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Antologia Pagine Ribelli Volume Secondo

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Autori Vari<br />

<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

<strong>Secondo</strong> <strong>Volume</strong><br />

2


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

<strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

Abbiamo raggiunto il secondo appuntamento<br />

importante per <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong>,quello della seconda<br />

edizione del concorso letterario nazionale. Un<br />

risultato ed un traguardo per nulla<br />

scontato,soprattutto perché raggiunto in uno scenario<br />

in cui la deriva culturale, l’assopimento delle<br />

coscienze e delle menti umane è divenuto strategia<br />

dell’agire del potere politico ed economico.<br />

Il lavoro effettuato da quella sera di agosto 2008,<br />

nella quale si è deciso di intraprendere questo<br />

progetto, è stato tanto e ha visto come tappe<br />

fondamentali<br />

• La realizzazione del sito www.pagineribelli.it<br />

• L’organizzazione del primo e del secondo<br />

concorso letterario nazionale Adriano<br />

Zunino<br />

• L’incontro importante e qualificante con la<br />

compagnia teatrale TimoteoTeatro di Elio<br />

Berti ‘I commedianti’.Da questa<br />

collaborazione sono scaturiti lavori di<br />

drammatizzazione,di rievocazione e di<br />

declamazione collettiva delle opere legate alle<br />

due edizioni del nostro concorso che hanno<br />

arricchito di significato e di qualità il nostro<br />

lavoro. Testimonianza di quanto le varie<br />

espressioni artistiche: poesia, racconti,teatro<br />

e musica si compenetrino e permettano di<br />

realizzare e costruire momenti di incontro<br />

3


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

collettivo e di spettacolo che a pieno titolo si<br />

annoverano in ciò che comunemente viene<br />

definito “espressione artistica”.<br />

• La collaborazione importante e significativa<br />

con la prof. Roberta Melandri che ha curato<br />

l’aspetto musicale di tutte le manifestazioni<br />

pubbliche ha dato un ulteriore senso al<br />

nostro lavoro<br />

• La disponibilità,la qualificata competenza<br />

degli esponenti della giuria ha assicurato una<br />

grande continuità e serietà nelle valutazioni<br />

delle opere<br />

• Soprattutto le adesioni e i lavori dei<br />

partecipanti ai nostri concorsi ci hanno<br />

permesso di traguardare risultati importanti<br />

per noi inimmaginabili all’inizio del nostro<br />

percorso. E di ciò ringraziamo ancora tutti gli<br />

autori e i partecipanti ai nostri concorsi.<br />

L’impegno per il futuro è di continuare e rafforzare<br />

questo progetto, aperto a tutti coloro i quali vorranno<br />

partecipare, al di la e al di sopra delle appartenenze<br />

politiche e partitiche dei singoli.<br />

Un ringraziamento sentito a tutti coloro i quali hanno<br />

realizzato tutto questo e vorranno continuare questa<br />

straordinaria esperienza.<br />

La redazione di <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong><br />

4<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Proprietà letteraria degli Autori<br />

A.A.V.V. – <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> © 2010<br />

www.pagineribelli.it<br />

Stampato in proprio nel giugno 2010<br />

I diritti di riproduzione e traduzione sono riservati.<br />

Nessuna parte di questo libro può essere usata,<br />

riprodotta o diffusa con un mezzo qualsiasi senza<br />

autorizzazione scritta dell’autore.<br />

5


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Indice<br />

PAGINE RIBELLI.......................................................<br />

3<br />

PREFAZIONE<br />

........................................................... 9<br />

1. POESIA INEDITA.................................................<br />

13<br />

1.1 LA STORIA SI FA VERITÀ<br />

1.2 OMBRE<br />

1.3 PICCOLE PIAZZE<br />

1.4 MALEDETTA ESTATE<br />

................................... 13<br />

.......................................................... 14<br />

1.5 DOVE BALLANO LE FOGLIE<br />

1.6 ANNI<br />

............................................... 15<br />

........................................ 16<br />

................................ 18<br />

............................................................. 20<br />

1.7 OMBRE AL SUOLO<br />

1.8 IL RITORNO<br />

1.9 LIBERTÀ ?<br />

1.10 GIORNI<br />

............................................ 21<br />

..................................................... 22<br />

...................................................... 24<br />

........................................................ 25<br />

2. RACCONTO INEDITO............................................<br />

26<br />

2.1 LUSSURIA FUNEBRE<br />

.......................................... 26<br />

2.3 ROSE E LYSEBLÅ ............................................ 34<br />

2.4 L’IMPORTANZA DELLE DATE<br />

2.5 HO INCONTRATO UNO YETI<br />

2.6 IL BICCHIERE DELLA STAFFA.<br />

2.7 LENA<br />

.............................. 42<br />

................................ 52<br />

............................. 60<br />

........................................................... 66<br />

2.8 UNA GRATA E UNA STECCA ............................... 78<br />

6


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.9 UN INIZIO TRA SOGNO E REALTÀ ........................ 85<br />

2.10 IL PRIMO AMORE<br />

............................................ 91<br />

3. DECLINANDO AL FEMMINILE.................................<br />

98<br />

3.1 IL PIANTO DELLA TERRA AI PIRATI…<br />

3.2 L’ULTIMA DECISIONE<br />

3.3 PRIMO GIORNO<br />

3.4 E SI RUPPE L’INCANTESIMO<br />

.................. 98<br />

.................................... 100<br />

............................................. 106<br />

............................. 107<br />

3.5 CENTO ANNI ................................................. 113<br />

3.6 LA FEMMINISTA E L’IPPOCAMPO<br />

....................... 114<br />

3.7 STREGA........................................................<br />

123<br />

3.8 CENERE<br />

3.9 VERONICA BRUCIA<br />

3.10 GLORIA<br />

....................................................... 128<br />

......................................... 138<br />

..................................................... 143<br />

4. LA RESISTENZA IERI E OGGI...............................<br />

145<br />

4.2 LA MALORA<br />

4.3 UCCIDETE CESARE<br />

4.4 A VICTOR JARA<br />

................................................. 145<br />

........................................ 149<br />

............................................ 151<br />

4.5 SONO ANDATO A TROVARE IL MIO ANGELO CUSTODE<br />

......................................................................... 153<br />

4.6 IL SALUTO<br />

4.7 IVAN<br />

4.8 4/11/1944<br />

.................................................... 161<br />

........................................................... 169<br />

................................................. 172<br />

7


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.9 BANDA STELLA ............................................. 174<br />

4.10 NO<br />

............................................................ 182<br />

5. FUORI CONCORSO.............................................<br />

184<br />

5.1 IL MIO CANTO DI SOLITUDINE POLITICA<br />

.............. 184<br />

6. LA CLASSIFICA DEL CONCORSO...........................<br />

186<br />

POESIA INEDITA....................................................<br />

186<br />

RACCONTO INEDITO..............................................<br />

186<br />

DECLINANDO AL FEMMINILE...................................<br />

187<br />

LA RESISTENZA IERI E OGGI....................................<br />

187<br />

8


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Prefazione<br />

di Mauro Bramardi<br />

Con l’avvento della scrittura il vedere acquistò un<br />

primato rispetto all’udire. Ciò ha comportato un<br />

passaggio da un tipo di intelligenza chiamata<br />

simultanea a un altro tipo di intelligenza considerata<br />

più evoluta che è quella sequenziale. L’intelligenza<br />

simultanea è caratterizzata dalla capacità di trattare<br />

nello stesso tempo più informazioni, senza essere in<br />

grado di stabilire una successione, una gerarchia e<br />

quindi un ordine.<br />

L’intelligenza sequenziale, invece, quella che usiamo<br />

per leggere, necessita di una successione rigorosa e<br />

rigida che articola e analizza i codici grafici disposti in<br />

linea. Sull’intelligenza sequenziale poggia quasi tutto il<br />

patrimonio di conoscenze dell’uomo occidentale. Ma<br />

questo tipo di intelligenza, che fino a qualche anno fa<br />

sembrava un progresso acquisito e definitivo, oggi<br />

sembra entrare in crisi ad opera di un ritorno<br />

dell’intelligenza simultanea più consona all'immagine<br />

che all’alfabeto.<br />

Naturalmente guardare è più facile che leggere e<br />

quindi i lettori di libri diventeranno sempre più rari e<br />

in questo mondo mediatico, anche un po’ strani.<br />

L’homo sapiens, capace di decodificare segni ed<br />

elaborare concetti astratti è, come dice Raffaele<br />

Simone, sul punto di essere soppiantato dall’homo<br />

videns che non è portatore di un pensiero, ma<br />

fruitore di immagini, con conseguente<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

“impoverimento del capire” dovuto all'incremento<br />

del consumo di televisione. E come è noto, una<br />

moltitudine che “non capisce” è il bene più prezioso<br />

di cui può disporre chi ha interesse a manipolare le<br />

folle.<br />

Archimede disse una volta: “Datemi un punto di<br />

appoggio e solleverò il mondo”. Oggi ci avrebbe<br />

indicato i nostri mezzi di comunicazione elettronici<br />

dicendo: “ Mi appoggerò ai vostri occhi, alle vostre<br />

orecchie, ai vostri nervi e al vostro cervello, e il<br />

mondo si sposterà al ritmo e nella direzione che<br />

sceglierò io”. Ma una volta che abbiamo consegnato i<br />

nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle<br />

manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti<br />

prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie, i nervi<br />

e il cervello, il risultato sarà che non avremo più<br />

diritti.<br />

Se in questa società i lettori diventeranno sempre<br />

meno, i poeti diventeranno sempre più strani, un po'<br />

folli. Come diceva Basaglia la follia è una condizione<br />

umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è<br />

la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile,<br />

dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia.<br />

Il poeta fa quello che fa il bambino giocando: crea un<br />

mondo di fantasia, che prende molto sul serio; che,<br />

cioè, carica di forti importi d’affetto, pur<br />

distinguendolo nettamente dalla realtà. Il poeta non<br />

potrà cambiare il mondo ma potrà essere un granello<br />

10


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

di sabbia che alla fine distruggerà questo meccanismo<br />

perfetto.<br />

Ci piace alla fine di questa prefazione ricordare la<br />

poetessa Alda Merini, che da sempre, proprio per<br />

averlo subito, ha combattuto il manicomio che aveva<br />

come sua ragion d'essere far diventare razionale<br />

l'irrazionale.<br />

“E' inutile accantonare certe figure che io raccolto<br />

durante la mia vita asociale cintata da quelle mura che<br />

tutti hanno creduto sterili e senza canto. Ci sono<br />

anni, in cui la poesia tace, ed è come se la vita si<br />

tirasse indietro e dai polpastrelli scompare l'attitudine<br />

al tatto, alla materia, al brivido. Sono anni incolori in<br />

cui uno si siede a numerare le piastrelle del suo<br />

pavimento che gli sembrano rombi infelici rispetto<br />

alla sua grandezza.<br />

Ti parlo di pancacce di legno e intendo dire che<br />

queste panche hanno deriso ma hanno anche rivelato<br />

i grandi misteri della vita. Queste panche erano alberi,<br />

alberi pieni di suoni e di colori, e bastava un poco di<br />

fantasia per dimorare in quella grande stanchezza che<br />

genera le albe migliori e i figli... sì, i figli non li avresti<br />

dimenticati mentre sorgeva la notte, mentre tante<br />

anime erano inoperose(...).<br />

Alle volte ho riso del mio disfacimento e di quello<br />

degli altri, delle calunnie e delle magie occulte. E poi<br />

come erano ilari certi confini tra il sogno e la realtà. Il<br />

delirio, quel cornicione asciutto su cui ho camminato<br />

11


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

per anni come una sonnambula con le labbra in<br />

avanti, ansiosa di un bacio d'amore.<br />

Oggi devo sempre giustificarmi nelle trattorie, e<br />

quando mi chiedono “è sola?” dico che siamo in tre,<br />

noi due e l'amica ironia, la beffa del poeta contro la<br />

vita.”<br />

A. Merini Queste panche erano alberi aut-aut n.285-<br />

286<br />

M.McLuhan Gli strumenti del comunicare Il<br />

Saggiatore<br />

R.Simone La terza fase. Forme di sapere che stiamo<br />

perdendo Laterza<br />

G. Sartori Homo videns. Televisione e post-pensiero<br />

Laterza<br />

U.Galimerti I miti del nostro tempo Feltrinelli<br />

12<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1. Poesia Inedita<br />

1.1 La storia si fa verità<br />

di Paolo Pietrini<br />

Torna sempre il passato<br />

dalle nebbie diradate,<br />

lo raccoglie il presente<br />

sulle rive senza tempo<br />

e consegna al futuro<br />

memoria e menzogna.<br />

Ammantata la storia,<br />

la presenta chi ha vinto,<br />

agghindata e rifatta<br />

dai giornali e in tivu.<br />

Il passato è già oggi<br />

ma vestito di nuovo,<br />

di terrore e leggende<br />

ritagliate nel falso,<br />

bugie messe in scena<br />

dagli affari al potere.<br />

Poi sospira la Storia<br />

e riscopre il passato<br />

ed eroi senza nome<br />

ogni giorno si battono<br />

per cambiare il presente.<br />

Dove Storia si fa verità.<br />

13<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.2 Ombre<br />

di Igino Mazzieri<br />

Siamo ombre in fuga dalla notte.<br />

Siamo ombre nel deserto<br />

o nera schiuma sul mare.<br />

Siamo ombre<br />

sulle vostre spiagge ingombre.<br />

Siamo nere fetide alghe<br />

stese sul litorale<br />

o sul molo ad asciugare.<br />

Siamo ombre<br />

nelle penombre dei vostri giardini.<br />

Siamo neri mendicanti<br />

sporchi pellegrini, viandanti<br />

tra chiese, ponti e stazioni.<br />

Siamo ombre<br />

davanti alle vostre vetrine<br />

Siamo ombre chine<br />

a scavare diamanti<br />

a raccogliere ortaggi<br />

a pulire i vostri escrementi.<br />

Siamo le ombre<br />

delle vostre false preghiere.<br />

14<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.3 Piccole piazze<br />

di Gennaro De Falco<br />

Lo sguardo si perde<br />

nelle ombre dei palazzi<br />

incrostati di colpevole miseria<br />

Il vento non scuote i lampioni del corso:<br />

sono immobili<br />

come la gente che parla<br />

davanti ai negozi<br />

o nelle piccole piazze.<br />

Un’umidità antica<br />

stropiccia i loro vestiti...<br />

Marzo 2009, quartiere San Giovanni a Teduccio (Na)<br />

indice<br />

15


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.4 Maledetta estate<br />

di Susanna Giannotti<br />

Volubile estate,<br />

impazzita di luce<br />

sfogli ricordi<br />

madidi di sudore<br />

dietro ombrose colline.<br />

Ubriaca di vita,<br />

intrecci e sciogli<br />

promesse<br />

abbracciate ai rami<br />

scossi dal vento.<br />

E lasci cadere<br />

gocce di sale<br />

su strade sterrate,<br />

arse da sole.<br />

Silente estate,<br />

cancelli<br />

orme incerte<br />

di amanti perduti,<br />

in attesa dell'alba.<br />

E scopri ombre<br />

illuse, tradite<br />

da fiori di vetro<br />

sotto un opaco tramonto.<br />

Pigra estate,<br />

ti celi dietro l'afa<br />

e non vedi la notte<br />

16


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

assomigliare<br />

sempre più alla morte.<br />

Rimane il nulla<br />

di un corpo straziato<br />

sull'asfalto lucido,<br />

nel buio di un'estate particolare<br />

... da dimenticare ...<br />

17<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.5 Dove ballano le foglie<br />

di Cesare Oddera<br />

La storia del vecchio lenzuolo vestito da uomo<br />

me l'ha detta una volta la Delia<br />

una sera che il vento ogni tanto spegneva le luci<br />

Dalla finestra qualche volta, la notte,<br />

era la figlia morta da un po'<br />

Desolava<br />

Quando la Delia gridava<br />

lo zio bestemmiava forte la Vergine<br />

e ne lasciava scendere uno secco sul tavolo<br />

così tutto finiva<br />

La Delia, piangendo, tornava a coricarsi<br />

Tu e io eravamo più o meno bambini<br />

La Delia l'ha detta anni dopo,<br />

quando era vecchia e velina<br />

e puzzava di morto<br />

Mi pareva tanto leggera, pensavo,<br />

che se il vento fosse entrato<br />

l'avrebbe fatta sua senza fatica<br />

L'avrebbe portata dove la figlia<br />

si abbracciava da sola,<br />

oltre il lenzuolo,<br />

dove ballano le foglie<br />

Tu e io eravamo più o meno ragazzi<br />

“Ora nel mondo c'è troppi studiati”<br />

ha aggiunto la Delia<br />

“Non si può più credere a cose così”<br />

18


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Lo zio si curava la vita insieme alla Delia,<br />

lasciando sempre il vino a metà<br />

Tu beviti il fondo, amore mio<br />

Il fondo della verità e della bottiglia<br />

Il fondo che mai nessuno ha osato toccare<br />

indice<br />

19


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.6 Anni<br />

di Armando Romano<br />

Lo vedo camminare<br />

appoggiandosi a un bastone,<br />

tutto impacciato e molto lento.<br />

E mi prende un’ansia,<br />

come per un presagio…<br />

Il mio futuro mi passa accanto…<br />

Ostia Lido 04/02/2009<br />

20<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.7 Ombre al suolo<br />

di Enrico Barbieri<br />

Allungate ombre cadono al suolo<br />

con un guizzo felino, ed occupano<br />

i miei spazi mentali nelle ore calde<br />

del meriggio estivo. Orbite vuote<br />

i loro occhi accusano senza motivo;<br />

le mie difese non hanno potenza<br />

sufficiente a contrastarle quando<br />

i cieli stellati sono spazi nei quali<br />

corro e raccolgo le idee, ed annoto<br />

qualcosa a matita sui miei quaderni.<br />

Purtroppo non fisso, a metà<br />

della strada tra le labbra e le mani,<br />

sorridenti visi di donna, ritratti<br />

d'ignobili promesse che nessuno<br />

sa mantenere né vuole. Così le ore<br />

come traghetti infernali m'imbarcano<br />

per mete mai viste, città inesistenti<br />

e giardini fatiscenti; ho sul tavolo<br />

una tazza di thé zuccherato solo<br />

per darmi più tono e carisma,<br />

e mentre mi siedo di nuovo a pensare<br />

alle spalle i miei libri si riversano<br />

a terra spandendo fragranze di mondi<br />

incrociati e non ancora amalgamati.<br />

21<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.8 Il ritorno<br />

di Chris Mao<br />

L'ombra sola non basta,<br />

a sveltire il passo dell'uomo<br />

stanco di pietre e fascine,<br />

portate oltre muri<br />

fieri d'essere argine e confine<br />

di poderi gonfi di semine,<br />

e compagni terreni<br />

di nuvole predone<br />

d'aria immensamente pura.<br />

Lesto,un pensiero precede<br />

la gobba del boscaiolo<br />

sulla strada di casa e appare,<br />

prima avvisaglia del ritorno,<br />

una brace d'azzurro<br />

fra i ceppi torturati dal fuoco.<br />

Sulla diagonale scura del tetto<br />

un'alzata di fumo annuncia<br />

il tepore e l'abbandono,<br />

cresce una bava di vento<br />

al varcar della soglia,<br />

come una spinta al meritato ristoro.<br />

Chi ora preme alle pendici<br />

d'una montagna d'inchiostro<br />

conosce il prezzo della fatica;<br />

ed esalta il fruscio delle gore,<br />

lacera il groviglio dei rovi,<br />

22


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

rende alla zolla il sangue della terra.<br />

Prepara la traccia<br />

di un nuovo risveglio.<br />

23<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.9 Libertà ?<br />

di Marco Laratro<br />

Senz'eco, sorda ogni voce<br />

-flebile, quasi un lamentocome<br />

in croce sotto lo schianto<br />

di missili, spari, valori.<br />

Solo utopia la pace.<br />

Nebbie di sentimento<br />

su fede e sincerità.<br />

Vago nuovo orizzonte<br />

la libertà.<br />

Nido senza più canto<br />

sospeso a rami di cera<br />

resta ormai la famiglia<br />

tra memorie<br />

sempre più opache e rare.<br />

Ma anche il bip di richiami<br />

da un etere gonfio di cori<br />

al totem dei cellulari,<br />

si fa guinzaglio sonoro,<br />

oscuro stretto collare.<br />

Viva la scienza.<br />

Dal cavo d'una conchiglia<br />

neanche il sospiro, del mare.<br />

Libero filo d'amianto,<br />

nell' indifferenza -misteroforse<br />

si leva soltanto<br />

il pensiero.<br />

24


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

1.10 Giorni<br />

di Piero Baroni<br />

Giorni spesi come soldi vinti<br />

troppo vuoti che non bastano i sogni,<br />

giorni di giovinezza che non ricordo,<br />

tesoro seppellito nella mente,<br />

profumo di illusioni perdute,<br />

uccise ogni sera da una realtà aguzza,<br />

giorni vissuti col cuore in gola<br />

a rincorrere la vita per erte pianure,<br />

giorni di noia<br />

buttati cercando risposte,<br />

fissando il mare,<br />

onde veloci parlano di noi,<br />

venire da dove,<br />

per andare chissà dove a morire,<br />

giorni pesanti come anni,<br />

che non fa mai notte<br />

e vorresti fosse l'ultima<br />

ma poi al buio,<br />

rannicchiato,<br />

eterno bambino,<br />

disobbediente sfidi il sonno,<br />

e attendi sveglio<br />

le promesse di domani.<br />

25<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2. Racconto Inedito<br />

2.1 Lussuria funebre<br />

di Mario Trapaletti (Trap)<br />

Un'erezione quasi ad angolo retto. Da tre giorni. Va<br />

be' il rigor mortis, ma cominciava a dare scandalo.<br />

C'avevano provato a dissimularla sotto paramenti e<br />

cuscini, ma il montarozzo aveva solo rimarcato<br />

l'exploit. Meglio lasciare tutto alla luce del sole.<br />

Eravamo accorsi a migliaia, per vedere quel<br />

fenomeno al limite del miracoloso: persino le Suore<br />

Eremite del Santuario di Sant'Olindo, i Frati Astinenti<br />

di Lomellina, Lunigiana e Oltrepopavese, le Monache<br />

Oblate del Natalizio Avvento e i Cappuccini Oranti<br />

per la Pratica Universale delle Laudi Armoniose.<br />

Tutti e tutte sgranavano occhi e rosari, bisbigliando di<br />

un novello miracolo della Resurrezione.<br />

Non si poteva più tollerare: l'immagine del defunto<br />

vescovo usciva umiliata, sbeffeggiata, lui che in vita<br />

era stato così pio e casto.<br />

Le anime, anche le più serafiche, erano turbate: lo si<br />

intuiva dagli sguardi, dai rossori, dai pallori. Ognuno<br />

si lasciava andare a pensieri secondo l'animo suo: il<br />

frate godereccio e mondano sorrideva all'idea della<br />

Sua Eminenza che giungeva davanti a S. Pietro con<br />

quel siluro in posizione di lancio e si pregustava le<br />

battutacce che gli avrebbero riservato Bonolis e De<br />

Laurentis (“che ne direbbe di una tazza di caffè<br />

26


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Lamazza?... lungo, vero?... Poverino, la morte l'ha<br />

colto in fallo... Eccesso di rigidità morale”... e li<br />

pagavano pure!); la suorina di origini contadine<br />

s'indignava all'idea di tutto quel bendidio dato in<br />

pasto ai vermi; la marchesa Adelaide Galaverna<br />

Pimpinelli de' Stremassi sognava dove potrebbe<br />

collocare nel suo attico quel superbo appendisciarpe,<br />

una volta muminificato.. .<br />

La stoffa del semplice abito talare, che il porporato<br />

aveva chiesto di indossare in punto di morte,<br />

presentava ormai una ben delimitata zona lisa, per<br />

l'eccessiva tensione e per l'abrasività degli sguardi.<br />

Che più li si voleva tener lontani, più si accanivano a<br />

levigare quel minuscolo lembo di sipario. La lingua<br />

batte dove il dente duole, pensavano non poche pie<br />

dame di carità, peraltro senza più denti.<br />

Quand'ecco, tra il lusco e il brusco, un'impudica<br />

Crocallis elinguaria, falena dell'ordine delle<br />

Geometridae, andò leziosamente a planare proprio<br />

sulla sommità del rigor mortis. “Non più andrai,<br />

farfallone amoroso” si trovò a canticchiare Carlo<br />

Raggio, maestro di cappella del Duomo. La solita<br />

suorina di campagna - a ciascuno la sua cultura - fu<br />

sorpresa a bisbigliare ‘La vispa Teresa fra l'erbetta /<br />

rincorrea la farfalletta’.<br />

Era... certo, era il Demonio, che, dopo aver fatto la<br />

pentola, veniva a metterci il coperchio.<br />

Che fare?<br />

L'aria era ormai così impregnata di lascivia, che la<br />

tagliavi a fettine da farci crostini con mozzarella e<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

senape. Dai meandri dei ricordi scolastici venivano<br />

recuperati e proiettati sulle pareti microfilm delle<br />

scene più audaci del “Decameron”. Le menti più<br />

raffinate trasudavano sequenze da ‘Les 120 journées<br />

de Sodome ou l'Ecole du libertinage’ del Divin<br />

Marchese. Quelle più sensibili e tormentate<br />

riandavano ai conflitti del Tommaseo in ‘Fede e<br />

bellezza’. Una suorina di Bergamo lasciò allibiti i più,<br />

mandando in onda pagine infuocate dal ‘Berghem de<br />

sutra’, scritto da goliardici seminaristi sulla scorta del<br />

Kamasutra. Ci fu -un'interferenza, certo -la<br />

proiezione di una sequenza da ‘Metti Lo Diavolo Tuo<br />

Ne Lo Mio Inferno’, film cult del ‘72.<br />

Nel frattempo, la Crocallis elinguaria era ancora lì,<br />

statuaria. Ci fu chi s'avvicinò per soffiarla via, ma si<br />

fermò per tempo: troppo simile allo spegnimento di<br />

una candela sulla torta di compleanno.<br />

Le pareti erano imbrattate di lussuria, rosee di quel<br />

virginale pigmento che abbellisce le donne<br />

all'approssimarsi della copula. Già le religiose<br />

presenti pennellavano sguardi formato ‘estasi di S.<br />

Teresa’; già i religiosi si flagellavano le coscienze per<br />

essersi scordati gli esercizi spirituali del Loyola.<br />

Allorché il segretario del defunto vescovo, con voce<br />

arrochita dalla libidine, gracchiò: “L'esorcista! ci<br />

vuole l'esorcista !”. Si corse si chiese si cercò si<br />

chiamò si richiamò. Niente: l'esorcista non si trovava.<br />

“Scarichiamolo -suggerì una suorina dell'ordine delle<br />

Imenottere Scalze - da YouTube”. La battuta in sé<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

non era male, ma si arenò sull'ottusità di quelle menti<br />

retrograde.<br />

Fu allora che si catapultò nella stanza il sacrestano<br />

capo del Duomo: nella destra, il turibolo incensante;<br />

nella sinistra, l'aspersorio dell'acqua santa, berciando:<br />

“Papè Satàn! Papè Satàn ‘ste ceppe! e roteando<br />

intorno alla salma come un go-kart. La falena, scossa<br />

sui nervi, decollò a razzo e planò proprio sulla bocca<br />

dell'invasato sacrestano, quasi a suggerirgli ‘Il silenzio<br />

degli innocenti’.<br />

Un fremito si diffuse tra la folla degli aspiranti satiri e<br />

baccanti,subito spento dal guizzo di un lampo che si<br />

abbatté sul rigor mortis, incenerendolo. Un'altra<br />

saetta vergò a lettere di fuoco sull'abito nero del<br />

vescovo: “Pelvis es, pelvis eris”.<br />

Caddero tutti in ginocchio, qualcuno fracassandosi la<br />

rotula, qualcun altro martoriando i calcagni di chi gli<br />

stava davanti. Una voce malferma e gracchiante<br />

attaccò “L’Ave Maria, gratia plena”, cui presto fece<br />

eco il ‘Sancta Maria mater Dei’ di tutti i presenti,<br />

tranne il sacrestano, sempre intento a limonare con la<br />

Crocallis elinguaria.<br />

“Eros e Thanatos”, pensò il vecchio monsignore,<br />

dotto umanista d'altri tempi. “L'arbitro ha voluto<br />

sanzionare un autentico fallo da rigor mortis” ghignò<br />

acuto l'estimatore di Bartezzaghi (figlio).Di tutta la<br />

vicenda, restò solo una pugnetta 1 di cenere.<br />

1 pugnetto,proto,pugnetto<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.2 Un caffè maledettamente amaro<br />

di Pierangelo Colombo<br />

Irrompendo prepotentemente attraverso la grande<br />

vetrata, i raggi abbacinanti di un sole primaverile si<br />

tingono d'oro inondando di luce paglierina l'intera<br />

tromba delle scale.<br />

Investita dalla luce, la polvere, sospesa nel tempo e<br />

nello spazio, fluttua lieve e cangiante nell'aria.<br />

Testimone silente della storia umana, pur in balia<br />

d'impercettibili correnti d'aria, il pulviscolo s'insinua<br />

in ogni dove, rammentando l'inesorabile fluire del<br />

tempo.<br />

Aggrappandosi alla ringhiera delle scale, Mario<br />

s'appresta a scalare quell'interminabile sequela di<br />

gradini che lo separano dall'uscio di casa.<br />

Scalini che, invecchiando, ha imparato a conoscere<br />

centimetro per centimetro, grazie ai dolori alle<br />

ginocchia e quel leggero senso di vertigine che lo<br />

coglie guardando di sotto.<br />

Nella mano destra la sporta con la spesa: due pani<br />

bianchi, un etto di prosciutto e una bottiglia di<br />

Marino, mentre il fiato si fa sempre più corto a causa<br />

della polvere forse, o più probabilmente dal peso<br />

invisibile, ma non meno greve, di quelle sue<br />

settantasei primavere.<br />

Respira a fatica quell'aria stantia che sa di polvere, di<br />

vecchio, mentre affronta ogni gradino come una<br />

scalata dove l'ossigeno pare diradarsi salendo; i<br />

polmoni aspirano avidamente quell'aria priva degli<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

odori di una volta quando, ad ogni ballatoio, aromi di<br />

cucinato ne salutavano il passaggio.<br />

Profumi di roba povera da mangiare, tuttavia pregni<br />

di calore umano, riti e cordialità.<br />

Sterili cibi precotti hanno rimpiazzato i soffritti, gli<br />

intingoli preparati meticolosamente; così come visi<br />

giovani,dalla sfrontata superbia, hanno sostituito i<br />

volti famigliari di coinquilini fattisi nel tempo<br />

compagni di viaggio attraverso quegli anni poveri del<br />

dopoguerra,dove mancava tutto tranne i sogni e le<br />

speranze.<br />

Strano come il tempo e le vicissitudini possano<br />

modificare ciò che pare immutabile. Quelle quattro<br />

mura ad esempio, che videro i sogni, le gioie e le<br />

speranze nutrite fra i disagi e sacrifici di una coppia di<br />

sposini, parevano allora così ristrette: inadeguate a<br />

contenere un amore tanto grande.<br />

Ora invece, dopo che Annamaria era scomparsa<br />

lasciando un abisso incolmabile dietro di sé, quelle<br />

stesse mura, facendosi di ghiaccio, sembrano<br />

espandersi all'infinito. La camera pare ora così<br />

grande, vuota, silenziosa; così come la cucina, fredda,<br />

senza profumi o il vapore del perenne tegame sopra<br />

un fuoco lento; nemmeno il caffè ha più lo stesso<br />

aroma: non v'é zucchero al mondo in grado<br />

d'addolcirlo.<br />

Lentamente,come una marea che ritirandosi deposita<br />

frammenti di madreperla sulla sabbia, immagini<br />

sbiadite riemergono dai meandri della memoria.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Serate invernali in cui la mancanza dell'energia<br />

elettrica, incitava la coppia ad un'intimità impagabile.<br />

Chiacchierate leggere ad innaffiare partite a briscola al<br />

chiaro di candele; giochi che lentamentesi<br />

tramutavano in maliziosi accenni a svaghi assai più<br />

arditi. Carezze, ammiccamenti e sguardi complici.<br />

Sospiri, avvinghiati nella penombra di un’intimità<br />

tremolante a lucore di quella fiammella sinuosa come<br />

una danzatrice del ventre,mentre lentamente,<br />

dolcemente, consumavano un ardore impagabile.<br />

Impossibile dimenticare quegli occhi profondi e dolci<br />

come il miele; il profumo di cipria, i capelli fluenti e la<br />

risata semplice di Annamaria.<br />

Ad ogni gradino la malinconia accresce, mentre la<br />

speranza d'incontrare qualcuno con cui parlare<br />

s'affievolisce ad ogni passo, ad ogni gradino di quella<br />

scala così grigia e deserta; tetra come quella di un<br />

penitenziario.<br />

Un eremo la sua casa, deserta come i suoi giorni;<br />

nessun vicino con la stessa voglia di sparlare del<br />

tempo, di donne e del governo. Soltanto la televisione<br />

a diffondere voce umana fra quelle mura bianche e<br />

sterili, tinte dall'amara tristezza per quel sogno mai<br />

avverato di un figlio.<br />

Il tedio vivere attraverso giorni identici a se stessi<br />

nella tetra malinconia della solitudine. Unico barlume<br />

il mercoledì, con un breve scambio di battute con<br />

sora Lella, che per dieci euro l’ora ne rassetta la casa;<br />

persona affabile se non fosse per la perenne fretta.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

La stessa impazienza di un bambino assale Mario,<br />

nell'attendere quel mercoledì come fosse un Natale,<br />

gioendo intimamente di quella “visita”, fremendo nel<br />

risentire passi femminili riecheggiare svelti fra le mura<br />

di casa.<br />

Mestamente affronta un ultimo gradino; prima di<br />

entrare in quella cella imbottita di ricordi, voltandosi,<br />

guarda quel vuoto dietro a sé, quello spazio lasciato<br />

dalla compagna. Un vuoto lentamente colmato da<br />

lacrime che credeva ormai esaurite.<br />

Sentendosi inutile, come una candela in pieno sole,<br />

apre l'uscio, mentre l'aroma del caffè mattutino<br />

l'avvolge; quel caffè così maledettamente amaro, che<br />

nessun tipo di zucchero al mondo sa addolcire.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.3 Rose e Lyseblå<br />

di Cristina Mantisi<br />

Il vecchio marinaio giunse nel piccolo paese di<br />

Mefjordvær in una fredda giornata di luglio. Il vento,<br />

teso e pungente, spingeva le onde oltre il molo,<br />

facendole allungare sulla piccola spiaggia bianca, al di<br />

sotto delle piccole case di legno, colorate, per lo più,<br />

di rosso. Solo la vecchia fabbrica del pesce, sulla<br />

palafitta che si spingeva parallela alla punta del porto,<br />

si staccava dalle case per il suo colore bianco. L'odore<br />

dei merluzzi essiccati, appesi tutti in fila ai sostegni di<br />

legno, si mescolava al profumo salmastro dell'aria.<br />

L'uomo, di nome Johan Christian, posteggiò la sua<br />

vecchia roulotte, tirata da una macchina ancora più<br />

datata, nel piccolo slargo proprio all'inizio della<br />

passeggiata sul molo. Si sarebbe fermato lì finché ne<br />

avesse avuto voglia, fino a quando la sua instancabile<br />

irrequietudine di nomade senza pace non lo avesse<br />

spinto a cambiare zona.<br />

A quell'ora le strade erano deserte o quasi. I fari di<br />

un'auto si profilarono dalla curva in fondo alla via<br />

principale. Era una macchina familiare, di un colore<br />

come ormai non se ne vedevano più da anni. Il<br />

marinaio si consolò, guardando la sua. Non era il solo<br />

a girare con un pezzo d’ “antikvitet”!<br />

Mentre preparava la lenza, caricando il rocchetto con<br />

del filo nuovo, riguardò in direzione della macchina<br />

distrattamente, ma con un quel poco di attenzione da<br />

permettergli di notare che l'auto era stata fermata da<br />

due bambine.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

“Saranno parenti venuti in visita”, pensò tra sé.<br />

“Accidenti!”, inveì con gesto di rabbia: il venditore<br />

del negozio di Husöy lo aveva imbrogliato e gli aveva<br />

rifilato un filo più sottile. Non avrebbe tirato su che<br />

sardine! La macchina era sempre ferma.<br />

Si sarebbe potuto dire, anzi, che stava cercando di<br />

spostarsi per proseguire, ostacolata dalle due bambine<br />

che continuavano a saltellarle intorno. “Beati i<br />

bambini che han sempre voglia di giocare!”, pensò.<br />

Il mare era veramente brutto. Un'onda saltò tanto in<br />

alto da superare lo sbarramento dei grossi massi<br />

addossati al muraglione del molo. “Non fa niente”,<br />

pensò deciso, adocchiando un angolo più riparato,<br />

“per ora proverò a pescare due pesci per la cena;<br />

semmai ci tornerò più tardi, se il vento si sarà<br />

calmato”. Generalmente dopo la mezzanotte il tempo<br />

cambiava decisamente, o in meglio o, anche, in<br />

peggio. Anche la punta all'imboccatura della baia<br />

avrebbe potuto essere un posto buono per pescare, a<br />

patto che il fondo non fosse stato pieno di alghe. Una<br />

raffica di vento, più violenta delle altre, passando tra<br />

le due case vicine, soffiò forte come un ululato<br />

improvviso facendolo trasalire. Si diede dello stupido:<br />

a lui il vento non aveva mai fatto paura, neppure<br />

quando usciva in barca spingendosi al largo. Allora sì<br />

che c'era da ridere. C'erano giornate in cui si ballava<br />

tanto forte che, una volta tornati con i piedi per terra,<br />

si continuava a camminare come se si fosse ancora<br />

sulla gobba dell'onda.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Ecco, la canna era armata, la scatoletta degli ami e il<br />

secchio pronti. Avrebbe portato anche il retino.<br />

La macchina, intanto, sopraggiunse a velocità<br />

piuttosto forte superando di molto il limite dei trenta<br />

indicato dal cartello. Sgommando, nello slargo tra le<br />

case e la roulotte, eseguì un'ardita inversione di<br />

marcia con una sola manovra e, accelerando<br />

ulteriormente, ritornò sulla strada da dove era<br />

arrivata, sparendo, in un attimo, dietro la curva.<br />

L'uomo guardò le nuvole correre rapide, scure e<br />

accavallate le une sulle altre.<br />

Correvano tanto veloci che Johan Christian si sentì<br />

sbandare, quasi fosse stato lui stesso un corpo in<br />

corsa nell'aria burrascosa.<br />

Avrebbe indossato anche la cerata e gli stivaloni di<br />

gomma.<br />

Sulla strada, intanto, era apparso un piccolo cane<br />

bianco che se ne andava tranquillamente a passeggio<br />

come se il resto del mondo non fosse esistito,<br />

soffermandosi, ora vicino al muretto di un giardino,<br />

ora sotto un cespuglio o vicino a un palo. Non si<br />

curava del vento che gli arruffava il lungo pelo.<br />

L'uomo lo chiamò, ma il cane non lo degnò di uno<br />

sguardo. La lunga figura allampanata di un individuo<br />

gli passò vicino. Da dove era sbucato? Nessuno dei<br />

due salutò l'altro, ma quello sguardo gli trapassò<br />

l'anima. Un brivido innaturale lo fece sussultare.<br />

Strano, neppure il vento lo aveva mai fatto<br />

rabbrividire in quel modo. Dicevano, al suo paese,<br />

quando era bambino, che quel brivido era il diavolo,<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

il freddo della morte che si avvicinava, travestendosi<br />

da viandante. Lo guardò allontanarsi lentamente.<br />

Come camminava piano! Chissà perché desiderò che<br />

accelerasse il passo e sparisse subito dalla sua vista.<br />

Avrebbe aspettato un attimo, poi sarebbe andato a<br />

pescare. Si sorprese a chiedersi dove fossero finite le<br />

due bambine. Forse la mamma le aveva chiamate per<br />

la cena. Entrò nella sua roulotte per indossare un<br />

altro maglione, l'ultimo che gli aveva fatto la sua<br />

adorata moglie prima di andarsene all'altro mondo.<br />

Quanto gli mancava Charlotte! Se l'avesse ancora<br />

avuta vicino, non sarebbe diventato un orso solitario<br />

sempre alla ricerca di un posto in cui cercare pace.<br />

Mai si sarebbe ridotto a girovagare come uno zingaro,<br />

mai...<br />

Accarezzò la morbida lana immaginandosi di toccare,<br />

con le sue, le mani di Charlotte. Forse, al culmine<br />

disperato dell'illusione, le sentì davvero quelle mani,<br />

filo dopo filo, in un intreccio di vecchi ricordi.<br />

Grosse lacrime gli scivolarono tra le rughe profonde<br />

del viso, seguendone il percorso come un ruscello<br />

percorre il suo alveo tortuoso.<br />

Dei pugni ripetuti e improvvisi alla porta della<br />

roulotte lo fecero trasalire. Quasi immediatamente<br />

altri due pugni ancora più forti e raccapriccianti. Si<br />

asciugò il viso con fare rabbioso e aprì la porta con<br />

violenza quasi a voler cogliere di sorpresa gli autori di<br />

quel gesto così maleducato e irrispettoso. Sentì di<br />

odiarli ancor prima di averli visti: come potevano<br />

permettersi di violare il suo dolce ricordo?<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Si sorprese nello scorgere le due bambine proprio lì,<br />

vicine alla sua roulotte. Le creature, dall'aspetto tanto<br />

innocente, vedendolo, cominciarono a ridere e a<br />

muovere un passo di danza come un girotondo<br />

infantile. L'uomo scrollò il capo, accennando un<br />

sorriso di rimprovero. Una delle due indossava una<br />

mantellina e un berretto a larghe falde in tessuto<br />

cerato color rosa come pure rosa erano gli stivaletti di<br />

gomma. L'altra era tutta vestita di celeste. Entrambe<br />

bionde con grandi occhi azzurri. Erano molto<br />

graziose, pensò l'uomo, sarebbero sembrate due<br />

angeli se qualcosa in quello sguardo non lo avesse<br />

messo quasi a disagio. Ridendo vezzosamente<br />

risposero al suo saluto e corsero via saltellando e<br />

canticchiando un'antica filastrocca.<br />

Quella filastrocca... l'aveva già sentita tanti anni<br />

addietro. Trafficò ancora in roulotte cercando un<br />

vecchio libro, l'unico libro di fiabe conservato. Dove<br />

era andato a finire? Era sicuro di averlo portato con<br />

sé. Rovistò nei contenitori sotto il divano,nei pensili,<br />

gettando fuori tutto ciò che gli venne tra le mani. Più<br />

cose ammassava sui piccoli divani, più sentiva<br />

crescere in lui un'ansia febbrile, da farlo star male.<br />

Doveva trovare quel libro, doveva leggere di nuovo<br />

quelle parole, doveva sapere chi erano le due<br />

bambine. Rammentava una storia che da piccolo gli<br />

faceva sempre tanta paura; ricordava le notti insonni<br />

mentre restava rannicchiato sotto la pesante coperta,<br />

nascosto e fermo, vigile al minimo rumore, cercando<br />

quasi di non respirare. La mamma, però, non aveva<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

mai saputo delle sue angosce, la sua voce era così<br />

tranquilla mentre leggeva la sera, seduta vicino al suo<br />

letto. Johan Christian sapeva che, se fosse venuta al<br />

corrente delle sue paure, la mamma avrebbe smesso<br />

di leggergliele. Si guardò intorno: che pasticcio,<br />

adesso avrebbe dovuto rimettere tutto a posto.<br />

Stupido, si era proprio comportato da stupido, aver<br />

avuto di nuovo paura di una canzoncina come<br />

quando era un bambino! Ma che cosa stavano<br />

cantando quelle due là fuori? C'era, in quelle voci,<br />

qualcosa di strano, avrebbe quasi detto di diabolico.<br />

L'uomo stava diventando irrequieto. Quella<br />

macchina, prima, non era andata via, no, quella<br />

macchina era ... fuggita via!<br />

Le onde si erano rigonfiate con più forza e, adesso, si<br />

accavallavano tutte sorpassando il molo. Ebbe la<br />

tentazione di riagganciare la roulotte alla macchina e<br />

scappare. Si diede nuovamente dello sciocco. Qualche<br />

anno prima non si sarebbe fatto suggestionare così da<br />

una insensata combinazione d'eventi.<br />

Grandi nuvoloni avevano completamente ricoperto le<br />

montagne intorno; si erano abbassati talmente da<br />

sfiorare i tetti delle case.<br />

Adesso ricordava la filastrocca: narrava di due piccole<br />

streghe,Rose e Lyseblå, che vivevano sull'isola di<br />

Senja. Si presentavano sempre come due bambine<br />

dai volti ingenui e sorridenti. Arrivavano saltellando e<br />

giocando. Chiunque si fosse fermato ad ascoltarle,<br />

sarebbe stato catturato dalle loro voci. “Mio Dio!”<br />

esclamò Johan Christian e cadde in ginocchio,<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

facendosi il segno della croce “non voglio morire<br />

adesso. Ti prego, salvami, non voglio morire” lo<br />

aveva gridato con una forza inaudita, mentre i singulti<br />

del pianto gli stavano squassando il petto. Si prese la<br />

testa tra le mani.<br />

Le sentì, erano dietro la porta della roulotte. Stavano<br />

ridendo perfidamente. Bussarono di nuovo con forti<br />

pugni ripetuti. Com'era raccapricciante quel loro<br />

bussare. L'uomo si alzò di scatto e spalancò con forza<br />

la porta quasi a volerla scardinare.<br />

“Allora streghe, cosa volete, dannate! Eccomi, sono<br />

qui. Volete la mia anima, volete il mio corpo? Mai:<br />

Non mi avrete mai . Sparite subito dalla mia vista.<br />

Via! Mi avete sentito?”<br />

La sua voce era un ruggito che prorompeva dalla sua<br />

anima tormentata. Il vento la sovrastava e il mare<br />

cercava d'inghiottirne ogni suono. Le case del paese<br />

sembravano perdersi dietro il pulviscolo d'acqua che<br />

si levava dalle onde. Dov'erano tutte le anime di quel<br />

maledetto paese?<br />

Rose e Lyseblå lo presero per le braccia tirandolo<br />

verso di loro. “Lasciatemi”, gridò con voce sempre<br />

più alterata il pover'uomo. Ma le due bambine erano<br />

dotate di una forza che non poteva paragonarsi a<br />

nulla di umanamente possibile. I loro sguardi si<br />

andavano alterando a vista d'occhio e i volti,<br />

inizialmente infantili, adesso si erano trasformati, la<br />

pelle raggrinzita, i capelli scarmigliati. Le mani che lo<br />

tenevano prigioniero, erano diventati artigli dalle<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

unghie ricurve. Risero sguaiatamente, con le bocche<br />

deformi, alitandogli addosso un fiato venefico.<br />

Johan Christian, al culmine della disperazione, si<br />

liberò con un violento strattone e corse veloce sul<br />

molo, su ciò che ormai del molo era rimasto. Il mare<br />

lo aveva ricoperto quasi del tutto.<br />

Si volse indietro ansimando. Rose e Lyseblå avevano<br />

acceso un fuoco e la sua roulotte vi stava bruciando<br />

dentro.<br />

“Non mi avrete mai” gridò di nuovo, alzando il<br />

braccio in gesto di sfida.<br />

Si girò verso il mare andando incontro all'onda che<br />

stava sopraggiungendo più alta di tutte e vi si lasciò<br />

andare cercandovi l'ultimo respiro di pace.<br />

Un sottile raggio di luce si stava muovendo dietro la<br />

punta del capo. Il tempo stava cambiando. A<br />

mezzanotte ci sarebbe stato il sole.<br />

Due uomini, usciti per strada a scrutare il cielo,<br />

decisero che di lì a poco sarebbero andati a pescare.<br />

Il cane passò di nuovo soffermandosi vicino a<br />

qualche muretto, annusando l'aria. L'uomo<br />

allampanato si fermò un secondo per una rapida<br />

occhiata alla carcassa della roulotte e proseguì<br />

indifferente.<br />

Le due bambine avevano ripreso a correre e a<br />

saltellare, ridendo e canticchiando. I fari di una<br />

macchina si erano profilati nella curva della strada.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.4 L’importanza delle date<br />

di Alessandro Cuppini<br />

Era una piccola mania, una faccenda nata a scuola,<br />

quella scuola nozionistica in cui la storia veniva<br />

insegnata e interrogata a forza di date. Vedeva ancora<br />

il professor Bonomo mentre puntando il dito<br />

chiedeva:<br />

Giuramento della pallacorda!<br />

Le parole non erano pronunciate interrogativamente,<br />

ma con un ruggito della voce, guardando dall’alto in<br />

basso il malcapitato studente con gli occhi sbarrati e<br />

la mascella volitiva di Mussolini a cui il prof si<br />

ispirava.<br />

17 Giugno 1789.<br />

Poi, con un rapido balzo di secoli:<br />

Morte di Lorenzo il Magnifico!<br />

9 Aprile 1492.<br />

E così via.<br />

Lui era uno dei più bravi in storia, le ricordava<br />

facilmente. Da allora al ragionier Guzzafame era<br />

rimasto in testa uno straordinario rispetto per le date<br />

che gli davano con la loro precisione un senso di<br />

sicurezza, una conferma della stabilità dalla sua vita<br />

tranquilla basata su eventi passati, tragici o felici che<br />

fossero. Prendiamo il giorno in cui aveva preso il<br />

diploma da ragioniere: non era forse importante?<br />

Non era da ricordare, forse? Non aveva influenzato<br />

tutta la sua vita? Aveva trovato lavoro in banca, e lì<br />

aveva conosciuto sua moglie: un evento quest’ultimo<br />

non felice per la verità, e tuttavia la data del diploma<br />

42


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

rimaneva una di quelle da commemorare, anche per<br />

le sfortunate conseguenze.<br />

Tendeva ad usare le date nel linguaggio comune in<br />

modo che a molti pareva alquanto snob e un po’<br />

saccente. Era un uso molto frequente nel linguaggio<br />

dei politici, quando volevano tranquillizzare gli<br />

elettori che la loro attività di rappresentanza<br />

permaneva nel solco della tradizione continuando in<br />

quella linea d’azione che emergeva vigorosa da un<br />

avvenimento ricordato simbolicamente con una data.<br />

Guzzafame non voleva tranquillizzare nessuno, ma<br />

gli piaceva quel modo simbolico di accennare al<br />

passato per commentare il presente o programmare il<br />

futuro. Se ad esempio si stava parlando della sconfitta<br />

per 0 a 3 della Nazionale in casa con l’Ungheria era<br />

capace di dire agli amici del bar:<br />

È stato davvero un altro 16 Maggio!, con questo<br />

volendosi riferire ad un’altra clamorosa sconfitta.<br />

E all’amico che gli chiedeva:<br />

Perché? Cos’è mai successo il 16 Maggio?, il ragioniere<br />

rispondeva trionfante:<br />

Torino, 16 Maggio 1948: Italia 0 – Inghilterra 4!<br />

Le date le aveva tutte in testa, non ne dimenticava<br />

una, esercitandosi quasi senza accorgersene ogni<br />

giorno, ripassando mentalmente le storiche e le<br />

sportive, le religiose e le scientifiche. Questa piccola<br />

mania era favorita dal vivere in una città dove<br />

moltissime strade era state intitolate a date più o<br />

meno famose. Un suo compagno di classe, uno dei<br />

più scarsi, tal Ruggeri, aveva fatto una modesta<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

carriera nella burocrazia del Comune, fino a diventare<br />

Capo Ufficio Toponomastica. Anche Ruggeri aveva<br />

subito per anni le interrogazioni di storia del<br />

professor Bonomo, e i suoi influssi in lui si erano fatti<br />

sentire potenti e nefasti fin nell’età adulta: Ruggeri<br />

appena diventato Capo Ufficio aveva rinnovato la<br />

toponomastica della città e cambiato decine di nomi<br />

di vie imponendo date che si riferivano ad<br />

avvenimenti ignoti ai più.<br />

Così alla classica Via Cavour, che si chiamava in<br />

questo modo dal 1861, fu dato il nome di Corso 26<br />

Febbraio, a ricordare un oscuro episodio di lotta<br />

partigiana, sconosciuto a tutti i libri di storia ma che<br />

aveva visto coinvolto un cugino del padre di Ruggeri.<br />

Piazza Vittorio Emanuele II diventò Largo 13 Gennaio,<br />

in memoria della data di fondazione del Circolo dei<br />

Dipendenti Comunali di cui Ruggeri era Presidente.<br />

E così via: una rivoluzione. Anche se poi la gente<br />

comune continuava a dire:<br />

Ci vediamo al caffè di Piazza Cavour, e ben difficilmente<br />

si sarebbe adattata ai nuovi nomi.<br />

Il ragionier Guzzafame invece si adagiava in quel<br />

turbinio di cifre e riferimenti come lo zampone tra i<br />

ceci il primo dell’anno, tanto per rimanere in tema di<br />

date.<br />

Quando c’era da denominare le strade di un nuovo<br />

quartiere era una festa per Ruggeri, ma anche un<br />

gravoso impegno. Prima di tutto si trattava di<br />

attribuire al quartiere un’impronta storica (quartiere<br />

dei musicisti o della resistenza o dei poeti), poi<br />

44


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Ruggeri passava lunghi giorni a scegliere nel mare<br />

immenso quelle date che parevano più significative, e<br />

ancor più giorni nell’accoppiarle, affinché agli incroci<br />

tra due vie non capitasse ad esempio il caso di: Via 4<br />

Aprile e Via 4 Maggio, vera cacofonia dataria ai suoi<br />

orecchi. In questa difficile scelta il ragionier<br />

Guzzafame si compiaceva di dargli suggerimenti;<br />

Ruggeri ascoltava e discuteva per ore con lui<br />

sull’opportunità di inserire una certa data, se<br />

appiopparla o no alla via principale del quartiere o ad<br />

una laterale, sul come evitare spiacevoli incroci con<br />

altre.<br />

Guzzafame era forse l’unico assieme al suo vecchio<br />

compagno di scuola ad usare appieno le nuove<br />

denominazioni e a conoscere l’evento storico che<br />

volevano ricordare. Tra di loro pigliavano<br />

appuntamenti del tipo:<br />

Ci vediamo all’angolo tra Via 9 Aprile e Corso 23 Agosto,<br />

quando più semplicemente i loro concittadini, per<br />

identificare quel luogo notissimo della loro città dove<br />

sostavano gli sfaccendati seduti al caffè, usavano dire<br />

da sempre:<br />

Ci vediamo all’angolo degli imbecilli.<br />

Loro due erano perfettamente a conoscenza del<br />

nome volgare, ma, l’uno per la carica che rivestiva e<br />

l’altro per il suo vezzo maniacale, non l’avrebbero mai<br />

utilizzato.<br />

Un giorno il ragioniere venne a conoscenza della<br />

possibilità di equivoco che esisteva nell’indicare le<br />

date all’uso americano e all’uso nostro. In America si<br />

45


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

indica prima il mese e poi il giorno, per cui il 12<br />

Aprile per esempio, che lui scriveva 12.4, era invece<br />

scritto 4.12. Ovvia la confusione che si ingenerava: lui<br />

leggendo quella data l’avrebbe interpretata come il 4<br />

Dicembre! Guzzafame inorridì. Da allora aveva preso<br />

l’abitudine di usare i numeri romani per indicare il<br />

mese e quelli arabi per il giorno, e il 12 Aprile era<br />

diventato 12.IV mentre per il 4 Dicembre usava la<br />

simbologia 4.XII. Nessuna possibilità di equivoco<br />

ora, aveva concluso con un sorriso soddisfatto una<br />

volta presa quella storica decisione.<br />

Ma, di più, da allora aveva preso il vezzo di lèggere i<br />

numeri romani come fossero non simboli ma lettere:<br />

il 6.VI, cioè il 6 di Giugno, lo leggeva e lo diceva seivì,<br />

con l’accento sull’ultima lettera, mentre il 10<br />

Novembre (10.XI) era diecixì.<br />

Figuriamoci ora l’incomunicabilità assoluta con la<br />

gente comune quando si parlava di date. Un tipico<br />

colloquio con un amico col quale stava stabilendo un<br />

appuntamento poteva svolgersi così:<br />

L’amico: Ti devo parlare, vediamoci da qualche parte...<br />

Il ragioniere: Va bene sotto il monumento di via Tredicixiì?<br />

L’amico (perplesso): Tredici…vuoi dire quello di Via<br />

S.Lucia?<br />

Il ragioniere (compiaciuto): Certo.<br />

L’amico (insofferente): Ma perché non parli come tutti?<br />

Guarda che si fa fatica a capirti, sai…<br />

Il ragioniere (ammonitore): Bisogna restare al passo coi<br />

tempi. Via S.Lucia è il nome vecchio, ormai da tempo<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

sostituito da Via Tredici Dicembre, o più velocemente<br />

Tredicixiì.<br />

L’amico (sottovoce): Che due…<br />

Ma nonostante la saccente pignoleria il ragioniere non<br />

era malvoluto da quelli che lo conoscevano. Tutti<br />

sapevano della sua mania, spesso non lo<br />

comprendevano, ma se non si parlava di date era un<br />

uomo spiritoso e intelligente, cordiale e generoso. E<br />

poi, chissà come, piaceva alle donne.<br />

Era vedovo. La moglie fin dalle prime settimane di<br />

matrimonio l’aveva cominciato ad angariare con la<br />

sua gelosia. L’amore si era presto trasformato in un<br />

astio reciproco tra i coniugi che dopo un po’ si<br />

sopportavano a fatica. Il ragioniere stava già<br />

pensando al divorzio quando alla moglie fu<br />

diagnosticato un cancro fulminante che se la portò<br />

via in meno di sei mesi. Guzzafame non ebbe<br />

dispiacere, no: fu per lui un vero 25 Aprile, come<br />

usava confessare solo a sé stesso, una Liberazione.<br />

Guzzafame senza essere ricco era certamente<br />

benestante: il padre gli aveva lasciato parecchi<br />

appartamenti nella centralissima via 9 Novembre, e<br />

lui ereditando si era dimesso dalla banca e viveva di<br />

rendita. Molte signore dopo la morte della moglie gli<br />

avevano messo gli occhi addosso, ma lui non aveva<br />

voluto risposarsi. Gli era bastata una volta.<br />

Ma siccome aveva tempo libero, ne usava tanto per<br />

far la corte a signore e signorine d’ogni condizione.<br />

Aveva una gentilezza e un garbo che aveva successo.<br />

Come con la moglie di Ruggeri, l’Ersilia, la sua attuale<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

amante che frequentava con riservatezza e cautela nei<br />

giorni feriali quando il marito era al lavoro in<br />

comune. L’Ersilia era una donna semplice e paziente,<br />

qualità che rappresentavano gran parte del suo<br />

fascino; Guzzafame l’aveva conquistata, oltre che con<br />

la consueta cortesia, con la generosità che, aveva<br />

capìto, il Ruggeri non concedeva per nulla.<br />

Quel giorno era il 16 Aprile, anniversario del ritorno<br />

di Lenin a S.Pietroburgo, nel 1917, in piena<br />

rivoluzione russa. Un giorno infausto per le<br />

convinzioni politiche del ragioniere Guzzafame. Ma<br />

la giornata primaverile era così bella e dolce che lui<br />

non ci fece caso. E si avviò verso casa Ruggeri; il<br />

giorno prima era andato a trovare l’amico in ufficio e<br />

aveva capito che il mattino successivo sarebbe andato<br />

in Biblioteca per qualche sua ricerca sui pittori di<br />

origine locale, a cui aveva intenzione di dedicare un<br />

intero nuovo quartiere in costruzione di là dal fiume:<br />

una ventina di strade nuove da battezzare con date<br />

che significativamente ricordassero le maggiori glorie<br />

locali. Un’impresa non facile a cui si stava preparando<br />

da tempo. Guzzafame sapeva che in questi casi<br />

Ruggeri sarebbe stato occupato tutta la mattina,<br />

lasciandogli campo libero con la moglie.<br />

Speriamo che l’Ersilia abbia preso le sue precauzioni: che non<br />

ci càpiti un altro sèix…, pensò con un brivido. Il 6<br />

d’ottobre era la data di nascita di Paola, la figlioletta di<br />

sette anni di Ruggeri.<br />

Entrò con prudenza nel condominio, nessuno<br />

l’aveva visto. Salì a piedi al terzo piano: l’ascensore<br />

48


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

era rumoroso e lui sapeva essere discreto. Bussò nel<br />

modo convenzionale e l’Ersilia gli aprì, già seminuda.<br />

Vieni, disse con aria lasciva.<br />

E per mano lo condusse in camera da letto.<br />

Ruggeri intanto stava col naso dentro il terzo tomo<br />

della ponderosa Enciclopedia della pittura padana.<br />

All’improvviso sentì un caldo al petto e al viso. Si<br />

toccò la fronte: scottava. Aveva la febbre, era<br />

l’influenza. Si alzò in piedi, riconsegnò il tomo e<br />

decise di andare a mettersi a letto senza neanche<br />

passare dall’ufficio. Arrivato sotto casa si disse che<br />

l’Ersilia doveva essere fuori a far la spesa, perciò non<br />

suonò il campanello, salì al terzo piano e aprì la porta<br />

di casa con le sue chiavi.<br />

I due amanti erano nel pieno del convegno amoroso:<br />

non udirono nulla se non al momento in cui Ruggeri<br />

aprì la porta della camera da letto.<br />

Ersilia!, disse il marito che aveva scorto per prima la<br />

moglie.<br />

Guzzafame era di schiena; quando Ruggeri capì chi<br />

era l’uomo esplose un: Tu?! che parve un colpo di<br />

pistola.<br />

A Guzzafame il cuore smise di battere, e sul<br />

momento non seppe davvero cosa dire impegnato<br />

com’era a riprendersi dallo spavento di<br />

quell’apparizione improvvisa. Ruggeri a cui l’influenza<br />

non aveva tolto la presenza di spirito reagì<br />

immediatamente da marito geloso qual era e, urlando:<br />

Vigliacco! Proprio tu, il mio miglior amico!<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

In due passi fu al cassettone dove sotto le camicie<br />

teneva una Beretta carica.<br />

Ferma Evaristo! , urlò la moglie con gli occhi fuori<br />

dalla testa.<br />

E si precipitò fuori dal letto nuda com’era per cercare<br />

di fermare la mano omicida.<br />

Sta’ zitta, troia! disse il Ruggeri mentre caricava l’arma<br />

e contemporaneamente spingeva col gomito la donna<br />

di lato.<br />

Intanto Guzzafame si era riavuto dallo spavento e,<br />

seduto sul bordo, stava mettendo i piedi sullo<br />

scendiletto, quando si rese conto che Ruggeri puntava<br />

la Beretta verso di lui. E il cuore gli si fermò per la<br />

seconda volta nel giro di cinque secondi:<br />

Aspetta un attimo, Evaristo!, ebbe la forza di balbettare.<br />

È giunto per te il tuo 12 Giugno, maiale! , gli urlò in faccia<br />

Evaristo Ruggeri, ed esplose due colpi.<br />

Guzzafame, che era quasi in piedi sentì due pugni<br />

potenti nello stomaco. Ricadde a sedere sul letto e<br />

disse, o credette di dire:<br />

Ma cos’è successo il dodicivì?<br />

Non riusciva a ricordarlo. Una grande amarezza<br />

rabbiosa gli montò dentro nel rendersi conto che<br />

sarebbe crepato senza sapere in quale ricorrenza.<br />

Sentì quella rabbia salirgli in gola; e invece era un<br />

fiotto di sangue che gli riempì la bocca. Cadde<br />

riverso sul cuscino.<br />

Il 12 Giugno O.J.Simpson, il celebre giocatore<br />

americano di football, aveva ucciso l’amante di sua<br />

moglie, la vicenda era su tutti i giornali.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Ma il ragionier Guzzafame non leggeva i giornali, e<br />

morì senza saperlo.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.5 Ho incontrato uno yeti<br />

di Luigi Di Legge<br />

Sono davanti al cancello della tribuna rossa di S Siro. Mi<br />

aggiro nervosamente tra tifosi interisti e rivenditori di<br />

porchetta. Ho un appuntamento con una persona, ho le mani<br />

sudaticce anche se è una fredda giornata di dicembre. Ma la<br />

mia agitazione non ha niente a che fare con la partita.<br />

Gli uomini sono stati creati per comunicare; i nostri<br />

organi sono perfetti strumenti di comunicazione. Ci<br />

guardiamo, ci annusiamo, le nostre mani gesticolano,<br />

toccano. Con la bocca ci chiamiamo, ci baciamo, ci<br />

assaporiamo. Conosciamo altre persone, uomini e<br />

donne si amano, si tradiscono. Passiamo la vita ad<br />

intrattenere rapporti sociali più o meno duraturi. Con<br />

la famiglia trascorriamo tutta la vita, anche con gli<br />

amici passiamo molto tempo, ma un po' di meno. Poi<br />

ci sono i conoscenti, i colleghi, i professori, i<br />

negozianti e via a scalare. Certo ognuno si farà una<br />

sua classifica personale delle proprie relazioni. Ma c'è<br />

una categoria non ancora classificata. Sono quelle<br />

persone incontrate una volta ogni cinque o sei anni,<br />

individui che appaiono nella nostra vita come un<br />

lampo per sparire dopo un brevissimo saluto, talvolta<br />

di loro non si ricorda neppure il nome, eppure un<br />

giorno lontano abbiamo cominciato a salutarle.<br />

Certamente per inquadrare questa singolare categoria<br />

umana è necessario avere una certa età. Ho quasi<br />

sessantanni, quindi ne posso parlare con competenza.<br />

Per semplificare li ho catalogati, con lo stesso metodo<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

con il quale i naturalisti dividono gli animali<br />

( ungulati, canidi, cervidi ) mi sono detto, in una<br />

società che etichetta anche le melanzane perché non<br />

dare un nome a queste meteore umane.<br />

Li ho chiamati Yeti.<br />

Gli yeti sono quegli esseri che qualcuno dice di avere<br />

incontrato tra le montagne dell'Himalaya, ma nessuno<br />

ha mai visto. Una ventina di anni fa se ne parlava,<br />

qualche scienziato azzardava teorie possibiliste<br />

sull'esistenza di una specie umana primitiva, lo<br />

chiamavano anche “abominevole uomo delle nevi”. I<br />

bambini di oggi non ne sanno nulla. E' diventata una<br />

leggenda demodé. Questi nostri simili che incontriamo<br />

dopo lunghissimi intervalli di tempo sono un po'<br />

come degli yeti. Li incrociamo per un istante, e<br />

spariscono nella nebbia. Come se non fossero mai<br />

esistiti.<br />

Non vivono in un determinato habitat naturale,<br />

vengono avvistati nei luoghi più disparati: al bar, in<br />

posta, al mercato, io mi sono imbattuto in uno yeti<br />

nella sala di attesa di un ospedale.<br />

Entrai nella saletta con in mano le impegnative per<br />

prenotare alcune visite di controllo, presi il numerino<br />

57, il display indicava il 45. Mi sedetti nell'unico sedile<br />

libero. Per pura cortesia dissi: Scusate - Lo yeti si<br />

voltò, e dopo avermi messo bene a fuoco, disse: -<br />

Ciao -.<br />

Era uno yeti dell'infanzia, forse uno dei più comuni.<br />

Frequentavamo la stessa scuola, però in classi diverse<br />

e distanti. Avevamo cominciato a salutarci perché<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

quando le nostre mamme venivano a riprenderci<br />

dopo le lezioni facevamo un breve pezzo di strada<br />

insieme. Lui abitava in un altro cortile, eravamo divisi<br />

da una strada statale che per due bambini equivaleva<br />

a un oceano. Lui frequentava una compagnia diversa<br />

dalla mia. Ci univa solo un pezzo di marciapiede. Lo<br />

avevo rivisto anni dopo, sul tram, andavamo alle<br />

scuole superiori. Gli dissi: -Ciao.- Lui rispose: - Ciao.<br />

Ci rivedemmo una quintalata di anni dopo,<br />

all'ipermercato. Lui con moglie e due figli piccoli, io<br />

con Stefania, ci eravamo sposati da poco. Ci<br />

salutammo con un doppio ciao. L'ultima volta lo<br />

avevo visto una decina di anni fa, in coda al casello<br />

dell'autostrada. Ci riconoscemmo a stento,<br />

salutandoci con un cenno della mano. Per circa<br />

sessantanni non ci eravamo scambiati una parola,<br />

solo una decina di ciao.<br />

Per un curioso caso lo yeti aveva il numero 56 quindi<br />

non c'era nessuna speranza che uno dei due venisse<br />

chiamato allo sportello. Lo stesso caso, che se<br />

dovesse intervenire nuovamente non chiameremo più<br />

caso, ci aveva appiccicato uno accanto all'altro. Non<br />

avevamo scampo dovevamo fare conversazione.<br />

Non ricordavo il suo nome, quindi gli risposi con il<br />

solito ciao. La saletta era piena e il silenzio interrotto<br />

soltanto da qualche brusio. All'unico sportello<br />

funzionante stava una ragazza piuttosto gentile che<br />

faticava a tenere testa a chi sa che tipo di rimostranze<br />

faccia un vecchietto scorbutico e logorroico. Mi<br />

costrinsi a dire: - Come va? -senza aggiungere<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

nient'altro. Credo che lo yeti avesse già analizzato la<br />

situazione e si fosse convinto dell'ineluttabilità di un<br />

confronto.<br />

- Come vuoi che vada? La vecchiaia avanza.- Come<br />

inizio poteva anche andare peggio.<br />

E già.- aggiunsi, sperando che il supplizio finisse<br />

rapidamente. Eventualità vana, poiché il vecchietto<br />

era stato sostituito da un tipo grasso accompagnato<br />

da moglie grassa e due marmocchi avviati a<br />

raggiungere un peso degno dei genitori. Lo yeti ruppe<br />

il nuovo imbarazzo che si stava materializzando:<br />

- Abiti ancora in paese? -<br />

- Sì. Nel vecchio cortile, vicino alla nostra scuola.-<br />

- Io invece dopo il matrimonio sono andato in città,<br />

sai ... i bambini ... una casa più grande e...<br />

- a questo punto lo interruppi perché la memoria<br />

cominciava a mandare segnali :<br />

- Ah certo... ti ho visto all'iper con tua moglie. Mi è<br />

sembrata di conoscerla, però...<br />

- Lo yeti per la prima volta usò un tono più<br />

accogliente.<br />

- Be' era Ottavia. La ragazzina con le trecce che<br />

frequentava la mia stessa classe.<br />

- Cazzarola! Ottavia. Mi ricordo. Pensa un po' vi<br />

siete sposati, ma guarda...<br />

- Abbiamo divorziato qualche anno fa. Ci siamo<br />

lasciati male e anche i miei figli non mi sopportano, e<br />

ora ... mi trovo ... vabbè...<br />

- Mi dispiace.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

- Ero sincero. Abbassai lo sguardo come per pudore.<br />

La coppia grassa stazionava ancora allo sportello con<br />

in mano un mazzo di impegnative. Il dialogo non era<br />

scoppiettante, ma per essere due yeti, si poteva<br />

accettare.<br />

- Io mi sono sposato un po' tardi, con una ragazza di<br />

Cremona, Stefania.<br />

- Lo yeti annuì. Ora guardavo solo il display, apparve<br />

il 49. Iniziammo a saccheggiare i nostri ricordi con<br />

qualche successo, poi passammo alle comuni<br />

vicissitudini e infine chi sa come venne fuori un<br />

discorso sul calcio.<br />

- ... sai ... perché io tifo inter...<br />

- Non l'avesi mai detto. Lo yeti s'infervorò. Si mise<br />

con la schiena dritta aggiustandosi la capigliatura<br />

quasi bianca, ma ancora folta.<br />

- Anche io. Siamo messi male. Non basta Vieri, ci<br />

vuole qualcuno a centrocampo.<br />

- Hai ragione. Eppoi Recoba, ti fa una partita e per<br />

altre tre non lo vedi neanche a piangere.<br />

- Ho sempre fatto la tessera in tribuna rossa. Sai ...<br />

costa parecchio, ma per me l'Inter è l'Inter. Ogni<br />

volta che entro allo stadio mi prende un ... guarda<br />

non so spiegare.<br />

- Lo capivo. Anzi per me non era l'Inter. Ma<br />

l'Internazionale. Era l'ultima illusione che mi<br />

concedevo.<br />

- L'ultima volta che ho visto una partita a S. Siro<br />

avevo dieci anni. Inter 5 Milan 3. Me la ricordo<br />

ancora oggi. Dev'essere bello andarci.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

- E' favoloso.- gioì lo yeti.<br />

Discutemmo animatamente, ma anche con ironia.<br />

L'argomento Inter era un formidabile pozzo di<br />

passione, pareva inesauribile. Comparve il numero 52,<br />

e lo yeti decise che era ora di fare un intervallo.<br />

- Esco un attimo a fumare una sigaretta, mi avverti se<br />

arrivano al 56?<br />

- Occhei. - una pausa ci voleva.<br />

Sul sedile rimase una cartelletta di plastica opaca,<br />

contenente i suoi esami. Non la notai subito,<br />

comunque lo sguardo mi cadde distrattamente sulla<br />

prima pagina, non riuscii a leggere bene, però una<br />

parola la vidi distintamente: neoplasia. Intorno a<br />

questo termine, un oscuro linguaggio specialistico<br />

disegnava uno scenario di patologia complessa e<br />

incomprensibile. Per me poteva bastare quel terribile<br />

termine.<br />

-...eppoi quanti scudetti ci hanno fregato.- disse lo<br />

yeti rientrando entusiasta come un gattino.<br />

- Parecchi.- risposi cercando di nascondere una certa<br />

inquietudine.<br />

Aprirono un altro sportello e comparvero i nostri<br />

numeri. Mostrai alla ragazza le impegnative per le<br />

visite e fissai gli appuntamenti. Mi voltai per salutare,<br />

ma lo yeti era scomparso. Certo uno yeti rispettabile<br />

non poteva che sparire.<br />

Ancora leggermente turbato da quello che avevo letto<br />

uscii dalla saletta. Lo yeti stava appoggiato al muro, si<br />

era acceso un'altra sigaretta. Con un po' di imbarazzo<br />

nella voce mi disse:<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

- Scusa ... ho cercato di ricordarmi il tuo nome ... sai è<br />

passato tanto tempo...<br />

- Altrettanto impacciato abbozzai: Patrizio ...<br />

Romanoni Patrizio...<br />

- Il disagio iniziava a pesare come una pietra.- ...e tu?<br />

- Be' come il grande Mazzola ... Sandro.- e giù una<br />

bella risata per ristabilire un clima fresco. - Ti và un<br />

caffè? - Lo bevemmo al bar dell'ospedale, sapeva di<br />

terra. - Senti Patrizio. Come ti dicevo ho<br />

l'abbonamento per le partite dell'Inter, quest'anno ne<br />

ho uno anche per mio figlio. Ma a lui non frega un ...<br />

bé ci ho provato. Se ti fa piacere domenica prossima<br />

potremmo andare a vedere la partita con la<br />

Sampdoria.- Rimasi sorpreso e lui se ne accorse. Mi<br />

disse che non dovevo rispondergli subito e avrei<br />

potuto telefonargli per conferma. Scrisse il suo<br />

numero di cellulare su un pezzo del pacchetto di<br />

sigarette. E ci salutammo cordialmente.<br />

In macchina la parola neoplasia mi rimbalzava<br />

dolorosamente nel cervello, non trovavo pace. Cercai<br />

inutilmente di rassicurarmi. In fondo perché<br />

preoccuparmi per uno yeti, non lo avrei più rivisto,<br />

pensai. A casa telefonai al mio dottore, gli feci un<br />

riassunto approssimativo della diagnosi chiedendogli<br />

se era possibile fare chiarezza.<br />

- Non mi hai detto molto. Però, grosso modo, mi<br />

pare la diagnosi di una patologia grave ... molto grave.<br />

Spiegai tutto alla mia dolce sposa, gli dissi anche della<br />

proposta per S. Siro. Lei mi rispose come rispondono<br />

tutte le dolci spose. - Come si fa a rifiutare un gentile<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

invito.- Riempii un bicchiere d'acqua, mi abbattei<br />

pesantemente sul divano e gli ribadii i miei dubbi e le<br />

paure relative alla malattia. Lei continuò a spezzettare<br />

i pomodorini e aggiunse:<br />

- Lui ti ha solo chiesto di andare a vedere insieme una<br />

partita di pallone, non ti ha chiesto nient'altro.<br />

- Ingollai un buon sorso d'acqua. Gli telefonai due<br />

giorni prima dell'incontro di calcio, rispose dopo due<br />

squilli. Mi sembrò genuinamente soddisfatto della mia<br />

conferma.<br />

La sera prima della partita andai a letto presto con un<br />

libro e una tazza di camomilla. Avevo un<br />

appuntamento con lo yeti.<br />

indice<br />

59


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.6 Il bicchiere della staffa.<br />

La vera storia di Sante Lancerio,bottigliere<br />

del Papa<br />

di Agostino Roncallo<br />

- Dai Sante, ancora uno, beviamo insieme il<br />

bicchiere della staffa!<br />

- E così sia, che sia l’ultimo però!<br />

A parlare così, non erano esattamente due ubriaconi<br />

tiratardi, appena usciti da una delle tante osterie<br />

cittadine, ma due personaggi assai più altolocati. Il<br />

primo era Alessandro, figlio di Pierluigi e<br />

Giovannella, rampolli della nobile famiglia Farnese:<br />

era cresciuto nella corte fiorentina, quella di Lorenzo<br />

il Magnifico, e da ragazzo si era divertito non poco,<br />

praticando la caccia col falcone che era la sua attività<br />

preferita. Un giorno poi (e che giorno!!!) era diventato<br />

Papa, proprio così, Papa, col nome di Paolo III. Il<br />

secondo invece era Sante Lancerio, un uomo di corte,<br />

detto anche il “bottigliere del Papa”. E la staffa…, la<br />

staffa era quella di Melampo, il cavallo di Sante. Il<br />

bicchiere della staffa era dunque l’ultimo della serata,<br />

quello che, tra una gomitata e una risata, Alessandro e<br />

Sante bevevano da veri amici prima di salutarsi e<br />

ripartire al galoppo verso i rispettivi appartamenti.<br />

- Ma che gusto, che gusto ha questo “rosso”? Io lo<br />

definirei “tondo” e “grasso”!<br />

- No, no, io propenderei piuttosto per “fumoso” e<br />

“possente”.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

- E il colore? Io direi “verdeggiante”!<br />

- Macché… mi sembra piuttosto… “incerato”, ecco!<br />

- Santità, siamo forse ubriachi?<br />

Per fortuna di Lancerio all’epoca, era il 20 Aprile<br />

1548, non c’erano controlli della polizia, non<br />

esistevano etilometri e neppure, a dire il vero, c’era il<br />

rischio di incidenti stradali. Il suo destriero avrebbe<br />

potuto essere lanciato a tutta velocità, nel buio della<br />

notte. Vai Sante, vai, e non dimenticare il succo di<br />

quella conversazione. E Sante Lancerio non se ne<br />

dimenticò, al punto che alcuni anni dopo uscì il suo<br />

libro “Della qualità dei vini”, nel quale per la prima<br />

volta si consideravano i possibili abbinamenti tra vini<br />

e cibi.<br />

Del resto la corte papale nel Rinascimento era il<br />

terreno ideale per gli esperimenti gastronomici più<br />

raffinati. Paolo III Farnese è sui libri di storia<br />

ricordato per avere inaugurato il concilio di Trento,<br />

per la scomunica inflitta a Enrico VIII, per non dire<br />

dell’approvazione dell’ordine dei Gesuiti. Ma nessuno<br />

sa che in tutti questi casi, prima di prendere decisioni<br />

tanto importanti, aveva bevuto ben oltre un bicchiere<br />

di Ippocrasso, un vino aromatizzato alle spezie, oggi<br />

ingiustamente dimenticato. Se non fosse per questo<br />

vino, i Gesuiti non esisterebbero, ma il segreto è<br />

conservato gelosamente. Anche il gozzaniano zio,<br />

“gesuitico e tardo”, dell’amica di Nonna Speranza,<br />

sedeva in bei conversari e sorseggiava un’ampolla<br />

contenente Ippocrasso. Lo si sa, da fonte certa.<br />

61


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Sante seguiva sempre Alessandro (era il Papa, sì, ma<br />

lui preferiva chiamarlo così) durante i suoi viaggi,<br />

compreso quello verso Trento, per l’inaugurazione<br />

del concilio. Quando invece erano nella sede papale,<br />

faceva allestire tavole perfettamente imbandite: in<br />

cucina si avvaleva dell’aiuto di Bartolomeo Scappi, un<br />

cuoco provetto di cui era grande amico. Durante i<br />

trasferimenti la preoccupazione maggiore era che i<br />

vini non soffrissero durante il trasporto: dovevate<br />

vederlo all’opera, mentre con estrema cura imballava<br />

le bottiglie in apposite casse, imbottite di paglia e<br />

inchiodate senza risparmio di materiali. Aveva perfino<br />

preteso che le ruote della carrozza papale avessero<br />

speciali ammortizzatori, in grado di assorbire ogni<br />

buca del terreno. Un giorno, dopo l’ennesima<br />

sbandata, scese dalla carrozza, diede una spinta al<br />

cocchiere che finì gambe levate nel fango della strada<br />

e disse: - Adesso guido io! Era anche il terrore dei<br />

palafrenieri, i quali dovevano curare che i cavalli<br />

fossero perfettamente a posto: se così non era,<br />

scattava il licenziamento.<br />

Nel suo trattato, Sante analizza oltre 50 qualità di vini<br />

e quelli che aveva deciso di portare verso Trento quel<br />

giorno, non erano molti di meno. C’è da domandarsi<br />

il perché di un numero tanto elevato. Il motivo era<br />

semplice: secondo la sua teoria c’era un vino adatto<br />

per ogni stato d’animo:<br />

- Santità, come si sente oggi?<br />

- Sono teso e nervoso, Sante, fosse per me non avrei<br />

convocato questo concilio ma le teorie di Erasmo<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

hanno ormai condizionato troppi cardinali, ahimè!<br />

Non bastava l’istituzione del Santo Uffizio a<br />

tranquillizzare questa gente?<br />

- Teso… nervoso… ci sono! Santità cosa ne direbbe<br />

di un bicchierino?<br />

La tesi di Sante era che il rosso di Terracina fosse<br />

adattissimo per distendere i nervi. Altri vini, ad es. il<br />

Mangiaguerra, erano utili tutt’al più per eccitare la<br />

lussuria delle cortigiane. E il Greco della Torre? Per<br />

carità, quello andava bene per la servitù. Era<br />

espertissimo, Sante: il giorno in cui gli dissero di fare<br />

una ricognizione tra le osterie dello stato pontificio,<br />

per valutare quali avessero i vini migliori, prese<br />

l’abitudine di scrivere “Est” sui muri delle osterie più<br />

meritevoli. “Est”, vale a dire “c’è”, “è qui” il vino<br />

migliore. Un giorno il suo entusiasmo si infiammò<br />

per un bianco dal gusto d’oriente: Est Est Est scrisse<br />

sul muro di quel locale. Nacque così l’Est Est Est di<br />

Montefiascone. Degustatelo, ancora oggi, e<br />

ricordatevi di ringraziare Lancerio. Qualcuno sostiene<br />

che a suggerire a Sante di assaggiare quel vino fu<br />

proprio Alessandro, che di Montefiascone era stato<br />

vescovo: ma insomma, queste sono solo<br />

supposizioni.<br />

Quando il concilio finì, Paolo III non vedeva l’ora di<br />

tornare nella sede romana e di fare il suo percorso<br />

quotidiano nelle cantine del palazzo. Appena arrivato,<br />

prese Sante in disparte e gli disse: - Facciamo un giro?<br />

Lui acconsentì subito, del resto erano ormai alcune<br />

settimane che non visionavano le cantine “comuni” e<br />

63


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

soprattutto le “segrete”, nelle quali erano contenuti i<br />

vini di maggior pregio, quali il Chiarello di Cirella e il<br />

Cirò di Chiarotto.<br />

- Che si è detto in concilio, Santità?<br />

- Caro Sante, sapessi che noia! Hanno voluto, per<br />

cominciare, ribadire la superiorità del pontefice ma,<br />

per me, che facciano ciò che vogliono.<br />

- Questa però, potrebbe essere buona cosa!<br />

- Buona? Forse. Hanno anche insistito per ribadire la<br />

validità dell’interpretazione ufficiale delle sacre<br />

scritture…<br />

- E quelle non ufficiali?<br />

- Faranno una brutta fine Sante, quegli scalmanati del<br />

Santo Uffizio sono già all’opera!<br />

Attraversate quaranta cantine, uscirono nel cortile del<br />

Belvedere dove un passaggio nascosto immetteva in<br />

uno stretto corridoio, al termine del quale salirono<br />

cinque gradini. Entrarono così in un cantinone a due<br />

navate, con una volta a crociera lunettata:<br />

- Tempi duri per gli eretici dunque?<br />

- Certo, a loro non rimane che l’abiura o il rogo!<br />

- Esagerati!<br />

- Sante, e se per farci due risate convocassimo per<br />

una cena l’arcivescovo di Parigi?<br />

- Chi, quello che ha scomunicato i “diablotinos”, gli<br />

insetti che danneggiano la vite?<br />

- Proprio lui, genio di un uomo, quale miglior<br />

bersaglio per una scomunica?<br />

- Santità ma qui c’è anche la malvasia di Schierano!!!<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Bevvero, cantarono, dissero che quella Malvasia era<br />

sincera e che, se l’avessero bevuta quelli del<br />

“Tribunale”, non avrebbero più condannato nessuno.<br />

Era il vino dell’onestà, lo ribattezzarono “Malvaxia<br />

Sincerum”.<br />

Soddisfatti, iniziarono a studiare un nuovo moscato<br />

d’Asti, un vino da messa, che verrà chiamato, e oggi è<br />

chiamato, “Alleluia”.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.7 Lena<br />

di Emilia Henragher<br />

Sono vecchio. Un vecchio qualunque con le ossa<br />

scricchiolanti, il cuore che perde colpi e gli occhi<br />

sempre bagnati.<br />

“E' la cataratta.” Mi dicono.<br />

Chissà perché tutti sembrano capaci di fare diagnosi<br />

precise sui malanni altrui e, pur non essendo dottori,<br />

pretendono su questi almeno gratuiti consulti,<br />

un'incondizionata fede. Ma il tempo che passa è un<br />

buon consigliere ed impari a destreggiarti,<br />

sgattaiolando fra un intruso e l'altro, con grandi<br />

sorrisi continuando in sordina a fare lo stesso il<br />

comodo tuo.<br />

Ai vecchi, come ai bambini si concede sempre<br />

qualche stramberia. Concessione determinata forse<br />

solo dalla poca voglia di ascoltarti che ti fa sentire<br />

solo, a volte anzi molto e dolorosamente solo, ma in<br />

questa solitudine almeno sono libero di provare ad<br />

acchiappare il bandolo della matassa dei miei sempre<br />

aggrovigliati pensieri. Sono libero di stare qui,<br />

tranquillo, a riempirmi il cuore di dolci ricordi. I miei<br />

ricordi.<br />

Non mi torna però più alla mente quanti anni sono<br />

trascorsi dalla morte di Lena, mia moglie, ma oggi, ne<br />

sono certo, è il nostro anniversario di matrimonio.<br />

Lena era una bambina quando venne, con la mamma,<br />

ad abitare in paese nella vecchia casa di sua zia. Suo<br />

padre non lo aveva mai conosciuto e neppure sapeva<br />

se era vivo o morto. Sapeva solo che prima della sua<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

nascita era emigrato in Germania per lavorare in una<br />

grande industria perché dove loro vivevano lavoro<br />

non ce n' era. Ma non arrivarono mai, né soldi né sue<br />

notizie, e nessuno, pare, perse del tempo a cercare un<br />

miserabile come tanti.<br />

Era una strana bambina né brutta, né bella con lunghi<br />

capelli biondi e una voce stupenda. Cantava, cantava<br />

sempre e questo fu per noi una sorpresa. Prima del<br />

suo arrivo si sentiva cantare solo in chiesa durante la<br />

messa, per il resto del tempo si lavorava e nessuno<br />

aveva né la voglia, né il tempo di cantare. Ma lei<br />

cantava, e continuò a cantare anche quando faceva il<br />

fieno, mungeva le mucche o rassettava la casa.<br />

Affermavano che era “strana” ma se per un motivo<br />

qualsiasi Lena non cantava tutti si preoccupavano.<br />

“Sposati la Lena”. Diceva mio padre “E' un po'<br />

matta, la canta sempre, ma è forte e sana. Quel che ci<br />

vuole per la nostra fattoria. Non ti darà problemi”.<br />

Non ci fu cerimonia, né festa. Ci sposammo di<br />

mattina presto in chiesa perché poi c'erano le bestie<br />

in stalla che reclamavano la nostra presenza.<br />

La nostra fu una vita dura. Con tre figli da crescere, la<br />

campagna, le bestie ... e i soldi che non c'erano mai.<br />

Ingoiai il mio orgoglio di uomo convinto che solo il<br />

legame con la “terra” potesse compensare tutte le<br />

fatiche accettando il posto in fabbrica nel turno di<br />

notte. Incominciavo il mio turno alle sei di sera,<br />

lavoravo come uno dei mie tori per smontare alle sei<br />

di mattino. Con la bicicletta andavo a casa. Quella<br />

c'era e quella si usava con il sole, la neve, il gelo, la<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

pioggia. Alle stalle mi aspettavano già i miei due figli<br />

maschi... si mungeva... si dava da mangiare e da bere<br />

alle mucche, alle capre, ai maiali... poi finalmente il<br />

riposo. Crollavo in un sonno pesante appena posavo<br />

la testa sul cuscino.<br />

Lena, con la piccola, si occupava del pollaio, dell'orto.<br />

Lavava, stirava, preparava pranzo e cena. In casa<br />

provvedeva a tutto lei tenendo i conti in un piccolo<br />

quaderno nero che cambiava ogni anno<br />

appendendolo con un cordino ad un chiodo sul muro<br />

vicino alla credenza. Tutte le sere, finito di riordinare<br />

la cucina e dopo aver mandato a letto i bambini,<br />

staccava il suo quaderno e scriveva i suoi conti. Io<br />

portavo a casa quei quattro miseri soldi e lei faceva<br />

miracoli. Era una brava donna anche se a volte faceva<br />

- come da bambina - cose che per me non avevano<br />

alcun senso.<br />

Tutti i giorni, ad esempio, dopo pranzo si alzava dalla<br />

sedia, si toglieva il grembiule e usciva dalla casa.<br />

Scendeva al torrente e stava lì ferma a guardare<br />

l'acqua in silenzio, oppure mentre si raccoglieva il<br />

fieno lei si fermava, alzava la testa, muoveva piano il<br />

naso e poi sospirava. Era sempre felice. Lei e la<br />

piccola, facevano tutto parlottando a bassa voce,<br />

ridendo e cantando. Io, invece, ero sempre scontroso,<br />

arrabbiato e stanco.<br />

La vita in fabbrica era dura e i padroni superbi. Le<br />

nostre donne ai telai in piedi per dieci ore, sporche<br />

d'olio dalla testa ai piedi per gli spruzzi che faceva la<br />

navetta andando avanti e indietro battendo - con<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

un'assordante frastuono - a capo e coda sull'ordito,<br />

lavoravano fino all'ultimo mese di gravidanza.<br />

E già potevano ritenersi fortunate di riuscire<br />

nonostante tutto, a tenere fra le braccia il loro<br />

bambino. Non si parlava allora con la facilità d'oggi<br />

delle proprie cose, ma si capiva ugualmente. La vita<br />

era dura per tutti allo stesso modo, le lacrime avevano<br />

lo stesso sale e la stessa sofferenza. Arrivava una<br />

donna piangendo. Nessuno parlava. Non c'era<br />

bisogno di nessuna parola per sapere che aveva anche<br />

lei perso il bambino disturbato dal rumore e dalle<br />

forti vibrazioni dei telai.<br />

“Per mia figlia non voglio tutto questo, per mia figlia<br />

non voglio piedi gonfi e occhi che sanno solo<br />

piangere”. Mi dicevo. E la rabbia saliva... saliva.<br />

Quando Mario perse il braccio stritolato dai denti<br />

affamati della carda scoppiai.<br />

“Basta!” Incominciai ad urlare.<br />

“Basta davvero! Ma per chi ci prendono? Non siamo<br />

animali da lavoro e comunque i miei buoi io li tratto<br />

meglio! Non ne posso più, non ce la faccio più! Mi<br />

rifiuto di lavorare così. Sono un essere umano e come<br />

tale voglio essere trattato!”<br />

Spensi la carda e m'inginocchiai a terra piangendo<br />

come un vitellino.<br />

Poi mi resi conto del silenzio ... del grande ed<br />

improvviso silenzio.<br />

Alzai gli occhi ... tutti mi guardavano immobili vicino<br />

alle loro macchine spente.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

“Cosa succede adesso?” urlava il padrone con il viso<br />

tutto rosso e sudato.<br />

“Voi non potete spegnere le macchine senza il mio<br />

permesso! Per la miseria! Mi state facendo perdere un<br />

mucchio di soldi! Riaccendetele subito disgraziati che<br />

non siete altro?”<br />

Silenzio! Nessuno fiatava.<br />

“Siamo in sciopero.”<br />

Dissi io con un sottile filo di voce.<br />

Fu per questo mio improvviso coraggio che fui<br />

soprannominato “il comunista”, anche se io neppure<br />

sapevo che cosa era un comunista.<br />

Se un comunista era un disperato che, come me, non<br />

ne poteva più di pianti, prepotenze, sfruttamento ...<br />

se si sentiva soffocare appena i pesanti cancelli della<br />

fabbrica si chiudevano sul mondo al primo suono<br />

della sirena ... se ogni mattina, pedalando come un<br />

forsennato per non essere in ritardo, sperava che non<br />

arrivasse nessuna malattia perché non c'erano i soldi<br />

per le medicine sognando di poter riuscire un giorno,<br />

a portare sua moglie a vedere il mare mentre i suoi<br />

figli erano già grandi e sistemati magari anche con un<br />

piccolo titolo di studio..Allora era un comunista.<br />

Lo sciopero durò per quasi un mese. Un mese senza<br />

un soldo in tasca, ma almeno la fattoria garantiva alla<br />

mia famiglia il cibo. Per gli altri operai fu durissima! o<br />

almeno io così pensavo. Scoprii più avanti che Lena,<br />

a mia insaputa, distribuiva uova, farina, latte e<br />

formaggio alle famiglie degli operai in sciopero,<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

rischiando più volte di non aver più nulla da mettere<br />

sulla tavola per lei e per i nostri figli.<br />

Quello sciopero ci garantì il diritto di fare una pausa<br />

per mangiare quel poco di pane che ci portavamo da<br />

casa.<br />

Un mese di sciopero per avere il tempo di mangiare<br />

un pezzo di pane!<br />

Un mese di sciopero che c'insegnò a fare rispettare le<br />

nostre vite e il diritto di viverle ..con dignità anche se<br />

le tasche erano sempre vuote e a mala pena sapevamo<br />

leggere e scrivere.<br />

Un mattino di primavera - chissà come- Lena non si<br />

svegliò.<br />

I nostri ragazzi erano giovani e con la testa piena di<br />

progetti per rendere la fattoria “moderna ed<br />

efficiente” come dicevano spesso. La piccola, chissà<br />

come si era trasformata in una giovane insegnante.<br />

Per me era un miracolo vederla partire di mattina con<br />

la sua macchinetta rumorosa e sgangherata per andare<br />

a scuola.<br />

“Nostra figlia è un'insegnante. Nostra figlia insegna ai<br />

bambini a leggere e a scrivere!” Diceva Lena<br />

sorridendo.<br />

La morte di Lena lasciò un gran vuoto. Ci si abitua ad<br />

ogni cosa con una tale semplicità, che ti accorgi di<br />

averle sempre avute solo quando non le hai più. Non<br />

posso dire, anzi neppure sapere, se quando sposai<br />

Lena ero innamorato...è stata l'unica donna che ho<br />

conosciuto. Le ho voluto bene perché è stata una<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

buona moglie, una buona mamma. Le ho voluto bene<br />

perché era lei, perché era Lena.<br />

Qualche mese dopo la sua morte, la piccola trovò in<br />

soffitta una grande scatola. Avevamo appena finito di<br />

cenare quando lei entrò in cucina con lo scatolone<br />

sotto braccio e gli occhi gonfi e rossi. Non le riusciva<br />

di parlare tanto era emozionata. I ragazzi ed io che<br />

ignoravamo cosa le fosse capitato ci spaventammo<br />

molto.<br />

“E' della mamma.” Farfugliava mostrandoci la grande<br />

scatola.<br />

“Della mamma?” Risposero i ragazzi mentre io<br />

ancora non capivo di cosa parlassero e cosa stesse<br />

comunque succedendo.<br />

“Io lì ho già letti tutti. E' incredibile sapete!”<br />

“Che cosa è incredibile?” Chiesi io che continuavo a<br />

non capire.<br />

“La mamma. Ecco questi sono i suoi quaderni!”<br />

“Quaderni? Quali quaderni?” Mi sembrava di non<br />

sapere più cosa dire. Ma che cosa stava succedendo?<br />

“Ecco, papà.” Disse mia figlia porgendomi la scatola.<br />

Le mani mi tremavano quando aprendo la scatola tirai<br />

fuori il primo piccolo quaderno.<br />

“Ma guarda, i quaderni dei conti! Ma perché mai Lena<br />

li avrà tenuti?”<br />

Quando chiusi l'ultimo quaderno era notte fonda ed<br />

ero rimasto solo. Ero così assorto da ciò che stavo<br />

leggendo che neppure mi accorsi che i ragazzi erano<br />

andati a dormire.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Ero rimasto solo e frastornato in un mondo che non<br />

mi appariva più lo stesso.<br />

Chi era la donna che scrupolosamente, anno dopo<br />

anno, aveva annotato con parole piccole e gentili i<br />

fatti quotidiani della sua vita, della nostra vita?<br />

Chi era?<br />

Passarono molti giorni prima che potessi trovare il<br />

coraggio di riaprire i quaderni di Lena.<br />

Io... io che avevo trovato il coraggio di andare contro<br />

i padroni spegnendo la carda ... io che ho sempre<br />

tenuto duro lavorando sodo senza mai fermarmi ad<br />

ascoltare la stanchezza ... che facevo partorire le mie<br />

mucche ... io che correvo fuori la notte per coprire il<br />

fieno incurante dei fulmini, dei tuoni, dell'acqua<br />

scosciante che m'inzuppava i vestiti ... io ... io ...<br />

avevo paura di rincontrare quella sconosciuta che nei<br />

suoi quaderni diceva d'essere Lena, mia moglie.<br />

Era partita veramente con l'intenzione di tenere i<br />

nostri miseri conti e per alcuni mesi lo fece con<br />

scrupoloso ordine. Poi incominciò - come per caso -<br />

ad annotare una frase.<br />

“Non c'è una nuvola in cielo. Solo un'immensa quantità di<br />

azzurro ... il cielo..!”.<br />

Oppure:<br />

“La mia mucca preferita ha partorito. Un vitello così dolce e<br />

bello non si è mai visto.<br />

Con il trascorrere dei giorni, dei mesi, Lena deve aver pensato<br />

che tutto sommato c'era veramente poco da contare tanto invece<br />

da scrivere così che le piccoli frasi si trasformarono via, via, in<br />

piccole composizioni.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

“La nostra vita, a volte, è incredibilmente dura. La fatica che<br />

faccio mi scoraggia a tal punto ... possibile che sia tutto qui?<br />

Ho deciso che da oggi proverò ha guardarmi attorno.<br />

Forse mi sfugge qualcosa, qualcosa di importante che può<br />

rendere la vita bella e leggera nonostante tutto.”<br />

Così incominciò a prendere nota di movimenti<br />

invisibili ad occhi distratti. Nei suoi quaderni si può<br />

ora seguire il susseguirsi delle stagioni senza bisogno<br />

del comune calendario.<br />

“Gennaio: nevica. La nostra campagna è coperta di bianca e<br />

soffice neve. Silenzio. Tranquillità e silenzio. Aria fresca e<br />

pulita. Le impronte dei passeri ... che tenerezza.”<br />

“Febbraio: il nostro Calicantus è fiorito. Piccoli fiori gialli ...<br />

fiori umili, senza pretese, ma profumati come nessun altro.<br />

Fringuelli, cinciallegre, pettirossi ... la primavera è alle porte.”<br />

Il mese più bello è giugno. Il mese in cui abbiamo concepito -<br />

come scrive Lena- la nostra piccola. Concepito! Che strana<br />

parola. Ho consultato segretamente il vocabolario per sapere<br />

cosa voleva dire.<br />

“Giugno. Questo giugno è il più bello della mia vita. Così<br />

pensavo oggi scendendo al fiume per godermi il solo momento<br />

della giornata tutto per me. Mi piace così! Mi piace stare li,<br />

ferma, ad osservare l'acqua che scorre. L'acqua è la vita, ne<br />

sono convita oggi più che mai. Oggi che tutto mi sembra<br />

assurdamente facile anche se al lato pratico nulla è diverso da<br />

ieri.<br />

L'acqua scorre senza porre resistenza modellandosi ai sassi,alle<br />

radici delle piante, passando sotto il ponte ... scorre<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

continuamente senza mai fermarsi. Deve arrivare al mare. Il<br />

figlio più grande mi ha detto che tutti i fiumi arrivano prima o<br />

poi al mare e che tutto ha origine dal mare.<br />

Ero anche felice oggi. Immensamente felice.<br />

Sono certa, assolutamente certa che la notte scorsa abbiamo<br />

concepito la nostra bambina. Mi basta chiudere gli occhi per<br />

sapere. Chiudere gli occhi e lasciarmi andare tra le braccia<br />

amorevoli della vita. E' così facile! Bisogna semplicemente<br />

accettare che le cose avvengono, con calma e dolcezza lasciarsi<br />

trasportare verso il mare ... lasciarsi trasportare dalla vita<br />

nella vita.<br />

Come vorrei vedere il mare!”<br />

“Profumo d'erba tagliata ... grilli cantori e cavallette<br />

saltellanti. Agosto caldo e ricco.<br />

Oggi mentre rastrellavo il fieno, è arrivato un signore.<br />

Buongiorno. Cercavo il comunista.”<br />

“Scusi,” ho risposo “chi cerca?”<br />

Sono cinque giorni che gli operai sono in sciopero e solo oggi ho<br />

saputo che il “comunista” è mio marito. Mio marito, mi ha poi<br />

raccontato quel signore che lo cercava, mio marito ha<br />

incominciato lo sciopero. Il primo giorno di sciopero era tornato<br />

a casa sconvolto come non lo avevo mai visto.<br />

“La carda ha stritolato il braccio di Mario. Glielo devono<br />

amputare e non potrà più lavorare. Da oggi siamo in<br />

sciopero.” Queste sono le uniche parole che ha detto ed io le ho<br />

posato la mano sulla spalla in silenzio.<br />

E' sempre stato un uomo burbero e di poche parole, un uomo<br />

che crede al valore di una pacca sulla spalla, di una stretta di<br />

mano. Un uomo che non è riuscito a raccontare a me, sua<br />

moglie, delle sue lacrime ... un uomo che piano, piano, l'altra<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

sera mi ha chiesto “Come farà il Mario a provvedere alla sua<br />

famiglia ora che non potrà più lavorare? Lo conosco bene! Non<br />

accetterà la carità di nessuno!”<br />

“Se gli proponessimo di venire a lavorare qui, in fattoria con<br />

noi? In una fattoria si può lavorare anche senza un braccio.”<br />

Lui mi ha guardato ... io l'ho guardato...<br />

La vita va divisa con qualcuno ed io sono stata fortunata.<br />

Divido la mia vita con un uomo che ha sempre vissuto in<br />

campagna, un uomo senza grandi pretese ... un uomo che sa<br />

tendere una mano.<br />

Non è meraviglioso tutto questo? Mi piace che lo chiamino il<br />

“comunista.”<br />

Devo asciugarmi gli occhi spesso mentre leggo<br />

cercando di controllare il tremore della mia mano.<br />

Devo asciugarmi gli occhi ripensando a tutte le volte<br />

che speravo nel domani senza sapere cosa mi donava<br />

costantemente l'oggi.<br />

Lena è venuta e andata come un soffio leggero e la<br />

mia mano è appena riuscita a sfiorarla. Mi è come<br />

scivolata via senza che potessi conoscerla ... senza<br />

poterle dire grazie.<br />

Sono stanco. Avrei bisogno di chiuderli, per un poco,<br />

questi stanchi e vecchi occhi, ma li ho tenuti già<br />

chiusi per molto, molto tempo. Aspetta ... com'è il<br />

mese di ottobre?<br />

“Mi piacerebbe che tu amassi il vento. Quel vento freddo e<br />

bizzarro che dalla montagna porta ossigeno alla pianura<br />

facendo cantare le fronde alte dei pini.<br />

Quel vento che raccoglie le foglie e vertiginosamente le muove a<br />

girandola per la gioia dei gatti che felici le rincorrono. Quel<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

vento che rompe le scatole al falco, fa perdere le tracce della<br />

volpe e rintanare in fretta e furia i piccoli uccelli nelle crepe del<br />

muro della nostra vecchia casa.<br />

Quel vento che passa sotto il maglione e ti toglie il respiro<br />

facendo venire una pazza voglia di spalancare le braccia per<br />

abbandonarti al suo volere di portarti per il mondo come<br />

nuvole ... quel vento che...”<br />

No, non ce la faccio più ... devo riposarmi. Sono<br />

molto stanco ... stanco come un vecchio qualunque<br />

con gli occhi che piangono sempre.<br />

“E' la cataratta!” mi dicono. Può darsi. Io non so<br />

cos'è.<br />

Sarà forse che non sono mai riuscito a portare Lena,<br />

mia moglie, al mare.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.8 Una grata e una stecca<br />

di Dario Ghiringhelli<br />

I giovani degli anni '60 erano un misto di innocenza<br />

infantile, di brame ostinate e tormentose, di appetiti<br />

sessuali incontrollati e quasi da esaurimento nervoso,<br />

un ribollire di sessualità in dosi, per fortuna, ben<br />

controllate dai genitori, i quali faticavano a stare al<br />

passo con quei figli protagonisti della prima<br />

generazione che non doveva lottare per la<br />

sopravvivenza e che, perciò, si rivolgeva ad obiettivi<br />

di adempimento personale o di convivenza senza<br />

preoccupazione con gli altri coetanei.<br />

La sala, per così dire, sotterranea del Cadorna, oltre<br />

che ad offrire a noi giovani l'attrattiva del biliardo,<br />

delle boccette e dei giuochi con le carte, costituiva un<br />

forte richiamo di carattere leggermente morboso a chi<br />

si compiaceva nello spiare, non visto, l'intimità altrui.<br />

Infatti, una porzione d'angolo del soffitto era formata<br />

da una grata che dava sul marciapiede su cui il<br />

passaggio dei pendolari diretti o provenienti dalla<br />

stazione era molto intenso e frequente a tutte le ore<br />

del giorno.<br />

Tale struttura di elemento metallico assicurava la<br />

chiusura di quel punto della sala senza impedire il<br />

passaggio dell'aria e della luce.<br />

Attraverso i pertugi di quell'inferriata risultavano ben<br />

visibili gli arti inferiori dei passanti e delle passanti. E'<br />

noto come, in quegli anni, l'uso dei pantaloni da parte<br />

delle donne non fosse diffuso come al giorno d'oggi.<br />

78


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

essendo la gonna o, per le più giovani, la minigonna,<br />

l'indumento più comunemente utilizzato.<br />

In tal modo quella grata del Cadorna era diventata<br />

una specie di sala cinematografica affollatissima, nelle<br />

ore di punta del pomeriggio, da molti di noi che, col<br />

naso all'insù, potevamo scarrozzare con lo sguardo<br />

fino ad individuare il colore delle mutandine di<br />

quante fanciulle, ignare d'essere poste sotto stretta<br />

osservazione, dovevano transitare da quel tratto di<br />

marciapiede.<br />

Alcuni di noi, dotati più degli altri di formidabile<br />

colpo d'occhio, arrivavano al punto di identificare le<br />

generalità della passante grazie alla conformazione<br />

più o meno allettante dell'arto inferiore compreso tra<br />

il ginocchio e la coscia.<br />

L'approssimarsi della sera e della conseguente<br />

oscurità poneva momentaneamente termine a quella<br />

che poteva considerarsi una delle prime proiezioni a<br />

“luci rosse”.<br />

Oltre quegli spezzoni di film vietati ai minori di sedici<br />

anni, il salone sottostante il Cadorna offriva degli<br />

appassionanti e frequentissimi tornei di biliardo a cui<br />

partecipavano giocatori di tutte le età dotati di grande<br />

abilità con la stecca.<br />

Tra questi primeggiava un certo René di cui tutti noi<br />

conoscevamo solo codesto soprannome.<br />

René, di professione era sarto per uomo, attività che<br />

svolgeva in un bugigattolo posto in un quartiere<br />

popolare in periferia di Saronno. Lì aveva una<br />

piccola camera da letto con annesso cucinino e servizi<br />

79


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

ed un locale adibito a laboratorio dove approntava<br />

pantaloni, camicie e giacche ad una ristretta clientela<br />

da lui selezionata che gli consentiva un modesto<br />

tenore di vita. Sapeva destreggiarsi con la macchina<br />

da cucire con incredibile perizia, tale da superare<br />

molte donne sarte che attendevano a lavori di taglio e<br />

di cucito per la confezione di abiti.<br />

Ma la sua grande passione era il teatro, che asseriva di<br />

aver fatto per diverso tempo qualche anno prima in<br />

una compagnia della famiglia Rampoldi-Rame, la<br />

quale girava nei teatrini della provincia di Varese e<br />

Como, rivestendo il ruolo femminile di Madame<br />

Pompadour.<br />

René, frequentando il Cadorna, era entrato nelle<br />

simpatie di molti di noi per la sua spassosa<br />

disinvoltura nell'assumere atteggiamenti e moine<br />

femminili, grazie alle quali sapeva creare un'atmosfera<br />

di festosa ilarità, senza celare in alcun modo la sua<br />

dichiarata omosessualità che, strano a dirsi, non ci<br />

dava assolutamente fastidio.<br />

A tutto ciò si aggiungeva un certo livello culturale che<br />

gli permetteva di discutere con noi di ogni<br />

argomento, arricchendolo con i suoi moti di spirito<br />

non disgiunti da un'innata vis comica.<br />

Alla clientela più avanti di età del Cadorna non era<br />

tanto ben visto proprio per l'etichetta che si portava<br />

dietro di pederasta incallito, la quale suscitava tanta<br />

disapprovazione da parte di molti che arricciavano il<br />

naso di fronte alle pose così dichiaratamente<br />

provocatorie di René.<br />

80


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Siciliano di nascita, ma da molti anni residente nel<br />

nostro borgo, René, pur non essendo molto alto,<br />

esibiva un fisico piuttosto asciutto che si completava<br />

con un viso espressivo in cui gli occhi. agitati con<br />

moto circolare, la facevano da padroni. Sua<br />

caratteristica inconfondibile era l'uso frequente di un<br />

intercalare pronunciato per rafforzare certe sue<br />

affermazioni:<br />

“Siete tenuti ad ascoltare e non a credermi!”.<br />

E noi che per partito preso, eravamo sempre in una<br />

posizione di controcorrente rispetto a certi modi di<br />

pensare da parte di alcune persone più anziane del<br />

Cadorna, non condividevamo tali forme di<br />

bacchettoneria quasi elevata a sistema di vita.<br />

Cosicché giudicavamo René come una persona del<br />

tutto normale, astenendoci dall'entrare nel merito<br />

delle sue atipiche tendenze, in quanto ritenevamo che<br />

esse facessero esclusivamente parte della sua sfera<br />

privata di vita.<br />

Per di più era uno spettacolo guardarlo giocare a<br />

biliardo, dove manifestava la sua più elegante perizia<br />

e rara maestria al punto che, anche Ottavio e<br />

Massimo,tra i più bravi di noi in quella disciplina,<br />

finivano sempre soccombenti nel corso delle gare e<br />

tornei che, di volta in volta, venivano organizzati.<br />

René maneggiava la stecca con delicatissima eleganza,<br />

mimando e ripetendo sempre la sua consueta formula<br />

che ci faceva sbellicare dalle risa:<br />

“Vedete ragazzi, la stecca va come lisciata, passandovi<br />

sopra ripetutamente le mani, va vezzeggiata<br />

81


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

insistentemente avanti e indietro, avanti e indietro,<br />

ma con quella morbidezza doverosa come se si<br />

dovesse procurarle una specie di piacevole orgasmo e<br />

poi la sua punta avvolta dal gesso celeste deve sentirsi<br />

oggetto di un manifesto contatto labiale”.<br />

Una sera capitò che René si trovasse ad affrontare il<br />

Forloni.<br />

Costui era un rozzo industrialotto del luogo<br />

arricchitosi con la produzione e la vendita di scatole<br />

di latta a produttori di dolciumi, biscotti e caramelle.<br />

Si vociferava che, prima del '45, fosse stato un<br />

esponente di spicco dei fascio saronnese, per farsi poi<br />

notare con il fazzoletto rosso al collo subito dopo il<br />

crollo del regime.<br />

Era notoria l'avversione, l'ostilità incoercibile, e la<br />

ripugnanza che provava per René, perché lo<br />

considerava un diverso ed un sottoprodotto della<br />

specie umana, esternando apertamente in pubblico<br />

tali sue convinzioni.<br />

Con una certa ostentata presunzione più volte aveva<br />

affermato di considerarsi il più bravo giocatore di<br />

biliardo esistente, non solo al Cadorna, ma anche nel<br />

saronnese.<br />

Come sogliono fare i villani rifatti, gettava sul panno<br />

verde una cospicua mazzetta di mille lire, guardandosi<br />

intorno se mai ci fosse qualcuno disposto a mettere<br />

sul tavolo un'analoga somma per disputarsela in una<br />

partita secca ai cinquantuno.<br />

René si fece avanti tra la meraviglia di tutti noi,<br />

ponendo in una buca del biliardo tutto il denaro che<br />

82


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

aveva e che, forse, avrebbe dovuto utilizzare per<br />

pagare il trimestre di pigione di quel suo laboratorio.<br />

Senza darlo a vedere. Massimo, Ottavio, io e tutti gli<br />

altri facevamo un intimo tifo per René.<br />

I due cominciarono a giocare molto<br />

cavallerescamente, mentre, in disparte, con rispettosa<br />

curiosità, stavamo in grande ammirazione di René<br />

che riusciva a far carambolare le biglie, determinando<br />

abbondanti bevute di punti da parte del Forloni.<br />

Se si tien conto che il Forloni, ad inizio partita, aveva<br />

dichiarato che giocatori come René se ne potevano<br />

bere un paio al giorno come uova fresche, è<br />

comprensibile la stizza e la viva irritazione da lui<br />

provata, avendo ignominiosamente perso<br />

cinquantuno a trentotto.<br />

Gettò con violenza la stecca sul biliardo, buttando<br />

quasi addosso a René la mazzetta delle mille lire.<br />

E qui René superò se stesso, raggiungendo il più altro<br />

grado di sublimità, con lo stringere la mano al Forloni<br />

come si usa al momento delle presentazioni:<br />

“Piacere e grazie, signor Forloni, lei è stato sconfitto<br />

da Madame Pompadour!”.<br />

Dopo aver gratificato di parecchi insulti René, con<br />

termini indecorosi per un industrialotto ancorché<br />

arricchito ed accennando a parti del corpo umano<br />

poco nominabili, il Forloni se ne andò fumante di<br />

rabbia.<br />

Mentre saliva la scala, sentimmo che, a voce alta,<br />

diceva a papà Aldo: “Tipi di questo genere non ne<br />

dovete far entrare al Cadorna. Questo è un posto per<br />

83


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

veri signori e non per lavativi e facce di palta come<br />

quello che giocava con me!”.<br />

Nel salone esplose una generale risata liberatoria da<br />

parte di tutti noi e René mise a disposizione la somma<br />

vinta per offrirci toast, panini e birra nel mezzo del<br />

tripudio generale che accompagnava la sua trionfale<br />

uscita dal Cadorna, durante la quale, per non<br />

smentirsi, si accomiatò da noi, pronunciando una<br />

delle sue frasi di rito:<br />

“Buona sega a tutti!”.<br />

Fummo universalmente concordi nel considerare<br />

quella straordinaria serata come una singolare lezione<br />

di vita perché poco bastava a farci sentire tutti<br />

egualmente entusiasti nel pianeta illusorio degli anni<br />

'60.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.9 Un inizio tra sogno e realtà<br />

di Sandra Frangioni<br />

Era uno di quegli strani pomeriggi invernali nei quali<br />

Lucia non sapeva come impiegare il tempo: di cose da<br />

fare ne avrebbe avute, perché, come si dice, cioè<br />

come dice chi non si è mai trovato in situazioni simili,<br />

una donna, in casa, trova sempre qualcosa da fare. La<br />

sua non era vera stanchezza, in fondo, anche se il<br />

fisico non era più al 100%, il suo lavoro non la<br />

affaticava più di tanto, si trattava piuttosto di una<br />

forma di disinteresse verso tutto, o meglio, di una<br />

assenza di passioni.<br />

Anni addietro se le avessero chiesto cosa le piaceva<br />

fare,avrebbe avuto molte risposte anche se al<br />

condizionale e con la conclusione “se avessi tempo” ,<br />

perché allora il suo lavoro era più impegnativo e la<br />

famiglia, con i bambini ancora piccoli da seguire per<br />

la scuola e gli altri impegni, l'assorbiva<br />

completamente; e poi c'erano state le malattie che<br />

avevano lasciato un segno nel fisico e nello spirito.<br />

Adesso che di tempo ce n'era abbastanza, la<br />

domanda: “Cosa ti piace fare?” rischiava di restare<br />

senza risposta.<br />

Le capitava, soprattutto quando era sola, di aggirarsi<br />

per la casa con addosso un senso di precarietà ed, a<br />

volte, di angoscia immotivata, quasi che il suo unico<br />

interesse fosse quello di aspettare che il tempo<br />

passasse e la giornata avesse termine il più<br />

rapidamente possibile, anche se poi era solita<br />

ripetersi, e ne era convinta veramente, che ogni<br />

85


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

singolo attimo della vita ha il suo valore e bisogna<br />

apprezzarlo come un dono, non “riempirlo” di<br />

attività, ma viverlo intensamente e goderlo per intero,<br />

con la consapevolezza che non tornerà mai più,<br />

neanche in una vita lunga cento anni.<br />

Quel giorno però questo ragionamento, o meglio,<br />

questa filosofia di vita, non la aiutava: aveva iniziato<br />

varie attività, senza concluderne alcuna, aveva fatto<br />

qualche telefonata, ma le persone cercate non erano<br />

raggiungibili (chissà se aveva volutamente scelto le<br />

persone sbagliate); di uscire, non ne aveva<br />

assolutamente voglia.<br />

Insomma, proprio non le riusciva di vedere il<br />

bicchiere mezzo pieno, anzi a dire la verità aveva<br />

addirittura la sensazione che non esistesse neanche il<br />

bicchiere.<br />

Ma poi chissà come avrà avuto origine questa<br />

favoletta del bicchiere, potrebbe trattarsi di qualsiasi<br />

altro contenitore; in fondo è anche un esempio<br />

abbastanza stupido per indicare una persona ottimista<br />

o che, per dirla in modo più moderno “pensa<br />

positivo”, perché se il bicchiere rappresenta la vita ed<br />

il suo contenuto la capacità di viverla, con metà si<br />

può raggiungere al massimo la sopravvivenza.<br />

Decise di lasciar perdere i bicchieri e questo era già<br />

un passo avanti rispetto alla sua condizione<br />

precedente, perché aveva, comunque, deciso<br />

qualcosa.<br />

Il passo seguente, però, era più difficile da compiere,<br />

non c'erano altre favolette su cui riflettere, quindi<br />

86


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

decise che era veramente stanca, come se avesse<br />

riempito, vuotato, lavato e di nuovo riempito tutti<br />

bicchieri del mondo di ogni forma e dimensione e, se<br />

era veramente stanca, doveva riposarsi: mise nello<br />

stereo uno dei suoi CD preferiti ( chissà chi avrà<br />

scelto tra De Andrè, Renato Zero, I Nomadi,<br />

Vecchioni)e si distese sul divano con l'intenzione di<br />

dormire.<br />

Dormire era, decisamente, l'attività che le riusciva<br />

meglio: niente la disturbava, né la luce, né i rumori, né<br />

il cambiare letto, per cui era sempre riuscita a<br />

dormire, anche nelle situazioni più disagiate, anche<br />

nei momenti più difficili della sua vita e questo,<br />

sicuramente, l'aveva aiutata.<br />

Quel giorno, però, non riusciva a prender sonno,<br />

chiuse gli occhi e si ritrovò in una sorta di<br />

dormiveglia nel quale le era difficile distinguere tra ciò<br />

che erano i suoi pensieri e ciò che era sogno: le<br />

giravano intorno immagini della sua vita, o meglio,<br />

frammenti di immagini, alcuni legati a momenti<br />

lontani, ormai dimenticati, almeno a livello<br />

consapevole, altri legati a momenti più recenti dei<br />

quali le restava solo una sensazione di gradimento o<br />

di disagio; c'erano le sue persone care scomparse<br />

ormai da molto, troppo tempo, c'era la sua famiglia<br />

attuale in un alternarsi di luci ed ombre,di risate e di<br />

insopportabili silenzi ( e questa era in fondo la realtà e<br />

tante volte si era chiesta se fosse così per tutti o se,<br />

invece, esistano famiglie nelle quali tutto ha un<br />

equilibrio quasi perfetto, ma poi era solita rispondersi<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

che quel tipo di famiglia, forse, esiste solo nella<br />

pubblicità delle merendine, della carne in scatola e<br />

della pasta). Inoltre c'erano tanti bambini, tutti<br />

mescolati: quelli della sua infanzia, quelli dell'infanzia<br />

dei suoi figli, quelli di oggi che spesso definiamo<br />

“difficili”, ma forse solo perché non li conosciamo,<br />

escono dai nostri schemi e ci fanno un po' paura. In<br />

quella specie di sogno le apparivano tutti uguali,<br />

semplicemente, magnificamente, bambini ed<br />

all'improvviso udì la propria voce che iniziava il<br />

racconto di una storia:<br />

“C'era una volta ...................”<br />

E tutti i bambini ascoltavano, alcuni con attenzione,<br />

altri distratti dai propri giochi, altri ancora, forse la<br />

maggior parte, alternando i due comportamenti.<br />

Lo squillo indiscreto ed inopportuno del telefono<br />

risuonò nella stanza, così Lucia si svegliò, se mai si<br />

era addormentata veramente: si alzò, si avvicinò al<br />

telefono e sollevò la cornetta dicendo :<br />

“Pronto!,Pronto?”ma nessuno rispose.<br />

Chissà se il telefono aveva squillato a lungo oppure,<br />

come spesso accade, l'ignoto interlocutore si era<br />

subito stancato di attendere ed aveva riattaccato:<br />

questo era uno dei comportamenti che Lucia mal<br />

tollerava e che la portavano a chiedersi: “Perché le<br />

persone non hanno, quasi mai, la pazienza di<br />

attendere? A cosa servirà poi tutta questa fretta?”<br />

Il brusco ritorno alla realtà la lasciò un attimo<br />

disorientata, poi le ritornò in mente il suo sogno, se<br />

sogno era stato.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Quale storia stava raccontando a quegli immaginari<br />

bambini?<br />

Cercò di ricordare, ma le era rimasto in mente solo<br />

l'inizio: “C'era una volta....”, forse perché esisteva<br />

solo quello.<br />

Improvvisamente avvertì un impellente desiderio di<br />

scrivere: “scrivere”, ecco una passione che aveva<br />

sempre avuto, anche se non l'aveva mai coltivata.<br />

Prese un blocco notes,una matita ed iniziò:<br />

“C'era una volta…….”<br />

Non andò oltre questo inizio, ma aveva la sensazione<br />

che a poco a poco le parole sarebbero venute,<br />

bastava saperle aspettare e Lucia era molto paziente.<br />

Forse non aveva mai coltivato la sua passione per la<br />

scrittura perché si era convinta che, per scrivere,<br />

bisogna avere subito pronte molte parole, ma forse<br />

non è così, forse bisogna solo aver dentro di sé un<br />

po' di speranza, un po' di gioia, un po' di tristezza, un<br />

pizzico di ironia,il tutto condito con molto, molto<br />

amore e saper attendere che questo miscuglio,<br />

lentamente, si trasformi in parole: dolci o amare,<br />

pesanti come pietre o leggere come piume, facili o<br />

difficili, di gioia o di dolore, giuste o sbagliate, mai<br />

inutili se condivise con chi si ama.<br />

Ora sentiva che prima o poi ( non importava se<br />

sarebbe stato più poi che prima), quella favola<br />

sarebbe riuscita a scriverla e che avrebbe trovato<br />

anche dei bambini disposti ad ascoltarla, perché i<br />

bambini sanno percepire l'amore che c'è dietro alle<br />

parole.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Lucia ripose nel cassetto blocco notes e matita ed<br />

iniziò a preparare la cena, senza avvertire più<br />

quello strano senso di angoscia che l'aveva<br />

attanagliata nel primo pomeriggio.<br />

Certamente non aveva risolto tutti i suoi problemi,<br />

anzi forse non ne aveva risolto alcuno, ma era,<br />

comunque, un inizio e, soprattutto, un inizio che le<br />

piaceva.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

2.10 Il primo amore<br />

di Giovanni Fassina<br />

In una splendida, calda mattina di fine luglio, giorno<br />

del mio sedicesimo compleanno, la mamma mi porse<br />

una tazza di caffelatte con un pezzo di pane, avanzo<br />

del giorno prima.<br />

«Vai al negozio di Teresa e comprati un paio di<br />

pantaloni. Ne hai proprio bisogno. Continui a<br />

crescere, non posso continuare ad aggiungere pezze<br />

di stoffa, sembri arlecchino. Di' a Teresa che tuo<br />

padre fra pochissimo riscuote lo stipendio e io<br />

salderò il debito».<br />

Papà aveva trovato da pochi mesi un buon lavoro<br />

come manovale in una ditta di costruzioni nel vicino<br />

capoluogo. Ora che cominciava a esserci un'entrata<br />

fissa mia madre, l'economa della casa, aveva iniziato a<br />

saldare una parte dei debiti contratti col negozio di<br />

alimentari e quello di abbigliamento.<br />

La signora Teresa gestiva nel paese un emporio di<br />

moda dove si poteva trovare di tutto: calzoni,<br />

camicie, cravatte, biancheria per le signore e, ancora,<br />

articoli per bambini e calzature.<br />

Quella dei pantaloni mi sembrò un'occasione più che<br />

ghiotta: Teresa mi piaceva da matti.<br />

Era una donna già sulla quarantina, bellissima e<br />

provocante. Capelli rossi, occhi scuri, labbra carnose<br />

messe in risalto dal vermiglio del rossetto.<br />

Soprattutto, aveva un seno mozzafiato, abbondante e<br />

sodo. D'estate erompeva dalle camicette che<br />

91


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

indossava senza reggiseno, così che si intravedevano i<br />

capezzoli scuri.<br />

Unica figlia di contadini, dopo la scuola dell'obbligo,<br />

aveva iniziato a lavorare nell'uliveto dei genitori:<br />

fredde stagioni passate a raccogliere olive con le mani<br />

nude, screpolate per il gelo, e la schiena curva. Era<br />

cresciuta, per quel doversi sudare il pane sin da<br />

bambina, fiera e indipendente. L'esempio costante<br />

della madre, donna mite e servizievole, che i troppi<br />

inverni di fatica avevano già resa vecchia e che<br />

sarebbe morta presto, le aveva suscitato per contrasto<br />

un animo ribelle e carico di un diffuso rancore.<br />

A vent'anni, nonostante la grama vita, era una<br />

splendida ragazza. I giovanotti del paese ne erano<br />

tutti innamorati; qualcuno più anziano l'aveva chiesta<br />

in sposa. Ma lei respingeva quegli uomini tutti uguali,<br />

schietti ma capaci di amare solo il duro lavoro,<br />

proprio come suo padre.<br />

Passarono due decenni prima che incappasse in quella<br />

che le sembrò l'occasione buona. Fu così che sposò<br />

un ricco proprietario terriero del luogo, vedovo, di<br />

vent'anni più anziano.<br />

Per non cancellare l'immagine che si era duramente<br />

costruita di donna autonoma, aveva insistito per<br />

avviare una piccola attività commerciale tutta sua. Il<br />

marito aveva acconsentito e provveduto a ogni cosa.<br />

Lei non lo amava, ma non lo tradì mai.<br />

Talvolta con alcuni amici si andava al negozio di<br />

Teresa per spiare i suoi movimenti attraverso la<br />

vetrina.<br />

92


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Lei si accorgeva della nostra presenza e ne<br />

immaginava il motivo. Allora, se non c'erano clienti,<br />

iniziava un gioco malizioso per eccitarci. Fingendo di<br />

sistemare qualche capo di vestiario, saliva in cima alla<br />

scala mettendo in mostra le mutandine che<br />

racchiudevano un fondoschiena spettacolare, oppure<br />

si inginocchiava proprio dinanzi alla vetrina con la<br />

scusa di accomodare una scatola, per mettere in<br />

mostra il suo favoloso decolleté.<br />

Accesi come fiammiferi ci rifugiavamo in una vecchia<br />

stalla in disuso poco distante e iniziavamo a<br />

masturbarci, scommettendo su chi finiva prima.<br />

Era solo un gioco.<br />

Certe sere prima di addormentarmi pensavo a lei.<br />

Immaginavo di entrare nel suo negozio mentre era<br />

sola.<br />

In questa visione senza suoni, subito le mie mani<br />

andavano verso il seno. La camicetta si apriva<br />

magicamente e iniziavo a palpare quelle grosse tette.<br />

Poi, la mia bocca si posava sui turgidi capezzoli di<br />

Teresa che cominciavo a succhiare avidamente. Non<br />

riuscivo mai a completare quell'immaginario<br />

amplesso perché la mano correva veloce sul pene e<br />

quasi subito eiaculavo.<br />

M'incamminai verso il negozio con in testa quelle<br />

fantasticherie.<br />

Ero già entrato in quel locale, una stanza al<br />

pianterreno di un caseggiato recente, adattata a<br />

negozio. Lungo tre pareti erano appoggiati gli scaffali<br />

93


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

con la merce, nella quarta era stata ricavata la vetrina.<br />

In mezzo stava un lungo bancone con dei cassetti.<br />

Ci trovai la signora Giovanna, cugina di mia madre,<br />

con la figlia, una bambina di sei o sette anni. La<br />

piccola Giuseppina stava provando delle scarpe ma<br />

era indecisa sul colore. Dopo qualche minuto la<br />

madre, spazientita, scelse per lei.<br />

La bimba uscì, con un paio di sandaletti color rosa<br />

intenso, raggiante.<br />

Finalmente rimasi solo con Teresa. «Buongiorno!»<br />

dissi.<br />

«Buongiorno, giovanotto» rispose senza guardarmi.<br />

Stava rimettendo a posto una scatola. M'illusi che<br />

volesse iniziare a giocare come faceva dietro la<br />

vetrina, solo per me questa volta.<br />

«Sei qui per vedere me o hai bisogno di qualcosa?»<br />

continuò sorridendo.<br />

Arrossii.<br />

«Un paio di pantaloni» balbettai. Una improvvisa e<br />

imprevista timidezza mi aveva afferrato ora che mi<br />

trovavo nella situazione che avevo sempre sognato.<br />

«Corti o lunghi?» domandò guardandomi negli occhi.<br />

La domanda mi sorprese. Non avevo pensato a<br />

questa distinzione e mia madre non mi aveva dato<br />

nessuna istruzione in proposito.<br />

«Lunghi» decisi, pensando che mi rendevano più<br />

uomo.<br />

«Lunghi, bene. Hai già qualche idea? Di tela, di lino,<br />

classici, sportivi? ».<br />

«Mah... non so ... » feci io, pensando ad altro.<br />

94


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

«Siamo d'estate, ci vuole un bel tessuto fresco e<br />

leggero. Guarda questi. »<br />

Da un appendiabiti estrasse un paio di calzoni celesti.<br />

«Che te ne pare? Come taglia ti dovrebbe andare<br />

bene» aggiunse esaminandomi da cima a fondo.<br />

In quel momento entrò un'amica.<br />

«Oh, Lucia!» «Ciao cara, è arrivata la misura di quelle<br />

scarpe?»<br />

«Non ancora. Siamo quasi ad agosto e con le vacanze<br />

tutti se ne varino in ferie ... »<br />

«A proposito, tu dove vai quest'anno?»<br />

«Torno a Venezia, mi è piaciuta così tanto!»<br />

«Eh sì, lì anche la cacca dei piccioni è speciale»<br />

scherzò la donna.<br />

Io cominciavo a innervosirmi.<br />

«E tu dove vai?» proseguì Teresa.<br />

«Ah, non chiedermelo! Lo sai, a settembre si sposa<br />

mia figlia: risparmiare, risparmiare... è la musica che<br />

suona ogni giorno mio marito ... »<br />

L'amica a questo punto mi guardò, come seccata della<br />

mia presenza.<br />

«Beh,ripasso a settembre allora, ciao» concluse, e<br />

finalmente uscì.<br />

«Dunque mio bel giovanotto, hai deciso? »<br />

«Sì, mi piacciono!»<br />

«Allora provali.»<br />

«Li devo misurare?»<br />

«Certo! Vuoi prenderli senza provarli? Vai dietro<br />

quella tenda e quando li hai indossati chiamami.»<br />

95


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Mi diede i pantaloni e mi indicò il camerino, un<br />

minuscolo sgabuzzino ricavato in una rientranza della<br />

parete.<br />

Spogliarmi, anche se dietro una tenda, mi diede una<br />

sensazione di proibito. Cominciavo a fantasticare.<br />

Tolsi quello straccio di pantaloni rappezzati e mi<br />

infilai quelli nuovi. Erano lunghi.<br />

«Sei pronto?» chiamò Teresa.<br />

«Sì.»<br />

Uscii dallo stanzino.<br />

«Vediamo un po'. Un tantino lunghetti. Avvicinati.»<br />

Non capivo cosa volesse.<br />

Prese un ago e del filo che inumidì mettendolo in<br />

bocca. Lo infilò nella cruna dell'ago. La guardavo<br />

affascinato. Poi si inginocchiò davanti a me.<br />

«Prendo l'orlo» spiegò guardandomi da sotto in su e<br />

sorridendo maliziosamente.<br />

Mi irrigidii. Sbirciai quello che faceva.<br />

In quella posizione la gonna già corta si ritirò sopra le<br />

cosce sino al punto che potevo intravedere le<br />

mutandine nere. Poi lo sguardo cadde sul seno. La<br />

camicetta - non me n'ero accorto prima! - era aperta<br />

quasi del tutto e mostrava due seni grossi e sodi come<br />

meloni. Mi mancava il respiro. Sentii il pene indurirsi.<br />

Ero terribilmente imbarazzato.<br />

Lei si accorse di tutto ma continuò, indifferente, a<br />

trafficare con il fondo dei pantaloni.<br />

«Bene, l'orlo è sistemato. Controlliamo la cintola.»<br />

Alzò le mari e con una sfiorò, senza volerlo o forse di<br />

proposito, il pene.<br />

96


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Mi prese un calore alla testa che ben conoscevo; la<br />

voglia di un qualunque contatto fisico con quella<br />

donna si fece prepotente. Tentai di resistere, ma lo<br />

sperma a fiotti caldi uscì inesorabile.<br />

«La cintura va bene. Puoi toglierli» disse,<br />

guardandomi soddisfatta.<br />

Vergognandomi come un ladro mi precipitai nel<br />

camerino.<br />

Mi tolsi i pantaloni e subito mi resi conto che li avevo<br />

macchiati.<br />

Non sapevo che fare.<br />

«Ti sei rivestito?» disse Teresa.<br />

Uscii. Mi avvicinai al bancone e le consegnai i<br />

pantaloni appallottolati. Ma lei volle piegarli e così si<br />

accorse del danno.<br />

Da un cassetto estrasse un flacone con il quale<br />

spruzzò un liquido sull'alone ancora umido.<br />

«Ho messo un po' di antimacchia per impedire che il<br />

tessuto assorba troppo. Appena arrivi a casa di' a tua<br />

madre che lavi subito i pantaloni.»<br />

«Per il pagamento ... » mormorai con il viso rivolto a<br />

terra.<br />

«Mi accorderò con tua madre, dille che non si<br />

preoccupi. Ciao, giovanotto» mi congedò<br />

consegnandomi il sacchetto. «Saluta la mamma!»<br />

Balbettai un grazie e uscii.<br />

Ero mortificato.<br />

Ma quante volte ancora avrei sognato la signora<br />

Teresa!<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3. Declinando al femminile<br />

3.1 Il pianto della terra ai pirati…<br />

di Chiara Loria<br />

Sono femmina e il mio nome è Terra.<br />

E voi, voi siete... predoni.<br />

Mi avete saccheggiata,<br />

continuamente<br />

saccheggiate la mia anima<br />

che impotente urla<br />

la sua rabbia inascoltata.<br />

Scarnificata<br />

svuotata come orbita per occhiaie cieche<br />

trascino<br />

una livida paura generazionale.<br />

Millenaristica è la mia angoscia:<br />

altrove vi sono radici di gioia,<br />

altrove la vita si consuma in felicità piccole<br />

brevi e sommesse.<br />

Non qui<br />

non ora<br />

non con voi<br />

che cancellate l'uomo<br />

violentate la donna<br />

li sacrificate con me<br />

ad una delirante realtà.<br />

Usate parole musiche canti e non siete suadenti<br />

ori ed argenti sono crudeli banali commenti<br />

al mio autunno che si dilata e sfuma<br />

98


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

come in un suicidio<br />

consumato senza dolcezza.<br />

Forse un desertificato domani, figlio di queste<br />

[violenze,]<br />

nutrito del mio sangue<br />

genererà la linfa di una ripristinata dignità.<br />

indice<br />

99


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.2 L’ultima decisione<br />

di Bruno Bianco<br />

-Allora Nina, vuoi sbrigarti?-<br />

Franca la stava chiamando davanti ai cancelli; con<br />

quelle stesse parole che usava suo padre.<br />

-Allora Nina, vuoi sbrigarti?-<br />

Quando doveva andare a fare legna e quando c'era la<br />

camicia da rammendare; così i suoi quattro fratelli,<br />

quando aspettavano di essere serviti al tavolo e<br />

quando chiamavano in cortile per farsi portare<br />

qualunque cosa servisse per i lavori di tutti i giorni. E<br />

Nina si sbrigava sempre; dalle sei del mattino fino alle<br />

dieci di sera. L'unica donna in mezzo a cinque uomini<br />

poteva solo alzarsi alle sei del mattino e coricarsi alle<br />

dieci di sera, dopo aver pensato al pranzo, alla cena, al<br />

bucato, alla terra, alla legna e alle bestie.<br />

Vita di montagna; lavoro, lavoro e ancora lavoro. E il<br />

portafoglio sempre in mano agli uomini. Quando<br />

c'era ancora sua madre era diverso; perché sua madre<br />

sapeva come tenerli tutti in riga e se come ogni<br />

moglie anche lei faceva la serva, il padre però<br />

sbraitava meno, i fratelli stavano al loro posto e il<br />

portafoglio, quello usciva dalla tasca del padre<br />

qualche volta in più.<br />

-Allora Nina, vuoi sbrigarti?-<br />

Quando ammazzavano il maiale e le toccava correre<br />

con il secchiello a tenere lontano il cane.<br />

-Allora Nina vuoi sbrigarti? -<br />

100


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Quando con il rastrello doveva radunare il fieno<br />

mentre gli uomini con il forcone caricavano il carro.<br />

-Allora Nina, vuoi sbrigarti?-<br />

Quando a pranzo doveva portare la pentola, il<br />

pintone e qualunque altra cosa mancasse; perché gli<br />

uomini quando si sedevano a tavola non si alzavano<br />

per niente al mondo se non alla fine del pranzo.<br />

E poi sentire le donne del paese che le ripetevano<br />

sempre la stessa lagna.<br />

-Ti devi trovare un marito e anche in fretta. -<br />

-Ma perché devo prendermi un marito? In paese non<br />

sono mica l'unica da maritare. -<br />

-Tu sei la più bella ragazza del paese. Una come te se<br />

lo può anche scegliere il marito; ma se non lo scegli<br />

tu, finisce che qualcun altro sceglie te e credimi è<br />

molto peggio.<br />

-Sono sempre stata capace a difendermi! -<br />

-Brava, continua a difenderti da tutti; così finisci per<br />

restare tutta la vita a far da serva a cinque uomini e<br />

quando i tuoi fratelli si sposeranno farai da serva<br />

anche alle loro mogli.-<br />

-Se devo scegliere tra fare la serva a un marito oppure<br />

farla a un padre, quattro fratelli e altrettante cognate,<br />

allora scelgo loro; dovrò lavare, cucinare e<br />

rammendare, ma almeno mi evito di avere uno con il<br />

fiato che puzza di vino, per qualche minuto respira il<br />

suo piacere vicino al mio orecchio, poi si gira<br />

dall' altra parte e si addormenta fino al mattino dopo.<br />

Una domenica mattina dopo messa l'aveva fermata<br />

addirittura il parroco.<br />

101


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

-Vedi Nina, una brava donna e una brava cristiana si<br />

trova un marito, mette al mondo dei figli, fa' quello<br />

che fanno tutte le brave donne e le brave cristiane dei<br />

nostri paesi.-<br />

-Non voglio mancarvi di rispetto don Luigi, ma lei sa<br />

bene che non ho intenzione di maritarmi.-<br />

Don Luigi l’aveva presa sotto braccio e l'aveva<br />

portata all'ombra delle piante del sagrato.<br />

-Ascoltami bene Nina. Tu non conosci Piero del<br />

Bricco; sono passati quindici anni da quando è andato<br />

via dal paese e qui non ha più parenti. Diceva che<br />

sarebbe andato a valle, in città, a cercare fortuna e<br />

credo proprio che l'abbia trovata. Ieri è passato da me<br />

e mi ha raccontato cos'ha fatto in questi anni; ha<br />

lavorato in una fabbrica, dove facevano gli<br />

elettrodomestici. Sai cosa sono Nina gli<br />

elettrodomestici? Sono macchine strane che fanno<br />

fare meno fatica alle donne come te. Mi ha spiegato<br />

che è diventato bravo a fare gli elettrodomestici e<br />

che poi ha aperto una piccola fabbrica tutta<br />

sua;adesso se li fa' per lui gli elettrodomestici, giù<br />

nella valle verso la città.-<br />

-Scusatemi don Luigi, non vi seguo.-<br />

-Invece mi devi seguire, Nina. Piero è venuto quassù<br />

per dirmi che ha l'età giusta per sposarsi, che vuole<br />

una donna della sua terra, che si fida solo delle donne<br />

della sua terra. Come padrone della sua fabbrica fa' gli<br />

elettrodomestici per far star bene le donne, come<br />

marito farà stare bene anche te. -<br />

102


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

-Per il rispetto che vi porto non vi dirò di no; ma a<br />

due condizioni. La prima che voglio vedere questo<br />

Piero del Bricco prima che lui veda me; la seconda<br />

che a casa mia non devono saperlo.<br />

-Faremo così. Io dirò a tuo padre che ho bisogno di<br />

mandarti in città dalle suore per una commissione; tu<br />

parti con il pulman del mattino presto e avrai il<br />

tempo per vedere Piero e la sua fabbrica. Quando<br />

arrivi con il pulman delle cinque devi venire subito da<br />

me a riferire.-<br />

Nina era partita alle sette del mattino e aveva fatto<br />

tutto quello che doveva fare, in tempo per il pulman<br />

delle cinque del pomeriggio e per passare da don<br />

Luigi in sacrestia subito dopo il vespro.<br />

-Dovete credermi, don Luigi; nemmeno Piero del<br />

Bricco è il marito che voglio avere. Però voi non<br />

sapete quanto vi sono grata per l'interessamento.<br />

E se ne era tornata a casa fermando qualunque<br />

tentativo del prete di convincerla a più miti ragioni.<br />

-Allora Nina, vuoi sbrigarti?-<br />

Suo padre reclamava già la cena.<br />

-Allora Nina, vuoi sbrigarti?-<br />

Un fratello le chiedeva il pintone di vino<br />

-Allora Nina vuoi sbrigarti?-<br />

Un altro fratello aspettava di farsi cucire un bottone<br />

prima di andare all'osteria.<br />

Nina aveva servito la cena, portato il pintone,<br />

sparecchiato la tavola, cucito il bottone e sciacquato i<br />

piatti; poi si era lavata ben bene le mani e mentre le<br />

103


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

asciugava con il grembiule aveva parlato a tutti e<br />

cinque con voce esile ma decisa.<br />

-Da domani vado a lavorare in una fabbrica giù nella<br />

valle; la prima volta che riesco torno a su a dirvi dove<br />

ho trovato da abitare. -<br />

E da quel momento nessun uomo della sua famiglia<br />

aveva più potuto dirle di sbrigarsi.<br />

-Allora Nina, vuoi sbrigarti? -<br />

Franca era davanti ai cancelli che stava preparando i<br />

volantini.<br />

-Dai che a minuti arrivano tutti; oggi in fabbrica non<br />

deve entrare nessuna di noi. Prima di chiudere qui e<br />

spostare tutto in Cina, noi gliela inchiodiamo questa<br />

fabbrica; lo voglio vedere in ginocchio a implorarci di<br />

tornare al lavoro, di finire le commesse, di trovare un<br />

accordo. Vuoi un accordo? Hai solo da restare qui e<br />

non portare tutto in Cina, eccolo l'accordo.<br />

Nina guardò Franca, il banchetto, i volantini e le<br />

colleghe con il camice blu che facevano capannello<br />

intorno. Era davvero una tragedia per tutte che la<br />

fabbrica dovesse chiudere; e perché poi, per aprire in<br />

Cina, dopo tanti anni di lavoro impiegato a far<br />

crescere quella fabbrica. Proprio in Cina, dove lo<br />

sapevano tutti che fanno lavorare i bambini, che gli<br />

orari sono da bestie, che non ci sono tutele, che<br />

inquinano senza regole, che gli elettrodomestici fatti<br />

laggiù funzionano molto peggio dei loro; proprio in<br />

Cina dove la gente delle campagne fa' a gara per avere<br />

uno straccio di lavoro malpagato in fabbrica. Questa<br />

era la Cina che fregava il lavoro a chi aveva un<br />

104


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

marito, figli e un mutuo da pagare. Questo dovevano<br />

impedire lei, Franca, tutte le colleghe;distribuire<br />

volantini, stare ai cancelli, aspettare il padrone che<br />

venisse a implorarle in ginocchio di tornare a<br />

lavorare.<br />

Poi guardò il cancello, il tetto della fabbrica uguale a<br />

quando l'aveva visto vent'anni prima; quando era<br />

partita per una commissione dalle suore e aveva finito<br />

per andare a chiedere a un certo Piero del Bricco se<br />

avesse bisogno di una nuova operaia che facesse<br />

elettrodomestici. E in quel preciso momento tutto le<br />

divenne chiaro; in quel momento pensò che se in<br />

Cina ci fosse stata una donna, anche solo una donna,<br />

che avesse trovato lavoro in una fabbrica di<br />

elettrodomestici, avesse lasciato la campagna, smesso<br />

di far la serva a padri, fratelli e mariti e costruito<br />

come aveva fatto lei una famiglia vera senza servi e<br />

senza padroni, allora sì, anche per questa sola donna<br />

valeva la pena di chiudere la fabbrica, aprirne una in<br />

Cina e lasciare che gli eventi facessero il loro corso.<br />

Nina si staccò da Franca e andò oltre il cancello.<br />

-Dove vai Nina? Oggi non si entra, oggi si fa<br />

sciopero. -<br />

Nina andò verso la timbratrice, bollò la cartolina e<br />

non si voltò indietro. E anche Franca non poté più<br />

dirle di sbrigarsi.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.3 Primo giorno<br />

di Chiara Borghi<br />

Lui sanguina e scende grigio tutto attorno<br />

Ogni istante è fermo mentre<br />

Il mio tempo si tinge.<br />

Quando il periodo stinge<br />

è sangue. La notte. Il giorno.<br />

Il gioco della vita in 28 mosse<br />

la vincita: un figlio o una dismenorrea.<br />

Sempre trauma rosso.<br />

Oggi si svela il mio mistero<br />

La mia pazienza<br />

La capacità aliena<br />

Di aspettare ogni mese che un’attesa si disattenda,<br />

scorra il mio esserci donna.<br />

indice<br />

106


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.4 E si ruppe l’incantesimo<br />

di Maria Teresa Montanaro<br />

Lei gioiva quando lui le diceva: “tu sei la cometa che<br />

splende una volta sola nel cielo di un uomo!”<br />

Correva da lui ogni giorno, e con gli occhi illuminati<br />

d'immenso, lo abbracciava e lo stringeva piena di<br />

emozione mentre lui le sussurrava quelle frasi dolci e<br />

appassionate.<br />

Era felice di sentirsi scoperta, apprezzata, ammirata<br />

dalla stupita meraviglia di colui che la cercava da<br />

sempre. E pian piano, teneramente gli si offriva. Era<br />

come la piccola orchidea nascosta all'ombra delle<br />

felci, che finalmente, per la prima volta, viene trovata,<br />

messa in luce, goduta in tutta la sua intima bellezza.<br />

Lei sapeva di essere un fiore raro.<br />

Così aveva atteso fino a quel momento l'uomo che la<br />

riconoscesse per quel bene prezioso, per quel valore<br />

unico che sentiva di essere. Un uomo che la volesse<br />

davvero tutta, integralmente e sempre: da prima che<br />

nascesse a dopo che fosse morta.<br />

Quell'uomo era lui; lo aveva finalmente incontrato.<br />

Solo lui la desiderava tanto da sentirne un bisogno<br />

vitale, immenso.<br />

Per questo, mentre lo abbracciava, si ritrovava al<br />

centro dell'universo, e in lui poteva versare fino<br />

all'ultima goccia del suo oceano d'amore. Era con lui<br />

che provava la rasserenante certezza di poter fare la<br />

felicità di qualcuno.<br />

Solo con un uomo che la volesse tanto fortemente lei<br />

poteva donarsi, spendersi senza riserve, e crescere per<br />

107


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

la prima volta come donna veramente libera, poiché<br />

capace di compiere una scelta d'amore. Aveva sempre<br />

aspirato al Bene, e credeva che un giorno le sarebbe<br />

stato chiesto conto del tesoro affidatole.<br />

Perciò era certa che quello fosse il modo più grande e<br />

bello di realizzare la propria presenza in questo<br />

mondo. Era come se una voce misteriosa le indicasse<br />

in quell'uomo il senso più giusto e vero del suo<br />

cammino terreno. Lui era lì, col suo bisogno<br />

smisurato di lei, e le dava ciò di cui aveva<br />

profondamente bisogno: la possibilità di rendere<br />

straordinaria la propria esistenza. Per questo lo<br />

guardava con occhi felici e riconoscenti.<br />

Poi un giorno lei tornò da un lungo viaggio, e i suoi<br />

occhi non lo guardarono più allo stesso modo. Il suo<br />

sorriso non splendeva più di liete promesse, ma era<br />

incerto e opaco.<br />

Si era come rotto un incantesimo. L'estasi era finita.<br />

Ora, più lo guardava, più lo vedeva nella sua cruda<br />

realtà: paralizzato su una sedia a rotelle.<br />

Gli accarezzava e baciava le mani, ma le sentiva inerti<br />

e rattrappite. Lo abbracciava e stringeva forte, ma le<br />

braccia di lui erano deboli e scarne. Lui era un<br />

handicappato grave, imprigionato per sempre nei suoi<br />

durissimi limiti fisiologici. Un essere umano<br />

intelligente e sensibile, ricco di sentimenti e grandi<br />

aspirazioni, murato vivo in un corpo immobile. E lei,<br />

tutto d'un tratto, si sentiva profondamente<br />

responsabile del suo destino. Voleva farlo felice con<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

tutto il suo cuore e tutte le sue forze, ma aveva<br />

paura...<br />

Ora quella carrozzina elettrica, quelle protesi ai polsi e<br />

gli altri vari impedimenti, non erano più soltanto<br />

dettagli marginali e accettabili della persona, bensì<br />

gravosi problemi. Se prima quei limiti potevano<br />

sembrarle semplici particolarità, che talora gli<br />

conferivano pure un certo tenero fascino, rendendolo<br />

ancora più interessante e amabile, adesso invece le<br />

incutevano inquietanti dubbi e timori.<br />

Entrambi erano stati coscienti, fin dall'inizio, delle<br />

difficoltà oggettive della situazione e dei grossi rischi<br />

che la loro storia comportava. Eppure ciò non era<br />

bastato a dissuaderli.<br />

Avevano già messo radici troppo profonde l'uno<br />

nell'altra. E spesso si sentivano prede di un destino<br />

più grande di loro. Sapevano bene che l'ardente<br />

fiammata dell'innamoramento è destinata a spegnersi<br />

dopo un certo tempo. Però non si aspettavano che<br />

fosse così difficile portare avanti il rapporto senza la<br />

spinta preminente dei sentimenti. O, perlomeno, di<br />

“certi” sentimenti. Non che mancasse l'affetto,<br />

intendiamoci; ne era semplicemente cessata<br />

l'esaltazione.<br />

Stava avvenendo il passaggio critico, quello che porta<br />

dalle emozioni alla volontà. Da tempo lo avevano<br />

capito e creduto insieme: “l’amore non è tanto sentire<br />

di amare, quanto voler amare”.<br />

Dunque era quella la prova di forza che ogni storia di<br />

coppia,prima o poi, deve affrontare.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

E amarsi significava coltivare e sviluppare quel genere<br />

di sentimenti, costitutivi della vera umanità, che<br />

spaziano dalla benevolenza alla responsabilità, dalla<br />

tenerezza alla comprensione, dal rispetto alla stima...<br />

Così era come se in lei una voce misteriosa<br />

sussurrasse: “vale la pena di spendersi, magari in<br />

modo improduttivo, anche solo per una persona,<br />

affinché sia rispettata e valorizzata nella sua dignità, e<br />

non ridotta a problema da risolversi<br />

burocraticamente”. Già, lei non avrebbe mai<br />

sopportato di saperlo solo e infelice in qualche<br />

lontano istituto, né poteva pensarlo abbandonato e<br />

sofferente per la sua mancanza. E, peraltro, ancora<br />

non trovava il coraggio di una scelta definitiva.<br />

Immaginava il suo futuro con lui, in quel pianeta<br />

bellissimo e atroce, dove anche le cose normali<br />

diventano difficili o impossibili. Un pianeta costellato<br />

sì di rare esperienze interiori e di momenti piacevoli,<br />

ricercati e conquistati, ma anche irto di tante<br />

privazioni e fatiche.<br />

Certamente riconosceva sempre in lui l'uomo della<br />

sua vita, la persona migliore, con la quale poteva<br />

rapportarsi pienamente.<br />

Continuava a provare quella sorta di fascino strano e<br />

sottile che fin dal primo giorno le era penetrato in<br />

fondo all'anima. Come se lui avesse il mondo dentro.<br />

Un mondo a cui inspiegabilmente sentiva ormai di<br />

appartenere in modo indissolubile, anche contro la<br />

sua stessa volontà.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Al contempo però, in lui vedeva anche l'uomo che<br />

non avrebbe mai potuto correre con lei sulla spiaggia,<br />

né prenderla in braccio e tuffarsi nella schiuma delle<br />

onde in un caldo tramonto d'estate.<br />

Quell'uomo, immobilizzato nel suo letto automatico,<br />

non avrebbe mai potuto donarle l'estasi di un intenso<br />

amplesso di passione, travolgente godimento che<br />

porta fuori dallo spazio e dal tempo.<br />

Soprattutto era quasi impensabile la possibilità di<br />

darle dei figli. Lei ragazza esuberante e dinamica,<br />

amante dei viaggi, della gente, degli spazi liberi,<br />

avrebbe dovuto relegarsi là, con lui, in quella casetta<br />

solitaria nella campagna.<br />

Eppure, in quell'uomo aveva ormai impregnato gli<br />

strati più abissali della sua coscienza e del suo cuore.<br />

Era come se da sempre lui fosse stato parte integrante<br />

di lei che, a sua volta, era entrata in lui fino al midollo,<br />

e si era dissetata della sua anima fino all'ultima goccia.<br />

Forse per questo l'incontro con lui era diventato<br />

come il “banco di prova”, l'elemento di giudizio della<br />

propria esistenza. Qualcuno lo aveva posto lì, nella<br />

sua vita, come una sfida dalla quale avrebbe potuto<br />

uscirne in modo fallimentare o glorioso. Non sapeva<br />

come né perché, ma intuiva che con lui era in gioco<br />

qualcosa di assai più importante che la vita stessa.<br />

E poi chi lo aveva detto che l'amore deve essere<br />

“redditizio”? Se tutto al mondo è asservito alle regole<br />

del “dare per avere” , lei era certa che almeno l'amore<br />

potesse fare eccezione.<br />

111


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Per tutto questo e per mille altre ragioni ancora, fu<br />

preda di un logorante conflitto interiore: si ribellò,<br />

fuggì e più volte tornò, pianse, urlò, strinse i denti e...<br />

ad un tratto si scoprì tanto forte e libera da poter<br />

decidere di continuare ad amarlo. “Lei era la<br />

principessa che si offriva a lui senza pretendere<br />

l'incantesimo”.<br />

indice<br />

112


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.5 Cento anni<br />

di Vita Varsalona<br />

Siamo state per strada e nei bordelli<br />

nelle case di dio<br />

puttane e serve.<br />

E lavatoi campi risaie...<br />

siamo state solo un mucchietto di cenci<br />

cento e cento anni.<br />

Siamo state ai telai ai nastri alle presse<br />

nelle mani dei padri e dei sorveglianti<br />

senza guardarci senza parlarci<br />

generando ai co.co.co<br />

figli istruiti per i call center.<br />

Lavoro casa famiglia lavoro...<br />

sudore e marce<br />

cento e cento anni<br />

ma ci sono forse differenze?<br />

gli stessi padroni le stesse chiese<br />

ancora mani ingiurie e marciapiedi<br />

sempre sempre lo stesso rosa.<br />

E' la vita e sembra una macina<br />

sembra una cazzata<br />

questa vita che diamo che facciamo<br />

che insegniamo sbagliata.<br />

113<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.6 La femminista e l’ippocampo<br />

di Elga Moretto e Giuseppe Marchese<br />

In una costiera tropicale cosparsa di longilinee palme<br />

verdeggianti, di tanto in tanto si aggirava un'esperta<br />

nuotatrice. La temeraria donna era solita immergersi<br />

nelle profonde acque del mare, per raccogliere<br />

splendidi coralli. Un giorno giunse nella grotta di un<br />

fondale, e venne notata da un Ippocampo. Il<br />

cavalluccio marino, vedendo quella creatura nuotare<br />

con disinvoltura gli andò incontro e chiese: “Salve<br />

forestiera... non vi ho mai vista da queste parti!<br />

Perché esplorate il nostro mondo sommerso?”<br />

La donna, irritata sbottò: “Cosa vuoi da me,<br />

presuntuosetto equino! Che diamine... sarò libera di<br />

gestire la vita come mi pare e portare il mio corpo<br />

dove mi piace!”.<br />

L'Ippocampo udito quel modo grintoso di parlare<br />

chinò la testa, e mortificato mormorò: “Santa<br />

Madre...non ho mai conosciuto una creatura così<br />

determinata!” Poi, timidamente asserì : “Fanciulla, ti<br />

voglio svelare un segreto! Anch'io prima del letto<br />

coniugale ero deciso e risoluto! Ma poi purtroppo...!”<br />

“Cosa vorresti dire del rapporto coniugale…? Non<br />

capisco! Sicuramente la tua vita si sarà avvantaggiata,<br />

a discapito della tua compagna!”<br />

“Al contrario... ! Sono sottomesso al volere della mia<br />

femmina! Succube dei ruoli femminili!”<br />

La fanciulla strofinandosi le mani, con voce stridula<br />

arguì: “Cosa dici mai! Noi donne nei secoli abbiamo<br />

perso progressivamente merito e prestigio, fino a<br />

114


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

divenire serve del maschio, domestiche adatte a<br />

soddisfare i vostri bramosi appetiti sessuali! Siamo<br />

state relegate al ruolo di pro creatrici, soffocando le<br />

qualità innate che abbiamo! Tutto ciò, stravolgendo<br />

l'identità della donna e la verità più intima, in un<br />

Paese dall'antica moralità antiriformista! Ma negli<br />

ultimi tempi, grazie alla rivoluzione giovanile<br />

femminista abbiamo ottenuto conquiste rilevanti!”<br />

“Per la panza del capodoglio...! Wellallà quanto<br />

orgoglio!” soggiunse l'Ippocampo, mentre veniva<br />

cullato dalle correnti dell'acqua.<br />

“E dimmi un po' fanciulla... quali sarebbero queste<br />

vostre conquiste tanto decantate?”<br />

“O povero fallocrate, non sei aggiornato<br />

sull'emancipazione femminile! Grazie al movimento<br />

femminista, col “gruppo d'assalto”, ci siamo ribellate<br />

a quell'umiliante condizione, e a poco a poco... stiamo<br />

riacquistando diritti, per far cancellare la nomea di<br />

sesso debole affibbiataci!”<br />

Ma all'improvviso davanti a loro passò una grande<br />

seppia bianca, che lasciò dietro di se una densa<br />

nuvola d'inchiostro. Questo fatto offuscò<br />

momentaneamente la visuale tra i due interlocutori.<br />

Qualche istante dopo, mentre l'oscura nube si<br />

diradava piano, piano, la Femminista scrutando<br />

accigliata l'Ippocampo grintosa affermò: “Ma guarda<br />

un po’ questa rompiscatole! Proprio ora doveva<br />

passare di qua! Uhm...! Vediamo... ! Vediamo... !<br />

Dov'eravamo rimasti? Ah si... ora ricordo! Sapessi<br />

Cavalluccio, quanto mi irritano quei maschi che<br />

115


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

fraintendono la nostra ricorrenza dell'otto marzo! La<br />

intendono festa del giocattolo usa e getta, convinti<br />

che noi donne in questi tempi abbiamo smarrito la<br />

femminilità! Quel giorno per noi del movimento è<br />

un eroico momento, poiché le femmine godono di<br />

pari diritti del maschio, in una condizione non solo di<br />

donne, ma anche di madri con cicli mestruali e parto;<br />

dove gestazione e gravidanza ne deturpano la<br />

serenità!”<br />

Una spugna di mare, un'attinia e una madrepora,<br />

mimetizzate tra le dune del fondale, udito l'astioso<br />

discorso della Femminista sbucarono dalla sabbia<br />

piano, piano, e incuriosite si avvicinarono ai due<br />

interlocutori. La spugna dilatandosi dallo stupore<br />

asserì : “Non per ficcanasare...! Ma in questo nostro<br />

mondo, non esistono disuguaglianze così<br />

audacemente sostenute! Fanciulla, ti voglio svelare un<br />

segreto che Nonna Canestro di Venere ci raccontava<br />

in tenera età! Anticamente quando le ataviche<br />

morbide spugne venivano adoperate per il corpo<br />

femminile, la donna col prezioso segreto del pudore<br />

suscitava nell'uomo purezza, sublimità e grazia dei<br />

pensieri legati a nobiltà spirituale!”<br />

“Ah...! Ah...! Questa è bella... ci manca solo<br />

paragonare la donna a uno sdolcinato bignè!<br />

L'universo femminile non ha bisogno delle tue<br />

melensaggini! Da quei tempi... ne è passata di acqua<br />

sotto i ponti !”<br />

E con una smorfia di disappunto, s'allontanò<br />

bruscamente verso la superficie del mare. Giunta a<br />

116


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

fior d'acqua, rimase a galla a nuotare tra le<br />

increspature delle onde. Dopo aver ossigenato i<br />

polmoni, sì rituffò nel fondo. Una stella marina, un<br />

anemone e un dattero di mare adagiati su una barriera<br />

corallina, nel rivederla esclamarono: “Madre mia...<br />

guardate! Sta ritornando la logorroica fanciulla! Cosa<br />

avrà ancora da recriminare?”<br />

La Femminista, con violenti colpi di pinne raggiunse<br />

il gruppetto che aveva lasciato e sbottò: “Oh<br />

spugnetta antiquata…oggigiorno abbiamo progredito!<br />

Siamo lontane... lontane anni luce dal maschio<br />

soggiogante!”<br />

La spugna impallidì. Ritraendosi, con un fil di voce<br />

sussurrò: “Mi auguro che le fanciulle della nuova<br />

generazione non la pensino come te! L'intima<br />

delicatezza femminile, non arriverà mai e poi mai a<br />

farsi intaccare da licenziosità! Di questa tua ostinata<br />

ideologia, basata sull'opposizione attiva del conscio,<br />

vedrai... vedrai, raccoglieremo i frutti in avvenire!<br />

Chissà ... se positivi o negativi!”<br />

Ma la Femminista, facendo spallucce s'ammutolì.<br />

Poi, rivolgendosi all'Ippocampo asserì : “In quanto a<br />

te, mio caro maschilista devi sapere che per troppo<br />

tempo la donna è stata ghettizzata! L'uomo<br />

relegandola al ruolo di puerpera, nel reprimerle<br />

intelligenza e capacità creativa, ha fatto si che si<br />

spegnesse a consumare i suoi giorni tra una<br />

gravidanza e l'altra! Queste ideologie sono state la<br />

scintilla che ha dato luogo a focolai di ribellione, fino<br />

alla rivoluzione! Da qui la nascita del femminismo! Il<br />

117


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

nostro movimento ha permesso alla doma d'inserirsi<br />

nei più svariati settori, dall'industria al commercio e<br />

così via, per farle occupare ruoli prestigiosi pari<br />

all'uomo; a dimostrazione delle infinite risorse e<br />

qualità interiori che si celano dietro una figura<br />

apparentemente gracile e debole!”<br />

L'Ippocampo, dopo un breve stallo del cervello<br />

rispose: “Corpo di una gigantesca orata... la tua lingua<br />

è più tagliente di una spada! Cara fanciulla, purtroppo<br />

per me le cose non stanno affatto così! La mia<br />

femmina introduce le uova, il germe della vita, nel<br />

mio corpo e io le devo fecondare senza fiatare! Gli<br />

embrioni si nutrono del mio sangue, e soltanto dopo<br />

sei o otto settimane espello i piccoli con vere e<br />

proprie doglie! E nel mettere al mondo creature, non<br />

posso neppure gridare come voi femministe - L'utero<br />

è mio e lo gestisco io! -”<br />

La Femminista non seppe contenere una fragorosa<br />

risata, e in preda all'euforia gridò: “Eureka... Ah... !<br />

Ah... ! Eureka... ! E' fantastico! Allora non è<br />

un'utopia! Chissà …forse un giorno la scienza porterà<br />

a sgravare anche l'uomo, che si è sempre vantato!”<br />

All'improvviso la spugna di mare e le amiche attinia<br />

e madrepora, sdegnate si tapparono le orecchie e si<br />

defilarono. Il Cavalluccio ebbe un bel da fare per<br />

sedare la risata isterica della Femminista, finché<br />

imbizzarrito esclamò: “Oh donna ribelle ... per l'amor<br />

del cielo, non sconfiniamo! Non avvenga mai e poi<br />

mai che gli scienziati turbino le Leggi del Creato!<br />

Avremmo un mondo di mostri! L'Onnipotente non<br />

118


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

permetterà all'uomo d'incarnare una creatura!<br />

Maschio e femmina hanno in sé gli organi del sesso<br />

opposto! In senso psicologico sono bisessuali! Ogni<br />

maschio è alla ricerca della parte femminile di se<br />

stesso, come pure la donna, in modo da congiungersi!<br />

Ed essi trovano unione nella polarità maschile e<br />

femminile! Su questa concezione si basa la capacità<br />

creativa dell'essere umano! Andando contro Natura,<br />

l'uomo potrebbe divenire misantropo o misogeno,<br />

con crisi d'identità e impoverimento spirituale!<br />

Purtroppo, snaturamento e depravazione sviluppano<br />

forme ambigue di femminilità nel maschio e rude<br />

mascolinità nella femmina! Mia cara... la donna che<br />

vuol essere a tutti i costi pari all'uomo, insegue una<br />

visione aberrante! Seppure la donna arrivasse un<br />

giorno ad occupare ruoli maschili, non potrà ma<br />

sfuggire al compito che la natura gli ha assegnato: la<br />

preziosa maternità, dono grandioso! Ricorda ...<br />

ricorda sempre creatura anticonformista, solo la<br />

femminilità genuina e pura può guidare e destare<br />

l'uomo alle grandi azioni!”<br />

Le sagge dichiarazioni dell'Ippocampo, indussero la<br />

Femminista, a riflettere sulle sue idee estremiste. La<br />

ragazza stava per andarsene pensierosa, quando<br />

all'improvviso si voltò e chiese: “Ma dì un po' ... e<br />

quella storiella delle doglie?”<br />

L'Ippocampo rispose: “O incredula fanciulla... ti<br />

voglio fare un regalo! Alla prossima luna piena, vieni<br />

in questa grotta! E assisterai al mio parto!”<br />

119


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

La ragazza entusiasta esclamò: “Davvero mi vorrai al<br />

tuo fianco quel giorno? Bene... non mancherò! Oh<br />

povero cavalluccio… quante volte hai partorito?”<br />

“Beh, vediamo un po’...!” Rispose l'Ippocampo,<br />

portandosi la coda al mento. “Uno... due... tre...e<br />

quattro! Si... si, il prossimo è il quinto parto! Sapessi<br />

cara fanciulla... quanta fifa e dolore la prima volta!”<br />

“A quanto pare, questo dovere femminile t'incute<br />

terrore! Addio, amico disgraziato... ! A presto!”<br />

Il tempo passò, e venne il giorno del plenilunio.<br />

Quella notte la candida luna piena si specchiava in<br />

tutta la sua bellezza sulla superficie del mare. La<br />

Femminista s'immerse incuriosita nelle profondità<br />

marine. Davanti ai suoi occhi si presentò una scena<br />

strabiliante. Un fascio di raggi lunari illuminava il<br />

fondale sabbioso. L'amico Ippocampo, era sdraiato<br />

supino all'ingresso di una grotta, e si dibatteva tra le<br />

doglie nell'incavo di una grossa conchiglia. La sua<br />

compagna lo confortava. Intanto, tra una contrazione<br />

e l'altra una graziosa sirena zufolava dolcemente una<br />

soave musica, con un pettine di mare sonante.<br />

Intorno vi erano parenti e amici: cozze con le valve<br />

aperte, ostriche, seppioline e gamberoni che<br />

cantavano e danzavano felici per il lieto evento. Ma<br />

ecco che improvvisamente dalla cespugliosa fessura<br />

ventrale dell'Ippocampo, cominciarono ad uscire ad<br />

uno ad uno tanti piccoli cavallucci trasparenti,<br />

formando una giostra di cavallini a dondolo. I neonati<br />

si sparpagliavano qua e là tra alghe screziate,<br />

nutrendosi di plancton e minuscoli insetti. La<br />

120


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Femminista osservava incantata quella scena plateale,<br />

quando l'Ippocampo la invitò a sedere. La ragazza si<br />

accostò all'orecchio del neo papà e sussurrò:<br />

“Complimenti amico...! E' meraviglioso ciò che sta<br />

succedendo questa notte! Se non avessi visto con i<br />

miei occhi, non avrei mai creduto!”<br />

Mentre il partoriente dava alla luce l'ultimo<br />

cavalluccio, affermò: “Oh si... si amica! Partorire è<br />

doloroso, ma è il più prezioso dono del Creatore!”<br />

E senza serbare rancore per il gentil sesso, invitò la<br />

fanciulla a salirgli in groppa. Poi, con una galanteria<br />

tipica di chi è a favore dei pari diritti, zigzagando tra il<br />

folto gruppo di neonati, risalì verso la superficie del<br />

mare. La Femminista, seduta sul dorso<br />

dell'Ippocampo, abbracciandolo esultò: “Oh eroico<br />

condottiero... mille grazie per l'emozione che oggi mi<br />

hai donato! Col tuo esempio di vita ho compreso<br />

quant'è importante moderare l'impetuosità delle<br />

proprie idee! Purtroppo a volte i sentimenti<br />

d'inferiorità accumulati nel tempo, se troppo<br />

idealizzati possono trasformarsi in senso di<br />

superiorità! Allora la lotta ai diritti di noi donne,<br />

potrebbe sfociare in atti arroganti, fino a soffocare<br />

l'energia intuitiva capace di spingerci a donarci con<br />

generosità!<br />

Il Cavalluccio annuì sorridendo, e lentamente riprese<br />

a galoppare. Giunti nei pressi di una. barriera<br />

corallina si salutarono calorosamente e se ne<br />

andarono ognuno per la sua strada. Numerosi<br />

anemoni di mare e alghe con flessuose foglie<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

danzanti, felici per le contrapposte ideologie ritrovate,<br />

in un rincorrersi di onde spumeggianti gorgogliarono:<br />

“La donna in alcuni casi non viene capita dall'uomo,<br />

suo compagno di vita, il quale ritenendola un essere<br />

petulante le vieta di accedere a qualche progetto<br />

importante! Ma quest'ultimo, seppure non cesserà di<br />

discriminare, continuerà a scrutare con meraviglia e<br />

stupore la sua dolce metà, chissà....se per amore o<br />

docilità! Così l'uomo, ignaro del travaglio, può<br />

mettersi alla bocca un bavaglio, e comprendere i<br />

sentimenti della donna mentre si dibatte in<br />

tormentate conquiste; consapevole che la femmina,<br />

con i suoi intimi segreti e ammalianti poteri, uniti a<br />

fascino e grazia sarà sempre a lui superiore, anche se<br />

apparentemente sottomessa al suo potere! E con<br />

intuizione spirituale lo aiuterà a sviluppare profonde<br />

aspirazioni, lo governerà e lo guiderà alle basse o<br />

grandi azioni, finché il mondo esisterà!”.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.7 Strega<br />

di Polissena Cerolini<br />

Il piccolo borgo di Catino appare oggi poco diverso<br />

da come doveva apparire centocinquanta anni fa.<br />

Seicento abitanti appena, contando anche gli animali<br />

domestici, compressi in poche case di pietra,<br />

arroccate intorno a ciò che rimane della bocca di un<br />

vulcano spento. Se immagino la valle del Tevere priva<br />

dei cavi elettrici e dei tralicci, spoglia del ponte<br />

dell’autostrada, libera dalle palazzine giallo limone, la<br />

vedo verde e luminosa, fiera e selvaggia. Dimora di<br />

quel serpente d’acqua argentea che si snoda tra i<br />

campi coltivati, perdendosi nelle nebbie mattutine alle<br />

pendici del Soratte. Il Soratte appunto, un atollo<br />

grigio verde che si erge da un mare nebuloso e grigio.<br />

Genziana come me, non era nata in queste terre ma<br />

come e perché ci fosse arrivata non è dato sapere. Si<br />

stabilì nel rudere della torre longobarda che ancora<br />

sormonta il borgo dalla cresta più alta del cratere.<br />

Sono passati anni da allora ma la sua storia è ancora<br />

sulla bocca di tutti gli abitanti del piccolo paese,<br />

anche se di volta in volta si arricchisce di particolari e<br />

sfumature. Scendeva di rado in paese, camminando<br />

lungo la mulattiera di ciottoli scuri e levigati, delicata<br />

come la brezza estiva e seguita come fosse la sua<br />

ombra, da una maestosa giumenta color miele.<br />

Nessuno al villaggio o nell’intera valle aveva mai visto<br />

una cavalcatura tanto imponente: enorme e fiera, il<br />

ventre carico di vene come lo hanno solo gli stalloni,<br />

libera da corde o cavezze, perché Genziana, dicevano,<br />

123


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

sapeva parlare alle bestie. Tanto era feroce con<br />

chiunque solo la sfiorasse, tanto era mansueta con la<br />

sua padrona, bastava un tocco leggero sul collo<br />

nerboruto, perché si inginocchiasse con la testa<br />

riversa da un lato per aiutarla a montare. Tutti<br />

conoscevano il nome della ragazza dai capelli corvini<br />

e dalla pelle chiara. Lei camminava scalza, con le<br />

spalle scoperte ed i capelli sciolti come le puttane,<br />

guardava gli uomini dritto negli occhi come una<br />

signora e come una madre, ad ognuno donava un<br />

sorriso ed un saluto. Dicevano che con le sue arti da<br />

strega irretisse il cuore degli uomini e spergiuravano<br />

di averla vista aggirarsi nel cimitero a notte fonda,<br />

intenta a raccogliere quelle particolari erbe che<br />

crescono solo vicino alle tombe, tanto care alle<br />

streghe. Nelle notti più chiare, quando la luna<br />

illuminava la valle come fosse giorno, la sua giumenta<br />

figlia del demonio, galoppava sola lungo le vie<br />

scoscese. Scendeva fino alla campagna, per tornare<br />

fin su la torre con in groppa un cavaliere, l’unico oltre<br />

la sua padrona in grado di cavalcarla, il figlio del<br />

mugnaio, il più bel ragazzo del paese e promesso<br />

sposo della figlia del signore di quelle terre. Prima<br />

delle notti di luna piena, Genziana scendeva sempre<br />

in paese, comprava una bottiglia di acqua di rose e<br />

vino dolce, poi andava ad immergersi nelle acque<br />

calme e fredde del torrente, nuda, come solo le<br />

indemoniate farebbero. L’ultima notte d’estate,<br />

quando i poteri delle streghe giungono al loro apice,<br />

alcuni uomini, tra i buoni cittadini del piccolo borgo,<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

si destarono nottetempo ritrovandosi senza alcun<br />

apparente motivo nella piccola piazza circolare. Alle<br />

loro mogli e al curato raccontarono poi, che una<br />

forza maligna ed incontrollabile li aveva pervasi, il<br />

loro cuore era puro come lo erano le loro intenzioni,<br />

ma gli incantesimi che la strega aveva intessuto su di<br />

loro erano troppo potenti. In sei partirono, alla volta<br />

della torre, tra gli uomini più in vista del paese e tra i<br />

più stimati. Violarono la sua casa e profanarono il suo<br />

corpo. Le urla della strega si persero nella notte,<br />

confuse con il verso dei gufi. La giumenta pestò, nitrì<br />

e calciò per tutta la notte, facendo tuonare in tutta la<br />

valle i colpi dei suoi zoccoli contro la grigia parete<br />

della torre. Galoppò allora fino alla fattoria del<br />

mugnaio, mentre i suoi nitriti disperati squarciavano il<br />

silenzio come le grida di un demonio ferito. Quando<br />

il figlio del mugnaio, raggiunse la collina, anche<br />

l’ultimo dei lupi del villaggio se ne era andato, dopo<br />

aver consumato il suo pasto. Lui gridò alla valle<br />

silenziosa la sua rabbia, giurò che mai più l’avrebbe<br />

lasciata sola, che quella notte stessa sarebbero partiti.<br />

Così corse alla sua fattoria e caricò l’indispensabile<br />

per il viaggio, l’avrebbe portata via. Non s’era ancora<br />

fatto giorno, il giorno in cui avrebbe dovuto sposare<br />

la ricca ereditiera quando col cavallo carico di bisacce<br />

passò davanti al vecchio fontanile. Due donne, chine<br />

di buon mattino sul bucato, alzarono appena la voce<br />

quando lo sentirono arrivare. -Ha avuto quello che<br />

meritava, deve aver concupito un uomo di troppo!-<br />

Con la morte nel cuore lanciò il cavallo al galoppo,<br />

125


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

frustandolo fino a farlo sanguinare… Quando arrivò<br />

alla torre nemmeno gli fu permesso di vedere il suo<br />

corpo. L’avevano seppellito là dove lo avevano<br />

trovato. Subito, senza cerimonie, per evitare che il<br />

demonio che lo abitava ne uscisse. Senza nemmeno<br />

una croce per ricordare. L’avevano trovata poco<br />

prima dell’alba, ai margini del boschetto dietro alla<br />

torre, strangolata con una sciarpa bianca, di seta ed<br />

organza. Del giovane figlio del mugnaio non si seppe<br />

più nulla, né della sua famiglia che partì pochi giorni<br />

dopo, devastata dalla vergogna. Negli anni a seguire,<br />

la sposa abbandonata sull’altare, ereditò le terre della<br />

valle, assoldò i migliori cavalieri nel vano tentativo di<br />

catturare la bellissima giumenta color miele che si<br />

aggirava vicino alla torre e che soleva fermarsi a<br />

mangiare l’erba verde e fresca che cresceva rigogliosa<br />

sul cumulo di terra ai margini del boschetto. Ancora<br />

oggi, nelle due osterie e nel piccolo bar, tutti<br />

raccontano terrorizzati che nelle notti di luna piena,<br />

quando tutto sembra illuminato a giorno, quando il<br />

rombo delle auto non violenta più la notte, in tutta la<br />

valle echeggiano come tuoni gli zoccoli della<br />

giumenta. Giurano di sentirla nitrire ferita e disperata<br />

fino al sorgere del sole. La sentono galoppare fino al<br />

rudere che era la casa del mugnaio, poi di nuovo<br />

tornare alla torre, la sentono colpirla ancora e ancora,<br />

sono tutti convinti che non smetterà, credono che la<br />

giumenta continuerà a perseguitarli, che il suo spettro<br />

continuerà a percuotere e battere le vecchie mura<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

coperte di muschio della torre, finché crollando, non<br />

ucciderà tutti.<br />

Da centocinquanta anni io sono la prima ad essersi<br />

stabilita quassù, nel prato tra la torre ed il boschetto.<br />

Sono ormai due anni che vivo qui e da due anni, ogni<br />

notte chiara, quando la luna piena splende alta, esco<br />

di casa, mi sciolgo i capelli e li lascio cadere sulle<br />

spalle nude. Avanzo scalza nel prato e mi siedo sul<br />

cumulo di terra erbosa vicino casa, è il punto in cui<br />

l’erba cresce più verde e rigogliosa. Mi passo<br />

dell’acqua di rose dietro le orecchie e nei polsi, poi ne<br />

verso alcune gocce nel terreno, bevo da un bicchiere<br />

del vino dolce e ne vuoto a terra il resto, chiudo gli<br />

occhi. Tendo l’orecchio e tutto quello che sento<br />

quando la natura finalmente si acquieta, è il crepitio<br />

lontano di un galoppo libero.<br />

indice<br />

127


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.8 Cenere<br />

di Ilaria Abiami<br />

Sarebbe una stanza. Una stanza di un appartamento.<br />

Una stanza come tante altre. Pervasa da una bellezza<br />

dimessa, disordinata. Un tappeto, dei divani, una<br />

piccola statua di donna senza testa, un grosso<br />

specchio d'oro poggiato al camino che non funziona<br />

ormai da tempo.<br />

Riviste, libri, vestiti sparsi un po' ovunque testimoni<br />

del tempo che passa, testimoni della quotidianità,<br />

dell'andare del mondo. Annoiata su un divano<br />

sarebbe sdraiata la ragazza, intenta a mettersi lo<br />

smalto nero sulle unghie, la televisione accesa.<br />

Il telegiornale: parlano del pericolo della bomba<br />

atomica in un paese lontano da quello in cui ora lei<br />

vive.<br />

Senso di nausea, impotenza, frustrazione.<br />

Si soffoca. Ci si strozza la gola con tutta questa<br />

impossibilità.<br />

Come reagire? Si può reagire?<br />

La ragazza è confusa decide di mangiare qualcosa e<br />

continuare a guardare il telegiornale, continuare ad<br />

ascoltare la storia della bomba atomica. Ascoltare<br />

l'orrore del mondo, ascoltare il suo orrore. La sua<br />

violenza, la sua innocenza.<br />

Ma no! Basta! E' troppo, non si può più ascoltare. E’<br />

troppo. E’ inutile. E’ squarciata da qualcosa di<br />

inspiegabile, da qualcosa che non ha nome. Qualcosa<br />

che non è né esterno, né interno. Qualcosa che le fa<br />

venire voglia di morire o di fare l'amore.<br />

128


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Spegne la televisione. Si lascia cadere sul divano. E’<br />

stremata. Sa che ancora una volta è giunta quell'ora<br />

del giorno terribile in cui bisogna inventarsi qualcosa.<br />

Inventarsi la vita, almeno ancora per un po'.<br />

E’ esausta.<br />

Va alla finestra che affaccia sul balcone. Piante<br />

immobili perse nell'oscurità e un livido cielo cittadino<br />

che non sa nulla dell'orizzonte, dell'indomabilità del<br />

vento.<br />

Accende una sigaretta. Tenta di lasciar vagare lo<br />

sguardo, di perdersi un po' tra le spire del fumo.<br />

Qualcosa in lei inizia a parlare. E' l'indifferenza verso<br />

tutto, il suo sentirsi estranea a se stessa, il suo non<br />

riconoscersi in nulla, il suo non sapere nemmeno più<br />

cosa desiderare.<br />

La sua incapacità di chiedere alla vita.<br />

La sua incapacità di offrire, la sua incapacità di<br />

ricevere.<br />

Ma c'è qualcos'altro, qualcosa che non vuole dire<br />

nemmeno a stessa, un nodo tra le vene che blocca il<br />

flusso del sangue, una spina nella gola. Qualcosa di<br />

dimenticato, qualcosa di dimenticato che non passa,<br />

che non sa tacere.<br />

Un oblio pieno d'amore.<br />

Una continua morte, un richiamo crudele che sente<br />

cantare al cuore dalle profondità delle sue ossa. Una<br />

melodia morta che pugnala l'universo.<br />

No, questa dolcezza deve annegare. Annegare come<br />

lei annegò nelle lacrime tempo fa.<br />

129


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Deve prendere quelle lettere e annegarle; bruciarle<br />

sarebbe meglio, ma non ne è capace. Non ne ha la<br />

forza.<br />

Troppo violento forse? Forse... Vuole vederle morire<br />

nell'acqua, nelle lacrime. Come è morta lei, come è<br />

morto quell'amore.<br />

Apre il cassetto. Si , queste lettere diverranno<br />

fantasmi nella sua vasca da bagno.<br />

Va di fronte allo specchio, si spoglia. E nuda resta lì,<br />

immobile, a guardarsi vivere in quel riflesso. Prova a<br />

respirare, lentamente. Percepisce il suo respiro rotto,<br />

intermittente.<br />

Vorrebbe piangere forse? Non lo sa nemmeno lei.<br />

Apre il rubinetto della vasca da bagno. L'acqua<br />

scorre, la vasca lentamente si riempie. Lei si guarda<br />

allo specchio. Decide di truccarsi. Comprende che la<br />

nudità del suo volto è indecente. Le fa schifo, la fa<br />

soffrire, la mette a disagio.<br />

No, è necessario l'artificio, è necessario sparire dietro<br />

i colori del trucco. E’ necessario giocare con le<br />

apparenze.<br />

La verità è un mostro.<br />

Lo specchio ammicca, la rassicura, pare approvare il<br />

suo gioco. Lo specchio, fedele e attento ascoltatore.<br />

Lo specchio, pericoloso servo del nulla.<br />

Prende le lettere, una ad una le tuffa nell'acqua, le<br />

lascia naufragare. Le guarda in silenzio.<br />

E’ seduta sul bordo della vasca e pensa a quanta vita<br />

c'era in quelle lettere. A quanta vita c'è. Puro fuoco,<br />

incendio totale, la sua seconda nascita.<br />

130


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

L'unica volta in cui abbia davvero amato, l'unica volta<br />

in cui si sia sentita viva.<br />

Le gira la testa. Fuoco che annega. Cenere. Fantasma.<br />

Nuda si sdraia sul letto, deve riprendere fiato, si<br />

accoccola e cerca di fare silenzio dentro di sé. Prova<br />

ad ascoltare il suo corpo, a sentire come pulsa la sua<br />

carne.<br />

Non lo sa neppure, ma si mette nella posizione della<br />

piccola statua d'oro senza testa che giace là,<br />

dimenticata nel salone.<br />

E’ ormai notte. Tempo di scommesse, di azzardo e<br />

seduzione.<br />

Il suo sangue ribolle; brama un corpo sconosciuto<br />

con cui fondersi, con cui morire nel piacere.<br />

Vuole sedurre, vuole morire, vuole divorare; desidera<br />

sentire il pulsare di un corpo contratto dagli spasimi<br />

dell'amore.<br />

Vuole l'alta marca nel sangue. Vuole scopare. Tanto.<br />

Forte. Non vuole più pensare. Non vuole più niente.<br />

Vuole scopare. Rinascere o morire. Forse entrambi o<br />

forse è qualcosa che nemmeno lei sa. Ma sa che<br />

c'entrano quell'oblio innamorato, quelle lettere<br />

annegate, quella miseria del mondo vista in<br />

televisione.<br />

L'unico modo di reagire a tutto ciò, è un lancio di<br />

dadi, un azzardo da consumare sull'asfalto.<br />

Sedurre un marchettaro. Sedurlo con il denaro,<br />

sedurlo con l'insaziabiltà dei fiori carnivori. Sentire il<br />

corpo della notte, sentire il corpo della strada contro<br />

la sua pelle bianca.<br />

131


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Esce di casa, vaga per la città, c'è poca gente in giro.<br />

E’ tardi, è un giorno qualunque della settimana. Non<br />

c'è aria di festa, quasi tutti a quell'ora della notte<br />

dormono.<br />

Tutti, tranne le creature limbiche, come lei.<br />

In macchina la radio trasmette una musica di Handel,<br />

la classica sinfonia da notte libertina. Pensa alla<br />

seduzione, al libertinaggio, alla razionalità del “700.<br />

Pensa che se fosse stata un uomo a quell'epoca di<br />

sicuro sarebbe stata una specie di visconte di<br />

Valmont e non si sarebbe mai persa un concerto di<br />

clavicembalo. Questo la fa sorridere. Sorride anche<br />

dell'essersi truccata e profumata per andare a<br />

prendere un ragazzo con cui scopare. A pagamento.<br />

Si sente ridicola, ma non riesce a dispiacersi fino in<br />

fondo per questo, dopotutto chi non è ridicolo a<br />

questo mondo?<br />

Anche il dolore è ridicolo talvolta.<br />

E’ giunta nella via della perdizione si dice con ironia.<br />

Eccola la via dei balocchi, la via degli orgasmi tristi,<br />

obbligati. Eccolo qui il macello, il santuario!<br />

Il quotidiano che si mescola con l'estraneità più<br />

totale.<br />

Ecco il passato e il presente. L'ancestrale che<br />

sogghigna dall'asfalto.<br />

La preghiera all'inviolato.<br />

Quanti saranno? Sette, otto, non di più... tutti<br />

piuttosto giovani, carini. Volti stupidi, tristi, disperati,<br />

volti vuoti, indifferenti, dolci.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

La colpisce più di tutti quello che ha occhi neri<br />

profondi come braci morte. E’ nervoso, tormentato,<br />

pieno di ardore. Sta pensando, ma non riesce ad<br />

afferrare il corso dei suoi pensieri. Non sa dove<br />

andare. Qualcosa lo spaventa.<br />

Proprio come lei, pensa.<br />

Sì, vuole lui, il ragazzo che le ricorda la cenere, il<br />

residuo di fuoco. Vuole quel ragazzo che un po' le<br />

somiglia e fuma nervosamente come lei.<br />

Si guardano dal finestrino, quello sguardo li<br />

confonde, ma nessuno mostra all'altro questo<br />

smarrimento. Sale in macchina, fumano, fanno il<br />

viaggio in silenzio, la radio è spenta.<br />

Non sì dice nulla, il quotidiano pare essersi annullato,<br />

pare essere chiuso fuori da quell'automobile. E’ un<br />

silenzio smisurato, fa paura, è quasi sacro.<br />

Innocente.<br />

Ha sempre più voglia di fare l'amore. Vuole<br />

annientarsi negli orgasmi sconosciuti ed ebbri.<br />

Sono a casa ora. Appoggiati allo stipite della porta, si<br />

baciano; pare quasi una lotta, pare si vogliano<br />

divorare.<br />

E’ un bacio crudele, pieno di dolore.<br />

Si baciano come se si amassero alla follia e si<br />

dovessero perdere per sempre.<br />

Si baciano come se fosse l'ultima notte prima<br />

dell'addio.<br />

Fanno l'amore per ore, mai paghi del piacere, ma non<br />

si parlano mai. Si uccidono a vicenda dopo ogni<br />

133


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

orgasmo e rinascono a nuova vita per poi morire<br />

ancora.<br />

Insieme.<br />

Nessuno ha più la forza di pensare, c'è solo corpo,<br />

solo intensità che scorre attraverso i muscoli. Il<br />

cervello è esploso così come gli organi sessuali.<br />

E’ tutto indistinto, magmatico. Fuso, caldo,<br />

impersonale.<br />

E’ ormai mattino, ma le finestre rimangono chiuse e<br />

nella camera c'è un buio artificiale, un buio scarno,<br />

limpido.<br />

I corpi nudi sono avvolti da fitte tenebre. La camera<br />

pare essere sospesa in qualcosa di eterno.<br />

Quella camera è senza tempo, senza luogo.<br />

Forse non esiste.<br />

Non c'è evento, non c'è traccia, non c'è niente che<br />

possa dire quello che è realmente accaduto.<br />

Proprio come l'amore delle lettere che annegano nella<br />

vasca da bagno. Non ne rimane traccia. Forse non è<br />

mai esistito.<br />

Una camera come tante altre, una camera che<br />

potrebbe essere in ogni luogo, in qualsiasi epoca.<br />

Un amore come tanti altri.<br />

Vestiti, bottiglie, tutto è sparso a terra e sogna.<br />

Sogna.<br />

Lei si alza. Ha i brividi. E’ assente, la testa frastornata.<br />

Più confusa di prima forse.<br />

Sente l'estasi della morte e della vita danzare ancora<br />

sul suo corpo. Sente ancora su di sé il residuo di quel<br />

ragazzo, il suo sesso, il suo profumo.<br />

134


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Qualcosa però la spinge con forza verso la vasca,<br />

verso le sue lacrime, verso le lettere.<br />

Verso quell'oblio, quel residuo di cenere<br />

incandescente che non sa morire, che non la lascia<br />

libera. Fantasmi inzuppati d'acqua, i suoi ricordi.<br />

Trema. Si sforza di pensare, ma non ci riesce.<br />

Se solo riuscisse ad avere ricordi più nitidi, più<br />

razionali di quell'amore, di quell'intensità, allora sì<br />

finalmente potrebbe dimenticare.<br />

Ma come si può dimenticare ciò che non è più<br />

memoria, ciò che non ha più memoria? Come si può<br />

dimenticare la struttura del proprio desiderio? Come<br />

sì può dimenticare la voce scura e indomabile del<br />

proprio corpo? Come sì può dimenticare l'oblio?<br />

Forse perdendosi nell'ebbrezza, gettandosi tra le<br />

braccia del mondo, azzardando, scopando con gli<br />

sconosciuti? Forse, forse... No, deve prendere quelle<br />

lettere e cospargerle sul suo corpo nudo. Devono<br />

aderire le due vite. Deve rinnestare i ricordi in se<br />

stessa.<br />

Vuole fare l'amore con quelle lettere. Le vuole per<br />

sempre? Le vuole dimenticare?<br />

Non sa. Le viene da piangere. Sente che è un gesto da<br />

compiere. Un gesto che non ha senso, un rito. E porti<br />

dove porti, non fa nulla dove.<br />

Un gesto sciocco forse. Ma è un dovere, è costretta a<br />

cospargersi con quelle lettere. Non ha scelta. E’ un<br />

rito.<br />

Uno stupido rito.<br />

Obbligatorio.<br />

135


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Nella sua vita è da un po' di tempo che non c'è scelta,<br />

solo necessità e azzardo. E’ davanti allo specchio,<br />

ricoperta di lettere. Piange.<br />

E’ cosciente che di fronte allo specchio c'è una<br />

mummia che respira. Vorrebbe ridere, ma non può,<br />

non ce la fa. Lo specchio dorato invece, vecchio<br />

libertino, sorride, prendendosi gioco di questa<br />

sghemba figura.<br />

Ma a un tratto la ragazza sente una mano sulla sua<br />

gamba, una mano che la sfiora, la tocca, una mano<br />

che pian piano esplora il suo corpo e accarezza le<br />

lettere.<br />

Una mano le gira il volto. Solo il volto per ora lui<br />

vuole. La bacia lentamente attraverso la carta, fino a<br />

bucarla.<br />

E’ un bacio lento, drammatico, da capogiro.<br />

E’ il bacio dello sconosciuto, del ragazzo della strada.<br />

Il bacio diventa un vortice, un ustione, una vertigine.<br />

Ed è di nuovo incendio che divampa, fremito del<br />

corpo irrefrenabile.<br />

Desiderio puro.<br />

Ora lei ha la schiena poggiata contro lo specchio<br />

freddo, le lettere si strappano dal suo corpo, mangiate<br />

dai baci, mangiate dalla vicinanza dei corpi, dalla<br />

brama della pelle. Le sembra di precipitare, le sembra<br />

di non ricordare più nulla prima di questo istante,<br />

sente di non avere più un'identità, ma a tratti si<br />

riconosce in questa assenza.<br />

Si guardano.<br />

136


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Anche lui sembra rapito da qualcosa di ignoto.<br />

Nessuno si sa spiegare nulla, nessuno sa cosa sta<br />

accadendo, nessuno sa cosa accadrà dopo<br />

quell'orgasmo.<br />

Nessuno lo sa.<br />

La stanza è testimone dell'inesprimibile e quei corpi<br />

abbandonati sul tappeto non sembrano altro che il<br />

pensiero della piccola statua senza testa che se ne sta<br />

accovacciata al bordo del tavolo.<br />

In silenzio.<br />

indice<br />

137


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.9 Veronica brucia<br />

di Francesca Levo Calvi<br />

Sotto al perenne sorriso ed alla docilità e apertura<br />

verso gli altri, Veronica covava da molto tempo una<br />

profonda insoddisfazione di tutto e di tutti. Possibile<br />

che proprio lei, la sempreaposto, miss perfettina<br />

come l’avevano chiamata all’Università gli amici del<br />

suo giro, lei dalle mille risorse, disponibile ad<br />

ascoltarti se eri giù di corda, pronta a correre per<br />

addolcire una amica “sedotta e abbandonata” con una<br />

scatola di cioccolatini, Veronica con il cellulare mai<br />

scarico, aperto a tutti, intasato spesso dai messaggi<br />

degli amici.<br />

E lei?<br />

Veronica dove era, o meglio Veronica come stava ,<br />

tra una serata a tenere i bimbetti della Claudia, che<br />

doveva assolutamente andare insieme ad altri amici a<br />

sentire Ligabue, ed un’altra a consolare la sua eterna<br />

madre depressa?<br />

Era lunedì, un lunedì sconvolgente, perché Veronica<br />

per la prima volta nella sua vita non andò a lavorare,<br />

capo bibliotecaria degli uffici amministrativi della<br />

Biblioteca regionale, e neppure si alzò. Staccò la<br />

presa del telefono, spense il cellulare e si avvolse<br />

stretta sotto le coperte.<br />

Era un lunedì d’ottobre, con i platani variopinti dai<br />

colori della terra, e le foglie cadute mulinavano<br />

sospinte da un vento che già faceva pensare<br />

all’inverno.<br />

138


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Veronica veramente non pensava all’inverno, non<br />

pensava a nulla, raggomitolata con le lunghe braccia<br />

magre intorno alle sua lunghe gambe.<br />

Veronica era bella, di un bellezza poco appariscente ,<br />

ma a guardarla bene , con la chioma un poco incolta<br />

striata di biondo, con quelle lunghe dita affusolate,<br />

con quei profondi occhi azzurri che nessuna età<br />

aveva smorzato, tanto che a volte il suo sguardo non<br />

si riusciva a reggerlo, sembrava ti guardasse dentro,<br />

che ti soppesasse l’anima.<br />

Così passarono le ore, venne il pomeriggio, poi la<br />

sera, ed infine la notte. Non si era mossa da quel<br />

rifugio caldo se non per farsi una delle sue tisane<br />

preferite: petali di rosa spina, acero, mentuccia.<br />

Aveva anche sonnecchiato nel pomeriggio, ma ora si<br />

sentiva pronta.<br />

Pronta, decisa.<br />

Una fiamma covata per lungo tempo divampa e<br />

quella di Veronica divampò, senza lasciare spazio a<br />

ripensamenti, dubbi, esitazioni.<br />

Veronica voleva sparire.<br />

Ma non come quelli che vanno a vivere in un’altra<br />

città avvisando familiari ed amici, magari a qualcuno<br />

lasciando anche il numero del nuovo cellulare,<br />

oppure come quei mariti che dicono alla moglie che<br />

arrivano solo fino al tabacchino per le sigarette e poi<br />

spariscono, puf, come per incanto, se non per<br />

riapparire al fianco di una formosa ventenne qualche<br />

mese dopo.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

No, Veronica voleva andarsene insalutato ospite,<br />

consapevole che la sua vita ormai le stava stretta,<br />

che la imprigionava con mille agganci che lei non<br />

riusciva a rompere.<br />

Da un po’ di tempo si era resa conto che quello era<br />

l’unico modo per andare avanti, per non soccombere,<br />

lei che si sentiva come un vaso di coccio fra tanti vasi<br />

di ferro. No, prima che l’alba le portasse uno dei soliti<br />

giorni, quegli odiati giorni in cui Veronica non si<br />

riconosceva più, bisognava fuggire via, subito, in<br />

quella notte di inizio ottobre.<br />

Con calma si alzò e si fece un buon caffè<br />

all’americana, lungo quanto bastava per decidere<br />

valigia si valigia no. Scelse di non portare nulla con<br />

sé, niente di tutto quello che l’aveva circondata, e<br />

abbelliva il suo appartamento , al quarto piano , zona<br />

Parioli.<br />

Oggi, non importava più nulla. Né i dischi<br />

amatissimi dei Queen, né le morbide sciarpe fatte<br />

ascoltando al telefono l’ennesima lite coniugale di sua<br />

sorella Sofia.<br />

Oggi era tempo di jeans vecchi di anni, dell’ultima<br />

maglia viola presa al mercato, la borsa nero fumo che<br />

la solita amica riciclava come regali, ma che a lei era<br />

piaciuta comunque,e unica concessione, il suo<br />

profumo, Acqua 2000, del solito stilista che si mette a<br />

fare il profumiere. Ma quell’aroma le sembrava parte<br />

di lei, e forse lo era diventato perché non le era stato<br />

donato, ma perché era una delle poche cose che<br />

Veronica aveva scelto per sé.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Guardando nel portafoglio, si accorse di avere ancora<br />

la foto di lei ventenne, una ventenne dagli occhi<br />

ridenti. Senza esitazione, prese dei cerini dalla<br />

cucina,e avvicinò la fiamma al suo viso, alla Veronica<br />

che non era più ma di cui portava le ferite e le gioie<br />

nel cuore. La foto bruciò sollevandosi nell’aria, in uno<br />

strano balletto, per poi finire a terra in un mucchietto<br />

di cenere. Veronica sorrise, pur con nell’anima uno<br />

struggimento che comunque non l’avrebbe fermata.<br />

D’un tratto, il campanello di casa.<br />

Veronica si immobilizzò, gli occhi stretti e le braccia<br />

conserte, come a difendersi da quella sonora<br />

intrusione.<br />

Il campanello suonò ancora e ancora. Infine smise, si<br />

sentì il rumore dell’ascensore che si muoveva e poi fu<br />

nuovamente il silenzio. Silenzio nel quale Veronica,<br />

muovendosi come un gatto, raccolse giacca e borsetta<br />

e aprì la porta. Si fermò un istante, poi, preso il<br />

mazzo delle chiavi di casa, un mazzo che si era<br />

arricchito nel tempo con chiavi di amici, parenti,<br />

amanti che gliele lasciavano in custodia. Lo buttò con<br />

un gesto deciso sul divano, poi richiuse la porta.<br />

In capo a pochi giorni tutti gli amici, la madre, la<br />

sorella e tutti i numerosi parenti di Veronica si<br />

mobilitarono alla sua ricerca, passando dagli ospedali<br />

alle suore di clausura, dalle case di cura per malati<br />

mentali alle Comunità di vario tipo sparse per l’Italia.<br />

Niente.<br />

Così andarono a “Chi l’ha visto?” dando di lei una<br />

immagine di donna fragile, suscettibile ad essere<br />

141


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

magari stata irretita in un brutto giro. Ma non<br />

successe nulla, nessuna la notò, ci fu solo qualche<br />

telefonata ingannevole di persone a cui pareva di<br />

averla vista nei luoghi più disparati. Furono versate<br />

molte lacrime riprese dalle telecamere, ma poi, come<br />

al solito, subentrarono casi più interessanti e la caccia<br />

a Veronica smise.<br />

Si dimenticarono quasi tutti presto di lei, anche la<br />

madre depressa che , proprio negli studi televisivi<br />

incontrò un cameramen un poco anzianotto che la<br />

impalmò proprio quel Natale.<br />

Gli amici più legati a lei, ogni tanto fanno un brindisi<br />

sperando che Veronica viva come voleva e dove<br />

voleva lei.<br />

Solo un amico, un esperto di tarocchi e lettura della<br />

mano e altre magiche virtù, continua a vedere il corpo<br />

di Veronica uccisa in quel lontano ottobre di dieci<br />

anni fa, e sepolta nel Bosco dei Sette Venti.<br />

Veronica non lo sa, e comunque non gliene<br />

importerebbe nulla.<br />

Vive una vita decisa da lei, dove il vento di<br />

quell’inverno freddo l’ha portata, dove non ci sono<br />

chiavi per aprire le porte e il sole la riscalda tutto<br />

l’anno.<br />

indice<br />

142


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

3.10 Gloria<br />

di Rossella Rescaldani<br />

Gloria è una bella ragazza nigeriana.<br />

Ha poco più dì vent'anni, ma se, oltre al sorriso che<br />

mostra quando viene ad accogliere i nuovi arrivati al<br />

centro di prima accoglienza in provincia di Sassari, la<br />

si guarda negli occhi si può scorgere chiaramente un<br />

velo di tristezza, di stanchezza che la rende più adulta<br />

per la sua età.<br />

Ma, i segni di un “passato” non si leggono solo sul<br />

suo sorriso o nello sguardo, si vedono anche nel suo<br />

intero viso e dalle braccia percorsi da cicatrici non<br />

accidentali, dai suoi capelli rasati a zero non per<br />

scelta. Vedo le foto di qualche anno fa, Gloria ha i<br />

capelli lunghi, il costume tipico del suo paese,<br />

colorato, svolazzante,elegante e allegro, e soprattutto<br />

la pelle liscia, priva di segnacci.<br />

E' partita dalla Nigeria, da Lagos, rincorrendo un<br />

sogno.<br />

Studiava per diventare segretaria, il padre aveva una<br />

buona posizione, casa e soldi, poi ha deciso che<br />

voleva partire da sola, andare in Europa, in Italia.<br />

Padre e fratelli sono stati irremovibili :<br />

“Se vai scordati di noi!”<br />

Ma lei con l'avventatezza spensierata dei vent'anni è<br />

partita ugualmente senza guardarsi indietro.<br />

In Italia la realtà sì è immediatamente dimostrata<br />

molto diversa e così tra un lavoro, una città, un'amica,<br />

un amico è finita a prostituirsi.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Troppo orgogliosa per tornare indietro e rivolgersi<br />

alla sua famiglia, ha continuato quella vita finché non<br />

ce l'ha fatta più. E' scappata, è stata rintracciata.<br />

Dall'ospedale alla denuncia al centro.<br />

Ora sta meglio, si tiene occupata tutto il giorno per<br />

non pensare. Sbriga i lavori domestici, cucina, fa<br />

bricolage, soprattutto aiuta ad occuparsi “delle<br />

nuove”.<br />

Tramite la madre e le sorelle cerca di riallacciare i<br />

rapporti con il resto della sua famiglia che ancora non<br />

vuole parlarle, non l'hanno perdonata, tanto meno<br />

adesso che sanno, e che ha quei segni che non potrà<br />

mai nascondere.<br />

Gloria continua il suo programma, dice che quando<br />

l'avrà finito, vuole diventare mediatrice culturale.<br />

Per ora non se la sente di pensare troppo alla sua<br />

Nigeria.<br />

Attraverso il telefono non si vedono segni, ma si<br />

ascoltano solo sogni.<br />

Con il passare del tempo riuscirà, forse, un passo,<br />

due, tre, cento, mille, passi e i sogni saranno<br />

finalmente in libertà.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4. La Resistenza ieri e oggi<br />

4.2 La malora<br />

di Maurizio Asquini<br />

“Macchinista, macchinista faccia sporca, metti l’olio negli<br />

stantuffi, di risaia siamo stufi e a casa nostra vogliamo<br />

andar.”<br />

Così cantavano le mondine quando spingevo leve e<br />

giravo manopole per mettere in marcia la locomotiva<br />

che, sbuffando in aria il vapore, trascinava decine di<br />

vagoni con a bordo donne provenienti da ogni parte<br />

d’Italia.<br />

Conducevo il treno da Torino fino a Bologna e<br />

viceversa lungo le lucenti rotaie che brillavano al cielo<br />

azzurro delle primavere, e in lontananza si vedevano<br />

le Alpi con le cime ancora innevate. Attraversavo<br />

immense campagne, colline, città e paesi e a ogni<br />

stazione fermavo faticosamente il treno in cui<br />

scendevano e salivano ogni genere di passeggeri:<br />

pendolari con le loro tute blu, mercanti con le ceste<br />

colme di ortaggi o con le gabbie dei polli, soldati in<br />

licenza e famiglie in gita.<br />

Ma i giorni più belli erano a primavera, quando in<br />

ogni città, ondate di donne aspettavano<br />

impazientemente il mio arrivo occupando le banchine<br />

delle stazioni.<br />

I più salivano in Emilia e in Lombardia. Donne di<br />

ogni età e di ogni dialetto, lasciavano i loro fidanzati e<br />

i loro mariti per il periodo della monda e si univano<br />

in una marea di lavoratrici cariche di entusiasmo.<br />

145


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Quando raggiungevo Novara avvisavo dell’arrivo con<br />

un fischio, facevo strillare le ruote della locomotiva<br />

che slittavano sui lucidi binari delle stazioni.<br />

Sempre cantando, le povere donne scendevano dal<br />

treno con i loro fagotti carichi di pochi stracci e<br />

raggiungevano i camion, oppure dei semplici carri che<br />

le conducevano alle cascine.<br />

Terminata la monda, le rincontravo nelle stazioni con<br />

i loro stracci logori, la pelle ustionata dal sole e con il<br />

sacchetto di riso ricevuto come da contratto oltre alla<br />

magra retribuzione.<br />

E iniziavano a cantare:<br />

“Macchinista, macchinista faccia sporca, metti l’olio negli<br />

stantuffi, di risaia siamo stufi e a casa nostra vogliamo<br />

andar.”<br />

Poi, quando raggiungemmo un po’ di benessere e<br />

nelle case si sentì un pizzico di miglioramento<br />

economico, arrivò la guerra e la mia locomotiva<br />

dovette cambiare genere di passeggeri: alle stazioni<br />

non incontravo più mondine che cantavano; non più<br />

indaffarati mercanti e non più allegre famiglie, ma<br />

soltanto tristi soldati di ogni età, famiglie di sfollati<br />

con pochi bagagli recuperati dalle macerie, persone<br />

con i volti sempre più grigi, come se perdessero il<br />

colore della loro pelle.<br />

Anche la mia locomotiva non aveva più voglia di<br />

fischiare all’arrivo nelle stazioni: si limitava a<br />

rallentare e con peso morto giungeva lentamente alle<br />

stazioni, come un pesce che si arena sul bagnasciuga e<br />

non riesce più a ritornare nel mare.<br />

146


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Poi un giorno il mio treno cambiò rotta e iniziò un<br />

lungo percorso oltre il confine, fino laggiù in un<br />

paese dimenticato da Dio.<br />

Le carrozze furono sostituite da vagoni blindati.<br />

Sul mio treno non salivano più neppure i soldati ma<br />

uomini, donne e bambini con poche valigie.<br />

Portavano delle stelle al petto e nei loro sguardi<br />

appariva il terrore e la disperazione.<br />

I vagoni venivano chiusi con lucchetti e dietro ad un<br />

ordine, azionavo leve e giravo manopole che erano<br />

divenute dure e pesantissime, come se la locomotiva<br />

si rifiutasse di partire e odiasse quel tragitto. E anch’io<br />

iniziai a odiarlo; odiavo viaggiare lungo quelle rotaie<br />

della malora; rotaie che non brillavano più al sole<br />

primaverile, ma erano divenute arrugginite e opache<br />

come il colore del cielo.<br />

Poi c’erano i giorni di viaggio con l’angoscia che<br />

cresceva dentro, i lamenti dei passeggeri che<br />

sembravano canti infernali; l’acre odore della morte<br />

che usciva dai vagoni quando raggiungevo la<br />

destinazione laggiù in Polonia, un odore che mi<br />

obbligavo a non respirare, per non immaginare cosa<br />

stava accadendo e per non pensare che forse pure io<br />

ero complice di quella malora.<br />

Penso sempre a quando finirà questo incubo e<br />

quando nuovamente il mio treno ricomincerà a<br />

salutare le mondine alla stazione che un bel giorno<br />

riprenderanno a cantare come qualche anno fa.<br />

147


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

“Macchinista, macchinista faccia sporca metti l’olio negli<br />

stantuffi, di risaia siamo stufi e a casa nostra vogliamo<br />

andar.”<br />

indice<br />

148


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.3 Uccidete Cesare<br />

di Mario Bolognini<br />

Uccidete Cesare,<br />

pugnalatelo a morte,<br />

toglieteli il potere,<br />

spogliatelo delle vesti,<br />

strappategli la bianca tunica,<br />

arrossatela col suo sangue:<br />

il re é nudo.<br />

Vale meno di uno sputo,<br />

nano, deforme, bitorzoluto,<br />

lo hanno già mummificato,<br />

non figlio egizio ma del vizio.<br />

Grande ricostruttore,<br />

eccelso muratore,<br />

avido mercante di panzane,<br />

rapido inseguitore di sottane,<br />

amante plastico di cortigiane,<br />

sgorbio dipinto altrove<br />

dentro le muffe puzzolenti<br />

delle alcove.<br />

E con un digrignar di denti<br />

molli, sfatti, putrescenti<br />

ritroverà la strada del perdono,<br />

149


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

e tra un condono e l'altro,<br />

per dimostrarsi scaltro<br />

si perderà in fondo alla palude<br />

mentre qualcun della sua morte<br />

già discute...<br />

150<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.4 A Victor Jara<br />

di Roberto Bernardini<br />

Canterai ancora, Victor<br />

Non basterà averti colpito le mani,<br />

Averti colpito alla testa<br />

La tua voce continuerà a narraci<br />

La speranza del tuo popolo.<br />

Non basteranno le minacce<br />

Di un coltello o di un fucile<br />

Il ricordo di Amanda ti darà la forza<br />

Per descrivere al mondo<br />

Il volto del fascismo<br />

Che ora è quello di un generale.<br />

Il sangue del popolo cileno<br />

Il sangue del presidente Allende<br />

Ricadrà su di loro<br />

Dentro lo stadio c'è la mattanza...<br />

…E ancora la tua chitarra e la tua voce<br />

A narrarci delle vite spezzate<br />

E di uomini che muoiono<br />

Del terrore e della violenza<br />

Che non piegheranno la voglia di libertà.<br />

Paura come quella che vivo<br />

Paura come quella che muoio<br />

E poi il silenzio e il sangue.<br />

Ora nello stadio non c'è più nessuna voce.<br />

I venti del popolo ti chiamano<br />

I venti del popolo ti spingono<br />

E la tua voce salirà sui paesi e le città<br />

151


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Supererà i continenti e gli oceani<br />

Così quando la morte ti porterà<br />

Il poeta canterà il suo grido di libertà<br />

Attraverso i sentieri del popolo<br />

Adesso e per sempre.<br />

indice<br />

152


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.5 Sono andato a trovare il mio angelo<br />

custode<br />

di Brunello Buonocore<br />

Ogni tanto salta fuori questa faccenda degli angeli<br />

custodi: io non ho un'idea precisa al riguardo, ma<br />

tendenzialmente sono contrario. Non so se esistono<br />

e, se esistono, a che cosa servano. Probabilmente è<br />

una trovata di qualche pubblicitario: infatti molti<br />

fingono di essere degli angeli custodi, ma lo fanno<br />

solo per fregarti.<br />

Mi chiamano spesso per questo genere di lavori. Nel<br />

mio palazzo capita quasi tutti i giorni che qualcuno<br />

rimanga imprigionato in bagno e che occorra forzare<br />

la porta.<br />

Siccome sono agli arresti domiciliari, mi trovano<br />

sempre. E io provvedo.<br />

Statisticamente i tossici che collassano sono al primo<br />

posto, poi vengono quelli con la schiena che si blocca<br />

mentre fanno la doccia, solo terzi i vecchi che<br />

scivolano entrando o uscendo dalla vasca.<br />

Ma quello che è capitato ieri, è stato davvero<br />

incredibile: Jonathan,un ragazzino che abita al terzo<br />

piano, è morto per dieci minuti buoni. Poi è tornato.<br />

Mi hanno cercato, perché si sono messi a chiamare<br />

mezzo mondo: il 118, i carabinieri, la polizia, i vigili<br />

del fuoco, il farmacista, tutti i parenti possibili e<br />

immaginabili, anche Ion l'infermiere rumeno che<br />

abita nella mansarda...<br />

153


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Sono arrivato prima dell'ambulanza. Jonathan non<br />

respirava più; sua mamma gridava come una matta,<br />

sua nonna piangeva, un casino, non aveva ingoiato<br />

niente, non era caduto, non aveva preso nessun<br />

colpo; da quello che ho capito, aveva solo smesso di<br />

parlare ed era svenuto, poi aveva cominciato a<br />

cambiare colore; in poco tempo era diventato blu.<br />

Mentre lo guardavo e mi rendevo conto che non<br />

faceva nessun movimento, che se ne stava andando,<br />

mi sono arrivate addosso tantissime immagini, mi<br />

sono messo a sognare ad occhi aperti: qualcosa tra il<br />

flashback e il dejà vu, che poi non so bene la<br />

differenza tra le due cose, ma insomma credo di aver<br />

dato l'idea.<br />

Milano 2005, estate. Un bar di quelli piccoli, tipo<br />

latteria di una volta, un bar dove si guarda la<br />

Gazzetta dello sport e si aspetta che arrivi la roba.<br />

Entra un vecchio, vestito bene, ma ridotto uno<br />

schifo: è uno che non si fa la barba da un pezzo, che<br />

si lava poco: ha una camicia bianca bellissima, ma con<br />

soli due bottoni, anche i polsini sono senza bottoni.<br />

Si siede vicino a me; ha voglia di parlare ma io non ho<br />

voglia di ascoltarlo. Provo a dirglielo, ma lui va<br />

avanti lo stesso. Sarà che sono in astinenza, sarà che il<br />

vecchio è mezzo sdentato, ma non capisco quasi<br />

niente. Solo qualche passaggio in mezzo ad un delirio:<br />

la Resistenza, sua moglie che faceva la staffetta<br />

partigiana, suo fratello fucilato dai fascisti, l'altro<br />

fratello precipitato in montagna... Quando finalmente<br />

154


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

si ferma perché deve andare a pisciare, tiro un sospiro<br />

di sollievo e mi metto a chiacchierare con il barista.<br />

-Che rottura! Ma da dove salta fuori quel vecchio rincoglionito?<br />

-Il comandante Primo? ! E' un po’ andato, vero? !<br />

-Un po' tanto.<br />

-Guarda che se venivi solo tre mesi fa, lo trovavi<br />

completamente diverso... era un uomo molto in gamba... e sì che<br />

di guai gliene sono capitati parecchi...<br />

-Il fratello fatto fuori dai fascisti...<br />

-Beh, quello durante la guerra, poi c’è stato il resto...<br />

Ion sembrava un po' fumato, ma ha cercato lo stesso<br />

di fare qualche cosa. Si è inginocchiato e ha provato<br />

a svegliarlo, gli ha toccato il collo, gli ha aperto gli<br />

occhi, ma non ha ottenuto nessun risultato; allora ha<br />

perso la testa e ha cominciato a gridare: No è possibile,<br />

no è possibile, e si è messo le mani nei capelli.<br />

Quando è tornato, il comandante Primo aveva i<br />

pantaloni un po' bagnati. Si è avvicinato al bancone e<br />

ha ordinato una grappa. Visto che non avevamo<br />

niente da fare, il barista e io abbiamo deciso di fargli<br />

compagnia.<br />

-Come hai detto che si chiamava tuo fratello?<br />

-Giosuè.<br />

-Come Giosuè Carducci.<br />

-Sì, ma Giosuè è anche un nome biblico: Giosuè è quello che<br />

accompagna per un tratto Mosè nella salita al Monte Sinai...<br />

dove Mosè riceve le tavole dei dieci comandamenti... Mio padre<br />

era molto religioso, gli piaceva quel nome...<br />

-Perché lo hanno ammazzato ?<br />

155


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

-Giosuè era il primogenito, aveva due anni più di me. Era<br />

stato responsabile dell'Azione Cattolica.Dopo il 25 luglio del<br />

‘43 abbiamo deciso entrambi di partecipare alla Resistenza,ma<br />

non abbiamo combattuto molto. Una mattina è andato a fare<br />

un giro di perlustrazione e non è più tornato. Abbiamo<br />

ricostruito quello che può essere successo: ha incontrato alcuni<br />

ragazzi che conosceva e ha pensato che fossero dei soldati<br />

sbandati, si è fidato ed è andato con loro; invece erano dei<br />

fascisti. Lo abbiamo trovato due notti dopo, nella piazza di un<br />

paese al confine tra Piacenza e Pavia, impiccato con il fil di<br />

ferro. Gli avevano messo un cartello al collo: “questo è Giosuè,<br />

che credeva al Signore, all'amicizia e agli angeli custodi”.<br />

I volontari del 118 gli hanno messo l'ossigeno e<br />

hanno fatto spazio. Hanno chiesto a tutti di<br />

allontanarsi, ma io sono rimasto lì. Non ho visto<br />

quasi niente, ma ho sentito quello con i capelli<br />

bianchi che diceva:<br />

“Non ci capisco niente: forse è meglio non muoverlo e aspettare<br />

il dottore. Oramai dovrebbe arrivare”.<br />

Ho provato a chiedere al comandante Primo da dove<br />

proveniva il suo nome di battaglia, ma lui ha tagliato<br />

corto:<br />

-Adesso mi chiamo di nuovo Giovanni - ha detto-. Poi se<br />

n'è andato.<br />

Francesco, il barista, mi spiega che l'omicidio di<br />

Giosuè è stato solo l'inizio dei lutti.<br />

-Subito dopo la guerra ha perso l'altro fratello: un incidente in<br />

montagna, sul Monte Bianco. Ovviamente c'era anche lui, il<br />

comandante, ma era più avanti, perché voleva arrivare in vetta.<br />

Mio padre era andato con loro e mi ha raccontato tutta la<br />

156


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

tragedia, una vera e propria tragedia greca con l'eroe che<br />

abbraccia il corpo senza vita del fratello e tutto il resto...<br />

Il medico era uno che sapeva il fatto suo. Calmissimo,<br />

si è messo al lavoro non come se avesse di fronte un<br />

ragazzino colore blu, mezzo morto, ma una cartella<br />

da compilare. Gli ha fatto un paio di punture, gli ha<br />

dato un pugno sul petto e Jonathan è resuscitato; ha<br />

spalancato gli occhi e, mentre si guardava intorno, sua<br />

nonna l'ha detta la cretinata che mi aspettavo:<br />

Finalmente sei ritornato, Jonathan! Bravo! Eri andato a<br />

trovare il tuo angelo custode?<br />

Da quel giorno mio padre e il comandante sono diventati<br />

inseparabili - prosegue Francesco-.<br />

Insieme hanno fatto molto in questo quartiere: prima si sono<br />

occupati dei barboni e poi degli immigrati; per parlare con loro<br />

c'era sempre la fila, a volte anche di notte. Poi mio padre ha<br />

lasciato perdere, abbiamo aperto questo bar... ma mi ha dato<br />

l'ordine di non fare mai pagare il comandante… anche se<br />

adesso viene qui solo per ubriacarsi.<br />

-Fammi indovinare: la moglie lo ha mollato!<br />

-Ma figurati! No, la moglie, la famosa Maria, la staffetta<br />

partigiana, è morta tanti anni fa...<br />

-E allora?<br />

-E' una cosa che è successa tre mesi fa... Come spiegare:<br />

manifestazione e corteo contro i naziskin, che hanno fatto una<br />

spedizione punitiva e riempito di botte due marocchini. Il<br />

comandante, insieme a mio padre, è in prima fila. Sua figlia è<br />

in fondo al corteo. Partono dei colpi di pistola, sparati da<br />

chissà chi e Mariella, colpita alla testa, rimane a terra. Muore<br />

157


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

due giorni più tardi. Da quel momento Primo ha incominciato<br />

a bere.<br />

Non sono ai domiciliari per la droga: ho smesso tre<br />

anni fa. E per sempre. Ogni tanto finisco dentro<br />

perché faccio a botte; è una cosa più forte di me;<br />

sono uno che si incazza facile...<br />

Quasi tutti i giorni i carabinieri passano a<br />

controllarmi, oggi è venuto il maresciallo in persona.<br />

-Rossi! - ha esordito-<br />

-Rossivalerio! - ha rafforzato, convinto che il cognome<br />

prima del nome faccia un certo effetto-.<br />

Poi gli è partita la suoneria del telefonino con il<br />

motivetto di Vitti Na Crozza e la sua carica di<br />

autorevolezza è parecchio diminuita. Ha spento.<br />

-Tu lo sai che non devi fare il furbo, eh?<br />

Inizialmente non ho risposto.<br />

-Lo sai o non lo sai?<br />

-Lo so, lo so.<br />

-Lo sai che già ti va molto bene che noi chiudiamo un occhio e<br />

ti permettiamo di muoverti all'interno di questo condominio per<br />

fare qualche lavoretto, diciamo così, di piccola manutenzione...<br />

-Sì, ma è un accordo ...<br />

-E' un accordo molto favorevole per te, visto che ce ne sono<br />

tantissimi agli arresti domiciliari che non si possono muovere<br />

da casa loro... sennò scatta l'evasione...<br />

-Ne sono consapevole, maresciallo.<br />

-Allora, prima di tutto, ringraziami.<br />

-Grazie, maresciallo, e grazie anche al signor giudice...<br />

-Bene. Per l’appunto. Il magistrato ha acconsentito alla tua<br />

richiesta di recarti al funerale... dopodomani.... Lo sai, vero?<br />

158


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

-Sì,l’ho saputo.<br />

-Rossivalerio, cerca di capirmi bene. Al funerale ci verrò<br />

anch'io. Non voglio casini: niente provocazioni, niente<br />

slogan,niente applausi.<br />

-Niente,glielo garantisco.<br />

Il funerale è quello del Comandante Primo, che<br />

insieme a Francesco, qualche mese fa, ho salvato da<br />

un più che probabile pestaggio. Tre fascisti lo hanno<br />

trovato, molto ubriaco, sdraiato sul marciapiede; lo<br />

hanno insultato, gli hanno sputato addosso, uno ha<br />

detto che andava a prendere la tanica con la benzina.<br />

Noi due siamo intervenuti, senza chiedere<br />

spiegazioni, ma facendo subito andare le mani e i tre<br />

fighetti hanno chiamato le forze dell'ordine.<br />

-Comunque ieri qui per poco non ci scappa il morto, eh?<br />

-Sì, sembrava proprio...<br />

-Lo sai che anche a me una volta è capitata una cosa del<br />

genere...<br />

e a quel punto ho davvero temuto che il maresciallo<br />

tirasse fuori anche lui gli angeli, che dicesse qualcosa<br />

del tipo “sono andato a trovare il mio angelo custode,<br />

ma poi sono tornato indietro”, e invece:<br />

-Ero ancora a Catania,carabiniere da pochi mesi. Stavamo<br />

interrogando un pesce piccolo, che però qualcosa sapeva. Lo<br />

abbiamo strattonato un tantino, così solo per fargli paura, e lui<br />

all'improvviso ci è crollato sulla scrivania. Ha comincialo a<br />

rantolare; sembrava proprio che stesse morendo...<br />

-Avrete avuto paura ...<br />

-Ma che paura? Paura mai. E non era quello il problema…<br />

Lo sai che cosa mi rendeva disperato? ma proprio disperato? ...<br />

159


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Non so come dirlo: il fatto di non riuscire a salvarlo, di vedere<br />

che moriva e che io non ero in grado di fare proprio niente.<br />

-E poi è morto?<br />

-Sì, è morto: un infarto fulminante.<br />

-Beh, certo che deve fare impressione quando uno ti muore<br />

davanti....<br />

-No, assolutamente no. Nella mia vita ne ho visti sai, appena<br />

morti o ancora in fin di vita... ma mi fanno più impressione<br />

quelli che muoiono poco alla volta, giorno dopo giorno...<br />

-Cioè quelli malati? quelli in fase terminale?<br />

-Ma no, Rossi.., non sai proprio niente: quelli come il tuo<br />

amico del funerale, il comandante partigiano, che è già da un<br />

pezzo che si è lasciato crepare...<br />

-Sì... penso che sia abbastanza vero...<br />

-O come te, Rossivalerio, che stai morendo poco a poco e<br />

nemmeno te ne accorgi. E' vero, Rossi? è vero o non è vero?<br />

Lo sai o non lo sai?...<br />

Guardo il maresciallo che se ne va, camminando<br />

spedito come inseguendo il ritornello di Vitti Na<br />

Crozza, che sicuramente gli sta risuonando in tasca, e<br />

penso che questo strano carabiniere è meno stupido<br />

di quanto vuole fare credere, che ha fatto proprio<br />

centro, e senza nemmeno bisogno di tirare in ballo gli<br />

angeli custodi.<br />

indice<br />

160


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.6 Il saluto<br />

di Bruno Bianco<br />

-Bene, bravo, complimenti! Belle figure che ci fai fare!<br />

L'ingegner Giovanni Serra era inviperito; il figlio era<br />

in mezzo al soggiorno, tra il padre che urlava, la<br />

madre che aspettava di parlare e il nonno seduto in<br />

poltrona che non capiva.<br />

-Ma papà, il commissario te l'ha spiegato. Noi<br />

stavamo solo manifestando pacificamente...-<br />

-Giusto, parliamo della manifestazione; dimmi cosa<br />

c'entri tu con il Dufur...-<br />

-Si chiama Darfur papà ed è la più grossa tragedia<br />

umanitaria del mondo.-<br />

-Dufur o Darfur è la stessa cosa. La manifestazione<br />

non era autorizzata e in questa famiglia la prima<br />

regola è che le regole vanno rispettate; anche quando<br />

non sei d'accordo! Io e tua madre siamo sempre stati<br />

il migliore esempio; per non parlare del nonno.<br />

Guarda il nonno come deve essere contento di avere<br />

un nipote così.<br />

Si girarono verso il nonno che era seduto sulla<br />

poltrona. Al cavalier Serafino Serra era sembrato che<br />

quelle urla si allontanassero finché d'un tratto non<br />

aveva sentito più niente; come una porta che si<br />

spalanca, gli era tornato tutto alla memoria, tutto<br />

quello che era successo in quel lontano ‘36.<br />

Lui lo ricordava bene il suo paese a quei tempi; 900<br />

anime e nemmeno tutte tanto fedeli al duce. A lui<br />

invece il duce non dispiaceva e non capiva come<br />

facessero tanti suoi amici a non entusiasmarsi per un<br />

161


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

uomo così. Già, i suoi amici; bravi ragazzi, però un<br />

po’ pigri, senza ambizioni se non quella di tirare il<br />

collo a un coniglio da mangiare tutti insieme con un<br />

bottiglione di vino rosso. Così a volte si ritrovava ad<br />

ammirare Franco e quelli della sua banda; erano<br />

quattro gatti, ma in paese si facevano sentire. Il<br />

sabato giravano con la camicia nera e raccontavano<br />

dei raduni in città di quelli come loro, a fare il saluto<br />

romano al quadro del duce, a commentare i successi<br />

dell'Italia in Africa, a organizzare le iniziative per la<br />

propaganda; almeno loro avevano un po’ di<br />

ambizione, un po’ di voglia di uscire da quelle nebbie<br />

e da quel fiume che comandavano sempre al posto<br />

tuo.<br />

Poi come podestà era stato nominato il ragionier<br />

Emilio Chiaretti; quello sì che era uno ambizioso.<br />

Era riuscito a ottenere una visita ufficiale del duce in<br />

persona; sarebbe venuto a inaugurare una qualunque<br />

nuova costruzione. Il ragionier Chiaretti aveva deciso<br />

per un ponte, proprio dove il fiume si restringeva a<br />

tal punto che tra le due rive c’era poco più di qualche<br />

metro; era subito partita la ricerca di gente disponibile<br />

a dedicare fatica e sudore alla costruzione.<br />

Lui era stato l’unico tra i suoi amici ad accettare;<br />

perché gli piaceva l’idea, perché già pensava a quando<br />

sarebbe arrivato il duce in visita e anche perché la<br />

paga era buona. Franco e i suoi però si erano presi a<br />

cuore la storia del ponte; di giorno lavoravano<br />

insieme agli altri e di sera andavano per il paese a<br />

convincere alla loro maniera i giovani a dare una<br />

162


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

mano per il ponte. Così nei giorni successivi i suoi<br />

amici uno a uno avevano iniziato a lavorare per il<br />

ponte e lui era contento, pregustando di vederseli a<br />

fianco alla parata, schierati e allineati di fronte al duce.<br />

Avevano già iniziato le prove, con Franco e suoi che<br />

organizzavano lo schieramento; lui era ogni giorno<br />

più entusiasta e pian piano anche i suoi amici si<br />

stavano convincendo.<br />

-Chi l’ha già visto dice che il duce quando arriva ti fa<br />

paura solo con lo sguardo; poi arrivano i bambini con<br />

i fiori e lui ti fa un sorriso come il più bravo dei papà.<br />

-Se volevate fare cose inutili per il piacere del duce,<br />

potevate trovare qualcosa di meno faticoso.<br />

Emilio era l'unico del gruppo che non si era fatto<br />

convincere; ripeteva sempre che non aveva<br />

bisogno dei soldi del ponte, che gli bastava quello che<br />

prendeva nell' officina del padre.<br />

-Ieri sera Franco è di nuovo venuto a dirmi che può<br />

essere pericoloso girare per il paese da solo,quando<br />

sono tutti a lavorare sul ponte. Sapete cosa gli ho<br />

risposto?<br />

“Al mondo la gente o lavora per bisogno o lavora per<br />

paura. E siccome io non ho bisogno, io non lavoro<br />

per il ponte.”<br />

Questo gli ho risposto;che a me paura non l'ha mai<br />

fatta nessuno.-<br />

Così a parte Emilio, c'erano proprio tutti nell'ultima<br />

prova generale, anche i bambini con le maestre e le<br />

ragazze a portare i fiori. Poi erano andati a bere in<br />

osteria un bicchiere di quello buono, che in tasca<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

soldi ce n'erano come mai ne avevano avuti. Emilio<br />

non si era visto quella sera, forse perché era<br />

arrabbiato per la storia del ponte o forse solo perché<br />

la sera prima aveva bevuto troppo; era così ubriaco<br />

che verso mezzanotte era salito in piedi sul tavolo, si<br />

era messo le mani sui fianchi e si era messo a parlare<br />

come il duce quando lo vedevano nei cinegiornali.<br />

-Scendi Emilio che ti portiamo a casa.<br />

-Ma quale casa! La mia casa è l'Italia! E in<br />

quest’Italia... ho costruito un ponte... un ponte<br />

lungo... lungo tre metri ! Un ponte utile... che serve<br />

come il guano dei maiali! Viva il duce!<br />

E aveva chiuso con una pernacchia prima che<br />

fossero riusciti a tirarlo giù dal tavolo per portarlo a<br />

casa, perché da solo non ci sarebbe mai arrivato.<br />

Anche lui si era convinto che quella sera Emilio non<br />

era venuto in osteria per la ciucca della sera prima;<br />

però tornando a casa, sulla sinistra della strada, aveva<br />

visto un'ombra che si muoveva. Quando si era<br />

avvicinato e aveva guardato bene, aveva visto che<br />

quell'ombra era Emilio coricato a terra; si teneva la<br />

pancia con le due mani e da qualche parte gli doveva<br />

essere uscito del sangue perché aveva la camicia<br />

sporca e delle macchie un po’ dappertutto. Lui l’aveva<br />

aiutato a rimettersi in piedi e lo aveva trascinato fin<br />

dentro casa. Gli aveva levato la camicia sporca di<br />

sangue e lo aveva anche aiutato a lavarsi la faccia;<br />

lentamente Emilio aveva ripreso un po’ le forze,<br />

almeno per riuscire a starsene seduto con il fazzoletto<br />

in mano e tamponare le ferite più gravi.<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

-Almeno puoi dirmi cos'è successo?<br />

-Ti ho detto che non è successo niente! Adesso puoi<br />

anche andartene; domani devi essere riposato per far<br />

bella figura davanti al duce! Vai che c’è il duce che ti<br />

aspetta, c’è Franco che ti aspetta e se arrivi tardi<br />

finisce che quello si arrabbia.<br />

A quel punto se ne era andato e il mattino alle 7 era<br />

già in piedi. Gli uomini facevano gli ultimi ritocchi al<br />

palco, le maestre sistemavano i bambini e le ragazze<br />

con il vestito della festa si raccontavano chissà quali<br />

confidenze; il maresciallo, il parroco, il medico, tutte<br />

le persone più in vista del paese avevano preso posto<br />

di fianco al palco, mentre la gente si stava sistemando<br />

di fronte a una decina di metri. Tra le autorità e la<br />

gente normale, c’erano loro, quelli che avevano<br />

lavorato per il ponte e lui aveva avuto il posto in<br />

prima fila.<br />

Alle undici precise aveva visto arrivare il corteo; tre<br />

macchine lucide marciavano spedite alzando la<br />

polvere sullo stradone. Quando dalla prima macchina<br />

era sceso il duce in persona era stato tutto un<br />

entusiasmo; i fotografi scattavano in continuazione, le<br />

autorità facevano il saluto romano, i bambini<br />

intonavano un canto, le ragazze portavano i fiori. Poi<br />

il duce era salito sul palco e tutto era pronto.<br />

L’avevano provata centinaia di volte; alla prima parola<br />

tutti dovevano fare il saluto romano e nello stesso<br />

momento urlare “Duce!” con quanta più voce<br />

avessero in gola. Il duce si era sistemato sul palco; si<br />

era girato a destra e sinistra, preso un lungo fiato e<br />

165


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

come gli era uscita la prima parola, l’urlo di tutto il<br />

paese era stato unico, mentre si levavano le braccia<br />

destre tese verso il cielo con le palme della mani ben<br />

aperte. Tutte le mani si erano alzate, tutte meno una:<br />

la sua.<br />

Lui era rimasto fermo, in prima fila, le mani nelle<br />

tasche dei pantaloni, lo sguardo dritto a fissare il<br />

duce. Come in un campo di grano, tra migliaia di<br />

spighe gialle un unico filo d’erba verde sembra che lo<br />

vedi da qualunque parte guardi, così lo avevano visto<br />

tutti; quella mano bassa tra quelle alzate, quell’unico<br />

filo verde tra tutte spighe gialle. I dettagli della<br />

mattinata non li ricordava più, il discorso del duce<br />

che parlava di Abissinia e di Africa, la banda che<br />

suonava, il duce con le autorità che camminavano sul<br />

ponte. Però ricordava la sera, quell’incontro sulla<br />

strada verso casa; Franco e i suoi lo avevano<br />

circondato con Franco che parlava per tutti.<br />

-Stamattina ho scoperto che hai una grave malattia:<br />

non riesci ad alzare il braccio destro. Non devi<br />

preoccuparti, perché esiste la cura per questa malattia.<br />

Alza il braccio. Alza il braccio, Serafino!-<br />

E uno degli altri gli aveva affibbiato un pugno nel<br />

fegato. Lui allora aveva alzato il braccio.<br />

-Bravo Serafino. Adesso tienilo bello teso, apri bene<br />

la mano; bravo Serafino, vedi che vai già meglio.<br />

Resta pure così; che più tieni il braccio alzato e prima<br />

la malattia ti guarisce.-<br />

Era dovuto restare così per minuti e minuti, ogni<br />

volta che faceva cadere il braccio, il pugno nel fegato<br />

166


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

arrivava puntuale; lui rialzava il braccio e alla fine<br />

aveva perso il conto di quanto tempo era rimasto con<br />

il braccio alzato, di quante volte lo avesse fatto<br />

scendere, di quanti pugni avesse preso.<br />

-Adesso sei davvero guarito e se la malattia ritorna,<br />

noi arriviamo subito a guarirti.-<br />

Gli avevano dato un ultimo pugno nello stomaco e<br />

l’avevano lasciato lì, piegato in due, a sputare per<br />

terra, a tenersi le mani sul ventre, a massaggiarsi quel<br />

braccio destro quasi addormentato.<br />

Il suo ricordo finiva lì, in mezzo alla strada a non<br />

pensare né a Emilio, né a Franco, né al duce, ma solo<br />

ai dolori che sentiva per il corpo; e tutto quanto era<br />

venuto in seguito, la guerra, i partigiani, i<br />

repubblichini, i suoi amici morti, quelli erano ricordi<br />

sbiaditi di un’altra storia. Anche se molti anni dopo,<br />

un po’ per caso era finito a una mostra dal titolo “Le<br />

fotografie vietate del Ventennio”. Erano immagini<br />

che la censura dell’epoca aveva bloccato; un gerarca<br />

che si inciampa davanti a Mussolini, Mussolini che<br />

scende da un aereo con un movimento goffo,<br />

Mussolini che fa un mezzo inchino al re d’Italia. Poi<br />

in mezzo alle altre, una foto con Mussolini davanti a<br />

un ponte, di fronte uno schieramento di persone con<br />

la mano destra alzata e fra tutti un ragazzotto con la<br />

mano in tasca. La foto non era riuscito ad averla e il<br />

ricordo era finito nello sgabuzzino della sua memoria.<br />

-Scusami nonno se ti ho fatto preoccupare per quello<br />

che è successo.-<br />

167


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Suo nipote adesso era davanti a lui a fare il bravo<br />

ragazzo ubbidiente.<br />

-I tuoi genitori hanno ragione; ti hanno insegnato a<br />

rispettare le regole e le regole si rispettano sempre,<br />

anche quando non sei d' accordo.-<br />

Aveva messo su un’intonazione burbera, fingendo<br />

rabbia e delusione.<br />

-Le scuse sono accettate; adesso veditela con tua<br />

madre e tuo padre.-<br />

Il nipote si era già voltato, ma lui l’aveva richiamato.<br />

-Ma poi questo Dufur dov' è? E' tanto lontano<br />

dall’Abissinia?-<br />

-Darfur, nonno, si chiama Darfur. Ma dov’è<br />

Quest’Abissinia?-<br />

-Niente, niente. Mi confondo con un altro posto.-<br />

Guardò il nipote che andava verso i genitori; sentiva<br />

quasi in lontananza le voci di sua nuora che vietavano<br />

lo scooter per un mese e l'uscita del sabato sera per<br />

due o tre volte. Per fortuna a suo nipote era andata<br />

meglio che a lui. Si sistemò bene la coperta sulle<br />

ginocchia; il medico gli diceva sempre che alla sua età<br />

è meglio coprirsi, prendere le medicine negli orari<br />

giusti, mangiare in maniera regolata. Ma adesso aveva<br />

quasi caldo e quella coperta gli dava anche fastidio; la<br />

piegò accuratamente e la sistemò sul tavolino a<br />

fianco.<br />

Le regole vanno rispettate, anche quando non sei<br />

d’accordo. Sempre. indice<br />

168


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.7 Ivan<br />

di Silvia Pesce<br />

Mi è sempre piaciuto l’inverno. Da bambino<br />

aspettavo con trepidazione i primi fiocchi.<br />

“Mamma, mamma! Fiocca, Fiocca!” E di corsa giù<br />

con la slitta.<br />

Dopo coi piedi scalzi e gelati la neve aveva assunto<br />

tutto un altro sapore.<br />

Ci avevano mandati in Russia a combattere, noi<br />

alpini, ma chi la conosceva questa Russia?<br />

E soprattutto perché non ci spedivano delle scarpe,<br />

pure il cartone che usavamo per coprirci i piedi<br />

cominciava a scarseggiare.<br />

Mi veniva spesso in mente il giorno di S. Filippo al<br />

paese, quando, noi bambini, col cartone colorato<br />

adornavamo il carretto che lo trasportava per il borgo<br />

e poi tutti orgogliosi correvamo in piazza per vedere<br />

passare la processione e per mangiare la buona<br />

crostata del Santo che faceva sempre nonna Teresa.<br />

Non avevo più voglia di combattere. La delusione mi<br />

aveva sfiancato. Io partito volontario , tornavo<br />

distrutto nelle gambe e nell’anima.<br />

Noi ragazzetti ribelli andavamo sempre ad ascoltare i<br />

suoi roboanti discorsi alla radio e chissà perché ci<br />

sentivamo ad ogni parola un po’ più italiani.<br />

Ora mi viene da ridere. Che montagna di frottole ben<br />

raccontate.<br />

Eravamo partiti in dieci amici e tornavo io da solo,<br />

senza la vittoria che ci credevamo già in tasca.<br />

169


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

L’otto settembre ero sicuro che la guerra finalmente<br />

fosse finita. L’esercito si era sbandato e non vedevo<br />

ragione per restare io in caserma. Volevo solo tornare<br />

a casa.<br />

Ma presto avevo capito di essere considerato solo un<br />

disertore badogliano da parte di quelli per cui<br />

avevamo combattuto fino ad agosto.<br />

Non mi sarei fatto prendere per essere mandato in<br />

qualche campo di lavoro in Germania o per essere<br />

arruolato tra le file dei repubblichini.<br />

Le strade erano continuamente attraversate da<br />

colonne di soldati e decisi quindi di viaggiare col buio<br />

mentre di giorno mi sarei dovuto nascondere.<br />

Avevo trovato un buon rifugio nel fienile di una<br />

vecchia cascina un po’ diroccata.<br />

Che profumo... proprio nel fieno avevo fatto l’amore<br />

per la prima volta con la mia Angelina. Sarei tornato<br />

per sposarla ... glielo avevo promesso mentre il treno<br />

partiva dalla stazione.<br />

Chissà se ci aveva creduto ...<br />

Improvvisamente un rumore che avevo imparato a<br />

conoscere fin troppo bene mi scosse dal mio dormi<br />

veglia.<br />

Una raffica aveva colpito la testa di una colonna in<br />

marcia sulla strada.<br />

Dalla mia posizione contavo cinque caduti tedeschi.<br />

Un bambino che probabilmente costringevano a fare<br />

loro da guida colse l’occasione e si gettò giù dalla<br />

“riva” nascondendosi tra gli alberi.<br />

170


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Lo stupore iniziale fu presto sostituito da una furia<br />

omicida.<br />

A dieci uomini fu ordinato di perquisire le cascine dei<br />

dintorni e di trovare il nascondiglio dei partigiani.<br />

Un vecchio e una ragazza furono trascinati all’aperto.<br />

Li potevo vedere chiaramente.<br />

I soldati esitarono ma il loro comandante presa la sua<br />

pistola li giustiziò seduta stante. Vomitai anche<br />

l’anima.<br />

Ma nel mentre avevo deciso già quale sarebbe stato il<br />

mio nome di battaglia. Ivan.<br />

Avevo sentito spesso i tedeschi chiamare così i soldati<br />

russi, con un certo timore, e un po’ di quel timore<br />

volevo incuterlo io.<br />

Da allora in sei mesi di guerriglia ne ho uccisi di<br />

tedeschi...<br />

Mi sono sempre chiesto la differenza che passa tra un<br />

eroe, un assassino e uno che imbraccia per caso un<br />

fucile.<br />

Ma ora sono qui, proprio con un bel fucile tedesco<br />

puntato alla tempia. Non sono mai stato bravo a<br />

nascondermi.<br />

Anche quando giocavamo a nascondino con gli amici<br />

venivo trovato subito. Fisso il meraviglioso tramonto<br />

estivo. Che bel rosso...<br />

indice<br />

171


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.8 4/11/1944<br />

di Alessandro Bertolino<br />

Erano giorni che non sentivo un gallo cantare:<br />

di sicuro un fuggiasco, come noi<br />

(volentieri altrimenti trasformato<br />

da sveglia a colazione); ma non è la fame<br />

di questi tempi la peggior nemica.<br />

Rinaldo fuori ha quasi terminato<br />

il turno: è toccato a lui vegliare.<br />

So bene anch’io quant’è difficile<br />

tenere gli occhi aperti la notte<br />

nel bosco, distinguere il fruscio<br />

del capriolo dal passo del soldato,<br />

il fiato della lepre dal rantolo<br />

del cacciatore d’uomini.<br />

Ecco la nostra sorte: prede.<br />

Quante cascine abbandonate<br />

ancora visiteremo con le armi,<br />

pregando che nessuno,<br />

nascosto, gridi: “Halt, banditen!”?<br />

quanti ragazzi come noi tremanti<br />

cattureremo?<br />

Ma inizia ad essere già tardi,<br />

sebbene sia soltanto l'alba<br />

bisogna muoversi, spostarsi<br />

verso un altro rifugio.<br />

Domenico ha scaldato il surrogato<br />

di caffè, sento il profumo e infatti<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

il suo accento siciliano, sottovoce<br />

mi sta arrivando: “Fofò, il caffè!..”<br />

I primi raggi tra i faggi<br />

sfidano la foschia e scendono<br />

a intiepidire Cantalupa:<br />

svegliati all’improvviso dal<br />

crepitio lontano delle mitragliatrici<br />

( “provengono dalla baita abbandonata”<br />

dicono, sicuri e mesti in volto, alcuni vecchi),<br />

anime martoriate e demoni uncinati<br />

si preparano ad affrontare di nuovo<br />

un freddo mattino di novembre.<br />

173<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.9 Banda stella<br />

di Claudio Mucci<br />

Il bosco porta ancora il respiro della notte.<br />

Da una roccia che domina una pozza, gioco a seguire<br />

i rametti trascinati dalla corrente e penso se alcuni di<br />

loro ce la faranno ad arrivare al mare.<br />

Il rumore del ruscello squarcia il silenzio e l’aria<br />

d’ottobre mi pizzica il viso.<br />

Da alcuni minuti cresce la sensazione che qualcuno<br />

mi segua e da vicino osservi i miei movimenti. Sento<br />

dei passi, mi alzo di scatto e vedo arrivare Gianluca<br />

che trascina goffamente un largo cestino di vimini. La<br />

sua presenza allontana quella tetra percezione. Non<br />

gli do il tempo di scusarsi per il ritardo e<br />

c’incamminiamo verso il monte Caucaso.<br />

Attraversiamo due grandi prati divisi dal torrente e<br />

c’inoltriamo nel sottobosco. Qui le nostre strade si<br />

dividono. Gianluca sale dalla parte orientale, mentre<br />

io mi sposto più ad ovest. Ogni tanto ci chiamiamo<br />

con un fischio per non allontanarci troppo.<br />

Cammino solo con i miei pensieri sul sentiero che<br />

conosco fin da bambino e non guardo intorno a me,<br />

finché mi ritrovo ai margini di una faggeta fitta e<br />

ordinata come una spazzola.<br />

Non ricordo della sua esistenza. Aumento il passo e<br />

spero di ritrovare la via giusta, ma quasi alla fine del<br />

boschetto, un fremito scuote il mio corpo.<br />

Rimango immobile. A circa venti metri in una radura<br />

più in basso, avvolta nella nebbiolina del mattino,<br />

intravedo una figura. Non riesco a distinguerne la<br />

174


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

natura e qualunque cosa sia, non si accorge di me.<br />

Sembra un uomo incappucciato. Forse in difficoltà.<br />

Penso di andarmene, invece, avanzo qualche metro<br />

con cautela.<br />

E’ un ragazzo inginocchiato con le mani sul volto.<br />

Porta una lunga e usurata giacca ed un berretto scuro<br />

a punta. Al collo un fazzoletto rosso che spicca nel<br />

marrone del bosco.<br />

Di colpo si volta ed i nostri occhi s’incrociano per<br />

lunghi secondi, dopo i quali egli indietreggia e sempre<br />

fissandomi, fugge rapido tra gli alberi.<br />

I suoi occhi grigio chiaro lacrimavano. Rimango<br />

impietrito.<br />

Un fischio di Gianluca mi riporta alla realtà. Gli<br />

rispondo.<br />

Raggiungo il punto esatto dove sedeva quel giovane e<br />

dal tappeto di foglie scorgo una corteccia con<br />

un’incisione. Non si legge molto bene. Sembra un<br />

nome ed una data: “Emma 1920-1944”.<br />

Due grosse pietre reggono un piccolo vasetto di<br />

ceramica con del terriccio dentro.<br />

Partito alla ricerca di funghi, mi ritrovo ora davanti<br />

alla lapide di una donna.<br />

Stupito, esploro per alcuni metri la radura e<br />

memorizzo la sua posizione.<br />

Il primo pensiero concreto, conduce alla lotta<br />

partigiana, assai prolifica in queste valli. Intanto il sole<br />

sorge ed illumina il bosco.<br />

I suoi raggi scaldano il terreno ancora umido e<br />

rendono quel luogo meno spettrale. Mi siedo e bevo<br />

175


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

dell’acqua per tranquillizzarmi. L’immagine di quel<br />

giovane persiste.<br />

Riprendo il sentiero e dopo alcuni passi mi volto<br />

ancora, come per salutare un amico.<br />

Gianluca comincia a sfottere per il mio cesto<br />

semivuoto e mostra sorridente i suoi trofei. Non<br />

reagisco e mantengo il segreto.<br />

Torniamo a casa fra i mille discorsi di Gian e quel<br />

mistero che mi assilla la mente.<br />

Senza neppure spogliarmi digito sul motore di ricerca<br />

“Emma partigiani Aveto”.<br />

Le annotazioni e le foto di un libro sulla resistenza<br />

ligure, catturano la mia attenzione. Leggo<br />

attentamente: “La squadra era formata da Buga, un<br />

impiegato di Genova. Alto e magro con le spalle<br />

curve in avanti, come se avesse sempre uno zaino<br />

pesante sulla schiena. Gli occhi neri, rotondi e<br />

inespressivi, ricordavano la Buga, un tipo di pesce<br />

comune in Liguria. Sempre pronto all’azione era<br />

Drago, nato per comandare. Taglialegna tuttofare e<br />

profondo conoscitore della zona. Capelli castani corti,<br />

con un ciuffo sulla fronte. Genio era un ingegnere<br />

navale dotato di un’intelligenza finissima. Riusciva<br />

sempre a risolvere i problemi tecnici. C’era Emma la<br />

staffetta. Contadina, ragazza solare e coraggiosa. Il<br />

suo carattere addolciva le brutture della guerra. Infine<br />

Bruno, operaio. Passo deciso e svelto. Uomo di<br />

poche parole sempre vicino ad Emma.<br />

Banda Stella prendeva il nome da ognuno di loro che<br />

idealmente formavano i vertici di una stella a cinque<br />

176


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

punte. Avevano una certa indipendenza dal resto<br />

della Brigata e controllavano la Val D’Aveto dal<br />

Passo della Forcella a quello della Scoglina,<br />

spostandosi fino a Rezzoaglio e dintorni per<br />

recuperare generi alimentari ed informazioni utili alla<br />

Resistenza. Si univano alle altre divisioni per azioni di<br />

guerriglia”.<br />

Trovo altre foto della banda. Sento il cuore battere in<br />

gola. Una vampata di calore mi assale. Non posso<br />

credere a quello che vedo. Vado in cucina a bere un<br />

bicchiere d’acqua. Vorrei dirlo a tutto il mondo, ma<br />

nessuno mi crederebbe. Nessun dubbio. E’ lui. Sul<br />

monitor appare il viso di quel ragazzo che ho visto<br />

nel bosco. Impongo ai miei pensieri di fermarsi.<br />

“Oggi nel bosco ho incontrato un ragazzo in cerca di<br />

funghi e ci siamo spaventati entrambi”. Lo ripeto più<br />

volte, ma il viso di Bruno dissolve quel tentativo di<br />

razionalità. Il panico aumenta, quando ripenso<br />

all’incontro, credo che dileguandosi non mosse foglia<br />

e fatto alcun rumore.<br />

Un fantasma?<br />

Squilla il telefono. Non rispondo. Devo uscire a<br />

prendere una boccata d’aria. L’asfalto appena bagnato<br />

odora ancora d’estate e l’umidità la puoi toccare.<br />

Vado su per una vecchia salita che si arrampica sulla<br />

collina.<br />

Le case che incontro diventano sempre più piccole e<br />

alcune mostrano il segno dei tempi. Altre sono<br />

abbandonate da anni. Qualche cane protesta al mio<br />

passaggio. Dall’alto domino i grossi condomini che<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

nascondono il traffico.E’ incredibile come a pochi<br />

passi dal centro esistano realtà così diverse. A<br />

Genova si capisce sempre dove finisce la città. L’aria<br />

salmastra ormai alle spalle lascia il posto al fumo dei<br />

camini e delle erbacce bruciate negli orti. I pochi<br />

lampioni formano oasi di luce distanti fra loro.<br />

Comincia a piovere, decido di tornare.<br />

Trovo una foto di Emma. E’ bellissima. Dai lunghi<br />

riccioli neri spuntano due occhi verdi giganti, ha<br />

guance rosse ed un sorriso che abbaglia. Credo sia<br />

stato impossibile resistervi. Continuo a leggere: “Una<br />

spia li aveva traditi indicando la via da dove potessero<br />

scendere a valle. Il mattino del 9 Marzo 1945 due<br />

squadre tedesche si appostarono ai lati delle ultime<br />

case del paese. Un martedì colorato di cielo azzurro e<br />

di verde brillante dei prati faceva da sfondo. La<br />

Banda Stella arrivò nel piccolo borgo di Ventarola da<br />

due sentieri diversi.<br />

I loro movimenti erano sempre studiati a tavolino.<br />

Appena in campo aperto a turno percorrevano pochi<br />

metri per conquistare posizioni protette. Durante il<br />

primo spostamento, un cecchino tedesco aprì il fuoco<br />

e Drago fu ferito seriamente. Buga e Genio<br />

provarono a trascinarlo nell’erba alta e risposero al<br />

fuoco nemico. Emma e Bruno defilati riuscirono ad<br />

evitare le prime raffiche di mitra.<br />

I proiettili arrivavano da tutte le direzioni e Drago,<br />

ancora cosciente, ordinò ad Emma e Bruno di ritirarsi<br />

sfruttando la posizione migliore. Dopo un lungo<br />

scontro a fuoco solo Emma e Bruno ripresero il<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

sentiero con i tedeschi alle calcagna. Le urla del<br />

nemico e i cani che abbaiavano ferocemente<br />

rimbombavano nella vallata. L’inseguimento ebbe<br />

fine in una radura ai margini del bosco principale,<br />

dove tenendosi per mano, cedettero.<br />

“Cresce la voglia di tornare nel bosco, sino a<br />

diventare pura necessità. Alcune strisce di sole<br />

filtrano dalla persiana e vanno a sbattere sull’armadio<br />

di fronte al letto.<br />

Sono sufficienti a svegliarmi del tutto. Un altro sabato<br />

inizia e con lui tutti i progetti che ci metto<br />

solitamente dentro. Lo zaino è pronto. Questa volta il<br />

sentiero non è la solita galleria di ricordi, neanche un<br />

tripudio della natura, è semplicemente la strada che<br />

mi riporterà da Bruno. Il respiro affannato per<br />

l’emozione annuncia che la meta si avvicina.<br />

Riconosco lo spiazzo. La lapide cancella la remota<br />

possibilità che fosse stato tutto un sogno. Sotto il<br />

denso fogliame, dietro la corteccia, spunta un vecchio<br />

cilindro di latta con un tappo di plastica che la volta<br />

precedente non notai. Provo ad aprirlo. Contiene una<br />

lettera scritta in corsivo su di un foglio di carta molto<br />

spesso e consumato: “Grazie di essere tornato, non<br />

avere paura. So che ami questa terra come l’abbiamo<br />

amata noi, so che la difenderesti fino all’ultimo<br />

respiro come abbiamo fatto noi.<br />

In tasca avevamo solo coraggio e orgoglio.<br />

Mettemmo l’ideale davanti ad ogni cosa, tra noi c’era<br />

rispetto, giustizia, amore e amicizia. La nostra vita<br />

aveva un senso in quei giorni. La scelta dei monti ci<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

fece sentire liberi prima di esserlo davvero. Sento<br />

ogni giorno le voci di Drago, Buga e Genio. Piango<br />

per Emma mio dolce amore, stella cometa della vita,<br />

faro in quella tempesta di guerra. Darei l’eternità per<br />

un suo abbraccio e darei il paradiso per un suo bacio.<br />

Ciao giovane amico, fa sì che la memoria resti”.<br />

Leggo più volte ciò che per logica non dovrebbe<br />

esistere. Una lacrima mi scende dagli zigomi, me ne<br />

accorgo solo quando bagna la lettera. Poi un’altra e<br />

un’altra ancora, fino a diventare un pianto a dirotto.<br />

Passano i minuti e mi sento meglio. Un principio di<br />

felicità germoglia in me. Come quando dopo tanta<br />

preoccupazione e tristezza si ricomincia a vivere<br />

lentamente, mi do coraggio e valuto tutto<br />

positivamente. La radura diventa un luogo amico.<br />

Prendo il quaderno e come se vomitassi, libero i<br />

pensieri che diventano parole, frasi, poi una lettera<br />

per Bruno: “Ciao Bruno, una parola vince sulle mille<br />

e mille che vorrei scriverti; grazie. Grazie a tutti gli<br />

uomini e le donne come Te che hanno perso il futuro<br />

per regalarlo a noi. Ora dobbiamo conservare questo<br />

tesoro e fare in modo che non accada mai più una<br />

tragedia simile. Voglio dirti che per me non siete mai<br />

passati di moda e che avete scritto la pagina più bella<br />

del nostro paese. Sarò Partigiano anch’io con le<br />

parole e la memoria. Voi siete la radice, io sono la<br />

foglia, cadrò e alimenterò l’albero della pace. Addio<br />

Bruno, saluta i Compagni e dai un bacio ad Emma.<br />

Claudio.”<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Inserisco la mia lettera nel barattolo con una foto di<br />

Emma ed una di Bruno stampate da internet. Le<br />

metto vicine con i nomi scritti dietro, come su due<br />

fedi nuziali. Riposiziono il cilindro sotto le foglie<br />

dietro le pietre. Stanco e sereno, come dopo un<br />

esame andato bene, mi sdraio a guardare le cime degli<br />

alberi che salgono in cielo. Una leggera brezza muove<br />

le fronde più alte che brillano al sole. Quel suono mi<br />

culla. Comincio una preghiera, benché non sia<br />

proprio credente: “Signore, mistero, Gesù figlio di<br />

Dio o Gesù semplicemente solo uomo, bene che<br />

vinci sul male, natura meravigliosa, forza dell’amore o<br />

energia positiva fa sì che quei ragazzi stiano bene e<br />

che abbiano una terra senza odio e violenza, dove<br />

guardare il cielo per indovinare la forma delle nuvole<br />

e camminare scalzi su un prato caldo al sole.<br />

Fa sì che giochino a contare le stelle cadenti e che<br />

possano danzare nella pioggia, mentre il vento gli<br />

muove i capelli. Fa sì che Emma e Bruno si<br />

abbraccino ancora, ti prego. Grazie.” Mi addormento.<br />

Dopo più di un’ora mi sveglio e faticosamente<br />

ritorno lucido. Guardo il cilindro e lo riapro. Vuoto.<br />

Sorrido. Nel vasetto sopra le pietre, due bellissimi<br />

fiori rossi spiccano nel marrone del bosco.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

4.10 No<br />

di Carlo Carlotto<br />

Ma tu, matricola 141801,<br />

continuavi a dire “NO”.<br />

Non ti convincevano<br />

le frasi degli amici,<br />

inaspettata e involontaria<br />

propaganda gratuita,<br />

che scampavano<br />

le righe violacee<br />

della censura.<br />

Lontane voci famigliari<br />

ti tuonavano in mente<br />

e nella pancia vuota<br />

confondendosi con<br />

altri strazianti boati.<br />

Moniti scritti in italiano<br />

ti angosciavano in dialetto:<br />

“Fate furb,<br />

la vita a l’è la toa!”<br />

“Pensa a torné a cà!”<br />

“Còs ot costa dije ëd sì?” 2 .<br />

Avevi solo vent’anni<br />

e il subdolo dubbio<br />

2 “Fatti furbo,<br />

la vita è la tua!”<br />

“Pensa a tornare a casa!”<br />

“Cosa ti costa dirgli di sì?”<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

che non avessero<br />

completamente torto.<br />

Tra molte altre ragioni<br />

non sei tornato forse anche<br />

per non doverlo riconoscere.<br />

indice<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

5. Fuori concorso<br />

5.1 Il mio canto di solitudine politica<br />

di Andrea Zanuso<br />

Sognavo i colori di una nuova era di libertà per la mia<br />

[terra]<br />

come le rondini che saettano nel cielo macchiato<br />

[d’azzurro]<br />

tra i profumi erranti dei ciliegi che mordono il<br />

[silenzio degli uomini.]<br />

Ma le loro ali si sono impigliate tra le forbici della<br />

[paura]<br />

di chi ha consumato i tamburi della battaglia<br />

raggomitolando le coscienze dentro i fantasmi del<br />

[passato.]<br />

Che ne sarà della mia città dove i cuori si sono<br />

[impietriti]<br />

e s’incrociano sguardi d’indifferenza e parole d’odio<br />

verso i disperati colpevoli di sognare una vita<br />

[migliore?]<br />

Dove sono finite le speranze di intere generazioni<br />

che hanno seminato grano e fiordalisi e papaveri rossi<br />

solcando il cielo con le loro rosse bandiere per dire<br />

[basta]<br />

alle guerre e alle ingiustizie e a chi avvelena la nostra<br />

[terra]<br />

e il nostro futuro?<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

E noi che abbiamo incendiato la giovinezza<br />

[nell’ebbrezza della giustizia]<br />

della fratellanza e della libertà sessuale<br />

quali figli e nipoti abbiamo partorito se anche loro<br />

[invocano le catene]<br />

per chi commette il delitto di nascere povero?<br />

E voi uomini ciechi e incapaci di assaporare<br />

[l’inconsapevolezza della notte]<br />

l’incanto dell’alba e del tramonto e dell’umile voce<br />

[degli alberi]<br />

cosa aspettate ad alzare lo sguardo ed ascoltare il<br />

[pianto del fratello clandestino]<br />

che ha lasciato la sua casa per trovare un lavoro e<br />

[viene braccato]<br />

dalla vostra paura che ingrassa la nostra terra con il<br />

[suo sudore e il suo sangue?]<br />

185<br />

indice


<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

6. La classifica del concorso<br />

Poesia inedita<br />

1) Paolo Pietrini La storia si fa verità<br />

2) Igino Mazzieri Ombre<br />

3) Cesare Oddera Dove ballano le foglie<br />

4) Susanna Giannotti Maledetta estate<br />

5) Gennaro De Falco Piccole piazze<br />

6) Armando Romano Anni<br />

7) Enrico Barbieri Ombre al suolo<br />

8) Piero Baroni Giorni<br />

9) Marco Laratro Libertà?<br />

10) Chris Mao Il ritorno<br />

Racconto inedito<br />

1) Mario Trapletti Lussuria funebre<br />

2) Alessandro Cuppini L’importanza delle date<br />

3) Pierangelo Colombo Un caffè maledettamente<br />

amaro<br />

4) Cristina Mantisi Rose e Lyseblå<br />

5) Luigi Di Legge Ho incontrato uno yeti<br />

6) Agostino Roncallo Il bicchiere della staffa<br />

7) Emilia Henragher Lena<br />

8) Dario Ghiringhelli Una grata e una stecca<br />

9) Giovanni Fassina Il primo amore<br />

10) Sandra Frangioni Un inizio tra sogno e realtà<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Declinando al femminile<br />

1) Chiara Loria Il canto della<br />

terra ai<br />

pirati…<br />

2) Chiara Borghi Primo giorno<br />

3) Bruno Bianco L’ultima<br />

decisione<br />

4) Polissena Cerolini Strega<br />

5) Maria Teresa MontanaroE si ruppe<br />

l’incantesimo<br />

6) Vita Varsalona Cento anni<br />

7) Rossella Rescaldini Gloria<br />

8) Ilaria Abiami Cenere<br />

9) Elga Moretto - Giuseppe Marchese<br />

La femminista e l’ippocampo<br />

10) Francesca Levo Calvi Veronica<br />

Brucia<br />

La resistenza ieri e oggi<br />

1) Maurizio Asquini La malora<br />

2) Roberto Bernardini A Victor Jara<br />

3) Mario Bolognini Uccidete Cesare<br />

4) Silvia Pesce Ivan<br />

5) Bruno Bianco Il saluto<br />

6) Brunello Buonocore Sono andato a<br />

trovare il mio angelo custode<br />

7) Alessandro Bertolino 04/11/1944<br />

8) Carlo Carlotto No<br />

9) Claudio Mucci Banda Stella<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

Finito di stampare Giugno 2010<br />

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<strong>Antologia</strong> <strong>Pagine</strong> <strong>Ribelli</strong> <strong>Volume</strong> <strong>Secondo</strong><br />

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