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STRUTTURA<br />

ESEGESI<br />

Genesi 1-11<br />

La «storia delle origini» è strutturata attorno alle genealogie (2,4a; 5,1; 6,9; 10,1; 11,10)<br />

che conducono da Adamo ad Abramo, con una cesura tra ciò che è prima e dopo il diluvio<br />

(1,1-9,19; 9,20-11,26 [o 50,26], cf 10,1; 11,10. 1 Questi 11 capitoli sono in continuità con la<br />

“storia del Patriarchi”: altre cinque genealogie. La narrazione è dunque articolata da 10<br />

quadri, scanditi da ’elleh toledôt (= queste le origini o generazioni o la discendenza o la storia<br />

di). 2<br />

2,4a: «Queste le origini del cielo e della terra, quando<br />

vennero creati».<br />

´ëºllè tôldôt haššämaºyim wühä´äºrec<br />

5,1: «Questo è il libro della genealogia di Adamo» -<br />

prima del diluvio.<br />

è sëºper Tôldöt ´ädäm<br />

6,9: «Questa è la storia di Noè»<br />

´ëºllè Tôldöt nöªH<br />

10,1: «E questa è la discendenza dei figli di Noè» =<br />

Sem, Cam, Jafet (titolo sequenziale)<br />

wü´ëºllè Tôldöt Bünê-nöªH šëm Häm wäyäºpet<br />

11,10: «Questa è la discendenza di Sem»<br />

´ëºllè Tôldöt šëm<br />

11,27: «Questa è la discendenza di Terach», il padre di<br />

Abramo<br />

wü´ëºllè Tôldöt TeºraH<br />

25,12: «Questa è la discendenza di Ismaele figlio di<br />

Abramo» - prima di quella di Isacco.<br />

wü´ëºllè Töldöt yišmä`ë´l Ben-´abrähäm<br />

25,19: «Questa è la discendenza di Isacco» = Esau e<br />

Giacobbe, il secondo è l’erede legittimo.<br />

wü´ëºllè Tôldöt yicHäq Ben-´abrähäm<br />

36,9: «Questa è la discendenza di Esau, padre di Edom».<br />

ü´ëºllè Töldôt `ëSäw ´ábî ´édôm<br />

37,2: «Questa è la discendenza di Giacobbe»<br />

´ëºllè Töldôt ya`áqöb<br />

Il racconto biblico è più ampio del binomio “creazione e caduta” e contiene dati positivi:<br />

le genealogie, segno della benedizione divina ripetuta. Il primo capitolo appare come un<br />

“inno” alla bontà, bellezza e perfezione (tov), della creazione orientata al settimo giorno.<br />

L’opera d’arte pone in risalto la hokmah (abilità, perizia, maestria) del Creatore (cf Prov<br />

3,19-20; 8,29-31; Sir 1,9-10; Ger 10,12; Sal 104,24; 136,5).<br />

In modo semplice i capitoli di Gen 1-11 possono essere articolati nei seguenti blocchi:<br />

• L’armonia nel cosmo o un mondo secondo Dio: il progetto (Gen 1,2-4a) – portale.<br />

• Dal progetto alla storia. La libertà umana o l’uomo nel suo mondo.<br />

Gen 2,4ab: conclusione al poema della creazione e introduzione al secondo racconto.<br />

Gen 2-4 appare come un dittico:<br />

- Armonia nell’esistenza umana o l’uomo in relazione (Gen 2,4b-25).<br />

- Disintegrazione dell’armonia familiare e sociale (3,1-24 e 4,1-26): Gen 3 (tentazione<br />

e peccato dell’umanità) è in parallelo e continuazione con Caino e la sua discendenza.<br />

Più che conflitto di civiltà senza spazi di comunicazione si tratta di progresso<br />

e passaggio, trasgressioni e riprese: la storia con i beni di civiltà, necessari ma ambigui.<br />

1 Tra i commentari in bibliografia, cf G. CAPPELLETTO, Genesi capitoli 1-11; W. VOGELS, Nos Origines. Genèse<br />

1-11, L’horizon du croyant, Novalis, Ottawa 1992; un’originale lettura fondata sulla linguistica è quella<br />

di una voce femminile olandese: E. VAN WOLDE, Racconti dell’Inizio. Genesi 1-11 e altri racconti di creazione<br />

(Biblioteca biblica 24), Queriniana, Brescia 1999 (ed. olandese Verhalen over het begin. Genesis 1-11 en<br />

andrere scheppingsverhalen, Ten Have, Baaern 1995).<br />

2 Cf BLENKINSOPP, cit., pp. 74-133 e SKA, cit., pp. 31-38.


Pentateuco – Creazione<br />

• Da Adamo a Noè (Gen 5,1-9,29). Il diluvio: distruzione e ritorno a un nuovo ordine<br />

mondiale (Gen 6,5-9,17). Gen 5 riprende le «genealogie» di 2,4a, segno della benedizione<br />

divina che continua nonostante tutto.<br />

Storia/genealogia di Noè (5,1-9,29)<br />

A – Genealogia di Adamo (5,1-32: 10 generazioni da Adamo a Noè) rit.<br />

B – Il male di diffonde sulla terra (6,1-8)<br />

C – Storia di Noè – il diluvio (6,9-9,29) rit.<br />

• Da Noè ad Abramo. Diffusione dell’umanità tra opposizione (torre di Babele) e realizzazione<br />

del piano divino (Gen 9,18-29; 10,1-11,32).<br />

Transizione: l’umanità si espande sulla terra (10,1-11,9) 3<br />

A’ – Genealogia dei figli di Noè (10,1-32) rit.<br />

B’ – Dispersione degli uomini a partire da Babele (11,1-9)<br />

Storia/genealogia di Abramo (11,10-25,11)<br />

A’’ – Genealogia di Sem (11,10-26,10 generazioni da Sem ad Abramo) rit.<br />

B’’ – Disgrazie della famiglia di Terach (11,27-32) rit.<br />

C’’ – Storia di Abra(ha)mo (12,1-25,11): inizia la nuova storia.<br />

NATURA E INTERPRETAZIONE DEL TESTO<br />

Non è un testo «scientifico» secondo il concetto attuale. Ma si tratta di una narrazione<br />

che contiene un messaggio religioso, a partire dalle concezioni del tempo. Attraverso le genealogie<br />

(= origini, storia), che segnano le tappe della storia, il disegno di Dio di salvezza si<br />

manifesta, in mezzo a bene e male, conducendo la storia fino ad Abramo, capostipite del<br />

popolo eletto.<br />

Metodo di riflessione: il testo parte dal presente, dalle domande emergenti dal mondo<br />

di cui si ha esperienza, segnato dal bene e dal male, dall’amore ma anche dal dolore e dalla<br />

violenza – per gli ebrei vi è, in particolare, l’esperienza dell’esodo e della liberazione ma<br />

anche dell’esilio – allo scopo di prendere coscienza dell’oggi e infondere speranza.<br />

La risposta è cercata nel passato in due modi.<br />

• Andando a ritroso «fino agli inizi» dell’umanità e di Israele, per cercare la natura più<br />

profonda dell’uomo da una parte, e dall’altra il senso del popolo ebraico nella storia<br />

dell’umanità. Nelle origini si cerca il fondamento, nel «come» Dio ha creato si esprime<br />

e appare il «perché».<br />

• Utilizzando racconti di vario genere, attinti alla tradizione e anche ai miti presenti nelle<br />

culture dell’ambiente, adattandoli al proprio scopo, il messaggio teologico.<br />

Bisogna perciò interpretare Genesi 1-11 in prospettiva teologico-sapienziale ed escatologica.<br />

L’intento della narrazione delle origini non è storico, nel senso corrente del<br />

termine, ma teologico e sapienziale. Non è una «storia vera» secondo il nostro modo di far<br />

storia, ma un «storia che dice il vero». È la visione teologica della storia narrata con linguaggio<br />

simbolico drammatizzato [mitico], allo scopo di esprimere la realtà dell’esperienza<br />

umana nelle sue relazioni con l’universo e con Dio. 4 Il racconto è portatore di un<br />

messaggio religioso, di vita e speranza, a partire da quel “in principio” (Gen 1,1), che significa<br />

prima che l’inizio del tempo, l’origine divina del mondo creato, “cielo e terra”: ha<br />

il suo “principio” in Dio. Quando ci accostiamo a questi testi occorre evitare di pensare<br />

al passato. Essi rappresentano una riflessione sapienziale sulla realtà di sempre, tesa a<br />

cogliere il senso del mondo, della vita e dell’uomo di fronte a Dio. Più che storia è meta-<br />

3 Lettura di A. Wénin, D’Adam à Abraham, p. 169; ora anche in italiano: Da Adamo ad Abramo o l’errare<br />

dell’uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi, I Gen 1,1-12,4, EDB, Bologna 2008.<br />

4 Cf G. BORGONOVO, La Bibbia, Piemme, p.61.<br />

22


Pentateuco – Creazione<br />

storia o riflessione sulla storia, ritornando alle “origini”. In altre parole, si presenta ciò<br />

che riguarda ogni momento della storia – passato, presente e futuro – in quanto i racconti<br />

archetipici si traducono e vengono sperimentati in ogni evento storico.<br />

Dobbiamo leggere allora la creazione non come un punto iniziale già compiuto o come<br />

un paradiso perduto, ma come un progetto inteso, realizzato come intervento fondamentale<br />

(la creazione è buona), ma aperto al futuro, che comporta continui interventi creatori<br />

di Dio nella storia. È quanto esprimono le categorie della «promessa» e<br />

dell’«alleanza», del «regno di Dio» e del «messianismo». Sembra dunque necessario leggere<br />

la creazione iniziale (protologia) come anticipazione e immagine della realtà finale<br />

e perfetta (escatologia). Il «paradiso terrestre» non è una occasione mancata o un bene<br />

perduto, resta una “promessa” che Dio continua a realizzare e realizzerà pienamente alla<br />

fine dei tempi. Non è un caso che la scena finale dell’Apocalisse sia concentrata nella<br />

“nuova Gerusalemme” (opposta a Babele/Babilonia) al cui centro sta un giardino con il<br />

fiume e “l’albero della vita” (Ap 22,1ss).<br />

L’espediente letterario delle genealogie ha come intento principale di narrare un progresso<br />

e un passaggio: «dalle origini ideali e quindi impossibili a viversi, attraverso una serie<br />

di trasgressioni e di successive riprese (tra cui soprattutto il diluvio) si mostra come è<br />

nata gradualmente la storia con i beni di civiltà, necessari ma ambigui, di cui l’umanità deve<br />

disporre per la sua esistenza concreta, complessa e anche contradditoria». 5 Vi vengono<br />

inserite perciò le “invenzioni”che costituiscono il patrimonio di quelle istituzioni e di quei<br />

beni che formano il tessuto civile e culturale dell’umanità storica. Al processo verticale (le<br />

tôl e dôt) si affiancano i processi orizzontali (istituzioni e invenzioni; vari tipi stili di vita e di<br />

lavoro: pastori e nomadi che vivono nelle tende, contadini e cacciatori, artisti e affilatori di<br />

bronzo e ferro; la città politicamente strutturata che riassume in sé gli altri beni di civiltà e li<br />

rappresenta nel loro funzionamento dinamico).<br />

I primi capitoli di Genesi offrono dunque i tratti essenziali della storia dell’umanità<br />

(di ieri e di oggi), ma orientano nel contempo al futuro. Saranno completati dalle promesse<br />

e dalle alleanze: da quella con Adamo, Noè, Abramo, Mosè e Davide, fino<br />

all’annuncio della “Nuova Alleanza” (Ger 31,31-34; Ez 36,26-38) ripresa nel NT. Allora<br />

anche il cuore umano dominato dal peccato sarà ri-creato e in grado di accogliere pienamente<br />

il comando di Dio, senza ribellione, ma percependolo come realizzazione di sé e<br />

del mondo.<br />

QUALE MESSAGGIO?<br />

Leggendo il libro di Giobbe, lo stesso Dio nei discorsi finali (Gb 38-41), in primo momento<br />

descrive la creazione per mostrare che vi è un piano e un ordine, ma in un secondo<br />

discorso ammette la persistenza di alcune contraddizioni che, tuttavia, non lo turbano e che<br />

egli non ha fretta di eliminare. Così avviene in Genesi. La bontà originaria del cielo e della<br />

terra che rivela il mondo come il capolavoro del Creatore (capitolo 1), passando alla terra e<br />

alla libertà umana (cc.2-11), si mescola con il mistero del bene e del male, della vita e della<br />

morte, sin dall’origine.<br />

La “conoscenza” può ridursi ad astuzia che inganna (il serpente), diventare ricerca di<br />

sé (Adamo e torre di Babele) o rifiuto di riconoscimento (Caino e Abele). Il “dominio”<br />

ricevuto da Dio spesso sorpassa i limiti, diventa abuso di potere che vuole imporsi con le<br />

sue leggi. Adamo stabilisce da sé le regole del bene e del male e finisce per voler dominare<br />

sulla moglie. I “figli di Dio” – a immagine di Eva – “videro” che le donne degli uo-<br />

5 Cf G.L. Prato «La nascita della città nella genealogia di Caino» (Gen 4,17), La città, PSV 50 (2004), p. 20.<br />

23


Pentateuco – Creazione<br />

mini erano “belle” (tôb come il frutto dell’albero) e ne “presero quante ne vollero”: è il<br />

simbolo del possesso e della confusione. Caino e i suoi discendenti creano il progresso<br />

(città, arti, uso del ferro), ma si impongono con la paura e moltiplicano la vendetta. Gli<br />

abitanti della pianura di Sennaar scoprono l’uso dei mattoni e vogliono costruire una città<br />

con una cittadella (la “torre”) che raggiunga il cielo, per stabilire un dominio imperiale<br />

che assorba tutti i popoli in una unica labbro (pensieri e parole), radunare un unico popolo<br />

sotto l’unico potere, cercando di impedire la diffusione e la diversificazione dei popoli<br />

voluta da Dio: il risultato paradossale è l’incapacità di “ascoltare” e comunicare.<br />

Il risultato è mortale per l’uomo e per il mondo. Ciò che era buono viene scoperto da<br />

Dio come corruzione, male, violenza: ogni progetto del cuore umano è solo male, e coinvolge<br />

la relazione uomo-Dio, uomo-uomo, uomo-cosmo. Per opera dell’uomo la creazione<br />

è “distrutta, cancellata” (Gen 6,7.12). Il “diluvio” rappresenta l’anticreazione, il ritorno<br />

al caos come prima della creazione. Il problema del male, più che nella sua origine – i<br />

peccati “originali” o archetipici – viene affrontato come dato di fatto, per smascherarlo e<br />

combatterlo.<br />

Tuttavia, Dio non rinuncia al suo progetto originario, non cede la sua regalità (Sal<br />

29,10). Benché ferito nel cuore a motivo del cuore corrotto dell’uomo, continua ad “operare”<br />

nel mondo, a ri-crearlo in più modi, guidando la storia.<br />

• Il dominio di Dio è anzitutto protezione: non abbandona Adamo, ma gli offre un segno<br />

della sua benevolenza. Pur cacciandolo dal “paradiso”, costringendolo a coltivare<br />

una terra ostile e desertica e negandogli l’accesso all’albero della vita, perché accetti<br />

di essere uomo e non pensi di risolvere la questione dell’immortalità con una “pozione<br />

magica”, gli dona un vestito. Anche a Caino, che pure intraprende una via parallela<br />

alla sua («uscì dal volto di Dio e abitò nella terra di Nod: compie un esodo alla rovescia,<br />

4,16), Dio pone un segno di protezione.<br />

• Accetta il cuore malato dell’uomo e, dopo il diluvio, si impegna a non distruggere<br />

“mai più” il mondo, sottolineando la sua volontà con l’alleanza e con un segno –<br />

l’arcobaleno – che gli ricordi il legame con tutta la creazione. Considera ancora<br />

l’uomo sua “immagine”, riserva a sé la vita e chiede conto ad ogni uomo del “sangue”<br />

del fratello (9,5-6), sconfessando Caino: «Non (lo) riconosco; forse sono il custode di<br />

mio fratello, io?» (4,9).<br />

• Rinnova la benedizione, ossia la fecondità, che continua la vita e si manifesta nelle<br />

“genealogie” (caratteristiche di tutto il libro)... anche se questo fatto sembra interrompersi<br />

proprio con un uomo di Dio, Abramo: «Sua moglie Sara era sterile e non aveva<br />

figli» (11,30); ma sarà un motivo per mostrare l’inventiva ulteriore del Signore. Così<br />

la diffusione dei popoli, che rientra nel suo progetto (9,19), si realizzerà nonostante<br />

l’opposizione dei potenti (Babele) mediante la confusione delle lingue (11,9).<br />

• Inoltre, Dio sceglie uomini in mezzo all’umanità, da Set a Noé (nôÃÐ) ad Abramo, perché,<br />

obbedendo a Lui, diventino segni di pace (nûÃÐ) e di consolazione (nÔÐam), sicché<br />

egli non abbia più a pentirsi (nÔÐam) di aver creato l’uomo.<br />

• Non devono passare in secondo piano “gli interrogatori” di Dio agli uomini, prima e<br />

dopo il peccato. Non è solo Noè a ricevere un messaggio per collaborare con Dio e<br />

obbedire al suo comando. Adamo e Caino vengono interpellati e stanati dai loro rifugi:<br />

le domande invitano a riflettere, aiutano a prendere coscienza della propria libertà.<br />

La scelta resta nelle mani dell’uomo. Può sbagliare e diventare vittima delle sue scelte,<br />

ma deve imparare ad assumersi la responsabilità. Anche questo è per Dio un guidare<br />

la storia.<br />

24


Pentateuco – Creazione<br />

Se l’ordine del mondo può suggerirci che “i cieli narrano la gloria di Dio” (Sal 18), al di<br />

là delle parole, la contemplazione del cielo pone ancora domande all’uomo e sull’uomo<br />

(Sal 8,5). In questa capacità di fare e farsi domande consiste la grandezza dell’uomo: gli fa<br />

prendere coscienza del proprio potere e del proprio limite, imparando ad accettare un essere<br />

superiore, senza voler eccedere o recalcitrare. Dio che ha posto i freni anche al mare, ha lasciato<br />

all’uomo la libertà perché operi le sue decisioni. In tal modo diventa concreatore, inventore<br />

e dominatore “a immagine di Dio”, può sviluppare e orientare positivamente il progresso.<br />

Come uomini ciascuno di noi può essere Adamo e Cristo, ribelle o credente.<br />

Bibliografia<br />

E. BIANCHI, Adamo, dove sei? Commento esegetico spirituale ai capitoli 1-11 del libro della Genesi, Qiqajon,<br />

Comunità di Bose – Magnano (BI) 1994 2 .<br />

G. BORGONOVO, Genesi, in La Bibbia; Piemme, Casale Monferrato (AL9 1995.<br />

W. BRUEGGEMANN, Genesi, Claudiana, Torino 2002 (ampio commentario recente).<br />

G. CAPPELLETTO, Genesi capitoli 1-11. Introduzione e commento (Dabar-Logos-Parola, Lectio divina popolare<br />

1), EMP, Padova 2000 (nella forma della Lectio Divina).<br />

I. FISCHER – M. NAVARRO PUERTO (edd.), La Torah (La Bibbia e le donne), Il pozzo di Giacobbe, Trapani<br />

2009.<br />

P. GIBERT, Bibbia, miti e racconti dell’Inizio, Queriniana, Brescia 1993 (Ed. du Seuil, Paris 1986).<br />

A. MARCHADOUR, Genesi (Commento teologico-pastorale 41), San Paolo 2003.<br />

E. TESTA, Genesi (NVB 1), San Paolo 1999 2 (cf IDEM, Genesi, Marietti, 2 voll, 1969-72).<br />

W. VOGELS, Nos Origines. Genèse 1-11, L’horizon du croyant, Novalis, Ottawa 1992; 2 2000.<br />

G. VON RAD, Genesi, Vol. I, Paideia, Brescia.<br />

E. VAN WOLDE, Racconti dell’Inizio. Genesi 1-11 e altri racconti di creazione (Biblioteca biblica 24), Queriniana,<br />

Brescia 1999 (ed. olandese Verhalen over het begin. Genesis 1-11 en andrere scheppingsverhalen,<br />

Ten Have, Baaern 1995; una voce femminile).<br />

A. WÉNIN, Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi. Gen<br />

1,1-12,4, EDB, Bologna 2008 (ed or. D’Adam à Abraham ou les errances de l’humain. Lecture de Genèse<br />

1,1-12,4, Du Cerf, Paris 2007.<br />

C. WESTERMANN, Genesi. Commentario, Piemme, Casale Monferrato AL) 1990 (sintesi del grande commentario<br />

in 3 voll. Apparso in Biblischer Kommentar Altes Testament).<br />

25


Pentateuco – Creazione<br />

1 Genesi 1,1-2,4a: Creazione sacerdotale. Il portale o progetto<br />

L’armonia: il mondo opera d’arte di Dio<br />

La riflessione sulla creazione assume un aspetto multiforme nella Bibbia con molti testi:<br />

oltre a Gen 1-2 ricordiamo i Salmi di creazione (inni, cf Sal 8); Is 51,9-11; Gb 38-39; Prov<br />

8,22-31; Sap 1-2, ecc.<br />

L’immagine suggerita in questo racconto è quella di una terra sommersa dalle acque,<br />

come dopo un’alluvione: la terra emerge a poco a poco dall’acqua (come nel diluvio) e si<br />

ricopre di vegetazione, poi di esseri viventi. Sembra la descrizione di quanto accade/va ogni<br />

primavera in Mesopotamia e in Egitto.<br />

1. STRUTTURA<br />

Separazione<br />

I giorno<br />

1,3-5<br />

II giorno<br />

1,6-8<br />

III giorno<br />

1,9-13<br />

Ornamento<br />

IV giorno<br />

1,14-19<br />

V giorno<br />

1,20-23<br />

VI giorno<br />

1,24-31<br />

VII giorno<br />

2,1-4a<br />

luce – tenebre (giorno – notte) Tempo<br />

Acqua Parte solida (cielo) Acqua Spazio<br />

Mare<br />

Terra asciutta<br />

Vegetazione<br />

26<br />

(Terra-mari) Spazio<br />

Stelle (giorno-notte; luce-tenebre) I ambito di dominio: segni per i tempi Tempo<br />

Pesci uccelli (benedizione) Spazio<br />

Animali di terraferma<br />

Spazio<br />

Uomo (immagine, benedizione) II ambito di dominio<br />

conclusione: Dio riposa dal suo lavoro – sabato Tempo<br />

Il brano è un «inno a Dio Creatore» in forma di prosa cadenzata e ritmica, con risonanze<br />

quasi «litaniche» (= ripetizioni con varianti), organizzato attorno ad alcuni schemi, soprattutto<br />

di tempo e di spazio.<br />

1 – L’elemento settenario è centrale nello schema: il settimo giorno è descritto con cura<br />

particolare (2,1-4a); le formule in ogni opera sono al massimo sette; sette volte ricorre il<br />

verbo di creazione, bara’ (1,1.21.27[3 x]; 2,3.4a); il primo verso è composto di sette parole,<br />

il secondo di 14 (= 7x2); ’elohîm, Dio, come soggetto ricorre 7x5 volte; infine, la ripetizione<br />

triplice del “settimo giorno” in tre stichi di 7 parole ciascuno (2,1-4a).<br />

L’idea religiosa della settimana, articolata in lavoro e riposo, tempo e spazio, è alla<br />

base dell’impianto narrativo. I giorni decisivi sono il I – la luce; il IV – centro della settimana<br />

con sole e luna che dominano il tempo; il VII – consacrato a Dio.<br />

• Vi è la seguente successione: tempo (I g.) – spazio (II e III g.) – tempo (IV g.) – spazio<br />

(V e VI g.) – tempo (VII g.). Nel tempo Dio separa (giorni I-III) e ordina (giorni IV-VI)<br />

gli spazi del cosmo; il VII riposa. In tutto compie otto opere.<br />

• I giorni II e III, V e VI formano due dittici interni: il II e III giorno sono legati per forma<br />

(immediata successione della formula di conformità e appellazione, vv.7b-8s / 9b-10a) e<br />

contenuto (la divisione delle acque inizia nel 2° e termina al 3° giorno; l’obiettivo


Pentateuco – Creazione<br />

dell’azione, l’emergere della terra e il suo coprirsi di vegetazione, inizia al v.6 ed è raggiunto<br />

al v.12) – sono creati gli spazi vitali con accentuazione della terra; il V e VI hanno<br />

pure somiglianza di forma (formula di benedizione, seguita dal formulario con i tre<br />

verbi stativi [crescere, moltiplicarsi, riempire]) e contenuto – sono creati gli esseri che<br />

occupano gli spazi del II e III giorno (gli “esseri viventi” [nefesh/gola = affamati, cioè<br />

con istinto/anelito di vita] e in grado di dare la vita). Due climax o punti di tensione della<br />

narrazione, che costituiscono la meta narrativa a cui è condotto il lettore, sono al III<br />

giorno (la terra) e al VI (gli esseri viventi e l’uomo riempiono e abitano la terra).<br />

• Il IV giorno (corpi celesti che governano il tempo e la luce), in parallelo con il I (luce),<br />

segna la svolta narrativa. Cambiano infatti alcuni elementi o i precedenti sono sviluppati<br />

in altro modo (gli spazi creati/separati sono riempiti e ornati; preparata la “casa” vengono<br />

sistemati gli “inquilini”). Il III giorno anticipa l’ornamento con la vegetazione, il<br />

IV continua la separazione con i due “dominatori/governatori” (mašal) dei tempi, “luce<br />

maggiore” e “luce minore”: è legato con il I giorno dall’espressione “per dividere tra... e<br />

tra” e dall’alternanza luce-tenebre / giorno-notte; il legame con il VI è dato dal “dominio”<br />

(su giorno e notte, feste, gironi e anni, e per separare luce e tenebre; essere segno //<br />

dominio sugli esseri di mare, cielo e terra).<br />

• Nelle due triadi di giorni relative all’habitat, notiamo anche i paralleli<br />

I Luce: separazione di luce e tenebre IV Sole, luna, stelle: separazione giorno/notte<br />

II Firmamento: Separazione tra le acque V Creature dell’acqua e dell’aria<br />

IIIa: Separazione acqua terra asciutta VIa: Creature terrestri, esseri umani<br />

IIIb: Vegetazione VIb: Vegetazione come cibo<br />

2 - Altro elemento strutturante è la ripetizione di formule con varianti significative: introduzione,<br />

«disse, fece, chiamò, benedisse, vide/buono», successione di sera e mattino, sequenza<br />

del giorno.<br />

• Appare la duplice serie che esprime comando ed esecuzione: «Dio disse», la parola<br />

creatrice che Gv 1 applicherà al Verbo; «Dio fece», l’azione creatrice. Alla base del<br />

primo esistere del mondo stanno due principi dinamici e vitali: l’alito divino, la sua forza<br />

attiva e la sovrana parola comanda e fa esistere, benedice e chiama, ordina, assegna<br />

posto, numero e funzioni: la «signoria» sulla notte e sul giorno data al sole e alla luna, la<br />

«fecondità» ad animali e piante. Nell’uomo la creazione raggiunge il culmine: è immagine<br />

di Dio, con dominio e fecondità.<br />

• Risalta anche un terzo aspetto creativo: l’Artigiano cosmico, va contemplando, giudicando<br />

(vide) il risultato del suo lavoro, opera per opera, e trova la creazione «buona»<br />

(wayyaºr´ ´élöhîm Kî-†ôb/ `bAj)-yKi ~yhiÞl{a/ א ְרַיַּוï), armoniosa, esteticamente valida. Il sesto<br />

giorno l’opera è stimata «molto buona», cioè perfetta. Ha creato con maestria e abilità,<br />

con “sapienza”, come ripetono i Salmi e i libri Sapienziali. Il mondo è un’opera d’arte!<br />

In conclusione<br />

• Il racconto è articolato in tre parti: A/ un’esposizione iniziale (1,1-2) con il protagonista<br />

(v.1, verrà ripresa in 2,1 come “compimento” e in 2,4a come rinnovo del titolo) e la<br />

situazione esistente all’inizio dell’azione (v.2); B/ segue l’azione, divisa in due fasi<br />

(vv.3-13 e 14-31); C/ una coda: il settimo giorno (2,1-4a).<br />

• Il senso ultimo del creare è raggiunto nel settimo giorno, giorno «consacrato», in cui<br />

Dio cessa di lavorare e contempla la sua opera. A immagine di Dio anche l’uomo cessa<br />

(šābat) la sua attività manuale, per offrire a Lui le sue opere e celebrarlo come Creatore.<br />

Il cosmo diviene così, per opera dell’uomo, il grande «santuario», in cui la creazione<br />

27


Pentateuco – Creazione<br />

perfetta è secondo il volere di Dio. In Dio Creatore la diversità e pluralità della creazione<br />

ritrova l’unità.<br />

• Commento-meditazione su questo capitolo è il Salmo 8 con la medesima sequenza delle<br />

opere, e Sir 16,24-17,14.<br />

2. ESEGESI<br />

1,1-2: ESPOSIZIONE<br />

1,1: «IN PRINCIPIO»<br />

Bürë´šît Bärä´ ´élöhîm ´ët haššämaºyim wü´ët hä´äºrec<br />

`#r ~Ah+t. ynEåP.-l[; %v,xoßw> Whboêw" ‘Whto’<br />

ht'îy>h' #r<br />

«E la terra era vuota e informe (= una landa desolata)<br />

e la tenebra era sulla superficie dell’abisso<br />

e un vento di Elohim meraÐefet ¹al pÊnÈ hammayym<br />

= una tremenda tempesta sconquassava la superficie dell’acqua.<br />

= lo spirito di Dio aleggiava sulla superficie dell’acqua (= LXX).<br />

a) La terra vuota, deserta (ebr. Tôhû wabôhû). La terra è opposta al cielo anteriormente ad<br />

ogni distinzione. Era una landa desolata, senza vita e significato. “Era” è clausola nominale<br />

di forza circostanziale: la terra prima della creazione, la terra, quale esiste, era<br />

tôhû wabôhû.<br />

6 Un autore – Dantinne – ritiene che bara’ nel senso originario significasse “tagliare, separare”, valorizzando il<br />

tema della “separazione”, in armonia con la struttura del racconto. In Gen 1,1 bara’ si alterna con ‘asah “fare”.<br />

7 Gli autori discutono sulla forma e il valore di b e rË’šÔt: A) in stato assoluto (cf TM “In principio”) con il verbo<br />

al perfetto: bārā’; B) stato costrutto (proposizione temporale), forma consueta nella Bibbia, e il verbo<br />

all’infinito costrutto: b e rō’: «Nel principio del creare di Dio», cioè «Quando Dio iniziò a creare» (cf Rashi:<br />

v.1 = protasi; v.2 = parentesi; v.3 = apodosi; Abraham Ibn Ezra: v.1 = protasi; v. 2 = apodosi); C) meno sostenibile<br />

sintatticamente: l’atto creativo avviene nella terza frase del v.2 (lo spirito); b e rē’šît in stato assolto o<br />

costrutto.<br />

28


Pentateuco – Creazione<br />

• Tôhû wabôhû: i due termini si richiamano per allitterazione; è probabile endiadi<br />

(Speiser) per “landa desolata”. Tôhû (20 x) significa: “vuoto”, quindi deserto, solitudine<br />

o desolazione-devastazione (Is 24,10; 34,11; in 45,18 è in parallelo con ’epes,<br />

“nulla”, cf Gb 26,7); di conseguenza, nulla o nullità. Bôhû (3 x sempre in coppia con<br />

tôhû.)<br />

b) Le tenebre coprono l’abisso: è negazione della luce (cf Is 45,7) che verrà creata per prima<br />

(I° giorno). Per greci, egiziani e fenici la tenebra fa parte del caos. Senza luce non si<br />

può lavorare, soprattutto non c’è misurazione e ritmo del tempo. La creazione della luce<br />

prepara la successione di notti e giorni, il quadro in cui si svolge la creazione intera.<br />

• L’abisso (ebr. Tehôm) nei miti sumero-accadico-babilonesi rappresentava uno degli<br />

elementi primordiali (cf Tiamat = acque amare, salate), il mare del caos, oceano<br />

primordiale, la cui unione con le acque dolci iniziava la vita. Qui è rafforzativo di<br />

tenebra; la creazione avverrà per separazione.<br />

c) Le acque sconvolte. Sono le acque come massa informe e in rivolta (cf Es 15,14; Sal<br />

77: l’autore parla della lotta del vento con l’acqua, ma allo scopo di salvare).<br />

• L’espressione biblica del vento può essere intesa in due modi: 1) teologico: lo spirito<br />

di Dio (lett. «un vento di Dio») «aleggiava» sulle acque: segno positivo, fecondante,<br />

come quando Dio crea l’uomo; sarà oggetto della riflessione ebraica e patristica;<br />

2) cosmogonico: un vento tremendo, nella linea della negatività; l’espressione<br />

funziona da superlativo a indicare una violenta tempesta.<br />

• Di conseguenza, il verbo al participio, meraÐefet, assume valore dal contesto: “aleggiava”<br />

o “agitava, sconvolgeva”. Ritorna in Dt 32,11 e Ger 23,9.<br />

La terra vuota e deserta, le tenebre che avvolgono il tehom, le acque caotiche esprimono<br />

la situazione negativa prima della creazione. Tutto è indistinto, è il caos – immagine del<br />

nulla.<br />

Separazione e opposizione sono principi di ordine e armonia, classificazione e nomenclatura<br />

(dare il nome) sono principi positivi di distinzione e conoscenza 8 . La narrazione evidenzia<br />

nei primi tre giorni il superamento dello stato negativo.<br />

1,3-30: AZIONE POSITIVA in due fasi – vv.3-13 e vv.14-30<br />

1,3-13: SEPARAZIONE – <strong>GLI</strong> SPAZI<br />

vv.3-5: La LUCE – GIORNO E NOTTE – primo giorno (tempo): supera la tenebra<br />

• Dio crea con la parola (“sia la luce”) e vince la tenebra separandola dalla luce: essa viene<br />

in qualche modo estratta dalle tenebre che avvolgevano il tehom. La creazione della<br />

luce è premessa a ogni altra azione, inizia il ritmo del tempo: «fu sera e fu mattino».<br />

• Più che “primo” è il giorno “uno-unico” (’ēḥād), fondamentale. Per il cristianesimo vi<br />

sarà il giorno “ottavo”, della risurrezione. Sarà anche il “primo”, in cui Dio riprende<br />

l’attività con la “nuova creazione”, e il giorno escatologico o eterno, che supera e sostituisce<br />

il “settimo”.<br />

vv.6-8: Le ACQUE E IL RAQIA‘ - CIELO – secondo giorno (spazio): supera terza fase negativa<br />

• La separazione delle acque supera la terza fase dell’esposizione (il vento potentissimo<br />

sulle acque), che avviene con la parola (“sia” + nome = “chiamò”) e l’azione (“fece, separò”).<br />

8 Cf P. BEAUCHAMP, Création et séparation. Étude exégétique du chapitre premier de la Genèse (Bibiothèque<br />

de Sciences religieuses), Desclée De Brouwer 1969.<br />

29


Pentateuco – Creazione<br />

• Per separare le acque superiori da quelle inferiori è costruito il “firmamento/raqia‘,<br />

come un “coperchio metallico” di ferro battuto; sarà il “cielo”. Rappresenta il tetto della<br />

casa cosmica a protezione e rifugio nel trascorrere del tempo (i giorni). Nel diluvio<br />

questo baluardo sarà spezzato, crollerà e il mondo ritornerà nel caos precedente alla<br />

creazione; il riemergere della terra con la vegetazione e gli animali segnerà una “nuova<br />

creazione”.<br />

vv.9-13: TERRA ASCIUTTA (yabbāšāh) - MARI – terzo giorno (spazio): supera la terra vuota<br />

• È superata la negatività della terra vuota speculare al cielo. Ritiratasi l’acqua emerge la<br />

vegetazione: la terra riceve l’ordine e inizia a produrla (lett. “fa uscire”, vv.11-12).<br />

Il progetto spaziale è così realizzato. La casa è costruita con i diversi vani: mari, terra, tetto-cielo;<br />

vi è anche la tavola imbandita. Mancano gli “inquilini”. Sarà l’opera seconda.<br />

1,14-31: ORNAMENTO – <strong>GLI</strong> INQUILINI<br />

vv.14-19: I DUE LUMINARI, MAGGIORE E MINORE – quarto giorno: 1° ambito di dominio<br />

(tempo)<br />

• I due momenti della creazione, per parola e per azione, si ripetono e si concludono con<br />

l’approvazione: «e fu così»; «e vide che era buono».<br />

• L’azione si collega al primo giorno. Cielo e terra sono illuminati, è completata l’opera<br />

dei vv.6-8 dove non mancava “era buona”.<br />

• Il testo non parla di “sole e luna”, ma di “luce maggiore e luce minore”; il linguaggio ha<br />

probabile intento antiidolatrico in quanto realtà adorate come divinità. La loro creazione<br />

è funzionale: sono i grandi strumenti del Creatore, incaricati di illuminare il firmamento/cielo<br />

e la terra; diventano “dominatori” o “governatori” (māšal) del tempo (giorno/luminare<br />

maggiore, notte/stelle e luminare minore), “separano” luce e tenebre, sono<br />

“segni”.<br />

• Il ritmo del tempo è segnato da giorni e anni e feste (mô‘adîm).<br />

vv.20-23: I VIVENTI SU ACQUA TERRA E CIELO – quinto giorno (spazio)<br />

• Il Signore inizia a creare gli inquilini, gli esseri viventi – nefeš (gola, desiderio, respiro,<br />

anima) hāyāh = in cui è l’anelito, l’istinto, di vita e sono in grado di trasmetterla.<br />

• La parola riecheggia dapprima sull’acqua, quindi sulla terra e sul cielo (uccelli). Ritorna<br />

il verbo creare riguardo ai mostri marini (i tannînîm) e ai pesci (v.21).<br />

• Avviene la prima benedizione che anticipa quella sull’uomo. Rappresenta la potenza<br />

generativa con i verbi “essere fecondi/fruttificare, moltiplicarsi, riempire”. La parola di<br />

Dio dà l’esistenza alle creature e ne garantisce la sussistenza mediante il susseguirsi<br />

delle generazioni.<br />

vv.24-31: SESTO GIORNO. I VIVENTI SULLA TERRA – ANIMALI E UOMO (spazio)<br />

• Il sesto giorno contiene due opere: gli animali (disse, fece, vv.24-25) e l’uomo (disse,<br />

facciamo, vv.26-28) che abitano la terra (cf III g.).<br />

1,24-25: Gli animali<br />

• È la terra che “fa uscire” o produce gli esseri viventi, così come la vegetazione: idea di<br />

terra madre? L’uomo esce nudo dal ventre per tornare nudo alla terra: vi è un parallelo<br />

tra il ventre materno e la terra (Gb 1,21, cf Sal 139,13-15).<br />

1,26-27: L’uomo-’adam «in immagine, a somiglianza di Dio»<br />

wayyöº´mer ´élöhîm na|`áSè ´ädäm Bücalmëºnû Kidmûtëºnû<br />

Wnte_Wmd>Ki WnmeÞl.c;B. ~d" ±a' hf,î[]n:) ~yhiêl{a/ rm,aYOæw 1,26<br />

30


Pentateuco – Creazione<br />

E disse Dio: «Facciamo l’umano/umanità in immagine e come nostra somiglianza».<br />

wayyibrä´ ´élöhîm ´et-hä|´ädäm Bücalmô<br />

Büceºlem ´élöhîm Bärä´ ´ötô<br />

zäkär ûnüqëbâ Bärä´ ´ötäm<br />

Amêl.c;B. ‘~d"a'h'*-ta, Ÿ~yhiÛl{a/ ar" ’b.YIw:<br />

At+ao ar"åB' ~yhiÞl{a/ ~l,c,îB.<br />

`~t'(ao ar"ïB' hb'Þqen>W rk'îz" 1,27<br />

E creò Dio l’uomo/umanità in sua immagine,<br />

in immagine di Dio lo creò (o come immagine Dio lo creò?),<br />

maschio e femmina li creò.<br />

Una serie di indizi segnala che è raggiunto lo scopo ultimo della creazione (v.1). a) il<br />

cambio di modello con un attacco narrativo solenne. Dio riflette e prende consiglio tra sé e<br />

sé: «Disse: Facciamo» (plurale deliberativo). b) Tre volte (su sette) è ripetuto il verbo iniziale<br />

“creò” (v.27): l’uomo è vertice della creazione. c) Il Creatore crea esseri simili a sé,<br />

sua immagine. Al punto che vorranno essere Elohim (Gen 3,5.21).<br />

• I due termini, êelem e demït, sono sinonimi e si precisano. La terminologia proviene<br />

dall’ambiente artigianale dello scultore. Il primo richiama la statua (anche degli idoli, cf<br />

Am 5,26; Ez 7,20), il secondo in 2Re 16,10 indica il modello per l’altare: vi corrisponde.<br />

È un tema che ritorna in Gen 5,1.3. Adamo «genera un figlio come sua immagine,<br />

secondo la sua somiglianza»: è Set che continua la linea della fedeltà a Dio (cf 4,26).<br />

Si esclude l’uguaglianza di natura, per generazione: l’origine dell’uomo dipende dalla<br />

parola e dall’opera creatrice di Dio. È immagine speculare, una copia, una figura che<br />

lo riflette, non un’autoriproduzione del Creatore. Il risultato è la coppia (27c). Il v.27b<br />

ribadisce 27a e si può tradurre: “come immagine di Dio lo creò ”, oppure “come immagine<br />

Dio lo creò»?<br />

• Le due preposizioni – beth e k e (b e îelem kid e mït) – hanno probabilmente lo stesso significato,<br />

si tratta di una variante stilistica (cf Gn 5,1).<br />

LXX kata, Vulgata ad intendono il beth come beth normae, cioè la creazione secondo un<br />

modello, corrispondente all’originale.<br />

Il beth è da intendere più probabilmente come un beth essentiae. Essere immagine fa parte<br />

dell’essenza dell’uomo, è qualità stabile che ne qualifica l’essenza, ne definisce la dimensione<br />

fondamentale: “in/come immagine, in qualità di, nel ruolo di”. Si traduce anche: «Facciamo<br />

l’uomo, nostra immagine, nostra somiglianza, e domini...». Essere “immagine, somiglianza”<br />

di Dio comprende una possibilità di relazione con lui, di ascoltare e di rispondere a lui<br />

con libertà, di rifletterlo.<br />

Genesi 1,26s non spiega direttamente in che senso l’uomo sia immagine di Dio 9 .<br />

1) L’immagine consiste nel dominio. Il contesto immediato riassume in lui la benedizione,<br />

ossia la fecondità donata agli animali, e la «signoria» o regalità sul mondo (come il sole<br />

e la luna). In base al beth essentiae, possiamo dire che la signoria, espressa nei due verbi<br />

kabaš e radah, è conseguenza del suo essere immagine. Ne deriva il compito, la signoria<br />

o funzione regale sul mondo, che lo rende con-creatore con Dio, dominatore a<br />

sua immagine. Traduzione: «Facciamo l’uomo... sicché/affinché domini». L’uomo se-<br />

9 Cf B. DE GERARDON, «L’homme à l’image de Dieu», NRT 80 (1958) 683-695; F. FESTORAZZI, «L’uomo<br />

immagine di Dio (Gen 1,26-27 nel contesto totale della Bibbia)», Bibbia e Oriente 6 (1964) 105-118; O. LO-<br />

RETZ, Creazione e mito, Paideia, Brescia 1974 (pp.78-82.102-108); A. BONORA, «L’uomo “immagine di Dio”<br />

nell’AT», Communio 54 (1980) 4-6; T. LORENZIN, «L’uomo immagine di Dio», Parole di Vita 28 (5/1983)<br />

335-341.<br />

31


Pentateuco – Creazione<br />

gno/immagine (êelem) di Dio fin dalla creazione esercita come tale il suo dominio sulle<br />

creature affidate a lui.<br />

• Kābaš, «soggiogare, porre il piede su qualcosa», significa sottomettere, diventare<br />

sovrano, prendere possesso del proprio territorio.<br />

• Rādah, «dominare, calpestare», è utilizzato per il re (cf Sal 72,8), nel senso di rendere<br />

giustizia, quindi di «prendersi cura».<br />

L’uomo non è un tiranno, ma il portatore di una regalità che realizza il progetto divino<br />

sulla creazione: se ne prende cura, la difende e protegge. Immagine vivente del Creatore,<br />

è sua epifania, manifestazione della regalità divina sul mondo, suo rappresentante<br />

(cf Sal 8).<br />

Tuttavia, restano discussi tuttora, e particolarmente oggi, quali siano l’estensione e i<br />

limiti del potere e del potere creativo dell’uomo.<br />

2) Alla luce dell’intero capitolo, possiamo dire che l’uomo «parla» e comunica, dà il nome<br />

e qualifica la realtà, «agisce» e crea, sviluppa e moltiplica, «vede», cioè giudica, valuta,<br />

contempla (gli occhi sono la sede dell’estimativa) e... «riposa» a immagine di Dio.<br />

Sono gli atti con cui domina la realtà e mediante i quali si pone in relazione. Soprattutto<br />

può entrare in relazione con Dio, ritornare a lui e indirizzare a lui il mondo. In questo<br />

modo è segno di Dio.<br />

3) Altri testi sull’uomo «immagine di Dio» sono nel libro della Sapienza: richiama<br />

l’incorruttibilità e l’immortalità, mentre la morte, non solo fisica, è per quelli che le appartengono,<br />

che la scelgono (Sap 2,23-24); in Siracide indica la forza (Sir 17,1-5, nel<br />

contesto appare anche la libertà e capacità morale dell’uomo). Perciò in Salmo 8, che è<br />

meditazione su Genesi 1, l’uomo contemplando i cieli si interroga sulla propria realtà e<br />

scopre il suo compito “regale” di môšel/signore sul mondo.<br />

4) Nel NT è Cristo l’immagine perfetta di Dio (cf 2Cor 4,4-6; Eb 1,3). Il cristiano è chiamato<br />

ad essere immagine di Cristo: in koinonìa-comunione con Lui (1Cor 1,9); si trasforma<br />

a immagine del Figlio di Dio, con il battesimo e la vita (Rom 8,29); risorge a<br />

immagine di Cristo (1Cor 15,44-49); soltanto nella visione saremo immagini corrispondenti<br />

a Dio (1Gv 3,2).<br />

1,27-28: La coppia “immagine di Dio”<br />

• v.27. La frase, scandita in tre parti, passa dal singolare al plurale: «creò l’uomo, creò<br />

lui, creò loro». L’umanità è una, ma diversificata sessualmente in maschio e femmina».<br />

Appare l’uguaglianza e la parità nella coppia, la bontà della diversità sessuale: è opera e<br />

dono del Creatore; rientra nell’ordine della “separazione” e distinzione presente in tutta<br />

la narrazione.<br />

• Non il maschio, ma la coppia è immagine di Dio. Un’osservazione stilistica - il parallelismo<br />

chiasmatico e progressivo – conferma la tesi.<br />

(a) E creò Dio l’umano/umanità (b) come sua IMMAGINE,<br />

(b’) come IMMAGINE (a’) di Dio LO creò,<br />

maschio e femmina LI creò.<br />

Nel primo e secondo stico vi è un parallelo in forma di chiasmo formato su “creare e<br />

immagine”, il terzo contiene un parallelismo progressivo dove “immagine” corrisponde<br />

a “maschio e femmina”: la coppia è immagine di Dio. La pienezza dell’umanità si realizza<br />

nella relazione: all’interno della coppia e con Dio nell’atteggiamento dialogico<br />

e nella reciprocità, nella forza creativa e nella comunione – Avendo come punto di<br />

partenza la realtà di Dio. Ciò non significa rappresentare Dio in forma sessuata, ma affermare<br />

che l’umanità nella sua capacità relazionale, espressa nella bipolarità sessuale,<br />

32


Pentateuco – Creazione<br />

mette in atto l’immagine di Dio. La fecondità e le relazioni umane, espresse nella corporeità,<br />

diventano simbolo dell’amore di Dio. Da questo linguaggio traggono fonte e<br />

forza le metafore dell’alleanza presso i profeti e nel Cantico dei Cantici.<br />

• La fecondità (v.28) è frutto della benedizione divina e della relazione nella coppia.<br />

L’umanità partecipa anche in questo modo all’opera divina creatrice. I tre verbi fruttificare<br />

o essere fecondi (pārāh), moltiplicarsi (rābāh) e riempire-essere pieni (mālē’) sono<br />

in ebraico verbi stativi, indicano una qualità fornita dalla benedizione. Viene con ciò<br />

demitizzata la forza generativa esaltata nelle forme dello hieros gamos, il “matrimonio<br />

sacro” con la divinità nei culti di fecondità celebrati in Canaan e collegati con la prostituzione<br />

sacra (cf Gen 38; Os 1-3; Ger 3,1ss; Prov 7,14ss).<br />

La benedizione, anticipata sugli animali coinquilini dell’uomo sulla terra, sarà rinnovata<br />

dopo il diluvio (Gen 9,1). Benedicendo l’uomo, implicitamente Dio estende la<br />

benedizione a quanti condividono lo stesso spazio; parteciperanno anche al medesimo<br />

cibo.<br />

1,29-30. Il banchetto comune: «Ecco io do a voi... come cibo e a ogni vivente... ».<br />

• È formula giuridica con cui Dio si impegna in una specie di transazione agli uomini<br />

perché siano esecutori fedeli della sua volontà. La terra continuerà a produrre il cibo<br />

necessario per ogni “essere vivente” (nefeš hayah) e la vegetazione sarà ripartita tra gli<br />

uomini e gli animali che partecipano alla stessa mensa in una convivialità pacifica. La<br />

creazione, tutta vegetariana, vive in pace (cf Is 11,6-9). Dopo il peccato il rapporto tra<br />

uomo e animali sarà violento e negli animali prevarrà il terrore dell’uomo (Gen 9,2; ma<br />

già in 3,21 qualche animale ci “rimette la pelle”).<br />

1,31. Era «molto buono»<br />

• È la perfezione, in forza dell’ordine, per l’armonia dell’insieme e per la creazione<br />

dell’uomo “come immagine e secondo somiglianza”. Il mondo è l’opera d’arte, il capolavoro<br />

di Dio (cf Prov 8,30-31).<br />

• Altri testi diranno che è creato “con sapienza”, cioè abilità e maestria (cf ad es. Sir 1,9).<br />

Il mondo porta in sé il riflesso della sapienza divina. Contiene perciò un messaggio che<br />

ha autorità, una rivelazione di Dio che l’uomo non può ignorare ma deve accogliere con<br />

obbedienza come alla “parola di Dio” (Prov 1,20-33; 8,22-36): è la rivelazione “naturale”<br />

o, meglio, mediante la “creazione”. Infatti, i “cieli narrano la gloria di Dio” (Sal 19);<br />

quando l’uomo contempla il cosmo esso pone domande all’uomo e sull’uomo (Sal 8).<br />

2,1-4a: IL SETTIMO GIORNO (tempo) – culmine dell’attività divina<br />

• Dio porta a compimento, rende perfetta, la creazione: «il cielo e la terra e tutte le loro<br />

schiere» (2,1, richiama 1,1 e 2,4a). Il punto ultimo non è il sesto giorno, nonostante il<br />

superlativo “molto buono”. Non il lavoro, ma il riposo e la contemplazione portano a<br />

compimento l’opera di Dio, perché riceve significato e valore.<br />

• Il settimo giorno Dio «cessò» (šabat) dal lavoro. È il silenzio di Dio: non dice nulla e<br />

non fa nulla, solo contempla.<br />

Il sabato non è direttamente nominato (sarà dato come segno al Sinai), ma è riflesso<br />

nel verbo. Fin dalla creazione l’uomo ha in Dio un modello per il suo «riposo», atto essenzialmente<br />

religioso, con motivazione teologica (cf Es 20,8-11); Dt 5,12-15 accentua<br />

la dimensione antropologica, la liberazione dalla schiavitù. L’uomo, immagine di Dio,<br />

misura il ritmo del suo lavoro e del riposo sull’attività e riposo di Dio, e sarà un segno<br />

della sua libertà, in quanto non costretto a lavorare come gli schiavi.<br />

33


Pentateuco – Creazione<br />

Ben più che un riposo per recuperare le forze, il sabato diventa il giorno in cui, a somiglianza<br />

di Dio, l’uomo contempla e porta a perfezione l’opera delle proprie mani, ne<br />

indica il valore e impedisce che gli sfugga di mano. Riflette sul significato del proprio<br />

lavoro come partecipazione e obbedienza all’opera di Dio Creatore e pensa alla propria<br />

dignità di fronte alla grandezza divina e alla grandezza della sua opera. Perciò, il giorno<br />

sabato evita all’uomo il pericolo di scambiare il prodotto delle sue mani con il Creatore<br />

e Dio a cui solo deve sottomettersi. L’homo faber completa l’attività, ottiene la piena<br />

fecondità della sua opera, quando realizza la sua dimensione di uomo religioso e contemplativo<br />

(cf Gb 28). È anche il giorno della gratuità e del dono, il giorno della festa<br />

dalla fatica, che anticipa il Regno in cui non ci saranno più bisogni, né occorrerà fatica<br />

per soddisfarli.<br />

• È giorno benedetto: sarà fonte di benedizione, apportatore di fecondità e prosperità. Il<br />

riposo di Dio, l’ultimo suo modo di operare, produce fecondità; rende fecondo anche il<br />

riposo dell’uomo (cf Sal 127,2; cf Sal 128 e 90,17).<br />

• È giorno consacrato: Dio lo riserva a sé e l’uomo lo deve riservare a Dio. Il sabato è<br />

separato dagli altri giorni, come «decima» del tempo, per indicare che tutto il tempo è di<br />

Dio e proclamare che Dio solo è il Creatore del mondo e il Signore del tempo, uomo e<br />

cosmo sono sue creature. In tal modo, per opera dell’uomo, tutto il cosmo ritorna a Dio<br />

suo Creatore. In Lui la diversità e pluralità della creazione ritrova unità: da Dio è creata,<br />

a Lui ritorna. La casa preparata da Dio per l’uomo diventa «casa di Dio», il «santuario»<br />

grande e perfetto orientato secondo il suo volere. Mediante il sabato Dio si avvicina<br />

all’uomo e l’uomo si avvicina a Dio.<br />

Benedicendo e santificando il giorno di sabato, Dio si fa presente e viene ad abitare<br />

nel tempo, oltre che nello spazio: la tradizione ebraica gioca sulla assonanza tra šabbat/cessare<br />

e šebet/abitare. Il tema del santuario non è estraneo a questo capitolo. Infatti,<br />

ci sono dei legami tra Gen 1,1-2,3 con i capitoli finali del libro dell’Esodo che tratta<br />

della costruzione del santuario: Es 35,1-3 parla della settimana e del riposo nel settimo<br />

giorno; in Gen 2,2 Dio finì nel settimo giorno l’opera / in Es 44,33 Mosè finì l’opera.<br />

Dal santuario cosmico, la grande «casa» che ha come tetto il raqia‘, si scende al santuario<br />

terreno segno della presenza divina in mezzo a un popolo che, liberato dalla schiavitù,<br />

«servirà» il suo Signore con il riposo sabbatico.<br />

• Manca l’alternanza sera-mattina: è giorno senza tramonto, sabato eterno, immagine e<br />

anticipazione dell’ incontro con Dio e del «riposo eterno» con Lui; anticipa il regno in<br />

cui non ci saranno più bisogni, né occorrerà fatica per soddisfarli.<br />

In conclusione. 1 – Il sabato è la chiave, rivelata da Dio sin dalla creazione, per l’interpretazione<br />

religiosa del tempo e per inculcare l’istanza di un incontro regolare con Dio. 2 –<br />

Strettamente complementare ai giorni lavorativi, ha anche una dimensione sociale umanitaria:<br />

è fatto per far riposare tutti, anche i subalterni (Es 23,12; Dt 5,14 e Es 20,10). 3 – Assume<br />

una ulteriore dimensione sociale che possiamo definire profetica e sacramentale, nel<br />

senso che raffigura una società ideale nella quale ognuno ha il necessario per vivere, in<br />

modo che tutti possano avere a sufficienza il vitto corrispondente ai bisogni e ai diritti,<br />

senza considerazioni per qualità, valore, abilità o privilegi di singoli individui nell’accaparrarselo.<br />

10 Vi è il criterio dell’anno sabbatico, ideale che sarà adombrato nell’episodio<br />

della manna (Es 16): non si può ammassare cibo oltre la quantità necessaria, altrimenti<br />

marcisce; però per il sabato è permessa la raccolta di una doppia razione che si conserva;<br />

10 Cf E. CORTESE, «Su Levitico 25, trent’anni dopo», LASBF 49 (1999) 39-40.<br />

34


Pentateuco – Creazione<br />

chi la cerca di sabato non la trova (16,27). Gli Atti degli Apostoli lo vedranno realizzato<br />

nella primitiva comunità cristiana (At 2,42-47; 4,32-37).<br />

2,4a: «Queste le origini (tôl e dôt) del cielo e della terra, quando Dio li creò (= BHS b e borhām<br />

’elōhîm; TM b e hibbor’ām, nel loro essere create, “quando furono create”)».<br />

La frase conclusiva richiama il titolo iniziale di 1,1. Definisce come “origini” (tôl e dôt)<br />

tutto il racconto e apre alle altre “generazioni” che costellano il libro di Genesi. Ritornano<br />

spazio (“cielo-terra”) e tempo (verbo finale) in forma inversa rispetto al primo verso del<br />

racconto (tempo = “in principio”; spazio = “cielo e terra”).<br />

Conclusioni generali<br />

1 – La prima pagina della Bibbia professa la sua fede in Dio Creatore: in lui è il “principio”<br />

di tutto! Presenta l’attività divina a immagine di quella umana. Risalta anche la differenza:<br />

quella di Dio è azione sovrana, con opere cosmiche, lavoro perfetto (tutto è «buono» – tôv –<br />

«molto buono»). Come immagine di Dio, l’uomo è chiamato a svolgere la sua attività regale<br />

nel mondo: se ne prende cura, lo fa crescere e lo protegge. Resta la domanda sui limiti e<br />

l’ampiezza di tale potere.<br />

2 – Fin dal primo capitolo la Bibbia ci offre una visione religiosa dell'uomo. Ne parla a partire<br />

da Dio: nella sua dimensione essenziale è “immagine di Dio”. Con tale dichiarazione,<br />

sin dalll’inizio, l’Antico Testamento ci offre la chiave del linguaggio teologico posteriore:<br />

sarà un parlare di Dio in termini umani, a immagine dell’uomo. È legittimo, perché l’uomo<br />

è creato a immagine di Dio. Il suo valore consiste nella sua relazione e legame con il Creatore<br />

e con ciò che è stato creato (cielo e terra), nel contemplarlo e nel prendersene cura.<br />

3 – Emerge il tempo, il calendario, elemento originario, importante per il culto: occorre indicare<br />

con esattezza le scadenze delle feste (ebr. mô‘adîm), i ritmi dei mesi e degli anni. Risulta<br />

decisivo l’elemento temporale. Lo schema è artificiale, ma il significato è suggestivo:<br />

il tempo è successione, storia; nel tempo penetra l’azione divina che sancisce la sacralità del<br />

riposo; nel tempo la creazione continua mediante l’opera salvifica: è storia della salvezza.<br />

Il sabato diventa così il «sacramento del tempo». Non solo del presente, ma anche del<br />

futuro: nel sabato, senza sera e mattina, il tempo è proiettato verso l’eternità. I cristiani parleranno<br />

di “ottavo giorno”, il giorno della nuova creazione e giorno escatologico nel quale<br />

Dio realizzerà pienamente la sua creazione.<br />

4 – Il senso ultimo del creare è raggiunto nel settimo giorno, giorno «consacrato», in cui<br />

Dio cessa di lavorare e contempla la sua opera. A immagine di Dio, anche l’uomo cessa la<br />

sua attività manuale, per offrire a Lui le sue opere e per celebrarlo, da uomo libero, come<br />

«Creatore». In tal modo, il cosmo diventa il grande santuario dove è celebrato il “servizio<br />

cultuale” nell’attività e nel riposo, nella creatività e nella contemplazione. Dio benedirà<br />

l’opera dell’uomo, rendendola feconda e consolidandola.<br />

35


Pentateuco – Creazione<br />

2. Genesi 2,4b-3,24 – creazione paradiso peccato<br />

L’Eden e lo schema di esodo e alleanza<br />

Possiamo subito constatare la diversità di linguaggio, stile e contenuto rispetto al primo capitolo.<br />

Il “Signore Dio” (nuovo nome) crea prima l’uomo, poi la donna. L’universo è un deserto,<br />

una steppa, perché non è ancora piovuto e l’acqua che sale dallo ’ed non è usata o incanalata.<br />

Allora Dio forma il primo essere umano e pianta un giardino, crea un’oasi nel deserto.<br />

L’immagine della creazione sembra riflettere la situazione climatica e geografica della<br />

Palestina.<br />

Problematiche diverse stanno alla base del racconto. Due alberi si distinguono al centro<br />

del giardino e accanto al “bene” si affaccia la questione del male: se tutto è buono sin dal<br />

principio, come si spiega il male o la seduzione al male? Non è bene e male la divisione radicale<br />

che l’uomo sperimenta, tanto che molte religioni hanno individuato due principi del<br />

bene e del male? È la domanda centrale attorno alla quale ruotano le altre. La morte è il male<br />

definitivo e il dolore il suo anticipo; la terra, fatta per produrre, dà solo spine e cardi; il<br />

lavoro è faticoso e la fecondità dolorosa. Perché questa esperienza universale? Avvertiamo<br />

gli interrogativi della sapienza che ricerca il senso della vita e, in particolare, riflette sul<br />

senso del bene e del male. Gli studiosi individuano anche un tono profetico, perché il racconto<br />

intende creare la coscienza della responsabilità delle scelte (schema di alleanza), e<br />

kerigmatico, perché annuncia la speranza fondata sulla certezza che Dio non abbandona.<br />

La risposta ai quesiti è trovata dall’autore risalendo alle origini dell’umanità e traducendola<br />

in un racconto storico simbolico e paradigmatico di un fatto storico, che rivela una frattura,<br />

la disobbedienza a Dio, il suo rifiuto.<br />

a) Tale frattura è un fatto (non una pura proiezione mitica) che spiega la situazione attuale.<br />

È un fatto fondante che inaugura la situazione generale. Si tratta di un atto umano responsabile<br />

che contiene la responsabilità radicale di rispondere a Dio e davanti a Dio.<br />

b) Come avvenne nei dettagli quella ribellione? Come era la situazione precedente?<br />

L’autore non lo sa. Se la scoperta della risposta proviene dalla luce di Dio, i particolari<br />

sono elaborati in un racconto, in forma a un tempo intelligibile e simbolicamente velata.<br />

c) Il racconto è costruito su due tipi di dati che danno la struttura narrativa.<br />

• Dati di origine mitica, conosciuti in altre religioni e culture affini: paradiso, albero della<br />

scienza e della vita, serpente come potere ostile... Tali dati vengono però rielaborati<br />

e inseriti in un nuovo contesto, senza politeismo, battaglie di dei (teomachie), doppi<br />

principi divini.<br />

• Le tradizioni orali dell’autore e del suo popolo, che riflettono l’esperienza storica del<br />

peccato, del suo sviluppo e delle sue conseguenze, soprattutto attingendo all’esodo e<br />

all’alleanza 11 .<br />

d) I dati sono tradotti in una scena o dramma narrativo: il primo peccato è descritto a immagine<br />

e struttura di ogni peccato. Perciò, nell’«allora» della creazione (2,7) e del peccato<br />

(«allora si aprirono i loro occhi», 3,7) non è tanto il racconto di un fatto passato<br />

quanto la descrizione di una conflittualità permanente, di una umanità che da sempre è<br />

messa di fronte alla scelta tra l’accoglienza di Dio e del suo progetto o il suo rifiuto. È la<br />

storia dell’umanità che si ripete, per cui si potrebbe dire che l’uomo non è mai «decaduto»<br />

perché non è mai «entrato» nella prospettiva del progetto di Dio, e la conflittualità<br />

11 Cf L. ALONSO SCHÖKEL, Motivos sapienciales y de alianza en Gen 2-3,Bib 43 (1962) 295-316.<br />

36


Pentateuco – Creazione<br />

della storia umana si spiega con le scelte concrete fatte «da sempre» contro Dio da ogni<br />

uomo e dall’umanità intera 12 .<br />

STRUTTURA<br />

I due capitoli costituiscono un racconto unitario la cui struttura corrisponde allo schema di<br />

esodo e alleanza. Teniamo presente anzitutto questa struttura teologica, anche se letterariamente<br />

vi sono altri elementi di strutturazione. A) 2,4a-15.18-25: iniziativa divina = creazione<br />

a immagine della liberazione (2,4a-15). È il dono, a cui va unita la creazione della<br />

donna (2,18-25): nelle singole parti sette verbi che designano l’azione divina. B) 2,16-17:<br />

esigenze divine legate al dono (il momento b si inserisce in a) = legge. C) 3,1-7: ribellione<br />

umana sotto forma di disobbedienza = tentazione e peccato. D) 3,8-24: castigo limitato =<br />

la storia continua e rivela l’attenzione di Dio.<br />

La creazione è descritta con il movimento della liberazione o salvezza dell’Esodo –<br />

«trarre da - condurre a» – sintetizzato nel v.15: «Il Signore Dio “prese” (lāqaḥ) l’uomo e<br />

lo “pose/fece riposare” (nû a ḥ, causativo o hifil) nel giardino di Eden» che egli stesso ha<br />

piantato per collocarvi l’uomo (v.8). Similmente, la donna è tratta (lāqaḥ) dall’uomo per essere<br />

condotta (bô’) a lui. La creazione è atto di salvezza, sul modello della liberazione<br />

dall’Egitto, donde Dio aveva tratto-liberato il suo popolo per farlo riposare nella terra. Tra i<br />

doni, con gli alimenti, il dominio sugli animali, la compagnia della donna, è parte integrante<br />

la legge.<br />

Letterariamente si distinguono le seguenti cinque scene 13 :<br />

A) 2,4b-17: creazione dell’uomo (vv.4b-7) e giardino piantato (vv.8-15) = due azioni con<br />

l’uomo al centro; segue la legge (vv.16-17).<br />

• La legge serve da conclusione (“e prese – e ordinò” = schema della legge collegato alla salvezza, a complemento<br />

del v.15: coltivare-custodire) e apertura (“e ordinò - e disse” mette in moto la narrazione del c.3 e<br />

la condanna: “poiché hai mangiato... mangerai” [3,19] // 2,16-17 “finché ritornerai alla terra” // 2,7).<br />

B) 2,18-25: la “costruzione” della donna (la coppia) è la seconda opera di creazione articolata<br />

in due scene (vv.19-20.21-23); la conclusione dà ragione della premessa (vv.24-25).<br />

• Il discorso divino (2,18) mette in moto la prima azione: creazione degli animali, che si conclude con il giudizio<br />

umano – negativo (2,19-20);<br />

• La seconda azione (vv.21-23), la costruzione della donna, si conclude pure con il discorso-giudizio<br />

dell’uomo – positivo (alla parola di Dio, v.18, risponde la parola umana, v.23).<br />

• I vv.24-25 servono di conclusione (“perciò”) e di apertura (la “nudità”, cf 3,8).<br />

12 La struttura (cf nota seguente) articolata in cinque parti, coglie l’andamento dialettico del racconto e pone al<br />

centro la tentazione (Gen 3,1-7): sottolinea la conflittualità permanente tra l’amore di Dio e il rifiuto da parte<br />

dell’uomo. Il testo non descrive dei fatti passati secondo una lettura cronologica: ciò che è capitato prima (c.2) e<br />

ciò che è avvenuto dopo (c.3). Si tratta di una conflittualità perenne e di una decisione che avviene sempre. Il<br />

«peccato originale», è da intendere, anzitutto, come peccato «fin dalle origini». La teologia del peccato originale<br />

odierna nasce dalla riflessione sulla «grazia e la salvezza» operate da Cristo (cf Rom 5), molto più grande del<br />

peccato del «primo Adamo»; si stabilizza con le riflessioni di S. Agostino. Ma non va immediatamente riflessa in<br />

Gen 3: si tratta infatti di una rilettura, a posteriori, di quel testo che, nella tradizione anche giudaica, ha avuto<br />

diverse interpretazioni (cf Sapienza e Siracide: la vita e la morte sono il frutto della libertà umana Sir 15,14-17,<br />

ma in sé la morte è anzitutto un fatto naturale, cf Sir 16,30-17,2; per Sap 1,13; 2,24 la vera morte è la separazione<br />

da Dio). Per una riformulazione teologica sull’argomento, cf A.-M. DUBARLE, Il peccato originale. Prospettive<br />

teologiche, EDB, Bologna 1984; R. BATTOCCHIO, «La questione del peccato originale», in G. CREMONINI – P.<br />

TREVISI (cur.), X Settimana Biblica della diocesi di Padova: Genesi 1-11, Gregoriana Libreria Editrice, Padova<br />

2004, pp.70-81 (cf qui in appendice).<br />

13 Cf la struttura concentrica in G. CAPPELLETTO, In cammino con Israele, cit.; e IDEM, Genesi capitoli 1-11,<br />

cit.: A (1,4b-17); B (2,18-25); C (3,1-7); B’ (3,8-21); A’ (3,22-24).<br />

37


Pentateuco – Creazione<br />

C) 3,1-8 tentazione e peccato. Il narratore introduce una nuova scena, con un nuovo attore<br />

(v.1a), che segna il passaggio da una situazione a un’altra (peripezia).<br />

• I due attori umani (nudi) si pongono a confronto con un terzo, il serpente: discorso (vv.1b-5) – azione (v.6:<br />

vide, prese, mangiò / diede, mangiò).<br />

• I vv.7-8 chiudono la scena (= effetto: si aprirono gli occhi-conobbero-fecero-udirono-si nascosero // 2,24 e<br />

3,1 ‘arûm / ‘erûmîm) e aprono la seguente (l’andamento del racconto è simile a 2,16-17 e 24-25).<br />

D) 3,9-21 processo e condanna, con due scene e una coda: processo/dialogo (vv.9-13) e castigo<br />

limitato (14-19); la storia continua: l’uomo chiamò/Dio fece (vv.20-21).<br />

• La coppia unita (= B) si disunisce con accuse vicendevoli e nel tentativo di dominio.<br />

• Dio “chiama” l’uomo (v.9) – l’uomo “chiama” la donna (v.20); alla voce dell’uomo, che nel nome fa riferimento<br />

alla fecondità, risponde l’azione di Dio con la protezione (vv.20-21). È un primo abbozzo del tema<br />

profetico del “resto”.<br />

E) 3,22-24 esecuzione del giudizio: cacciata dal giardino/negato l’accesso all’albero della<br />

vita.<br />

• Ritornano gli elementi del giardino con il processo contrario alla creazione.<br />

ESEGESI<br />

A) 2,4a-15: L’<strong>INIZI</strong>ATIVA DIVINA - CREAZIONE DELL’UOMO<br />

vv.4a-7. Dal negativo al positivo. L’inizio del racconto richiama nello stile gli “inni di azione”<br />

sumerici di origine della cultura, come nel poema Enuma-elis (“quando in alto”).<br />

«Quando in alto il cielo non era nominato<br />

e in basso la terraferma non aveva ricevuto nome,<br />

Apsu, l’iniziale, li (= gli dei) generò,<br />

la causale Tiamat li partorì tutti;<br />

le loro acque si mescolavano,<br />

nessuna dimora divina era stata costruita, nessun canneto era identificabile.<br />

Quando nessuno degli dei era apparso<br />

né aveva ricevuto un nome, né era provvisto di destino,<br />

gli dei furono allora creati in seno ad essi (= Apsu e Tiamat)».<br />

L’azione creatrice di Dio è descritta sul modello dell’artigiano, il vasaio (yãîÉr); Dio appare<br />

anche come contadino che “pianta” il giardino; per la creazione della donna il verbo<br />

banah, «costruire», richiama il muratore.<br />

La terra è posta in mezzo all’acqua, ma senza vegetazione. È deserto, assenza di vita. Il<br />

motivo è duplice, assenza della pioggia e dell’attività umana: l’acqua è inutilizzata (’ed è<br />

polla d’acqua o nebbia? l’immagine sembra alludere all’oceano primordiale su cui la terra<br />

galleggia). Per porre rimedio a questa assenza, il Signore Dio crea per primo l’uomo (v.7),<br />

poi il giardino, dove lo pone con il compito di “coltivarlo e custodirlo”.<br />

v.7. Creazione dell’uomo<br />

wayyîcer yhwh(´ädönäy) ´élöhîm ´et-hä|´ädäm `äpär min-h亴ádämâ<br />

wayyiPPaH Bü´aPPäyw nišmat Hayyîm wa|yühî hä|´ädäm lüneºpeš Hayyâ<br />

hm'êd"a]h'ä-!mi ‘rp'[' ~d" ªa'h'(-ta, ~yhiøl{a/<br />

hw" ’hy> •rc,yYIw:<br />

`hY")x; vp,n


Pentateuco – Creazione<br />

• Ma riceve anche l’«alito di vita» (nišmat ÍayyÔm) dall’alto, il principio vitale, il respiro<br />

di Dio. Il risultato è un «essere vivente» (nepeš ÐayyÂh), anelito, istinto di vita.<br />

Secondo Qohelet, la morte sarà la divisione dei due elementi:<br />

«E torni la polvere alla terra qual era una volta,<br />

e lo spirito ritorni a Dio che l’ha dato» (Qo 12,7, cf Gb 34,14-15; Sir 40,11).<br />

Paolo considera il cristiano costituito da una triplice realtà o dimensione: «tutto quello<br />

che è vostro, lo spirito, l’anima e il corpo» (τ πνµ κ ψχ κ τ σµ, 1Ts<br />

5,23): un nuovo “respiro”, il “Pneuma/Spirito” di Dio, abita in lui.<br />

vv.8-15. Il giardino di Eden<br />

Dio, come un contadino o un giardiniere, pianta e fa germogliare. La cornice del racconto è<br />

nei vv. 8 e 15. «Il Signore piantò un giardino in/di Eden, a oriente, e vi pose (śam) l’uomo»<br />

(v.8). La conclusione riprende e sviluppa il tema: Il Signore Dio «prese l’uomo dalla terra e<br />

lo pose nel giardino» (v.15). È lo schema dell’esodo ossia della liberazione di Israele con il<br />

dono della terra. La cacciata dal giardino riporterà ’adam alla terra-’adamāh donde era stato<br />

tratto: dovrà lavorare la terra fuori del giardino e ritornerà alla terra donde era venuto. Così<br />

Dio “pianta” in modo stabile il suo popolo nella terra: non sarà gher, “straniero, ospite”, ma<br />

“residente” stabile (cf 2Sam 7 e Am 9,14-15). Anche la sapienza vi pone radici, dopo il<br />

lungo esodo cosmico, e trasforma la terra in un “paradiso”, cf Sir 24,12ss). L’esperienza<br />

opposta sarà l’esilio.<br />

• Il giardino (v.8): gan be’eden: Eden appare qui una denominazione geografica; Girolamo<br />

traduce paradisum voluptatis (’adan). Per Ezechiele è il giardino di Dio (28,13 e<br />

31,8-9); Isaia oppone il giardino di JHWH al deserto della steppa (51,3). L’elenco delle<br />

pietre preziose è frequente in ambito sapienziale. Le immagini esprimono ricchezza,<br />

fertilità e abbondanza (i fiumi); serviranno a rappresentare i tempi escatologici.<br />

• L’albero (v.9). L’albero in mezzo al giardino si sdoppia in albero della vita, simbolo di<br />

immortalità 14 , e in albero della conoscenza del bene e del male, ossia del discernimento<br />

di ciò che conduce alla felicità o infelicità. In Gen 3,6 è giudicato «prezioso per ottenere<br />

saggezza (l e haçkil)». L’albero riflette l’indagine sapienziale sulla ricerca della felicità<br />

(bene e male)<br />

Tale conoscenza era oggetto di riflessione da parte dei saggi egiziani ed era presente<br />

anche nella pietà popolare (preghiera), ma non se ne era mai fatto un albero giustapposto<br />

a quello della vita. Siracide vi allude quando tratta della libertà: «Bene e male, morte<br />

e vita sono posti davanti all’uomo, gli sarà dato ciò a cui tende la mano» (Sir 15,14-<br />

17).<br />

• I fiumi (vv.11-14). Pison (rad. pis) significa “aver origine”; hawila (rad. hwil) è “terrà<br />

dell’oro”. Gihon, “sorgente”, è il nome della fonte di Gerusalemme. Tigri ed Eufrate<br />

(perat, ba-ra-du, “acque fredde”) sono i due fiumi della Mesopotamia. Le interpretazioni:<br />

a) geografico-mesopotamica (Pohl) = Shamarra, a ovest di Bagdad con la lavorazione<br />

dell’oro; Terra di Kus, cf Kussu (Nuzi), kossaios in greco: i Cassiti in Mesopotamia<br />

= fiume Araxes; b) letterale scritturistica = Gen 10,6-7: Kus equivale all’Etiopia,<br />

Havilat è in sud Arabia, terra dei Sabei; c) simbolica = i quattro fiumi dell’antichità per<br />

indicare la massima fertilità.<br />

• Al v.15 quattro verbi sintetizzano il dono e il compito. Prese-collocò richiamano la liberazione<br />

dall’Egitto; coltivare-custodire rappresentano il compito verso la terra che<br />

era deserta (azione creativa) e la responsabilità del giardino; connotano l’esortazione ad<br />

14 Cf Gen 3,22; in Prov 3,18 «albero di vita» è la sapienza, a indicare vita lunga e feconda, cf Is 65,22 soprattutto<br />

LXX; Ez 47,12 e Ap 2,7; 22,2.14 connotano l’albero come terapeutico.<br />

39


Pentateuco – Creazione<br />

osservare la legge (per questo Dio dona la terra a Israele secondo Dt) e ad attuare il culto<br />

autentico (‘abad, «coltivare» è anche «servire» in senso liturgico, ‘abôdah è il culto).<br />

È anticipazione dei vv.16-17 che riflettono la fedeltà all’alleanza. Il lavoro appare elemento<br />

integrante dell’attività umana.<br />

vv.16-17. Le esigenze divine – il dono della legge. Anticipa Gen 3: il comando sarà disatteso<br />

dalla trasgressione.<br />

• Genere letterario. La terminologia richiama le formule delle leggi nei codici: «puoi<br />

mangiare... non mangiare... certamente moriresti». In caso di trasgressione, si è passibili<br />

di morte.<br />

• Il comando mette in primo piano il dono, poi il pericolo di abuso: se la sapienza umana<br />

rivendica l’autonomia morale, prescindendo da Dio nel discernimento, e rinnega la<br />

condizione di creatura, la sua presunzione la avvia alla morte. È in gioco la libertà:<br />

l’uomo può scegliere tra il bene e il male, la vita e la morte. Con ciò realizza la sua persona,<br />

ma può anche perderla (cf Sir 15,14-17, che riprende l’immagine dell’albero:<br />

«Radice di ogni mutamento è il cuore, da cui derivano quattro scelte (o rami): bene e<br />

male, vita e morte» (37,17-18).<br />

B) 2,18-25: CREAZIONE DELLA COPPIA<br />

Il racconto apre con una riflessione di Dio sulla «solitudine» dell’uomo, privo di una relazione<br />

«corrispondente» (v.18a). Diversamente da Gen 1 ora Dio constata un “non è bene”.<br />

Concepisce perciò un progetto che mette in moto un nuovo intervento creatore, la “costruzione”<br />

della donna (v.18b). La tensione narrativa si conclude al v.24 con la motivazione<br />

(“perciò”, ‘al ken).<br />

La creazione avviene in due tempi o scene: la “formazione” degli animali (vv.19-20) con<br />

risultato negativo, e la “costruzione” della donna (vv.21-23) con risultato positivo: una relazione<br />

adeguata. L’unità della coppia conclude (v.24), mentre la nudità (v.25) riapre la narrazione.<br />

v.18a. «Non è bene che l’uomo sia solo»<br />

La solitudine costituisce un pericolo mortale: la privazione di compagnia è mancanza di<br />

aiuto. L’uomo ha bisogno di altri per completarsi (cf Qo 4,9-12). La “coppia” rivela la vocazione<br />

umana alla relazione: è superamento della solitudine, segno che manifesta la relazione<br />

come esigenza e bene fondamentale. Perciò il Creatore viene alla decisione:<br />

«Voglio fare un ‘ezer, aiuto/alleato, k e negdô, di fronte a lui, cioè corrispondente, alla<br />

sua altezza» (= k e + neged + suff 3a pers. sing.).<br />

• Prima versione Cei, “un aiuto che gli sia simile”, con la Vulgata: faciamus ei adiutorium simile<br />

sibi. Zorell: “adiutorium sicut oportebat (ke) iuxta eum = ei conveniens (fere ‘égal vis-à-vis de<br />

lui’); Koehler-Baumgartner: “das Gegenüber, das Gegenbild”; Gunkel: “ihm entsprechend, sein<br />

Gegenstück” (cf Vriezen e Koehler-Baumgartner), Speiser: “corresponding to him” (= Nuova<br />

Cei, “che gli corrisponda”). La donna è “controparte” dell’uomo.<br />

• “Un potere a lui eguale”: da ‘zr I, “riscattare, salvare, aiutare” e gzr II, “essere forte” (cf Dt 33,26-<br />

29 e il nome Azaria/Uzziah). Tuttavia keneged è hapax, presente solo nell’ebraico mishnico per<br />

indicare “eguale”, un significato quindi tardivo.<br />

• Suggerisco ki intensivo: “veramente a lui di fronte” (neged), cioè aiuto “veramente adeguato, corrispondente,<br />

alla sua altezza”. La donna è la vera controparte dell’uomo, come il contesto evidenzia<br />

(vv.22-23, cf anche il possessivo in v.24 e in 3,6 “il suo uomo con lei”).<br />

40


Pentateuco – Creazione<br />

L’espressione sottolinea parità, alterità e reciprocità, ma anche confronto, alleanza e dialogo<br />

(cf vv.23-24). «All’aiuto reciproco appartiene la vicendevole comprensione in parola e<br />

risposta, come anche nel tacere e nella vita costruita insieme» (C. Westermann) 15 .<br />

Neged allude a una rivelazione? La radice nāgad significa coram posuit, “porre davanti”<br />

donde “mostrare, insegnare, annunziare (ostendit, docuit, annuntiavit, Zorell). Potrebbe far<br />

eco a Genesi 3,11: «Chi ti ha rivelato-narrato [higgîd forma hifil da nāgad] che sei nudo?».<br />

La prima risposta di Adamo riguarda la donna: essa gli rivela la sua identità positiva (2,23)<br />

e negativa (3,11), mette a nudo il bene e il male. Risponde al tema della conoscenza.<br />

vv.19-20. Dopo la creazione degli animali, l’uomo impone il nome. In tal modo esercita un<br />

dominio, percepisce di essere loro «signore» e rivela anche la loro identità. Nel contempo si<br />

accorge che non sono ‘ezer k e negdô (v.20) e li distingue dalla donna, non più confusa con le<br />

cose o gli animali di cui è padrone, secondo la mentalità comune (Es 20,17 collega la donna<br />

alla “dote”).<br />

“Dare il nome”<br />

• Significa dominio, anche intellettuale, per il fatto che ne individua la natura. «È un atto<br />

dell’ attività ordinatrice, con cui ci si impadronisce spiritualmente delle creature» (Von<br />

Rad) 16 .<br />

• Significa completamento: l’oggetto entra in relazione con l’uomo, la denominazione<br />

crea il mondo dell’uomo. Prima le realtà sono anonime. È atto sapienziale, non magico.<br />

• Manifesta l’autonomia dell’uomo in un preciso ambito. Egli non può modificare gli oggetti,<br />

li deve accogliere per quello che sono. Ma inserisce una possibilità: «Dà il nome<br />

agli animali e in questo nome la determinazione, che essi perciò conservano per lui»<br />

(Westermann) 17 .<br />

vv.21-23. Creazione della donna (in due momenti) e sua relazione con l’uomo<br />

• Prima, Dio fa scendere sull’uomo un «torpore» (ebr. tardemah), situazione connessa<br />

con un’azione straordinaria e una rivelazione (cf Gen 15,12; 1 Sam 26,12; Gb 4,12-16 e<br />

33,15-16, dove il tardemah è collegato a una rivelazione divina). Avvolto dal mistero,<br />

l’uomo si appresta a ricevere un messaggio da Dio (il fatto è confermato da Gen 2,18 e<br />

3,11: neged-higgid, “narrare, rivelare”; LXX può aver interpretato il senso rivelatore<br />

traducendo con ἒκστασις). Due le particolarità del nostro caso, l’assenza di terrore e<br />

Dio stesso che conduce ad Adamo la donna e l’uomo la riconosce e indica il significato<br />

di rivelazione iniziando a parlare 18 .<br />

• Poi, toglie una «costola» (עלֵצ, ׇ indica un qualcosa di laterale, il «fianco») e «costruisce»<br />

(ה ׇנ ׇבּ) la donna 19 . Dio è «chirurgo» e «muratore» e il corpo della donna come un «edifi-<br />

15<br />

C. WESTERMANN, Genesis I/1, p.308.<br />

16<br />

G. VON RAD, Genesi, p.99s).<br />

17<br />

C. WESTERMANN, cit., ivi.<br />

18<br />

«La rivelazione decisiva nel senso della comunione nell’amore umano, manifestabile attraverso la bipolarità<br />

sessuale, avviene per Adamo-umanità nella cornice di un “sonno”» (G. RAVASI, Salmi, vol. I, p. 132). Diversamente,<br />

Gunkel equipara il tardemah al sonno magico delle novelle; altri autori parlano di un ritorno al<br />

caos-sonno per la rigenerazione; WESTERMANN, seguendo THOMSON, VT 5 (1955) 421-433, accentua il clima<br />

del mistero: l’uomo non dovrebbe essere testimone dell’azione creatrice (cf Is 29,10, Zorell, LHA); aggiunge:<br />

«Possiamo solo dire, che l’evento creativo del narratore esige il sonno profondo dell’uomo (così anche Cassuto,<br />

in loco)» (cit, p.314).<br />

19<br />

הנָב, ׇ in Akk. la radice è usata per la creazione degli esseri umani; in Ugar. Il ’b ’dm, “Ilu padre dell’uomo”,<br />

in quanto “creatore” degli dei e dell’uomo: è bny bnwt, “creatore delle creature” (UT 49:III:5,11; 51:II:11,<br />

III:32; 1Aqht I,25; Gordon, Glossario, n.483).<br />

41


Pentateuco – Creazione<br />

cio»: è costruita e costruisce la casa 20 . Essa è in stretta parentela con l’uomo, della sua<br />

stessa natura: «osso delle mie ossa, carne della mia carne» (v.23). È l’altro «lato» o aspetto<br />

dell’umanità; sta al fianco del marito, si accompagna con lui e tende a lui<br />

(v.24) 21 . Ma prima è liberata da lui e costruita come donna.<br />

• Quindi il Signore Dio «introduce» (האׇ בְיַו) ׅ la donna all’uomo: come paraninfo la accompagna.<br />

Il verbo allude al rito matrimoniale, in cui la sposa veniva introdotta nella<br />

tenda dello sposo (cf Gen 24,67; 29,22-23 22 ).<br />

• I verbi laqah – bw’ riflettono ancora lo schema della salvezza nella forma dell’Esodo:<br />

la donna «tratta» (חַקל) ׇ dall’uomo è da lui «introdotta» (אוֹב, hifil) per fare con lui<br />

alleanza (קַבד, v.24). In modo simile Dio aveva “introdotto” nella terra il popolo di<br />

Israele liberato. La creazione della donna è un atto di salvezza e liberazione, per lei e<br />

per l’uomo: è superata la solitudine.<br />

• Alla vista della donna l’uomo reagisce positivamente:<br />

wayyö´mer hä|´ädäm zö´t haPPaº`am `eºcem më|`ácämay ûbäSär miBBüSärî<br />

lüzö´t yiqqärë´ ´iššâ Kî më´îš lù|qóHâ-zzö´t<br />

yrI+f'B.mi rf'Þb'W ym;êc'[]me( ~c,[,… ~[;P; ªh; tazOæ è~d"a'h'* érm,aYOw:<br />

`taZO*-hx'q\lu( vyaiÞme yKiî hV'êai arEåQ'yI ‘tazOl.<br />

E l’uomo disse:<br />

«Questa è la volta (zo’t happa‘am): è osso delle mie ossa e carne della mia carne;<br />

costei (zo’t) si chiamerà ’iššah perché da ’îš è stata tratta costei (zo’t, v.23)».<br />

L’uomo abbandona il nome Adamo, riconosce la donna e la chiama ’iššah; ella è ’iššah,<br />

egli è ’iš, in lei comprende se stesso, sono uguali nella diversità (v.23). Per questo tendono<br />

uno all’altro (v.24). Il narratore gioca sull’assonanza dei due termini, שׁי ׅא, הָשּׁ ׅא;’iššah di<br />

per sé non corrisponde a ’iš che indica un “essere sociale, affabile” (dalla radice ’insân, aramaico<br />

’anisa); ’iššah significa forse “tenero, debole” (radice ant, aramaico anuta. 23 ).<br />

Posto di fronte alla donna l’uomo pronuncia le sue prime parole. Sono parole di discernimento,<br />

atto di conoscenza e rivelazione dell’unità e della distinzione: parlare è atto sapienziale.<br />

Rivelano anche stupore (il triplice zo’t, “questa volta, costei”) e risuonano in<br />

poesia. Si tratta, infatti, di un doppio distico perfettamente parallelo. È il primo biglietto<br />

d’amore, la prima espressione poetica di un uomo alla sua donna!<br />

«Osso delle mie ossa, carne della mia carne» è formula di parentela (Gn 29,14; Gdc<br />

9,2.3; Lv 18,6; 1Sam 5,1; 19,13.14). Indica anche l’uguaglianza di natura: tratta da carne e<br />

20 Il commentatore ebreo medievale, Rashi, attingendo a Berakot 61a,commenta: «Dio costruì la donna come un<br />

edificio, larga di sotto e più stretta di sopra, per portare il bambino» (cfr. RASHI DI TROYES, Commento alla Genesi<br />

[a cura di L. Cattani], Marietti, Casale Monferrato 1985, p. 22).<br />

21 Nel poema sumerico Dilmun si narra che per guarire la costola (ti) del dio Enki fu creata la dea Nin-ti, la «donna<br />

della costola». In sumerico ti significa anche «vita». Donna della costola equivale a «donna della vita»? È difficile<br />

dirlo. In ogni caso, la narrazione mette in risalto che la donna, tratta dalla parte vitale dell’uomo, possiede la<br />

stessa vita ed è capace di dare la vita (cf 3,20).<br />

22 Gen 24,67: «Isacco la introdusse (bô’, hifil) nella tenda di Sara, sua madre, e prese Rebecca e divenne sua<br />

moglie (le’iššāh); Gen 29,22-23 riporta un rituale matrimoniale con banchetto, consegna della figlia da parte<br />

del padre, introduzione nella tenda, unione coniugale: «Alla sera Labano prese Lea, sua figlia, e la introdusse<br />

presso di lui ed egli (Giacobbe) entrò da lei» (v.23, cf Gen 30,3).<br />

23 La tradizione ebraica gioca sui termini שׁי ׅא, uomo, הָשּׁ ׅא, donna, שֵׁא, fuoco: «Dio aggiunse il proprio nome<br />

Yah (הי) a quelli dell’uomo e della donna – la Yod a ’Iš e la He a ’Iššah – a significare che sinché essi<br />

avessero proceduto sulle sue vie del Signore e osservato i Suoi precetti, il Suo nome li avrebbe protetti da<br />

ogni male, mentre se avessero deviato Egli avrebbe tolto il Suo nome e al posto di ’Iš sarebbe rimasto ’eš,<br />

fuoco: un fuoco che si sarebbe levato da ciascuno dei due per divorare l’altro» (L. GINZBERG, Le leggende<br />

degli ebrei, vol I. Dalla creazione al diluvio [Biblioteca Adelphi 314], Adelphi, Milano 1995, p. 78).<br />

42


Pentateuco – Creazione<br />

ossa, cioè dalla persona nella sua umanità (Is 40,5s; Sal 136,25; 6,17.19). Diversi, ma della<br />

stessa natura sono portati a incontrarsi.<br />

Tuttavia, nel discorso dell’uomo in Gen 2,23, non vi è alcuna domanda, nessun dialogo,<br />

solo meraviglia di fronte alla donna, ma sembra ridurla al silenzio. Le parole<br />

dell’uomo interpretano solo il suo punto di vista (ha visto che un suo lato – osso e carne<br />

– è stato separato: una cicatrice l’attesta). Come interpreta e vede la donna? Non dissimula<br />

qualcosa la sua sincera meraviglia? Per lui l’azione divina si riduce a «togliere»,<br />

senza soggetto, senza progetto: «è stata tolta», mentre omette l’azione di «presentare»<br />

(la condusse o introdusse all’uomo), così come la trasformazione che il «costruire» ha<br />

prodotto nella donna. Egli perciò la definisce non a partire dall’altro da sé, ma deve accontentarsi<br />

di un’approssimazione, ‘come’ il suo ‘vis-a-vis’. 24<br />

vv.24-25. Il racconto spiega il motivo della misteriosa attrattiva tra i sessi, superiore agli<br />

stessi legami familiari (genitore-figlio), che crea unità. Sono attratti perché hanno la medesima<br />

origine e sono della stessa natura, uguali nella diversità. È la spiegazione di un fatto<br />

attuale che permane anche dopo il peccato. Il racconto ha dunque per oggetto il presente.<br />

`al-Kën ya|`ázob-´îš ´et-´äbîw wü´et-´immô wüdäbaq Bü´išTô wühäyû lübäSär ´eHäd<br />

`dx'(a, rf'îb'l. Wyàh'w> ATêv.aiB. qb;äd"w> AM+ai-ta,w> wybiÞa'-ta, vyaiê-bz"[]y:¥ ‘!Ke-l[;<br />

Perciò, l’uomo (’îš) abbandonerà suo padre e sua madre<br />

e aderirà (dÂbaq) alla sua donna (be’îštô)<br />

e saranno un’unica carne (l e bÂçÂr ùeÐÂd).<br />

• L’abbandono (‘Âzab) del padre e della madre rappresenta l’atto decisivo di libertà che<br />

qualifica una vita, come quella dei profeti e, più tardi, dei discepoli del vangelo.<br />

Nell’incontro con la donna l’uomo riconosce la sua nuova vocazione.<br />

Ma chi sono qui padre e madre? Adamo non ha padre; è Dio stesso. Potrà l’uomo<br />

abbandonare il Padre Creatore per seguire la moglie? Il testo sottende un’ambiguità.<br />

Nella terminologia Dtr con dÂbaq iniziò l’apostasia o la devianza di Salomone (1Re 11);<br />

del resto ‘Âzab connota anche un senso religioso, abbandonare Dio e i suoi precetti (cf<br />

Ger 2,13). L’affermazione sembra anticipare oscuramente un interrogativo che la ribellione<br />

metterà in risalto. Un pericolo mortale si affaccia all’orizzonte.<br />

• La libertà diventa alleanza, come ben interpreta il profeta Malachia (2,14) e come connota<br />

il verbo ebraico dÂbaq. La donna è data in dono da Dio all’uomo perché stabilisca<br />

l’alleanza matrimoniale, un legame più forte di quello del sangue. “Tratta da lui” e “costruita<br />

come donna” ritorna a lui in un legame superiore e libero (“come un’unica carne”).<br />

• bāśār/carne designa l’essere umano nella sua corporeità. «I due saranno una sola carne»<br />

implica unione fisica e spirituale, fusione di affetti, sentimenti e corporeità. In tutto<br />

il contesto le realtà spirituali sono rappresentate in simboli corporei. 25 È una sessualità<br />

vissuta con emozione gioiosa e serena, come segno dell’unità.<br />

24 Cf A. Wenin, D’Adam à Abraham, p. 78-81: «Egli parla come se non ignorasse nulla. E lontano dall’interrogarsi<br />

su ciò che è potuto avvenire, afferma senza esitare che la donna è tratta da lui, che ella è suo osso e<br />

sua carne. Egli elimina l’effetto del torpore nel quale ’Adonai ’Elohim lo ha immerso, egli fa come se nulla<br />

sfuggisse al suo sapere. In breve, egli si affretta a ‘riprendere conoscenza’, parlando come se ciò che egli ignora<br />

non fosse successo» (p. 78). Perciò cancella in qualche modo l’alterità: ’iššāh è presa da ’iš; ella è ciò<br />

che gli è stato tolto; è lui fuori di lui (cf presa “da”, min, e i ripetuti possessivi). È come se non ignorasse nulla<br />

di lei, tenta di ridurre a sé ciò che vede come tolto da sé. Si comporta come se egli fosse l’intero ’adam.<br />

25 «L’opinione che vede in Gen 2,23-24 un riferimento all’unione carnale degli sposi non sembra fondata,<br />

benché il giudaismo antico abbia imboccato questa via d’interpretazione. Al contrario, l’opinione che interpreta<br />

Gen 2,23-24 in riferimento all’unione coniugale in tutta la sua ampiezza, ossia all’impegno che li avvicina<br />

più di ogni altro accordo tra uomini e li lega l’uno all’altra con tutte le fibre del loro essere più di quanto<br />

43


Pentateuco – Creazione<br />

• «Erano nudi e non si vergognavano» (v.25). Non si tratta di un problema di pudore.<br />

La nudità è segno di attrazione e unione. Non c’era ancora la frattura che scompagina<br />

l’unità interiore di cui la vergogna sarà il segno. La nudità “colpevole” metterà a nudo<br />

l’assenza di protezione (cf Am 2,16), la debolezza radicale 26 . L’annotazione attuale ha<br />

l’effetto di aumentare la tensione narrativa (v.25); prepara il racconto seguente (cf 3,7-<br />

10). Una tradizione giudaica ritiene che fossero vestiti della “gloria di Dio”; anche<br />

dopo il peccato li avrebbe rivestiti di “luce” (’ôr, anziché ‘ôr, pelle).<br />

In conclusione. L’autore non tratta del matrimonio come istituzione, ma della originaria<br />

attrazione dei sessi. «Questo linguaggio ricaccia in secondo piano il matrimonio come<br />

concetto, o come complesso di norme, o come insieme di usanze: riportando in primo piano<br />

il matrimonio come realtà umana» 27 . «Questo verso ha il significato proprio nel fatto<br />

che mostra, a differenza delle istituzioni esistenti e, in parte, anche in contrasto con esse,<br />

la forza elementare dell’amore tra uomo e donna» 28 .<br />

La creazione della coppia pone in risalto la cooperazione e la rivelazione. L’incontro<br />

nella diversità sessuale confluisce nell’unione. La reciprocità li pone “di fronte” e “di lato”:<br />

di fronte per il vicendevole riconoscimento e confronto, di lato per l’accompagnamento.<br />

Formano una comunità di persone che si esprime e trova significato simbolico<br />

nella corporeità. L’adesione crea alleanza, espressa nel Cantico dei Cantici nella formula<br />

di reciproca donazione: «Io sono sua/per lui, egli è mio/per me» (Ct 2,16; 6,3). Nel mutuo<br />

riconoscimento diventano “unica carne”, un’unica storia, e proiettati verso un comune<br />

destino.<br />

C) 3,1-7: RIBELLIONE UMANA<br />

È rappresentata nella forma drammatica di un dialogo tra la donna e il serpente «astuto»<br />

(‘arûm) che rivela la «nudità» («si accorsero di essere nudi, ‘erûmîm): il testo ebraico gioca<br />

sui due termini: ‘arûm, «astuto» (in senso positivo, accortezza e riflessione) ed ‘erûmîm,<br />

«nudi». Il narratore pone in scena una nuova figura, ambigua, portatrice di una sapienza negativa,<br />

fondata sul «falso oracolo» che sta alla base del racconto. Il sostantivo ebraico per<br />

designare il serpente (nÁÍaš) suona infatti come «vaticinio» (nÕÐaš, «dare un vaticinio»).<br />

Egli pronuncia falsi oracoli, frasi a doppio senso, che traggono in inganno la donna appena<br />

creata, e perciò ancora petî’, «ingenua», non in grado di comprendere e di rispondere in<br />

modo adeguato alle sue «astuzie» perverse. Così l’uomo, che pure si era rivelato saggio (aveva<br />

dato il nome e imparato a parlare...), viene coinvolto nel peccato mediante il legame<br />

affettivo con la sua donna.<br />

Che cosa rappresenta il serpente? La tradizione posteriore l’ha identificato con il diavolo<br />

(cf Sap 2,23-24; Gv 8,44; 1Gv 3,8; Ap 12,9; 20,2). Nel nostro caso, possiamo parlare della<br />

legassero i legami di filiazione, questa opinione può avvalersi di molti seri argomenti sul piano esegetico»<br />

(M. GILBERT, «“Une seule chair” (Gen 2,24)», NRT 100 (1978) 66-89, citazione p. 88). «È la comunità di<br />

persone tra uomo e donna in senso lato, a cui appartengono sia la comunione corporea come la spirituale, il<br />

reciproco aiuto nel lavoro, la reciproca comprensione, l’amicizia dell’uno verso l’altro, il vicendevole riposo»<br />

(C. WESTERMANN, Genesis I/1, p.317). Così già F. DELITZSCH: nella nudità iniziale «Non erano abituati a temere<br />

che il corpo rivelasse in loro il peccato»; «Attraverso il corpo è espressa l’unità spirituale, l’universalissima<br />

comunità di persone».<br />

26 Per la nudità nella Bibbia, cf 2Sam 11,1-4; Am 2,16; Os 2,5.12; Ger 13,26s; Ez 16,8.36; 23,10; Na 3,5 (segno<br />

di disprezzo e perdita della dignità, cf 2Sam 10,4-5, vituperio per adulteri e prostitute). Nell’arte mesopotamica<br />

nudi sono gli schiavi, anche maternità nuda (culto vitale).<br />

27 A. TOSATO, Il matrimonio israelitico (AB 100), PIB, Roma 1982, p.83.<br />

28 C. WESTERMANN, cit., p. 318.<br />

44


Pentateuco – Creazione<br />

figura narrativa di una forza che spinge gli uomini a disobbedire, agendo dall’esterno e<br />

dall’interno, forza enigmatica perché parla per bocca di una creatura di Dio. Non è un essere<br />

mitico né il diavolo, ma un simbolo che rappresenta «la forza della seduzione e della tentazione<br />

che appartiene all’essere-uomo, che ogni uomo conosce» 29 .<br />

Il narratore è abile nel descrivere il processo psicologico della tentazione.<br />

• Nel primo oracolo – «È proprio vero... di nessun albero» – il serpente manipola le parole<br />

di Dio: ripete il comando divino esagerandolo e omette il dono (v.1). – La donna,<br />

a sua volta, nella risposta, corregge, ma esagera il comando, aggiungendo: «e non<br />

lo dovete toccare» (vv.2-3).<br />

• Allora nel secondo oracolo il tentatore contraddice la parola di Dio con una affermazione<br />

decisa di stile propagandistico: «Non morirete affatto!» (v.4). Insinua l’idea di<br />

un Dio “geloso” che si oppone alla crescita dell’uomo («Dio sa che...») e promette<br />

una conoscenza superiore: «’Elohim sa che quando ne mangerete, diventerete come<br />

’Elohim» [= Dio/dei]. ’Elohim è termine che designa la divinità, l’essere divino.<br />

• La conoscenza dopo il peccato farà prendere coscienza soltanto della nudità (‘erûmîm).<br />

Di fatto i loro occhi «sono aperti» (cf 1Sam 14,29), la conoscenza li rende in<br />

un certo modo come ’Elohim (3,22), ma per constatare la radicale debolezza che li fa<br />

fuggire dalla presenza di Dio.<br />

La narrazione è altrettanto acuta nell’analisi della trasgressione.<br />

• Si insinua dall’esterno (obiezione, v.2) e perviene all’interno, coinvolgendo gli occhi,<br />

l’estimativa. Dio aveva visto la creazione “buona” (Gen 1). La donna «vede» e<br />

riconosce una triplice appetibilità che la seduce e ne devia il giudizio: l’albero era<br />

“buono da mangiare”, “gradito agli occhi” (cf 2,9) e seducente: “desiderabile per ottenere<br />

sapienza” (v.6a).<br />

• Segue il peccato che coinvolge anche l’uomo. La donna «prese un suo frutto e mangiò»;<br />

«ne diede anche al suo uomo/marito ed egli mangiò» (v.6b). La descrizione<br />

dell’atto è scarna, essenziale, ma il peccato coinvolge e contagia 30 .<br />

Il peccato consiste in un atto di presunzione dettato dalla sapienza infida (l’astuzia ingannatrice<br />

del serpente) e dall’orgoglio umano porta l’uomo fuori misura: decide da sé il<br />

bene e il male lasciando da parte Dio, percepito come ostacolo alla propria realizzazione<br />

(sarebbe geloso dell’uomo!). Di fatto, gli uomini sceglieranno il male (Gen 6-9) e si ergeranno<br />

a padroni della vita propria e altrui (Caino, Gen 4). La libertà non vien meno: davanti<br />

all’uomo stanno sempre vita e morte, bene e male. Ciò a cui tendono la mano sarà loro dato<br />

(Sir 15,17, cf 11,14; 37,17-18).<br />

29 C. WESTERMANN, cit., in loco. Alcuni aspetti dell’ambiguità del serpente emergono dal contesto culturale. Nel<br />

mondo cananeo, il serpente era legato ai culti della fecondità e usato come amuleto. Nel poema babilonese di<br />

Ghilgamesh il serpente ruba la pianta della vita, condannando l’uomo alla morte. Nel mondo egiziano rappresenta<br />

una forza ambigua: da una parte raffigura l’abilità politica del faraone (è emblema sulla sua fronte); dall’altra<br />

designa una forza ostile (il serpente Apophis lottava ogni notte contro il dio Sole per impedire il ritorno del giorno).<br />

In Israele il neḥûštan o serpente di bronzo, che nel deserto era stato segno di salvezza (Num 11), nella riforma<br />

di Ezechia fu rimosso dal tempio, perché oggetto idolatria.<br />

30 Per l’identificazione dei vari alberi e frutti del «peccato», l’«albero della scienza del bene e del male», cf L.<br />

GINZBERG, Le leggende degli ebrei. I. Dalla creazione al diluvio (Biblioteca Adelphi 314), Adelphi Edizioni,<br />

Milano 1995, pp. 275s n 70: il frutto proibito è stato via via identificato con il fico, l’uva, il cedro (mela del<br />

paradiso), il grano, il carrubo, la noce. Spesso ciò è legato a giochi di parole. Nel mondo latino l’identificazione<br />

del frutto con “la mela” e dell’albero con il melo è dovuta forse a Ct 8,5 o alla somiglianza malusmalum,<br />

melo-male. Per i Padri greci l’albero era il fico, per le foglie di fico intrecciate per coprirsi (cf 3,7).<br />

Vi è anche una teoria secondo la quale la Scrittura si astiene di proposito dal nominare il frutto proibito, perché<br />

l’uomo non abbia a odiarlo, considerandolo apportatore di morte.<br />

45


Pentateuco – Creazione<br />

Appare una prima conseguenza: vergogna e paura che coinvolgono occhi e udito (conobbero,<br />

udirono, vv.7-8). Sono privi della “gloria”. Nella vergogna la nudità non appare<br />

più come segno di incontro, bensì di isolamento. La coppia, pur insieme, passa alla solitudine,<br />

al mascheramento, al sospetto: intrecciano foglie di fico e si fanno delle cinture per<br />

coprirsi (v.7). È una prima frattura all’interno della coppia; la seconda sarà l’accusa, la terza<br />

il dominio. Essa si prolunga nel nascondimento e nella paura di fronte a Dio (vv.8.10).<br />

In 3,7 la nudità è superata con un primo rimedio (le foglie di fico); l’altro sarà offerto da Dio<br />

stesso come segno della sua cura per l’umanità: fa per loro un vestito di pelle (v.21). Così si<br />

delineano i blocchi del racconto: 3,1-7.8-21, al primo vestito fa da inclusione il secondo.<br />

D) 3,8-21: PROCESSO E CONDANNA (CASTIGO LIMITATO)<br />

Questa parte rivela le conseguenze del peccato con il processo e la condanna, ma contiene<br />

anche la promessa nel «protovangelo», il nome Eva e le tuniche. Solo il serpente è condannato<br />

senza appello. Lo stile richiama l’alleanza (la maledizione cade sul serpente e la terra)<br />

e l’oracolo profetico (castigo con motivazione) 31 . Tutto avviene «in mezzo agli alberi» che<br />

richiamano dono e ribellione.<br />

vv.8-10. L’incontro con Dio avviene nel nascondimento e nella paura.<br />

È una situazione nuova: dal rapporto amichevole passano alla paura dello sguardo divino:<br />

«Si nascose l’uomo e la sua donna dal volto di Dio». Ma l’interrogatorio manifesta le intenzioni<br />

di Dio: «Dove sei?» è ricerca non condanna. L’uomo deve prendere coscienza del suo<br />

stato e riconoscere la sua responsabilità. Solo confessando si salva, smascherando il male lo<br />

vince (cf Sal 32; 51 e 139). L’espressione hK'Y


Pentateuco – Creazione<br />

logia viene rappresentata come il suo superamento. Nella pace degli animali in Isaia<br />

11,7-9: il bambino, tolto il veleno della serpe, mette la mano nella sua buca; la vittoria<br />

si esprime in un movimento ludico. «Sul ventre camminerai»: secondo una tradizione<br />

ebraica il serpente aveva i piedi, ma essi gli furono tagliati via (Genesi Rabbah XX, 5;<br />

Soṭah 9b).<br />

Il testo ebraico ha presente un soggetto collettivo: il “seme” è l’umanità, la discendenza<br />

della donna. Ma la profezia è stata interpretata in senso messianico: il seme è il<br />

Messia inteso in senso personale (cf LXX αὐτός e VL ipse). ). Il fatto può emergere<br />

dalla tradizione che accentua la «discendenza»: la donna incarna la regina madre portatrice<br />

delle promesse Vi è stato attribuito anche un significato mariano: Maria è la donna<br />

che schiaccia il capo (Vg ipsa e la tradizione cristiana come in Giustino, cf nota a Gen<br />

3,15 in BG). La tradizione ecclesiale fa riferimento a questo passo, in una interpretazione<br />

che trae origine dalla esegesi tipologica antica, che vede in Maria la “nuova Eva” in<br />

parallelo con “Cristo nuovo Adamo” (Rm 5,12-14), in Ineffabilis Deus (Pio IX, 8-XII-<br />

1854, Denz. 2803) e Munificentissimus Deus (Pio XII, 1950, Denz. 3901) e nelle Costituzioni<br />

conciliari Dei Verbum 3 (874) e Lumen Gentium 55 (459).<br />

• La donna è colpita come madre, nel suo procreare (il dolore del parto), e come sposa,<br />

nel suo rapporto con il marito. In quanto madre, la vita continua mediante le generazioni<br />

(v.20), ma il momento più bello, quello della fecondità, è turbato dal dolore. In quanto<br />

sposa, il desiderio le fa bramare intensamente il marito (tešïqÂh, intesa come istinto,<br />

forte desiderio che la porta a conquistare la persona; in 4,7 tešïqÂh caratterizza il peccato<br />

pronto ad assaltare Caino che dovrebbe dominarlo ma non vi riesce); d’altra il legame<br />

è offuscato dal tentativo del marito di dominarla. Dunque aggressività e possesso si<br />

inseriscono nella coppia. Non si tratta però di una relazione perduta, ma di un legame<br />

da purificare e riconquistare come dono di sé con una dura lotta. Nel Cantico<br />

l’ambiguità è superata dalla donna che, di fronte alla brama dell’amato, si dona: «Io sono<br />

sua e la sua brama è verso di me (ánî lüdôdî wü`älay Tüšûqätô)» (7,11, cf 2,16; 6,3).<br />

• Per l’uomo l’unione-complicità con la donna è la motivazione della condanna. Dio lo<br />

richiama alla sua responsabilità e gli ricorda l’alleanza: «Poiché hai ascoltato la voce di<br />

tua moglie». È condannato nella terra che egli coltiva, nel lavoro faticoso e frustrante<br />

(la terra produce spine e cardi); una pena che lo accompagnerà sino alla morte.<br />

Di per sé la pena non è la morte. Creato dalla terra-’adamah, l’uomo-’adam era e resta<br />

mortale, anche se in precedenza era stata minacciata una possibile condanna a morte<br />

(2,16-17). Per la legge del “contrappasso”, la condanna consiste soprattutto nella relazione<br />

dura con un mondo ostile: «Poiché hai mangiato, mangerai...» – il lavoro diventa<br />

schiavitù. Tuttavia, come la paura e il dolore, con il peccato anche la morte acquista un<br />

carattere drammatico, fino a essere considerata “salario del peccato” (Rom 6,23).<br />

Ben Sira vede nella morte anzitutto un fatto naturale, ma la morte dolorosa o infame<br />

designa l’aspetto negativo (cf 40,1cd.8-11; 41,10). Il libro della Sapienza afferma che<br />

Dio ha creato le sue creature capaci di sanare (sotérioi, 1,14), ma il peccato ha introdotto<br />

la morte, la separazione da Dio. L’esperienza della morte, negativa e distruttrice,<br />

intesa come morte oltre la vita fisica, non è in sé il tragico destino dell’umanità; la sperimentano<br />

come punizione “coloro che le appartengono”, cioè gli empi: è una questione<br />

di scelta (Sap 1,12-14; 2,24). Lo stesso libro introduce perciò il concetto escatologico di<br />

una vita nell’aldilà per i giusti, nell’ amore di Dio, mentre gli empi riceveranno la condanna,<br />

la morte spirituale con il dolore (1,11,d; cf 5,1ss).<br />

47


Pentateuco – Creazione<br />

vv.20-21. Castigo limitato e speranza<br />

La speranza è testimoniata, oltre che nella promessa del v.16, dal nuovo nome che<br />

l’uomo dà alla donna e nell’azione divina che procura le tuniche. Eva-ÐawwÂh significa<br />

«colei che genera, dà la vita» (forma intensiva di ÐayÂh, «vivere»): la benedizione continua<br />

nella capacità generativa e nelle generazioni che si susseguono. Dio non abbandona<br />

l’uomo, ma continua a prendersi cura di lui. Si annuncia però una nuova frattura, con gli<br />

animali: qualcuno ci ha rimesso la “pelle” (cf 1,30 e 9,2)! La tradizione ebraica alterna al<br />

vestito di pelle (‘ôr), quello della “luce” (’ôr).<br />

E) 3,22-24: ESECUZIONE DELLA SENTENZA<br />

I versi conclusivi si concentrano sull’esecuzione della sentenza con motivazione ed espulsione<br />

dal giardino. È la vera pena del peccato. Il giudizio e la cacciata si oppongono all’atto<br />

iniziale di Dio che aveva preso l’uomo e l’aveva posto nel giardino (2,15). Ritornano anche<br />

i due alberi posti nel giardino. Nei vv.21-22, ritornano, in forma inversa, anche i due verbi<br />

di creazione di Genesi 1 - «Dio fece» e «Dio disse»: vi è un giudizio, ma anche la continuità<br />

della creazione.<br />

a) Il giudizio è motivato ripercorrendo le tappe: richiama la “nuova conoscenza”, quella<br />

promessa e intesa (essere come ’Elohim, vv.5-6) e quella sperimentata (nudità e debolezza,<br />

v.7). Essere ’Elohim è aspirazione che deriva dalla creazione stessa (Dio crea<br />

l’uomo “immagine di ’Elohim”), ma l’uomo aveva voluto essere “come uno di noi per<br />

conoscere bene e male” escludendo Dio.<br />

b) Perciò Dio caccia l’uomo dal giardino e gli impedisce l’accesso all’albero della vita, fissa<br />

limiti e confini all’umanità, che li aveva superati attribuendosi prerogative divine, e<br />

ancora aspira all’immortalità 34 .<br />

• Il testo gioca sul verbo šālaḥ, “tendere, gettare, cacciare”, in una specie di legge del<br />

contrappasso. Nella sua libertà l’uomo “ha teso (šālaḥ) la sua mano e ha preso” – “il<br />

Signore Dio lo caccia (wayešallēhû) dal giardino”. Senza Dio l’uomo è errante come<br />

Caino e lavorerà la terra, non il giardino. Così il popolo ebraico dovrà uscire in esilio,<br />

errare lontano dalla terra che doveva coltivare osservando la legge.<br />

Però il Signore non abbandona l’umanità come non abbandona Israele. Né toglie<br />

la libertà o impedisce la conoscenza. All’uomo resta il libero arbitrio, la scelta sarà<br />

sempre tra «la vita e la morte, il fuoco e l’acqua: ciò a cui tende la sua mano gli sarà<br />

dato» (Sir 15,14-17). Perciò Dio offre la legge a Israele, perché scelga la vita (Dt<br />

30,15-16.19-20).<br />

• L’accesso vietato all’«albero della vita» è un inequivocabile ricordo all’umanità della<br />

sua condizione mortale e un invito ad accettarla (cf 2,7; 3,19). Essa non può essere<br />

superata o eliminata con una pozione magica (Kolarcik, p. 145), ma ritornando a<br />

Dio. Senza Dio l’uomo resta in una mortalità senza speranza, accettando la morte riceverà<br />

vita e benedizione, ma sarà un dono gratuito.<br />

Però l’albero della vita e il giardino-terra restano come aspirazione profonda: è il<br />

desiderio della comunione con Dio che molte scelte storiche, di fatto, non realizza-<br />

34 L’albero della vita è stato identificato con l’ulivo in Apocalisse di Mosè 9-12; Vita Adae 24-39, e altri testi<br />

ebraici e cristiani. Vi alludono anche testi gnostici. In alcuni passi si afferma che la risurrezione dei morti avverrà<br />

grazie alla «rugiada di luce» (Is 26,19, cf Hagigah 12b; PRE 35; Jerushalmi Berakot 1,9b); 2 Enoc<br />

XXII,9 riunisce la concezione rabbinica dell’olio della vita con quella degli autori apocalittici: «L’aspetto<br />

dell’olio era più splendido di una grande luce, e il suo unguento era come una rugiada benefica». Cf L. GIN-<br />

ZBERG, Le leggende degli ebrei. Vol I, cit., pp. 297-99 nn. 113-14. Con l’albero di ulivo sarebbe stata costruita,<br />

almeno in parte, anche la croce, nuovo albero di vita per tutta l’umanità.<br />

48


Pentateuco – Creazione<br />

no. Su questo aspetto una Parola ulteriore sarà detta nel Nuovo Testamento con la<br />

risurrezione di Gesù Cristo. E l’albero della vita ritorna proprio nell’ultima pagina<br />

della Bibbia, nell’Apocalisse. Si passa dal giardino alla città. La nuova Gerusalemme<br />

sarà come l’Eden, non è altro che un Eden ricondotto alla sua funzione primordiale.<br />

L’albero della vita ne fa parte ed è abbinato al fiume d’acqua viva. La situazione<br />

escatologica riproduce dunque uno stato originario.<br />

«Mi mostrò poi un fiume d’acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono<br />

di Dio e dell’Agnello.<br />

In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall’altra del fiume si trova un albero<br />

di vita che dà dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell’albero servono a<br />

guarire le nazioni» (Ap 22,1-2, cf Ez 47,12).<br />

Il quadro si ispira a Genesi 2-3 e a Ezechiele 47,1-12. È suggestivo che la Bibbia<br />

inizi e concluda con questo segno di gloria e di speranza: il vietato diventa possibile<br />

e lecito, anzi necessario, in forza della grazia. La pianta è ora offerta al giusto perché<br />

viva sempre del suo Dio. L’accedervi e il poter disporre di quest’albero significa aver<br />

pieno diritto di cittadinanza nella nuova Gerusalemme.<br />

Se nel giardino primordiale, con il motivo dell’albero si voleva in qualche modo<br />

collocare la presente situazione dell’uomo, caratterizzata dalla morte, nella nuova<br />

Gerusalemme questa situazione viene abolita. L’albero della vita, se per un verso<br />

vuol far capire all’uomo alcuni valori fondamentali della sua esistenza, per un altro<br />

verso vuol confermare al cristiano che la sua fede lo colloca già sin da ora là dove<br />

«la morte non ci sarà più, né lutto, né grido di dolore, né fatica, poiché le cose di<br />

prima se ne sono andate» (Ap 21,4).<br />

Anche la morte e il dolore, allora, diventano più accettabili, non solo per la speranza<br />

che la nuova prospettiva della Gerusalemme nuova pone nell’uomo, ma perché<br />

è un invito ad accoglierli in quanto legati a una trasgressione. Questo è possibile<br />

però solo se si accoglie pienamente anche la salvezza prospettata nella nuova Gerusalemme<br />

e nell’albero che ha una funzione terapeutica definitiva rispetto al dolore e<br />

alla morte 35 .<br />

35 «La nuova Gerusalemme sarà... come l’Eden (“E i santi abiteranno in Eden, ed i giusti gioiranno per la<br />

nuova Gerusalemme”: Testamento di Dan 5,12; cf. anche 4Esdra 7,26; 2 Baruc = Apocalisse siriaca di Baruc<br />

4,3-6), e si capisce allora come nel Nuovo Testamento l’Apocalisse di Giovanni possa riprendere facilmente<br />

questa concezione, quando dice che al vincitore sarà dato da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso<br />

di Dio (2,7); qui anzi si riprendono le espressioni di Ez 47,12, specificando direttamente che sulle due rive<br />

del fiume sta un albero della vita, le cui foglie sono medicinali (22,2); il poter disporre di quest’albero significa<br />

pieno diritto di cittadinanza nella Gerusalemme celeste, come si dice due volte, e in maniera antitetica, in<br />

22,14 e 22,19. Dato lo stretto legame con un ambiente paradisiaco, il fiume di cui si parla in questa tradizione<br />

può essere assimilato anch’esso a quello dell’Eden (Gn 2,10-14). Se questo richiamo a Gn 2,4b-3,24 viene<br />

letto nell’insieme della tradizione biblica, si può costatare come un simbolo mitologico, il cui significato è<br />

talmente vasto da correre il rischio di vanificarsi (l’albero della vita equivale a vita, prosperità, benessere,<br />

ecc., cf il libro dei Proverbi), venga utilizzato con scopi precisi.<br />

La situazione escatologica è in fondo la riproduzione di uno stato originario, e quindi la nuova Gerusalemme<br />

non è altro che un Eden ricondotto alla sua funzione primordiale; se nel giardino primordiale con il<br />

motivo dell’albero si voleva in qualche modo collocare la presente situazione dell’uomo, caratterizzata dalla<br />

morte, sotto un particolare decreto di Dio che ha vietato all’uomo l’accesso all’albero della vita, nella nuova<br />

Gerusalemme, dove non solo il divieto è tolto ma il mangiare dell’albero è necessario, la situazione presente<br />

dell’uomo viene abolita. In un certo senso, anzi, la prospettiva della nuova Gerusalemme rende più tollerabile anche<br />

la situazione attuale, non tanto per la speranza che pone all’uomo, ma perché è un invito ad accogliere la<br />

morte e il dolore del presente come legati a una trasgressione; ciò è possibile però solo se si accoglie pienamente<br />

quella salvezza, il cui annuncio è sintetizzato appunto nella descrizione della Gerusalemme celeste. L’albero della<br />

vita, se per un verso vuol far capire all’uomo alcuni valori fondamentali della sua esistenza, per un altro verso<br />

vuol confermare al cristiano che la sua fede lo colloca già sin da ora là dove “la morte non ci sarà più, né lutto, né<br />

49


Pentateuco – Creazione<br />

• Le due difese del giardino attingono a motivi mitologici. I “cherubini” accompagnavano<br />

la divinità e custodivano i luoghi sacri (Sal 18,11; 1Re 6,23; Ez 9,3; 10,1; cf i<br />

serafini in Is 6) per impedirne la profanazione; la “fiamma della spada folgorante” al<br />

fianco dei cherubini può alludere al fulmine (Ger 47,6 e letteratura ugaritica).<br />

Conclusione<br />

1) Il racconto attinge a qualche reminiscenza mitica, ma si raccorda soprattutto con l’esperienza<br />

di Israele e con gli elementi fondamentali che ne garantiscono l’esistenza: il Signore,<br />

l’esodo, l’alleanza, la legge e la terra. Perciò, non parla di un paradiso perduto.<br />

Più che al passato orienta al presente (l’attuale situazione mortale dell’umanità) e prospetta<br />

il futuro (la promessa).<br />

2) Resta il mistero del peccato che segna l’umanità. Occorrerà affrontarlo lasciandosi guidare<br />

da Dio, ritornando a lui. Il futuro non sarà privo di lotta. Tutte le relazioni sono bisognose<br />

di purificazione, da quelle familiari – il rapporto tra marito e moglie – a quelle<br />

religiose con il riconoscimento di Dio e della propria condizione mortale.<br />

3) Purificata dalla vita e dalla morte, l’umanità potrà aprirsi alla speranza, segnata nella<br />

storia dalle “generazioni” (tôledôt), dalla linea credente rappresentata da Set, Noè e Abramo,<br />

e dal dono della legge che fa vivere bene nella terra. Per il Nuovo Testamento la<br />

speranza in una umanità nuova trova il suo fondamento nel “nuovo Adamo”, Gesù Cristo<br />

redentore di tutti, ebrei e pagani (Rom 5). La sua azione redentrice apre al futuro con<br />

il segno della risurrezione; e sarà un dono di “grazia sovrabbondante” rispetto al peccato.<br />

Il futuro escatologico sarà la riproduzione di uno stato originario, a cui l’uomo aspira.<br />

L’Apocalisse torna a porre l’albero della vita, che guarisce dalla morte, nella nuova Gerusalemme.<br />

3. Genesi 6,1-9,17<br />

La corruzione dell’umanità, il diluvio e il nuovo ordine del mondo<br />

1 – Contesto culturale e letterario<br />

Contesto culturale. Il racconto attinge a fonti comuni ad altri popoli, soprattutto quello mesopotamico<br />

che ben conosceva il diluvio, la cui ultima redazione risale al VII sec. Ricorre<br />

anche ai miti rielaborandoli al proprio scopo. 36 Vi sono delle reminescenze storiche? Talora,<br />

programmi radiofonici o televisivi o stampe di tipo religioso affermano di aver trovato<br />

l’arca di Noè sui monti dell’Ararat. È il frutto di una mentalità che, secondo un certo concetto<br />

di verità, deve dimostrare in ogni passo che “la Bibbia aveva ragione”. Dobbiamo<br />

piuttosto interrogarci sul linguaggio biblico per cogliere il significato del racconto. Ora un<br />

racconto di diluvio è presente in molte culture. Nell’epopea di Gilgamesh, il protagonista,<br />

di fronte alla morte dell’amico Enkidu, si interroga: «Come potrò portarlo ancora in vita?».<br />

A questo scopo si rivolge a Ut-Napishtim suo antenato che si è salvato dal diluvio ed è diventato<br />

l’uomo dalla lunga vita (“dai lunghi giorni”); questi narra all’eroe come sia avvenu-<br />

grido di dolore, né fatica, poiché le cose di prima se ne sono andate” (Ap 21,4)» (G.L. PRATO, «L’albero della<br />

vita: dall’Eden alla Gerusalemme celeste», in AA.VV, Io sono il vivente, PSV 5 [1979] 23-34, cit. pp.31-32).<br />

36 Brueggemann (in loco) nega che si tratti di un mito, però la definizione che egli dà del racconto è in armonia<br />

con il significato del mito, in quanto narrazione che tenta di fissare le categorie e i simboli fondamentali<br />

che spiegano le realtà dell’uomo e del cosmo.<br />

50


Pentateuco – Creazione<br />

to il diluvio e come egli sia stato salvato (cf la descrizione in appendice). In quel racconto<br />

ritroviamo alcuni particolari del testo biblico: i sette giorni, gli animali, il corvo e anche la<br />

rondine che viene liberata per esplorare se si siano ritirate le acque.<br />

Contesto letterario. 1 - Le due genealogie parallele, di Caino e di Abele-Set (Gen 4-5),<br />

hanno la funzione di descrivere un progresso e un passaggio, non necessariamente antitetico.<br />

La fondazione della città da parte di Caino, nell’ambito della genealogia cainita<br />

(4,1-2.17-24), è parte integrante di quel processo di “invenzione” dei beni di civiltà che è<br />

tipico del linguaggio cosmogonico. Si mostra come gradualmente è nata la storia di quei<br />

beni, necessari ma ambigui, di cui l’umanità deve disporre per la sua esistenza concreta,<br />

complessa e anche contradditoria. 37 Del resto, Noè, per comando del Signore, inventerà il<br />

modo di vincere e dominare l’acqua.<br />

Si confrontano due figure letterarie, Caino e Noè. In Gen 4,16, «Caino uscì dal volto<br />

di Dio per abitare nella terra di Nod», la terra dei “raminghi”, dove la vendetta si moltiplica.<br />

È il segno di un uomo che, nonostante il progresso, non trova il suo sviluppo davanti<br />

a Dio. Noè è il suo opposto: cammina davanti al volto di Dio con integrità (6,9, così<br />

Abramo in 17,1).<br />

Il nome NOÈ (nōăḥ) richiama “condurre” (nāḥah), “colui che conduce”, e “riposare”<br />

(nûăḥ). Nel contesto narrativo fa eco a nìHam, che significa consolare, fare lutto e pentirsi.<br />

Infatti il padre Lamech alla nascita, giocando sul nome, l’aveva chiamato nōăḥ dicendo:<br />

«Costui ci consolerà (zeh yěnaḥămēnû) del nostro lavoro e della fatica delle nostre<br />

mani, a causa del suolo che il Signore ha maledetto» (Gen 5,29). Così Dio trova in<br />

Noè “consolazione (nìḥam) e riposo (nûăḥ)” di fronte a una umanità di cui deve pentirsi<br />

(nīḥam) di averla creata. Noè diventa il principio dell’umanità nuova che, nella linea di<br />

Set, del figlio Sem e poi di Abramo, diventa benedizione per l’umanità e dovrà richiamare<br />

continuamente agli uomini la strada da percorrere. Non dovranno come Caino allontanarsi<br />

dal volto di Dio, per abitare ramingo dove vuole, ma camminare davanti a Lui (Gen<br />

9,18-10,32).<br />

2 - Nella struttura del racconto, Gen 6,1-4 serve di transizione da quanto precede, parlando<br />

dei giganti (i nefilim) e degli eroi (gibbôrîm). Identificare i «figli di Dio» e le «figlie<br />

degli uomini» è difficile per non dire impossibile. Possiamo ritenere che siano i potenti.<br />

Il contesto antico è mitico: dalle unioni di dei con donne sarebbero nati degli eroi, che<br />

avrebbero causato l’invidia della divinità. Il contesto attuale demitizza; non sono discendenti<br />

delle unioni descritte ai vv.2-3. Tuttavia, una cosa sembra emergere con chiarezza, è un<br />

nuovo superamento del limite umano, una trasgressione che conduce alla disintegrazione<br />

dell’armonia della creazione ed esige un nuovo ordine mondiale. La progressività del male<br />

determina una frattura tra creazione e Creatore il cui risultato è la distruzione della<br />

creazione stessa.<br />

I “figli di Dio” sono incantati dalla bellezza. Come Eva: vide che l’albero era “buono”,<br />

ne prese e ne mangiò, essi «videro che le donne erano belle/buone, e ne presero<br />

quante ne vollero»: è il possesso a proprio uso e consumo della realtà sessuale. Lamech<br />

aveva due mogli, questi ne “presero quante ne vollero”. Ritorna lo schema di quel potere<br />

che, nella ricerca della vita, dominato dall’avidità, vuole agire a propria immagine, non a<br />

immagine di Dio.<br />

Gen 6,1-4 ha la seguente sequenza:<br />

• peccato (vv.1-2): rapido aumento dell’umanità e della perversità,<br />

37 Cf G.L. PRATO, «La nascita della città nella genealogia di Caino» (Gen 4,17), La città, PSV 50 (2004), 11-<br />

30.<br />

51


Pentateuco – Creazione<br />

• giudizio (v.3): condanna a morte (Dio decide di ritirare dall’uomo il suo principio vitale)<br />

e sua motivazione (= forte disordine; carne = fragilità), ma anche indugio misericordioso<br />

(120 anni sarebbe l’età media dell’uomo indebolito dal peccato; sarà la lunghezza della<br />

vita di Mosè; secondo altri si tratterebbe di un certo lasso di tempo per pentirsi, cioè, la<br />

predicazione di Noè, cf. 2Pt 2,5 e Haggadah),<br />

• i nefilim, giganti, e i gibborim, eroi (i potenti?) (v.4).<br />

3 - Queste affermazioni preparano il racconto del diluvio (Gen 6,5-9,17) che sarà seguito<br />

a sua volta da altri racconti di Noè (9,18-10,32), che oppongono i diversi tipi di umanità<br />

nei figli del protagonista: Sem, Cam e Jafet. Il racconto attuale è organizzato secondo uno<br />

schema teologico e letterario.<br />

– Introduzione (duplice): 6,5-8 (P).9-13 (J) = cattiveria umana, coinvolgimento della terra,<br />

giustizia di Noè, giudizio divino.<br />

– Castigo: (c.7)<br />

• comminato (ordine di costruire l’arca - esecuzione, ordine di entrare - esecuzione),<br />

• realizzato (diluvio = mabbûl-caos e pioggia torrenziale) con la morte di ogni «essere<br />

vivente sulla terra».<br />

– Salvezza di un «resto» (l’umanità nuova) e alleanza (berît-impegno, di Dio) (8,1-9,17).<br />

Appare il modello teologico-profetico del «resto», frequente nella Bibbia: peccato - castigo<br />

- salvezza di un «resto», che costituisce il germe del nuovo popolo, «la progenie santa»<br />

(Is 6,13; per lo schema, cf. i profeti e il procedimento Dtn, rilevabile in particolare nel<br />

libro dei Giudici: peccato – castigo – invocazione - salvezza).<br />

2 – La presenza di più linguaggi, J e P<br />

Il film di Ermanno Olmi sulla Creazione e il Diluvio ricorda che «Gli uomini vanno e<br />

vengono, si incontrano e si separano e ciascuno in questo andirivieni narra le sue storie».<br />

Anche nel nostro caso, vi è un confluire di storie con diversi linguaggi. La tesi classica ritiene<br />

che il testo sia costruito con materiale tratto da due tradizioni – J e P – in base al quale<br />

potremmo costruire due racconti quasi paralleli che il Redattore (R) ha riunito ed elaborato<br />

secondo uno schema teologico-letterario. Un po’ diversa la posizione di Ska che ritiene<br />

fondamentale il racconto sacerdotale P al quale vengono aggiunte delle redazioni più tardive,<br />

quelle attribuite a J, senza ricorrere a un redattore. Prima dell’esilio non si parlava<br />

del diluvio ben presente invece nella tradizione mesopotamica 38 . A titolo esemplificativo<br />

si danno i testi delle due fonti, tralasciando qualche particolare (cf BJ). Il risultato è un «intreccio<br />

a due colori» uniti in un racconto continuato, che fa emergere ora l’uno ora l’altro.<br />

J 6,5-8. 7,1-5 7(8-)10. 12. 16b. 17b. 22-23.<br />

P 9-22. 6. 11. 13-15. 16a. 17a. 18-21 24.<br />

J 2b.3a. 6(7)8-12. 13b. 20-22. 18-27.<br />

P 8,1-2a. 3b-5 13a. 14-19. 9,1-17. 28-29.<br />

Confronto tra due tradizioni<br />

a. Lo stile<br />

J è vero racconto. Dio è un personaggio vivo, antropomorficamente delineato, ma teologicamente<br />

profondo: è «deluso», chiude la porta dell’arca, annusa il profumo del sacrificio.<br />

Pittoresco è anche il racconto della colomba, con Noè che tende la mano e la riporta<br />

38 J.L. Ska, «Nel segno dell’arcobaleno. Il racconto biblico del diluvio (Gen 6-9)», in Idem, Il libro sigillato e<br />

il libro aperto, EDB, Bologna 2005, pp. 233-253.<br />

52


Pentateuco – Creazione<br />

all’interno. Costruisce il racconto con sensibilità: prologo celeste, ira di Dio, comando di<br />

entrare nell’arca ed esecuzione, il diluvio, la colomba, sacrificio e riconciliazione.<br />

P è preciso, stilizza la narrazione con classificazioni e numeri, in un misto di schematismo e<br />

passione per il dettaglio tecnico. Solo la descrizione del diluvio acquista una certa plasticità.<br />

Manca la colomba.<br />

b. Il diluvio<br />

In J è costituito da una pioggia persistente che determina un’alluvione di enormi proporzioni.<br />

In P è collegato alla concezione del mondo di Gen 1: il diluvio (ebraico mabbul) è causato<br />

dalle cateratte rotte e dal superamento degli argini abissali; è un ritorno al caos primitivo.<br />

Ambedue sottolineano la «giustizia» di Noè (P aggiunge l’«integrità», tamim, di sapore cultuale;<br />

richiama anche la «genealogia», tol e dot, tipica di questa fonte) e il coinvolgimento<br />

della terra nel peccato-castigo dell’uomo.<br />

c. Gen 7,1ss: costruzione ed entrata nell’arca<br />

J solo prima di entrare Noè conosce il castigo; manca il racconto della costruzione<br />

dell’arca. Il motivo può essere duplice: R ritenne sufficiente P, con cui sostituì il precedente<br />

racconto, o J intese rimarcare la fede di Noè: come Abramo crede nella parola di Dio, in futuro<br />

vedrà il segno (cf. Gen 12,1-3); si oppone alla superbia di Adamo e dei giganti (cf. prologo,<br />

Gen 6,1-4).<br />

d. Gli animali<br />

J parla di sette coppie di animali puri, solo una coppia sono gli impuri. P ha una coppia per<br />

ogni specie, puri e impuri (cf. 6,19-20 con 7,2 per la successione). Per J il sacrificio finale<br />

sarà di «espiazione» per il male dell’umanità; per P è un «sacrificio di alleanza» (Gen 9,1-<br />

17). Nel primo caso, Dio si riconcilia: non invierà più il diluvio perché «la decisione del<br />

cuore dell’uomo è incline al male» (8,21; 6,5). Nel secondo, stipula l’alleanza (berît) con<br />

l’umanità nuova, che comprende: benedizione e promessa, impegno o legge, segno<br />

(l’arcobaleno). Nasce un nuovo cosmo rappresentato nell’avvicendarsi delle stagioni.<br />

La divisione tra animali puri e impuri nei due racconti sembra in funzione anticananea: gli<br />

animali impuri erano oggetto di culti stranieri antichi o servivano ad arti magiche, oppure<br />

erano usati con funzioni igieniche che li mettevano a contatto con cadaveri.<br />

e. I giorni<br />

Il loro computo appare diverso nelle due fonti. P è molto preciso: nell’anno 600 di Noè, il<br />

17 del secondo mese è l’entrata; nel 601, il 1° del mese, l’acqua si seccò; il 27 del secondo<br />

mese, la terra fu secca (cf. 7,11; 8,13-14). Cioè, un anno e 10 giorni esatti!<br />

3. L’opera del Redattore e l’attuale narrazione<br />

Il redattore biblico dunque riprende un racconto, anzi più racconti presenti nel mondo<br />

in cui viveva, per adattarli all’impianto letterario di Gen 1-11, con l’intento di esporre un<br />

tema teologico: ciò che avviene nel “cuore” di Dio di fronte al cuore corrotto<br />

dell’umanità. Inoltre, egli pone l'enunciato attingendo a categorie che gli sono abituali: la<br />

creazione, l’esodo, la salvezza e l’alleanza.<br />

Il testo si presenta nello stile di un racconto drammatico e fantastico, ma anche molto<br />

dettagliato: offre dati e numeri, soffermandosi sui particolari, e ragguaglia con rigore sulle<br />

misure (lunghezza, larghezza e altezza).<br />

53


Pentateuco – Creazione<br />

Per interpretare il racconto è importante osservare l’inizio (Gen 6,5-7,24), la fine (Gen<br />

8,2-9,17) e il momento della svolta, che mette in moto il cambiamento (Gen 8,1). All’inizio<br />

si ripetono tre elementi che rappresentano il giudizio di Dio e la sua requisitoria profetica<br />

con accusa e sentenza, ma anche la reazione di dolore nel suo cuore e la giustizia di Noè.<br />

Alla fine Dio rinnova la promessa a tutta l’umanità: è il passaggio dal giudizio alla rassicurazione;<br />

dalla collera distruttiva alla promessa; dalla requisitoria all’oracolo di salvezza.<br />

All’inizio il cuore dell’uomo appare corrotto, alla fine Dio accetta il cuore umano com’è e<br />

si impegna: “mai più la distruzione”; anzi rinnova la benedizione e offre l’alleanza. La requisitoria<br />

mette a nudo tutto il male in funzione di un nuovo legame che avrà un segno cosmico,<br />

l'arcobaleno 39 . Tra l’inizio e la fine avviene la svolta concentrata in Dio: “si ricordò”<br />

(Gen 8,1).<br />

L’inizio anticipa il progetto di distruzione a cui segue l’esecuzione: la costruzione<br />

dell’arca, l’entrata e il diluvio. Ma poi Dio si ricorda e mette in atto la salvezza,<br />

l’antidiluvio. Alla fine Noè esce dall’arca. Vi è dunque un passaggio decisivo che segna la<br />

nuova direzione e indica il tema del racconto. In breve, il racconto va letto più dalla parte di<br />

Dio che dalla parte dell’uomo. Dio che vede, sente, parla/giudica è la chiave teologica del<br />

fatto che sta per accadere: chi cambia non è l’uomo ma Dio che, ricordandosi, supera anche<br />

la corruzione del cuore umano.<br />

3.1 – L’inizio – il giudizio divino (Gen 6,5-7,24)<br />

Ciò che mette in moto il racconto è un giudizio con accusa e sentenza. Tuttavia Dio, che<br />

vede e giudica (1), manifesta anche il suo cuore che si pente e si addolora (2); inoltre ricorda<br />

la giustizia di Noè (3).<br />

Primo momento: Dio vide. È sguardo universale, che penetra nel cuore dell’uomo:<br />

Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande e che ogni “disegno” (yecer)<br />

concepito dal loro cuore non era altro che male (Gen 6,5).<br />

yeṣer, è pensiero, volontà, decisione, il segno della libertà. 40 Lo sguardo divino era avvenuta<br />

nell’ambito del momento creativo (cf Gen 1): ogni fine giornata Dio aveva giudicato<br />

l’uomo e il mondo come “buoni”. C’era stato però un intermezzo; nel creare l’uomo<br />

si era accorto che “non è bene” (Gen 2,18), c’era qualcosa da completare; perciò aveva<br />

creato con la donna la coppia. Ora il male ha conquistato l’umanità, l’attitudine intera<br />

dell’uomo, il prodotto del suo cuore, è male. Non si spiega come esso si sia introdotto nel<br />

mondo e nell’uomo, ma ora la situazione di Gen 1,29-30 è rovesciata.<br />

Il peccato è soprattutto “violenza” (ḥāmas, 6,11), legato a Caino e alla sua discendenza,<br />

denunciato dai profeti come segno di ingiustizia e talora collegato allo spargimento di sangue.<br />

Essa regna fra tutti gli esseri viventi (kol bāśār), cioè uomini e anche animali, che saranno<br />

coinvolti nella sentenza di condanna come, alla fine, nella salvezza e alleanza.<br />

Il giudizio è racchiuso nei due verbi, “cancellare e distruggere” (mašḥît). È il ritorno al<br />

caos primitivo, l’anticreazione – la sconfitta di Dio! L'ordine della creazione è compromesso,<br />

esige una nuova creazione. La violenza e malvagità che nasce dal cuore umano<br />

coinvolge la terra, l’esito del peccato si riflette sul mondo e determina la cancellazione di<br />

ogni altra vita: la terra è corrotta e piena di violenza, perché l’uomo ha pervertito la sua<br />

condotta sulla terra; il suo peccato è distruttivo. Di riflesso, alla fine, la nuova alleanza e-<br />

39 Anche il processo in Sal 50,7: “Ascolta, popolo mio, voglio parlare, testimonierò contro di te, Israele”, è<br />

finalizzato a suscitare la conversione e la confessione, che avviene in Sal 51: il “miserere”.<br />

40 Per yeṣer, cf 1Cr 28,9; 29,18; Dt 31,21; Is 26,3; Sal 103,14; e soprattutto in Sir, per indicare l’atto di libertà. Il<br />

tema dello yeṣer ra‘, il pensiero o progetto malvagio, sarà sviluppato nel rabbinismo.<br />

54


Pentateuco – Creazione<br />

terna sarà cosmica, con l’uomo e la terra (le stagioni non saranno più interrotte, il tempo<br />

scorrerà con regolarità e così le messi); anche il segno sarà cosmico (l’arcobaleno unisce i<br />

confini della terra).<br />

Secondo momento: il cuore di Dio e dell’uomo.<br />

Non vi è solo il giudizio; l’autore mostra ciò che accade nel cuore di Dio che si pente<br />

e si addolora: è reazione interna, delusione e pentimento, sofferenza.<br />

Il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo (Gen 6,6).<br />

È il mistero di un Dio non indifferente e neutrale, che partecipa e sente come persona,<br />

che soffre vedendo la sua creazione, «buona», turbata dall'uomo malvagio. Il cuore umano<br />

perverso genera la sofferenza nel cuore di Dio che si pente e cerca consolazione, fa lutto e<br />

si addolora. L'addolorarsi - úeêeb - corrisponde ai dolori di Eva nel parto (Gen 3,16): Dio<br />

soffre come una partoriente ed emette i suoi lamenti.<br />

Sono idee non nuove. Secondo i Profeti Dio si lamenta come sposo ferito. Così Geremia<br />

(Gere 2-3). Prima che condanna è lamento del Signore con la sposa; egli soffre perché<br />

la relazione è fallita. L’annotazione è importante, perché alla fine è il cuore di Dio<br />

che trionfa. Così il profeta Osea, dopo una tremenda requisitoria, afferma che la Hesedfedeltà-lealtà<br />

di Dio, cioè il suo amore, non può venir meno (Os 11,8-9). È il trionfo<br />

dell’amore che porta Dio a tentare tutte le forme di riconciliazione e la terapia<br />

dell’incontro.<br />

Terzo momento: la giustizia di Noè come segno di speranza.<br />

Noè è l’unico saggio e giusto. L’autore usa tre espressioni: giusto e integro di fronte<br />

agli uomini, camminava con Dio; sono le qualità richieste ad Abramo (Gen 17,1). Noè<br />

concentra in sé tutta la «giustizia» e per questo tutta la «salvezza»: egli rappresenta la possibilità<br />

di un cambiamento. A lui Dio promette:<br />

Quanto è sulla terra perirà.<br />

Ma con te io stabilisco la mia alleanza (Gen 6,17-18).<br />

Dio rende partecipe Noè del suo piano. Non vi è qualche contraddizione? Dio farà<br />

un’alleanza con Noè e distruggerà l’umanità che ha creato? Tuttavia, la Bibbia vuole ricordarci<br />

anche che la giustizia potrà salvare il mondo. La frase richiama per contrasto<br />

l’episodio di Mosè sul Monte quando sente il tumulto nell’accampamento, le grida del tradimento<br />

davanti al vitello d’oro. Però quando Dio minaccia:<br />

Ho osservato questo popolo,… lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga.<br />

Di te invece farò una grande nazione (Es 32,9-10).<br />

Mosè invoca:<br />

Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato…<br />

se no, cancellami dal libro che hai scritto (Es 32,32).<br />

Per questa solidarietà ci ha rimesso la vita e non è arrivato alla terra, ma ha salvato il<br />

popolo e gli ha aperto la strada, ricordando a Dio: «questo è il tuo popolo». Qui non è<br />

l’arcobaleno che ricorda a Dio la sua misericordia, ma l’uomo solidale con gli altri. Dicendo<br />

a Mosè: “Lascia che la mia ira si accenda”, Dio vuole mostrare all’uomo le sue<br />

possibilità. Invocazione e giustizia non sono per se stessi, ma per gli altri, per tutti. Con<br />

Noè, di fatto, manca l’intercessore.<br />

3.2 – Il centro: dal castigo alla salvezza<br />

Al centro del racconto è il Dio che ama e vuole, “ricorda”: allora avviene la svolta decisiva<br />

che mette in moto la salvezza.<br />

Dio si ricordò di Noè, di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui<br />

nell’arca. Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono (Gen 8,1).<br />

55


Pentateuco – Creazione<br />

È sempre Dio il protagonista e l’iniziatore: il ricordo di Dio, la sua attenzione a Noè, è<br />

alla base della salvezza; alla fine, si ricorderà dell’alleanza e ne guarderà il segno. Alcuni<br />

Salmi lo richiamano (Sal 105,11; 13,1), ma soprattutto Es 2,24; 3,7-10: Dio si ricorda, ascolta<br />

le sofferenze del suo popolo e mette in moto la liberazione dall’Egitto. Così ora non<br />

abbandona il suo progetto sulla creazione. Essa sembra andare come vuole, frammista al<br />

caos. Ma Dio non abbandona la sua opera, ripropone la promessa e la benedizione-alleanza.<br />

Allora il movimento si inverte. Nell’inondazione, significata nei verbi (cf Gen 7,17-24),<br />

le cateratte si erano aperte, il diluvio perdurava, le acque erano cresciute, si erano innalzate<br />

era stato sterminato ogni essere e le acque erano rimaste alte [l’arca però galleggiava, quindi<br />

l’uomo, che già aveva dominato il ferro e gli animali, comincia a dominare anche le acque].<br />

Da Gen 8,1b, il diluvio inverte il suo corso: le acque si abbassarono, le fonti<br />

dell’abisso e le cateratte furono chiuse [ritorniamo al terzo giorno dove Dio, dopo aver fatto<br />

il raqìá‘, fa apparire la terra e toglie le acque], fu trattenuta-cessa la pioggia. Il processo è<br />

lento, ma decisivo. Se Dio si ricorda per l’uomo viene la vita, se Dio si dimentica e volge<br />

altrove il suo volto, l’uomo muore.<br />

Alla fine l’arca si posò (ebr. waTTäºnaH, 8,4) sulla terra (i monti dell'Ararat). Il contatto<br />

con la terra è già salvezza. è lo stesso verbo di Gen 2,15 (Dio «posa» l’uomo nel giardino di<br />

Eden). Il gesto rammenta la salvezza legata alla «terra», dono di Dio. Similmente, «il vento»<br />

sulla terra (8,1) richiama il vento che asciuga le acque del mar Rosso (Es 14,21).<br />

Quindi, il Signore, ripete la benedizione della fecondità e ordina: «esci!», unito al sacrificio<br />

(8,15-17). Noè deve uscire e sacrificare, come Mosè e il popolo devono uscire per sacrificare<br />

a JHWH nel deserto, sul monte del Signore (è il segno dato a Mosè al momento della<br />

vocazione, Es 3,7ss).<br />

È un primo Esodo. Immagini e linguaggio, infatti, riflettono il medesimo schema: il ricordo<br />

di Dio, il posarsi sulla terra, il vento sul mare (dove sia Israele che Noè passano indenni),<br />

l’uscita e il sacrificio, la benedizione e la fecondità. La salvezza è descritta sul modello<br />

dell’esperienza tipica di Israele. Il sacrificio che segna il culto predispone il Signore<br />

alla misericordia e pazienza. Esodo e diluvio nel NT diventano “tipo” del battesimo (1Pt<br />

3,20-21).<br />

Riassumendo, la narrazione assume una forma chiastica:<br />

a. 6,13-7,16: Noè entra nell’arca e l’uomo impara a dominare l’acqua;<br />

b. 7,17-24: il diluvio riporta al caos primitivo;<br />

b’. 8,1b-5.6-14: ritorna l’ordine con il vento (cf Gen 1,2), le sorgenti e le acque<br />

(1,6-7; 1,9); alla fine l’arca “si posa” (8,4) e la terra diventa asciutta (8,14; cf<br />

Gen 1,9-13);<br />

a’. 8,15-19: Noè esce dall’arca, utilizza gli animali e se ne prende cura (li domina e li<br />

pone a suo servizio, cf Prov 6,6-8). L’uscita decreta l’esodo di Noè. Un mondo<br />

nuovo – una nuova creazione – si affaccia nel primo giorno, il primo dell’anno solare<br />

(cf Gen 1,1-3: in tutto il diluvio dura 365 giorni?): il tempo riprende con le<br />

stagioni e tutti gli spazi ritornano in ordine.<br />

3.3 – Finale del racconto – La nuova creazione (Gen 8,20-9,17)<br />

La nuova realtà, con la nascita di una nuova umanità, si attua in tre momenti: due promesse<br />

e il segno dell’alleanza nell’arcobaleno.<br />

Prima promessa (Gen 8,20-22)<br />

Noè esce dall’arca e offre olocausti, ossia sacrifici espiatori. Come Caino e Abele, offre<br />

gli animali mondi che ha davanti e Dio annuncia la prima promessa, in due tempi.<br />

56


Pentateuco – Creazione<br />

Promessa negativa: «Mai più!»<br />

Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché l’istinto/l’intimo (yeṣer) del cuore umano<br />

è incline al male fin dall’adolescenza (Gen 8,21).<br />

“Non maledirò più”: è il primo “non più” (cf poi 9,11.15); non più distruzione, non più<br />

le acque del diluvio per distruggere ogni carne, che si oppone alla condanna di Adamo (Gen<br />

3,17; 4,10-12). L’adolescenza è il momento in cui un uomo è capace di prendere decisioni:<br />

fin dal momento in cui diventa adulto egli mostra la sua corruzione; diviene cosciente e responsabile,<br />

ma nel momento stesso, di fatto, compie scelte in opposizione a Dio. Alla fine<br />

del diluvio il giudizio sul cuore dell’uomo permane negativo (8,20-22). Ma ora Dio accetta<br />

di camminare con lui e pazientare. Tutto dipende dalla sua grazia, il culto di Noè lo predispone<br />

alla clemenza.<br />

Potrà Dio cambiare il cuore dell’uomo? o l’uomo, immagine di Dio, continuerà a straziare<br />

il cuore di Dio? Nella nuova alleanza il Signore promette di cambiare il cuore<br />

dell’uomo. Ezechiele annunzia il cuore nuovo e lo spirito nuovo (Ez 36,25-27, cf Sal 51).<br />

Geremia vede che il cuore dell’uomo è infido, anzi il male è scolpito in esso con uno scalpello:<br />

è una specie di tavola sulla quale viene incisa la parola peccato; Dio promette di cancellare<br />

il peccato e scrivervi la Tôrah-Legge (Ger 31,31-34). Allora dall’interno del suo<br />

cuore l’uomo sarà in grado di riconoscere Dio e di mettere in pratica l'alleanza. Per fare ciò,<br />

Dio accetta questo uomo.<br />

Promessa positiva: è ristabilito il tempo ciclico, la regolarità delle stagioni:<br />

Finché durerà la terra,<br />

seme e messe,<br />

freddo e caldo,<br />

estate e inverno,<br />

giorno e notte non cesseranno (Gen 8,22).<br />

Il regolare susseguirsi delle stagioni permette di seminare e di raccogliere. La promessa<br />

è rinnovata nei profeti per rappresentare il futuro tempo di pace:<br />

Ecco verranno giorni in cui che ara s’incontrerà con chi miete<br />

e chi pigia l’uva con chi getta il seme… (Am 9,13).<br />

Potranno essere raccolte messe e uva, si potrà mangiare e bere. La regolarità del ciclo<br />

stagionale con i frutti rappresenta la pacificazione tra Dio, l’uomo e il cosmo (cf Sal 84).<br />

La promessa contrasta con Gen 6,5-12.<br />

Seconda promessa: la nuova creazione (9,1-7)<br />

In Gen 9,1-7 Dio annuncia una “nuova creazione”, operativa come la prima. La proclamazione<br />

assume la forma di un “decreto regio”: appare la terra asciutta e riprende la vegetazione<br />

con il ritmo delle stagioni (8,14.22); sono rinnovati la benedizione, perché il resto<br />

dell’umanità rinnovi la potenza generatrice di Adamo (cf. Gen 1,26ss) a cui partecipano tutti<br />

gli esseri animati (8,17), e il dominio dell’uomo sul mondo (9,1-3) con la promessa che<br />

Dio non distruggerà più nessun vivente né maledirà il suolo a causa dell'uomo (8,21; 9,8-<br />

11), «perché la decisione – yecer – del cuore umano è incline al male» (8,21, cf 6,5); segno è<br />

l'arcobaleno (9,12-17). Dopo il caos, la storia riprende con la nuova umanità. E l’uomo resta<br />

immagine di Dio; potrà offuscarla con il peccato, ma rimane immagine.<br />

Ci sono però delle novità. Il dominio dell’uomo sugli animali non sarà pacifico: questi<br />

avranno “terrore” di lui (9,2). Inoltre, sono poste due limitazioni al potere umano: è vietato<br />

consumare il sangue degli animali (la vita è di Dio) e versare il sangue del fratello. Al Signore<br />

che lo interrogava: «Dov’è tuo fratello? (Abele)», Caino rifiuta di riconoscerlo:<br />

«Non [lo] (ri)conosco (lö´ yädaº`Tî).<br />

Sono forse il custode di mio fratello, io?» (Gen 4,9).<br />

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Pentateuco – Creazione<br />

Ora Dio replica: «Chiederò conto a te» (Gen 9,5). Superato l'egocentrismo che oppone gli<br />

uni agli altri, ciascuno è custode-šômēr del fratello, non indifferente od ostile, né estraneo<br />

o aggressore, al punto di eliminare l’oppositore, vero o presunto.<br />

Gen 9,6 ripete l’obbligo e la motivazione in forma poetica.<br />

Chi sparge il sangue dell’uomo<br />

dall’uomo il suo sangue sarà sparso,<br />

perché ad immagine di Dio Egli ha fatto l’uomo.<br />

Come leggere: «Chi sparge il sangue dell’uomo dall’uomo il suo sangue sarà sparso»? È<br />

la legittimazione della pena di morte? Certamente no! Infatti, lo stile riflette più un proverbio<br />

che una legge. La legge del contrappasso è il riflesso di un’esperienza: la violenza genera<br />

violenza; perciò, occorre educare l’uomo a non sviluppare violenza, perché «chi sparge il<br />

sangue il suo sangue sarà sparso». È un pericolo come lo era per Caino, presso il quale la<br />

vendetta aumenta in modo esponenziale: se il padre si vendica sette volte, Lamech, il figlio,<br />

la moltiplica settantasette volte (Gen 4,24). Il racconto mette in guardia dalla violenza<br />

(ḥāmas) senza freni che rimetterebbe in atto la distruzione (cf Gen 6,11). Lo stesso sacrificio<br />

cultuale, con l’uccisione degli animali, sembra voler incanalare e limitare questa tremenda<br />

tendenza dell’uomo.<br />

Il segno – Alleanza cosmica ed eterna (Gen 9,8-17)<br />

La promessa è coronata dall’alleanza con i discendenti degli uomini, ma anche con tutti<br />

gli animali e il mondo. È detta berît (impegno), ma è unilaterale: Dio impegna se stesso. È<br />

alleanza cosmica e universale che abbraccia tutta la creazione e ne rivela l’unità. Anche il<br />

segno (´ô|t-haBBürît) è cosmico, l’arcobaleno che si estende da un orizzonte all’altro.<br />

È promessa e memento per Dio (wüzäkarTî ´et-Bürîtî): la memoria e la fedeltà di Dio<br />

salveranno il mondo. L’arco non è più teso contro il nemico, per colpirlo, ma in fase di riposo,<br />

in segno di pacificazione. Esso resta come memoria anche per l’uomo che vi riconosce<br />

la misericordia di Dio.<br />

È alleanza eterna: non sarà più revocata (vv.11.15) ed è proiettata nel futuro, a testimonianza<br />

dell’eterna misericordia divina (Kî lü`ôläm Hasdô, come recita un celebre ritornello<br />

dei Salmi, cf Sal 136). A questa alleanza si riferisce la «nuova alleanza», «eterna e nel<br />

cuore», intuita e promessa da Geremia (32,30, cf. 31,31-34; 24,5-7). All’alleanza originaria,<br />

«celeste», fanno appello anche alcune tradizioni profetiche (cf Os 2,18-23) e giudaiche sulla<br />

Pentecoste (festa del «rinnovamento dell’alleanza», Giubilei 6,17).<br />

4 – Significato del racconto<br />

4.1 - L’autore biblico vuole mostrare che la violenza e la malvagità insite nell’intimo del<br />

cuore umano sono le cause del diluvio. Esse minacciano l’esistenza del cosmo. Ma, usando<br />

le categorie di Israele, mostra che la salvezza del mondo va oltre il castigo e si avvera in<br />

forza del cuore di Dio. È Dio che cambia. L’uomo resta con il cuore pieno di malizia e continua<br />

a procedere tra bene e male. Il racconto offre la visione di un Dio ferito nel cuore: egli<br />

si pente e soffre, cerca consolazione (nīḥam). Se l’uomo e il cosmo continuano ad esistere è<br />

grazie alla giustizia di Noè e alla grazia di Dio, alla sua alleanza con Noè e al culto che Noè<br />

rende mediante il sacrificio. Appare un legame tra l’iniziativa divina e la collaborazione<br />

umana: se l’universo sussiste è opera dell’amore di Dio, ma non può sopravvivere senza il<br />

contributo degli uomini.<br />

Riuscirà Dio a cambiare anche il cuore dell’uomo? La “nuova alleanza” contiene la<br />

promessa di una nuova creazione nel cuore (Ger 34,31-34; Ez 36,25-27). In Gen 9,1-7 è<br />

rinnovata la benedizione di Dio sull’umanità e la creazione. Perciò, questi racconti si devo-<br />

58


Pentateuco – Creazione<br />

no leggere non come un passato esaurito, ma come una proiezione verso il futuro, il progetto<br />

rinnovato di Dio che pazienta di fronte al cuore dell'uomo malvagio e vi cerca rimedio<br />

coinvolgendo l’umanità giusta in un percorso diverso perché essa può ancora cambiare e<br />

salvare il mondo.<br />

4.2 - Il racconto manifesta la necessaria solidarietà tra l’umanità e il cosmo: il peccato è distruzione.<br />

A causa dell'uomo la creazione rischia la cancellazione, ma l’uomo giusto porta<br />

salvezza. Egli deve essere a servizio di Dio mediante il dovuto culto e coltivando la terra<br />

(`abad, “lavorare” e “servire-dare culto”). Mentre Caino compie un esodo alla rovescia,<br />

percorre una via diversa da quella di Dio: «Uscì dal volto di Dio e abitò nella terra di Nod»,<br />

moltiplicando la violenza mediante la vendetta, Noè torna a “camminare con/davanti a Dio”<br />

(6,8; così farà anche Abramo, Gen 17,1), e quando “esce” dall’arca, offre sacrifici per dargli<br />

culto. Si prende cura degli animali ed è disposto a rendere conto a Dio della vita<br />

dell’uomo (legge del sangue). Diventa “custode” (šōmēr) della realtà che gli è affidata, autentico<br />

“servo” di Dio (‘ebed) e “consolazione” dell’umanità. Allora troverà “riposo”(nû a Ð),<br />

realizzando il significato insito nel suo nome, Nô a Ð.<br />

4.3 - La narrazione vuole anche condurre il lettore (singolo e comunità) verso una nuova<br />

comprensione della natura del mondo e della sua collocazione in rapporto a Dio. Non il<br />

caos sarà l’ultima parola, ma la parola di Dio che “ricorda” il suo patto con l’umanità.<br />

Egli non cede il suo dominio, ma continua a regnare sul mabbûl-diluvio (Sal 29,10), anche<br />

quando altre forze sembrano prevalere; sempre “ricrea” e compie cose nuove, per superare<br />

il disordine dettato dal peccato e realizzare il progetto originario (cf Sap 1,12-14;<br />

2,23-24). Il Creatore è anche Redentore e Salvatore nella storia, tema particolarmente caro<br />

a Isaia (cf Is 40-55), ma sviluppato soprattutto nell’azione di Cristo nel NT. Un simile<br />

messaggio scaturisce anche dall’Apocalisse che proclama e visualizza il giudizio sui poteri<br />

disumanizzanti del male per mettere in guardia i lettori, perché non soccombano alle<br />

loro pressioni, ma restino come presenza critica e testimoniante del regno di Dio nel<br />

mondo. E afferma che la storia è nelle mani di Cristo, Agnello immolato e risorto, nel<br />

momento in cui questa sembra sfuggire al potere divino.<br />

5 – Schemi letterari per interpretare il significato teologico<br />

Tre schemi o categorie letterarie e teologiche confluiscono nel racconto per interpretare<br />

e rappresentare il diluvio: la creazione, la liberazione e salvezza dell’esodo, l’alleanza.<br />

5.1 - Lo schema dell’alleanza. È la linea del deuteronomista che parla di peccato, giudizio e<br />

salvezza; ma soprattutto è la linea profetica. Nel già citato Os 11,1-9, i vv.1-7 ricordano<br />

l’amore di Dio per il figlio (Israele) che ha curato, ha cercato di far crescere, ha educato<br />

mettendolo sulle ginocchia; ma egli si è dimenticato del Padre. Tuttavia, il giudizio non si<br />

conclude con la maledizione. Dio afferma: «io sono un Dio misericordioso e fedele» (vv.8-<br />

9). Perciò, il cuore di Dio - la sua volontà e i suoi progetti - è orientato alla salvezza<br />

dell’umanità. Egli si ricorda della sua alleanza e il primo segno è precisamente quell’arco<br />

cosmico che ricorda a Dio il patto con la sua creatura e sarà per l’uomo un memoriale del<br />

cuore di Dio misericordioso.<br />

5.2 - La salvezza viene descritta anche come nuova creazione. Il ricordo di Dio mette in<br />

moto il vento (come all’inizio il vento si librava sulle acque, Gen 1,2) che ora prosciuga le<br />

acque; e dalle sorgenti chiuse dell’acqua emerge l'asciutto (la yabbašah del terzo giorno<br />

della creazione) e la terra comincia a coprirsi di vegetazione, mentre le stagioni proseguono<br />

secondo il ritmo ciclico: riprende la vita e ritorna lo splendore del paesaggio. Dio guardando<br />

all’umanità rinnova la benedizione, riconosce che anche nel peccato l’uomo resta sua<br />

59


Pentateuco – Creazione<br />

immagine, e gli restituisce il potere, benché sia consapevole che è sempre pericoloso; chiede<br />

perciò di limitare la violenza, di darsi delle leggi, di educarsi perché la violenza è sempre<br />

accovacciata ai piedi di Caino che, nella sua ira, può versare il sangue e uccidere e allontanarsi<br />

dal volto di Dio; ma il sangue griderebbe e invocherebbe giustizia davanti al volto Dio<br />

(Gen 4,5).<br />

5.3 - La salvezza dell’Esodo con il passaggio del mare sono letti come nuova creazione (tale<br />

significato è presente nel racconto di Es 14). L’Esodo pone all’inizio dell’opera di liberazione<br />

il “ricordo” di Dio: «Dio si ricordò del popolo». Allora Israele potrà “uscire” dal paese<br />

d’Egitto, riprendere la libertà e nella sua terra “riposare”, in armonia con il nome di Noè:<br />

l’arca “si posò”, trovò riposo sulla terra (nûáH, Gen 8,4). Il vento che Dio fa passare sulle<br />

acque del diluvio per prosciugarle è simile a quello che prosciuga le acque del mare e fa<br />

apparire l’asciutto, dove sia Noè che Israele passano indenni. Infine, compito dei liberati sarà<br />

di “uscire per sacrificare” al Signore, come ripete Mosè: «Permettici di uscire da questa<br />

terra per andare ad offrire sacrifici nel deserto» (cf Es 5,1). Così Noè, esce dall’arca e offre<br />

il sacrificio al Signore, ricevendone benedizione e fecondità.<br />

La terminologia del racconto del diluvio richiama dunque la liberazione dell’Esodo e il<br />

passaggio del Mar Rosso: Dio che si ricorda, il vento che asciuga l’acqua, l’arca che si posa,<br />

l’uscire per dare culto, non solo riproducono la nuova creazione, ma compiono anche il<br />

primo esodo.<br />

6 – Il diluvio nella Bibbia<br />

Il Salmo 29 ricorda che Dio siede re per sempre sul mabbul, cioè “il diluvio”:<br />

Il Signore tuona sulle acque, il Dio della gloria scatena il tuono,…,<br />

il Signore è assiso sul diluvio (nuova traduzione Cei “tempesta”),<br />

il Signore siede re per sempre” (Sal 29,3.10).<br />

Il mabbul è l’oceano celeste, formato dalle acque che circondano la terra; per<br />

questo Dio aveva separato le acque sopra e le acque sotto il cielo; il diluvio era consistito<br />

nella rottura delle acque del firmamento e delle sorgenti riportando il mondo nel caos.<br />

Quando le acque spariscono ritorna il cosmo e Dio mantiene la sua promessa iniziale.<br />

L’idea del diluvio come castigo e salvezza è presente anche in Ez 14,12-20, dove Dio<br />

per amore salverà (parla al cuore). Soprattutto in Os 11,1-9 è l’amore di Dio, la sua fedeltà,<br />

che salva l’uomo, è la grazia non la sua buona volontà.<br />

In Isaia 40-55, il profeta parla agli esiliati e descrive la nuova creazione nella storia. Lo<br />

schema del nostro racconto resta sullo sfondo. Is 45,18-19 si pone il problema del caos: Dio,<br />

per bocca del profeta, cerca di convincere Israele che l’esilio non è un fallimento e si appella<br />

alla creazione. Israele continua a ripetere:<br />

Dio ci ha abbandonato, Dio ci ha dimenticato (Is 49,14).<br />

Risponde il profeta che Dio non ha dimenticato, ma si commuove come una madre per il<br />

suo bambino (49,15, cf vv.16-23). Solo per un momento ha respinto, ma con amore eterno<br />

riprenderà. L’appello al diluvio ribadisce l’alleanza eterna (cf anche Os 2,20.23-24 e la ripresa<br />

del ritmo delle stagioni).<br />

Per un breve istante ti ho abbandonata,<br />

ma ti riprenderò con immenso amore.<br />

In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto;<br />

ma con affetto perenne ho avuto pietà di te,<br />

dice il tuo redentore, il Signore.<br />

Ora è per me come ai giorni di Noè,<br />

quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra;<br />

60


Pentateuco – Creazione<br />

così ora giuro di non adirarmi con te e di non farti più minacce.<br />

Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero,<br />

non si allontanerebbe da te il mio affetto,<br />

né vacillerebbe la mia alleanza di pace;<br />

dice il Signore che ti usa misericordia (Is 54,9-17).<br />

In Isaia 24-27 – apocalisse – castigo e salvezza sono rappresentati nel simbolo dominante<br />

del diluvio con i motivi annessi: l’apertura delle cateratte (24,18), l’annegamento<br />

dell’empio (25,11), il rifugio per i giusti (26,1ss la città forte e 26,20: “chiudi la porta dietro<br />

di te” cf. 7,16), la ripresa della vegetazione su una terra purificata e feconda, rifiorisce anche<br />

il popolo (27,2ss, cf. 26,14ss).<br />

Nel NT abbiamo alcuni richiami.<br />

Gesù si appella al tempo di Noè in cui la gente viveva con incoscienza, incapace di leggere<br />

i segni dei tempi, mentre bisogna saper leggere la storia con fede (Lc 17,20-35).<br />

La prima lettera di Pietro (1Pt 3,17-21) raffronta tipologicamente diluvio e battesimo: allora<br />

solo otto persone si salvarono; ora «ciascuno di voi, mediante l’invocazione di Dio<br />

(eperótema ricorda la promessa battesimale con la rinuncia al demonio e il credo) siete<br />

liberati dal male». Così i Padri, nelle catechesi battesimali, uniranno il passaggio del<br />

Mar Rosso e il diluvio.<br />

Infine in 2Pt 3,5-7, nei tempi finali, i tempi della purificazione, si passerà dal primo diluvio,<br />

mediante l’acqua, all’ultimo diluvio, quello del fuoco, con il quale Dio porterà in<br />

giudizio e condannerà gli empi, ma i giusti sfuggiranno come al tempo di Noè per abitare<br />

nel mondo nuovo in cui regna la giustizia.<br />

EXCURSUS – APPENDICE<br />

1 – ALLEANZA E ALLEANZE<br />

Il redattore del Pentateuco vede la storia ritmata da una seri di alleanze culminanti in<br />

quella mosaica (diversamente, in altri libri e tradizioni, come Siracide, resta fondamentale<br />

quella di Noè). Tutte hanno il medesimo scopo, realizzare la reciprocità tra Dio e l’umanità,<br />

rappresentata nella formula: «Io sono il vostro Dio, voi siete il mio popolo». A ognuna corrisponde<br />

un intervento salvifico, una rivelazione, un segno, una legge.<br />

• La creazione: Dio «trae dalla terra» l’uomo e lo «pone» nel giardino (dono, Gen 2,15)<br />

perché lo coltivi e custodisca (come Israele deve custodire e osservare la Legge); segue<br />

un comandamento specifico: «mangerai... non mangerai» (2,16-17).<br />

• Noè (Gen 9): è alleanza (berit) con tutta l’umanità salvata dal Diluvio, e si riversa su<br />

tutto il cosmo (ritmo delle stagioni); Dio si rivela come ’elohim; ha un segno cosmico,<br />

l’arcobaleno, e la legge del sangue (= vita), che Dio riserva a sé.<br />

• Abramo (Gen 15 e 17): Dio lo fa uscire dalla terra, si rivela come ’El Shadday e si impegna<br />

nel patto con la discendenza (il «popolo» di Abramo, benedizione); dà per segno<br />

la circoncisione (fecondità, dinastia) e per legge: «cammina alla mia presenza con lealtà»<br />

(Gen 17,1).<br />

• Mosè: Dio «fa uscire» dall’Egitto e dona la terra; rivela il suo «Nome», JHWH; lascia<br />

come impegno la Legge (Decalogo e Codice) e come segno la circoncisione, le prescrizioni<br />

alimentari (puro e impuro), il sabato. Sarà rinnovata nel paese di Moab (Dt 28,69)<br />

e a Sichem (Gs 24,1-28).<br />

61


Pentateuco – Creazione<br />

• Davide: l’alleanza mosaica riceverà un ulteriore segno nella regalità. È l’alleanza con<br />

la dinastia. Il re è il «Messia-Consacrato» (greco ×ñéóôüò), simbolo e rappresentante,<br />

mediatore dell’alleanza (cf 2Sam 7).<br />

• La nuova alleanza: le ripetute infedeltà e l’esilio proiettano nel futuro verso una nuova,<br />

eterna alleanza, con un’umanità nuova: sarà una «nuova creazione», relativizzando<br />

le vecchie istituzioni (regalità e sacerdozio) rivelatesi inefficaci (cf Is 55,1ss, alleanza<br />

davidica con tutto il popolo; Ger 31,31-34; Ez 36). La prospettiva sembra restare<br />

nell’ambito storico, anche se idealizzato. Avrà i seguenti caratteri: a) perdono universale<br />

dei peccati; b) legge scritta nell’intimo, cuore nuovo e nuovo spirito; c) formula di<br />

alleanza realizzata (31,33) in reciprocità totale tra JHWH e il suo popolo; d) la conoscenza<br />

di Dio, chiave dell’esistenza religiosa, sarà estesa a tutti, senza passare attraverso<br />

la mediazione di un insegnamento.<br />

Il NT vede realizzata l’alleanza nuova nel sangue redentore di Cristo riversato sui credenti<br />

mediante il battesimo (1Pt 1,1-3); egli rivela il Padre e realizza l’esodo definitivo, la<br />

nuova creazione, l’uomo nuovo. Ogni credente, inserito in Cristo per la fede e il battesimo,<br />

è costituito “nuova creatura”: è già nell’aleanza, ma non ancora arrivato. Sotto la guida di<br />

Gesù nuovo Mosè e Messia-Cristo, cammina nella speranza e carità, verso la terra definitiva,<br />

il Regno di Dio. Allora sarà superata la morte, «l’ultimo nemico», e Dio sarà «tutto in<br />

tutti» (1Cor 15). Paolo parla dell’amore diffuso in noi per mezzo dello Spirito (Rom 5,5), il<br />

quale ci attesta che siamo «figli» di Dio e permette una vita «nello Spirito».<br />

La nuova alleanza, come al tempo di Noè, coinvolge il mondo intero: con la forza dello<br />

Spirito tutto il mondo, insieme all’umanità, “geme” in attesa della definitiva liberazione<br />

dalla corruzione e della nuova creazione (Rom 8).<br />

2 – La questione del “peccato originale”. Riflessioni teologiche. 41<br />

Riccardo Battocchio (Facoltà Teologica del Triveneto – Padova)<br />

1. Un apprezzamento e un disagio.<br />

Vorrei anzitutto dichiarare il mio apprezzamento per la scelta, non scontata, di inserire<br />

l’intervento di un insegnante di “teologia sistematica” nel programma di una settimana<br />

“biblica”. Mi è capitato più di una volta di sentire discorsi del tipo: «Lo studio della Bibbia,<br />

questo sì è utile per approfondire la fede; la teologia, con tutti i suoi ragionamenti,<br />

serve a poco». La contrapposizione fra esegesi biblica e teologia sistematica è piuttosto<br />

sterile. L’una e l’altra concorrono – ciascuna con i propri metodi e strumenti di lavoro –<br />

all’intelligenza della Rivelazione storica di Dio.<br />

Detto questo, non nascondo il disagio che mi ha accompagnato nella preparazione di<br />

questo intervento. Mi sono chiesto, fin dall’inizio: era proprio il caso di inserire il tema del<br />

“peccato originale” nella settimana dedicata a Genesi 1-11? Non si rischia di perpetuarne<br />

una rappresentazione che ormai ha rivelato tutti i suoi limiti?<br />

C’è infatti consenso, fra esegeti e teologi, nel rilevare come non si possa ricorrere a Gen<br />

3 per “fondare” formalmente il dogma del peccato originale. Se proprio si voleva affrontare<br />

tale questione in rapporto alla Bibbia, sarebbe stato più opportuno inserirla nella settimana<br />

sulla lettera ai Romani: non tanto perché Rm 5 “fondi” qualcosa, quanto perché è il testo<br />

scritturistico privilegiato nelle formulazioni del dogma proposte autorevolmente dal magi-<br />

41 Intervento alla X Settimana biblica diocesana di Padova – Torreglia, 25 - 29 agosto 2003.<br />

62


Pentateuco – Creazione<br />

stero ecclesiale, in quella del concilio di Cartagine (418) e in quella del concilio di Trento<br />

(1546).<br />

Non si può tuttavia fare a meno di riconoscere il carattere quasi spontaneo<br />

dell’associazione “peccato originale” - Genesi 3. Quando una persona nata in un contesto<br />

di tradizione cristiana sente parlare di “peccato originale”, è difficile che non si trasferisca<br />

idealmente nel giardino di Eden, con Adamo, Eva, gli alberi, il serpente e tutto quello<br />

che segue. D’altra parte, è ben diffusa la tendenza – poco riflessa e meno ancora motivata<br />

– a dare al terzo capitolo del Genesi il titolo di “racconto del peccato originale”. La<br />

teologia latina, sulla scia del pensiero di sant’Agostino, l’arte figurativa dell’Occidente e<br />

la catechesi tradizionale ci spingono con forza in questa direzione.<br />

Associare troppo direttamente “peccato originale” a Gen 3 significa impantanarsi in<br />

tutta una serie di equivoci o di falsi problemi, riconducibili in buona parte all’incapacità<br />

di distinguere il “contenuto” della dottrina, dalle “formulazioni” con cui viene espresso.<br />

Tali equivoci non solo provocano una reazione di rigetto in quanti hanno preso le distanze<br />

dall’orizzonte culturale pre-moderno, ma rischiano di offuscare la verità e la bellezza<br />

della buona notizia cristiana. La dottrina del “peccato originale” è “vangelo”, buona notizia:<br />

di questo la testimonianza della Chiesa, nelle sue varie forme, dovrebbe essere preoccupata.<br />

2. La formulazione del dogma<br />

Non posso soffermarmi sulle vicende che, nella storia della Chiesa cattolica, hanno<br />

provocato e accompagnato l’elaborazione di un insieme di dottrine riferite al “peccato originale”.<br />

Ricordo solo che il magistero della Chiesa è intervenuto a questo riguardo in<br />

particolari circostanze ecclesiali e culturali al fine di salvaguardare l’autenticità<br />

dell’annuncia cristiano. Una prima volta, all’inizio del V secolo, nel contesto della crisi<br />

provocata dal movimento “pelagiano” 42 , una seconda volta, alla metà del XVI secolo, nel<br />

confronto con la Riforma protestante 43 .<br />

Il dogma, come si sa, ha in genere una funzione “difensiva”: riconduce entro certi limiti<br />

l’interpretazione del deposito della Rivelazione. In questo modo però costringe a<br />

non restare bloccati, ma a muoversi nella direzione da esso indicata, ricordando che l’atto<br />

di fede non si rivolge alla “formula” ma alla realtà a cui si riferisce (a Dio stesso) 44 .<br />

Per non restare troppo nel vago, possiamo leggere un passaggio centrale del decreto del<br />

Concilio di Trento sul “peccato originale” (17 gennaio 1546):<br />

«Se qualcuno afferma che questo peccato di Adamo, che è uno solo per la sua origine<br />

e, trasmesso mediante la generazione, e non per imitazione, a tutti, inerisce a<br />

ciascuno come proprio, può essere tolto con le forze della natura umana, o con altro<br />

rimedio, al di fuori dei meriti dell'unico mediatore, il Signore nostro Gesù Cristo<br />

che ci ha riconciliati con Dio nel suo sangue [cf. Rm 5,9s], “diventato per noi<br />

giustizia, santificazione e redenzione” [1Cor 1,30]; o nega che lo stesso merito di<br />

42 L’insegnamento del monaco Pelagio e dei suoi discepoli mirava a difendere la bontà della creazione, la libertà<br />

dell’uomo e la sua capacità di impegno ascetico. Rischiava però di ridurre Gesù Cristo a un “buon esempio”<br />

e la grazia di Dio a una serie di aiuti “esterni” all’uomo.<br />

43 I Riformatori (Lutero, Calvino, Zwingli) erano preoccupati di annunciare l’assolutezza dell’agire salvifico<br />

di Dio, evidenziando l’incapacità per l’uomo, corrotto radicalmente dal peccato, di contribuire alla sua salvezza.<br />

44 Con le parole di san Tommaso d’Aquino: «actus autem credentis non terminatur ad enuntiabile, sed ad<br />

rem» (Summa Theologiae II-II, q. 1, a. 2 ad 2 um ).<br />

63


Pentateuco – Creazione<br />

Gesù Cristo sia applicato tanto agli adulti che ai bambini mediante il sacramento<br />

del battesimo amministrato secondo la forma e l’uso della chiesa: sia anatema.<br />

Perché “non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabi1ito<br />

che possiamo essere salvati” [At 4,12]. Da qui deriva l'espressione: “Ecco l’agnello<br />

di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” [Gv 1,29] e l’altra: “Tutti voi che<br />

siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo” [Gal 3,27]» 45 .<br />

L’insegnamento del concilio è formulato “in obliquo”, cioè condannando una dottrina<br />

errata. Se lo “raddrizziamo”, vediamo bene quale sia l’affermazione che si intende proporre<br />

come vincolante: in Gesù Cristo, e solo in lui, è rimesso “il peccato di Adamo”,<br />

quel peccato di cui si dice che è uno “solo per la sua origine” (non è il peccato personale<br />

di Adamo “imputato” ai suoi discendenti), non è riconducibile a un cattivo esempio (come<br />

volevano i pelagiani) ma coinvolge tutti gli uomini per il fatto di nascere in questo<br />

mondo (per “generazione”, da non intendere come “causa”, quanto come condizione), è<br />

proprio di ciascuno (coinvolge la libertà, la volontà della persona).<br />

Ognuna delle parole del decreto dovrebbe essere analizzata nel contesto, ma non è il caso<br />

di procedere oltre. Non è nemmeno il caso di passare in rassegna le numerose interpretazioni<br />

della dottrina del “peccato originale” proposte, in ambito cattolico, a partire dagli anni<br />

’50 del Novecento. Anche volendo mettere da parte le tesi più radicali (A. Vanneste, A.<br />

Villalmonte: l’uno e l’altro ritengono che sia possibile e doveroso annunciare il messaggio<br />

cristiano senza ricorrere alla dottrina del peccato originale), restano numerosi i tentativi di<br />

re-interpretare la dottrina tradizionale facendo attenzione al linguaggio e ai problemi della<br />

nostra tarda (o post-) modernità (da P. Teilhard de Chardin, a E. Drewermann, a R. Girard).<br />

Rimando, per eventuali approfondimenti, ai dizionari o ai trattati di teologia.<br />

3. Una sintesi teologica.<br />

Per individuare gli elementi qualificanti la dottrina cattolica del “peccato originale”,<br />

faccio ricorso a una pagina in cui il teologo Giuseppe Colombo, già preside della Facoltà<br />

Teologica dell’Italia Settentrionale, ha cercato di sintetizzare, in termini non troppo tecnici,<br />

il contenuto della dottrina del “peccato originale”. Egli scrive:<br />

«Tra i condizionamenti storici che pesano sulla libertà dell’uomo, sta<br />

l’“eredità” del peccato originale.<br />

Pregiudizialmente non è da intendere nel senso che tolga all’uomo la libertà di<br />

determinarsi pro o contro la proposta di vivere l'esistenza umana come l’ha vissuta<br />

Gesù Cristo. Se così fosse, minerebbe una delle coordinate costitutive dell’ordine<br />

cristiano, contraddicendo insieme anche l’altra - cioè lo Spirito di Gesù Cristo -<br />

nella sua intenzionalità propria, che è precisamente quella d’intrecciare la relazione<br />

con la libertà creata. Effettivamente il dogma cattolico non ha esitato a respingere<br />

questa interpretazione del peccato originale, quando Lutero l’ha proposta.<br />

Per la verità, l'intenzione di Lutero era più profonda: mirava a negare all'uomo,<br />

più che la libertà, la presunzione di potersi salvare con le proprie forze, senza bisogno<br />

di Gesù Cristo. È un’intenzione altamente apprezzabile condivisa da tutti i<br />

cristiani. Anche in ambito cattolico si professa che Gesù Cristo è il salvatore di tutti<br />

gli uomini e quindi senza Gesù Cristo nessuno si salva. L’“eredità” universale<br />

del peccato originale intende pregiudizialmente ribadire questa verità.<br />

45 DenzH 1513.<br />

64


Pentateuco – Creazione<br />

Conseguentemente è da correggere l’idea che il peccato originale sia un’inclinazione<br />

“fisica” o psicologica dell'uomo verso il peccato. Poiché, in ogni caso, il<br />

peccato originale rientra nella sfera morale, il suo “luogo” non può trovarsi né nel<br />

corpo né nella psiche dell'uomo. D’altro lato, non è da pensare che l’“eredità” del<br />

peccato originale possa consistere nell’attribuzione ai discendenti del peccato personale<br />

di Adamo. Sotto questo profilo, è da richiamare che non c’è nulla di più<br />

personale del peccato e/o della virtù; conseguentemente come nessuno può ritrovarsi<br />

virtuoso per la virtù degli altri, a pari nessuno può essere ritenuto peccatore<br />

per i peccati degli altri, fosse pure del proprio padre.<br />

Come, allora, pensare l’“eredità” del peccato originale? È da pensare non propriamente<br />

come un “handicap”, ma come la perdita di una condizione di privilegio,<br />

che precisamente in questo senso penalizza ogni uomo che viene alla luce, situandolo<br />

non in un “paradiso” ma in “questo mondo”.<br />

La differenza tra il “paradiso” - evidentemente una metafora – e “questo mondo”<br />

è da intendere sinteticamente nel senso che nel “paradiso” la libertà dell'uomo era<br />

già polarizzata sullo Spirito di Gesù Cristo. Non lo è invece in questo mondo, dove<br />

si sperimenta quotidianamente tentata di rinchiudersi in se stessa, nella propria autoaffermazione,<br />

scegliendo l’alternativa invece che la comunione con Gesù Cristo»<br />

46 .<br />

In questo testo, giustamente, l’interesse non è rivolto in primo luogo al peccato delle<br />

origini (quello che i manuali di teologia chiamano il peccato originale “originante”), ma<br />

alla situazione in cui si trova ogni uomo che viene in questo mondo (peccato originale<br />

“originato”).<br />

Colombo parla di un condizionamento della libertà (ricordo che la libertà non è riducibile<br />

a singoli atti consapevoli e responsabili: è dinamismo complesso, che coinvolge<br />

dimensioni personali, sociali, storiche ...); di una eredità universale, di una perdita (rispetto<br />

a una condizione di privilegio ... rispetto al piano originario di Dio sull’uomo).<br />

Questa situazione è chiamata “peccato” per analogia con il peccato personale 47 , ma<br />

non sarebbe sbagliato riferirsi ad essa con altri nomi, come fa la tradizione dell’Oriente<br />

cristiano, parlando di una “corruzione” originale 48 .<br />

4. Due precisazioni.<br />

A quanto è stato appena osservato, aggiungerei alcune precisazioni, almeno come<br />

spunto per una ulteriore riflessione:<br />

a. il “peccato” che, secondo la fede cristiana, condiziona ogni essere umano non si identifica<br />

con il limite proprio ogni creatura (la creazione è buona, non “nonostante il limite”,<br />

ma nel limite che le è proprio);<br />

b. alla “scoperta” di tale peccato non si giunge partendo dall’esperienza, anche se esso<br />

non è estraneo all’esperienza che gli uomini fanno della vita e della morte. È alla luce<br />

della rivelazione, cioè alla luce di Gesù Cristo, che il “peccato originale” viene riconosciuto,<br />

perché è alla luce di Cristo che la condizione umana si manifesta nella sua realtà.<br />

46 G. COLOMBO, L’ordine cristiano, Milano 1994, pp. 27-29.<br />

47 Si veda anche il Catechismo della Chiesa Cattolica § 403. Si ricordi che “analogia” significa insieme somiglianza<br />

e differenza. La somiglianza fra peccato “originale” e peccato “personale” può essere vista nelle<br />

conseguenze: allontanamento dell’uomo dall’alleanza offerta da Dio; la differenza nel diverso coinvolgimento<br />

della libertà personale.<br />

48 Cfr. anche il Catechismo degli Adulti della Conferenza Episcopale Italiana (La verità vi farà liberi), n. 398.<br />

65


Pentateuco – Creazione<br />

L’immagine e la somiglianza secondo la quale ogni uomo è creato è quella del Figlio,<br />

principio della creazione. Scegliendo quella che Colombo chiama “l’alternativa”, lasciando<br />

spazio al sospetto nei confronti di Dio (“forse è geloso delle sue prerogative ...<br />

non vuole la nostra felicità ...”), scegliendo di realizzare la sua condizione di “immagine<br />

di Dio” facendo a meno di Dio, l’uomo ha ferito se stesso, la sua libertà, ma non ha annullato<br />

la possibilità del compimento del piano divino. Gesù Cristo è principio della creazione<br />

e della “nuova creazione” che si attua come redenzione, liberazione dal peccato e<br />

dalla morte.<br />

5. Conclusione.<br />

Il punto di partenza per l’elaborazione della dottrina del peccato originale non è una<br />

specie di “incidente” capitato all’inizio della storia umana: è l’annuncio di Cristo salvatore,<br />

per mezzo del quale tutte le cose sono state create, nel quale tutto è chiamato a “ricapitolarsi”.<br />

In questa direzione si è mosso sant’Agostino e, prima di lui, san Paolo. È un<br />

cammino analogo a quello percorso da Israele, se è vero che i racconti di Gen 2-3 sono il<br />

risultato dell’esperienza della cura che Dio ha di un popolo e di un’umanità peccatrice fin<br />

dal principio.<br />

La domanda sulla “causa” della situazione di peccato, dell’incapacità di orientarsi allo<br />

Spirito di Cristo, è successiva all’annuncio della salvezza. Non dico superflua, ma successiva.<br />

Rispondere dicendo che il “peccato originale” originato è un’eredità che traiamo<br />

da “Adamo”, come si legge nelle formulazioni tradizionali, serve per sostenere<br />

l’universalità di questa situazione e il legame che unisce, nel bene e nel male, gli esseri<br />

umani. «Omnis homo Adam (ogni uomo èn Adamo)», ha detto sant’Agostino. Ma il primo<br />

Adamo è figura dell’ultimo, di Cristo. Ancora Agostino: «Omnis homo Christus (ogni<br />

uomo è Cristo)» 49 .<br />

Il compimento della storia, anticipato nella risurrezione di Gesù, illumina le origini.<br />

L’uomo è stato creato in Cristo: è questa la “giustizia” delle origini, è lui “il paradiso”.<br />

La grazia di Cristo doveva attuarsi anche attraverso la mediazione affidata alla libertà<br />

umana 50 . La libertà umana, di fatto, è venuta meno, ha acconsentito alla tentazione, ha lasciato<br />

campo aperto al male.<br />

Non si può negare la realtà del male, né giustificarla in base a un preteso ordine morale,<br />

estetico e razionale. Ma il male è “una disgrazia”: nel suo carattere di opposizione al<br />

bene, esso non ha la sua origine in Dio (e per questo può essere combattuto). Il male è<br />

entrato nel cuore dell’uomo e nel mondo dell’uomo perché l’uomo gli ha aperto le porte.<br />

Nemmeno l’uomo è l’iniziatore assoluto del male (ce lo fa pensare, nel racconto biblico,<br />

la figura del serpente). Eppure nessun uomo può dichiararsi estraneo alla colpa che ha<br />

provocato e continua a provocare l’ingresso del male nel mondo. Per usare il linguaggio<br />

tradizionale: nessuno può sottrarsi, con le sue forze, dalla complicità, almeno potenziale,<br />

con “il peccato di Adamo”.<br />

La dottrina del “peccato originale” è una dottrina di verità: dice come stanno le cose.<br />

Ma non è tutto qui. La dottrina del “peccato originale” potrebbe non essere necessaria<br />

per farci scoprire di essere peccatori: in qualche modo, lo potremmo sapere anche senza<br />

essere cristiani.<br />

49 «Adamo invece volle esperimentare il male; ma ogni uomo è Adamo, come, in coloro che hanno creduto,<br />

ogni uomo è Cristo, in quanto tutti sono membra di Cristo» (Esposizione sul Sal 70 II, 1; PL 36,891).<br />

50 Cfr. L.F. LADARIA, Antropologia teologica, Casale Monferrato 1995, pp. 287-290.<br />

66


Pentateuco – Creazione<br />

Quella del “peccato originale” è essenzialmente una dottrina di salvezza: è annuncio<br />

del perdono e appello alla libertà (ferita) perché si lasci rianimare dallo Spirito di Gesù<br />

Cristo 51 .<br />

3 – CREAZIONE E DILUVIO NELL’ANTICO VICINO ORIENTE<br />

– il problema del male (e del bene) e della morte –<br />

La trattazione del tema del male nelle grandi epopee dell’Antico Vicino Oriente appare<br />

abbastanza complessa sia dal punto di vista dei testi che della loro interpretazione.<br />

D’altra parte, gli stessi testi della Bibbia non vanno letti in una medesima prospettiva;<br />

così Genesi 2-3 non va identificato secondo la prospettiva della lettera ai Romani, ma si<br />

pone in una luce propria anche rispetto ad altri libri come il libro della Sapienza o di Qohelet<br />

o di Ben Sira (Siracide).<br />

Più che soffermarsi sul peccato come atto morale, è bene guardare alla visione globale<br />

della vita. I testi considerano piuttosto la “condizione umana”. La morte è rappresentata<br />

come il grande ostacolo che non si può aggirare e bisogna accettare. Va guardata con realismo<br />

e talora come consolazione o fatto connaturale. Non impedisce di gustare la bellezza<br />

e di esaltare l’abilità creativa dell’uomo, né va anticipata. È quanto appare nell’«inno<br />

alla morte» di un testo egiziano:<br />

«La morte è davanti a me come il profumo della mirra,<br />

come sedersi sotto un riparo in un giorno di vento...<br />

è come il profumo del loto, come l’essere seduto sulle rive dell’ebbrezza....<br />

come quando un uomo ritorna a casa sua dopo una spedizione».<br />

«Tuttavia, è bello quando le navi navigano; ...<br />

quando gli uomini costruiscono le piramidi,<br />

gli stagni sono scavati e i frutteti sono piantati per gli dei...».<br />

Similmente Qohelet parla con ironia amara della vecchiaia (Qo 12,1-17) e considera<br />

più volte la condizione severa della vita la cui unica certezza è di essere destinati alla<br />

morte, ma invita a gustare le giuste gioie della vita:<br />

Dolce è la luce e agli occhi piace vedere il sole.<br />

Anche se l’uomo vive per molti anni,<br />

se li goda tutti, e pensi ai giorni tenebrosi, che saranno molti:<br />

tutto ciò che accade è vanità (Qo 11,7s).<br />

Va’, mangia con gioia il tuo pane,<br />

bevi il tuo vino con cuore lieto,<br />

perché Dio ha gradito le tue opere...<br />

Godi la vita con la sposa che ami per tutti i giorni della tua vita fugace,<br />

che Dio ti concede sotto il sole,<br />

perché questa è la tua sorte nella vita e nelle pene che soffri sotto il sole (Qo 9,7-9).<br />

Si può tentare un’analisi del senso del male, a partire dai grandi poemi della creazione<br />

nei quali la questione della morte appare fondamentale, soprattutto dai testi mesopotamici<br />

(sumerici, babilonesi o accadici) e dalla lettura dell’epopea di Gilgameš. I risultati saranno<br />

forse meno soddisfacenti alle nostre attese.<br />

1. La creazione dell’uomo<br />

I miti di creazione o delle origini non danno molte risposte all’interrogativo<br />

sull’origine del male. Tracciano i segni della condizione generale dell’uomo. Fra i tanti<br />

51 Cfr. A. GESCHÉ, Dio per pensare. 1. Il male, Cinisello Balsamo 1996, pp. 104-122.<br />

67


Pentateuco – Creazione<br />

poemi e miti ricordo l’Enuma elish («quando in alto...») e Atra-hasis. Il primo tratta delle<br />

origini del mondo fino alla comparsa dell’uomo e vuole legittimare il primato del dio<br />

Marduk sugli altri dei; il secondo inizia dalla creazione dell’uomo che, moltiplicandosi,<br />

crea discordia tra gli dei. Questi tentano allora di eliminarlo dalla terra, ma invano.<br />

La creazione del mondo non avviene “dal nulla” (il problema si porrà più tardi in ambito<br />

greco), ma per generazione (dall’unione in matrimonio del Cielo con la terra: invia<br />

la pioggia) o per teomachia, cioè lotta tra dei. In Egitto il pensiero cosmogonico e<br />

l’ordine cosmico sono collegati alla politica e alla religione; anche qui la creazione avviene<br />

per generazione e separazione (la zappa cosmica separa il cielo dalla terra) o secondo<br />

il modello del dio artigiano (vasaio o metallurgico). La creazione/procreazione degli<br />

esseri avviene per una secrezione del corpo divino: sputo, lacrima, sudore, sangue dal<br />

naso, ecc. La forma più evoluta vede nella creazione una operazione intellettuale, come<br />

la produzione della parola dal pensiero.<br />

Sono diversi i modi di descrivere la comparsa dell’uomo sulla terra: modellato<br />

dall’argilla o dalla mescolanza con l’argilla e il sangue di un dio ucciso (il dio Wê sospettato<br />

di essere stato istigatore degli dei in rivolta, cf. Atra-hasis), formato con il solo<br />

sangue di uno o più dèi messi a morte (Kingu il capo degli avversari di Marduk) o spuntato<br />

dalla terra come il seme di una pianta (tradizione sumera). Forse per prevenire l’idea<br />

di incesti primitivi, sembra che le coppie create fossero più di due, a volte anche sette.<br />

Inoltre i primi uomini erano nudi e barbari, brucavano l’erba come gli animali. Allora gli<br />

dei insegnarono loro le arti tecniche, poi le regole e le idee morali.<br />

Qualcuno ha pensato che la formazione dell’uomo dal sangue di un dio ritenuto colpevole,<br />

come Kingu, avrebbe reso l’uomo “eternamente colpevole di un peccato che lo<br />

trascendeva”. Ma Marduk nelle intenzioni, sentito ciò che dicevano gli dei, ha voglia di<br />

“formare qualcosa di ingegnoso”, quindi positivo, con il corpo di Tiamat, la dea madre,<br />

il mostro che viene squartato per creare il mondo; anzi in altri testi gli dei stessi non sono<br />

ritenuti colpevoli di ribellione.<br />

È piuttosto discusso lo scopo della creazione: gli uomini saranno caricati del lavoro<br />

degli dei, perché questi possano riposare. Il lavoro è dunque fatica, ma anche capacità<br />

creativa posta dagli dei nell’uomo: si veda l’ammirazione per le grandi opere che l’uomo<br />

riesce a realizzare, come le piramidi. La zappa, che serve in un primo momento a separare<br />

il cielo dalla terra ed è strumento agricolo indispensabile per la manutenzione dei canali,<br />

è creato dagli dei e affidato agli uomini quando questi prendono il loro posto nel lavoro.<br />

Un cosa è certa l’uomo non ha il potere sulla vita; il dio morto significa che quando<br />

gli dei crearono l’uomo trattennero per sé la vita (Ghilgamesh). La situazione di sopravvivenza<br />

del morto come soffio o in forma di spettro od ombra è attribuito da un autore<br />

antico all’inserimento nell’uomo primordiale della carne, del sangue e dello spirito di un<br />

dio. Ma era un dio messo a morte; per questo gli uomini sono incapaci di trasmettere<br />

all’umanità l’immortalità naturale degli dei. Dunque l’uomo per natura resta connotato<br />

dalla morte.<br />

Parallelo con Genesi<br />

L’Enuma Elis e la creazione<br />

Diverse sono le somiglianze tra lo schema di Genesi 1 e il poema Enuma Elis. Ciò non significa<br />

che lo scopo dei racconti sia identico. Fu scritto per giustificare la supremazia di<br />

Marduk sugli altri dei di Babilonia.<br />

68


Pentateuco – Creazione<br />

Enuma Elis Genesi<br />

Caos primitivo,<br />

Caos primitivo,<br />

Tiamat avviluppata nelle tenebre<br />

le tenebre coprivano l’abisso (tehom)<br />

La luce emana dagli dei La luce è creata<br />

La creazione del firmamento La creazione del firmamento<br />

La creazione della terra secca La creazione della terra secca<br />

La creazione dei luminari La creazione dei luminari<br />

La creazione dell’umanità La creazione dell’umanità<br />

Gli dei si riposano e celebrano Dio si riposa e santifica il settimo giorno<br />

Testo<br />

L’opera inizia con la descrizione dell’universo primitivo costituito soltanto dalle acque<br />

dolci, personificate da Apsu, e dalle acque salate del mare, personificate da Tiamat, intimamente<br />

mescolate (per la forma negativo-positivo, cf anche Gn 2,4b-7).<br />

Quando in alto il cielo non era nominato,<br />

e in basso la terraferma non aveva ricevuto nome,<br />

Apsu, l’iniziale, li (= dei) generò,<br />

la causale Tiamat li partorì tutti;<br />

le loro acque si mescolavano,<br />

nessuna dimora divina era stata costruita,<br />

nessun canneto era identificabile.<br />

Quando nessuno degli dei era apparso<br />

né aveva ricevuto nome,<br />

né era provvisto di destino,<br />

gli dei furono allora creati in seno ad essi.<br />

Nascono così le diverse generazioni di divinità. Ma Ea uccide il padre Apsu e<br />

Tiamat prepara la vendetta radunando i suoi alleati e mettendo come loro capo il dio<br />

Kingu che diventa il suo nuovo sposo. Gli dei si oppongono, ponendo a capo Marduk,<br />

figlio di Ea, che vince e uccide Tiamat con il cui corpo crea l’universo.<br />

Ritornò verso Tiamat che aveva catturato;<br />

Il signore mise i piedi sulla base di Tiamat<br />

e con la sua mazza (= l’arma) inesorabile fracassò il cranio;<br />

tagliò le arterie del suo sangue<br />

che lasciò trasportare dal vento del nord in luoghi sconosciuti.<br />

Ciò vedendo i suoi padri furono pieni di gioia e di giubilo;<br />

fecero portare, essi a lui, doni e regali.<br />

Calmatosi, il Signore esaminò il suo (di Tiamat) cadavere;<br />

voleva dividere il mostro, formare qualcosa di ingegnoso;<br />

la divise in due come un pesce da essiccare;<br />

ne dispose una metà come cielo in forma di soffitto;<br />

tese la pelle e insediò delle guardie,<br />

affidò loro la missione di non lasciare uscire le sue (di Tiamat) acque.<br />

Quindi Marduk mette gli astri al suo posto, dispone le montagne sulla testa e sulla mammella<br />

dell’altra metà di Tiamat, fa uscire il Tigri dai suoi occhi. La VI tavoletta narra come e perché fu formata<br />

l’umanità.<br />

Marduk, sentito ciò che dicevano gli dei, vuole formare qualcosa di ingegnoso.<br />

Parla a Ea in questi termini e gli dà come consiglio quanto ha meditato nel suo cuore.<br />

«Voglio coagulare del sangue e far essere l’osso; voglio erigere il lullu e che il suo nome<br />

sia “uomo”»;<br />

voglio formare il lullu uomo;<br />

69


Pentateuco – Creazione<br />

siano essi (gli uomini) caricati del lavoro degli dei ed essi siano a riposo.<br />

Voglio cambiare l’organizzazione degli dei e farla con arte:<br />

siano essi onorati insieme, ma siano divisi in due».<br />

2. Il diluvio<br />

Il diluvio è un altro dei racconti che ha attirato l’attenzione dei contemporanei. Vi sono<br />

molteplici narrazioni, sia in lingua sumerica che accadica. Anche i protagonisti hanno<br />

nomi diversi. Nella versione sumerica Zi-ud-sud-ra, “colui che è dotato di lunghi giorni”,<br />

sottolinea il fatto che è sopravvissuto al diluvio; nel poema di Gilgamesh (XI tavoletta) è<br />

Ut-napishtim, che potrebbe essere una voce abbreviata dello stesso nome sumero e indicare<br />

la medesima cosa (napishtum significa “vita”, Ut, forse dal sumerico ud, “giorno”);<br />

Atra-hasis o Atramkhasis significa invece “il molto saggio”.<br />

Il diluvio appare come il flagello decisivo, il quarto, che dovrebbe permettere agli dei<br />

di distruggere l’umanità. Esso segue alla peste, alla siccità e a una calamità che rende il<br />

suolo bianco di sale, provoca malattie della pelle e un dimagrimento generale. Ma il dio<br />

Ea, il Signore degli Abissi, interviene per salvare il suo protetto: mediante un sogno, dice<br />

agli dei per giustificarsi, inviato ad Atramkhasis, il saggio per eccellenza (Tavola XI 187-<br />

188). Costui, nel racconto di Gilgamesh, diventa anche complice degli dèi, perché annuncia<br />

le piogge torrenziali, ma non rivela che dureranno fino alla distruzione. Tuttavia,<br />

gli stessi dei, di fronte alla decisione del dio principale, Enlil, di una distruzione universale<br />

dell’umanità, si spaventano e insorgono. Alla fine, Ea risponde che bisogna punire i<br />

peccatori, ma non si può attentare al principio della vita.<br />

Ea aprì la sua bocca e parlò a Enlil, l’eroe:<br />

“O eroe, tu il più saggio fra gli dei,<br />

come hai potuto agire così sconsideratamente, ordinando il diluvio?<br />

Al colpevole imponi la sua pena, a chi commette un delitto imponi la sua pena,<br />

flettilo, ma non venga stroncato; tiralo, ma non [sia spezzato]!<br />

Piuttosto che mandare un diluvio, sarebbe stato meglio che un leone fosse venuto a avesse<br />

fatto diminuire le genti!<br />

Piuttosto che mandare un diluvio, sarebbe stato meglio che un lupo fosse venuto e avesse<br />

fatto diminuire le genti!<br />

Piuttosto che mandare un diluvio, sarebbe stato meglio che una carestia si fosse abbattuta<br />

sul paese e lo avesse [decimato]!<br />

Piuttosto che mandare un diluvio, sarebbe stato meglio che la peste si fosse abbattuta sulle<br />

genti e le avesse de[cimate]! (Tavola XI, 175-185)<br />

Perché le divinità si accaniscono contro l’umanità? Quale è la colpa degli uomini? Il<br />

racconto di Atra-hasis attribuisce il motivo del diluvio a quello che oggi definiremmo<br />

“inquinamento acustico”: la divinità è infastidita dagli uomini, che nel frattempo si sono<br />

moltiplicati, perché fanno un rumore, “simile a un toro che muggisce”, che impedisce a<br />

Enlil di dormire. Il motivo appare in sé ridicolo; d’altra parte, il dio Enlil descritto nelle<br />

versioni più recenti è “il dio che non dorme”, è l’eterno vigilante. Si allude allora al<br />

“clamore di iniquità” di cui parla la Bibbia?<br />

Nella versione di Gilgamesh, il discorso finale del dio Ea allude alla punizione dei<br />

peccatori. Non si tratta dunque di un disturbo di sonno, ma di qualcosa che inquina più<br />

profondamente di un fastidioso rumore. La morte viene perciò collegata indirettamente a<br />

motivi più morali, sebbene, diversamente dalla Bibbia, non vi siano espliciti richiami a<br />

peccati nel corso della narrazione. Probabilmente il racconto è stato progressivamente elaborato<br />

introducendo nuovi elementi.<br />

70


Pentateuco – Creazione<br />

Il racconto del diluvio, fatto a Gilgamesh dallo stesso sopravvissuto, contiene particolari<br />

evidentemente comuni alla cultura dell’Oriente Antico che la Bibbia usa per il suo<br />

scopo.<br />

Utanapishtim parlò a lui, a Gilgamesh:<br />

«Una cosa nascosta ti voglio rivelare,<br />

e il segreto degli dèi ti voglio manifestare.<br />

Shuruppak – una città che conosci, [che sorge sulle rive] dell’Eufrate –<br />

questa città era già vecchia e gli dèi abitavano in essa.<br />

Bramò il cuore dei grandi dèi [di] mandare il diluvio.<br />

Prestarono il giuramento il loro padre An,<br />

Enlil, l’eroe che li consiglia,<br />

Nunurta, il loro maggiordomo,<br />

Ennugi, il loro controllore di canali;<br />

Ninshiku-Ea aveva giurato con loro.<br />

Le loro intenzioni (quest’ultimo) però le rivelò ad una capanna:<br />

“Capanna, capanna! Parete, parete!<br />

Capanna, ascolta, parete, comprendi!<br />

Uomo di Shuruppak, figlio di Ubartutu,<br />

abbatti la tua casa, costruisci una nave,<br />

abbandona la ricchezza, cerca la vita!<br />

La nave devi costruire – le sue misure prendi attentamente,<br />

eguali siano la sua lunghezza e la sua larghezza – tu la devi ricoprire come l’Apzu”.<br />

Io compresi e così parlai al mio signore Ea:<br />

“L’ordine, mio Signore, che tu mi hai dato,<br />

l’ho preso sul serio e lo voglio eseguire.<br />

Che cosa dico però alla città, agli artigiani e agli anziani?”.<br />

Ea aprì la sua bocca,<br />

così parlò a me, il suo servo:<br />

“Tu, uomo, devi parlare loro così:<br />

‘[Mi sembra ] che Enlil sia adirato con me;<br />

perciò non posso vivere più nella vostra città,<br />

non posso più porre piede sul territorio di Enlil.<br />

Per questo [voglio scend]ere giù nell’Apzu, e là abitare con il mio signore Ea.<br />

Su di voi però [Enlil] farà piovere abbondanza,<br />

[abbondanza] di uccelli, abbondanza di pesci.<br />

[Egli vi regalerà] ricchezza e raccolto.<br />

[Al mattino egli farà scendere su di voi] focacce,<br />

[di sera] egli vi farà piovere una pioggia di grano”.<br />

Appena l’alba spuntò, il paese si radunò intorno a lui….<br />

Viene costruita la nave, descritta con abbondanza di particolari, compresi i materiali<br />

usati. Quindi inizia il diluvio.<br />

Alle prime luci dell’alba, ecco salire all’orizzonte una nuvola nera:<br />

al suo interno Adad (dio della tempesta) non cessava di tuonare,<br />

mentre Shullat e Hanish camminano davanti,<br />

avanzano, essi, i ministri, per monti e per valli,<br />

Nergal strappò allora il mio palo d’ormeggio.<br />

Avanza anche Ninurtu che fa crollare le chiuse d’acqua,<br />

gli Annunaki solevano fiaccole,<br />

con la loro luce terribile infiammano il Paese.<br />

71


Pentateuco – Creazione<br />

Per un giorno intero la tempesta infuriò,<br />

il vento del sud si affrettò (per immergere) le montagne nell’acqua…<br />

Sei giorni e sette notti soffia il vento, infuria il diluvio, l’uragano livella il Paese.<br />

Quando giunse il settimo giorno, la tempesta, il diluvio cessa la battaglia,<br />

dopo aver lottato come una donna in doglie.<br />

Si calmò il mare, il vento cattivo cessò e il diluvio si fermò.<br />

Io osservo il giorno. Vi regna il silenzio.<br />

Ma l’intera umanità è ridiventata argilla.<br />

Come un tetto era pareggiato il paese.<br />

Allora aprii lo sportello e la luce baciò la mia faccia.<br />

Mi abbassai, mi inginocchiai e piansi.<br />

Sulle mie guance scorrevano due fiumi di lacrime.<br />

Scrutai la distesa delle acque alla ricerca di una riva,<br />

finché a una distanza di dodici leghe non scorsi un’isola.<br />

La nave si incagliò sul monte Nisir.<br />

Il monte Nisir prese la nave e non la fece più muovere.<br />

Quando giunse il settimo giorno, feci uscire una colomba, la liberai.<br />

La colomba andò e ritornò,<br />

un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.<br />

Feci uscire una rondine, la liberai.<br />

Andò la rondine e ritornò,<br />

un luogo dove stare non era visibile per lei, tornò indietro.<br />

Feci uscire un corvo lo liberai.<br />

Andò il corvo, e questo vide che l’acqua ormai defluiva,<br />

egli mangiò, starnazzò, sollevò la coda e non tornò.<br />

Feci allora uscire ai quattro venti (tutti gli occupanti della nave)<br />

e feci un sacrificio. Posi l’offerta sulla cima del monte.<br />

Sette vasi vi collocai:<br />

in essi versai canna, cedro e mirto.<br />

Gli dei odorarono il profumo. Gli dei odorarono il buon profumo.<br />

Gli dei si raccolsero come mosche attorno all’offerta».<br />

3. Gilgameš - l’uomo e le divinità, il problema della morte<br />

Il poema, del tipo “leggenda o epopea eroica”, è uno dei più famosi e conosciuti. Tratta<br />

infatti delle imprese del re fondatore di Ur o Uruk. Nel suo complesso tratta delle questioni<br />

fondamentali della esistenza umana: la vita e la morte, l’iniziazione alla cultura e<br />

alla civiltà delle città, l’amicizia e i conflitti, il tutto sovrastato dal problema<br />

dell’immortalità. L’epopea classica è contenuta in dodici tavolette, in cui il tema della<br />

morte si affaccia con due qualità: da una parte è condizione umana inevitabile – il destino<br />

–, dall’altra è collegata a situazioni e imprese che rivelano la hybris ossia l’orgoglio che<br />

porta l’uomo fuori misura. Infatti all’inizio Gilgameš, che per due terzi è dio, figlio della<br />

dea Nin-sun, e per un terzo uomo, appare tirannico e presuntuoso nella sua forza e abilità.<br />

In un’attività bellica frenetica, invita continuamente i giovani guerrieri alla lotta e al<br />

combattimento (a dire il vero, la sua attività è stata letta anche diversamente: il mese di<br />

luglio, dedicato all’eroe, era occupato da gare atletiche).<br />

La reazione divina, la dea Aruru invocata dai sudditi stanchi di lui, è quella di creargli<br />

un avversario in grado di batterlo per mitigare l’ardore della sua forza e ristabilire la pace<br />

e la tranquillità. Con l’argilla è creato un nuovo eroe, Enkidu, uomo selvaggio, dotato di<br />

straordinaria forza, che vive con gli animali senza essere da loro temuto, anzi li protegge<br />

72


Pentateuco – Creazione<br />

dai cacciatori. Nella lotta egli vincerà Gilgameš che per primo sarà costretto a toccare<br />

terra con il ginocchio. Ma introdotto nella cultura mediante l’incontro con la prostituita<br />

sacra che gli fa conoscere le dolcezze della vita e “gli prende il respiro”, Enkidu è evitato<br />

dalle fiere (le gazzelle e le bestie selvatiche hanno paura e fuggono) e non riesce più ad<br />

inseguirle. La sua corsa non è più quella di prima. Perde la forza e l’invincibilità, ma acquista<br />

intelligenza e, una volta battuto e calmato Gilgameš, gli diventa amico e alleato.<br />

Con lui inizia un’altra serie di imprese, iniziando con l’uccisione del mostro Humbaba<br />

o Huwawa, un gigante, guardiano della Foresta dei Cedri del Libano (è lui probabilmente<br />

che le figurine riproducono nudo, con una smorfia in faccia e il pugno alzato). Il fatto<br />

porta ancora il nostro eroe ad uscire di misura e a urtarsi con gli dei. Sdegna l’amore offertogli<br />

dalla dea Ishtar e uccide il toro che il Cielo (Anu) gli lancia contro. È in grado<br />

ormai di opporsi alle “piaghe” inviate dagli dei: è lotta tra gli uomini le divinità. Allora,<br />

come nel diluvio gli dei tentano di eliminare l’umanità, così il potere di Gilgameš viene<br />

limitato mostrandogli la morte.<br />

Ciò non avviene direttamente, ma facendo morire l’amico Enkidu (tavole VII e VIII),<br />

la cui scomparsa è annunciata in sogno. Anche Gilgameš dovrà morire. Egli reagisce contro<br />

la morte in più modi: non seppellisce il corpo dell’amico, ma questo imputridisce; costruisce<br />

quindi una statua per perpetuarne il ricordo, ma essa resterà inanimata; allora<br />

parte alla ricerca dell’immortalità contenuta nella “pianta della vita”, che richiama il biblico<br />

albero della vita (Gn 2-3). Il viaggio lo porta, tra molteplici avventure e traversie,<br />

ad incontrare diversi personaggi, tra i quali l’ostessa Siduri, un prostituta – “signora dei<br />

piaceri carnali” – che gli ricorda il destino inevitabile della morte. Alla fine trova l’unico<br />

superstite del diluvio, Ut-napishtim, che non ha subito la morte: non ha ottenuto la vita<br />

eterna con la violenza o la forza, ma come premio. Con il racconto del diluvio, egli pure<br />

ricorda all’eroe l’inevitabilità della morte. Il testo in qualche accenno riflette Qohelet.<br />

Gilgameš, dove stai correndo?<br />

La vita che insegui non troverai mai!<br />

Quando gli dei crearono l’umanità<br />

riservarono la morte all’uomo,<br />

la vita eterna tennero nelle loro mani.<br />

Perciò, Gilgameš, riempi il ventre!<br />

Guarda teneramente il bambino che ti tiene la mano<br />

e lascia che la tua sposa non cessi di gioire sul tuo petto!<br />

Questo è il destino umano!... (discorso di Siduri)<br />

A forza di correre qua e là che cosa hai ottenuto?<br />

Nelle tue peregrinazioni hai perduto le forze<br />

e hai gravato i tuoi muscoli di dolori,<br />

ottenendo solamente di avvicinare i tuoi giorni della tua fine...<br />

L’umanità ha per destino d’essere recisa come la canne di un canneto:<br />

il giovane aitante e la giovane bella che si amano<br />

andranno anch’essi incontro alla morte....<br />

Il prigioniero e il morto si assomigliano l’un l’altro:<br />

nessuno può disegnare l’immagine della morte<br />

ma l’uomo ne è catturato e non valgono preghiere o suppliche...<br />

I grandi dei Anunnaki si riunirono,<br />

la dea madre Mamitu, la signora del Destino, prese la decisione:<br />

essi stabilirono la morte e la vita,<br />

ma non hanno fatto sapere all’uomo il giorno della sua morte» (discorso di Ut-napishtim).<br />

Tuttavia, impietosito, Ut-napishtim, alla fine rivela l’esistenza dell’albero della vita<br />

posto in fondo al mare: «Esiste una pianta, che ha le spine come un rovo e che come una<br />

73


Pentateuco – Creazione<br />

rosa pungerà le tue mani: se le tue mani riusciranno a raggiungerla, troverai quello che<br />

cerchi».<br />

In realtà, si tratta di un palliativo, solo un rimedio alla vecchiaia. È la pianta della giovinezza<br />

che ridà vitalità e permette di prolungare il periodo della vigoria. Il nostro eroe<br />

riesce ad appropriarsene, ma un serpente gliela ruba durante il viaggio di ritorno. Immortalità<br />

e vita eterna restano precluse all’umanità che deve accettare il suo destino di morte<br />

e con essa il distacco, come comprende in lacrime Enkidu, dopo il sogno:<br />

Sarò costretto a restare in compagnia dei morti:<br />

attraversata la porta degli Inferi,<br />

non potrò più guardare negli occhi mio fratello.<br />

La condizione dei morti è triste nell’aldilà, soprattutto per quanti non hanno più nessuno<br />

che ne continui la memoria sulla terra (sembra di sentire il dolore disperato di Geremia<br />

che deve restare senza moglie e senza figli, dunque senza memoria). È questa la<br />

nota pessimistica con cui termina il poema. Gilgameš è costretto a ritornare nella città di<br />

Uruk a mani vuote. L’unica sopravvivenza potrà essere quella della generazione e della<br />

città che viene contemplata ed esaminata a conclusione del poema.<br />

Il problema del male viene dunque esaminato attraverso la visuale della morte. È collegata<br />

al peccato, ma soprattutto è considerata come destino inevitabile. Occorre accettarla<br />

ed evitare ogni superbia. Anche Genesi 3, a conclusione del racconto del giardino di<br />

Eden dal quale i progenitori sono espulsi, invita l’uomo a non cercare pozioni magiche<br />

per vivere (l’albero della vita che gli è impedito), ma ad accogliere la sua condizione<br />

mortale e affidarsi a Dio. Senza Dio l’uomo resta in una mortalità senza speranza, accettando<br />

la morte riceverà vita e benedizione, ma ciò sarà frutto della grazia. E nel poema ugaritico<br />

di Danel e Aqhat, quest’ultimo preferisce la morte piuttosto che cedere il suo arco<br />

meraviglioso alla dea ‘Anat che forse gli promette in cambio l’immortalità. È come dire<br />

che bisogna imparare ad accettare la propria condizione umana senza cercare inutili<br />

scappatoie?<br />

Per ulteriori informazioni sul problema in generale, cf AA.VV, Scritti dell’antico vicino oriente e fonti bibliche<br />

(Piccola enciclopedia biblica 2), Borla, Roma 1988: raccoglie la letteratura con abbondante bibliografia;<br />

E. BRESCIANI, Letteratura e poesia dell’antico Egitto, Utet, Torino 1969; G. RAVASI (presentazione di),<br />

L’Antico Testamento e le culture del tempo, Borla, Roma 1990..<br />

Per la saga o epopea di Gilgameš/Gilgamesh, cf G. PETTINATO, La saga di Gilgamesh, Rusconi, Milano<br />

4 1993; F. D’AGOSTINO, Gilgameš alla conquista dell’immortalità. L’uomo che strappò il segreto agli dei,<br />

Piemme, Casale Monferrato 1997; C. SAPORETTI, Il Ghilgameš, Simonelli Editore, Milano 2001; cf anche A.<br />

PERROT, I Sumeri, BUR Arte, Rizzoli, Milano 1981 (ristampa dell’edizione del 1960).<br />

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