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Brochure CYPMED - Arsia

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In copertina<br />

Plantule di cipresso (Cupressus sempervirens L.)<br />

(Progetto ed elaborazione grafica di Marcello Intini/IPP)


SOMMARIO<br />

PRESENTAZIONE 3<br />

Paolo Raddi - Chef de File del CypMed<br />

PRODUZIONE DI PIANTE DI CIPRESSO DA MOLTIPLICAZIONE GAMICA 5<br />

Paolo Raddi<br />

Marcello Intini<br />

Giovanni Torraca<br />

Anna Romagnoli<br />

Valerio Nembi<br />

BASI FISIOLOGICHE DELLA PROPAGAZIONE VEGETATIVA 12<br />

Maurizio Capuana<br />

PRODUZIONE DI PIANTE DI CIPRESSO PER INNESTO 16<br />

Moreno Moraldi<br />

Roberto Danti<br />

Vincenzo Di Lonardo<br />

PROPAGAZIONE DEL CIPRESSO PER TALEA 21<br />

Giovanni Pacini<br />

Santo Gozzo<br />

Luciano Paggetti<br />

Gianni Della Rocca<br />

PRODUZIONE DI PIANTE DI CIPRESSO ATTRAVERSO LA MICROPROPAGAZIONE 25<br />

Claudine Andrèoli<br />

Maurizio Capuana<br />

LE MALATTIE DEL CIPRESSO IN VIVAIO 28<br />

Alberto Panconesi<br />

Roberto Danti<br />

DANNOSITÀ DI INSETTI ED ACARI ALLA PRODUZIONE VIVAISTICA DEL CIPRESSO COMUNE 39<br />

Carlo Parrini


PRESENTAZIONE<br />

Il cipresso comune (Cupressus sempervirens) è una componente vitale nella storia dei paesi mediterranei e<br />

costituisce un elemento insostituibile del loro paesaggio e della loro arte.<br />

E’ bene ricordare che il cipresso costituisce anche una fonte di reddito non indifferente e presenta molteplici<br />

funzioni: foreste naturali, piantagioni forestali, fasce frangivento, impianti protettivi per il recupero<br />

ambientale e impianti ornamentali. Il cipresso ha una forte adattabilità alle condizioni edafiche e climatiche<br />

mediterranee, vegeta bene su quasi tutti i tipi di terreno, tollera molto bene i lunghi periodi di siccità e<br />

sopporta anche le basse temperature, ma non gli abbassamenti termici repentini durante il periodo vegetativo.<br />

La Comunità Europea ha finanziato numerosi progetti a partire dal 1980: progetti Agrimed I, Agrimed II e<br />

Camar orientati principalmente verso studi sul cancro del cipresso in modo da poter selezionare cloni<br />

resistenti alla malattia, progetto Air per affrontare i principali problemi della coltivazione del cipresso,<br />

un’Azione Concertata Fair per divulgare in modo capillare i risultati fino allora ottenuti.<br />

L’Interreg IIIB MedOcc ha approvato il nostro progetto dal titolo “I cipressi nella loro polivalenza nel<br />

recupero dell’ambiente e del paesaggio mediterraneo” (CypMed).<br />

CypMed ha come obiettivi principali:<br />

- dimostrare la superiorità dei cloni di cipresso selezionati nei precedenti progetti EU rispetto al materiale<br />

commerciale;<br />

- aggiornare con corsi e pubblicazioni i tecnici e gli utilizzatori del cipresso per gestire con successo le<br />

varie fasi della coltivazione e della salvaguardia sanitaria del cipresso.<br />

Nell’ambito del progetto Cypmed l’allestimento di parcelle sperimentali con oltre 50 cloni resistenti al<br />

cancro in diverse regioni mediterranee potrà fornire indicazioni per ogni regione per la scelta di cloni<br />

particolarmente adatti alle condizioni pedoclimatiche della zona e consentirà anche di stimare l’apporto ed il<br />

ruolo del cipresso nell’economia rurale della regione stessa.<br />

L’attività vivaistica relativa al cipresso è consistente nei paesi MedOcc. Le statistiche ufficiali indicano che<br />

ogni anno sono venduti in Europa Occidentale circa 5 milioni di cipressi ottenuti per via vegetativa,<br />

soprattutto per innesto. Tale attività commerciale costituisce una certa e consistente fonte di reddito.<br />

CypMed ha inteso presentare un manuale per illustrare le tecniche operative principali per avere una<br />

produzione di piante di cipresso per via gamica ed agamica, che possa soddisfare in modo quantitativo e<br />

qualitativo le esigenze delle utenze sia pubbliche che private.<br />

La produzione di piante di cipresso da talea radicata permette di effettuare studi sull’adattabilità di cloni già<br />

selezionati per la resistenza al cancro a terreni difficili come, ad esempio, le crete senesi. Il vivaio “Il<br />

Campino” dell’Amministrazione Provinciale di Siena, che ospita questo Meeting Cypmed, è specializzato<br />

nella produzione di cipressi da talea radicata. Questo fatto permette al progetto Cypmed di costituire<br />

parcelle sperimentali con materiale clonale da talea su argille plioceniche nel Senese e quindi di poter<br />

selezionare una varietà multiclonale costituita da numerosi cloni resistenti al cancro e tolleranti alle argille,<br />

in modo da recuperare molte terre brulle del Senese.<br />

A nome dei partner del CypMed (vedere cartina allegata) ringrazio cordialmente gli autori delle relazioni e<br />

gli Enti pubblici e privati che hanno dato la loro collaborazione per la stesura del Manuale.<br />

Paolo Raddi<br />

Chef de File del CypMed<br />

PS – per ulteriori informazioni sul progetto CypMed, sulle brochure già pubblicate “Il bosco degli Zappini”,<br />

“I cipressi di Bolgheri” e “O cipreste em Portugal” consultare www.cypmed.cupressus.org<br />

3


PRODUZIONE DI PIANTE DI CIPRESSO DA MOLTIPLICAZIONE GAMICA<br />

P. Raddi, M. Intini, G. Torraca, A. Romagnoli, V. Nembi<br />

Istituto per la Protezione delle Piante, CNR, Firenze<br />

Il cipresso comune (Cupressus sempervirens L.) è una specie monoica con microsporofilli (fiori “maschili”)<br />

e macrosporofilli (fiori “femminili”) separati sulla stessa pianta. L’iniziazione delle gemme fiorali ha luogo<br />

tra la tarda primavera e l’inizio dell’estate. I fiori maschili si differenziano in primavera mentre quelli<br />

femminili in autunno sempre dell’anno avanti la fioritura.<br />

I microsporofilli sono portati su amenti oblunghi, che appaiono in cima a dei brachiblasti, in numero molto<br />

abbondante, già visibili in inverno ed in genere distribuiti nella parte più bassa della chioma. I<br />

macrosporofilli sono di forma subglobosa, composti da 6 a 12 squame, ognuna delle quali porta da 6 a 20<br />

ovuli. Le infiorescenze femminili sono in genere localizzate nella parte più alta della chioma. La fase<br />

giovanile del cipresso comune è piuttosto breve: un cipresso derivato da seme produce per la prima volta<br />

polline a 4-5 anni, mentre i coni femminili compaiono 1-2 anni prima di quelli maschili. E’ noto che l’inizio<br />

e la durata della “fioritura” variano notevolmente e dipendono soprattutto dall’individuo e dalle condizioni<br />

ambientali della località. La fioritura avviene generalmente tra la fine di gennaio e quella di febbraio, con<br />

una variazione anche di oltre un mese tra gli individui e le località. La dispersione del polline da fine gennaio<br />

a metà marzo (a seconda delle condizioni ambientali) richiede sempre una bassa umidità relativa dell’aria<br />

(UR). Se l’UR è alta le squame si chiudono ed il polline non può fuoriuscire.<br />

Fiori femminili (A-C) e fiori maschili (B-D) da disegno e visti al microscopio elettronico a scansione.<br />

5


Il polline di C. sempervirens ha un colore simile a quello di C. dupreziana, ovvero salmone chiaro, e si<br />

differenzia dal colore del polline dei cipressi del gruppo del C. arizonica (giallo) o di altre specie asiatiche<br />

con polline color biancastro (C. funebris, C. duclouxiana , C. torulosa e C. cashmeriana). Le dimensioni del<br />

polline del cipresso comune, come diametro massimo, sono di 22,8 µm, inferiori a quelle del C. dupreziana<br />

(media 27,7 µm).<br />

Giovani coni maschili<br />

durante l’emissione del<br />

polline.<br />

ANTESI<br />

DISPERSIONE<br />

FIORITURA<br />

APERTURA FIORI<br />

ESTENSIONE ANTERE<br />

APERTURA ANTERE<br />

RILASCIO DEL POLLINE<br />

impollinazione<br />

umidità relativa<br />

temperatura<br />

luce<br />

DEIESCENZA Evaporazione<br />

perdita germinabilità<br />

L’impollinazione del cipresso è anemofila. In gennaiofebbraio<br />

sugli ovuli eretti ed esposti appare la goccia<br />

pollinica, che indica la recettività del megagametofito. Il<br />

granello pollinico germina rapidamente quando è<br />

arrivato sull’apertura micropilare dopo essere stato<br />

catturato dalla goccia pollinica che, disidratandosi,<br />

permette l’ingresso del granulo nel micropilo stesso.<br />

Colore del polline di C. sempervirens (a sinistra)<br />

e di C. arizonica (a destra).<br />

6<br />

perdita per intercettazione<br />

Ovuli visti al microscopio<br />

elettronico a scansione.


Macrosporofillo al momento della recettività: le aperture micropilari degli ovuli mostrano la goccia pollinica che serve a catturare il<br />

polline.<br />

7


A giugno, periodo nel quale avviene la fertilizzazione, le infiorescenze femminili fecondate sono già ben<br />

visibili (circa 1 cm) e sono di colore verde. A novembre il loro colore diventa giallo chiaro. Il seme<br />

raggiunge la maturazione nel secondo anno (autunno, ovvero dopo 18-20 mesi). A maturità i coni assumono<br />

una colorazione grigio-argentea e le squame tendono ad aprirsi e a rilasciare il seme. Ciascuna delle 9-12<br />

squame contiene circa 8-15 semi di diversa grandezza (media: 5-6 mm di lunghezza e 3-4 mm di larghezza),<br />

di colore rossastro-bruno e mucronati. Il peso di 1000 semi nel cipresso comune varia da 6 a 8 grammi.<br />

È chiaro che la dispersione del polline, l’impollinazione e lo sviluppo embrionale sono fasi fortemente<br />

influenzate da fattori biotici ed abiotici di disturbo, fattori che possono incidere sulle percentuali di semi<br />

“completi” e sulla germinazione di questi.<br />

Raccolta dei coni e semi<br />

Generalmente il cipresso produce coni in abbondanza tutti gli anni. A Novembre-Gennaio (in località con<br />

estati aride e calde, i coni si aprono anche prima di ottobre, ad es. Fontegreca, isole greche ecc.) vengono<br />

raccolti coni “maturi” (età circa 20 mesi dall’impollinazione), evitando di raccogliere quelli più vecchi<br />

(serotini) e quelli attaccati da insetti (Pseudococcyx tessulatana, Trisetacus juniperinus), anche se quelli<br />

danneggiati nella maggior parte cadono al suolo prima della raccolta.<br />

I coni raccolti a mano devono essere messi in sacchi di juta e conservati in ambienti ben ventilati. Evitare<br />

sacchetti in plastica (se non per brevi periodi) e contenitori ermetici.<br />

L’essiccazione dei coni avviene al sole o meglio in essiccatori a 35°-40°C. Quando i coni sono aperti, si<br />

opera la raccolta dei semi e la loro setacciatura per eliminare quelli più piccoli, spesso vuoti.<br />

Nel cipresso non è possibile separare meccanicamente i semi pieni da quelli vani, come nel pino, i cui semi<br />

vani galleggiano immediatamente in acqua.<br />

La ridotta germinazione dei semi delle specie del genere Cupressus sembra dovuta soprattutto alla ridotta<br />

percentuale di semi pieni (FS = filled seeds) mentre molti semi, pur presentando una forma normale dovuta<br />

alla presenza di un tessuto spugnoso del gametofito, sono senza embrione. L’assenza di un’adeguata<br />

impollinazione o la degenerazione post-zigotica furono avanzate come spiegazione della scarsa presenza di<br />

FS (Owens, 1990; Ceccherini et al., 1998). Da prove ai raggi X, diversi semi risultano attaccati da insetti<br />

(calcide Megastigmus wachtli, cimici del genere Orsillus) (Roques e Battisti, 1999).<br />

Molti parametri sono stati messi a punto per<br />

valutare la “bontà del seme”. Tra questi i più<br />

usati sono:<br />

- la frequenza di semi pieni (FS) misurata su<br />

200 semi di aspetto e forma normali, tagliati<br />

per vedere se l’endosperma è bianco e ben<br />

sviluppato (FS varia da 15 a 25% dei semi<br />

totali);<br />

- la capacità germinativa dei semi pieni<br />

(GFC), che varia da 75 a 90%;<br />

- la capacità geminativa sul totale dei semi<br />

(GCT), che oscilla da 12 a 18%.<br />

I trattamenti di pregerminazione del seme non<br />

sono richiesti per il cipresso comune, anche se i<br />

semi sono in pratica tenuti per 2-3 giorni in<br />

acqua. Con semine<br />

in serra su letto<br />

riscaldato e con<br />

irrorazione “mist”<br />

tale pretrattamento<br />

Cono immaturo (a sinistra) e cono con semi maturi (a destra). Cono dopo l’essiccazione e semi.<br />

8


in acqua non è risultato necessario. La stratificazione al freddo umido per 21 giorni a 2-3°C non è richiesta<br />

per il cipresso comune, come invece lo è per il C. macnabiana e C. dupreziana (Ceccherini et al., 1998).<br />

Tuttavia la stratificazione dei semi a 1-2°C e 100% di UR per 30 giorni incrementa la percentuale di<br />

germinazione rispetto a quella dei semi non stratificati e garantisce una più rapida e migliore germinazione.<br />

Semina<br />

La semina di norma in vivaio all’aperto viene effettuata da marzo a maggio in Italia, ma in serra può essere<br />

anticipata. Nei letti di semina si consiglia una densità di 300-600 semenzali per metro quadrato. Tenendo<br />

conto della percentuale di semi pieni (FS circa 18%) e della GFC (da 75 a 90% dei semi pieni) occorrono<br />

Semenzali di 3 mesi.<br />

Cipressi al secondo anno.<br />

9


circa da 3000 a 4500 semi per m 2 per ottenere almeno 300-600 semenzali. Dopo la semina i semi vanno<br />

coperti con uno strato di sabbia e torba (spessore dello strato 1,5 volte la lunghezza del seme) e riparati con<br />

rete ombreggiante quale protezione contro l’essiccamento del suolo, il dilavamento da pioggia, i danni da<br />

uccelli e da erbe infestanti. Dopo la germinazione la rete viene sollevata sui semenzali e lasciata fino al<br />

termine dell’estate.<br />

Un parametro importante per valutare la bontà della semina e la sua gestione è la sopravvivenza dei<br />

semenzali ad 8-10 mesi dalla germinazione.<br />

In serra le semine vengono effettuate senza pretrattamento in letti con riscaldamento basale ed umidità<br />

relativa regolata con irrigatori a pioggia. La data della semina può essere notevolmente anticipata rispetto<br />

all’esterno, ma in questo caso occorre una maggiore attenzione sanitaria (prevedere eventuali trattamenti).<br />

In alcuni vivai è preferito l’impiego di seme stratificato e pregerminato per la semina diretta in contenitori di<br />

piccole dimensioni (3-4 semi per contenitore).<br />

I semenzali, a seconda dell’uso, vengono rimossi dal letto di semina e trapiantati in contenitori di varie<br />

dimensioni riempiti con substrato costituito da torba, terriccio e pomice (3:1:1 in volume) o in aiuole di<br />

vivaio. Le cure colturali sono quelle tradizionali in vivaio: irrigazioni, scerbature, controlli sanitari.<br />

La produzione diretta di piante in contenitore deve prevedere l’eventuale diradamento di semenzali,<br />

lasciandone solo uno per vasetto. Al termine del primo anno i semenzali sono in media alti 20-30 cm e<br />

possono essere trapiantati in contenitori di maggior volume o in campo a seconda della destinazione.<br />

Per l’impianto dei cipressi in foresta, come frangivento e per piantagioni ornamentali occorre<br />

precedentemente togliere il contenitore o la fitocella in plastica, mentre le piante in fertil pot (vasetto in torba<br />

pressata) possono essere piantate con il vasetto fertil pot ma con l’accortezza di interrare bene il vasetto in<br />

torba per evitare il disseccamento delle radici.<br />

Produzione di cipressi per rimboschimenti<br />

Per la legge italiana il materiale per la costituzione di impianti forestali deve derivare da seme raccolto nei<br />

boschi di cipresso iscritti nel Libro Nazionale Boschi da Seme (LNBS). Le galbule di cipresso vengono<br />

raccolte da personale specializzato degli essiccatori di Stato. Il seme viene estratto, setacciato ed inviato ai<br />

vivai forestali. Questi seminano in aiuole il seme e le piantine vengono trapiantate in contenitori o in campo.<br />

Una certificazione segue la piantina a garanzia della provenienza.<br />

Da alcuni anni sarebbe possibile costituire un arboreto clonale per la produzione di seme con cipressi<br />

selezionati per la resistenza al cancro e per la loro attitudine a produrre semi e da questi semenzali in alta<br />

percentuale resistenti al cancro. Tuttavia questo materiale non può essere finora utilizzabile per impianti<br />

forestali, in quanto la legge autorizza tali impianti solo con semenzali derivati da seme prelevato nei Boschi<br />

da Seme iscritti al LNBS.<br />

10<br />

Chiave per l’identificazione dei danni ai<br />

semi basata su immagini a raggi X.<br />

1-2 - Seme con endosperma bianco ben<br />

sviluppato (seme pieno, pronto per la<br />

germinazione).<br />

3-4 - Seme con endosperma sviluppato ma<br />

bruno (seme pieno bruno, incapace di<br />

germinare; motivi dell’imbrunimento<br />

sconosciuti).<br />

5-6 - Seme vuoto, non fecondato.<br />

7-10 - Semi con endosperma raggrinzito,<br />

danneggiati dalle cimici Orsillus spp.:<br />

7-8 - endosperma bianco; 9-10 –<br />

endosperma giallo.<br />

11-12 – Semi attaccati dal calcidide<br />

Megastigmus wachtli: larva matura e foro<br />

di uscita.


Alcuni vantaggi e svantaggi della produzione di piante da seme<br />

Vantaggi<br />

maggior variabilità tra semenzali per i caratteri<br />

di crescita, sopravvivenza e adattabilità;<br />

maggiore tolleranza e resistenza di tipo<br />

“orizzontale” del popolamento ai diversi fattori<br />

biotici ed abiotici;<br />

minori costi per la produzione di piante<br />

rispetto alla moltiplicazione vegetativa;<br />

costituzione di portainnesti franchi con alta<br />

variabilità di adattamento ai diversi terreni.<br />

Bibliografia<br />

Svantaggi<br />

il semenzale derivato da incrocio gamico non<br />

garantisce i pregi dei singoli genitori (crescita,<br />

resistenza, ecc.);<br />

disomogeneità nella forma della chioma tra le<br />

piante singole e dell’impianto;<br />

produzione assolutamente improponibile per<br />

impianti ornamentali;<br />

minore protezione frangivento in barriere con<br />

semenzali rispetto a barriere con varietà multiclonali<br />

appositamente selezionate;<br />

per certi terreni (argille plioceniche) è più<br />

economico utilizzare varietà multiclonali innestate<br />

su portainnesti clonali tolleranti a questi<br />

terreni che impiegare materiale da seme, eterogeneo<br />

nella risposta;<br />

l’eccessiva consanguineità dei semenzali da seme<br />

erroneamente raccolto da poche e vicine piante in<br />

arboreto può causare una riduzione della crescita<br />

e sopravvivenza (“inbreeding depression”) nelle<br />

generazioni successive.<br />

GIANNINI R., CAPUANA M., GIOVANNELLI A., 1999. “Produzione di piante”. In “Il Cipresso. Manuale<br />

Tecnico” Ed. E. Tessier du Cros, 44-53.<br />

CECCHERINI L., RADDI S., ANDREOLI C., 1998. “The effect of seed stratification on germination of 14<br />

Cupressus species”. Seed Sci. Technol., 26:159-168.<br />

JOHNSON L.C., 1974. “Cupressus L. Cypress”. In “Seeds of woody plants in United States.” Agr. Hand.,<br />

450:363-369.<br />

RADDI P., MORICCA S., ANDREOLI C., 2000. “Cypress pollen: botanical aspects in fourteen cypress<br />

species and prospect for research”. Allergie et Immunologie, XXXI, 3:125-127.<br />

ROQUES A., BATTISTI A., 1999. Cypress pests. In “Il Cipresso. Manuale Tecnico” Ed. E. Tessier du Cros,<br />

75-95.<br />

11


BASI FISIOLOGICHE DELLA PROPAGAZIONE VEGETATIVA<br />

M. Capuana<br />

Istituto di Genetica Vegetale – Sezione di Firenze<br />

La produzione di massa di alberi selezionati può essere realizzata unicamente per via vegetativa in<br />

quanto solo la propagazione vegetativa (o agamica) realizza l’esatta replicazione del genotipo di partenza,<br />

attuandosi esclusivamente attraverso la divisione di cellule mitotiche, mentre sono escluse la meiosi e la<br />

conseguente ricombinazione del patrimonio genico. Con la propagazione vegetativa si effettua la cosiddetta<br />

‘clonazione’, cioè la costituzione di un CLONE, che è una copia esatta della pianta originaria.<br />

Dal punto di vista fisiologico, la propagazione vegetativa si fonda sulla TOTIPOTENZA delle<br />

cellule vegetative, che è la proprietà di queste cellule di contenere le informazioni genetiche necessarie alla<br />

costituzione in copia di un organismo completo. Nonostante questa premessa, nella pratica si possono<br />

incontrare diversi ostacoli alla realizzazione della propagazione vegetativa, soprattutto tra le specie arboree.<br />

In sintesi, questa totipotenza cellulare può subire, in determinate circostanze, delle interferenze da fattori<br />

esterni o interni alla pianta, che ne limitano l’espressione. Tra questi fattori, il principale è senza dubbio l’età,<br />

con la pratica conseguenza che, per numerose specie, è possibile realizzare la propagazione vegetativa<br />

principalmente o addirittura esclusivamente da esemplari giovani.<br />

Con l’invecchiamento, nella pianta si osservano, oltre ad una riduzione del tasso di crescita, la<br />

diminuzione o la perdita dell’attitudine rizogena ed eventi diversi legati alla topofisi. Nel passaggio dalla<br />

fase giovanile a quella adulta, infatti, la totipotenza dei meristemi giovanili fa posto ad una specializzazione<br />

più o meno marcata, propria dei tessuti adulti. Per spiegare meglio tale meccanismo è utile ricordare che<br />

all’età della pianta sono direttamente connessi i fenomeni di topofisi e ciclofisi.<br />

Per TOPOFISI si intende il fenomeno per cui gemme, germogli e talee mantengono, per un periodo<br />

più o meno lungo dopo l’innesto o il taleaggio, la fase vegetativa e la forma di sviluppo che avevano sulla<br />

pianta da cui sono stati prelevati; per CICLOFISI, il complesso processo di maturazione degli apici<br />

meristematici e quanto ne consegue (Olesen, 1978).<br />

TOPOFISI: questo fenomeno è espresso con intensità diversa a seconda della specie. Ad esempio,<br />

l’accrescimento plagiotropico, cioè il permanere di un<br />

accrescimento orizzontale quando la talea consiste in un<br />

ramo laterale, è facilmente osservabile in alcuni generi<br />

quali Abies, Larix, Cedrus, Pseudotsuga, Sequoia<br />

(Fig.1). È estremamente accentuato nel genere<br />

Araucaria, per cui le talee mantengono una crescita<br />

orizzontale anche per oltre 50 anni, mentre si verifica<br />

più raramente nei generi Pinus, Cupressus e nelle<br />

Fig. 1 – Esempio di topofisi in Cedrus atlantica: pianta innestata<br />

in cui la plagiotropia causa una forte asimmetria della chioma<br />

(foto A.M. Proietti).<br />

latifoglie.<br />

CICLOFISI: la maturazione degli apici<br />

meristematici in senso lato è attribuibile a cause diverse;<br />

per meglio definirla, si distingue una MATURAZIONE<br />

ONTOGENETICA, che consiste nel passaggio attraverso<br />

le differenti fasi dello sviluppo, dalla germinazione alla<br />

senescenza, secondo un determinismo cellulare a livello<br />

meristematico geneticamente programmato e quindi<br />

difficile da interrompere o invertire, ed una<br />

MATURAZIONE FISIOLOGICA, consistente in tutti<br />

quei cambiamenti legati all’invecchiamento, che<br />

provocano, in sintesi, perdita di vigore e che vengono<br />

spiegati con il rallentamento dei processi fisiologici<br />

causato dall’aumento della complessità strutturale della<br />

12


pianta, come primo risultato della sua crescita (Fortanier e Jonkers, 1976; Hackett, 1985)<br />

Una spiegazione ai fenomeni legati alla maturazione ontogenetica è stata offerta dalla teoria secondo<br />

cui l’età ontogenetica di un meristema apicale è in effetti correlata al numero di divisioni cellulari che sono<br />

state necessarie per formare quel meristema a partire dall’embrione (Passecker, 1947). La maturazione<br />

fisiologica è invece spiegata dall’osservazione che le potenzialità giovanili dei meristemi apicali, che si<br />

esprimono più evidentemente nel corso di ogni germogliamento, diventano più circoscritte via via che, con lo<br />

sviluppo, l’architettura generale della pianta diventa più complessa (Franclet, 1981; Monteuuis, 1989) (Fig.<br />

2).<br />

Queste teorie portano a concludere che nelle piante arboree, ammettendo che le cellule<br />

meristematiche formate prima siano ontogeneticamente le più giovani, è osservabile una sorta di ‘gradiente<br />

di invecchiamento’ per cui la pianta invecchia più intensivamente andando dalla base all’apice e dall’interno<br />

all’esterno. Ciò spiega perché le caratteristiche giovanili sono più facilmente conservate alla loro base, nella<br />

zona, cioè, del colletto, consentendo l’applicazione di alcune tecniche di propagazione, quali l’isolamento di<br />

polloni, la propagazione da talee radicali, il radicamento di succhioni e, nel caso del cipresso, l’osservazione<br />

che le talee di ramo prelevate dalla parte inferiore della chioma radicano generalmente meglio di quelle della<br />

parte superiore.<br />

È in qualche modo possibile interferire sui fenomeni legati all’invecchiamento (“ageing”),<br />

realizzando il cosiddetto ‘ringiovanimento’, più correttamente definibile ‘rinvigorimento’ della pianta. Tra<br />

gli strumenti adoperabili abbiamo: - l’uso di trattamenti ormonali, realizzabile, ad esempio, tramite<br />

aspersioni con soluzioni di BA, risultate efficaci in Pseudotsuga (Reynoird, 1983) e ibridi di Castanea<br />

(Ballester et al., 1990); - l’eziolamento, cioè la temporanea copertura dei rami destinati alla propagazione,<br />

effettuato in castagno (Ballester et al., 1989) e in quercia (Vieitez et al., 1985); - il taleaggio reiterato<br />

(Platanus acerifolia, Franclet, 1983; Hackett, 1985); - l’innesto a cascata (Franclet et al., 1987); - una<br />

drastica potatura o la capitozzatura (Bolstad e Libby, 1982; St Clair et al., 1985).<br />

Oltre alla totipotenza, l’altro fenomeno legato alla possibilità di<br />

rigenerare la pianta per via vegetativa è la DEDIFFERENZIAZIONE,<br />

che consiste nella capacità delle cellule mature di ritornare alle<br />

condizioni meristematiche, sviluppando un nuovo centro di<br />

accrescimento nella pianta.<br />

Nel cipresso, come nella maggior parte delle specie arboree, la<br />

propagazione per talea avviene grazie all’emissione di radici avventizie,<br />

che sono in effetti radici da ferita, cioè radici che sviluppano come<br />

risposta all’effetto-ferita procurata alla talea quando questa è staccata<br />

dalla pianta-madre: il taglio produce inizialmente un processo di<br />

cicatrizzazione per il quale le cellule superficiali muoiono e la ferita si<br />

ricopre di una placca necrotica costituita da materiale suberoso<br />

(suberina) che protegge l’organo dal disseccamento; al disotto di questa<br />

zona, le cellule vitali iniziano quindi a formare uno strato di callo,<br />

costituito da cellule parenchimatiche, prodotte appunto grazie al<br />

fenomeno della dedifferenziazione; nella successiva fase di<br />

rigenerazione, alcune cellule situate nella zona del cambio vascolare e<br />

del floema iniziano a formare le radici avventizie.<br />

Fig. 2 – Sintesi e schematizzazione delle teorie sulla ciclofisi (Krenke, 1940; Passecker,1947; Franclet, 1981; Monteuuis, 1989), secondo le<br />

quali si individuano diverse zone di maturazione a partire da quella centrale, che conserva i caratteri più giovanili e, all’interno di<br />

ciascuna, dei centri di maggiore reattività, in corrispondenza delle zone di accrescimento annuale.<br />

13


Dal punto di vista anatomico, per convenzione, si distinguono quattro fasi:<br />

1) Dedifferenziazione delle cellule mature, 2) Formazione delle iniziali radicali, 3) Sviluppo dei primordi<br />

radicali, 4) Connessione dei primordi con i tessuti vascolari ed emergenza delle radici neoformate (Fig. 3).<br />

È da sottolineare che nei periodi compresi tra il prelievo<br />

della talea, i primi eventi anatomici ed il completamento della<br />

rizogenesi possono intercorrere tempi molto variabili, in<br />

relazione essenzialmente alla specie, ma anche a tutte le<br />

condizioni che influiscono su tale operazione.<br />

Nel determinismo di questi fenomeni, intervengono vari<br />

processi fisiologici, legati, a loro volta, all’azione di sostanze<br />

endogene, gli ormoni, che agiscono a diversi livelli sul<br />

radicamento. È quindi possibile intervenire sugli equilibri<br />

ormonali della talea con applicazioni esogene di sostanze<br />

ormonali, complessivamente indicate come REGOLATORI DI<br />

CRESCITA, e che possono essere sia le stesse molecole naturali,<br />

Fig. 3 – Sezione trasversale di fusto di una giovane<br />

pianta legnosa che mostra l’area di origine delle<br />

radici avventizie (da Hartmann e Kester, 1990).<br />

sia prodotti di sintesi che sono stati creati sul modello delle<br />

sostanze endogene e che hanno dimostrato un’attività rizogena<br />

comparabile o addirittura superiore a queste.<br />

Nel processo della rizogenesi, le sostanze più<br />

marcatamente coinvolte appartengono al gruppo delle AUXINE,<br />

ma va altresì sottolineato che enzimi e cofattori, quali i fenoli, svolgono un ruolo ugualmente determinante e<br />

che di grande importanza appaiono i fenomeni ossidativi legati a questi composti (Haissig, 1974, 1986).<br />

L’acido indol-acetico (IAA) è stata la prima auxina naturale ad essere individuata e ad avere evidenziato<br />

attività rizogena (Kraus et al., 1936), mentre due sostanze simili, ma artificiali, hanno manifestato, in questa<br />

utilizzazione, un’efficacia ancora superiore: l’acido indol-butirrico (IBA) e l’acido naftalenacetico (NAA)<br />

(review di Torrey, 1965, 1976).<br />

Miscele di diversi regolatori di crescita possono avere efficacia superiore a quella delle singole<br />

sostanze, così come i diversi metodi di somministrazione possono agire in modo differente. I regolatori di<br />

crescita sotto forma acida, infatti, sono poco solubili in acqua e quindi vanno sciolti con altre sostanze,<br />

mentre i sali di questi prodotti hanno una buona solubilità in acqua. Concentrazioni e durata del trattamento<br />

presentano un’ampia variabilità e andrebbero testate preventivamente per ogni specie interessata. Oltre al<br />

trattamento rizogeno, comunque, sono numerosi i fattori endogeni ed esogeni che influenzano la possibilità<br />

di radicare una talea, ad iniziare dalla diversa attitudine alla clonazione, carattere che appare fortemente<br />

legato al genotipo e che può presentare un’ampia variabilità individuale (Durzan, 1984; Morgenstern et al.,<br />

1984). Sommariamente, possono essere elencati come segue:<br />

Pianta madre: Genotipo<br />

Stadio ontogenetico (età)<br />

Stato fisiologico (nutrizionale)<br />

Stato sanitario<br />

Epoca del prelievo<br />

Tipo di prelievo (tipo di talea e posizione nella chioma)<br />

Trattamenti: Fitoregolatori<br />

Nutrienti minerali<br />

Anticrittogamici<br />

Interventi meccanici (intaccature, asportazione delle foglie)<br />

Ambiente: Condizioni idriche<br />

Tipo di substrato<br />

Luce<br />

Temperatura<br />

14


Un’appropriata scelta nell’ambito di ciascuno di questi fattori può facilitare la realizzazione della<br />

propagazione attraverso radicamento di talee, mentre anche un solo errore nella calibrazione dei fattori<br />

descritti può risultare fortemente inibente.<br />

Bibliografia<br />

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Quercus robur L. J. Hortic. Sci., 60: 99-105.<br />

15


PRODUZIONE DI PIANTE DI CIPRESSO PER INNESTO<br />

M. Moraldi<br />

Azienda Vivaistica Regionale UMBRAFLOR<br />

R. Danti, V. Di Lonardo<br />

Istituto per la Protezione delle Piante, CNR, Firenze<br />

Come ha già indicato Capuana in questo manuale, la produzione massale di cipressi selezionati può avvenire<br />

solo per via vegetativa, assicurando l’esatta replicazione del genotipo, e garantendo anche l’omogeneità del<br />

fenotipo in un dato ambiente.<br />

Il metodo più impiegato nella produzione commerciale del cipresso comune (Cupressus sempervirens) per<br />

via vegetativa è senza dubbio la moltiplicazione per innesto. Questo metodo risulta finora il più redditizio per<br />

l’azienda vivaistica, perché richiede un minore impegno di lavoro e investimenti relativamente inferiori<br />

rispetto a quelli richiesti da altri metodi di moltiplicazione vegetativa.<br />

Nel cipresso comune finora non è stata descritta, né verificata mai nelle nostre prove, incompatibilità tra il<br />

clone innestato ed il portainnesto da seme. In qualche caso si è assistito però ad un lento e stentato<br />

accrescimento della marza probabilmente dovuto ad una imperfetta esecuzione dell’innesto. Tuttavia<br />

l’effetto del portainnesto, ovvero dei semenzali impiegati, su alcuni caratteri quali il ritmo di crescita, la<br />

forma ed il colore della chioma, il livello di resistenza al cancro (da ricerche presso l’IPP) non è risultato<br />

significativo. Questo fatto ci autorizza a proseguire con l’uso di portainnesti costituiti da semenzali, anche se<br />

negli ultimi anni l’INRA di Antibes ha selezionato portainnesti a rapido accrescimento e con ottimo potere<br />

rizogeno per talea. Dal lavoro del Vivaio “Il Campino” risulta anche evidente che la ricerca debba essere<br />

orientata verso l’individuazione di cloni di cipresso tolleranti a certi terreni difficili e che, nello stesso tempo,<br />

abbiano anche altre caratteristiche economicamente importanti (rapido accrescimento, forma della chioma,<br />

resistenza al cancro, etc.). Queste valutazioni si basano sulla moltiplicazione dei candidati per talea radicata.<br />

Nel caso in cui non sia possibile individuare un numero sufficientemente ampio di cloni tolleranti a questi<br />

terreni e resistenti al cancro, potremo, tra quelli tolleranti, selezionarne alcuni come portainnesti e su questi,<br />

moltiplicati a loro volta per talea radicata, innestarvi i cloni con i caratteri desiderati.<br />

Un rischio della moltiplicazione vegetativa e dell’innesto, soprattutto in considerazione dell’elevato numero<br />

di piante innestate vendute, è quello di diffondere a livello regionale e/o nazionale su larga scala solo uno o<br />

pochissimi cloni “superiori”, ad es., per la resistenza al cancro, determinando un’impressionante e pericolosa<br />

omogeneità genetica, che potrebbe costituire un problema se altri parassiti, oltre il S. cardinale, arrivassero e<br />

si diffondessero, ed un’alterazione della componente paesaggistica. A questo proposito, l’IPP ed altre Unità<br />

Operative del progetto CypMed (Interreg III B MedOcc) stanno costituendo in varie località mediterranee<br />

una serie di parcelle sperimentali impiegando numerosi cloni di cipresso resistenti al cancro per valutare<br />

sperimentalmente il valore delle “varietà multiclonali” adatte per impianti forestali e frangivento nel<br />

garantire sia la risposta positiva all’attacco del S. cardinale che una più elevata variabilità genetica e quindi<br />

una maggiore resistenza e/o tolleranza ad altri aggressori esterni.<br />

Dopo questa premessa sui pregi (molti) e sugli svantaggi (pochi) della moltiplicazione per innesto effettuata<br />

in modo ecologicamente valido, vengono descritte le principali fasi della propagazione per innesto del<br />

cipresso, rinviando al lavoro di Capuana per eventuali approfondimenti teorici.<br />

Preparazione del portainnesto<br />

Il portainnesto è costituito da semenzali di C. sempervirens (Fig. 1). E’ opportuno rifornirsi di seme di ottima<br />

qualità che, in base alla legge 269 del 22.5.1973 ed alla direttiva CE 1999/105 deve essere di provenienza<br />

certificata e possibilmente derivante per l’Italia da boschi iscritti al LNBS.<br />

In genere la semina viene effettuata in serra riscaldata, dotata di impianto mist, in alveoli o cassette nel mese<br />

di Gennaio. Particolare attenzione va riservata alla fase di emergenza della plantula a causa della sua estrema<br />

suscettibilità al mal del colletto con interventi preventivi (uso di substrato particolarmente drenante, ovvero<br />

16


Fig. 1 - Semenzali di due mesi in alveolo.<br />

che si asciughi rapidamente in superficie a livello del<br />

colletto della plantula, e con buona capacità di ritenzione<br />

idrica per garantire una sufficiente umidità alle radici) ed<br />

interventi curativi con trattamenti anticrittogamici mirati.<br />

Alla fine della primavera (giugno dello stesso anno della<br />

semina) i semenzali vengono trapiantati in vasetti. È<br />

opportuno effettuare una serie di trapianti in vasetti di<br />

dimensioni crescenti (volume tra 500 e 1000 cc). In<br />

commercio sono disponibili vasetti di forma particolare<br />

per ridurre la malformazione degli apparati radicali<br />

(radici a spirale sul fondo del contenitore, ad es.).<br />

Tali deformazioni radicali, che incidono poi sullo sviluppo<br />

della pianta nel tempo, possono essere ridotte evitando<br />

sia di utilizzare substrati di coltivazione troppo compatti<br />

sia di sottoporre la pianta a stress idrici (alternanza tra eccessiva o troppo scarsa disponibilità di acqua a<br />

disposizione). L’allevamento in contenitore delle piante destinate a servire come portainnesto può durare uno<br />

o due anni. Durante questo periodo occorre mantenere le piante nel miglior stato sanitario, anche con<br />

interventi antiparassitari. Al momento dell’innesto il portainnesto deve essere esente da attacchi parassitari<br />

ed in pieno sviluppo.<br />

Raccolta e preparazione delle marze<br />

Le marze devono essere prelevate da piante madri sane e vigorose, avendo particolare cura nel raccogliere<br />

esclusivamente getti apicali “di luce” possibilmente nella parte più alta della pianta. Le marze non devono<br />

essere di consistenza troppo legnosa e devono essere raccolte in concomitanza con le operazioni di innesto.<br />

Nel caso che il prelievo delle marze debba essere effettuato in anticipo rispetto al momento dell’innesto, le<br />

marze devono essere conservate per alcuni, ma non molti, giorni in contenitori impermeabili in frigo a 4-5°C.<br />

Il materiale così scelto proveniente dalle Piante madri deve essere ulteriormente revisionato in un secondo<br />

tempo a tavolino eliminando le marze o parti di esse non sane e la vegetazione superflua. Alla fine<br />

dell’operazione si ottiene una marza di 10-15 cm pronta per l’innesto. Le marze così preparate vengono<br />

trattate immergendo la zona dei tagli in una soluzione con un fungicida ad azione sistemica.<br />

Prevedendo decine di migliaia di innesti, un’azienda vivaistica deve preoccuparsi di allestire un arboreto<br />

costituito da numerosi ramet (per “ramet” si intendono le copie<br />

vegetative di una pianta madre, detta “ortet”, ottenute per<br />

moltiplicazione agamica) delle piante madri, che l’azienda intende<br />

moltiplicare in modo da garantirsi ogni anno il materiale idoneo e<br />

sufficiente (marze) per gli innesti programmati.<br />

Fig. 2 - I tagli dell’innesto<br />

Metodo di innesto<br />

Nel cipresso comune il metodo di innesto più praticato è quello per<br />

approssimazione laterale da eseguirsi pochi centimetri sopra il livello<br />

del colletto.<br />

a) preparazione per l’innesto del portainnesto<br />

Sul portainnesto, scelto in relazione alle dimensioni della marza o<br />

viceversa, vengono asportati tutti i rametti presenti per circa 5-10 cm in<br />

altezza sopra il colletto per agevolare l’esecuzione dei tagli necessari<br />

per l’innesto. Il taglio viene praticato dall’alto verso il basso in modo da<br />

asportare un tratto di corteccia e di legno per una lunghezza di circa 2,5-<br />

3 cm e per una larghezza pari a circa ¼ della circonferenza del fusto. La<br />

parte in alto della zona asportata deve iniziare con taglio a scivolo<br />

dall’esterno verso l’interno, mentre quella in basso deve terminare con<br />

17


un incastro a forma di “V” aperta, capace di trattenere e bloccare la marza (Fig. 2).<br />

b) preparazione per l’innesto della marza<br />

La marza deve essere approntata con le medesime misure e con le caratteristiche di taglio identiche a quelle<br />

descritte per il portainnesto. La parte terminale in basso della marza deve avere una forma “a cuneo” e quella<br />

in alto “a scivolo” per aderire perfettamente sia all’incastro a “V” prima descritto che a tutte le altre parti<br />

tagliate del portainnesto.<br />

AVVERTENZE:<br />

1. Come tutti gli innesti, in genere, i tagli devono presentare superfici lisce mentre i tessuti dei bionti<br />

non devono essere lesionati od intaccati a più riprese. Per questo, è importante curare l’affilatura del<br />

coltello ed operare con decisione in modo da asportare corteccia e legno su tutta la lunghezza<br />

desiderata con un unico taglio.<br />

2. Occorre scegliere il portainnesto (pianta di uno o due anni) in relazione alle dimensioni della marza<br />

(o viceversa) in modo da far combaciare al meglio le loro zone cambiali.<br />

Epoca di esecuzione degli innesti<br />

Per motivi economici dalle aziende vivaistiche è stato pressoché eliminato l’innesto in piena aria. In vivaio,<br />

per favorire l’organizzazione del lavoro e per disporre di un più lungo periodo favorevole all’innesto del<br />

cipresso, si opera in serra riscaldata. Al suo interno le piante in contenitore (portainnesti) vengono poste in<br />

“forzatura” con largo anticipo rispetto al periodo programmato per l’innesto. La moltiplicazione per innesto<br />

comincia così a Gennaio e si può protrarre fino in primavera.<br />

I due bionti (portainnesto e marza) vengono posti a contatto tra loro curando che la zona cambiale dell’uno<br />

collimi con quella dell’altro (Fig. 3). Si procede allora alla legatura su tutta la lunghezza con elastici<br />

fotodegradabili (Fig. 4) ed alla tamponatura con mastici specifici di tutti gli spazi e delle aperture che<br />

possono mettere a contatto le zone sottoposte al taglio con l’esterno (vedi Tavola 1).<br />

In questa fase la pianta portainnesto si presenta pressoché integra ma con una marza del clone inne-<br />

stato inserita lateralmente.<br />

Dopo l’innesto è importante che le piante innestate siano allevate in ambiente controllato (in genere sotto tunnel di<br />

plastica) per la temperatura (intorno a 22°C) e per l’umidità dell’aria circostante la talea (circa 100%).<br />

All’inizio dell’attività vegetativa, viene asportata la cima del cipresso portainnesto, conferendo così maggior<br />

spinta all’accrescimento della marza. La riduzione della chioma del portainnesto è continua ed in relazione<br />

sempre all’accrescimento della marza. La pianta innestata viene man<br />

mano posta in condizione di meglio adattarsi all’ambiente esterno e a<br />

fine primavera viene trasferita in un contenitore più grande (max. 4-5<br />

litri) dove potrà stare per almeno altri 2 anni, ovvero fino a raggiungere<br />

in vaso un’altezza di 100-150 cm.<br />

Ad un anno dall’innesto è già difficile evidenziare il punto di unione tra i<br />

due bionti e a due anni solo<br />

un esperto può individuarlo.<br />

Questo a dimostrazione<br />

ulteriore della forte affinità<br />

di innesto nell’ambito del C.<br />

sempervirens e, da nostre<br />

ricerche, anche tra portainnesti<br />

di cipresso comune ed<br />

altre numerose specie di<br />

cipresso.<br />

Fig. 3 - Approssimazione dei<br />

due bionti.<br />

18<br />

Fig. 4 - Legatura del punto d’innesto<br />

con elastico fotodegradabile.


Cipressi in ambiente controllato dopo<br />

Tavola 1 - Sequenza delle operazioni d’innesto - Figg. 1-2-3: preparazione del portainnesto; figg. 4-5-6: preparazione della marza; figg. 7-8-9:<br />

approssimazione dei due bionti (portainnesto e marza) e legatura con elastico del punto d’innesto: figg. 10-11-12: copertura del punto d’innesto con<br />

paraffina.<br />

19


Piante di cipresso in vaso 18 a due anni<br />

dall’innesto, messe in commercio.<br />

Innesto attecchito: eliminazione della parte aerea del portainnesto<br />

Conclusioni<br />

Le aziende vivaistiche europee producono diversi milioni di piante<br />

di cipresso innestate e ne vendono annualmente circa 5 milioni. Le<br />

piante di cipresso innestate vengono messe in commercio con<br />

diverse dimensioni, a prezzi variabili in relazione all’altezza della<br />

pianta stessa e allo standard qualitativo. Ha suscitato interesse<br />

l’utilizzo di cloni di cipresso resistenti al cancro di oltre 8 m di<br />

altezza per il risanamento dello storico viale di Bolgheri<br />

nell’ambito sempre del Progetto CypMed. Recentemente alcuni<br />

cloni sono stati brevettati dal CNR-IPP per la loro resistenza al<br />

cancro e posti in commercio con un’etichetta di garanzia. Nel 2004<br />

verranno brevettati altri 4 cloni per impianti ornamentali e se la<br />

sperimentazione promossa dal progetto CypMed darà i risultati<br />

attesi potrà essere possibile brevettare due “varietà multiclonali”,<br />

costituite ciascuna da molti cloni resistenti al cancro, adatte per la<br />

realizzazione di impianti forestali clonali e per barriere frangivento.<br />

Si stima quindi che il mercato vada incontro a un ulteriore<br />

incremento di vendite (circa 30%) di cipressi innestati nei prossimi<br />

anni per i risultati scientifici finora ottenuti sulla resistenza al<br />

cancro e per quelli sull’adattamento a differenti condizioni<br />

pedoclimatiche previsti con il progetto CypMed.<br />

20


PROPAGAZIONE DEL CIPRESSO PER TALEA<br />

G. Pacini, S. Gozzo, L. Paggetti<br />

Amministrazione Provinciale di Siena, Servizio Attività Agricole e Forestali.<br />

G. Della Rocca<br />

Istituto per Protezione delle Piante, CNR, Firenze<br />

Presentazione del Vivaio “Il Campino”, Provincia di Siena<br />

Nel 1932 il Vivaio “Il Campino” fu costituito come supporto ai cantieri forestali sotto la direzione del corpo<br />

Forestale dello Stato (CFS) che operava nei bacini montani della provincia. Il Vivaio provvedeva<br />

esclusivamente alla produzione di piantine forestali da mettere a dimora nei rimboschimenti producendo<br />

annualmente dalle 150 alle 200 mila piante di varie essenze destinate soprattutto alla difesa del suolo. Una<br />

superficie di circa 1100 ettari fu interessata allora da tali opere. Le sistemazioni a “gradoni” sono ancora<br />

conservate ed efficienti, portate ad esempio e meta di visite di tecnici. Negli anni ’80 il Vivaio “Il Campino”<br />

fu trasferito alla Provincia di Siena (L.R. di delega 15/81). L’Amministrazione Provinciale ha indirizzato<br />

l’attività del Vivaio verso la sperimentazione, divulgazione ed innovazione tecnologica (progetti su piante<br />

officinali, sull’olivo, sul tartufo, sul cipresso, ecc.).<br />

Nel 1985, a seguito della gelata che distrusse il 70% del patrimonio olivicolo provinciale, il Vivaio iniziò la<br />

propagazione dell’olivo per talea a partire da piante che avevano mostrato tolleranza al freddo, ottenendo<br />

ottimi risultati. Anche il cancro del cipresso, causato da Seiridium cardinale, aveva decimato le piante di<br />

cipresso, simbolo insostituibile del paesaggio senese. Questa epidemia richiese una bonifica consistente con<br />

l’abbattimento ed il taglio di risanamento di cipressi, opere finanziate dalla Regione Toscana. Le attrezzature<br />

impiegate nella moltiplicazione dell’olivo per talea radicata e le competenze acquisite dal personale del<br />

Vivaio “Il Campino” furono estremamente strategiche ed utili per la moltiplicazione per talea radicata del<br />

cipresso. Questa necessità di produrre in modo massale piante di cipresso a partire da piante scelte nel<br />

territorio provinciale incrementò l’attività di ricerca del Vivaio per mettere a punto metodi di moltiplicazione<br />

del cipresso per talea radicata economicamente validi. In diverse località della provincia di Siena di<br />

particolare pregio paesaggistico-ambientale, quale la Val d’Orcia, esemplari monumentali di cipresso sono<br />

stati identificati, catalogati e moltiplicati per talea radicata, piantati e quindi sottoposti ad inoculazione<br />

artificiale con micelio di S. cardinale per valutarne il grado di resistenza. Tra queste piante madri, 7 sono<br />

state registrate presso l’Ufficio Italiano Brevetti (Cipresso Val di Paglia, Cipresso Monte Cetona, Cipresso<br />

Monticchiello, Cipresso di Pienza, Cipresso di Siena, Cipresso Val d’Orcia, Cipresso Castiglioncello del<br />

Trinoro).<br />

Moltiplicazione vegetativa del cipresso per talea: note tecniche<br />

Perché moltiplicare il cipresso per talea?<br />

La propagazione per radicazione di talea nel cipresso comune (Cupressus sempervirens) è pratica più<br />

problematica e costosa dell’innesto. Infatti la permanenza delle talee in bancali di radicazione posti in serra<br />

con mist dura vari mesi e richiede anche spese per il controllo sanitario. Anche le altre fasi di indurimento e<br />

di trasferimento in serra e all’aperto sono in genere più lunghe, incerte e complesse di quelle legate<br />

all’innesto. Le talee radicate dello stesso clone offrono però il grande vantaggio di costituire un materiale<br />

geneticamente omogeneo, che favorisce enormemente certe indagini e studi. I risultati di tali studi possono<br />

poi essere utilizzati con certezza nel settore applicativo.<br />

Due esempi possono illustrare meglio l’importanza di poter disporre di materiale da talea radicata.<br />

Il primo è dato dalla necessità di recuperare terreni particolarmente difficili con il cipresso. Ad es., nei terreni<br />

argillosi del Senese sono stati identificati e moltiplicati per talea radicata i cipressi che si sono bene adattati a<br />

questi terreni, sceglendo quelli con caratteristiche morfologiche migliori. Tale materiale è stato poi piantato<br />

nelle parcelle di studio, valutandone la reale tolleranza al tipo particolare di terreno. È questo l’unico<br />

21


approccio per evitare, usando materiale geneticamente omogeneo, le interferenze del portainnesto sulla<br />

risposta del clone a quel terreno. In questo modo è anche possibile selezionare individui da usare<br />

eventualmente come portainnesti tolleranti alle particolari condizioni edafiche e su questi innestare tutti i<br />

cloni precedentemente selezionati per altre caratteristiche utili (tolleranza a fattori abiotici, resistenza al<br />

cancro e ad insetti, ecc.). L’impianto di una varietà multiclonale innestata su portainnesto tollerante terreni<br />

difficili garantisce, ad es., la resistenza al cancro e, nello stesso tempo, conserva nella zona una variabilità<br />

genetica sufficientemente ampia.<br />

Un secondo esempio è l’uso di piante derivate da talea radicata per scopi scientifici, ovvero per valutare<br />

l’effetto del portainnesto su altri caratteri di importanza economica (ritmo di crescita, livello di resistenza a<br />

malattie ed insetti, produzione di polline, ecc.). In questo caso l’impiego di talee radicate di un clone<br />

eliminando il portainnesto, permette di misurare con precisione e ripetibilità il valore “reale” di adattamento<br />

del clone a quel dato ambiente ed, operando con numerose piante per clone, avere informazioni sul genotipo<br />

(Vg) utilizzando misure fenotipiche (Vp) dei caratteri (Vp=Vg+Ve, dove Ve è la variabilità ambientale, che,<br />

assumendo valori positivi e negativi, in media con un campione numeroso tende a zero e quindi Vp=Vg).<br />

Tecnica di moltiplicazione del cipresso per talea<br />

Raccolta di talee da una pianta madre.<br />

a) Scelta delle piante madri<br />

La scelta della pianta madre (si intende per “pianta madre”<br />

l’individuo che fornisce il materiale di propagazione, sia esso seme o<br />

talee per l’innesto o per la radicazione) dipende soprattutto dal<br />

carattere che si intende utilizzare. Ad es., se tale carattere è la<br />

resistenza al cancro da S. cardinale, le piante madri dovranno essere<br />

scelte tra i cipressi precedentemente selezionati per il loro elevato<br />

grado di resistenza al cancro. Se invece tale carattere è la tolleranza a<br />

terreni fortemente argillosi, come le crete senesi, le piante madri<br />

dovranno essere scelte tra quelle che hanno mostrato una migliore<br />

adattabilità, misurata come funzionalità della pianta negli anni,<br />

rispetto ad altre.<br />

b) Raccolta delle talee<br />

Le talee semilegnose vanno raccolte dalla parte inferiore della<br />

chioma delle piante madri integre. Le piante madri non devono<br />

essere in piena vegetazione e non aver subito un repentino<br />

abbassamento della temperatura. Secondo alcuni ricercatori (Pacini,<br />

com. pers.) il miglior periodo di raccolta delle talee è Novembre,<br />

mentre Giannini et al. (1999) suggeriscono di prelevare le talee<br />

all’inizio della ripresa vegetativa del cipresso, che in Toscana è verso<br />

Marzo-Aprile. Va comunque ricordato che ogni individuo (genotipo)<br />

possiede un suo periodo ottimale per la raccolta di talee per la<br />

radicazione, durante il quale le talee rispondono meglio ai<br />

trattamenti ormonali.<br />

Le talee vanno preparate e poste a radicare prima possibile, ma nel caso che ciò non possa avvenire, possono<br />

essere conservate per qualche giorno in sacchetti di plastica a 2-3°C.<br />

c) Preparazione e trattamento delle talee<br />

Le dimensioni delle talee possono essere molto variabili, dai 3-4 cm di lunghezza fino a 15-20 cm in<br />

relazione alla crescita, che ha avuto la pianta nell’ultimo anno, ed alla sua età. Le talee prelevate dalla parte<br />

più bassa di piante giovani hanno una capacità rizogena superiore a quelle raccolte sempre dalla parte più<br />

bassa della chioma di piante adulte dello stesso clone. Sono comunque da evitare talee succulenti, dette di<br />

“luce”, che sono più sensibili e dipendenti dalle condizioni ambientali durante la fase di radicazione.<br />

Dopo aver rimosso le foglie dalla parte basale, le talee vanno trattate con uno stimolatore della rizogenesi,<br />

immergendone la base per alcuni minuti in una soluzione allo 0,5% del sale potassico dell’acido indol-<br />

22


Talee poste a radicare in bancale riscaldato.<br />

butirrico (IBA). Per il controllo dei funghi parassiti sono<br />

consigliati trattamenti a base di benlate (1%). I risultati<br />

ottenuti da Stankova e Panetsos (1997) mostrano che il<br />

trattamento ormonale influenza significativamente la<br />

risposta rizogena di alcuni cloni più che di altri. Va<br />

ricordato che ogni genotipo esprime un differente<br />

potenziale rizogeno e, in genere, in cloni a basso<br />

potenziale rizogeno naturale il trattamento auxinico non<br />

riesce ad aumentare il livello di radicazione fino a quello<br />

dei cloni a potenziale naturale già elevato.<br />

Le talee vengono messe in bancali con riscaldamento<br />

basale (22-24°C) in serra dotata di mist, inserendole nel<br />

substrato per circa 1/3, ovvero 4 cm. Il processo di<br />

formazione delle radici avviene in tempi relativamente<br />

lunghi e variabili a causa di<br />

molti fattori (tra i quali l’età<br />

della pianta madre, il periodo<br />

di raccolta delle marze, il<br />

genotipo della pianta madre,<br />

la gestione della serra, ecc.).<br />

Infatti alcune talee dopo<br />

circa un mese formano abbondante<br />

callo, altre neces-<br />

sitano di 2-3 mesi.<br />

Una così lunga permanenza<br />

delle talee nel substrato può<br />

facilitare attacchi di funghi<br />

patogeni, che devono essere<br />

tenuti sotto controllo con<br />

Formazione delle radici dalle talee.<br />

trattamenti anticrittogamici<br />

idonei. Il substrato ed i<br />

contenitori, già impiegati in precedenti prove di radicazione, devono essere comunque completamente<br />

sottoposti a sterilizzazione con vapore prima di procedere alla collocazione di nuove talee.<br />

d) Indurimento<br />

Le talee radicate vengono invasate (è usato comunemente un vasetto, meglio se di torba, di 5cm (100cc), con<br />

torba, sabbia e perlite nel rapporto 3:1:1) ed acclimatate in bancale in serra con impianto mist a 22°C per 4<br />

settimane. Quindi vengono reinvasate in un contenitore da 1,5 - 2,5 l con terriccio, torba e terreno sabbioso<br />

nel rapporto 2:2:1 e messe in ombrario per circa un anno in modo da sviluppare un apparato radicale tale da<br />

garantire la riuscita del trapianto in pieno campo.<br />

In genere la sopravvivenza delle talee radicate dopo il secondo trapianto è molto alta, circa il 100%,<br />

indicando chiaramente che il sistema radicale di queste piante è fisiologicamente funzionante.<br />

Dopo 2 anni le piante autoradicate raggiungono un’altezza media di 38-42 cm, senza differenze consistenti<br />

tra cloni o tra talee prelevate dalla parte più bassa o più alta della chioma (Capuana e Lambardi,1995).<br />

Conclusioni<br />

La percentuale di radicazione delle talee di cipresso oscilla di anno in anno e dipende dal genotipo delle<br />

diverse piante madri caratterizzato da diverso potere rizogeno. Nel Vivaio Campino la percentuale di<br />

radicazione di talee di cipresso varia dall’80% al 30%. L’impiego di tale tecnica di moltiplicazione del<br />

cipresso è soprattutto necessario per riuscire ad individuare i candidati tolleranti le argille senesi scegliendoli<br />

23


tra quelli precedentemente indicati come resistenti al cancro da S. cardinale o selezionando tra quelli<br />

tolleranti terreni altamente argillosi quelli resistenti anche al cancro. Nel caso che non sia possibile ottenere<br />

selezioni tolleranti e resistenti contemporaneamente, l’interesse sarà rivolto verso l’individuazione di<br />

candidati tolleranti le argille, la loro moltiplicazione per talea radicata e su questi, impiegati come<br />

portainnesto, l’innesto di cloni resistenti al cancro.<br />

Gli obiettivi indicati sono quelli del progetto CypMed dell’Interreg III B Med.Occ assegnati alla Provincia di<br />

Siena, che intende soddisfarli con la collaborazione fattiva del Vivaio Campino e di altre Unità Operative del<br />

CypMed.<br />

Bibliografia<br />

CAPUANA M., LAMBARDI M., 1995. “Cutting propagation of common cypress (Cupressus sempervirens<br />

L.)”. New Forests, 9:111-122.<br />

GIANNINI R., CAPUANA M., GIOVANNELLI A., 1999. “Produzione di piante” in “Il Cipresso. Manuale<br />

Tecnico” Ed. E. Tessier du Cros, 44-53<br />

STANKOVA T., PANETSOS K., 1997. “Vegetative propagation of Cupressus sempervirens L. of Cretan<br />

origin by softwood stem cuttings”. Silvae Genetica, 46 (2-3) 137-144.<br />

24


PRODUZIONE DI PIANTE DI CIPRESSO ATTRAVERSO LA MICROPROPAGAZIONE<br />

1<br />

Claudine Andréoli - URIH Pathologie Appliquée, Antibes, Francia<br />

M. Capuana - CNR Istituto di Genetica Vegetale – Sezione di Firenze<br />

2<br />

3 4<br />

Figg. 1-2-3-4-5 Micropropagazione di Cupressus sempervirens.<br />

Proliferazione, accrescimento dei germogli e rizogenesi.<br />

5<br />

25<br />

La micropropagazione ha gli stessi obiettivi della<br />

radicazione per talea e dell’innesto, ovvero la<br />

produzione di piante per via vegetativa,<br />

garantendone l’identità e la ripetibilità genetica.<br />

Negli ultimi decenni il cancro del cipresso da<br />

Seiridium cardinale ha decimato le piantagioni di<br />

questa specie (Cupressus sempervirens) nei paesi<br />

del bacino mediterraneo (soprattutto Italia, Grecia e<br />

Francia). Questo fatto ha indirizzato gli studi,<br />

finanziati dalla EU, verso la selezione di cipressi<br />

resistenti al cancro (Panconesi et al., 1999).<br />

L’impiego della coltura in vitro può rappresentare<br />

un metodo utile per la produzione massale di<br />

genotipi già selezionati per caratteri quali, ad es., la<br />

resistenza al cancro, l’accrescimento e l’adattamento<br />

a condizioni avverse.<br />

Relativamente alla micropropagazione del cipresso<br />

comune, vi sono pochissimi lavori pubblicati e la<br />

maggior parte di questi si riferiscono alla micropropagazione<br />

di plantule molto giovani (fino a 4-6<br />

settimane d’età). Negli anni ’90 fu intrapresa una<br />

prova per valutare la capacità rigenerativa di tessuti<br />

prelevati da cipressi di diversa età (semenzali di 5<br />

settimane, alberi di 15 e 150 anni) riguardante<br />

l’induzione di proliferazione di gemme ascellari, il<br />

conseguente sviluppo dei germogli (allungamento) e<br />

la loro radicazione (Capuana e Giannini, 1997).<br />

Il vantaggio indiscusso della propagazione in vitro è<br />

che si possono moltiplicare i cloni selezionati per le<br />

caratteristiche desiderate in modo massale (come<br />

avviene per altre specie forestali arboree), in tempi<br />

relativamente brevi e, se la micropropagazione ha<br />

successo, anche a costi economicamente validi. Ci<br />

sono però alcune difficoltà. Infatti, poiché la<br />

selezione di un clone “superiore” di cipresso<br />

richiede almeno 8-9 anni, è logico che sia necessario<br />

indirizzare gli sforzi della ricerca nel tentativo di<br />

rendere possibile ed economica la micropropagazione<br />

a partire da espianti prelevati da cipressi di<br />

9-12 anni.


Scelta del materiale<br />

Le gemme apicali di rami laterali sono prelevate dalla parte inferiore della chioma di cloni resistenti al<br />

cancro, che hanno di conseguenza un’età compresa tra 9 e 12 anni. Il materiale scelto deve essere comunque<br />

in uno stadio fisiologico di piena crescita ed essere costituito da tessuti giovani (età inferiore ad un anno). Se<br />

si tratta di un cipresso in situ, occorre cercare di ringiovanire i tessuti sia per innesto (annotare le percentuali<br />

di attecchimento dell’innesto) che per talea radicata controllandone il tasso di rizogenesi spontanea (ovvero<br />

quella ottenuta senza trattamenti auxinici). Da prove effettuate dall’INRA ad Antibes, sembra che i valori<br />

elevati per questi due caratteri indichino una certa predisposizione del clone alla rizogenesi in vitro. Se si<br />

tratta, invece, di un clone allevato in vaso, è opportuno potare drasticamente la pianta a partire dalla base in<br />

modo da ottenere la formazione di vegetazione “primaria”, ossia rametti con foglie lanceolate ed appuntite<br />

come le foglie primarie.<br />

Messa in coltura del materiale<br />

Gli espianti, dopo essere stati lavati in acqua per 60 minuti, vengono sterilizzati con un trattamento a base di<br />

70% di etanolo per 2 minuti, risciacquati in acqua sterile e poi immersi in una soluzione di ipoclorito di sodio<br />

all’1,5% per 20 minuti. Infine il materiale viene risciacquato 4 volte in acqua sterile deionizzata.<br />

La messa in coltura dell’espianto avviene su un mezzo minerale specifico (micro e macroelementi, carbonio<br />

in forma organica, vitamine) in cui l’equilibrio tra i regolatori di crescita (citochinine ed auxine) è calibrato<br />

in funzione dello stadio di sviluppo dell’espianto e dell’evento morfogenetico che si intende provocare.<br />

Le tappe della micropropagazione possono essere in breve così indicate:<br />

a) scelta e prelievo del materiale e sua sterilizzazione;<br />

b) messa in coltura. L’introduzione in vitro (in tubi o vasi di coltura di dimensioni appropriate) può<br />

essere fatta utilizzando una semplice soluzione agarizzata, con lo scopo di avere una conferma della<br />

sterilità del materiale. In seguito, questo viene trasferito su mezzo minerale in grado di favorire:<br />

- la crescita del tessuto aereo<br />

- la proliferazione delle gemme<br />

- la rizogenesi<br />

c) acclimatazione, che prevede il passaggio dal vitro (costituito da un ambiente sterile, controllato e con<br />

umidità ambientale vicina alla saturazione) all’esterno;<br />

d) piantagione e controllo: può essere utile, infatti, testare l’adattabilità ad ambienti diversi delle piante<br />

propagate ed eseguire prove comparative tra piante di uno stesso clone derivate da<br />

micropropagazione e quelle ottenute attraverso radicazione di talea o innesto.<br />

Germoglio di Cupressus sempervirens radicato in<br />

vitro.<br />

Risultati<br />

Il risultato più evidente scaturito da nostre prove e confermato<br />

dalla bibliografia, è l’evidente differenza nel comportamento di<br />

espianti da tessuti di giovani semenzali rispetto a quello da<br />

cipressi adulti. La capacità di organogenesi e di rigenerazione<br />

della pianta, in genere, diminuisce passando dalla fase giovanile<br />

vegetativa a quella adulta riproduttiva. Il tasso di proliferazione<br />

è risultato alto per il materiale giovane di cipresso, mentre solo<br />

pochissimi espianti da piante adulte hanno rigenerato. Inoltre gli<br />

espianti da piante giovani si allungano rapidamente, mentre<br />

quelli da piante adulte necessitano di numerose subcolture per<br />

raggiungere un adeguato sviluppo che consenta successive<br />

proliferazioni o il passaggio alla radicazione. L’uso di carbone<br />

attivo è risultato efficace nelle fasi di allungamento perché viene<br />

ridotto l’effetto negativo della BA (N6-benzyladenine) sullo<br />

sviluppo del germoglio e sulla successiva radicazione.<br />

26


Sviluppo differenziato delle piantine in relazione al clone sottoposto<br />

a micropropagazione.<br />

a b c<br />

Conclusioni<br />

Altro risultato interessante è che la coltura in vitro<br />

sembra avere un effetto di rinvigorimento sul<br />

materiale adulto, promuovendo la comparsa di<br />

caratteri morfologicamente giovanili. Come per<br />

altre conifere, anche per il cipresso la radicazione di<br />

espianti da piante adulte è da considerare il punto<br />

critico della micropropagazione, fatto che limita<br />

l’uso di tale tecnica nel miglioramento genetico del<br />

cipresso. Occorre tuttavia ricordare che l’attitudine<br />

alla rizogenesi, come nel caso della propagazione<br />

per talea, è legata al genotipo e, soprattutto,<br />

fortemente correlata con l’età della pianta dalla<br />

quale si preleva il materiale da sottoporre alla<br />

micropropagazione.<br />

Sviluppo delle piante coetanee del clone F 318: a - innesto; b - talea radicata; c - pianta micropropagata.<br />

Le osservazioni sperimentali sulla propagazione in vitro, soprattutto a partire da cipressi adulti, indicano difficoltà reali<br />

per la formazione di radici. E’ presumibile che questo ostacolo possa essere superato con un approfondimento delle<br />

ricerche, dal momento che la radicazione di germogli proliferati da espianti adulti è stata già ottenuta, seppure in<br />

percentuali molto basse. E’ quindi necessario migliorare tale tecnica, perché la moltiplicazione in vitro da piante adulte<br />

selezionate aprirebbe anche la strada all’impiego dell’ingegneria genetica nel miglioramento genetico del cipresso per<br />

caratteri di particolare interesse. Altra difficoltà, non di poco conto, è che l’applicazione della micropropagazione<br />

richiede strutture appropriate e manodopera specializzata; di conseguenza, se le aziende vivaistiche intendessero<br />

indirizzarsi a laboratori di colture in vitro, il costo di produzione di piante a partire da cipressi adulti risulterebbe, al<br />

momento, piuttosto elevato. Per questo la micropropagazione del cipresso sembra avere un’immediata applicabilità solo<br />

se rivolta verso la moltiplicazione di esemplari di alto valore storico ed ornamentale e di quelli selezionati per caratteri<br />

validi; in generale, quindi, per la salvaguardia e conservazione di un germoplasma a forte rischio di estinzione e per la<br />

costituzione di una banca di geni, realizzabile anche su scala mondiale.<br />

Bibliografia<br />

Capuana M., Giannini R. 1997. Micropropagation of young and adult plants of cypress (Cupressus sempervirens L.) S.<br />

Hort. Sci., 72(3): 453-460.<br />

27


Introduzione<br />

LE MALATTIE DEL CIPRESSO IN VIVAIO<br />

dal frutto al seme, dalla plantula alla commercializzazione<br />

A. Panconesi, R. Danti<br />

Istituto per la Protezione delle Piante del CNR, Firenze<br />

Molto si è parlato in questi ultimi anni del cipresso, delle sue malattie e delle enormi difficoltà che si<br />

incontrano nel loro controllo. Mi riferisco in modo particolare al Seiridium cardinale, agente patogeno del<br />

cancro corticale del cipresso (Cupressus sempervirens), la malattia più importante e distruttiva che abbia mai<br />

colpito questa specie, i cui devastanti effetti si possono riscontrare in gran parte dei paesi che si affacciano<br />

sul bacino mediterraneo (Grasso e Raddi, 1979; Ponchet, 1990; Panconesi, 1991; Teissier du Cros, 1999;<br />

ARSIA, 2003).<br />

Numerosi studi sono stati effettuati sulle malattie delle piante adulte, ma molto poco si conosce sui parassiti<br />

dei coni 1 , dei semi e delle giovani piantine in vivaio, dalla germinazione al momento della loro<br />

commercializzazione. In questo lavoro vorremmo contribuire a descrivere brevemente quali sono questi<br />

patogeni, come sono coinvolti nel processo riproduttivo e vegetativo del cipresso e quali sono le possibilità<br />

di controllo.<br />

MALATTIE DELLE GALBULE<br />

Seiridium cardinale<br />

All’inizio della primavera e in autunno, non è difficile osservare, anche ad occhio nudo, sulle galbule del<br />

cipresso, delle piccole pustole nere, delle dimensioni di 0,5-1,5 mm, erompenti<br />

dall’epidermide (Fig. 1). Queste pustole, dette acervuli, contengono migliaia di<br />

conidi che sono gli organi di riproduzione del parassita. Questi conidi sono<br />

costituiti da 6 cellule, 2 ialine apicali senza<br />

appendici e 4 centrali più scure (Fig. 2). Gli<br />

acervuli si sviluppano singolarmente, non sono<br />

molto fitti e appaiono disposti irregolarmente<br />

sulle squame. La loro presenza può interessare<br />

Fig. 1 – Galbule con acervuli<br />

di S. cardinale.<br />

Fig. 3 – Squama con acervuli di S.<br />

cardinale e foro di uscita (a sinistra<br />

in basso) del Mega-stigmus wachtli.<br />

una singola squama o l’intera superficie della<br />

galbula. Galbule infette possono essere<br />

osservate sia su rami infetti che su rami sani;<br />

galbule sane possono trovarsi anche su rami<br />

Fig. 2 – Conidi di S. cardinale.<br />

infetti. Se l’infezione è precoce, ovvero avviene quando le galbule sono<br />

molto piccole, da alcuni mm fino ad 1 cm di diametro circa, queste si<br />

disseccano e cadono anticipatamente, in modo simile a quanto si verifica in<br />

seguito ad attacchi del Lepidottero tortricide Pseudococcyx tessulatana. Se<br />

l’infezione è più tardiva, alcune squame o l’intera galbula possono essere<br />

interessate dalla malattia per cui tutta la galbula o parte di essa può aprirsi<br />

anticipatamente mostrando i semi ancora immaturi (di colore giallo<br />

paglierino) avviluppati da un intreccio di ife di colore biancastro. Molto<br />

spesso si verifica che su una galbula adulta possa essere colpita una singola<br />

squama (Fig. 3), in questi casi l’infezione può essere trasmessa da alcuni<br />

insetti frequentatori o infeudati con i coni o con i semi del cipresso quali il<br />

Megastigmus wachtli e l’Orsillus maculatus. Le squame colpite da S.<br />

cardinale imbruniscono e necrotizzano, si disidratano e riducendosi di<br />

1 I coni sono i frutti delle conifere, nel cipresso sono detti anche galbule.<br />

28


volume si separano da quelle sane adiacenti, dando la sensazione di un’apertura anticipata. Questo loro<br />

aspetto le rende facilmente riconoscibili da quelle sane sulle quali deve orientarsi la raccolta.<br />

Sebbene la malattia non riesca a passare dal picciolo della galbula infetta al rametto, durante le tempeste i<br />

coni infetti possono urtare, ferire e contaminare i rami ed i coni della stesa pianta o delle piante circostanti,<br />

qualora le chiome siano in contatto tra di loro.<br />

Gli acervuli del S. cardinale si sviluppano sia sulla superficie esterna che sulla superficie interna delle<br />

squame, ciò favorisce la contaminazione dei semi e la produzione di enormi quantità di inoculo (conidi), che<br />

può essere diffuso nell’ambiente da vari agenti meteorici (vento, pioggia, grandine, ecc.) e da altri vettori<br />

animali (insetti, uccelli, piccoli mammiferi roditori, ecc.). Le galbule, anche quelle infette, dopo la loro<br />

maturazione e apertura, possono rimanere a lungo (anche più di un anno) attaccate al rametto sul quale sono<br />

state prodotte. Durante il periodo di permanenza sulla pianta, fino alla completa disidratazione dei tessuti, le<br />

galbule infette continuano a produrre e diffondere inoculo nell’ambiente. Spesso delle nuove serie di<br />

fruttificazioni si formano nei crateri acervulari ormai vuoti dell’anno precedente. Le galbule infette possono<br />

essere inoltre visitate da numerosi insetti vettori, più o meno opportunisti, che possono favorire ulteriormente<br />

la diffusione del patogeno.<br />

Diplodia pinea f. sp. cupressi (sin. Sphaeropsis sapinea f. sp. cupressi, Diplodia mutila [Stanosz et al.,<br />

1998]; teleomorfo: Botryosphaeria stewensii 2 ).<br />

I picnidi del fungo sono stati ritrovati, oltre che sui cancri del fusto e delle branche, come riferiremo in<br />

seguito, anche sulle galbule e sui semi (Frisullo et al., 1997). Le galbule infette si presentano corrugate e<br />

ridotte in volume, di colore bruno nerastro, specialmente le più giovani. Da alcuni cretti presenti sulla<br />

superficie si sviluppano, abbondanti picnidi nerastri con il collo brevemente emergente. I conidi, che a<br />

maturità fuoriescono dal collo del picnidio e si accumulano come una massa bruno nerastra sulla superficie<br />

della galbula, sono ovoidali, ialini ed hanno la parete liscia. A maturità i conidi assumono una colorazione<br />

bruna e frequentemente originano un setto trasversale mediano.<br />

È stato accertato che questi conidi possano essere veicolati da una pianta all’altra da alcuni insetti Psocotteri<br />

(Porcelle et al., 1996). Poiché la malattia può passare dalla galbula ai semi, questa può determinare una forte<br />

riduzione della germinabilità. Le galbule infette fanno aumentare notevolmente la quantità di inoculo, ciò<br />

comporta una maggiore possibilità di diffusione della malattia a tutti gli altri organi della pianta, rami,<br />

branche, ecc. con produzione di nuovi cancri e disseccamenti che vanno ad aggravare il quadro patologico<br />

del cipresso.<br />

Phomopsis occulta (teleomorfo: Diaporthe eres)<br />

Causa , come vedremo in seguito, il disseccamento dei getti in piante adulte e la morte di giovani piantine in<br />

vivaio. In passato, la forma di riproduzione agamica (asessuata) è stata ritrovata, a livello saprofitario, anche<br />

su rami e coni morti di cipresso e di altre conifere (Ghillini, 1939). Non sono state fatte indagini per accertare<br />

se la patogenicità dei ceppi provenienti dai coni fosse diversa da quella dei ceppi provenienti dai rametti o<br />

dalle giovani piantine.<br />

Pestalotiopsis funerea<br />

Fig. 4 – Acervuli di Pestalotiopsis<br />

funerea.<br />

Gli acervuli prodotti da questa specie fungina (Melanconiales) sulle galbule di<br />

cipresso, sono molto simili a quelli descritti per il S. cardinale dal quale possono<br />

essere distinti solo con un attenta osservazione o con l’ausilio di un microscopio. Gli<br />

acervuli di P. funerea (Fig. 4) sono brunastri, piuttosto piccoli e addensati e<br />

prorompono dall’epidermide della galbula formando un’apertura di forma triangolare<br />

sui cui bordi si osserva per breve tempo il colore bianco dei tessuti stromatici. A<br />

maturità, dalla sommità del cono acervulare, lacerato dalla pressione esercitata dalla<br />

continua produzione di conidi, fuoriesce un cirro di colore nerastro costituito dalla<br />

massa dei conidi che in assenza di umidità si rapprende facilmente assumendo una<br />

consistenza quasi cornea. Con la pioggia queste masse conidiche si liberano<br />

2 Teleomorfo e anamorfo sono rispettivamente la forma di riproduzione sessuata ed asessuata di un fungo.<br />

29


immediatamente e si disperdono nell’ambiente circostante.<br />

Microscopicamente i conidi della P. funerea hanno solo 5 cellule (tre mediane più scure e due, quella basale<br />

e quella apicale, ialine) (Fig. 5). La cellula ialina apicale possiede 3-4 sete lunghe e ben visibili che la<br />

differenziano inequivocabilmente dal S. cardinale.<br />

Questo Melanconiale si comporta come un debole parassita od un saprofita.<br />

Alcuni ritengono che possa vivere anche a livello endofitico per svilupparsi<br />

sulle galbule in via di maturazione sulle foglie e sui giovani rametti stressati<br />

per cause ambientali avverse (ad es. abbassamenti repentini di temperatura).<br />

Molto spesso le sue fruttificazioni possono svilupparsi insieme a quelle del<br />

S. cardinale. Benché caratterizzata da debole attività parassitaria, la<br />

presenza di P. funerea sui coni può ad attirare vari tipi di insetti che<br />

Fig. 5 – Conidi di P. funerea. possono trasportare anche i conidi di S. cardinale.<br />

Altri miceti<br />

Altri funghi più o meno opportunisti o dotati di debole attitudine parassitaria possono svilupparsi sulle<br />

galbule specialmente quando queste sono giovani e danneggiate da squilibri fisiologici o da attacchi<br />

parassitari di varia natura (funghi, insetti, danni da freddo, ecc.). I miceti che più comunemente vengono<br />

reperiti sui coni di cipresso colonizzati da S. cardinale sono: Pestalotiopsis funerea, Botrytis cinerea,<br />

Alternaria sp., Trichotecium roseum, Aureobasidium sp., Gliocladium sp., Trichoderma viride., ecc. Talvolta<br />

alcuni di questi miceti, ad esempio il T. viride, possono essere utilizzati nella lotta biologica, ovvero per<br />

ostacolare od impedire lo sviluppo del processo infettivo e/o riproduttivo di S. cardinale (Marchetti et al.,<br />

1986).<br />

MALATTIE DEI SEMI<br />

Seiridium cardinale<br />

Tutte le malattie fungine che si sviluppano sui coni possono contaminare il tegumento esterno dei semi con<br />

le loro forme riproduttive o con il micelio. Qualora questi semi contaminati vengano posti in commercio<br />

possono divenire un mezzo di diffusione della malattia anche a grandi distanze. Talvolta la contaminazione<br />

può riguardare non solo la parete esterna ma anche l’interno dei semi, sui quali, peraltro si possono<br />

sviluppare gli organi di riproduzione di alcuni parassiti fungini. In questi casi, oltre alla possibilità di<br />

trasporto passivo dell’agente patogeno, il seme può essere danneggiato nella sua vitalità, ovvero può perdere<br />

Fig. 6 – Acervuli di<br />

S.cardinale su semi di C.<br />

sempervirens.<br />

gran parte del suo potere germinativo che è naturalmente già basso, 20-40%.<br />

Come abbiamo già visto, gli acervuli di S. cardinale si sviluppano sia sulla<br />

parte esterna che interna delle squame della galbula. Per questo motivo, quando<br />

le galbule si infettano, anche i semi possono essere completamente invasi dal<br />

fungo (conidi e micelio) ed anche su di essi si possono differenziare le<br />

fruttificazioni acervulari (Fig. 6). Talvolta è stato osservato che anche su semi<br />

apparentemente sani e provenienti da galbule sane, dopo alcuni giorni di<br />

incubazione in camera umida, possono svilupparsi gli acervuli del fungo<br />

(Saponaro e Motta, 1981). Alcuni di questi semi, sebbene coperti da acervuli,<br />

sono comunque in grado di germinare. Ciò conferma ulteriormente che<br />

l’infezione può essere solo superficiale (semi contaminati) oppure interessare<br />

anche l’endosperma (semi infetti). Nel primo caso i semi riescono a germinare<br />

e probabilmente il contatto con il parassita è avvenuto tardivamente e si è<br />

limitato ad uno sviluppo superficiale, nel secondo caso l’infezione è avvenuta anticipatamente ed il micelio<br />

del parassita ha avuto modo di uccidere o danneggiare l’endosperma impedendo così la germinazione.<br />

Premettiamo che una corretta raccolta e conservazione del seme di cipresso, come degli altri semi, deve<br />

seguire delle regole particolari conosciute da tempo e dalle quali non si può prescindere (ANPA, 2001;<br />

APAT, 2003).<br />

Poiché anche il seme raccolto da galbule sane può essere contaminato con i conidi del S. cardinale, onde<br />

poter eliminare ogni possibilità di contagio, alcuni autori hanno suggerito di intervenire chimicamente con la<br />

30


concia (Motta, 1984). La disinfezione del seme è molto importante specialmente quando questo deve essere<br />

importato od esportato. Si ricorda che probabilmente i conidi del S. cardinale sono stati introdotti in Europa<br />

con la commercializzazione di seme infetto. La concia dovrà essere effettuata anche quando si tratta di<br />

salvaguardare una produzione di pregio come quella che deriva dalle piante plus selezionate nei boschi<br />

iscritti al LNBS, situati in Toscana, in zone notoriamente sottoposte ad intensi attacchi di S. cardinale. Il<br />

trattamento con prodotti sistemici (Tiofanate-metil; Benomyl) ha mostrato di ridurre considerevolmente la<br />

presenza del patogeno sia dai semi infetti che da quelli contaminati esternamente. Oggi il Benomyl, non più<br />

in commercio, pensiamo possa essere egregiamente sostituito con Carbendazim anche se non ci sono prove<br />

sperimentali che lo abbiano confermato. In definitiva la disinfezione consente un uso più sicuro del seme,<br />

favorendo, in parte, anche la sopravvivenza delle piantine nate da semi contaminati.<br />

Pestalotiopsis funerea<br />

Molto spesso abbiamo potuto riscontrare come le fruttificazioni acervulari di questo micete non siano<br />

presenti solo sulle galbule ma anche sui semi del cipresso, in particolare del C. sempervirens. La sua debole<br />

azione parassitaria può conpromettere solo marginalmente la germinabilità dei semi. Solo quando l’apertura<br />

della galbula avviene prima della maturazione dei semi questi possono essere colonizzati e danneggiati dal<br />

micelio. Sebbene la P. funerea sia stata ritrovata più volte fra gli agente di damping off dei semenzali, non<br />

sappiamo ancora quale influenza possa aver avuto la contaminazione del seme sui processi di germinazione e<br />

sullo sviluppo delle giovani plantule.<br />

Diplodia pinea f. sp. cupressi (sin. Sphaeropsis sapinea f. sp. cupressi, Diplodia mutila; teleomorfo:<br />

Botryosphaeria stewensii).<br />

Recentemente i picnidi con relativi picnoconidi di questo pericoloso parassita, oltre che sulle zone cancerose<br />

e sulle galbule, sono stati ritrovati anche su semi imbruniti di cipresso (C. sempervirens). Occorre evitare di<br />

raccogliere semi dalle zone nelle quali è stata segnalata la malattia, della quale peraltro non conosciamo<br />

esattamente la diffusione anche se sembra relegata alle zone centro meridionali della penisola. Poiché non<br />

sono state fatte prove di concia dei semi, suggeriamo di eseguire gli stessi interventi consigliati contro S.<br />

cardinale.<br />

Phoma sp. e Cytospora sp.<br />

Anche questi due fungilli sono ricordati come facenti parte della flora fungina dei semi del cipresso. Di essi<br />

poco si conosce se non la capacità di causare danni su altre piante (Graniti, 1979).<br />

Altri generi di funghi ubiquitari sono stati riscontrati sulla superficie dei semi di cipresso, ne citiamo solo<br />

alcuni: Seimatosporium, Penicillium, Aspergillus, Alternaria, Epicoccum, Botrytis, ecc.<br />

Malattie dei semenzali<br />

Occorre premettere che gli habitat naturali del cipresso non favoriscono lo sviluppo delle malattie dei<br />

semenzali. Queste malattie compaiono e divengono estremamente dannose solo quando i semenzali vengono<br />

coltivati in vivaio (Turchetti e Panconesi, 2001). Questa è una regola valida non solo per il cipresso ma<br />

anche per tutte le altre specie forestali, conifere e latifoglie. Ne deriva che occorre ricreare artificialmente, e<br />

per ogni specie, le condizioni naturali ottimali sin dalla raccolta e germinazione del seme per assicurare alle<br />

plantule un normale sviluppo.<br />

Damping off<br />

La moria dei semenzali o damping-off (Fig. 7), è causata da numerosi<br />

agenti eziologici, per lo più di origine fungina, che sono comuni anche<br />

ad altre specie forestali, sia latifoglie che conifere. Queste specie fungine<br />

agiscono dove equilibrio e competizione risultano falsati e<br />

contribuiscono a determinare un quadro patologico che appare<br />

fortemente influenzato dalle condizioni Fig. 7 – Letto di semina con piantine<br />

di C. sempervirens danneggiate da<br />

microbiche e colturali che possono<br />

damping off.<br />

costituire un’aggravante di notevole rilievo.<br />

31


Il damping off, la cui sintomatologia è inequivocabile, appare essere di gran lunga la “malattia” più dannosa<br />

e complessa che possa colpire i giovani semenzali. Ciò è dovuto sia ai numerosi agenti eziologici che ne<br />

entrano a far parte e che determinano il quadro patologico, sia alle interazioni che si possono instaurare fra i<br />

vari fattori coinvolti. Non è compito nostro indagare in questa direzione, ma pensiamo sia essenziale riferire<br />

che per ogni singola specie occorre ricreare, artificialmente, le condizioni naturali ottimali fino dalla raccolta,<br />

conservazione e germinazione del seme per assicurare a questo e alle plantule uno sviluppo normale.<br />

La moria può avvenire in pre-emergenza, prima che l’epicotile sia riuscito ad emergere dal terreno. In questo<br />

caso gli attacchi parassitari sono favoriti da una cattiva raccolta e/o conservazione del seme. Talvolta può<br />

essere una concia non ben eseguita che non è riuscita ad eliminare alcuni pericolosi patogeni presenti sui<br />

tegumenti esterni del seme. Nello stadio erbaceo di post-emergenza, fase fenologica molto sensibile, la cui<br />

durata varia da specie a specie, le piantine subiscono le perdite più gravi, succubi di agenti patogeni presenti<br />

nel terreno e/o provenienti dal seme. Una volta che il fusticino della plantula lignifica le morie gradatamente<br />

diminuiscono fino a cessare del tutto.<br />

Alle conifere appartengono gran parte delle specie forestali che sono più sensibili al damping off o caduta dei<br />

semenzali. Questa caduta è dovuta alla necrosi e collasso dei tessuti del colletto. Fra le conifere, le<br />

cupressacee e fra queste il C. sempervirens sembrano possedere un maggiore grado di resistenza (Vaarta &<br />

Crem; 1961, Magnani, 1975; Frisullo et al., 1984; Perrin & Sampangi, 1986; Troiani & Anselmi, 1997;<br />

Turchetti e Panconesi, 2001).<br />

Fra gli agenti eziologici che sono la causa di damping off sono stati individuati numerosi patogeni primari<br />

quali Phytium sp., Fusarium sp., Rhizoctonia sp., Phytophthora sp. ecc. che in genere causano il marciume<br />

delle radici e del colletto. Sono tuttavia presenti, a completare il quadro sintomatologico complessivo, anche<br />

se in misura minore, funghi appartenenti ai generi Cylindrocarpon, Pestalotiopsis, Alternaria, Diplodia,<br />

Botrytis, ecc. che conducono una eminente vita saprofitaria sui tessuti danneggiati o uccisi dagli agenti<br />

primari.<br />

Per ridurre al minimo i danni dovuti ai vari microrganismi che attaccano in vivaio, oltre ad una buona<br />

raccolta e conservazione del seme, occorre che i semenzali siano situati su terreno di semina ben appropriato<br />

in ambienti spaziosi e ben ventilati e che l’apporto idrico sia tenuto al minimo indispensabile e attentamente<br />

regolato. Per limitare lo sviluppo di eventuali marciumi radicali, prima delle semine, oltre alla concia del<br />

seme potrebbe essere necessaria una sterilizzazione del suolo che si ottiene fumigandolo o trattandolo con<br />

una soluzione fungicida.<br />

MALATTIE DELLE GIOVANI PIANTE<br />

Vengono descritte in questo capitolo le principali malattie del cipresso (C. sempervirens), con riferimento a<br />

quelle che si manifestano in vivaio dal momento in cui il fusto delle piantine ha raggiunto uno stadio legnoso<br />

fino alla commercializzazione.<br />

Phomopsis occulta (teleomorfo: Diaporthe eres)<br />

La malattia colpisce le piante di tutte le età sulle quali causa il disseccamento degli apici vegetativi. Si<br />

sviluppa e si diffonde in forma epidemica soprattutto quando la stagione primaverile risulta fredda, umida e<br />

nebbiosa (Panconesi et al., 1999).<br />

Le piante adulte subiscono disseccamenti diffusi degli apici vegetativi che talvolta<br />

possono riguardare l’intera chioma. In primavera inoltrata e nella successiva estate<br />

i processi infettivi in corso vengono bloccati dalla reazione della pianta e<br />

solitamente non proseguono. Sui fusti delle piante adulte il processo infettivo non<br />

completamente bloccato dalla reazione della pianta può dar luogo a cancri a<br />

bersaglio (tipo Nectria sp.) che possono costituire un punto di debolezza<br />

suscettibile di eventuali rotture.<br />

Fig. 8 – Semenzali di C. sempervirens<br />

gravemente danneggiati da attacchi<br />

di P. occulta.<br />

Sulle giovani piantine di vivaio, il processo necrotico circonda velocemente i<br />

tessuti corticali del fusto determinando la morte e il disseccamento della parte<br />

soprastante. Durante particolari annate la pericolosità del patogeno è tale che solo<br />

alcune piantine possono sopravvivere in un letto di semina di migliaia di<br />

individui (Fig. 8).<br />

32


Fig. 9 – Conidi α e β di P. occulta.<br />

In primavera, dalla superficie disseccata l’anno precedente emergono gli<br />

organi di riproduzione agamica del parassita, i picnidi. Quesi emettono una<br />

massa di picnoconidi ialini, che esposti all’aria si disidratano e assumono<br />

una consistenza cornea. La massa delle picnospore è costituita da due tipi di<br />

conidi (Fig. 9): la forma alfa (α) con spore ellissoidali, ialine, unicellulari,<br />

biguttulate e leggermente appuntite di 8-10 µm di lunghezza, e la forma beta<br />

(β) con spore unicellulari ialine molto allungate (filiformi), ricurve ad uncino<br />

da un lato di 20-30 µm di lunghezza. I conidi α causano le infezioni primarie<br />

da cui si origina una nuova e più numerosa serie di conidi che vanno a<br />

causare le infezioni secondarie le quali determinano i danni più gravi.<br />

La lotta consiste nell’eliminare tutti i rametti secchi dalle piante infette,<br />

specialmente da quelle situate nei dintorni dei vivai; ciò deve essere fatto in<br />

primavera quando i sintomi delle infezioni sono ben manifesti. Nelle zone con caratteristiche favorevoli allo<br />

sviluppo della malattia, le piccole piante possono essere trattate preventivamente con prodotti chimici a base<br />

di Carbendazim, questi risultano utili anche contro altre malattie dei semenzali o delle giovani piantine quali<br />

S. cardinale, Diplodia pinea f.sp. cupressi, ecc.<br />

Comunque, la composizione del letto di semina, l’esposizione, la densità, l’aereazione, l’insolazione,<br />

l’irrigazione, concimazione, ecc. sono tutte caratteristiche che se ben regolate consentono di limitare al<br />

massimo la diffusione della malattia e ridurre l’entità del danno economico.<br />

Seiridium cardinale<br />

Come le galbule e il seme anche le giovani piantine possono essere colpite dal S. cardinale (Fig. 10). Dal<br />

momento della lignificazione, gli attacchi si possono manifestare su individui di<br />

tutte le età, sia allevate in pieno campo che in contenitore e pronte per la<br />

commercializzazione. I conidi del parassita penetrano nei tessuti corticali delle<br />

piante attraverso delle piccole ferite, che possono essere causate da repentini<br />

abbassamenti di temperatura, insetti, eccesso di crescita, ecc.. La diffusione<br />

della malattia è dovuta principalmente a semine troppo fitte, scarsa<br />

ventilazione, eccesso di umidità, eccesso di concimazioni (in particolare quelle<br />

azotate). Il fusto o i rametti delle giovani piantine vengono velocemente<br />

circondati dallo sviluppo del processo necrotico e portati a morte. Sui tessuti<br />

uccisi dal patogeno si sviluppano gli acervuli che producono gli organi di<br />

diffusione del fungo (conidi). Mentre in natura gli acervuli si formano solo in<br />

primavera e talvolta anche in autunno, in vivaio le continue irrigazioni e<br />

concimazioni consentono una maggiore e più prolungata produzione, ciò<br />

comporta uno sviluppo epidemico della malattia molto accentuato.<br />

Particolarmente attivi in questo contesto, data la relativa consistenza dei tessuti,<br />

Fig. 10 – Giovane fusto di cipresso<br />

con cancro di S. cardinale<br />

decorticato per evidenziare lo<br />

sviluppo del processo necrotico.<br />

sono i coleotteri scolitidi del genere Phloeosinus che sono capaci di trasmettere<br />

la malattia trasferendosi dalle piante ammalate a quelle sane. (Covassi et al.,<br />

1975). Nel contesto vivaistico, dato il notevole flusso di esportazione del C.<br />

sempervirens, la presenza di piante malate è particolarmente pericolosa in<br />

quanto consente la diffusione della malattia in altre zone del territorio.<br />

La produzione vivaistica deve essere salvaguardata per cui occorre mettere in<br />

atto tutti gli accorgimenti di lotta che si ritengono necessari per assicurare lo stato sanitario dei cipressi. Per<br />

prima cosa occorre individuare e distruggere con il fuoco tutte le piantine infette. Durante il loro soggiorno<br />

in vivaio le piante devono essere trattate con prodotti benzimidazolici (Carbendazim, Tiofanate-metil); si<br />

consigliano tre irrorazioni annue, due in primavera e una in autunno. All’epoca della commercializzazione<br />

deve essere eseguito un attento controllo, pianta per pianta, per accertare la presenza di individui infetti,<br />

successivamente si esegue un trattamento chimico per bloccare eventuali infezioni incipienti. Questo regime<br />

di trattamenti durante la permanenza in vivaio dovrebbe garantire l’esportazione di cipressi quasi<br />

sicuramente sani. E’ ovvio che questo tipo di intervento è possibile solo nei vivai in quanto le piante sono<br />

33


piccole, poste in appezzamenti uniformi e c’è disponibilità di mezzi e mano d’opera per cui i costi incidono<br />

in modo relativo sulla produzione.<br />

Botryodiplodia theobromae<br />

Oltre ai disseccamenti sulla chioma ed al cancro sui rami delle piante adulte, questo parassita può causare<br />

gravi danni e la morte dei semenzali di un anno le cui radici appaiono imbrunite. Con l’appassimento ed il<br />

disseccamento le piantine assumono un colore marrone (tannico) mentre l’apice si ripiega ed assume una<br />

forma ad uncino. Nella corteccia uccisa dal patogeno si sviluppano dei tessuti stromatici contenenti le<br />

fruttificazioni picnidiche del parassita che a maturità producono dei conidi bruni ovoidali e bicellulari molto<br />

simili a quelli della Diplodia pinea f. sp. cupressi. I conidi che spesso fuoriescono dal picnidio sono<br />

immaturi, ovoidali, ialini ed unicellulari. La malattia segnalata in Israele (Bruck et al., 1990), va ad<br />

aggravare la situazione sanitaria del cipresso già prostrato dagli attacchi di altri pericolosi parassiti fungini.<br />

Non siamo a conoscenza di mezzi specifici di lotta per cui pensiamo sia utile suggerire l’eliminazione delle<br />

piante infette ed un trattamento preventivo con benzimidazolici.<br />

Diplodia pinea f. sp. cupressi (sin. Sphaeropsis sapinea f. sp. cupressi, Diplodia mutila; teleomorfo:<br />

Botryosphaeria stewensii).<br />

Questa malattia, già presente in Israele, Marocco ed in Grecia (Solel et al., 1987; Frisullo e Graniti, 1990;<br />

Xenopoulos e Tsopelas, 2000), è stata segnalata per la prima volta in Italia nel 1997 su piante giovani e<br />

adulte di C. sempervirens e C. arizonica (Frisullo et al,. 1997). Il patogeno, anche se non segnalato<br />

ufficialmente, è presente anche in altre regioni dell’Italia centrale e, probabilmente, meridionale.<br />

Il parassita si presenta con cancri corticali molto stretti ed allungati, lunghi da pochi cm ad un metro, con<br />

evidenti bordi cicatriziali che dalla fessurazione fanno intravedere il sottostante legno. Talvolta l’evoluzione<br />

del processo infettivo, accompagnato dalla fuoriuscita di resina, porta al disseccamento dei rami e della<br />

pianta. I sintomi esterni sono simili al S. cardinale per cui occorre una buona conoscenza delle due malattie<br />

per poterli distinguere. Talvolta i due parassiti si possono riscontrare sulla<br />

stessa pianta o addirittura sullo stesso cancro e ciò può complicare, non<br />

poco, la diagnosi. Uno dei caratteri distintivi fra i due patogeni si osserva<br />

tagliando trasversalmente un ramo all’altezza del cancro. Nella S. sapinea, il<br />

settore triangolare di cilindro legnoso posto sotto la corteccia infetta appare<br />

leggermente imbrunito. Un altro carattere distintivo è che lungo il tronco i<br />

cancri causati da D. pinea f. sp. cupressi hanno una progressione<br />

eminentemente di tipo verticale dovuto alla forte reazione della pianta; per<br />

questo motivo occorre molto tempo e la somma di più infezioni per<br />

conseguire il disseccamento. I giovani rami, di minor diametro, possono<br />

Fig. 11 - Picnidi di Diplodia pinea f. sp.<br />

cupressi visti in sezione al microscopio<br />

ottico.<br />

essere aggirati e uccisi molto rapidamente.<br />

Sopra la superficie esterna della corteccia,<br />

nella zona interessata dal cancro, sono ben<br />

visibili i picnidi (350-400 mµ), organi di<br />

riproduzione agamica (anamorfa) del<br />

parassita il cui corto collo fuoriesce<br />

leggermente dall’epidermide scaricando<br />

all’esterno la massa conidica (Fig. 11). I<br />

picnoconidi prodotti sono oblunghi, ialini e unicellulari quando immaturi,<br />

marroni, bicellulari e con parete spessa a maturazione raggiunta (Fig. 12).<br />

Un’altra delle caratteristiche di questo parassita e quella di incrementare il<br />

suo sviluppo nelle piante stressate, questa è una caratteristica<br />

particolarmente pericolosa, specialmente nei vivai dove le piante più grandi<br />

fortemente indebolite dai trapianti in contenitore possono subire gravissimi<br />

danni.<br />

34<br />

Fig. 12 – Conidi maturi (settati) e<br />

immaturi di Diplodia pinea f. sp.<br />

cupressi.


Per quanto riguarda la lotta si consiglia l’eliminazione di tutte le piante infette e l’esecuzione di un trattamento<br />

con benzimidazolici prima di procedere al trapianto.<br />

La presenza di questa malattia comporta l’esecuzione di una ulteriore selezione fra i cloni di cipresso già<br />

selezionati per la resistenza al S. cardinale. Secondo alcune prove eseguite da ricercatori greci, sembra che i<br />

cloni di cipresso (C. sempervirens) resistenti al S. cardinale, siano, in qualche misura, più resistenti anche<br />

alla D. pinea f. sp. cupressi.<br />

Phytophthora cinnamomi<br />

È una malattia che non si sviluppa quasi mai sulle piante adulte impiegate a scopo ornamentale ed ancor<br />

meno nei boschi (cipressete). In vivaio, le giovani piante di cipresso allevate in contenitore o in piena terra<br />

possono andare soggette a questo temibile parassita fungino (Oomicete, Peronosporales). I primi sintomi<br />

della malattia si avvertono nei mesi primaverili e subiscono una rapida<br />

evoluzione durante la tarda primavera-estate. Inizialmente si osserva una<br />

progressiva attenuazione della colorazione verde scura del fogliame,<br />

spesso localizzata in un lato della<br />

chioma che successivamente ingiallisce<br />

fino al completo disseccamento al quale<br />

fa seguito la morte della pianta (Fig.13).<br />

Nelle piante con tale tipo di<br />

Fig. 13. – Piante di C. sempervirens in vaso<br />

uccise da Phytophthora cinnamomi.<br />

sintomatologia l’apparato radicale si<br />

presenta fortemente ridotto e in gran<br />

parte necrotizzato (Fig. 14). Un’analisi<br />

effettuata nella zona del colletto<br />

evidenzia dei marcati imbrunimenti<br />

della corteccia che si estendono in profondità fino a penetrare nei tessuti<br />

legnosi sottostanti.<br />

In un vivaio del pistoiese, dove alcuni anni or sono si sviluppò un focolaio<br />

epidemico della malattia, abbiamo potuto osservare che maggiori danni<br />

furono riportati su specie di Chamaecyparis, mentre il cipresso, contaminato<br />

solo successivamente, subì danni notevolmente inferiori.<br />

Per quanto riguarda la lotta, solo i trattamenti chimici hanno dimostrato di<br />

avere una certa efficacia. Questi devono essere opportunamente cadenzati<br />

durante il periodo primaverile-estivo. I prodotti più efficaci si sono<br />

dimostrati essere: etridiazole, fosetyl-Al, furalaxyl e metalaxyl. Questi<br />

Fig. 14 – Necrosi dell’apparato radicale<br />

di un cipresso per attacchi di P.<br />

cinnamomi.<br />

prodotti vanno distribuiti in soluzione acquosa al contenitore o alla base della pianta. Per un miglior esito<br />

della lotta occorre che i principi attivi usati in questi trattamenti siano alternati, ciò per evitare l’insorgenza di<br />

ceppi resistenti e/o mutageni. I trattamenti devono essere accompagnati da una serie di misure di ordine<br />

preventivo come eliminare le piante infette, evitare l’uso dei terricciati di risulta, regimare e controllare le<br />

acque di scorrimento e di irrigazione che potrebbero contenere i propaguli del parassita (zoospore). Ciò è<br />

particolarmente importante quando si fa uso di acque reflue e quando la vasetteria è posta su nylon.<br />

Armillaria mellea<br />

Questo Basidiomicete è uno dei funghi più distruttivi e polifagi che si conoscono e fra le specie colpite si<br />

annovera anche il C. sempervirens. Gli attacchi più frequenti a questa conifera si manifestano sulle piante<br />

adulte, specialmente quelle delle siepi e dei giardini (prati) che sono sottoposte a regimi idrici intollerabili<br />

per il cipresso. In questi contesti dove le piante vivono a stretto contatto fra di loro (siepi, filari) risulta più<br />

facile la contaminazione e la propagazione della malattia che avviene per mezzo delle rizomorfe. Le<br />

rizomorfe sono dei cordoni di ife, simili a delle radicicole, che si sviluppano nel terreno passando da un<br />

apparato radicale ad un altro. Sebbene la presenza di Armillaria sulle giovani piante sia piuttosto rara, alcuni<br />

anni or sono, nel vivaio “Il Campino” (Siena), è stato osservato che la chioma di alcune piante di cipresso<br />

dell’altezza di circa 2 m, poste in vaso in attesa di piantagione, ingialliva improvvisamente. All’ingiallimento<br />

35


Fig. 15 - Feltro miceliale<br />

bianco alla base e sulle radici<br />

di una pianta infetta da A.<br />

mellea.<br />

della chioma faceva<br />

seguito il disseccamento<br />

e la morte delle piante.<br />

Da un’analisi del<br />

colletto e dell’apparato<br />

radicale risultava evidente la presenza di un feltro<br />

miceliale biancastro sottocorticale dal piacevole<br />

odore di fungo, riferibile ad Armillaria mellea<br />

(Fig. 15 e 16). Probabilmente il parassita si è<br />

insediato sui tessuti radicali della pianta<br />

Fig. 16 – Carpofori di A. mellea.<br />

indebolita in seguito alle operazioni di trapianto. Ovviamente il parassita era già<br />

presente a livello saprofitario sui residui legnosi del terriccio usato per l’invasatura.<br />

Ciò ci suggerisce, come per la Phytophthora, di evitare il riciclaggio dei terricciati<br />

senza averli prima sterilizzati.<br />

È regola fondamentale che tutte le piante con i primi sintomi di ingiallimento della chioma siano<br />

immediatamente allontanate e distrutte insieme al terriccio infetto.<br />

Pestalotiopsis funerea<br />

Generalmente questa specie fungina si comporta come saprofita o debole parassita attaccando le foglie o i<br />

rametti erbacei del cipresso dove può causare danni molto limitati o piccoli disseccamenti di organi ancora<br />

allo stato erbaceo (Fig. 17). In alcuni casi, abbiamo trovato come questa specie possa convivere a margine o<br />

sui tessuti uccisi dal S. cardinale o altri parassiti fungini del cipresso. Talvolta<br />

sembra che alcuni ceppi di questa specie siano dotati di una maggiore aggressività<br />

per cui possono incrementare la loro dannosità su piante stressate da avverse<br />

condizioni ambientali o dai trapianti (come accade spesso in vivaio). Sono le Thuje<br />

e talvolta anche il cipresso (C. sempervirens) a risentire con maggiore frequenza e<br />

dannosità dei suoi attacchi (Panconesi et al., 1995). Alcuni autori ritengono che<br />

questo micete possa causare dei veri e propri cancri, altri pensano che abbia la<br />

possibilità di vivere a livello endofitico nei tessuti del cipresso per poi uscire<br />

quando le condizioni fisiologiche della pianta lo consentono. In effetti è stato<br />

osservato come lo sviluppo dei cancri sia fortemente incrementato nelle piante<br />

sottoposte a stress idrico (Madar et al., 1991).<br />

L’eliminazione dei rametti secchi e delle piante ammalate, sui quali si sviluppano<br />

gli organi di riproduzione del parassita, acervuli e conidi, (vedi sopra, galbule), è<br />

una prassi necessaria e consolidata per migliorare la situazione sanitaria<br />

Fig. 17 - Foglie e giovani rametti<br />

disseccati e con fruttificazioni di P.<br />

funerea.<br />

nell’ambito del vivaio. Comunque, per non mettere a rischio la produzione<br />

vivaistica si consiglia, prima dei trapianti in vaso o in pieno campo, di eseguire dei<br />

trattamenti con ossicloruro di rame che può essere usato in miscela con dei<br />

benzimidazolici per poter intervenire contemporaneamente anche contro altri e più<br />

pericolosi patogeni quali S. cardinale e Diplodia sp., ecc.<br />

Botrytis cinerea (teleomorfo = Botryotinia fuckeliana)<br />

È un fungo molto comune e si trova con una certa frequenza anche sulle foglie e sui rametti erbacei dei<br />

cipressi, specialmente se stressati o danneggiati dalle basse temperature. Sopra i tessuti uccisi si possono<br />

riscontrare con una certa frequenza le fruttificazioni (conidiofori e conidi) di questo debole parassita. La sua<br />

presenza, non eccessivamente dannosa, può incrementarsi sui getti erbacei delle piantine situate nelle zone<br />

più umide ed ombreggiate del vivaio. Sono sufficienti misure agronomiche di carattere generale per tenere<br />

sotto controllo la presenza di questa specie fungina.<br />

36


Fusarium compactum<br />

È stato segnalato per la prima volta in Israele alcuni anni or sono quale causa della morte di giovani piante di<br />

C. sempervirens in vivaio (Madar et al., 1996). Il fungo causa cancri allungati e depressi sulla corteccia delle<br />

piante che appare imbrunita. L’infezione ha uno sviluppo maggiore sui cipressi indeboliti dalle operazioni di<br />

trapianto o dallo stress idrico. Si consiglia di eliminare immediatamente le piante infette.<br />

Caliciopsis nigra<br />

Colpisce le giovani piantine di ginepro e di cipresso (C. sempervirens) sulle quali causa la comparsa di<br />

piccoli tumori (0,5-6,0 cm di diametro) con la supercie screpolata sulla quale si formano le strutture<br />

riproduttive del fungo (peritece e picnidi). Non è una malattia pericolosa ma può causare il disseccamento di<br />

giovani rametti (Intini, 1980). Se le infezioni si verificano in fase giovanile possono alterare la struttura del<br />

fusto diminuendo il valore commerciale della pianta.<br />

Bibliografia consultata<br />

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38


PREMESSA<br />

DANNOSITÀ DI INSETTI ED ACARI ALLA PRODUZIONE VIVAISTICA<br />

DEL CIPRESSO COMUNE<br />

C. Parrini<br />

Collaboratore esterno dell’Istituto per la Protezione delle Piante<br />

Negli ultimi decenni le preoccupazioni per le sorti del cipresso comune (Cupressus sempervirens)<br />

suscitate dal cancro corticale, patologia fungina altamente distruttiva, hanno inevitabilmente relegato in<br />

secondo piano altre avversità cui la preziosa resinosa da qualche tempo deve far fronte, quelle sostenute da<br />

parassiti animali. Occasioni per constatare la accresciuta vulnerabilità del cipresso comune anche a<br />

fitoparassiti del regno animale non sono comunque mancate. Basti pensare all’afide del cipresso che è<br />

riuscito a proporsi all’attenzione generale in virtù delle sue vistose e diffuse manifestazioni di danno alle<br />

chiome, più volte lamentate.<br />

In un recente studio (Roques e Battisti, 1999) si riferisce di 60 diverse specie di artropodi<br />

fitoparassiti in grado di procurare danni al cipresso, a vario livello. Vi sono compresi i parassiti animali dei<br />

coni (galbule) e dei semi, i fillofagi che si evolvono a spese del fogliame, gli xilofagi corticicoli o corticolignicoli<br />

che si nutrono della corteccia o del legno del cipresso, i succhiatori di linfa o liquidi cellulari<br />

(fitomizi). Nel novero anche le entità reperibili su legno di cipresso morto o in opera. Distinti altresì fra<br />

quanti sono in grado di parassitizzare piante in possesso di normale vigore vegetativo e quanti sono soliti<br />

attendere una attenuata reattività dei cipressi a fisiologia depressa per portare a compimento i propri cicli<br />

vitali, altrimenti negato. Opportunamente evidenziati inoltre quei parassiti animali capaci anche di dannosità<br />

indiretta, ancor più temibile, quando si rivelino atti a veicolare pericolosi patogeni del cipresso, in primis il<br />

già ricordato Seiridium cardinale, il temuto agente del cancro corticale.<br />

Sono oggetto della presente nota le problematiche fitosanitarie legate a sviluppi di insetti ed acari sul<br />

cipresso comune nel corso della sua permanenza in vivaio, precedute da un rapido cenno a quanto, per effetto<br />

degli stessi parassiti, può ostacolare il buon esito delle semine.<br />

Nella produzione vivaistica si assottiglia sensibilmente lo stuolo dei parassiti animali censiti quali<br />

nemici del cipresso. Vengono, fra l’altro, a non essere rappresentati – o a rarefarsi alquanto – i numerosi<br />

fitofagi a comportamento secondario, reperibili sugli esemplari adulti o vetusti dei popolamenti ornamentali<br />

o forestali del cipresso debilitati da cause avverse, biotiche o abiotiche, o in fase di avanzato deperimento. Di<br />

norma non sono queste le condizioni vegetative proprie della produzione vivaistica, soggetta ad attenzioni<br />

colturali che più spesso si rivelano eccessive, al punto da esaltare l’aggressività di alcuni fitofagi, quelli che –<br />

segnatamente i fitomizi- sanno incrementare il proprio potenziale biotico su piante in esubero vegetativo.<br />

Per quanto ridotti in numero, fra i parassiti animali che sono soliti fare la loro comparsa negli<br />

impianti vivaistici del cipresso comune se ne individuano alcuni che richiedono un costante controllo da<br />

parte del produttore. Il loro incontrastato sviluppo può essere causa di arresti vegetativi, rivelarsi<br />

pregiudizievole per la vitalità dei cipressi in coltivazione o produrre comunque danni alle chiome a tal punto<br />

vistosi da decretarne, in pratica, la incommerciabilità.<br />

Quanto di seguito riportato riflette le esperienze maturate nel vasto comprensorio pistoiese ove le<br />

cupressacee si ritagliano una importante fetta della locale produzione vivaistica (Figg. 1-4).<br />

FITOFAGI DANNOSI A CONI E SEMI DI CIPRESSO<br />

È noto come anche i coni (galbule) e i semi di cipresso vadano soggetti agli attacchi di parassiti<br />

animali e vegetali. In altra parte del manuale si elencano i patogeni che possono svilupparsi sulle galbule. In<br />

questa nota ci limitiamo alla citazione di alcuni artropodi fitofagi (insetti ed acari) che esercitano la loro<br />

attività trofica a spese di coni e semi del cipresso comune. I più importanti vengono considerati (Roques e<br />

Battisti, 1999):<br />

- il Lepidottero tortricide Pseudococcyx tessulatana, responsabile allo stadio larvale, nel corso delle sue<br />

2-3 generazioni annuali, di profondi guasti ai coni (fino a provocarne la caduta) e ai semi che subiscono<br />

gravi erosioni;<br />

39


- il minuscolo acaro eriofide Trisetacus juniperinus, in grado con le sue punture di alimentazione di<br />

pregiudicare la maturazione dei coni. Responsabile altresì di vistose manifestazioni di danno anche a<br />

carico della vegetazione dei giovani cipressi in crescita, come avremo modo di esplicitare più avanti.<br />

Figg. 1-2-3-4 – Aspetti della produzione vivaistica di Cupressus sempervirens.<br />

40


A questi si affiancano altri parassiti animali di più limitata importanza: Orsillus maculatus e O. depressus,<br />

impegnati, su coni ancora verdi, ad impedire la maturazione dei semi; l’Imenottero torymide Megastigmus<br />

watchli capace, tramite il suo ovopositore, di deporre uova nei semi di cui si nutriranno le larve, ecc..<br />

Maggiori dettagli su morfologia, biologia e dannosità degli artropodi sopraelencati (e di altri) sono<br />

state resi in recenti pubblicazioni (Guido et al., 1995; Roques e Battisti, 1999) e a queste si rimanda.<br />

L’attività dei predetti fitofagi impedisce la maturazione dei coni o danneggia i semi annullandone o<br />

deprimendone la capacità germinativa e mancate e stentate nascite fanno inevitabilmente seguito a semine<br />

effettuate con materiale deteriorato.<br />

FITOFAGI DANNOSI AL CIPRESSO IN CRESCITA IN VIVAIO<br />

In ordine decrescente di importanza vengono presentati gli insetti ed acari che procurano i più<br />

frequenti danni al cipresso comune in vivaio, radicato in piena terra o allevato in contenitore, capaci di<br />

ostacolare gli attesi sviluppi delle piante, di azzerarne i pregi ornamentali, di pregiudicarne la vitalità. Sarà<br />

fatto cenno anche ad altri parassiti del cipresso che rivestono comunque importanza secondaria, per<br />

dannosità modesta e/o saltuarietà della loro comparsa. Compresi fra questi anche fitofagi che, temibili in<br />

passato, hanno ai nostri giorni drasticamente ridotto la loro pericolosità.<br />

Afide del cipresso<br />

L’afide corticicolo Cinara cupressi si è posto all’attenzione dei vivaisti toscani nell’ultimo scorcio<br />

degli anni ’70 allorquando una sua eccezionale e imprevista pullulazione nel triennio 1976-78 apportò gravi<br />

distruzioni sulle chiome dei popolamenti ornamentali del cipresso comune e di altre specie esotiche<br />

dell’intera penisola, a partire dalle nostre regioni meridionali. L’afide descritto sin dagli inizi del secolo<br />

scorso, per più decenni mai si era proposto come seria avversità del cipresso.<br />

La produzione vivaistica, come del resto prevedibile, non riuscì a sottrarsi alle conseguenze di questa<br />

abnorme esplosione delle popolazioni della C. cipressi e gravi danni si registrarono in Toscana anche sui<br />

giovani cipressi accolti sulle superfici a vivaio, sotto forma di diffusi seccumi di foglie e rametti, associati a<br />

vistosa fumaggine, che intristivano ampi settori delle chiome sempreverdi del cipresso comune e quelle<br />

argentate dei cipressi dell’Arizona. Anche su varietà ornamentali di C. macrocarpa non fu difficile accertare<br />

la malefatte del parassita. Il tutto in risposta a sviluppi della Cinara in folte colonie avvolgenti a manicotto i<br />

rametti dei cipressi, sottoposti a cospicua sottrazione di linfa e all’azione tossica di sostanze salivari immesse<br />

nei tessuti vegetali nel corso della alimentazione dell’afide tramite il suo apparato boccale pungente-<br />

succhiante. Risale a quel periodo (Parrini, 1979) l’invito rivolto ai produttori vivaisti a voler considerare<br />

l’afide del cipresso avversità che si poneva su livelli di pericolosità identici a quelli espressi dall’agente<br />

fungino del cancro corticale, patologia che in quegli anni mortificava la rinomata produzione vivaistica<br />

toscana della resinosa.<br />

Il fitomizo sin da quando si è reso responsabile di vistosa dannosità ai popolamenti del cipresso<br />

comune sul territorio è stato oggetto in Toscana di approfondite ricerche sulla sua biologia ed etologia<br />

(Binazzi 1978, 1997). Sono state chiarite le sue modalità di svernamento, è stato definito il numero di<br />

generazioni (10-11) svolte annualmente delle virginopare attere e dalle alate, sono stati individuati i periodi<br />

di sua più affollata presenza nell’arco dell’anno (quello primaverile e autunnale) inframezzati da una stasi<br />

estiva dopo la comparsa delle forme alate e la dispersione delle colonie. Individuati anche come fattori di<br />

mortalità naturale le minime termiche invernali e gli eccessi termici estivi.<br />

Sui cipressi in vivaio C. cipressi è ormai solita fare frequenti comparse, pur con diversa densità di<br />

popolazione e oggigiorno costituisce una costante minaccia (Figg. 5-6-7-8-9). Di tanto il produttore vivaista<br />

sembra averne piena consapevolezza. Peraltro le presenza dell’afide in ambiente vivaistico viene assicurata<br />

dalla consistente produzione di cipressi esotici che costituiscono le sue matrici vegetali preferite. Al loro<br />

sempre più diffuso impiego ornamentale sul territorio è stata dagli entomologi attribuita responsabilità certa<br />

nelle esplosioni delle popolazioni della Cinara.<br />

5 6 7<br />

41


Figg. 5-6-7 - Esiti dell’infestazione dell’afide Cinara cupressi su cipresso comune in vivaio.<br />

Fig. 8 - Colonia di Cinara cupressi<br />

42<br />

Fig. 9 – Chioma di cipresso con disseccamenti vegetativi<br />

e fumaggine provocati dall’afide.


Temibili sono in particolare gli sviluppi primaverili dell’infestazione che possono preannunciarsi già<br />

in fine inverno quando andamenti climatici del periodo invernale si rivelino idonei a una pronta ripresa della<br />

biologia dell’afide. Non sono tuttavia mancate, in questi anni occasioni per accertare anche una dannosità in<br />

vivaio delle generazioni autunnali della Cinara (Parrini, 2000) che riesce, in detto periodo, ad incrementare la<br />

sua popolazione stimolata dai ritmi delle ripresa vegetativa del cipresso dopo la stasi estiva. Gli esiti degli<br />

sviluppi autunnali dell’infestazione si renderanno visibili, in forma di scolorimenti fogliari seguiti da<br />

disseccamenti, nell’ultimo scorcio invernale, talvolta all’inizio della primavera, trascorso il periodo più<br />

freddo che ritarda il manifestarsi dei danni sulle chiome.<br />

Acaro eriofide<br />

Una importanza sempre maggiore è riuscito ad assumere in questi ultimi anni l’acaro eriofide<br />

Trisetacus juniperinus. La sua crescente aggressività verso i giovani cipressi lo colloca attualmente, a buon<br />

diritto, fra le principali avversità della resinosa che cresce in vivaio e dei giovani impianti ornamentali e<br />

giovani cipressete. I cipressi in vivaio, di norma sottoposti a forzatura colturale, si rivelano particolarmente<br />

idonei a ospitare consistenti popolazioni dell’ acaro.<br />

Segnalato per la prima volta in Italia pochi decenni orsono in un rimboschimento di C. sempervirens<br />

in area pugliese (Nuzzaci e Monaco, 1977) non ha tardato a farsi notare anche nella vivaistica toscana. Negli<br />

anni ’80 già si facevano frequenti i rinvenimenti dell’eriofide sui giovani cipressi dei vivai della Toscana e<br />

dell’Umbria (Castagnoli e Simoni, 1998).<br />

Gli eriofidi, dal corpo vermiforme di colore chiaro, provvisti di due paia di zampe e di minute<br />

dimensioni (non visibili ad occhio nudo), tramite i loro apparati boccali si nutrono dei contenuti cellulari e<br />

provocano sui diversi ospiti vegetali manifestazioni di danno differenziate: ipertrofia di gemme o loro<br />

Figg. 10-11 – Alterazioni vegetative provocate dall’eriofide del cipresso (Trisetacus juniperinus).<br />

43


devitalizzazione con formazione di germogli soprannumerari, aborto e caduta di fiori, rugginosità di foglie e<br />

frutti, bollosità, distorsioni e arricciamenti fogliari, ecc..<br />

T. juniperinus, che è capace di colonizzare anche Juniperus spp., Cedrus spp. Chamaecyparis spp.,<br />

evidenzia il suo attacco prevalentemente nelle parti superiori delle chiome del cipresso comune, provocando<br />

alterazioni vegetative quali ingrossamento, imbrunimento o disseccamento di gemme, vistose deformazioni<br />

di apici vegetativi o loro disseccamento, proliferazione di gemme e conseguenti accestimenti vegetativi. È<br />

stata accertata una notevole differenza di suscettibilità all’attacco dell’eriofide fra cloni diversi di cipresso.<br />

Come già ricordato anche i coni subiscono deformazioni e disseccamenti e non giungono a maturare i semi.I<br />

giovani cipressi che devono sopportare una folta popolazione dell’eiofide accusano marcati arresti vegetativi<br />

ed esibiscono chiome vistosamente alterate nelle loro parti superiori, di aspetto cespuglioso, disordinato,<br />

affastellato (Figg.10-11). Il valore estetico dei cipressi pesantemente parassitizzati si riduce notevolmente.<br />

Sfuggono alla dannosità dell’eriofide i cipressi adulti sui quali il fitofago non è più capace di prodursi in<br />

manifestazioni di danno di una qualche entità.<br />

Sono stati definitivamente chiariti importanti aspetti della biologia e modalità di infestazione dell’eriofide<br />

(Castagnoli e Simoni, 1998). In sintesi: lo svernamento è sostenuto da tutti gli stadi di sviluppo (uovo, ninfa e<br />

adulto), a conferma che neppure in detto periodo viene ad interrompersi la sua attività riproduttiva; la popolazione<br />

dell’eriofide si fa più folta in due distinti periodi dell’anno (aprile-maggio e autunno), un sua minore presenza si<br />

registra in piena estate ed inverno e comunque in ogni periodo dell’anno sono reperibili tutti gli stadi evolutivi del<br />

fitofago (uova, ninfe e adulti maschi e femmine); vive pressoché esclusivamente all’interno delle gemme,<br />

preferibilmente quelle apicali come dimostra una sempre più ridotta presenza dell’eriofide quanto più ci si<br />

allontana dall’apice dei rametti.<br />

Cocciniglie<br />

Sul cipresso si evolvono anche alcune cocciniglie. Il Diaspidide Carulaspis carueli, a distribuzione<br />

geografica circummediterranea, è ritenuta la principale cocciniglia del cipresso comune ed è stata oggetto, in<br />

Toscana, di approfonditi studi morfo-biologici (Baccetti,1960). Si rende visibile sul fogliame e galbule di<br />

cipresso e forti infestazioni riescono a deprimere visibilmente lo sviluppo vegetativo delle piante ospiti. Si<br />

rinviene anche su altre specie di cipresso e su cupressacee dei generi Juniperus, Chamaecyparis, Thuja, ecc.<br />

Le femmine adulte presentano follicoli biancastri e subrotondeggianti con esuvie eccentriche di<br />

colore giallastro, delle dimensioni di 1-2 mm e nei microclimi più caldi può svolgere sino a due generazioni<br />

annuali, con presenza di neanidi in maggio e agosto-settembre. Lo svernamento è sostenuto da femmine<br />

adulte fecondate. È conosciuto anche il maschio. Ha efficaci nemici naturali: predatori (Coleotteri<br />

coccinellidi e acari fitoscidi) e parassitoidi (Imenotteri afelinidi). A questi si riconoscono concrete capacità di<br />

contenimento della dannosità del Diaspino.<br />

La cocciniglia è capace di colonizzare giovani cipressi così come esemplari adulti e vetusti. In<br />

passato sono stati segnalati suoi dannosi sviluppi anche nelle coltivazioni di cipresso in vivaio (Baccetti,<br />

1960). In realtà nell’ambiente vivaistico da noi frequentato abbiamo avuto rare occasioni di rilevare piante di<br />

cipresso comune pesantemente attaccate da C. carueli. La breve permanenza della resinosa in vivaio<br />

impedisce, di norma, alla cocciniglia di prodursi in manifestazioni di attacco vistose e intense,<br />

verosimilmente in virtù anche dell’azione di freno svolta dai suoi nemici naturali. Più spesso la sua rarefatta<br />

presenza sulla giovane produzione in vivaio si svela solo ad occhi particolarmente attenti e di solito sfugge<br />

ad interventi anticoccidici. Occasionalmente il cipresso può ospitare anche la congenere C. juniperi che è<br />

solita volgere la sua attenzione, preferibilmente, verso Juniperus spp. Morfologicamente affine alla prima se<br />

ne distingue per presentare un’unica generazione annuale.<br />

Riteniamo che maggiori attenzioni debbano prestarsi a prevenire sviluppi indesiderati sui giovani<br />

cipressi che sostano in vivaio di altra cocciniglia, lo pseudococcide Planococcus vovae. La sua prima<br />

segnalazione in Italia – sotto altra denominazione – risale al 1981, reperito in Puglia su C. macrocarpa<br />

(Roberti e Tranfaglia, 1981). Da noi è stata occasionalmente rinvenuto nel 1986 su cipressi comuni di<br />

provenienza estera, introdotti nel pistoiese dopo le eccezionali minime termiche del gennaio 1985 che in<br />

pratica avevano azzerato la locale produzione cipressicola. In seguito, nello stesso ambiente, non si sono fatti<br />

rari i rinvenimenti di giovani cipressi infestati dallo pseudococcide.<br />

44


P. vovae vive a spese di specie diverse di Juniperus (preferibilmente), di Cupressus, di Thuja e su<br />

Chamaecyparis lawsoniana e Cupressocyparis leylandii. Notizie bioecologiche della cocciniglia, a seguito di<br />

indagini svolte in Toscana, sono state fornite nel recente passato (Francardi e Covassi, 1992), di seguito<br />

sintetizzarte. La femmina adulta ha corpo ovale ( mm 2,4×1,3) di colore rossastro, ricoperto da un sottile<br />

strato di candida pruina cerosa (il maschio ha forma diversa e dimensioni più ridotte). Le femmine ovigere si<br />

provvedono di un candido ovisacco cotonoso lungo fino ad oltre 4 mm. La cocciniglia sverna allo stadio di<br />

neanide e completa due generazioni nel corso dell’anno, con prima comparsa di neanidi in fine giugno-luglio<br />

e in settembre quelle che sverneranno.<br />

Grazie all’elevato numero di uova deposte (mediamente 280, fino ad oltre 400) la cocciniglia è<br />

capace di esibirsi in cospicue colonie su fogliame e rametti delle piante nutrici. Non si sono mostrati capaci<br />

di efficace azione di contenimento i nemici naturali della cocciniglia individuati. Sebbene in vivaio P. vovae<br />

si faccia notare solo su singole piante e mai diffusa a interi lotti di cipresso, pur tuttavia i giovani soggetti sui<br />

quali lo pseudococcide ha potuto svilupparsi indisturbato finiscono per esibire danni irrimediabili, estesi a<br />

settori della chioma diversamente ampi, indelebilmente deturpati da vistosi e inamovibili ammassi di<br />

Fig. 12 – Gli sviluppi di Planococcus vovae sulle chiome del<br />

cipresso comune lasciano tracce indelebili.<br />

Fig. 13 – Rametto di cipresso comune con forme<br />

giovanili della cocciniglia.<br />

cocciniglie in vari stadi di sviluppo, loro residui (sostanze cerose e ovisacchi), cementati da melata e fumaggine<br />

(Figg. 12-13). Al punto che i cipressi pesantemente colpiti hanno unica destinazione nella discarica aziendale.<br />

Di altre cocciniglie segnalate sul cipresso non riteniamo opportuna la citazione, preso atto della<br />

inconsistente dannosità da loro manifestata in vivaio.<br />

45


ALTRI FITOFAGI DI IMPORTANZA SECONDARIA<br />

È dato osservare, talvolta, anche sulle chiome dei cipressi in vivaio sporadici disseccamenti di<br />

rametti (Fig. 14) provocati dai punteruoli del cipresso (Phloeosinus aubei e, meno frequentemente, P.<br />

thujae). Il minuscolo Coleottero scolitide in una precisa<br />

fase del suo ciclo biologico, quella della maturazione<br />

sessuale, è solito erodere piccoli rametti di Cupressus<br />

spp. e di altre cupressacee ben vegetanti, dopo essere<br />

sciamato da cipressi deperienti e seccaginosi ove, come<br />

impostogli dalla sua natura di fitofago secondario, ha<br />

luogo la fase di riproduzione. La dannosità diretta dello<br />

scolitide appare alquanto modesta sui cipressi in vivaio,<br />

considerata anche la saltuarietà delle sue comparse,<br />

legate comunque alla presenza, in prossimità del vivaio<br />

o al suo interno, di cipressi adulti con chiome devastate<br />

da perdite legnose, idonee a richiamare il punteruolo alla<br />

riproduzione. Più temibile una sua dannosità indiretta,<br />

Fig.14 - Rametti di cipresso disseccati a seguito di erosioni<br />

provocate dal Fleosino in fase di maturazione sessuale.<br />

essendo state da tempo accertate sue responsabilità nella<br />

trasmissione dell’agente fungino del cancro corticale<br />

(Covassi et al., 1975). Ad evitare pericoli di contagio<br />

provocato dal Fleosino sono sufficienti intuibili misure di prevenzione cui accenneremo più avanti trattando<br />

dei possibili interventi di difesa a protezione della produzione vivaistica del cipresso.<br />

Alla dannosità di Lampra festiva sfugge durante la permanenza in vivaio il cipresso comune che pur si<br />

annovera fra gli ospiti del Buprestide (Covassi et al., 1998). A fronte di una massiccia diffusione dello xilofago<br />

nella vivaistica toscana, quale quella registrata in anni di recente trascorsi – a spese, in particolare, di Cupressacee<br />

molto appetite quali alcune varietà di Thuja occidentalis (“Atrovirens” e “Smaragd”) e di Juniperus virginiana<br />

(“Skyrocket”) assai raramente – e comunque sempre su cipressi in sofferenza per cause le più varie – siamo<br />

riusciti a documentare una sua presenza negli impianti di cipresso comune, anche quando contigui ad altre<br />

resinose pesantemente infestate.<br />

Anche il cerambicide Semanotus russicus è dato talvolta di potere osservare in attività su esemplari di<br />

cipresso di grosse dimensioni costretti a vivere in contenitore, malvegetanti ( e su altre cupressacee in analoghe<br />

condizioni). Le sue profonde escavazioni all’interno dei fusti non concedono di sopravvivere ai cipressi infestati<br />

(Covassi et al., 1998).<br />

Fig. 15 – Innesti di cipresso comune<br />

cresciuti in contenitore con apparati<br />

radicali e colletti decorticati da larve<br />

di Oziorrinco.<br />

Infine si ricorda come in periodo trascorso (anni ’80) quando nella<br />

vivaistica pistoiese la vasetteria più giovane di numerose latifoglie e conifere<br />

ornamentali ebbe a subire estese falcidie provocate da una straripante presenza<br />

di Oziorrinchi, nell’ampio ventaglio dei loro ospiti vegetali trovò posto anche il<br />

cipresso comune (Del Bene e Parrini, 1986). Pur non collocandosi nel novero<br />

degli ospiti più appetiti dai predetti<br />

Coleotteri curculionidi anche giovani<br />

piante di cipresso comune<br />

allevate in contenitore non di rado<br />

divennero bersaglio della voracità<br />

delle larve ipogee di alcune specie<br />

di Otiorrhynchus ( in particolare O.<br />

armadillo, O. sulcatus, O. salicicola)<br />

che giungevano a maturità a<br />

Fig. 16 – Larve e pupe di Oziorrinco.<br />

16<br />

46


spese degli apparati radicali, soggetti a decorticazioni spesso totali ed estese fino al colletto (Figg. 15-16). La<br />

pericolosità degli Oziorrinchi ai giorni nostri si è notevolmente attenuata nell’areale vivaistico considerato e<br />

l’eventualità che pianticelle di cipresso in contenitore possano incorrere in esiziali decorticazioni radicali operate<br />

da larve di Oziorrinchi si fa attualmente alquanto remota.<br />

CRITERI DI DIFESA<br />

Individuato nell’afide Cinara cupressi il fitomizo che attualmente è fonte di maggiore<br />

preoccupazione, al vivaista si offre una vasta gamma di efficaci formulati aficidi autorizzati all’impiego su<br />

colture ornamentali: fosforganici e carbammati di vecchia registrazione, piretroidi, piretine naturali,<br />

insetticidi-aficidi dell’ultima generazione, compresi alcuni recenti prodotti di origine naturale. L’odierna<br />

produzione fitofarmaceutica concede quindi opportunità di agire con oculatezza nella scelta di prodotti<br />

aficidi. Vi è oggigiorno possibilità di escludere insetticidi-aficidi del passato, totipotenti e di indubbia<br />

efficacia, caratterizzati tuttavia da elevata tossicità, pesante impatto ambientale e scarsa selettività nei<br />

riguardi degli antagonisti naturali dei fitofagi, a beneficio di più recenti formulati dal profilo ecotossicologico<br />

rassicurante, altrettanto efficaci e che comunque vanno opportunamente alternati nell’impiego onde evitare<br />

l’insorgenza di resistenza nelle popolazioni dell’afide. Si tenga presente che ad impedire la dannosità<br />

dell’afide possono rivelarsi utili getti forzati di acqua (eventualmente ripetuti), sufficienti a disperdere le<br />

colonie del cinarino e interrompere la loro dannosa attività di suzione.<br />

Accertato quindi che la lotta all’afide del cipresso non presenta particolari difficoltà (il getto aficida<br />

deve comunque ben penetrare all’interno delle chiome infestate), preme rilevare che solo dalla tempestività<br />

dell’intervento può scaturire una effettiva protezione del cipresso. Come dimostrato (Inserra et al., 1979) lo<br />

stazionamento indisturbato delle colonie dell’afide sui rametti di cipresso anche per poche settimane conduce<br />

inevitabilmente ad esiti nefasti per l’integrità delle chiome. Interventi aficidi tardivi, accurati quanto si<br />

voglia, su chiome ospitanti da settimane affollate colonie dell’afide e ancora esenti da manifestazioni di<br />

danno, concedono solo di abbattere la popolazione afidica ma non impediscono affatto la comparsa, nelle<br />

settimane successive, dei seccumi di foglie e rametti. Al produttore di cipressi resta quindi l’incombenza di<br />

ripetute ispezioni alle parti interne delle chiome, il loro settore inferiore in particolare, nei periodi di abituale<br />

incremento della popolazione dell’afide (all’uscita dall’inverno e in autunno), ben evidenziato anche da<br />

bagnatura e untuosità appiccicaticcia di foglie e cortecce di rami e rametti, dovute all’abbondante melata<br />

emessa dagli afidi in rapida moltiplicazione. Il tutto finalizzato ad evitare trattamenti aficidi con prodotti di<br />

sintesi chimica cosiddetti “preventivi”, effettuati in assenza di effettiva infestazione, comunque inquinanti e<br />

perturbatori di equilibri fra fitofagi e loro antagonisti naturali che, nel nostro interesse, dobbiamo mantenere<br />

e potenziare.<br />

Specifiche attenzioni sono richieste anche nella lotta all’eriofide. Attivo all’interno delle gemme ove<br />

vive costantemente, gode di una protezione che può rendere problematico il successo del trattamento<br />

acaricida, assicurato solo se l’intervento si riveli tempestivo (ai primi sintomi di attacco) e in periodo<br />

stagionale appropriato, che è quello primaverile allorquando la popolazione svernante dell’eriofide inizia a<br />

incrementare la sua consistenza. Idonei a contrastare le infestazioni dell’eriofide sono indicati formulati<br />

acaricidi a base di clorobenzilato* 1 , bromopropilato**, endosulfan (Castagnoli e Simoni, 1998). Il vivaista<br />

può fare ricorso ad altre sostanze attive quali abamectina, amitraz, ecc. dotate di spiccato potere citotropico e<br />

proposte anche nella difesa dagli eriofidi.<br />

Una lotta alle cocciniglie che possa rivelarsi efficace richiede, quantomeno, sufficienti conoscenze<br />

sui loro cicli biologici, essendo noto che solo le forme giovanili (neanidi) da poco sgusciate dall’uovo e prive<br />

di ina qualsiasi protezione sono altamente vulnerabili all’intervento insetticida. Contro gli stadi adulti che già<br />

godono della protezione di scudetti, rivestimenti cerosi e quant’altro si ottengono di norma risultati<br />

deludenti. Fosforganici, carbammati, piretroidi, polisolfuri, oli minerali (semplici o attivati) hanno una lunga<br />

tradizione nella difesa anticoccidica di colture agrarie, floreali, ornamentali. L’impiego di alcuni di questi<br />

anticoccidici, indubbiamente efficaci, cozza con le odierne esigenze di salvaguardia ambientale e di<br />

1 (*) (**) Entrambi revocati, il secondo per l’impiego su colture ornamentali.<br />

47


sicurezza per l’operatore. A formulati a minore impatto ambientale, a ridotta tossicità e rispettosi dell’acaroentomofauna<br />

utile (oli bianchi, oli bianchi + buprofezin, ecc.) dovrebbe andare la preferenza del vivaista alle<br />

prese con problemi posti da dannosi sviluppi di cocciniglie.<br />

Nei riguardi dei restanti fitofagi elencati come secondari nella presente nota, ad azzerarne la presenza<br />

in vivaio si mostrano sufficienti alcune intuibili misure di prevenzione. Tali misure si sostanziano nella<br />

eliminazione di cipressi adulti deperienti (o loro parti seccaginose) posti in prossimità dei giovani impianti<br />

della cupressacea; nel sollecito allontanamento dei soggetti in crescita in vivaio malvegetanti per cause le più<br />

varie, ormai irrecuperabili; nel porre prontamente rimedio a momentanei stati di stress vegetativo in cui<br />

eventualmente vengano a trovarsi le coltivazioni di cipresso, ecc. Peraltro su criteri analoghi, come riferito in<br />

altra parte del manuale, si fonda la prevenzione anche verso malattie del cipresso sostenute da patogeni<br />

(cancri corticali a diversa eziologia fungina, perdite radicali per sviluppo di patogeni tellurici, ecc.).<br />

Risponde a validi criteri di prevenzione anche una corretta gestione colturale degli impianti di<br />

cipresso. Come già accennato in premessa, gli eccessi nella fertilizzazione sono di sicuro stimolo a massicci<br />

sviluppi di alcuni parassiti (afidi, cocciniglie, eriofidi), oltre a rendere le piante più soggette anche a patogeni<br />

fungini o avversità abiotiche.<br />

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48


Comitato di Redazione<br />

Paolo Raddi Direttore dell’Istituto per la Protezione delle Piante (IPP)<br />

Area della Ricerca del CNR – Edificio E<br />

Via Madonna del Piano<br />

50019 Sesto Fiorentino (Firenze)<br />

Claudine Andrèoli URIH Pathologie Appliquée, Antibes, Francia<br />

Maurizio Capuana CNR Istituto di Genetica Vegetale – Sezione di Firenze<br />

Roberto Danti CNR Istituto per la Protezione delle Piante (IPP)<br />

Marcello Intini CNR Istituto per la Protezione delle Piante (IPP)<br />

Moreno Moraldi Azienda Vivaistica Regionale UMBRAFLOR<br />

Giovanni Pacini Amministrazione Provinciale di Siena, Servizio Attività Agricole e Forestali<br />

Alberto Panconesi CNR Istituto per la Protezione delle Piante (IPP)<br />

Coordinatore della pubblicazione: Marcello Intini<br />

Si ringraziano:<br />

La Regione Toscana, l’Amministrazione Provinciale di Siena, il personale tecnico dell’IPP (V. Di Lonardo,<br />

G. Torraca, A. Romagnoli, G. Della Rocca, V. Nembi)<br />

Questa pubblicazione può essere consultata in Francese sul sito:<br />

http://www.cypmed.cupressus.org<br />

Cette brochure peut être visionnée on line:<br />

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This publication is also available in French on line at:<br />

http://www.cypmed.cupressus.org<br />

Edizioni Centro Promozione Pubblicità – Firenze (Italia)<br />

Finito di stampare nel Gennaio 2004<br />

ISBN 88-88228-07-1<br />

Contenuto tutelato. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta senza l’autorizzazione scritta<br />

del Comitato di Redazione

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