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Maria Elena Fantoni Portfolio - Fondazione Antonio Ratti

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<strong>Maria</strong> <strong>Elena</strong> <strong>Fantoni</strong><br />

<strong>Portfolio</strong>


Empatia<br />

performance e videoinstallazione<br />

dicembre 2008<br />

“Empatia” è un tentativo di unione.<br />

Nell’aria corrono fili di energie, vibrazioni chenoi<br />

tutti emaniamo e lasciamo circolare senza<br />

rendercene conto.Qualcosa del nostro comportamento<br />

istintivo è ancora animale, primigenio,<br />

e ci guida attraverso le impressioni ed i sensi.<br />

Queste vibrazioni ci attraggono.<br />

Spesso l’intimità che l’empatia crea è vista con<br />

timore. É troppo fragile, troppo nuda, troppo<br />

originaria. Libera, nella sua forma più pura, dai<br />

costrutti di comportamento sociale, ha il sapore<br />

delle “cose di natura”.<br />

La luna è l’elemento “empatico” per eccellenza.<br />

Agisce sulle maree, e sui cicli femminili.<br />

La sua forza ci influenza, entra dentro di noi. Ci<br />

si fa abbracciare dal suo pallore dall’aria oscura.<br />

La luna è la regina dei poli magnetici. Trovare<br />

una connessione con essa vela la speranza<br />

di potere diventare qualcosa di simile, di potere<br />

rubare qualcuno dei suoi poteri. Un desiderio<br />

di unione impossibile, perseguito da dentro<br />

una sfera che annichilisce i sensi. L’unica cosa<br />

avvertita è una fonte di luce proiettata, quella<br />

che ci illumina e che noi riflettiamo, ed il brusio<br />

degli umani. Lontano e ovattato. Un obiettivo<br />

perseguito isolandosi dal mondo in una<br />

fantasticheria. Un rituale di magia contagiosa,<br />

intriso di ammirazione per forze selvagge che<br />

non riusciamo più ad ascoltare, benchè, anche<br />

se nascoste, facciano ancora parte della nostra<br />

vita.


Avresti paura di me?<br />

video installazione, edited family footage (2 proiezioni video<br />

00’33’’; 01’00’’, loop),<br />

stanza, porta chiusa, tre buchi<br />

dicembre 2009<br />

Senza nemmeno saperlo,<br />

sei scivolata via dalla mia testa in un posto in cui<br />

il tempo non<br />

scorre. Dove tu abiti, io non posso entrare.<br />

Non mi era dato venire a conoscenza della tua<br />

presenza, ma ora io vedo<br />

te e tu non vedi me.<br />

Credevo che un fantasma potesse nascere solo<br />

da un morto.. invece tu<br />

te ne stai proprio lì, ed io qui, viva.<br />

Dentro di me hai lasciato solo un involucro di memoria,<br />

rannicchiato da qualche<br />

parte nel cervello.<br />

Tu sorridi, e vedi cose che io non posso percepire.<br />

Forse la tua casa<br />

natale. Niente ti potrà più toccare o scalfire. non<br />

crescerai, il tuo<br />

corpo non diventerà come il mio.<br />

Penso a cosa succederebbe se anche tu mi vedessi.<br />

Avresti paura di me?<br />

Quando morirò io, allora anche tu morirai?


In un corridoio di una casa percorsa dai segni del tempo,<br />

una porta chiusa, solcata da tre buchi.<br />

Intravediamo piccoli lampi di luce provenire dalla stanza.<br />

Al di là della porta, una bambina cammina e sorride.<br />

E’ sola, evanescente e si muove da una parte all’altra<br />

con andamento aggrazziato. Parla con qualcuno che non<br />

vediamo, forse lo sta inseguendo. Si sente a suo agio, è<br />

tranquilla, in quel mondo che è solo suo, a cui noi non<br />

possiamo accedere.<br />

Cresciamo, evolviamo e perdiamo pezzi di noi stessi. Li<br />

lasciamo indietro come scie trasparenti. Quelle parti di<br />

noi cambiano consistenza, perdono spessore, diventano<br />

fantasmi, fantasmi dei viventi. Sono esseri presenti e vivi,<br />

composti di luce, brillano impalpabili. Si nutrono della<br />

loro memoria, e rimangono relegati in antri della nostra<br />

coscienza. Forse, nella loro purezza, continuano a vivere<br />

perpetuamente. In una dimensione che non è più la nostra,<br />

ma che risiede nelle intercapedini del nostro mondo.<br />

Una dimensione in cui il tempo è eterno e tutto perdura.<br />

Quella bambina, quando ancora non era un fantasma, è<br />

stata registrata. Non si curava dell’obiettivo, non si rendeva<br />

conto che qualcosa la stava catturando. Non le importava,<br />

in fondo. Dietro quella porta la purezza di una<br />

persona che semplicemente è. La purezza di chi ha tutte<br />

le possibilità attorno a sé, di chi è tutte le proprie possibilità<br />

e non lo sa nemmeno. Le fattezze di quella bambina,<br />

la sua maniera così sincera di sorridere, sono la base di<br />

ciò che quella persona è diventata da adulta. Sono il suo<br />

essenziale. Coperte da mille influenze, scosse da costrizioni,<br />

obblighi e scelte, hanno tremato e faticato a parlare.<br />

Ma rimangono inconsapevolmente gelose della propria<br />

incorruttibilità. Ed in quel posto a loro dedicato, dove non<br />

dovranno mai crescere nè modificarsi nè subire le insidie<br />

del tempo, continueranno a vivere e a gioire, protette e<br />

curate da pareti cangianti e flessibili e da un mondo in cui<br />

tutto è immaginabile.<br />

Una riflessione sul potere dei mezzi di registrazione di<br />

catturare parti di noi che sfuggono inevitabilmente e che<br />

rimangono intrappolate nei recessi della memoria.


Emersione<br />

video-installazione (3 video - 10’02’’; 06’35’’; 07’20’’, loop):<br />

proiezione su muri e pavimenti di Venezia<br />

aprile 2010<br />

L’ombra portata è una rappresentazione fedele e sintetica del corpo<br />

che la produce. Da essa è nata la prima vera immagine. Il primo<br />

vero “simulacro” di un corpo, creato per conservarne la memoria.<br />

L’ombra si fonde con gli spazi che attraversiamo. Precede o segue<br />

di poco i nostri passi, collegandoci all’immediato futuro e al passato<br />

più prossimo. A causa sua abbiamo pensato per la prima volta<br />

di possedere un’anima.<br />

Come primo simulacro è l’antenato della nostra immagine a più<br />

alto grado di fedeltà, quella filmico/fotografica. Si tratta di proiezioni,<br />

in entrambi i casi: l’una proviene dalla luce che il nostro corpo<br />

emana, l’altra dalla luce che il nostro corpo occulta. Entrambe<br />

registrano i nostri movimenti, le nostre emozioni, ciò che sentiamo,<br />

la nostra memoria.<br />

Se il supporto della fotografia è il film, o qualsiasi altro dispositivo<br />

adatto a registrare l’immagine, il supporto dell’ombra è il pavimento<br />

che attraversiamo, il muro cui passiamo accanto, che con lei<br />

carpisce qualcosa di noi.<br />

Venezia è un luogo particolare, da Venezia nulla può uscire. I suoi<br />

spazi sono organici, pieni di vita, di muffe, di cellule morte, di molluschi.<br />

Il suo essere fatta di umidità intacca i corpi che la attraversano<br />

e di cui si appropria. La notra ombra si fonde con essa.<br />

Con “Emersione” ho “catturato” ombre di passanti. Le ho ri-proiettate<br />

di notte, facendole nascere dal loro negativo, la luce bianca, e<br />

riconducendole alle tenebre. Come se fossero rimaste “imbrigliate”<br />

sotto la superficie della pietra.<br />

Gli spazi aperti dalle proiezioni sono degli spazi di memoria del<br />

passaggio di persone vive che vengono trasfigurate, rese spettri<br />

notturni dai movimenti fluidi e lenti, vaganti sotto la superficie<br />

della pietra.<br />

L’incubo del doppio non si delinea più come un incubo di morte,<br />

ma come una pulsione alla sopravvivenza, al perpetuarsi di una<br />

memoria che sempre viene persa, in un allargamento delle nostre<br />

percezioni.


Tracce<br />

ventiquattro pezzi di diario.<br />

marzo 2011.<br />

Ho ritagliato una parola per anno<br />

dai miei quaderni e diari, dal 1987 ad oggi.<br />

Ogni parola è significativa rispetto al periodo in cui veniva<br />

scritta, è “pezzetto” e “traccia” di modi di vivere ed<br />

emozioni di quei precisi momenti. La calligrafia cambia,<br />

asseconda e registra nel suo piccolo l’evoluzione della<br />

persona. Nel 2006, ad esempio, decide di cambiare<br />

completamente direzione, inclinandosi dalla sinistra, alla<br />

destra.<br />

Ogni parola è forse, come mille altre, una “chiave” che<br />

facilita l’accesso al periodo durante il quale è stata scritta.<br />

Tutti i frammenti sono forse dei piccoli portali. Hanno<br />

avuto un’origine ben determinata, che è ora dissimulata<br />

da uno spazio vuoto su una e più pagine. Un’origine che<br />

si espande e si disloca, mettendo in evidenza come già<br />

da principio l’atto di scrivere abbracciasse tutti i punti<br />

possibili di una “storia” che andava delineandosi.<br />

Le parole passano il tempo a richiamarsi fra loro e a richiamarne<br />

tante altre di non visibili. Gli strumenti “base”<br />

della scrittura, il linguaggio e la calligrafia, continuano a<br />

rimanere simili, mostrando le loro fattezze sopra la superficie<br />

porosa dei vari frammenti di carta. Eppure, tutte<br />

quelle linee assieme, tutti i significati richiamati alla<br />

memoria, tutti i ritagli di tempo in cui ogni singola parola<br />

è stata scritta, racchiudono fra le loro piccole anse e<br />

superfici infinite differenze evocate.<br />

La parola e il “vestito” che la ricopre, sono “tracce” di<br />

una moltitudine di “presenze” e richiami: ogni elemento<br />

visibile si rapporta a qualcosa di differente da sé stesso,<br />

conserva la traccia di tutti gli elementi passati che evoca<br />

e si apre già verso il futuro.<br />

Tutte le tracce insieme, testimoniano della condensazione<br />

di un tempo che continua ad allargarsi.


Film (prima versione)<br />

bobina di negativi fotografici 35 mm<br />

marzo 2011<br />

Ho raccolto tutti i negativi della mia vita e li ho montati assieme a<br />

creare un film.<br />

La macchina fotografica ruba le fattezze di noi tutti, fin dai nostri<br />

primi attimi. Crea la nostra memoria.<br />

Dalla mia pelle ha tolto uno strato, mille e milioni di volte.<br />

L’emulsione è il fiume della latenza. Al di là di essa vi è un mondo<br />

speculare in negativo. Un mondo che è già contenuto nel nostro.<br />

Potremmo immaginare che in ogni singolo fotogramma liquido continui<br />

a svolgersi una storia, l’inizio della quale è ancora caldo nella<br />

nostra memoria. Ma quello che resta al di là dei puri fatti sono i<br />

fantasmi di quello che fu, di quello che poteva essere, di quello che<br />

è stato e di quello che è. Anche i fantasmi che verranno, nuotano nel<br />

fiume delle latenze. Ognuno di loro si rifugia nell’emulsione.<br />

Facendo scorrere le nostre sembianze, questi corpi si animano e ne<br />

richiamano altri. Si inseriscono dietro alla nostra retina, il nostro<br />

occhio non può percepirne che i contorni, sempre sfuggenti, sempre<br />

multilocati. Ogni immagine si intervalla su di un’altra, andando ad<br />

abbracciare altre occorrenze di sé, trovate in altri momenti, in altri<br />

spazi. Ogni immagine si imprime nel nostro occhio anche quando<br />

non percepita. Il liquido è sempre lo stesso, è il liquido della nostra<br />

memoria, in cui tutte le cose si conservano le une sulle altre.<br />

Percepire le fattezze dei nostri fantasmi ha il sapore di un trauma.<br />

Si dice che nei secondi prima di morire dietro alle proprie palpebre<br />

si ripercorra tutta la propria vita. Si dice che tutte le persone che abbiamo<br />

conosciuto ritornino in un lampo, come se nel nostro cervello<br />

esistesse già un “aldilà”, quello che racchiude tutti gli esseri per noi<br />

possibili.<br />

Che questo sia vero, non ha importanza. Nella nostra mente c’è già<br />

tutto. Tutta la nostra vita è già lì, sempre insieme, sempre presente.<br />

Il progetto è in corso di svolgimento. Nella sua versione finale si prevede<br />

un’installazione in cui il film di negativi originali verrà proiettato<br />

in una piccola stanza intima, isolata da qualsiasi contesto. Il meccanismo<br />

di proiezione sarà un dispositivo discreto e non ingombrante,<br />

una sorta di camera oscura al contrario attraverso la quale la pellicola<br />

scorrerà. Nessuna trasposizione in digitale è prevista, si mira a<br />

preservare la temporalità originaria dell’oggetto. Il film qui presentato,<br />

è il risultato di un passaggio in moviola atto a mostrare una parte<br />

di quello che si vedrà in proiezione a progetto ultimato.

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