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31.05.2013 Views

Le copertine di Toscana Medica Toscana Medica 4/11 Donne e Unità d’Italia: un’altra storia a Pisa Un lungo processo di rimozione collettiva della presenza femminile nella storia d’Italia fra Ottocento e Novecento, il protrarsi di un atteggiamento di non riconoscimento per quanto fatto in questi due secoli dalle donne, ha fi nito per creare vuoti e cancellare tracce. In tal modo neppure più ricordiamo fi gure femminili di primaria importanza nella storia dell’Unità d’Italia né il loro ruolo nel processo di unifi cazione della penisola. In un periodo dedicato alla ricorrenza dei 150 anni dell’Italia unita, la mostra (particolare, ma signifi cativa) che fi no al 26 di giugno è ospitata nelle sale di “Palazzo Blu” sul lungarno Gambacorti a Pisa – “Donne d’Italia. La metà dell’Unità” – propone una serie di precise rifl essioni sul ruolo avuto dalla donna nel lungo e anche drammatico processo di unità del Paese, non solo nell’arco del Risorgimento, ma anche dopo, fi no ai nostri giorni. Così l’esposizione, curata da Claudia Beltramo Ceppi per conto di “Giunti Arte Mostre Musei”, si presenta come un insieme di documenti sul tema – fotografi e, interviste, spezzoni di fi lm, articoli o altro –, ma anche come una grande galleria dove sono scanditi i tempi nel loro svolgersi attraverso altrettante fi gure femminili che di quei momenti ne sono le interpreti. Ecco, tra le altre, delineato il personaggio di Cristina Trivulzio di Belgioioso, ricca ereditiera, nipote di un alto funzionario dell’Impero asburgico, ma anche fi nanziatrice di moti patriottici, protagonista a Milano (le Cinque Giornate) e a Roma (la Repubblica del 1849). Ecco l’immancabile Anita Garibaldi, fedele collaboratrice del Generale sia nella guerra in Brasile, sia nell’avventura romana della Repubblica, poi morta in fuga vicino a Comacchio. Oppure, Rose Montmasson (a lungo abitante a Firenze, in via della Scala, dove una lapide la ricorda) l’unica donna assoldata tra i Mille (per altro vestita da uomo) e ribattezzata dai siciliani “Rosalia”: Risorgimento documentato negli articoli delle giornaliste Margaret Fuller e Jessie White Mario. Come anche documentato indirettamente da FEDERICO NAPOLI 4 quadri – su tutti, quelli di Fattori e di Guttuso –, sono proprio questi i momenti in cui le leggi appaiono tutte declinate al maschile: la donna deve sottostare alla podestà paterna o maritale (Codice Napoleonico del 1804, confermato dal Codice Pisanelli del 1865, il primo varato dall’Italia unita); alla donna fi no al 1877 è negata dal Codice Civile la possibilità di testimoniare. Nel Novecento, in una società in continuo cambiamento, risaltano in letteratura le fi gure di Grazia Deledda (Nobel 1926) e di Matilde Serao, fi glia di un napoletano antiborbonico, fondatrice de “Il Mattino” e direttrice poi de “Il Giorno”, mentre contemporaneamente in mostra scorrono i documenti che ci testimoniano come solo nel 1919 le donne siano affrancate dall’essere assoggettate al padre o al marito per donazioni o acquisizioni e come in Italia solo dopo la Seconda Guerra Mondiale sia loro concesso il diritto al voto. Dunque, un lungo processo per il raggiungimento dell’uguaglianza (l’adulterio femminile viene cancellato solo nel 1968) che ha protratto nei decenni ben oltre la fatidica data del 1861 (Unità del Regno) il processo unifi cativo la nazione Italia ed una sempre maggiore affermazione “dell’altra metà”, della popolazione, esemplifi cata nelle attuali fi gure di Rita Levi Montalcini e Ilaria Alpi. Dunque, una mostra certo volta ad indagare il connubio donne/Risorgimento, ma dilatata per rintracciare dopo le fi lantrope o artiste o eroine le altre donne che lavorano, combattono, studiano, soffrono, si sacrifi cano e che hanno continuato (e continuano) a cercare di fare di questo Paese, oltre l’aspetto amministrativo, anche un territorio unito nella sostanza. Il sorriso fi nale che la mostra offre è dovuto all’episodio “Gli italiani si voltano” girato da Alberto Lattuada (spezzone del fi lm a più mani “Amore in città”): è quasi un invito a voltarsi indietro e rivedere cosa è accaduto e grazie a chi. Donne d’Italia: la metà dell’Unità Palazzo Blu, Lungarno Gambacorti, Pisa Fino al 26 giugno TM

Editoriale Toscana Medica 4/11 L’esame obiettivo è morto e l’anamnesi non sta affatto bene ANTONIO PANTI “È molto più importante sapere che tipo di paziente ha una malattia piuttosto che tipo di malattia ha un paziente” William Osler La tecnologia trionfante che consente di “vedere” dentro il paziente e l’informatica con le sue visite virtuali tra medici e malati ugualmente virtuali hanno inciso pesantemente sulla prassi della raccolta dell’anamnesi e dell’esecuzione dell’esame obiettivo. I medici di famiglia tendono a completare queste due fondamentali pratiche semeologiche nella somma di molteplici brevi incontri, gli specialisti tendono a limitarsi a illuminare il settore di propria competenza. Ma tutta la letteratura metodologica sottolinea i danni, nei confronti della correttezza diagnostica, di questa moderna tendenza. Il revival della cosiddetta medicina narrativa accentua questa situazione, professionale e sociale, di diffi coltà nei rapporti tra medico e paziente e di maggior probabilità di cadere in errore. Non vi è dubbio che i medici generali e gli internisti siano le categorie professionali che più risentono di questa situazione cui, certamente, cercano di ovviare nella consapevolezza che questi atti rappresentano ancora uno dei fondamenti ineludibili della medicina clinica. Tuttavia, questa minor attenzione rispetto ai due atti principali dell’agire medico, è descritta nella letteratura medica di tutti i paesi. In Italia le cose sono più complicate perché le ristrettezze del tempo che il medico può dedicare a ciascun paziente sono ancor maggiori a causa di una burocrazia assai complicata. Ma come può essere successo tutto ciò? E che il problema sia mondiale lo rilevano i titoli di alcuni editoriali apparsi sulle più prestigiose riviste mediche: “La diagnosi moderna, arte o artefatto?”, “I medici devono visitare i pazienti?”,”La medicina è andata oltre la diagnosi fi sica?”. Forse tre “T” hanno infl uenzato il fenomeno. Il Tempo, sempre più limitato da altre incombenze o per diversi motivi, compresa la brevità obbligata dei ricoveri che certamente va a scapito della didattica. La Tecnologia; perché auscultare il torace quando si può eseguire una radiografi a o piegarsi sui soffi 5 cardiaci quando esiste l’eco e tanti altri meravigliosi strumenti? I Test diagnostici, cui spesso si affi da la diagnosi che, invece, non può nascere dagli accertamenti ma dal cervello del medico. Ogni medico sa che l’esame obiettivo è scomposto in parti, in ciascuna delle quali si rilevano segni che, nell’insieme, costruiscono la semeiotica. Che tuttora si insegna, anche se modernizzata. Non so se qualcuno ascolta ancora il “suono di pentola fessa”; ma il vero problema consiste nel fatto che ispezionare il paziente signifi ca spogliarlo e, in questo modo, concretamente affermare e stabilire il rapporto di affi damento. Palparlo signifi ca dar corso a un patto esplicito per cui il medico è l’unica persona autorizzata a “toccare” una persona di cui non è partner o genitore. La medicina è di per sé una scienza sensoriale e mettere le mani sul corpo di qualcuno rappresenta l’atto caratteristico del medico. Ispezionare, palpare, auscultare. E ascoltare? Se il rapporto umano col paziente è la sostanza della medicina da millenni, l’anamnesi e l’esame obiettivo sono una conquista degli ultimi due secoli. Ci stiamo rinunciando? Il potere terapeutico del medico sta, al di là delle sue competenze scientifi che e tecniche, nell’ascolto del paziente e nello stabilire con questi un rapporto fi sico. Se chi ascolta un soffi o non lo sa interpretare è perché si è abituato a utilizzare gli strumenti, così come nessuno esegue più una divisione perché sono stati inventati i calcolatori tascabili. Il medico abile sa fare una visita. E come la mettiamo con l’informatica, il medico virtuale e il paziente virtuale per una visita virtuale? In conclusione, il signifi cato scientifi co, etico e umano, e la necessità di una visita fi sica sono la base di una relazione vera, senza la quale nessuna terapia sarà mai veramente effi cace. Il medico vive una vita dedita all’apprendimento. Se non ha curiosità può fare qualsiasi altro mestiere ma non il medico. Ma non basta. La capacità di ascolto e quella di “toccare” il prossimo si fondano sull’amore e sulla capacità di compassione. Se poi sarà capace di indignarsi quando, per qualsiasi ragione, il paziente non potrà fruire degli stessi diritti che spettano a tutti gli esseri umani, allora sarà un vero medico. Non virtuale ma virtuoso. TM

Editoriale<br />

Toscana Medica 4/11<br />

L’esame obiettivo è morto e<br />

l’anamnesi non sta affatto bene<br />

ANTONIO PANTI<br />

“È molto più importante sapere che tipo di paziente<br />

ha una malattia piuttosto che tipo di malattia<br />

ha un paziente”<br />

William Osler<br />

La tecnologia trionfante che consente di<br />

“vedere” dentro il paziente e l’informatica<br />

con le sue visite virtuali tra medici<br />

e malati ugualmente virtuali hanno inciso<br />

pesantemente sulla prassi della<br />

raccolta dell’anamnesi e dell’esecuzione dell’esame<br />

obiettivo. I medici di famiglia tendono a completare<br />

queste due fondamentali pratiche semeologiche<br />

nella somma di molteplici brevi incontri, gli specialisti<br />

tendono a limitarsi a illuminare il settore<br />

di propria competenza. Ma tutta la letteratura metodologica<br />

sottolinea i danni, nei confronti della<br />

correttezza diagnostica, di questa moderna tendenza.<br />

Il revival della cosiddetta medicina narrativa<br />

accentua questa situazione, professionale e sociale,<br />

di diffi coltà nei rapporti tra medico e paziente<br />

e di maggior probabilità di cadere in errore.<br />

Non vi è dubbio che i medici generali e gli internisti<br />

siano le categorie professionali che più<br />

risentono di questa situazione cui, certamente,<br />

cercano di ovviare nella consapevolezza che questi<br />

atti rappresentano ancora uno dei fondamenti<br />

ineludibili della medicina clinica.<br />

Tuttavia, questa minor attenzione rispetto ai<br />

due atti principali dell’agire medico, è descritta<br />

nella letteratura medica di tutti i paesi. In Italia<br />

le cose sono più complicate perché le ristrettezze<br />

del tempo che il medico può dedicare a ciascun paziente<br />

sono ancor maggiori a causa di una burocrazia<br />

assai complicata.<br />

Ma come può essere successo tutto ciò? E che il<br />

problema sia mondiale lo rilevano i titoli di alcuni<br />

editoriali apparsi sulle più prestigiose riviste mediche:<br />

“La diagnosi moderna, arte o artefatto?”, “I<br />

medici devono visitare i pazienti?”,”La medicina<br />

è andata oltre la diagnosi fi sica?”. Forse tre “T”<br />

hanno infl uenzato il fenomeno. Il Tempo, sempre<br />

più limitato da altre incombenze o per diversi<br />

motivi, compresa la brevità obbligata dei ricoveri<br />

che certamente va a scapito della didattica. La<br />

Tecnologia; perché auscultare il torace quando<br />

si può eseguire una radiografi a o piegarsi sui soffi<br />

5<br />

cardiaci quando esiste l’eco e tanti altri meravigliosi<br />

strumenti? I Test diagnostici, cui spesso<br />

si affi da la diagnosi che, invece, non può nascere<br />

dagli accertamenti ma dal cervello del medico.<br />

Ogni medico sa che l’esame obiettivo è scomposto<br />

in parti, in ciascuna delle quali si rilevano<br />

segni che, nell’insieme, costruiscono la semeiotica.<br />

Che tuttora si insegna, anche se modernizzata.<br />

Non so se qualcuno ascolta ancora il “suono di pentola<br />

fessa”; ma il vero problema consiste nel fatto<br />

che ispezionare il paziente signifi ca spogliarlo e,<br />

in questo modo, concretamente affermare e stabilire<br />

il rapporto di affi damento. Palparlo signifi ca<br />

dar corso a un patto esplicito per cui il medico è<br />

l’unica persona autorizzata a “toccare” una persona<br />

di cui non è partner o genitore. La medicina è<br />

di per sé una scienza sensoriale e mettere le mani<br />

sul corpo di qualcuno rappresenta l’atto caratteristico<br />

del medico.<br />

Ispezionare, palpare, auscultare. E ascoltare?<br />

Se il rapporto umano col paziente è la sostanza<br />

della medicina da millenni, l’anamnesi e l’esame<br />

obiettivo sono una conquista degli ultimi due secoli.<br />

Ci stiamo rinunciando? Il potere terapeutico<br />

del medico sta, al di là delle sue competenze<br />

scientifi che e tecniche, nell’ascolto del paziente e<br />

nello stabilire con questi un rapporto fi sico. Se chi<br />

ascolta un soffi o non lo sa interpretare è perché<br />

si è abituato a utilizzare gli strumenti, così come<br />

nessuno esegue più una divisione perché sono stati<br />

inventati i calcolatori tascabili. Il medico abile<br />

sa fare una visita. E come la mettiamo con l’informatica,<br />

il medico virtuale e il paziente virtuale<br />

per una visita virtuale?<br />

In conclusione, il signifi cato scientifi co, etico e<br />

umano, e la necessità di una visita fi sica sono la<br />

base di una relazione vera, senza la quale nessuna<br />

terapia sarà mai veramente effi cace. Il medico<br />

vive una vita dedita all’apprendimento. Se non ha<br />

curiosità può fare qualsiasi altro mestiere ma non<br />

il medico. Ma non basta. La capacità di ascolto e<br />

quella di “toccare” il prossimo si fondano sull’amore<br />

e sulla capacità di compassione. Se poi sarà capace<br />

di indignarsi quando, per qualsiasi ragione,<br />

il paziente non potrà fruire degli stessi diritti che<br />

spettano a tutti gli esseri umani, allora sarà un<br />

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