o sulla<br />

superficie delle piante, e wet deposition in cui i componenti sono incorporati in elementi che<br />

possono precipitare (gocce di pioggia, nuvole ed aerosol).<br />

Il meccanismo di dry deposition agisce efficacemente solo dove è possibile una specifica<br />

interazione chimica o biologica ed inoltre solo quando i gas atmosferici in tracce sono vicini alla<br />

superficie con la quale vanno ad interagire.<br />

Il meccanismo di wet deposition, che avviene attraverso l’assorbimento <strong>nell</strong>e gocce di pioggia<br />

(washout) o <strong>nell</strong>e gocce delle nuvole (rainout), è significativo solo per quelle specie che sono<br />

solubili in acqua.<br />

Per quanto riguarda gli effetti delle emissioni antropogeniche bisogna separare le diverse<br />

scale su cui esse hanno effetto ed analizzare quali sono i responsabili dei diversi effetti:<br />

Globali: riscaldamento, cambiamenti climatici<br />

Cause : CO2, N2O, CH4, particelle , nubi<br />

Regionali: piogge acide, vegetazione, fiumi , laghi<br />

Cause : NO2, SO2, HNO3, H2SO4<br />

Locali: inquinamento urbano, salute<br />

Cause: particelle ultrafini, NO2, O3, H/C<br />

Per quanto riguarda le specie di origine antropica presenti <strong>nell</strong>a troposfera, esse possono essere<br />

divise in due categorie: gas e particelle. Vediamo schematicamente quali sono le specie che fanno<br />

parte di queste due grosse categorie:


Gas<br />

Ossidi di carbonio: CO2, CO<br />

Ossidi di azoto : NO, NO2, N2O<br />

Ossidi di Zolfo : SO2<br />

Idrocarburi : H/C alifatici ed aromatici<br />

Ozono<br />

Particelle dimensioni<br />

Nitrati/solfati di ammonio 50 – 500nm<br />

Carbonio elementare 20 – 200nm<br />

Carbonio organico


0,1µm-0,01µm “nucleation mode” o particelle ultrafini, il loro tempo di permanenza<br />

<strong>nell</strong>’atmosfera è relativamente breve per l’elevata mobilità dovuta alla loro diffusività Browniana,<br />

che promuove un rapido processo di coagulazione.<br />

Le particelle al di sotto dei 100nm sono anche definite particelle ultrafini.<br />

Infine sono state identificate particelle di dimensioni inferiori ai 10nm hanno fatto nascere<br />

un’ulteriore classe di nanoparticelle iperfini (Preining, O.J. 1998; D’alessio,A., et al. 1992) oggi<br />

denominate NOC (Nanosize Organic Carbon).<br />

La composizione chimica tipica degli aerosol atmosferici è schematizzata <strong>nell</strong>a seguente<br />

figura:<br />

L’aerosol carbonioso <strong>nell</strong>'atmosfera può essere diviso in due categorie: il carbonio<br />

elementale (EC) ed il carbonio organico (OC).


Il carbonio elementale (black carbon) ha una struttura essenzialmente di tipo grafitico, è<br />

prodotto nei sistemi di combustione sotto forma di fuliggine costituita da particelle primarie con una<br />

dimensione tipica di 30-50nm e si presenta sotto forma di cluster di 200-500nm. Esso è<br />

caratterizzato spettroscopicamente da un assorbimento che va dall’ultravioletto all’infrarosso.<br />

Il carbonio organico è costituito da una miscela di componenti organici, può essere di tipo<br />

primario e secondario (quest’ultimo si forma per condensazione di composti poco volatili o per<br />

fotossidazione di idrocarburi) inoltre è più idrofilo ed ha un contenuto di particelle ultrafini<br />

maggiore rispetto all'EC. La caratterizzazione chimico fisica degli aerosol organici, che<br />

rappresentano una parte rilevante dell’aerosol atmosferico, ha incontrato maggiori difficoltà sia per<br />

la mancanza di informazioni sistematiche sulle sorgenti sia perché solo una piccola percentuale<br />

della massa analizzata mediante tecniche GC/MS (Gas-Cromatografiche e Spettroscopia di Massa)<br />

è stata risolta ed identificata.<br />

Le particelle in atmosfera possono cambiare le proprie dimensioni attraverso diversi<br />

meccanismi come la condensazione di specie che si trovano in fase vapore o evaporazione,<br />

coagulazione con altre particelle, reazioni chimiche, attivazione in presenza di condizioni di<br />

sovrasaturazione dell’acqua per diventare nebbie o gocce di nuvole. Le particelle possono<br />

eventualmente essere rimosse dall’atmosfera attraverso deposizione sulla superficie della terra, dry<br />

deposition, o sono incorporate da gocce di pioggia durante la formazione di precipitazioni, wet<br />

deposition.<br />

A causa dei meccanismi di rimozione e della non uniforme distribuzione delle sorgenti, gli<br />

aerosol troposferici variano ampiamente in composizione e concentrazione <strong>nell</strong>e varie zone del<br />

pianeta. Una frazione significante dell’aerosol troposferico è di origine antropica. Gli aerosol<br />

toposferici contengono solfati, nitrati, sodio, tracce di metalli, materiale carbonioso, elementi sotto<br />

forma di cristalli e acqua (Seinfeld and Pandis, 1998).<br />

Gli aerosol e l’atmosfera<br />

Tra le diverse componenti che influenzano il clima della Terra, oltre ai gas serra anche gli<br />

aerosol giocano un ruolo importante.<br />

I gas serra riducono l’emissione di radiazione termica verso lo spazio e quindi riscaldano<br />

l’atmosfera. Gli aerosol principalmente riflettono ed assorbono la radiazione solare (effetto diretto<br />

degli aerosol) e modificano le proprietà delle nubi (effetto indiretto degli aerosol) raffreddando<br />

l’atmosfera.


Effetto radiativo diretto<br />

Il sistema climatico cambia naturalmente, attraverso un’interazione dinamica tra l’umidità<br />

dell’atmosfera, oceanica e terrestre, e l’energia. Tuttavia gli effetti radiativi che derivano da un<br />

aumento <strong>nell</strong>a concentrazione di aerosol antopogenico e gas serra, chiamato forcing radiativo,<br />

generano un cambiamento netto <strong>nell</strong>’energia solare e termica assorbita e riflessa e quindi sono alla<br />

base dei cambiamenti climatici.<br />

Un forcing radiativo negativo indica che il sistema Atmosfera-Terra perde energia radiante e<br />

quindi ne risulta un raffreddamento<br />

In figura è riportato il forcing radiativi globale (in W/m 2 ) durante l’ultimo secolo dovuto ad<br />

attività antropiche e a processi naturali (IPCC, 2001).<br />

I gas serra, come l’anidride carbonica e il metano, hanno un tempo di residenza di circa cento<br />

anni (Kaufman, Y.J., et al., 2002) in atmosfera e una distribuzione piuttosto omogenea intorno al<br />

globo. Gli aerosol hanno un tempo di vita limitato ed una distribuzione eterogenea.<br />

Gli effetti degli aerosol sul clima differiscono da quelli dei gas serra per due motivi. Gli<br />

aerosol riflettono la luce del sole aumentando l’albedo (frazione di luce incidente che viene riflessa)<br />

del nostro pianeta, perciò raffreddano la superficie del pianeta. Tuttavia gli aerosol che contengono


carbonio grafitico (per esempio <strong>nell</strong>e aree urbane inquinate) assorbono la luce solare. L’effetto di<br />

questo tipo di aerosol è duplice, da una parte riduce la luce che arriva sulla superficie della Terra<br />

raffreddandola, dall’altra riscaldano l’atmosfera. L’assorbimento da black carbon non è correlato<br />

solo alla sua concentrazione, ma dipende anche dalla sua collocazione <strong>nell</strong>a particella di aerosol;<br />

l’assorbimento può essere due o tre volte più forte se il black carbon si trova all’interno di particelle<br />

che scatteranno (specie trasparenti come i solfati) (Bohren-Huffman, 1983).<br />

Il secondo effetto per cui gli aerosol si differenziano dai gas serra è la loro azione nei confronti delle<br />

nuvole e delle precipitazioni.<br />

Le particelle che attivano la crescita delle gocce delle nuvole o della nebbia, in presenza di<br />

una condizione di sovrasaturazione di vapor d’acqua, sono chiamate nuclei di condensazione CCN<br />

(cloud condensation nuclei). Per una particella contenente una data parte di materiale solubile c’è<br />

un valore critico di sovrasaturazione del vapor d’acqua al di sotto del quale la particella si trova in<br />

uno stato stabile e al di sopra del quale essa spontaneamente cresce per diventare una goccia del<br />

diametro di una decina di micron o più grande. Il numero di particelle, per una data popolazione di<br />

aerosol, che possono agire da nuclei di condensazione è, quindi, funzione del livello di saturazione<br />

del vapor d’acqua.<br />

Nelle regioni inquinate l’alto numero di particelle fa aumentare il numero di gocce durante la<br />

condensazione dell’acqua per formare le nuvole e ne risulta una diminuzione del diametro delle<br />

gocce del 20-30% causando un aumento della luce riflessa dalle nuvole del 25% e raffreddando la<br />

superficie della Terra (Kaufman, Y.J., et al., 2002).<br />

L’effetto di raffreddamento dovuto agli aerosol è ancora poco caratterizzato con un’incertezza<br />

di cinque o dieci volte superiore a quella che si ha <strong>nell</strong>a stima degli effetti di riscaldamento dovuti ai<br />

gas serra. L’effetto degli aerosol sulle precipitazioni è ancora meno ben capito. Per valutare l’effetto<br />

degli aerosol sul clima dobbiamo distinguere tra gli aerosol di origine naturale e quelli di origine<br />

antropogenica. I dati rilevati dai satelliti mostrano che gli aerosol osservati <strong>nell</strong>e zone industriali o<br />

urbane contengono una grossa frazione di particelle di piccole dimensioni (submicroniche cioè<br />

aerosol fine). Invece gli aerosol di origine naturale, da zone rurali o dall’oceano, hanno una elevata<br />

concentrazione di particelle più grosse, coarse, e solo particelle sparse di aerosol fine (Kaufman,<br />

Y.J., et al., 2002).<br />

Effetto degli aerosol sulle nuvole e sulle precipitazioni<br />

In atmosfera ciascuna goccia per formarsi ha bisogno di una particella di aerosol su cui<br />

condensare. Quindi la concentrazione, la dimensione e la composizione degli aerosol, che possono<br />

agire come nuclei di condensazione (CCN), determina le proprietà delle gocce e l’evoluzione delle


precipitazioni. Tuttavia la presenza di umidità, le correnti d’aria e la formazione di nuvole sono<br />

influenzate fondamentalmente da processi dinamici su larga scala.<br />

Sebbene gli aerosol naturali sono necessari alla formazione delle nuvole, allo stesso tempo<br />

sembra che le foschie urbane e gli aerosol da inquinamento antropogenico tendano a ridurre le<br />

precipitazioni e a modificare le proprietà radiative delle nuvole. In atmosfere inquinate il grosso<br />

numero di particelle fa aumentare il numero di gocce che si formano. Questo provoca una<br />

diminuzione della dimensioni delle gocce perché l’acqua che condensa si deve dividere su un<br />

numero superiore di particelle. Le nuvole con particelle più piccole e più numerose hanno un’area<br />

superficiale superiore e quindi si ha un corrispondente aumento di riflessione di luce. Questo<br />

aumento di luce riflessa verso lo spazio è il primo effetto indiretto degli aerosol ed è un effetto che<br />

ci dà un forcing opposto a quello che ci è dato dai gas serra.<br />

In atmosfera inquinata, sopra un certo limite di concentrazione di CCN, la concentrazione di<br />

gocce non aumenta ulteriormente, e questo ci dà un effetto globale che è più piccolo di quello che ci<br />

potremmo aspettare. Il limite dipende da condizioni dinamiche, dall’umidità presente, dalla<br />

distribuzione di dimensioni dell’aerosol e dalle proprietà chimiche.<br />

Effetti degli aerosol sulla salute<br />

Recenti studi tossicologici ed epidemioloici rivelano la necessità di una ricerca più accurata<br />

per caratterizzare e comprendere i processi di formazione degli aerosol ed in particolar modo della<br />

frazione ultafine (d


Le particelle di dimensioni superiori a 1µm sono facilmente intercettate e depositate nel naso<br />

e <strong>nell</strong>a gola da cui vengono successivamente espulse; quelle di dimensioni superiori a 100 nm<br />

possono depositarsi nei bronchioli ed essere, in seguito, convogliate verso la gola e, infine, rimosse<br />

dopo circa due ore.<br />

Grazie alle sue ridotte dimensioni, il particolato fine non viene trattenuto dalle ciglia della<br />

mucosa nasale o bronchiale, ma penetra negli alveoli polmonari provocando infiammazioni e<br />

ostacolando gli scambi gassosi nel sangue. Il particolato fine è quindi responsabile<br />

dell’aggravamento delle malattie respiratorie (bronchiti, asma, enfisema…) e cardiache.<br />

Schema delle vie respiratorie e delle zone di deposizione degli aerosol<br />

Il discorso sulla sua tossicità è molto complesso e tuttora presenta dei lati oscuri. Le particelle<br />

presenti <strong>nell</strong>’atmosfera variano <strong>nell</strong>e dimensioni e <strong>nell</strong>a composizione chimica a seconda delle<br />

sorgenti e delle reazioni chimiche che avvengono in atmosfera. La concentrazione in massa del<br />

particolato non è il parametro discriminante della sua tossicità. In realtà, altri parametri come il<br />

numero di particelle, area della superficie e loro composizione chimica sono strettamente legati alla<br />

tossicità


Smog atmosferico<br />

L’inquinamento atmosferico delle aree urbane è comunemente detto smog, parola derivante<br />

dall’accoppiamento di smoke (fumo) e fog (nebbia). Si possono tuttavia distinguere due tipi di<br />

smog con caratteristiche differenti:, essi sono chiamati, rispettivamente, smog tipo Londra (o<br />

classico) e smog tipo Los Angeles (o fotochimico) dal nome delle città in cui questi tipi di smog si<br />

sono presentati in maniera caratteristica.<br />

Smog classico<br />

Lo smog classico è dovuto all’azione di biossido di zolfo e particolato <strong>nell</strong>e ore prossime<br />

all’alba in condizioni di bassa insolazione, bassa velocità del vento, temperatura prossima a 0°C<br />

(stagione autunnale ed invernale). Esso si forma per il ristagno <strong>nell</strong>’atmosfera delle particelle solide<br />

e dell’anidride solforica, a seguito di condizioni meteorologiche favorevoli all’instaurarsi dei<br />

fenomeni di inversione termica.<br />

Smog fotochimico<br />

Lo smog fotochimica è dovuto, invece, all’azione di ossidi di azoto, ossido di carbonio, ozono<br />

ed altri composti organici volatili sotto l’azione della radiazione solare. Lo smog fotochimico si<br />

verifica in estate <strong>nell</strong>e ore centrali della giornata in presenza di alta insolazione, bassa velocità del<br />

vento, temperatura superiore a 18°C. Per l’innesco di un processo di smog fotochimico è necessaria<br />

la presenza di luce solare, ossidi di azoto e composti organici volatili, inoltre, il processo è favorito<br />

dalla temperatura atmosferica elevata. Poiché gli ossidi di azoto ed i composti organici volatili sono<br />

fra i componenti principali delle emissioni <strong>nell</strong>e aree urbane, le città poste <strong>nell</strong>e aree geografiche<br />

caratterizzate da radiazione solare intensa e temperatura elevata (es. aree mediterranee)<br />

costituiscono dei candidati ideali allo sviluppo di episodi di inquinamento fotochimico intenso.<br />

Rispetto allo smog classico, quello fotochimico è caratterizzato da un’attività chimica molto più<br />

intensa e presenta una complessa catena di reazioni che hanno luogo sotto l’effetto della luce. In<br />

una regione quale è quella Mediterranea le alte intensità luminose e le elevate temperature<br />

favoriscono le reazioni che portano alla formazione dello smog fotochimico. Questo tipo di<br />

inquinamento rappresenta un problema per la salute dell’uomo, degli animali e delle piante. Infatti,<br />

queste ultime, avendo un organo come quello fogliare con un rapporto superficie/volume molto<br />

elevato, assorbono, attraverso le aperture stomatiche, una ingente quantità di inquinanti gassosi.<br />

Comunque, nonostante il gran numero di sostanze chimiche pericolose presenti, lo smog<br />

fotochimico non ha provocato effetti acuti così drammatici come lo smog classico che, durante gli<br />

episodi più gravi, ha causato migliaia di morti in eccesso rispetto ai valori normali. I principali<br />

effetti dello smog fotochimico sono una forte irritazione agli occhi e difficoltà <strong>nell</strong>a respirazione.


Sensibilità dei rivelatori alle dimensioni delle particelle<br />

Per la caratterizzazione degli aerosol esistono diverse tecniche e diversi strumenti di<br />

rivelazione. Vediamo qual è la sensibilità alle dimensioni dei diversi strumenti di rivelazione.<br />

Tenendo conto del fatto che gli aerosol meno caratterizzati e che possono dare un effetto<br />

tossicologico superiore sono quelli nanometrici con dimensioni inferiori ai 10nm. Nella seguente<br />

figura sono riportate diverse tipologie e scale dimensionali degli aerosol con dimensioni superiori ai<br />

10nm.<br />

Durante questo anno di formazione sono state fatte misure di estinzione in atmosfera che hanno<br />

portato a stime di concentrazioni di NOC (dimensioni inferiori ai 5nm) in atmosfera confrontabili<br />

con quelle degli altri aerosol, dell’ordine dei microgrammi a metro cubo di aria. Dal punto di vista<br />

numerico questo porta a valori dell’ordine dei miliardi di particelle a centimetro cubo. Queste<br />

misure sono in buon accordo con quelle fatte allo scarico degli autoveicoli, come sarà spiegato <strong>nell</strong>a<br />

parte dedicata ai risultati sperimentali.<br />

Di seguito riportiamo schematicamente la Sensibilità dei Rivelatori alle Dimensioni delle<br />

Particelle


Analizzatori di gas dimensioni<br />

Gas-Cromatografi (GC) < 0,5 nm<br />

Spettrometri di Massa (MS) < 0,8 nm<br />

RIVELATORI DI PARTICELLE CONVENZIONALI dimensioni<br />

Filtri > 20 nm<br />

Impattori inerziali (LPI) > 10 nm<br />

Microscopio elettronico a scansione (SEM) > 10 nm<br />

Rivelatori ottici (LLS) > 10 nm<br />

Analizzatori di Mobilità Differenziale (DMA) > 5 nm<br />

Microscopio elettronico a trasmisssione(TEM) > 5 nm<br />

RIVELATORI DI PARTICELLE AVANZATI dimensioni<br />

Microscopio a Forza Atomica (AFM) > 1 nm<br />

Microscopio a Scansione a effetto Tunnel (STM) > 1 nm<br />

Nano DMA > 1 nm<br />

MS a Tempo di Volo (TOF-MS) 0.1 - 10 nm<br />

In questa complessa problematica si inserisce il lavoro fatto in questo anno di formazione<br />

utilizzando lo Spettrofotometro AMRA a Prisma Sottile (denominato MOGANO Monitor Ottico di<br />

Gas, Aerosol e Nanoparticelle Organiche) le cui specifiche saranno date in un paragrafo dedicato.


Tecniche ottiche di monitoraggio e Spettroscopia di Estinzione (UV – Vis – NIR)<br />

Una parte della nostra attività, si concentra sullo sviluppo di alta tecnologia per la misura<br />

remota di inquinanti utilizzando una tecnica di tipo spettroscopico.<br />

Metodiche avanzate di rivelazione<br />

Vi sono diverse tecniche per la misura degli aerosol atmosferici, in particolare in situ ed extra<br />

situ. Le misure extra situ sono fatte prelevando i campioni che si vogliono analizzare, per esempio<br />

intrappolandoli con dei filtri, e successivamente analizzandoli. Le tecniche di misura convenzionali<br />

utilizzano apposite centraline con campionamento e successiva analisi chimica. Ogni specie in<br />

questo caso ha bisogno di un suo detector e per fare una mappatura spaziale c’è bisogno di una rete<br />

di sensori.<br />

Le misure in situ sono essenzialmente misure remote di tipo ottico e non invasive, quindi non<br />

modificano le proprietà dei campioni che vengono analizzati, cosa che accade quando vengono fatti<br />

dei prelievi e trattamenti dei campioni per successive analisi extra situ.<br />

Le misure remote di inquinanti in atmosfera vengono,quindi realizzate attraverso due tipi di<br />

sensori: sensori di punto (Analizzatori Chimici) e sensori di area (Sistemi Ottici).<br />

Per i sensori di punto si fa un campionamento locale, seguito dall’analisi chimica del<br />

campione prelevato; esso quindi rende conto della concentrazione solo in un determinato punto<br />

dello spazio e da essa deve essere estrapolata la concentrazione in tutto lo spazio circostante. Questa<br />

operazione è arbitraria e può essere imprecisa se, per esempio, ci troviamo vicino ad un punto di<br />

emissione. Un’altra caratteristica dei sensori di punto è che per ogni specie c’è bisogno di un<br />

rivelatore dedicato. Inoltre, se si vuole fare una mappatura spaziale dell’inquinante, c’è bisogno di<br />

una rete di sensori. I sensori di punto, quindi, richiedono alti costi di investimento e di<br />

manutenzione.<br />

Per quanto riguarda i sensori di area non richiedono un campionamento, e quindi non sono<br />

invasive. Attraverso di essi c’è la possibilità di fare un monitoraggio remoto (a distanza) e le misure<br />

sono integrate spazialmente. Questo ci permette di non risentire di eventuali sorgenti di<br />

inquinamento puntuali, quali ad esempio lo scarico di un autoveicolo che passa vicino allo<br />

strumento di rivelazione ad un certo istante. Con questi sensori, inoltre, la misura risulta essere<br />

istantanea, simultanea e multispecie. Si tratta, quindi, di misure veloci da realizzare, che danno<br />

immediatamente informazione delle concentrazioni di inquinanti e, soprattutto, sono in grado di<br />

rivelare simultaneamente aerosol e gas. I sensori di area sono caratterizzati da un basso rapporto tra<br />

costi e prestazioni.


Vi sono diversi tipi di sensori di area<br />

• Di tipo LIDAR (Light Detection And Ranging),che utilizzano sorgenti monocromatiche<br />

coerenti(laser), quali : Mie – Lidar, che è sensibile solo agli aerosol e DIAL (Differential<br />

Absorption Lidar) sensibile solo ai gas.<br />

• Di tipo spettroscopico, che utilizzano sorgenti di luce a banda larga (luce bianca prodotta<br />

da lampade ad arco), quali: gli spettrofotometri, che utilizzano la tecnica di estinzione Vis –<br />

NIR, sensibili solo agli aerosol, e i DOAS (Spettroscopia di Assorbimento ottico<br />

Differenziale) sensibili solo ai gas, che utilizzano l’assorbimento UV – Vis.<br />

• Cercando di sintetizzare le qualità dei due tipi di sensori di area sopraesposti e di eliminarne<br />

le limitazioni, nasce lo Spettrofotometro AMRA a Prisma Sottile il quale utilizza come<br />

sorgente di luce il plasma prodotto da un laser. La tecnica utilizzata è la spettroscopia di<br />

estinzione operante in tutto il campo UV – Vis – NIR ed è sensibile sia ai gas che agli<br />

aerosol.<br />

In sintesi quindi questa tecnica spettroscopica presenta dei vantaggi rispetto alle tecniche elencate<br />

nei due gruppi precedenti. Essa consiste <strong>nell</strong>a spettrofotometria estesa a tutto il campo Ultravioletto-<br />

Visibile-Vicino Infrarosso. Permette di realizzare misure istantanee, remote, integrate spazialmente<br />

e multispecie, ovvero è sensibile sia alle specie gassose che agli aerosol.<br />

Prima di parlare diffusamente dello Spettrofotometro AMRA, è necessario riportare brevemente<br />

qualche nozione di spettroscopia di estinzione.


Spettroscopia di estinzione<br />

La legge fondamentale dell’estinzione è la legge di Lambert – Beer, la quale asserisce che il<br />

processo di estinzione dipende linearmente dalla intensità della radiazione e dalla quantità di<br />

materia presente nel sistema, supposto che le lo stato fisico del sistema (P, T e composizione) sia<br />

mantenuto costante. Quindi, considerando un volume di controllo infinitesimo di lunghezze δx, la<br />

variazione di intensità lungo il percorso δx è proporzionale alla quantità di materia lungo questo<br />

percorso.<br />

LUCE INCIDENTE I (λ) LUCE TRASMSSA I (λ) + δI ext (λ)<br />

δ x<br />

L’assorbimento e la diffusione della luce da parte del mezzo danno luogo ad una diminuzione<br />

dell’energia trasmessa. Abbiamo quindi due termini che contribuiscono all’estinzione:<br />

luce estinta δI ext (λ) = δI abs + δI sca (λ)<br />

lamina di mezzo<br />

gassoso o liquido<br />

luce assorbita δI abs (λ) luce diffusa δI sca (λ)<br />

Nell’ipotesi che l’energia assorbita e diffusa da parte del mezzo sia molto minore dell’energia<br />

incidente potremo scrivere:<br />

⎥ δI ext (λ)⎥


Considerando ora un volume di controllo finito, non più differenziale. Per capire quanta luce<br />

viene estinta dobbiamo integrare la (1):<br />

Integrando su un cammino ottico da x1 a x2, con x2-x1 = L >> δx otteniamo:<br />

I (λ, x2) = I (λ, x1) . exp [− α ext (λ) . L<br />

α ext (λ) = (1 / L) . ln [ I(λ,x1) / I (λ,x2) ] (2)<br />

Quest’ultima espressione mette in relazione il coefficiente di estinzione con i dati<br />

sperimentali.<br />

Vediamo ora quali sono le relazioni del coefficiente di estinzione con le concentrazioni (N,n)<br />

e le proprietà ottiche delle sostane (cross section di estinzione ed indici di rifrazione).<br />

Con N abbiamo indica concentrazione numerica delle molecole del gas mentre con n(r) una<br />

funzione di distribuzione di dimensioni delle particelle.<br />

Le distribuzioni di dimensioni degli aerosol sono spesso approssimate da funzioni log-normali<br />

come la seguente:.<br />

nt<br />

ln( r / r )<br />

n( r)<br />

=<br />

exp( −<br />

2π<br />

ln( σ ) r 2ln(<br />

σ )<br />

dove n(r) è la concentrazione numerica di particelle di raggio r, nt è il numero di particelle totali, r0<br />

è il raggio medio della distribuzione e σ è la deviazione standard.<br />

Quando parliamo di un gas il coefficiente di estinzione può essere espresso come il prodotto<br />

dell’efficienza di estinzione di una singola molecola moltiplicata per la sua sezione geometrica<br />

(questo prodotto è quello che chiamiamo cross section di estinzione tipicamente espressa in cm 2 )<br />

per la sua concentrazione numerica (espressa in numero di particelle per cm 3 ).<br />

Possiamo quindi scrivere le seguenti relazioni:<br />

2<br />

0<br />

2<br />

solo GAS α ext GAS (λ) = Ν GAS . σext GAS (λ)<br />

solo PARTICELLE α ext PART (λ) = ∫ n PART (r) . σext PART (λ) dr<br />

GAS + PARTICELLE αext TOT (λ) = αext gas (λ) + αext PART (λ)<br />

Con Ν GAS concentrazione numerica delle molecole del gas (in cm-3)<br />

n PART (r) funzione di distribuzione di dimensioni delle particelle (in cm-4)<br />

σext (λ) sezione d’urto di estinzione della molecola o particella (in cm2)<br />

Complessivamente possiamo scrivere:<br />

Miscela di G specie gassose e P specie particellari<br />

αext TOT (λ) = Σi Νi GAS . σext,i GAS (λ) + Σj ∫ nj PART (r) . σext,j PART (λ,r) dr


Le cross section di estinzione delle particelle variano con le dimensioni di queste ultime. Noto<br />

l’indice di rifrazione immaginario di una determinata specie possiamo calcolare la sua cross section<br />

di estinzione per ogni dimensione attraverso la teoria di Mie, se le particelle sono sferiche ed<br />

isotrope.<br />

MIE<br />

La soluzione esatta delle equazioni di Maxwell per una sfera omogenea, isotropa, di dimensioni<br />

arbitrarie ed investita da un’onda piana monocromatica è stata dedotta nel 1908 e prende il nome<br />

di teoria di Mie.<br />

Nel 1908, Gustav Mie sviluppò una teoria <strong>nell</strong>o sforzo di spiegare i diversi colori esibiti in<br />

assorbimento e scattering da piccole particelle colloidali di una sospensione acquosa di oro. Nello<br />

stesso periodo Peter Debye considerò il problema della pressione di radiazione esercitata su piccole<br />

particelle <strong>nell</strong>o spazio. Né Mie, né Debye furono i primi a dare una soluzione al problema per<br />

particelle sferiche; tuttavia stabilire chi in realtà fu il primo non è una risposta semplice, sebbene il<br />

più quotato sia Lorenz.<br />

La formulazione matematica che porta alla soluzione delle equazioni di Maxwell per<br />

particelle sferiche è piuttosto laboriosa. Essa passa attraverso l’espressione delle componenti<br />

dell’onda piana in coordinate sferiche e per questo porta all’introduzione delle funzioni<br />

matematiche di Legendre e Bessel. Di queste funzioni ricordiamo solo una proprietà delle funzioni<br />

2πrm<br />

di Bessel e cioè che esse sono funzioni oscillanti con ampiezza decrescente con x ( x = con m<br />

λ<br />

indice di rifrazione del mezzo in cui la particella è immersa). Quest’ultima nota va posta solo<br />

perché il comportamento delle funzioni soluzione del nostro problema sarà dello stesso tipo.<br />

L’efficienza di estinzione infatti avrà un andamento oscillante con x con ampiezza decrescente<br />

tendendo a 2 per valori alti di x (es x>10) (Bohren and Huffman, 1983).<br />

In definitiva passando attraverso l’introduzione di queste funzioni si arriva ad una espressione per<br />

l’efficienza di scattering e di estinzione. L’espressione in particolare per l’efficienza di estinzione è:


2<br />

Q +<br />

2 2<br />

⋅(<br />

2n<br />

+ 1)<br />

Re(<br />

an<br />

bn<br />

)<br />

ext<br />

ext<br />

ext = ∑ 2 n<br />

Qext<br />

= = 2<br />

x<br />

σ geometrica πr<br />

con an e bn funzioni di x, definito precedentemente, ed mr indice di rifrazione relativo delle<br />

mspecie<br />

particelle rispetto al mezzo ( m = ).<br />

r<br />

mmezzo<br />

Osserviamo esplicitamente che per per x


dove mi è l’indice di rifrazione della i-esima specie ed fi è la sua frazione di volume<br />

b) Approssimazione do Bruggeman per due specie miscelate in maniera random:<br />

f<br />

ε<br />

− ε<br />

+<br />

1 e<br />

2 e<br />

1<br />

ε 1 + 2ε e<br />

2<br />

ε 2 + 2ε<br />

e<br />

dove i ε sono le costanti dielettriche delle due specie ed fi sono le loro frazioni di volume.<br />

L’indice di rifrazione immaginario m di una sostanza è il rapporto tra la velocità della luce e la<br />

velocità di propagazione di un’onda elettromagnetica in quella sostanza. Per cui l’indice di<br />

rifrazione è legato alla costante dielettrica dalla seguente relazione:<br />

m = c<br />

dove c è la velocità della luce nel vuoto.<br />

εµ =<br />

εµ<br />

ε 0µ 0<br />

c) Approssimazione di Maxwell – Garnett per due specie quando una è una matrice (specie<br />

f<br />

ospitante) con costante dielettrica ε 2 ed un’altra è un’inclusione (specie ospitata) con<br />

costante dielettrica ε 1 :<br />

f<br />

f<br />

1<br />

2<br />

1<br />

2<br />

ε<br />

− ε<br />

ε 1 − ε 2 ε e − ε 2<br />

=<br />

ε + 2ε ε + 2ε<br />

ε<br />

ε<br />

2<br />

2<br />

− ε 1 ε e − ε 1<br />

=<br />

+ 2ε ε + 2ε<br />

C’è da notare infine che gli approcci b) e c) possono essere estesi a miscele di n componenti.<br />

Da queste espressioni può essere quindi ricavata una costante dielettrica effettiva del mezzo (per<br />

un’espressone già esplicitata si veda il riferimento Bohren and Huffman 1983).<br />

1<br />

e<br />

e<br />

2<br />

1<br />

= 0


Proprietà ottiche delle principali specie presenti in atmosfera<br />

Le misure di concentrazioni di aerosol e gas presenti in un mezzo (atmosfera, scarico di<br />

autoveicolo, condense, piogge, etc…) mediante la spettroscopia di estinzione, richiedono la<br />

conoscenza di quali specie lo compongono e delle loro proprietà ottiche. Quanto detto non è<br />

strettamente vero (si veda la parte relativa all’analisi dei dati mediante NMF), in generale può<br />

essere sufficiente una conoscenza approssimata della composizione del mezzo e delle proprietà<br />

ottiche, mentre nei casi più semplici si può risalire, mediante le sole misure di estinzione, alle<br />

specie componenti ed al loro contributo parziale all’estinzione senza conoscere a priori le specie<br />

componenti e le loro proprietà ottiche.<br />

L’atmosfera è un contenitore terminale di emissioni di natura antropogenica, pensiamo per<br />

esempio agli scarichi degli autoveicoli. Inoltre essa è un reattore molto complesso di bassa<br />

temperatura.<br />

L’atmosfera può essere considerata un gigantesco reattore fotochimico in cui la sorgente di<br />

energia è il sole (Wayne, R.P., 1991). La radiazione solare, generalmente quella <strong>nell</strong>a regione del<br />

visibile e dell’ultravioletto, può eccitare i componenti dell’atmosfera alterando la loro reattività,<br />

senza variazioni chimiche, oppure può frammentarli generando atomi, radicali e ioni, si pensi alla<br />

fotochimica di dissociazione del biossido di azoto (NO2) con conseguente formazione di ozono<br />

(O3).<br />

Vediamo quali sono le specie presenti in atmosfera, che danno un contributo non trascurabile<br />

all’estinzione, e le relative proprietà ottiche. Questa trattazione sarà esaustiva anche per ali altri<br />

mezzi (scarichi di motori,condense, piogge) che andiamo ad analizzare.<br />

Figura 1 – Spettro della radiazione solare (flusso) all’esterno dell’atmosfera e al livello del mare.


In figura 1 è riportato lo spettro della radiazione solare e l’assorbimento di quest’ultima da parte<br />

delle specie gassose presenti in atmosfera. Lo spettro è diviso in tre zone: l’ultravioletto, il visibile<br />

ed il vicino infrarosso.<br />

La banda spettrale che noi utilizziamo per le nostre misure si estende da 200 a 1200nm. Inoltre le<br />

nostre misure sono fatte in atmosfera urbana su distanze variabili, da decine a centinaia di metri. Il<br />

nostro problema quindi è differente da quello analizzato in figura 1, ma essa ci fornisce lo spunto<br />

per osservazioni utili ai nostri scopi.<br />

Le uniche specie gassose di rilievo che assorbono nel visibile e nel vicino infrarosso sono O3,<br />

H2O e CO2. In figura 2 sono riportate le cross section di assorbimento di queste tre specie dal<br />

visibile fino a 1100nm.<br />

Cross section di estinzione, cm 2 Cross section di estinzione, cm /molecola<br />

2 Cross section di estinzione, cm /molecola<br />

2 Cross section di estinzione, cm /molecola<br />

2 /molecola<br />

Figura 2 – Cross section di assorbimento di O3, H2O e CO2 nel visibile e vicino infrarosso<br />

2 2 /molecol<br />

/molecol<br />

Cross sectiondi estinzione, cm cm<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

Figura 3 – Cross section di assorbimento di specie gassose presenti in trecce in atmosfera


In figura 3 è stato allargato il campo fino a 240nm e sono visualizzate le cross section di<br />

assorbimento di vari gas di notevole interesse per quello che riguarda l’inquinamento atmosferico,<br />

in particolare NO2, O3 ed SO2.<br />

In generale gli spettri di estinzione in atmosfera che si trovano in letteratura non vanno al di<br />

sotto dei 300nm e questo è dovuto al fatto che sotto questa lunghezza d’onda diventa importante il<br />

contributo all’estinzione dell’ossigeno e dell’ozono. Tale assorbimento costituisce una barriera<br />

ottica naturale, impedendo possibili analisi su percorsi ottici lunghi a lunghezze d’onda più basse.<br />

Con lo spettrofotometro a prismi sottili (MOGANO) noi abbiamo condotto misure in atmosfera<br />

urbana su un cammino ottico dell’ordine delle decine di metri in un campo di lunghezze d’onda che<br />

vanno da 200 a 1100nm. L’estensione di questa tecnica a cammini ottici così lunghi implica la<br />

considerazione di un inevitabile assorbimento molecolare dell’ossigeno atmosferico, che aumenta<br />

fortemente sotto i 240 nm, e dell’ozono troposferico, che presenta un picco intorno ai 260nm.<br />

Queste misure sono state possibili grazie ad una sorgente di luce bianca molto intensa di cui<br />

parleremo trattando delle caratteristiche dello spettrofotometro.<br />

Da misure di estinzione sotto i 300nm si possono ricavare informazioni molto utili su molte<br />

specie presenti in atmosfera, le quali proprio in questa regione spettrale sono fortemente<br />

caratterizzate dal punto di vista spettroscopico. Per quanto riguarda le specie gassose questo può<br />

essere facilmente visto dalla figura 4.<br />

Cross sectiondi estinzione, cm 2 Cross sectiondi estinzione, cm/molecola 2 /molecola<br />

1,E-16<br />

1,E-17<br />

1,E-18<br />

1,E-19<br />

1,E-20<br />

1,E-21<br />

1,E-22<br />

1,E-23<br />

1,E-24<br />

200 220 240 260 280 300 320 340 360 380 400<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

Figura 4 – Cross section di assorbimento di diverse specie gassose presenti in atmosfera<br />

O2<br />

O3<br />

NO2<br />

NO<br />

SO2<br />

C6H6<br />

CO2<br />

H2O<br />

N2O


In questa figura il limite inferiore del campo di lunghezze d’onda è stato portato al di sotto dei<br />

240nm di figura 2 fino a 200nm. In questo range diventano significative le cross section di<br />

assorbimento di diverse specie che altrimenti non sarebbero rilevabili.<br />

Oltre alle cross section delle specie gassose riportate in figura, al di sotto dei 300nm e più<br />

marcatamente al di sotto dei 250nm sono fortemente assorbenti anche alcuni aerosol come i Nitrati<br />

che presentano una forte banda di assorbimento al di sotto dei 240nm con un massimo tra i 195 e i<br />

200nm.<br />

Un’altra classe di particelle molto assorbenti al di sotto dei 300nm sono i NOC (Nanosize<br />

Organic Carbon) a cui è dedicato il prossimo paragrafo.<br />

Oltre alle cross section delle sostanze gassose, per l’interpretazione degli spettri di<br />

assorbimento rilevati <strong>nell</strong>’atmosfera si deve tenere conto dell’estinzione degli aerosol. Nel range del<br />

lunghezze d’onda di interesse, gli aerosol di dimensioni ≥ 10µm (d/λ>10) danno un contributo,<br />

essenzialmente dovuto a scattering da ottica geometrica, che è praticamente piatto. Gli aerosol più<br />

piccoli di 50nm, di natura prevalentemente carboniosa, danno invece un contributo che<br />

essenzialmente dovuto ad assorbimento mentre diventa trascurabile l’estinzione per scattering.<br />

Parte immaginaria dell’indice di rifrazione<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

Figura 5 – Parte immaginaria dell’indice di rifrazione di diverse specie di aerosol


In figura 5 viene riportata la parte immaginaria dell’indice di rifrazione m=n-ik di diverse<br />

specie di aerosol. Ricordiamo che la a parte immaginaria k dell’indice di rifrazione di una sostanza<br />

determina l’assorbimento dell’onda che la attraversa, mentre la parte reale n determina la velocità di<br />

fase dell’onda.<br />

Aerosol carboniosi: Fuliggine e nanoparticelle di carbonio organico NOC (Nanosize Organic<br />

Carbon)<br />

Oltre alle particelle di fuliggine, che costituiscono le principali sorgenti di carbonio<br />

elementale che si ritrova in atmosfera, si è evidenziato (D’Alessio et al., 1992) che i più svariati<br />

sistemi di combustione, dalle più semplici fiamme premiscelate laminari di laboratorio ai più<br />

complessi motori a combustione interna (Borghese,et al. 1998, Allouis, et al. 2000) emettono una<br />

classe di particelle definite NOC differente dal soot.<br />

Le differenze sono <strong>nell</strong>a dimensione e <strong>nell</strong>a struttura chimica di tali particelle. La dimensione<br />

caratteristica dei NOC è stata trovata essere intorno ai 3nm contro quella generalmente osservata di<br />

20-30 nm per la fuliggine che generalmente si presenta sotto forma di cluster di dimensioni<br />

maggiori di 100 nm. La differenza <strong>nell</strong>a struttura chimica è evidenziata dalla differenza degli spettri<br />

di assorbimento di tali strutture: infatti mentre il soot presenta un spettro di assorbimento che si<br />

estende dal Uv all’infrarosso con un massimo intorno ad una lunghezza d’onda λ=250nm, lo spettro<br />

di assorbimento delle nanoparticelle presenta una rapida discesa a partire dai 200nm (lunghezza<br />

d’onda al di sotto della quale l’assorbimento dovuto all’ossigeno non consente di effettuare misure<br />

in aria) all’aumentare della lunghezza d’onda, per divenire praticamente trascurabile intorno ai<br />

300nm (Sgro, et al., 2003).<br />

K ext cm -1<br />

0,5<br />

0,4<br />

Soot<br />

0,3<br />

0,2<br />

0,1<br />

0<br />

NOC particles<br />

200 240 280 320 360 400<br />

wavelength, nm<br />

Figura 6 – Spettro di estinzione in una fiamma ricca e contributi all’estinzione


In figura 6 è riportato lo spettro di estinzione di una fiamma ricca (rapporto carbonio su<br />

ossigeno alimentati maggiore dello stechiometrico) in nero. L’estinzione è attribuita in parte alla<br />

fuliggine, in rosso, ed in parte ai NOC, in blu.<br />

Prisma di quarzo<br />

Per quanto detto sopra diventa evidente che, negli spettri di estinzione, è importante avere una<br />

risoluzione più spinta al di sotto dei 300nm rispetto alla rimanente banda spettrale in quanto in<br />

questa zona diventa rilevante l’assorbimento di molte specie gassose di rilevanza ambientale oltre<br />

che dei NOC. Nella zona che va dal visibile all’infrarosso ci potremmo accontentare di una<br />

risoluzione meno spinta in quanto l’estinzione in questa zona è prevalentemente dovuta ad aerosol e<br />

gli spettri di estinzione di questi ultimi hanno forme poco pronunciate. Si pensi ad esempio allo<br />

spettro di estinzione della fuliggine che va lentamente decadendo da 250nm fino all’infrarosso. Per<br />

le misure <strong>sugli</strong> aerosol è dunque importante avere uno spettro di estinzione su un campo spettrale<br />

abbastanza ampio, per distinguere i contributi all’estinzione dei diversi aerosol, ma non molto<br />

risolto.<br />

In definitiva abbiamo bisogno di uno strumento che ci dia una dispersione non lineare della<br />

luce, ma più spinta <strong>nell</strong>’ultravioletto e meno <strong>nell</strong>’infrarosso. Questo risultato possiamo ottenerlo<br />

utilizzando uno spettrografo a prisma invece di uno spettrografo a reticoli (di cui parleremo più<br />

diffusamente in seguito.<br />

La luce nel passaggio da un mezzo trasparente ad un altro può essere rifratta. L’entità della<br />

rifrazione che si manifesta all’interfaccia dei due materiali dipende dagli indici di rifrazione n1 ed n2<br />

dei due mezzi. In accordo con la legge di S<strong>nell</strong>, la relazione tra l’angolo che forma la luce incidente<br />

con la normale all’interfaccia, θ1, e l’angolo di rifrazione, θ2, è:<br />

n1sin(θ1)=n2sin(θ2)<br />

In generale, l’indice di rifrazione è una funzione della lunghezza d’onda. Questo implica che<br />

per un determinato angolo di incidenza, l’angolo di rifrazione dipenderà dalla lunghezza d’onda<br />

della luce incidente, questo fenomeno è chiamato dispersione. I materiali per i quali questa<br />

dipendenza è molto forte sono chiamati dispersivi.<br />

La formula di dispersione del quarzo a 20°C (con λ in mm) è la seguente:<br />

n<br />

2<br />

2<br />

0.<br />

6961663λ<br />

−1<br />

=<br />

+<br />

2<br />

2<br />

λ − ( 0.<br />

0684043)<br />

λ<br />

2<br />

2<br />

0.<br />

4079426λ<br />

− ( 0.<br />

1162414)<br />

2<br />

+<br />

λ<br />

2<br />

0.<br />

8974794λ<br />

− ( 9.<br />

896161)<br />

La dispersione introdotta dal quarzo risulta essere molto forte <strong>nell</strong>’ultravioletto rispetto al<br />

visibile e al vicino infrarosso.<br />

2<br />

2


In figura è riportato schematicamente ed in foto il funzionamento di un prisma. Ovviamente<br />

quello che vediamo riguarda soltanto la dispersione della luce <strong>nell</strong>a regione del visibile.<br />

La nuova strumentazione che abbiamo messo a punto, spettrofotometro a prisma, fa quindi<br />

uso di uno spettrografo a prisma e va a migliorare sensibilmente una versione precedente di uno<br />

spettrofotometro in dotazione all’Istituto Motori del CNR di Napoli, il quale faceva uso di uno<br />

spettrografo a reticolo con le limitazioni che vedremo meglio successivamente mettendo a<br />

confronto i due strumenti.<br />

Andiamo, ora a parlare più diffusamente dello spettrofotometro AMRA.


Spettrofotometro AMRA a prisma sottile: MOGANO (Monitoraggio Ottico di<br />

Gas Aerosol e Nanoparticelle Organiche)<br />

In questa sezione parleremo dell’ architettura della strumentazione e delle sue specifiche di<br />

funzionamento in maniera schematica. In appendice sono riportate delle foto della strumentazione e<br />

degli schemi di funzionamento.<br />

Sorgente di luce<br />

Nell’investigazione ottica delle proprietà chimiche e fisiche della materia, i laser giocano un<br />

ruolo dominante come fonti luminose grazie alle loro ben note proprietà temporali, spaziali e<br />

spettrali. La luce laser è, infatti, coerente, monocromatica e collimata. Questa peculiarità del laser di<br />

operare solo ad una o, al più, a poche discrete lunghezze d’onda, può costituire un fattore limitante<br />

in tutti quei casi in cui le interazioni luce-materia in un ampio intervallo spettrale forniscono molte<br />

più informazioni delle stesse interazioni in condizioni monocromatiche.<br />

I laser, quindi non possono essere utilizzati per quelle misure, come gli spettri di<br />

assorbimento, per cui sono richieste sorgenti a larga banda; in questo caso, si possono sfruttare<br />

sorgenti incoerenti come le lampade allo Xenon ad alta pressione e le lampade al Deuterio. Tuttavia<br />

dette lampade non offrono l’intensità luminosa sufficiente, in particolare il loro spettro di emissione<br />

decade rapidamente <strong>nell</strong>a regione spettrale del lontano ultravioletto senza considerare che le<br />

lampade pulsate presenti in commercio mostrano impulsi di durata non inferiore al microsecondo.<br />

Una sorgente luminosa ideale per esplorare il campo di nostro interesse dovrebbe avere le<br />

caratteristiche spettrali di una lampada e, contemporaneamente, la coerenza e la durata di un<br />

impulso laser (Borghese and Merola, 1998).<br />

A tale scopo viene utilizzata una sorgente luminosa a larga banda, che si avvicina a queste<br />

caratteristiche ideali, che sfrutta l’emissione di un plasma indotto in aria dalla focalizzazione di un<br />

fascio laser pulsato mediante una lente a corta focale. L’enorme e rapido apporto di energia in un<br />

volume molto piccolo provoca, per il quasi completo assorbimento di tale energia, una ionizzazione<br />

del mezzo gassoso e la creazione di un plasma (laser induced optical breakdown); la soglia di<br />

11 2<br />

innesco del plasma è dell’ordine di 10 W / cm .<br />

Tale processo è accompagnato dall’emissione di radiazione elettromagnetica con uno spettro<br />

che si estende con continuità dall’ultravioletto, al visibile fino al vicino infrarosso, coprendo tutto<br />

l’intervallo di interesse per le nostre indagini che va da 180 a 1100nm.<br />

Le peculiarità spettrali di tale sorgente permettono di ottenere spettri continui di assorbimento<br />

anche nel lontano ultravioletto fino all’ultravioletto da vuoto. Il plasma è indotto in azoto puro e


l’ambiente è a tenuta ed è limitato da uno specchio parabolico (dal diametro di 5 cm, in<br />

alluminio con coating antiossidante in fluoruro di magnesio MgF2) e da una finestra di quarzo.<br />

L’ambiente a tenuta contenente azoto è stato realizzato per evitare l’ossidazione dello specchio<br />

parabolico e la sua conseguente degradazione, che si avrebbe se il plasma fosse generato in aria<br />

producendo ozono e quindi un ambiente ossidante.<br />

Il plasma, nel nostro lavoro, è stato ottenuto mediante un laser Q-switched Nd:YAG<br />

pulsato che opera ad una lunghezza d’onda λ = 1064nm, con 200mJ/impulso, una durata<br />

dell’impulso di 7 nanosecondi ed il diametro del fascio di 8mm. La densità di energia media<br />

risultante per unità volume è 10 4 J/cm 3 , e la corrispondente densità di potenza è 10 12 W/cm 3 Le<br />

dimensioni del plasma indotto sono dell’ordine di 0.01mm 3 .(Figura 1).<br />

Figura 1 - Caratteristiche spaziali del plasma indotto in aria.<br />

Il plasma così generato risulta essere una sorgente quasi puntiforme di luce bianca. L’emissione<br />

dal plasma generato in azoto dura un centinaio di nanosecondi. In figura 2 in particolare è<br />

riportata la durata dell’emissione per una lunghezza d’onda pari a 200nm.<br />

In definitiva abbiamo una sorgente di luce bianca il cui spettro si estende con continuità<br />

dall’ultravioletto da vuoto all’infrarosso, la quale può essere collimata ottenendo una bassa<br />

divergenza (una decina di milliradianti) del fascio ed inoltre per quanto appena detto può essere<br />

considerata come una sorgente pulsata di luce.


segnale normalizzato<br />

1,2<br />

1<br />

0,8<br />

0,6<br />

0,4<br />

0,2<br />

lunghezza d'onda=200 nm<br />

0<br />

0 50 100 150 200 250 300 350 400 450 500<br />

tempo dopo l'onset del laser, ns<br />

Fig. 2 - Intensità normalizzata del segnale a 200 nm in funzione del tempo<br />

Il plasma viene opportunamente generato nel fuoco di uno specchio parabolico che serve a<br />

raccogliere e collimare la luce emessa. Il plasma si innesca in una posizione e poi rilassandosi<br />

(raffreddandosi) risale il fascio di frazioni di millimetro. Durante i primi istanti (30 nanosecondi)<br />

il plasma emette la maggior parte della luce <strong>nell</strong>’ultravioletto con un massimo intorno ai 200nm<br />

con un rapido decadimento sotto i 180nm . Essendo la luce ultravioletta sotto i 300nm quella<br />

maggiormente assorbita dal mezzo, conviene collimare al meglio questa luce. Quindi si mette nel<br />

fuoco dello specchio il plasma generato nei suoi primi istanti di vita. Quando il plasma inizia a<br />

risalire il fascio la luce emessa non sarà più perfettamente collimata ma leggermente divergente.<br />

In figura 3 è riportato lo schema rappresentativo dello spettrofotometro a prismi sottili<br />

(MOGANO), in particolare è riportato lo schema di trasmissione e ricezione della luce.<br />

Per quanto riguarda il ramo di trasmissione, il laser Nd-YAG emette un fascio di luce che viene<br />

focalizzato da una lente a corta focale nel fuoco di uno specchio parabolico, quindi si genera il<br />

plasma. Una parte della luce emessa dal plasma viene raccolta dallo specchio parabolico che la<br />

invia collimata verso il mezzo da analizzare.


Sullo stesso piano, parallelamente all’asse ottico di trasmissione ma traslato di 15cm si trova<br />

l’asse ottico di ricezione. La luce arriva da un retroriflettore (di cui parleremo in seguito) e viene<br />

raccolta da uno specchio concavo che ha una focale di 75cm.e viene inviata ad una dalla ICCD<br />

camera (Intensified Charge Coupled Device). La ICCD camera è un sistema di rilevazione, che,<br />

montata all’uscita dello spettrografo di raccolta, permette di trasformare il segnale luminoso in<br />

un segnale di tipo elettrico, consentendo quindi una più semplice analisi e memorizzazione<br />

tramite calcolatore.<br />

Davanti allo specchio concavo viene montato un prisma sottile di quarzo il cui angolo di<br />

apertura è di sei gradi. Il prisma è lo strumento che ci permette di scomporre la luce <strong>nell</strong>e sue<br />

componenti spettrali. Il fascio luminoso lo attraversa una volta, incide sullo specchio concavo<br />

che lo riflette facendolo passare di nuovo attraverso il prisma. Il fascio, quindi, lumino attraversa<br />

il prisma due volte e l’effetto complessivo è quello di avere la stessa dispersione che si avrebbe<br />

con un solo passaggio in un prisma con un angolo di dodici gradi.<br />

Il prisma si trova in un apposito alloggio (vedi foto 4 in appendice) che può ruotare spostandosi<br />

in maniera da non intercettare più l’asse ottico. Esistono quindi due modalità di acquisizione. In<br />

una il prisma si trova sull’asse ottico e quindi la luce viene dispersa; questa modalità è stata<br />

definita modalità spectrum in quanto viene raccolto il segnale che arriva disperso spettralmente.<br />

Una seconda modalità è quella in cui il prisma viene ruotato e quindi non intercetta la luce.<br />

Questa modalità di acquisizione è definita modalità spot in quanto la luce non viene dispersa<br />

spettralmente, ma è tutta focalizzata su un punto della telecamera dallo specchio concavo.<br />

La modalità spot risulta essere molto utile <strong>nell</strong>a fase di messa a punto della strumentazione:<br />

serve per mettere a fuoco il segnale luminoso in maniera da avere la maggiore risoluzione<br />

possibile, può essere utilizzato anche <strong>nell</strong>e procedure di calibrazione dei segnali anche se non è<br />

strettamente necessario. Inoltre utilizzando un laser ad una lunghezza d’onda, come il laser ad<br />

elio-neon, si può vedere se e quanto la linea di luce raccolta senza prisma(in modalità spot) viene<br />

allargata dal prisma di quarzo (modalità spectrum). Questo può essere molto utile nei problemi di<br />

deconvoluzione del segnale misurato per ottenere uno spettro maggiormente risolto. Non<br />

entriamo ulteriormente nei dettagli tecnici e procediamo con la descrizione della strumentazione.<br />

Sul ramo di ricezione può essere notato ancora uno specchio piano la cui funzione è solo quella<br />

di prolungare il cammino ottico della luce. Infatti la distanza tra la telecamera che rivela la luce<br />

dispersa e lo specchio concavo deve essere 75cm (focale dello specchio). Lo specchio, quindi,<br />

piano ci consente di avere una strumentazione più compatta.


Fig 3 - Schema rappresentativo dello spettrofotometro a prismi sottili, vedi anche foto in<br />

appendice<br />

In figura 4 viene rappresentato schematicamente il percorso seguito dalla luce. La luce sul<br />

ramo di trasmissione attraversa il mezzo da analizzare ed arriva su un retroriflettore posto a<br />

distanza L dalla sorgente di luce. Il retroriflettore è di tipo off axis, esso non restituisce la luce<br />

sullo stesso asse di incidenza, ma su un asse che si trova sullo stesso piano ma è traslato di 15cm<br />

parallelamente rispetto all’asse di incidenza. La luce viene quindi inviata sul sistema di<br />

ricezione. La distanza che la luce percorre nel mezzo è 2L ed su questa distanza viene quindi<br />

valutata l’estinzione.<br />

TX<br />

RX<br />

Specchio<br />

piano<br />

Lente a<br />

Corta focale<br />

I (λ, 0)<br />

0 cammino ottico 2xL<br />

L<br />

I (λ, 2L)<br />

RAMO RICEVITORE<br />

Specchio<br />

parabolico<br />

Telecamera<br />

ICCD<br />

Laser Nd-YAG Q-switched<br />

RAMO TRASMETTITORE<br />

Fig 4 - Configurazione rami TX/RX con Retro-Riflettore (round-trip)<br />

I (λ, L)<br />

Prisma<br />

sottile<br />

Specchio<br />

concavo<br />

RR


Prima di passare alle specifiche operative dello Spettrofotometro a prisma AMRA,<br />

confrontiamo questo spettrofotometro con uno con dispersione a reticolo di diffrazione.<br />

Reticolo di<br />

diffrazione<br />

Lente a<br />

Corta focale<br />

RAMO RICEVITORE<br />

Specchio<br />

parabolico<br />

Laser Nd-YAG Q-switched<br />

Fig 5 - Schema rappresentativo di uno spettrofotometro a con dispersione a reticolo<br />

In figura 5 è riportato uno Spettrofotometro in dotazione all’Istituto Motori di cui abbiamo<br />

accennato in precedenza. La principale differenza tra lo Spettrofotometro Istituto Motori e lo<br />

Spettrofotometro AMRA consiste appunto nel sistema utilizzato per disperdere la luce.<br />

Schematizzando le caratteristiche dei due spettrografi, possiamo meglio evidenziarne le<br />

differenze.<br />

A Reticoli A Prismi<br />

• Dispersione lineare alta <strong>nell</strong>’ UV<br />

Spettrale in UV-VIS media nel VIS<br />

bassa <strong>nell</strong>’ IR<br />

• Campo spettrale 200nm - 500nm 200nm – 1100 nm<br />

• Efficienza dipendente da λ indipendente da λ<br />

• Luminosità limitata da SLIT non limitata<br />

• Ordini superiori Interferenti assenti<br />

Telecamera<br />

CCD<br />

intensificata<br />

Specchio<br />

concavo<br />

RAMO TRASMETTITORE


Con il nuovo spettrofotometro abbiamo quindi più risoluzione spettrale dove ci interessa di<br />

più, ovvero <strong>nell</strong>’UV, inoltre abbiamo allargato il campo spettrale di indagine fino a 1100nm.<br />

Nello schema rappresentativo dello spettrofotometro con reticolo di diffrazione, non è<br />

rappresentata una SLIT (o fenditura), che si trova tra lo specchio concavo ed il reticolo di<br />

diffrazione, la quale è necessaria per la risoluzione spettrale,ma blocca una parte della luce,<br />

raccolta dallo specchio concavo, che altrimenti raggiungerebbe il reticolo di diffrazione. Nello<br />

spettrofotometro a prisma non sono presenti SLIT che limitano la luminosità.<br />

Un ultimo punto a favore dello spettrofotometro a prisma è che esso non soffre del problema<br />

degli ordini superiori che possono disturbare le misure <strong>nell</strong>’altro tipo di spettrofotometro.<br />

Il fatto di avere una migliore risoluzione <strong>nell</strong>’UV ci consente di fare una caratterizzazione<br />

più efficace delle specie che assorbono in questo range. Inoltre un range di misure più ampio ci<br />

consente di avere più informazioni <strong>sugli</strong> aerosol, da una parte, mentre dall’altra ci consente di<br />

andare in un range di lunghezze d’onda in cui sono presenti diverse bande di assorbimento di<br />

H2O ed O2. Una misura di H2O ci permette di valutare l’umidità relativa, mentre una misura di<br />

O2 ci consente di fare misure di densità dell’aria atmosferica, rappresentandone esso il 21%, e<br />

quindi accoppiando le due misure si possono anche fare misure di temperatura.<br />

Andiamo a vedere ora quali sono le specifiche operative dello spettrofotometro a prisma<br />

sottile e le specie misurabili.<br />

• Banda spettrale 200 - 1100 nm UV - VIS - NIR<br />

• Raggio d’azione 1 cm Campioni concentrati<br />

1 - 10 m Emissioni (Motori)<br />

10 - 100 m es. Traffico urbano<br />

100 - 1000m Mappature spaziali 2D<br />

• Trasmettitore Plasma Prodotto da Laser (Laser Optical Breakdown) +<br />

Specchio parabolico(Collimatore)


• Ricevitore Spettrografo a Prisma sottile + Telecamera CCD<br />

• Rivelazione Remota, Istantanea, Multi-Specie<br />

• Peso/Dimensioni Testa del Rivelatore 20 kg - 15x40x50cm<br />

Alimentatore 20 kg - 25x40x50cm<br />

• Specie rivelabili: Gas O2, O3, NO, NO2, SO2, H2O<br />

Aerosol Carbonio elementare d=20 – 300nm<br />

Carbonio organico 1 – 10nm<br />

Nitrati/solfati 50 – 500nm<br />

Foschia – Nebbia 1 – 10mm<br />

Polveri inorganiche con d


a.u.<br />

3.5E+06<br />

3.0E+06<br />

2.5E+06<br />

2.0E+06<br />

1.5E+06<br />

1.0E+06<br />

5.0E+05<br />

0.0E+00<br />

200 300 400 500 600 700 800 900 1000 1100<br />

Lunghezza d'onda, nm<br />

Segnale Spettrofotometro a<br />

Prisma<br />

Segnale Spettrofotometro a<br />

Reticolo<br />

7.E+06<br />

6.E+06<br />

5.E+06<br />

4.E+06<br />

3.E+06<br />

2.E+06<br />

1.E+06<br />

0.E+00<br />

Una volta acquisiti gli spettri vanno elaborati per ricavare le informazioni che vogliamo.<br />

Quindi, prima di passare ai risultati ottenuti, facciamo una panoramica sui metodi di inversione<br />

dei dati sperimentali utilizzate.


Metodi di inversione<br />

Il problema della valutazione della concentrazione delle specie presenti in atmosfera a partire<br />

dallo spettro di estinzione misurato(di cui abbiamo già discusso parlando della legge di Lambert-<br />

Beer) può essere posta in forma matriciale nei seguenti termini:<br />

∑<br />

i i<br />

K = N C ⇒ A ⋅ x = b<br />

(1)<br />

ext<br />

i<br />

ext<br />

in cui b è il vettore che rappresenta lo spettro di estinzione misurato, A è la matrice delle sezioni<br />

d’urto di estinzione delle specie che compongono il mezzo che si sta analizzando (atmosfera,<br />

scarichi, etc…) ed x è il vettore delle concentrazioni di queste ultime.<br />

Note le sezioni d’urto di estinzione e le concentrazioni delle specie presenti in un mezzo, è<br />

facile calcolare lo spettro di estinzione. Si tratta di un semplice problema diretto di algebra lineare.<br />

Nel nostro caso quello che misuriamo è lo spettro di estinzione ed assumendo, per il momento, note<br />

le sezioni d’urto vogliamo calcolare le concentrazioni, si tratta quindi di un problema inverso.<br />

Una caratteristica tipica dei problemi inversi è che essi sono spesso mal posti, nel senso che<br />

non hanno una soluzione unica o che la soluzione non dipende con continuità dai dati misurati, cioè<br />

due misure consecutive sullo stesso mezzo possono portare a risultati differenti senza che nel mezzo<br />

sia cambiato niente. Questa caratteristica è legata al fatto che le soluzioni sono molto sensibili al<br />

rumore ovvero all’incertezza <strong>nell</strong>e misure. Nel nostro caso l’incertezza sulla soluzione può<br />

dipendere anche dalla non perfetta conoscenza della composizione del mezzo e quindi dalla<br />

eventuale imprecisione <strong>nell</strong>e proprietà ottiche utilizzate.<br />

Dal punto di vista matematico molti problemi di interesse scientifico, come il nostro, possono<br />

essere espressi in forma di un sistema di equazioni lineari, ma non risultano di semplice soluzione a<br />

causa dell’elevato numero di condizionamento della matrice A. Il numero di condizionamento di<br />

una matrice è una misura quantitativa di come la soluzione di un problema venga influenzata da una<br />

perturbazione nei dati o, equivalentemente, di quanto un errore sui dati possa essere amplificato nei<br />

risultati.<br />

Per ottenere una valutazione realistica delle concentrazioni, quindi, non possiamo<br />

semplicemente risolvere il sistema lineare (1). Dobbiamo introdurre dei condizionamenti alla<br />

soluzione del problema, il più ovvio è che le soluzioni del nostro problema siano dei numeri non<br />

negativi visto che essi rappresentano delle concentrazioni. Il nostro problema mal posto può essere<br />

approssimato da un nuovo problema che non è mal posto e la cui soluzione sia vicina a quella reale.<br />

Questo è l’obiettivo dei metodi di regolarizzazione, come vedremo in seguito.<br />

A questo punto diventa evidente che arriveremo tanto più vicini alla soluzione vera del nostro<br />

problema quanto migliore sarà la conoscenza che abbiamo del nostro mezzo e dei processi fisici e


chimici a cui esso è sottoposto. In questo modo infatti potremo condizionare la soluzione<br />

rendendola indipendente dai fattori che la rendono instabile.<br />

Noi utilizzeremo anche un metodo di fattorizzazione, NMF (Non-negative Matrix<br />

Factorization), che ci consente di avere una soluzione approssimata al nostro problema senza avere<br />

una perfetta conoscenza delle specie che compongono il mezzo, anzi ci permette di valutare, oltre<br />

alle concentrazioni, le proprietà ottiche delle specie a partire unicamente da un set di misure di<br />

estinzione spettrale. Questo metodo sarà presentato diffusamente in seguito.<br />

Inversione con SVD<br />

Uno dei migliori strumenti per l’analisi dei problemi mal posti è la SVD (Singular Value<br />

Decomposition) ossia la decomposizione di A ai valori singolari. Essa infatti, tra le procedure che<br />

rendono minima la norma del residuo A⋅ x − b , è quella che ci dà il valore più basso.<br />

Dal punto di vista analitico la SVD è definita come: sia<br />

rettangolare con m ≥ n<br />

m×<br />

n<br />

dove ( )<br />

U = u , , u<br />

T T<br />

U U V V =<br />

∈ ℜ<br />

A = USV<br />

1 n K , ( ) n×<br />

n<br />

1 n<br />

n<br />

T<br />

=<br />

n<br />

∑<br />

i=<br />

1<br />

u σ<br />

i<br />

i<br />

v<br />

T<br />

i<br />

A<br />

m×<br />

n<br />

∈ ℜ una matrice quadrata o<br />

V = v , K , v ∈ ℜ sono matrici con colonne ortogonali, tali che<br />

= I , e dove la matrice diagonale S = diag σ , K,<br />

σ ) ha elementi diagonali non<br />

( 1 n<br />

negativi che decrescono secondo l’ordine 1 ≥ 2 ≥ ≥ n ≥ 0 σ σ σ K . I valori σ i sono detti valori<br />

singolari di A, mentre i vettori i u e v i sono i vettori singolari sinistri e destri di A, rispettivamente.<br />

Dal punto di vista geometrico, la SVD di A fornisce due basi di vettori ortogonali, le colonne di U e<br />

di V, tali che la matrice diventa diagonale quando viene trasformata rispetto a queste basi.<br />

Il grado di mal condizionamento della matrice A è descritto dal numero di condizionamento<br />

cond(A) che determina la sensibilità della soluzione a piccole perturbazione nei dati:<br />

Il numero di condizionamento è definito come:<br />

dove 1<br />

∆x<br />

∆b<br />

= cond(<br />

A)<br />

x<br />

b<br />

σ 1<br />

cond(<br />

A)<br />

=<br />

σ<br />

σ e σ n sono il più grande ed il più piccolo dei valori singolari della matrice A,<br />

rispettivamente (Lawson and Hanson, 1995).<br />

Si possono presentare due classi di problemi. Si può avere un problema in cui la matrice A è a<br />

rango quasi non pieno, se la matrice ha uno o più valori singolari molto piccoli e c’è una ben<br />

n


determinata differenza tra i valori grandi ed i valori piccoli. Questo indica che ci sono delle colonne<br />

(o righe) che sono quasi combinazioni lineari delle restanti colonne (o righe).<br />

Si può anche presentare il caso in cui i valori singolari di A decadono gradualmente quasi fino a<br />

zero senza che ci sia un particolare gap <strong>nell</strong>o spettro dei valori singolari.<br />

In entrambe le classi di problemi il numero di condizionamento è grande e quindi piccoli errori in b<br />

possono causare grosse variazioni <strong>nell</strong>a soluzione.<br />

La soluzione del problema mal posto, dopo la decomposizione ai valori singolari della<br />

matrice A è espressa dalla formula:<br />

da cui si ricava immediatamente<br />

x =<br />

∆x<br />

=<br />

n T<br />

ui<br />

∑<br />

i=<br />

1 σ i<br />

n<br />

∑<br />

i=<br />

1<br />

T<br />

b<br />

v<br />

ui<br />

∆b<br />

v<br />

σ<br />

Queste relazioni indicano chiaramente che se c’è un errore in b, il contributo dei valori singolari più<br />

piccoli contamina pesantemente la soluzione. Al secondo membro di quest’ultima relazione, infatti,<br />

∆b viene diviso per σ i . Un primo metodo di regolarizzazione delle soluzioni che viene suggerito<br />

da questa constatazione è quello di trascurare i contributi associati ai valori singolari più piccoli.<br />

Questo metodo è chiamato TSVD (Truncated Singular Value Decomposition).<br />

Inversione e restrizioni alla soluzione con NNLS<br />

Attraverso la procedura SVD troviamo una soluzione x che minimizza la norma del residuo<br />

fornendoci numeri reali. Nel nostro problema il vettore x è il vettore delle concentrazioni. Dal punto<br />

di vista fisico non si possono avere concentrazioni negative. Bisogna, quindi, imporre delle<br />

restrizioni alle soluzioni. Per ottenere soluzioni non negative, è stato sviluppato un algoritmo<br />

(Lawson and Hanson, 1974) che risolve problemi ai minimi quadrati con coefficienti non negativi<br />

NNLS (Non Negative Least Square):<br />

min<br />

x ∈ ℜ<br />

n<br />

i<br />

A⋅<br />

x − b , con ≥ 0 ∀i<br />

(2)<br />

L’ NNLS è un algoritmo iterativo. E’ stato provato da Lawson ed Hanson che il numero di<br />

iterazioni affinché l’algoritmo giunga a convergenza è un numero finito. Aspettando un tempo<br />

sufficiente l’algoritmo giungerà ad un punto in cui le condizioni x ≥ 0 saranno soddisfatte e<br />

terminerà. Non è richiesta un’interruzione arbitraria nel numero di iterazioni anche se il limite<br />

superiore nel numero di iterazioni di cui l’algoritmo ha bisogno per raggiungere il punto di ottimo<br />

può essere grande. Se interrompiamo l’algoritmo prima che esso raggiunga questo punto, non si<br />

x i<br />

i<br />

i<br />

i


otterrà la soluzione ottimale, ma comunque una buona soluzione in generale. Non c’è un buon<br />

metodo per dire esattamente quante iterazioni saranno necessarie. Lawson ed Hanson hanno trovato<br />

che nei loro problemi tipicamente l’algoritmo si ferma dopo n/2 iterazioni con n numero di elementi<br />

di x, nel loro codice essi hanno codificato un limite pari a 3n iterazioni. Il numero di iterazioni è<br />

anche una funzione del rapporto segnale rumore. Dati più rumorosi fanno convergere prima<br />

l’algoritmo in quanto in questa situazione si raggiunge prima una situazione in cui il programma<br />

non può migliorare la soluzione aggiungendo nuovi componenti.<br />

Inversione mediante SCNNLS con restrizioni alla soluzione e regolarizzazione<br />

Sebbene l’ NNLS garantisce una soluzione non negativa, la soluzione può avere fluttuazioni<br />

non realistiche e spike quando il problema inverso è seriamente mal posto, come nel caso in cui si<br />

vogliono ritrovare distribuzioni di dimensioni di particelle oltre che concentrazioni da misure<br />

spettrali di estinzione. Occorre, allora, prendere in considerazione l’ipotesi di una regolarizzazione<br />

delle soluzioni.<br />

Per risolvere un problema mal posto in maniera che la soluzione sia non ambigua, occorre<br />

stabilizzare il problema imponendo condizioni addizionali (restrizioni) in modo da ridurre lo spazio<br />

in cui giacciono le soluzioni. Questi processi e metodi per stabilizzare un problema mal posto sono<br />

generalmente chiamati regolarizzazione, e la soluzione ragionevole calcolata attraverso questi<br />

metodi è detta soluzione regolarizzata (Hansen 1998).<br />

Il principale approccio usato <strong>nell</strong>a regolarizzazione di problemi discreti mal posti è<br />

richiedere che la norma della soluzione sia piccola. Quando questa condizione è introdotta, si può<br />

anche rinunciare al fatto che A•x sia uguale a b nel sistema lineare e, invece, cercare una soluzione<br />

che fornisca il giusto compromesso tra minimizzare la norma di x e minimizzare la norma del<br />

residuo A ⋅ x - b . Una soluzione regolarizzata con una piccola norma e una conveniente norma del<br />

residuo, non è troppo lontana dalla soluzione esatta del problema. La forma di regolarizzazione più<br />

nota è il metodo di Tikhonov.<br />

Il metodo do Tikhonov fornisce una soluzione regolarizzata definita come il minimo della<br />

combinazione pesata della norma del residuo e della norma della soluzione. Tale soluzione è data<br />

da:<br />

{ } 2<br />

2<br />

A⋅<br />

x − b + L<br />

xλ = argmin λ ⋅ x<br />

(3)<br />

dove L è una matrice p per n ed è la rappresentazione discreta di un operatore differenziale, nel<br />

caso più semplice è la matrice identità, L=In.


Il moltiplicatore di Lagrange l è il parametro di regolarizzazione che controlla il peso dato alla<br />

regolarizzazione. Viene definito fattore di filtro caratteristico del metodo di Tikhonov la quantità:<br />

2<br />

σ i<br />

2<br />

i +<br />

f i =<br />

per L=In per i=1,…,n<br />

2<br />

σ λ<br />

In corrispondenza dei più piccoli valori singolari σ i , un valore grande di λ ( equivalente ad una<br />

forte regolarizzazione) favorisce una piccola norma della soluzione, pagandola in termini di una<br />

larga norma del residuo; mentre un valore piccolo di λ (ossia una debole regolarizzazione) ha<br />

l’effetto opposto.<br />

Il parametro di regolarizzazione λ è molto importante in quanto controlla le proprietà della<br />

soluzione regolarizzata; per questo deve essere scelto con molta cura. Dalla scelta del parametro di<br />

regolarizzazione, inoltre, dipendono i limiti di perturbazione per il metodo di Tikhonov. Più grande<br />

è, infatti, il valore di λ, più piccolo è il numero di condizionamento del metodo, e perciò la<br />

soluzione regolarizzata è meno sensibile alle perturbazioni; ma è anche vero che l’aumento di λ<br />

causa la crescita dell’errore di regolarizzazione.<br />

Il metodo di regolarizzazione di Tikhonov e l’NNLS possono essere accoppiati, per avere<br />

una soluzione regolarizzata a coefficienti non negativi, ed eseguiti insieme in due passaggi.<br />

Il problema di minimizzazione (3) è equivalente a risolvere la seguente equazione (Twomey 1997):<br />

T T<br />

T<br />

( A A L L)<br />

x = A b<br />

+λ (4)<br />

Il primo passo sarà quindi porre il problema (1) <strong>nell</strong>a forma (5). Il secondo passo sarà<br />

applicare l’NNLS all’equazione (5) costruendo così una soluzione regolarizzata a coefficienti non<br />

negativi. L’algoritmo così costruito viene detto SCNNLS (Smoothing-Constrained NNLS).<br />

La restrizione sui coefficienti non negativi è fisicamente realistica visto che le concentrazioni<br />

non possono essere negative. Tuttavia la regolarizzazione va utilizzata con attenzione. Le<br />

distribuzioni di dimensioni di particelle che si trovano in atmosfera sono differenti a secondo dei<br />

processi fisici e delle scale coinvolte. Quindi trovare un moltiplicatore di Lagrange ottimale è tanto<br />

importante quanto tutto l’algoritmo nel suo complesso. Un moltiplicatore troppo grande può farci<br />

perdere informazioni presenti <strong>nell</strong>e misure, mentre un moltiplicatore troppo piccolo ci può dare una<br />

soluzione contaminata da errori in maniera importante.<br />

Un metodo per la scelta del parametro di regolarizzazione è il criterio basato sulla<br />

definizione della curva L.<br />

Il metodo della curva L<br />

La curva L è costituita da una curva parametrica le cui coordinate sono la norma della<br />

soluzione regolarizzata Lx reg e la corrispondente norma del residuo Axreg − b , con λ parametro


di regolarizzazione come parametro. La curva L mostra il compromesso per la minimizzazione di<br />

queste due quantità, che è l’obiettivo di ogni metodo di regolarizzazione. Questa curva è continua<br />

quando il parametro di regolarizzazione è continuo, come <strong>nell</strong>a regolarizzazione alla Tikhonov. La<br />

curva L è formata da un ramo verticale e da un adiacente ramo orizzontale. Il ramo orizzontale<br />

corrisponde ad una soluzione sovra-regolarizzata, ossia il parametro di regolarizzazione è troppo<br />

grande e la soluzione è dominata dagli errori di regolarizzazione. Il ramo verticale, invece,<br />

corrisponde ad una soluzione non sufficientemente regolarizzata dove il parametro di<br />

regolarizzazione è troppo piccolo e la soluzione è dominata dagli errori di perturbazione.<br />

È importante sottolineare che la curva L deve essere rappresentata in scala logaritmica per<br />

enfatizzare i due diversi rami e soprattutto per distinguere le informazioni, in essa contenute,<br />

dall’inevitabile rumore.<br />

L’idea dietro il criterio della curva L è che il parametro di regolarizzazione è scelto in<br />

corrispondenza del punto della curva che individua l’angolo tra il ramo verticale e quello<br />

orizzontale. La ragione di questa scelta è che l’angolo della curva L corrisponde ad una soluzione<br />

<strong>nell</strong>a quale gli errori di perturbazione e quelli di regolarizzazione sono bilanciati. Infatti, questo<br />

angolo separa il ramo orizzontale della curva dove dominano gli errori di regolarizzazione, dal ramo<br />

verticale dove dominano gli errori di perturbazione.


Non-negative Matrix Factorization (NMF)<br />

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come dallo spettro di estinzione, una volta note le<br />

proprietà ottiche, possano essere calcolate le concentrazioni delle specie presenti in un mezzo. Lo<br />

spettro di estinzione b è quindi una funzione della lunghezza d’onda, la matrice A delle cross<br />

section di estinzione è una funzione della lunghezza d’onda e delle specie che compongono il<br />

mezzo ed infine x è il vettore delle concentrazioni ed è una funzione delle specie che compongono<br />

il mezzo (atmosfera, scarichi, condense, etc…).<br />

Questa schematizzazione del nostro problema implica la conoscenza di tutte le specie che<br />

compongono il mezzo, o meglio di tutte le specie che contribuiscono all’estinzione, e delle loro<br />

proprietà ottiche. Finora, quindi, abbiamo assunto di conoscere accuratamente gli indici di<br />

rifrazione degli aerosol e le cross section di estinzione delle specie gassose. In realtà gli indici di<br />

rifrazione non sono completamente noti. Infatti per gli aerosol gli indici di rifrazione sono<br />

essenzialmente non conosciuti. Gli aerosol atmosferici sono miscele di una varietà di tipi di aerosol<br />

di differente composizione chimica (ad esempio solfati, nitrati, ammonio, nanoparticelle di carbonio<br />

organico, fuliggine e polveri inorganiche).<br />

In atmosfera sono ipotizzati diversi modelli di composizione di aerosol: miscele interne,<br />

miscele esterne ovvero un cuore di fuliggine ricoperta da specie trasparenti. A parità di<br />

composizione in massa delle specie che estinguono, modelli differenti portano a proprietà ottiche<br />

medie, degli aerosol, differenti (Bohren and Huffman 1983).<br />

In questo contesto diventa essenziale, anche se non è sufficiente, la regolarizzazione delle<br />

soluzioni. Senza regolarizzazione infatti una piccola variazione nel modello (matrice A) porterebbe<br />

ad un grossa variazione <strong>nell</strong>a valutazione delle concentrazioni e delle distribuzioni di dimensioni.<br />

A questo punto serve uno strumento di calcolo che sia in grado di fornire altre alle<br />

concentrazioni delle specie presenti in atmosfera anche le proprietà ottiche di queste specie, noti che<br />

siano soltanto i dati misurati e cioè gli spettri di estinzione. Questo è ciò che ci permette di fare<br />

l’NMF (Non-negative Matrix Factorization). Per utilizzare questo strumento accorre formulare il<br />

problema dell’inversione dei dati di estinzione in termini differenti da quelli fatti fino a questo<br />

punto.<br />

Finora abbiamo schematizzato il nostro problema in termini di algebra lineare con<br />

l’espressione (1), supponendo di avere un singolo spettro di estinzione. Per le nostre misure in<br />

atmosfera noi abbiamo acquisito una serie di spettri di estinzione per seguire le dinamiche<br />

giornaliere delle specie presenti, mentre per le misure allo scarico dei motori abbiamo acquisito una<br />

serie di spettri in funzione del ciclo di guida, misure analoghe sono state fatte per le condense allo<br />

scarico dei motori e per le piogge. Quindi per ognuno dei mezzi analizzati disponiamo di una serie


di spettri di estinzione. Allora il problema espresso dalla equazione (1) può essere riformulato in<br />

questi nuovi termini:<br />

A ⋅ x = b (1) ⇒ AX = B ovvero B = AX<br />

dove B è il termine conosciuto ed è la matrice composta dagli spettri di estinzione misurati in<br />

diversi istanti ovvero in diverse condizioni; essa risulta quindi essere una funzione della lunghezza<br />

d’onda e del tempo. A è la matrice delle cross section di estinzione (che per il momento<br />

supponiamo incognita) ed è quindi una funzione della lunghezza d’onda e delle specie, mentre X è<br />

la matrice delle concentrazioni (incognite) e risulta quindi essere una funzione delle specie e del<br />

tempo. Riformuliamo la relazione di sopra esprimendo esplicitamente le funzionalità:<br />

( , t)<br />

A(<br />

. s)<br />

X ( s,<br />

t)<br />

B λ = λ<br />

(5)<br />

dove l e la lunghezza d’onda, s è la specie e t è il tempo o le diverse condizioni in cui sono stati<br />

acquisiti gli spettri di estinzione. Notiamo subito che al secondo membro abbiamo due matrici di cui<br />

una sola (A) è funzione della lunghezza d’onda ed un’altra (X) è funzione del tempo. Avendo due<br />

differenti funzionalità possiamo estrarre queste due matrici, nota che sia la sola matrice (B) degli<br />

spettri di estinzione, o più precisamente possiamo fattorizzare la matrice B in termini di due matrici<br />

A ed X. Questo è quello che ci permette di fare l’NMF (Lee and Seung 1999).<br />

La NMF è una tecnica iterativa relativamente recente, è stata proposta nel 1997 da Lee e<br />

Seung e permette una rappresentazione approssimata di a dati lineare e non negativa, essa infatti<br />

garantisce che sia le basi (A) utilizzate per rappresentare i dati (B) che i corrispondenti pesi (X)<br />

sono non negativi.<br />

Data una matrice non negativa B di dimensioni m x n, l’algoritmo NMF cerca di trovare<br />

fattori non negativi A e X tali che<br />

B ≈ B ≡ AX , dove<br />

A<br />

m×<br />

s<br />

∈ ℜ e<br />

Possiamo pensare ad A come la matrice contenente le basi rispetto a cui tutti i vettori di B possono<br />

essere rappresentati attraverso i coefficienti contenuti in X.<br />

Algoritmo NMF<br />

Ci sono diversi algoritmi NMF, uno si basa sulla minimizzazione della distanza Euclidea,<br />

un altro si basa sulla minimizzazione della divergenza ed un terzo è il cosiddetto Local NMF.<br />

Vediamo esemplificativamente il primo di questi algoritmi e cioè quello basato sulla<br />

minimizzazione della distanza Euclidea .<br />

In primo luogo consideriamo la distanza Euclidea tra ciascuna colonna di B e la sua<br />

Approssimazione B ≡ AX . Per scopi computazionali viene usato il quadrato della distanza tra<br />

X<br />

∈ ℜ<br />

s×<br />

n


ciascun vettore colonna bi della matrice di dati B e la sua approssimazione i Axi<br />

questa grandezza, la funzione da minimizzare sarà espressa <strong>nell</strong>a seguente forma:<br />

g<br />

n<br />

( A,<br />

X ) = ∑<br />

i=<br />

1<br />

b − Ax<br />

i<br />

i<br />

2<br />

=<br />

B − AX<br />

2<br />

b ≈ . Utilizzando<br />

Noi vogliamo trovare i fattori A ed X che minimizzino questa funzione. Il limite inferiore di<br />

questa funzione è lo zero può essere ottenuto solo quando B è strettamente uguale a AX. Ci sono<br />

diversi modi per minimizzare questa funzione, tuttavia il meglio che ci possiamo aspettare è quello<br />

di raggiungere un minimo locale.<br />

Per trovare un compromesso tra la complessità dell’algoritmo e la velocità di convergenza si può<br />

utilizzare la seguente procedura di aggiornamento delle variabili:<br />

X ← X<br />

aj<br />

A ← A<br />

ia<br />

aj<br />

ia<br />

T [ A B]<br />

aj<br />

T [ A AX ] aj<br />

T [ BX ] ia<br />

T [ AXX ] ia<br />

Scrivendole in questo modo,è evidente che l’aggiornamento consiste nel moltiplicare i fattori<br />

correnti per una misura della qualità della corrente approssimazione.<br />

Inizializzazione<br />

L’algoritmo NMF per un set di dati B m x n richiede necessariamente tre input:<br />

(1) Il numero di specie s, ovvero il rango di A<br />

(2) Una matrice m x r di inizializzazione per le cross section A (0)<br />

(3) Una matrice r x n di inizializzazione per i coefficienti X (0)<br />

Scegliere il numero di specie s equivale a fissare il rango della matrice A. Esistono delle procedure<br />

per valutare il numero minimo di specie s da utilizzare per avere un’inversione ottimale. Nel nostro<br />

caso questo non è strettamente necessario utilizzare procedure visto che la nostra conoscenza dei<br />

mezzi che andiamo ad analizzare ci permette di stabilire quali specie possono essere presenti e<br />

quindi determinarne il numero s.<br />

Anche per l’inizializzazione della matrice A sono state studiate delle opportune procedure. Anche in<br />

questo caso però noi ne possiamo fare a meno perché conoscendo il mezzo possiamo inizializzare la<br />

matrice A con le cross section note da letteratura. Quest’ultimo punto è strettamente vero solo nel<br />

caso dei gas per i quali le cross section sono perfettamente note. Per gli aerosol il problema è<br />

differente in quanto non conosciamo quali sono le loro effettive proprietà ottiche. Quello che<br />

facciamo quindi è ipotizzare un modello, per esempio di miscele interne, valutarci le cross section<br />

di estinzione che corrispondono a questo modello e fornirle in ingresso all’NMF, lasciando a


quest’ultimo la possibilità di modificarle <strong>nell</strong>e successive iterazioni. Questo ci può permettere<br />

eventualmente anche di capire se il modello ipotizzato può andare bene o va modificato.<br />

Infine la matrice X, il modo migliore di inizializzarla è quello di fornire in ingresso all’NNLS la<br />

matrice A (0) , che poi daremo in ingresso all’NMF, quindi prendere la soluzione che deriva da<br />

questa inversione e darla come valore di primo tentativo X (0) all’NMF.


Risultati sperimentali<br />

Durante questo anno di formazione ci siamo occupati, a livello sperimentale, della rivelazione<br />

di inquinanti atmosferici sia gassosi che particellari. Per capirne l’evoluzione è stato fatto anche uno<br />

studio sulle sorgenti principali quali gli scarichi degli autoveicoli. Sono state fatte sia misure<br />

spettroscopiche in situ che extra situ. Per quanto riguarda le misure in situ, sono state fatte misure di<br />

estinzione sui fumi di scarico di diversi veicoli a diesel e a benzina, e poi direttamente in atmosfera<br />

urbana. Per quanto riguarda le extra situ sono stati prelevati dei campioni di condensa dell’acqua di<br />

combustione nei fumi di scarico e campioni di pioggia.<br />

L’idea di raccogliere condense e piogge ci permette di separare i componenti idrofili da quelli<br />

non idrofili come la fuliggine.<br />

Nella seguente figura è riportato lo spettro di estinzione di una pioggia (09 01 2004) invertito<br />

in termini di nitrati e di NOC. Infatti sono sufficienti queste due sole specie per dare un ottimo dello<br />

spettro misurato.<br />

Kext, cm-1<br />

0,40<br />

0,35<br />

0,30<br />

0,25<br />

0,20<br />

0,15<br />

0,10<br />

0,05<br />

0,00<br />

Nitrate 1.5 mg/litro<br />

NOC 65 µg/litro µg/litro<br />

200 250 300 350 400 450<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

I nitrati hanno una elevata solubilità, quindi sono facilmente intrappolati dalle gocce di<br />

pioggia. Per quanto riguarda i NOC, per la valutazione delle concentrazione è stato utilizzata la<br />

forma spettrale che viene fuori dalle misure ci estinzione su condense di fiamme ricche ma non<br />

fuligginose (Sgro, L.A., 2001).<br />

La pioggia riesce in qualche modo ad intrappolare le specie idrofile permettendoci di studiarle<br />

e di comprendere meglio la fisica dell’atmosfera. L’efficienza di scavenging (lavaggio) della<br />

Exp<br />

NOC<br />

Nitrate<br />

fit


pioggia dipende da diversi fattori. Dipende dalle dimensioni delle gocce, da quelle degli aerosol e<br />

dalle proprietà chimiche delle particelle (Mircea, M.; 2000). Le gocce possono absorbire particelle<br />

se esse vengono a contatto a causa dei moti brauniani o per impatto inerziale trovandole sulla loro<br />

strada mentre precipitano.<br />

Gocce più piccole ci danno una maggiore superficie di esposizione a parità di massa di acqua<br />

considerata, mentre dimensioni piccole per gli aerosol vogliono dire moto brauniano più intenso.<br />

Nelle seguenti figure è riportata la concentrazione di Nitrati e NOC durante un episodio di<br />

pioggia pomeridiano.<br />

Concentrazione, µg/m3 Concentrazione, µg/m3 Concentrazione, µg/m3 Concentrazione, µg/m3 1.6E+06<br />

1.4E+06<br />

1.2E+06<br />

1.0E+06<br />

8.0E+05<br />

6.0E+05<br />

4.0E+05<br />

2.0E+05<br />

0.0E+00<br />

3.0E+06<br />

2.5E+06<br />

2.0E+06<br />

1.5E+06<br />

1.0E+06<br />

5.0E+05<br />

0.0E+00<br />

Nitrati (09 Aprile 2004)<br />

13.00 13.40<br />

Tempo<br />

15.30 16.30<br />

NOC (09 Aprile 2004)<br />

13.00 13.40 15.30 16.30<br />

Tempo<br />

La pioggia è stata costante durante le prime ore, mentre è diventata meno intensa dopo le<br />

quindici e trenta, continuando comunque piovigginare fino alle diciotto. Come si può notare mentre


l’intensità della pioggia è costante, le concentrazioni delle specie intrappolate dalla pioggia<br />

diminuiscono nel tempo. Tuttavia quando smette di piovere e comincia a piovigginare si ha un<br />

aumento sia <strong>nell</strong>e concentrazioni di nitrati che di NOC. Questo fenomeno può essere spiegato per<br />

quanto dicevamo prima con le dimensioni delle gocce di pioggia.<br />

Prima di passare all’analisi dell’estinzione direttamente in atmosfera urbana, vediamo cosa<br />

accade allo scarico dei motori e cosa viene intrappolato dalle condense dell’acqua di combustione<br />

che si trova nei fumi di scarico.<br />

Nella seguente figura è rappresentato schematicamente il sistema di raccolta della condensa<br />

dai fumi di scarico ed il sistema per le misure di estinzione sui fumi di scarico.<br />

Banco a rulli<br />

Raffreddamento ON/OFF<br />

Scambiatore di calore<br />

Acqua di Combustione<br />

Condensata<br />

Diluizione<br />

Diversi veicoli a benzina e a diesel (“common rail”) sono stati utilizzati per queste misure. I<br />

veicoli sono guidati al banco a rulli seguendo il ciclo di guida standard europeo NEDC (New<br />

European Driving Cycles), che corrisponde a quattro cicli urbani (4,08 km), ECE, ed uno<br />

extraurbano (6,81 km), EUDC. Complessivamente viene ricoperta una distanza di 10,89 km<br />

simulando sia condizioni di guida urbana che rurale.<br />

I fumi, non diluiti, vengono fatti passare in uno scambiatore di calore, lungo il quale le specie<br />

idrofile vengono intrappolate <strong>nell</strong>a fase liquida. La lunghezza dello scambiatore è di quattro metri<br />

ed è raffreddato con acqua di servizio che si trova a circa 15°C. I fumi giungono rapidamente ad<br />

una temperatura inferiore ai 50°C che, per le condizioni di umidità in cui si trovano i fumi, è la<br />

soglia in cui l’acqua di combustione comincia a condensare. In uscita dallo scambiatore la corrente<br />

dei fumi raggiunge circa i 20°C per cui l’acqua di combustione sarà quasi completamente<br />

condensata.<br />

I fumi, a cui è stata sottratta l’acqua di combustione, se lo scambiatore di calore è attivo sulla linea,<br />

ovvero ancora umidi, se <strong>nell</strong>o scambiatore non circola l’acqua di raffreddamento, vengono diluiti<br />

CVS<br />

Retro-riflettore<br />

10 m<br />

Fumi di scarico diluiti<br />

Rivelatore


con aria circa 10 volte e poi vengono fatti passare in un tubo accessibile otticamente. Il percorso<br />

ottico su cui viene misurato lo spettro di estinzione dei fumi di scarico è di circa 10 metri.<br />

Per quanto riguarda le misure di estinzione sulle condense dei fumi di scarico non siamo<br />

riusciti ad ottenere inversioni soddisfacenti utilizzando le cross section delle specie di cui<br />

disponevamo in bacheca. Per capire quali specie sono presenti nei campioni abbiamo sfruttato la<br />

tecnica di inversione NMF, di cui abbiamo diffusamente parlato. Mediante questa tecnica abbiamo<br />

calcolato che <strong>nell</strong>e condense ci sono almeno tre specie che contribuiscono all’estinzione, due delle<br />

quali si sono rivelate assomigliare ai nitrati ed alle nanoparticelle, mentre sulla terza specie c’è solo<br />

un’ipotesi di composizione, dalla forma dell’estinzione si potrebbe trattare di un composto<br />

nitroaromatico (Jacobson, M.Z.; 1999).<br />

Estinzione per unità di massa, cm-1 Estinzione per unità di massa, cm /(µg/m3)<br />

-1 /(µg/m3)<br />

1,8E-07<br />

1,6E-07<br />

1,4E-07<br />

1,2E-07<br />

1,0E-07<br />

8,0E-08<br />

6,0E-08<br />

4,0E-08<br />

2,0E-08<br />

Nitrati<br />

NOC<br />

Nitrati da NMF<br />

NOC da NMF<br />

Terza Specie da NMF<br />

2,0E+02<br />

1,8E+02<br />

1,6E+02<br />

1,4E+02<br />

1,2E+02<br />

1,0E+02<br />

8,0E+01<br />

6,0E+01<br />

4,0E+01<br />

2,0E+01<br />

0,0E+00<br />

0,0E+00<br />

200 250 300 350 400 450<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

In figura sono rappresentate le forme spettrali delle tre specie che contribuiscono<br />

all’estinzione del campione ricavate mediante l’NMF, e le forme dei nitrati e di NOC da condensa<br />

di fumi di fiamma.<br />

Per quanto detto parlando dell’NMF, e chiaro che questa tecnica ci fornisce solo le forme ed i<br />

contributi relativi di queste specie all’estinzione. Essa infatti ci fornisce lo spettro di estinzione<br />

attribuito ad una specie come combinazione di un fattore che dipende solo dal tipo di campione e di<br />

uno che dipendente dalla lunghezza d’onda. Quindi il loro prodotto ha senso fisico ma i due fattori<br />

possono non averne, a meno che non sia fatta una calibrazione delle forme una volta che si sia<br />

capito a quali specie attribuire le singole forme.<br />

u.a.


Invertendo gli spettri di estinzione dei campioni di condensa mediante NMF otteniamo<br />

un’inversione buona, con un ottimo fit. Invertendo con un metodo classico, l ‘NNLS, inserendo<br />

come cross section per l’inversione quelle dei nitrati e dei NOC.<br />

Kext, cm-1<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

Spettro Misurato<br />

Spettro Inv NNLS<br />

Spettro Inv NMF<br />

200 250 300 350 400 450<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

Come si vede l’inversione con l’NNLS non è soddisfacente, mentre risulta molto<br />

soddisfacente quella mediante NMF, al punto che risulta difficile distinguere la lo spettro misurato,<br />

in blu, da quello invertito, in rosso.<br />

Oltre alle condense, per la caratterizzazione delle emissioni da autoveicoli, sono state fatte<br />

anche misure di estinzione sui fumi di scarico.<br />

Sono state analizzati gli scarichi di diverse macchine a benzina e a diesel di ultima generazione<br />

(anno di immatricolazione 2003). Sono state seguite le emissioni allo scarico durante condizioni di<br />

guida a velocità costante e durante cicli NEDC. Inoltre sono state fatte misure sia sui fumi privi<br />

dell’acqua di combustione, condensata <strong>nell</strong>o scambiatore, che sui fumi in cui lo scambiatore non era<br />

attivo sulla linea.<br />

Nella seguente figura sono riportati due spettri di estinzione, uno è relativo ai fumi di scarico di una<br />

macchina Diesel ed il secondo di una macchina a benzina. Entrambe le macchine sono guidate ad<br />

una velocità costante di 50km/h.<br />

Gli spettri di estinzione vengono invertiti in maniera soddisfacente attraverso quattro specie, gli<br />

ossidi di azoto,NO ed NO2, la fuliggine, riportata come soot, e i NOC. Lo spettro dei NOC è quello<br />

ricavato direttamente in fiamma (D’Alessio et al., 1998).


Kext, cm-1<br />

Spettro di Estinzione dei Fumi di Scarico Diluiti con Aria (10:1) di una<br />

Macchina a Diesel ed una a Benzina Guidate al Banco a Rulli a - 50 km/h<br />

6.E-4<br />

5.E-4<br />

4.E-4<br />

3.E-4<br />

2.E-4<br />

1.E-4<br />

0.E+0<br />

2.E-4<br />

1.E-4<br />

Diesel<br />

NOC 410 µg/m3 µg/m3 Soot 1890 µg/m3 µg/m3<br />

NO 10.2 mg/m3<br />

Gasoline<br />

Soot 225 µg/m3 µg/m3<br />

NOC 220 µg/m3 µg/m3<br />

NO 8.880 mg/m3<br />

NO2 0.952 mg/m3<br />

0.E+0<br />

200 250 300 350 400 450<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

NO2 15.7 mg/m3<br />

Il metodo di inversione utilizzato per ottenere questa inversione è quello che risolve un<br />

problema ai minimi quadrati con coefficienti non negativi, NNLS.<br />

Nonostante i fit soddisfacenti ottenuti con questa tipo di inversione, abbiamo provato ad<br />

invertire i dati di estinzione dei fumi attraverso la procedura NMF. Questa tecnica di inversione è<br />

stata applicata per i fumi di scarico di tutte le macchine analizzate. Per ogni macchina è stata presa<br />

la serie di misure relative al ciclo NEDC con i fumi umidi, quindi senza fare la condensa dell’acqua<br />

di combustione. Come dati per l’inizializzazione sono state prese le concentrazioni in uscita<br />

dall’inversione mediante NNLS e le cross section di NO, NO2, fuliggine e NOC da letteratura. In<br />

questo modo la procedura di inversione ci consente di abbassare ancora di più lo scarto quadratico<br />

medio, potendo modificare sia le concentrazioni che le cross section delle specie. In questo modo<br />

abbiamo, per esempio, aggiustato la cross section dell’ NO dando il giusto peso relativo alle sue<br />

bande si assorbimento.<br />

Nelle due figure seguenti riportiamo un esempio delle forme ottenute mediante questa<br />

procedura. Il risultato riguarda una macchina diesel (“common rail”). Le inversioni fatte per tutte le<br />

macchine diesel portano allo stesso risultato. L’unica forma che cambia un poco <strong>nell</strong>e varie<br />

inversioni è quella della fuliggine. Le forme differenti ritrovate per la quest’ ultima specie sono<br />

Fit<br />

Exp.<br />

Soot<br />

NO<br />

NO2<br />

NOC


spiegabili in termini di diverso stato di aggregazione della fuliggine nei fumi di scarico delle diverse<br />

macchine analizzate.<br />

u.a. u.a.<br />

u.a.<br />

2.0E-08<br />

1.8E-08<br />

1.6E-08<br />

1.4E-08<br />

1.2E-08<br />

1.0E-08<br />

8.0E-09<br />

6.0E-09<br />

4.0E-09<br />

2.0E-09<br />

0.0E+00<br />

2,0E-06<br />

1,8E-06<br />

1,6E-06<br />

1,4E-06<br />

1,2E-06<br />

1,0E-06<br />

8,0E-07<br />

6,0E-07<br />

4,0E-07<br />

2,0E-07<br />

0,0E+00<br />

200 250 300 350 400 450<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

NOC Fiamma<br />

Soot Fiamma<br />

Soot Fumi Diesel da NMF<br />

NOC Fumi Diesel da NMF<br />

200 250 300 350 400 450<br />

Lunghezza d’onda, nm<br />

NO2 da NMF<br />

NO2<br />

NO da NMF<br />

NO<br />

2.0E-08<br />

1.8E-08<br />

1.6E-08<br />

1.4E-08<br />

1.2E-08<br />

1.0E-08<br />

8.0E-09<br />

6.0E-09<br />

4.0E-09<br />

2.0E-09<br />

0.0E+00<br />

2,0E-06<br />

1,8E-06<br />

1,6E-06<br />

1,4E-06<br />

1,2E-06<br />

1,0E-06<br />

8,0E-07<br />

6,0E-07<br />

4,0E-07<br />

2,0E-07<br />

0,0E+00<br />

Le emissioni dagli scarichi degli autoveicoli sono una sorgente per l’inquinamento<br />

atmosferico, quindi ci si deve aspettare di ritrovare in atmosfera quello che viene emesso.<br />

Ovviamente l’atmosfera è essa stessa un reattore molto complesso in cui le specie emesse possono<br />

essere ossidate, possono depositarsi al suolo dopo un certo tempo di vita, possono essere assorbite<br />

dalla pioggia e possono miscelarsi dando luogo ad aerosol complessi. Inoltre in atmosfera, oltre agli<br />

Estinzione per unità di massa, cm-1 Estinzione per unità di massa, cm /(µg/m3)<br />

-1 /(µg/m3)<br />

Estinzione per unit à di massa, cm -1 Estinzione per unit à di massa, cm /(µg/m3)<br />

-1 /(µg/m3)


inquinanti di origine antropica, si trovano anche i prodotti delle emissioni naturali, anche se <strong>nell</strong>e<br />

aree urbane gli inquinanti sono essenzialmente di origine antropica (Kaufman, Y.J.; 2002).<br />

Nella seguente figura è riportato uno spettro di estinzione caratteristico, misurato in atmosfera<br />

urbana.<br />

Kext, 1/km<br />

18<br />

16<br />

14<br />

12<br />

10<br />

8<br />

6<br />

4<br />

nitrate and<br />

transparent<br />

aerosols<br />

NOC<br />

Ultraviolet Extinction Spectrum of Atmospheric Air<br />

Experimental<br />

Built from Known Species<br />

2<br />

O2<br />

O3<br />

EC<br />

0<br />

200 250 300 350<br />

Wavelength, nm<br />

400 450<br />

Al di sotto dei 250nm c’è una forte banda di assorbimento attribuita ai NOC con una<br />

concentrazione di 25 microgrammi di NOC per metro cubo di aria. Mediamente la concentrazione<br />

di NOC stimata in atmosfera è di 20µg/m 3 .<br />

O2 21% Air<br />

O3 67 µg/m3 NOC 25µg/m3 =2.8 nm<br />

NO2 100 µg/m3 EC 10 µg/m3 O2 21% Air<br />

O3 67 µg/m3 NOC 25µg/m3 =2.8 nm<br />

NO2 100 µg/m3 EC 10 µg/m3 nitrate 40 µg/m3 nitrate 40 µg/m<br />

= 110 nm<br />

3<br />

= 110 nm<br />

Investigation over open and long ( 200 m ) path of urban atmosphere<br />

Questo dato conferma i valori che ci aspettiamo di trovare in atmosfera dalle misure di<br />

emissione dei fumi di scarico. Vediamo qual è la procedura seguita che giustifica quest’ultima<br />

affermazione. Quello che dobbiamo valutare è un fattore di diluizione dei NOC dai fumi di scarico<br />

in atmosfera, ovvero di quanto i fumi di scarico si diluiscono quando vengono immessi in<br />

atmosfera. Per valutare questo fattore di diluizione ci serviamo di misure di concentrazione sulla<br />

CO2.<br />

Vediamo passo dopo passo la procedura seguita.<br />

Abbiamo misurato la concentrazione di NOC allo scarico dei veicoli guidati al banco a rulli.<br />

Abbiamo misurato la CO2 allo scarico dei veicoli.


Abbiamo misurato la CO2 in atmosfera urbana (diversi punti di Fuorigrotta) e in atmosfera non<br />

inquinata (fuori da Napoli).<br />

Facendo la differenza tra la CO2 misurata in atmosfera urbana e la CO2 misurata in ambiente non<br />

inquinato abbiamo ricavato un eccesso di CO2 rispetto ad un fondo naturale di 60ppmv. Questo<br />

eccesso è stato attribuito all’emissione da autoveicoli.<br />

La CO2 emessa mediamente da diverse macchine guidate al banco a rulli seguendo cicli di guida<br />

urbani, va da 70000 a 80000ppmv. Quindi dividendo questi valori per l’eccesso di CO2 misurato in<br />

atmosfera urbana (60ppmv) calcoliamo un fattore di diluizione, dallo scarico in atmosfera, per la<br />

CO2 pari a circa 1200.<br />

Ipotizziamo che il fattore di diluizione per i NOC sia lo stesso che per la CO2. Questo fattore<br />

moltiplicato per le concentrazioni medie di NOC misurate allo scarico di diversi veicoli, ci da i<br />

valori attesi di NOC in atmosfera che abbiamo riportato con istogrammi <strong>nell</strong>a seguente figura.<br />

Mass Concentration, µg/m3<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

Expected Contributions from Differents Cars<br />

to Air Concentration of NOC<br />

Diesel Engines (Light Oil)<br />

Spark-ignited Engines (Gasoline)<br />

Measured Air Concentration of NOC from<br />

Atmospheric Extinction<br />

Old Cars Medium-aged New Cars<br />

Dove con New Cars abbiamo indicato gli autoveicoli di ultima generazione, anno di<br />

immatricolazione 2003. A questi veicoli si riferivano gli spettri di estinzione sui fumi di scarico e<br />

sulle condense che abbiamo visto sopra.<br />

Abbiamo indicato con Medium-aged gli autoveicoli immatricolati fra il 1992 ed il 2000, mentre<br />

con Old Cars abbiamo indicato le macchine immatricolate prima del 1992.


CONCLUSIONI<br />

• Nel corso di questo lavoro di tesi sono state realizzate misure di estinzione spettrale nel<br />

campo di lunghezze d’onda dall’ultravioletto al visibile (200 - 500nm). A tale scopo, è stato<br />

necessario l’utilizzo di una sorgente di luce non convenzionale ottenuta dall’emissione di un<br />

plasma generato, in azoto, dalla focalizzazione di un intenso raggio laser (Laser Produced<br />

Plasma, LPP).<br />

• Sono state fatte misure su diverse tipologie di campioni: scarichi diluiti di motori, tratti di<br />

atmosfera urbana, condense acquose di motori, piogge.<br />

• Le misure in atmosfera urbana hanno dimostrato la praticabilità di analisi spettroscopiche di<br />

estinzione in atmosfera non confinata fino al limite dell’UV da vuoto (λ=200nm), dove<br />

specie chimiche di rilevante interesse ambientale possono essere misurate e monitorate.<br />

L’assorbimento dell’ossigeno e dell’ozono, che generalmente sono considerati una barriera<br />

naturale inaccessibile alle indagini di tipo ottico, possono invece essere prese in<br />

considerazione e non limitano utili osservazioni sulla chimica dell’atmosfera, purché sia<br />

disponibile una sorgente di luce sufficientemente intensa e siano adottati configurazioni<br />

opportune di analisi ottica.<br />

• Sono state fatte elaborazioni anche su un insieme di dati, precedenti a questo anno di<br />

formazione, su condense di fumi di scarico e sui fumi di scarico di diversi tipi di autoveicoli.<br />

• Le specie che sono state rilevate attraverso la nostra tecnica sono sia gassose che particellari.<br />

In particolare è stata rilevata la presenza di NO, NO2, Ozono, Nitrati, Fuliggine e<br />

nanoparticelle di carbonio organico (NOC).<br />

• Nelle diverse tipologie di campioni analizzati si è ritrovata sempre una classe di particelle<br />

carboniose nanometriche (NOC Nanosize Organic Carbon) di 2-3nm, con funzionalità<br />

aromatiche, caratterizzate da un forte assorbimento al di sotto dei 250nm e trasparenti dal<br />

vicino ultravioletto al visibile. Queste particelle sono state caratterizzate dal punto di vista


chimico e fisico principalmente in collaborazione col gruppo del proff. Antonio D’Alessio<br />

del Dipartimento di Ingegneria Chimica, ma anche attraverso altri gruppi di ricerca dello<br />

stesso dipartimento, dell’ INFN e dell’ IRC. Inoltre è stata fatta sperimentazione per quanto<br />

riguardano i loro effetti sulla salute in collaborazione con due gruppi di tossicologi dei proff.<br />

Sannolo e Acampora, rispettivamente del primo e secondo Policlinico.<br />

• E’ stata rilevata una forte correlazione tra le tipologie di emissioni e le quantità di inquinanti<br />

primari e secondari in atmosfera. In particolare le misure in atmosfera hanno portato alla<br />

stima di una decina di microgrammi di NOC per metro cubo di aria che corrispondono a<br />

miliardi di particelle per centimetro cubo.<br />

• La misura del numero di particelle di NOC presenti in atmosfera è stata confermata da stime<br />

indirette, basate sulla diluizione di CO2 dagli scarichi dei motori all’atmosfera.<br />

• Per quanto riguarda gli effetti che queste particelle possono avere sulla salute ci sono delle<br />

considerazioni da fare. E’ un dato consolidato in letteratura che le particelle di dimensioni<br />

più piccole sono le più dannose per la loro facilità di arrivare <strong>nell</strong>e zone più profonde dei<br />

polmoni. Particelle con dimensioni distribuite intorno a 2-3 nm possono quindi arrivare<br />

facilmente nei polmoni ed essendo esse idrofile possono essere adsorbite facilmente dalle<br />

mucose, essendo queste ultime umide. Ulteriori studi forniranno dettagli più approfonditi sui<br />

possibili effetti tossicologici.<br />

• Per quanto riguarda gli effetti climatici (forcing radiativi) sia diretti, per<br />

assorbimento/diffusione, che indiretti, in quanto possibili nuclei di condensazione <strong>nell</strong>e<br />

nubi, ci sono considerazioni controverse che non ci permettono di dare delle conclusioni<br />

definitive.<br />

• In questo momento stiamo estendendo le analisi fatte sia a diverse tipologie di campioni sia<br />

a tutto il campo spettrale UV – Vis – NIR (200 – 1100nm).<br />

• La tecnica e la strumentazione da noi sviluppate e messe a punto possono essere applicate ad<br />

una gamma molto vasta di ambienti, situazioni e contesti: dal monitoraggio ambientale di


atmosfera urbana, siti industriali, combustori di varia natura, discariche, etc… fino alla<br />

caratterizzazione delle emissioni regolamentate e non, da motori vecchi e nuovi.


Illustrazione delle interazioni con PMI<br />

Durante questo anno di formazione è stata effettuata la progettazione, la realizzazione e la<br />

messa a punto di uno Spettrofotometro a prismi sottili operante nel campo spettrale UV – Vis – NIR<br />

e su distanze di atmosfera libera da pochi centimetri a qualche chilometro. Questa attività è stata<br />

condotta in stretta collaborazione con PMI campane (ARTS Srl, e-voluzione Srl, Costruzioni<br />

Meccaniche Picascia CMP Snc, Beta-Sistem Srl), ad alcune delle quali è stata affidata la<br />

realizzazione della strumentazione da parte dell’Università degli Studi di Napoli Federico II per<br />

conto del Centro Regionale di Competenza AMRA.


Competenze organizzativo – manageriali acquisite<br />

Nel corso dell’anno di formazione è stata conseguita la dimostrata capacità di predisporre e<br />

condurre attività di studio e di ricerca sperimentali sia <strong>nell</strong>a unità di lavoro autonoma presso<br />

l’Istituto Motori sia in stretta collaborazione con altre unità operative del CRdC e cioè INFM, IRC,<br />

Dipartimento di Ingegneria Chimica, primo e secondo Policlinico dell’università di Napoli. Inoltre<br />

le attività condotte sono state documentate con regolari e puntuali rapporti tecnici.<br />

Infine buona parte del periodo di formazione è stata dedicata all’indirizzo e al supporto del lavoro di<br />

due tesi di laurea sperimentali di laureandi in Ingegneria Chimica.


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APPENDICE<br />

Foto con Schemi di funzionamento della strumentazione<br />

MOGANO<br />

Monitor Monitor Ottico Ottico di Gas, Gas, Aerosol Aerosol e Nanoparticelle Nanoparticelle Organiche Organiche<br />

Foto 1 - I pan<strong>nell</strong>i laterali sono stati realizzati in legno (mogano).


Scambiatore di calore<br />

Ricezione<br />

Foto 2 – Strumentazione molto compatta e maneggevole.<br />

Trasmissione


Foto 3 con schema rappresentativo - Generatore e collimatore del fascio di<br />

luce a largo spettro.


Foto 3 con schema rappresentativo - Ramo di trasmissione (foto in basso) e<br />

di trasmissione (foto in alto) della luce.


Foto 4 - Lo strumento può operare in modalità spot o in modalità spectrum.


Foto 5 - Gruppo di lavoro, da sinistra: Ing Antonio Borghese, Sig Dino<br />

Scodellaro, Ing Luciano Speranza.

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