Giornale di Capracotta – anno 3 – n. 1 - Capracotta.com

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Storia 24 li. Anche il sacerdote D. Policarpo Conti, nei giorni della reazione, fu arrestato e percosso e, in segno di dileggio, legato sopra un asino e, con una fiscella in testa, costretto ad attraversare il paese tra i sogghigni della feroce plebaglia, che a perdifiato gridatagli: “Manda ora quattrini a Garibaldi!”, volendo con queste parole alludere ai 400 ducati che il liberale sacerdote aveva di suo mandato al Duce liberatore. Gli artigiani in massima parte, come quelli che minori istinti di servitù avevano accolti nell’animo e più vicini erano ai principali del paese, si mantennero fermi nell’atmosfera dell’entusiasmo dei pochi, mostrandosi inclini a secondarli e a prestar magari l’opera loro in caso di azione. Restò così solo la plebe nella morta gora, impantanata nei vecchi pregiudizi, inconscia dei tempi nuovi, avida solo del guadagno certo e furibonda al sangue ed al saccheggio. Questa fu l’unica causa del suo spirito reazionario: non già l’odio che avesse verso i civili del paese, perché è cosa provata e incontestabilmente certa che i popolani ebbero sempre favori e prestazioni dai signori e anche i rapporti scambievoli tra loro erano improntati a giustizia e cordialità. Gli istinti retrogradi la predisponevano, ma ciò che la decise ad insorgere furono le sobillazioni d’un feroce reazionario, Eustachio Monaco. Da Isernia, dove viveva esercitando il mestiere di bastaio, venne costui a Capracotta ai 20 settembre del fatale anno, spinto oltre che da sentimenti retrivi, dal denaro dè borbonici d’Isernia, a capo dè quali erano monsignor Saladino e il De Lellis. La sera di detto giorno, il Monaco, adunati in sua casa Pasquale di Ianni e Cesare Carnevale, uomini animosi e però d’un grande ascendente sul popolo, e corrottili col danaro che seco portava, indusse entrambi a promuovere un atto reazionario, arrestando e massacrando i liberali del paese. La Guardia Nazionale cittadina, composta di 180 uomini al comando del capitano D. Gaetano Conti e del 1° tenente avv. Giulio Conti, mio padre, intuendo qualcosa di grave, era rimasta accasermata nel caffè di Giovanni Antenucci, pronta a reprimere ogni moto, dal 1° Ottobre sino al mattino successivo, quando per ordini superiori dovette recarsi quasi tutta ad Isernia, dove terribile era scoppiata la reazione. Fu allora che il popolo si decise ad insorgere. Vero è che già dà primi di Luglio, i reazionari avevano stabilito, come più tardi si venne a sapere, di provocare i civili, ammazzando una loro giovinetta alla processione del Carmine, che era in quei tempi la principale festa del paese. La sera dè 2 ottobre, Domenico Potena, guardia nazionale, trovandosi nel Corpo di Guardia, aveva detto che gli animi erano in gran fermento, che invano Egli si era adoperato per indurre i suoi fratelli a deporre l’idea della lotta civile. Difatti, il giorno 3, verso le nove antimeridiane, una tura di popolo del quartiere di San Giovanni, mosse tumultuando al grido di Viva Francisco! - verso la piazza, dove c’erano appena una decina di guardie. Il comandante D. Gaetano Conti, visto il grande pericolo che correva il ceto signorile e i disordini che minacciavano il paese, avrebbe voluto ordinare di far fuoco, ma il dottor Berardino Conti, mio avo, per evitare spargimento di sangue, intervenne e riuscì a rattenere quel coman- do. Fu mal, perché una scarica avrebbe riavvilita la folla e indotta a più savio consiglio. Invece, credendo che quella prudenza non fosse stato altro che paura, dopo di aver fatto per due volte il giro del paese, quasi a far mostra della sua prepotenza, diede essa sfogo alle sue torbide passioni. Tra i reazionari principalissimi furono Francesco d’Onofrio e Pasquale di Janni. Il primo, contadino, ventenne, dalle forme erculee, veniva chiamato “Francescone”. Il secondo, anche contadino e benestante, dell’età di anni quaranta, era soprannominato “Calzettone”. Egli arringava la folla, proclamando che bisognava difendere quel “povero guaglione”( Francesco II°). Si fece proclamare governatore della “Terra”( così il popolo chiama ancora il paese) e anno 3 n . 1 come tale emanava pubblici bandi e decreti insieme di severissime pene a chi non obbedisse. Ma bisogna soggiungere che l’animo di costui non era inferocito al pari di quello di Giustino Carnevale, Cesare Carnevale, Pasquale Grifa, Pietro Di Luozzo, Saverio di Nucci, borbonici emeriti e corrivi alle vendette e alle rappresaglie inumane. Il moto fu dapprima capitanato da una donna, cui fu dato il nomignolo di Cannatella che le rimase a suggello di tanta gesta. Procedeva essa infatti con un orciuolo (cannatella) infisso su d’un bastone, palleggiando la volgare insegna con gesti e parole più volgari ancora, ma sommovitrici. Notavansi tra la folla due soldati in divisa borbonica, Pasquale Sozio ed Angelo Grifa, i quali con l’atteggiamento della persona e con

agosto 2009 grida aggiungevano esca al fuoco. Ad ingrossare le file dè reazionari contribuì forse il fatto che cadde molta pioggia la notte e parecchi contadini, che si sarebbero recati ai loro campi, rimasero in paese; ed anche i vetturini anticiparono il ritorno dal bosco dove quell’anno si faceva legna. Tornava uno di costoro, Peppe Sciarrigli, con un asino carico di ceppame e giunto in paese e saputo del fermento e inebriato dalle grida di morte dè reazionari, si unì esclaman- do: “M’aia fa pur’ì quattecòccede gammacuòtte”. Ma, appena arrivato i piazza, da una finestra della casa di Domenico Conti partì un colpo di fucile che lo ammazzò. Tra i liberali rimasero feriti di un colpo di stile al fianco destro mio padre, il quale mai volle dirmi il nome del feritore, sebbene io abbia sempre insistito di saperlo, e il farmacista Don Ettore Conti d’una terribile roncata al collo infertagli dal suo compare Cola Di Rienzo e D. Sebastiano Falconi alla mano dal vinaio Felice d’Andrea e D. Florindo Bizzoca alla testa. Mio padre, recatosi in casa Sozio, fu adagiato e medicato sul letto nu- ziale preparato per le nozze del padrone di casa Agostino con Anna Antenucci. Lo sposo si era nzi mostrato liberale sino al punto da preferire in quel giorno alle d’Imene i pericoli della pugna. Dè reazionari furono feriti Cesare Carnevale, Donato di Rienzo alias Zappone e Giustino Carnevale. Essi andarano afarsi medicare dal Farmacista D. Giuseppe Castiglione, il quale dapprima risolutamente si negò, ma dovette poi cedere alle minacce di morte dè forsennati che li accompagnavano. Nel giorno successivo la folla, volendo vendicare il morto e nel medesimo tempo garantirsi di ogni ulteriore pericolo, si diede a ricercare i civili per disarmarli e arrestarli. Furono così isolatamente presi i canonici D. Policarpo e D. Vincenzo Conti, D. Gregorio Conti, monsignore in partibus, l’arciprete prof. D. Filippo Falconi, D. Giovanni e D. Salvatore Conti, D.Anselmo di Ciò, D.Olindo Chiaffarelli, maestro della musica cittadina, Benedetto Giuliano e Giuseppe de Vita. Quest’ultimo, quantunque nato di popolo, fu tra quelli che mostrarono grande entusiasmo per il nuovo Governo e ne aveva pagato ben caro il fio. Si racconta che, soldato del Borbone, avendo ricevuta una medaglia per non so che atto di valore compiuto, un po’ per brio giovanile e più per odio del Re, la sospendesse al collare d’un cane, saputa la qual cosa di superiori, fu egli sottoposto a Consiglio di guerra e condannato nel capo e graziato poi mercè l’intervento dell’illustre conterraneo D.Stanislao Falconi , Procuratore Generale della Suprema Corte di Giustizia. I sopraddetti liberali ghermiti della plebaglia furono tutti rinchiusi nelle carceri del paese e severamente invigilati. Quelli tra i compagni che riuscirono a salvarsi, si asserragliarono nelle case, risoluti a vender cara la pelle. La turbe, briaca d’odio e di sangue , girava obbligando tutti a cedere le armi. D. Antonino Conti , minacciato, fu il primo a darle. Da D. Francesco Falconi, padre di D. Filippo , pretesero un lauto pranzo; anzi Nicodemo di Luozzo chiese una miscisca ed ottenutala la presentò ai compagni gridando:” Ecche ru scuòrze de Garibaldi!”. Calzettone intanto mandava bandi di morte. La plebaglia però non era d’accordo sulla sorte da dare agli arrestati. Alcuni avrebbero voluto mandarli ad Isernia, anche perché i signori reazionari di quella città avevano promesso una certa somma per ogni liberale che venisse loro consegnato. Altri, ed erano i più, propendevano per la fucilazione immediata, che secondo loro doveva aver luogo alla Piana del Monte Capraro o alle Croci. Non riuscendo ad accordarsi intorno alla pena da infliggere ai malcapitati, si decisero di mandare ad Isernia Domenico Mastrociomme per chiedere la sentenza al Comitato reazionario di colà. Il Corriere però si fermò a Mirando per aver saputo che il De Luca con i suoi mille volontari aveva messo Isernia a sacco e fuoco. Il Mastrociomme fece tosto ritorno e giunto in paese, corse defilato alle carceri, gridando: “Pace! Pace!” senza aggiungere altro a quei che gli chiedevano conto della missione. Così gli arrestati furono liberi. Essi però la sera precedente, all’annunzio dell’invio del Corriere ad Isernia, d’accordo col sagrestano Pietro Bizzoca, avevano stabilito d’evadere per una buca praticata nel muro della prigione che dava in una cappella della chiesa madre. Il progetto naturalmente per i fatti che seguirono non fu effettuato. Per suggellar la pace, tutt’altro che sincera da parte dè popolani, intervenne D.Giandomenico Falconi, Vescovo di Altamura, dottissimo e forte ingegno, il quale con l’autorità del nome e del mi- Storia 25

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li. Anche il sacerdote D. Policarpo<br />

Conti, nei giorni della reazione, fu<br />

arrestato e percosso e, in segno <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>leggio, legato sopra un asino e,<br />

con una fiscella in testa, costretto<br />

ad attraversare il paese tra i sogghigni<br />

della feroce plebaglia, che<br />

a per<strong>di</strong>fiato gridatagli: “Manda ora<br />

quattrini a Garibal<strong>di</strong>!”, volendo<br />

con queste parole alludere ai 400<br />

ducati che il liberale sacerdote<br />

aveva <strong>di</strong> suo mandato al Duce liberatore.<br />

Gli artigiani in massima<br />

parte, <strong>com</strong>e quelli che minori<br />

istinti <strong>di</strong> servitù avevano accolti<br />

nell’animo e più vicini erano ai<br />

principali del paese, si mantennero<br />

fermi nell’atmosfera dell’entusiasmo<br />

dei pochi, mostrandosi<br />

inclini a secondarli e a prestar magari<br />

l’opera loro in caso <strong>di</strong> azione.<br />

Restò così solo la plebe nella morta<br />

gora, impantanata nei vecchi<br />

pregiu<strong>di</strong>zi, inconscia dei tempi<br />

nuovi, avida solo del guadagno<br />

certo e furibonda al sangue ed al<br />

saccheggio. Questa fu l’unica causa<br />

del suo spirito reazionario: non<br />

già l’o<strong>di</strong>o che avesse verso i civili<br />

del paese, perché è cosa provata<br />

e incontestabilmente certa che i<br />

popolani ebbero sempre favori e<br />

prestazioni dai signori e anche i<br />

rapporti scambievoli tra loro erano<br />

improntati a giustizia e cor<strong>di</strong>alità.<br />

Gli istinti retrogra<strong>di</strong> la pre<strong>di</strong>sponevano,<br />

ma ciò che la decise<br />

ad insorgere furono le sobillazioni<br />

d’un feroce reazionario, Eustachio<br />

Monaco. Da Isernia, dove viveva<br />

esercitando il mestiere <strong>di</strong> bastaio,<br />

venne costui a <strong>Capracotta</strong> ai 20<br />

settembre del fatale <strong>anno</strong>, spinto<br />

oltre che da sentimenti retrivi, dal<br />

denaro dè borbonici d’Isernia, a<br />

capo dè quali erano monsignor<br />

Sala<strong>di</strong>no e il De Lellis. La sera <strong>di</strong><br />

detto giorno, il Monaco, adunati<br />

in sua casa Pasquale <strong>di</strong> Ianni e<br />

Cesare Carnevale, uomini animosi<br />

e però d’un grande ascendente<br />

sul popolo, e corrottili col danaro<br />

che seco portava, indusse entrambi<br />

a promuovere un atto reazionario,<br />

arrestando e massacrando i<br />

liberali del paese.<br />

La Guar<strong>di</strong>a Nazionale citta<strong>di</strong>na,<br />

<strong>com</strong>posta <strong>di</strong> 180 uomini al <strong>com</strong>ando<br />

del capitano D. Gaetano Conti<br />

e del 1° tenente avv. Giulio Conti,<br />

mio padre, intuendo qualcosa <strong>di</strong><br />

grave, era rimasta accasermata<br />

nel caffè <strong>di</strong> Giovanni Antenucci,<br />

pronta a reprimere ogni moto, dal<br />

1° Ottobre sino al mattino successivo,<br />

quando per or<strong>di</strong>ni superiori<br />

dovette recarsi quasi tutta ad Isernia,<br />

dove terribile era scoppiata la<br />

reazione. Fu allora che il popolo<br />

si decise ad insorgere. Vero è che<br />

già dà primi <strong>di</strong> Luglio, i reazionari<br />

avevano stabilito, <strong>com</strong>e più tar<strong>di</strong><br />

si venne a sapere, <strong>di</strong> provocare<br />

i civili, ammazzando una loro<br />

giovinetta alla processione del<br />

Carmine, che era in quei tempi la<br />

principale festa del paese. La sera<br />

dè 2 ottobre, Domenico Potena,<br />

guar<strong>di</strong>a nazionale, trovandosi nel<br />

Corpo <strong>di</strong> Guar<strong>di</strong>a, aveva detto<br />

che gli animi erano in gran fermento,<br />

che invano Egli si era adoperato<br />

per indurre i suoi fratelli<br />

a deporre l’idea della lotta civile.<br />

Difatti, il giorno 3, verso le nove<br />

antimeri<strong>di</strong>ane, una tura <strong>di</strong> popolo<br />

del quartiere <strong>di</strong> San Giovanni,<br />

mosse tumultuando al grido <strong>di</strong> <strong>–</strong><br />

Viva Francisco! - verso la piazza,<br />

dove c’erano appena una decina<br />

<strong>di</strong> guar<strong>di</strong>e. Il <strong>com</strong>andante D. Gaetano<br />

Conti, visto il grande pericolo<br />

che correva il ceto signorile<br />

e i <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ni che minacciavano il<br />

paese, avrebbe voluto or<strong>di</strong>nare <strong>di</strong><br />

far fuoco, ma il dottor Berar<strong>di</strong>no<br />

Conti, mio avo, per evitare spargimento<br />

<strong>di</strong> sangue, intervenne<br />

e riuscì a rattenere quel <strong>com</strong>an-<br />

do. Fu mal, perché una scarica<br />

avrebbe riavvilita la folla e indotta<br />

a più savio consiglio. Invece, credendo<br />

che quella prudenza non<br />

fosse stato altro che paura, dopo<br />

<strong>di</strong> aver fatto per due volte il giro<br />

del paese, quasi a far mostra della<br />

sua prepotenza, <strong>di</strong>ede essa sfogo<br />

alle sue torbide passioni. Tra i<br />

reazionari principalissimi furono<br />

Francesco d’Onofrio e Pasquale<br />

<strong>di</strong> Janni. Il primo, conta<strong>di</strong>no,<br />

ventenne, dalle forme erculee,<br />

veniva chiamato “Francescone”.<br />

Il secondo, anche conta<strong>di</strong>no e<br />

benestante, dell’età <strong>di</strong> anni quaranta,<br />

era sopr<strong>anno</strong>minato “Calzettone”.<br />

Egli arringava la folla,<br />

proclamando che bisognava <strong>di</strong>fendere<br />

quel “povero guaglione”(<br />

Francesco II°). Si fece proclamare<br />

governatore della “Terra”( così il<br />

popolo chiama ancora il paese) e<br />

<strong>anno</strong> 3 n . 1<br />

<strong>com</strong>e tale emanava pubblici ban<strong>di</strong><br />

e decreti insieme <strong>di</strong> severissime<br />

pene a chi non obbe<strong>di</strong>sse. Ma<br />

bisogna soggiungere che l’animo<br />

<strong>di</strong> costui non era inferocito al pari<br />

<strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Giustino Carnevale,<br />

Cesare Carnevale, Pasquale Grifa,<br />

Pietro Di Luozzo, Saverio <strong>di</strong> Nucci,<br />

borbonici emeriti e corrivi alle<br />

vendette e alle rappresaglie inumane.<br />

Il moto fu dapprima capitanato<br />

da una donna, cui fu dato<br />

il nomignolo <strong>di</strong> Cannatella che le<br />

rimase a suggello <strong>di</strong> tanta gesta.<br />

Procedeva essa infatti con un orciuolo<br />

(cannatella) infisso su d’un<br />

bastone, palleggiando la volgare<br />

insegna con gesti e parole più<br />

volgari ancora, ma sommovitrici.<br />

Notavansi tra la folla due soldati in<br />

<strong>di</strong>visa borbonica, Pasquale Sozio<br />

ed Angelo Grifa, i quali con l’atteggiamento<br />

della persona e con

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