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Gialli d’epoca<br />
L’ultima fuga nali<br />
Così i giornali crearono<br />
il mito del “Bel Renè”<br />
Il soprannome<br />
di “Bel Renè”,<br />
che Vallanzasca<br />
ha sempre rifiutato,<br />
si deve<br />
soprattutto al<br />
sequestro di<br />
Emanuela Trapani,<br />
la figlia<br />
sedicenne del titolare<br />
di una ditta<br />
di cosmetici.<br />
Il sequestro durò<br />
quaranta giorni,<br />
tra il dicembre<br />
1976 e il gennaio<br />
1977, e i<br />
cronisti dipinsero<br />
la vicenda come<br />
una romantica<br />
storia d’amore<br />
tra il bandito<br />
e la fanciulla<br />
perbene.<br />
Sbarbina. È<br />
vero che il rapimento<br />
fu gestito<br />
in modo da non<br />
infastidire o spaventare<br />
troppo<br />
la ragazza (Vallanzasca<br />
arrivò a<br />
rubare per lei un<br />
albero di Natale<br />
la notte del 24<br />
dicembre) ma<br />
non ci fu nessuna<br />
love story. «La<br />
storia dell’albero<br />
è vera» dice Renato<br />
Vallanzasca<br />
«ma, insieme<br />
ad altre attenzioni,<br />
stava a<br />
significare il mio<br />
tentativo di chiederle<br />
scusa per<br />
le sofferenze che<br />
inevitabilmente<br />
le procuravo tenendola<br />
lontana<br />
dai suoi cari.<br />
Emanuela, oltre<br />
a rimanere,<br />
con la sua<br />
famiglia,<br />
una mia<br />
vittima, la<br />
ricorderò<br />
sempre<br />
come una<br />
sbarbina<br />
carinissima<br />
e<br />
simpaticissima».<br />
esclusivo!<br />
Sempre in<br />
prima pagina<br />
A lato, Renato<br />
Vallanzasca in<br />
carcere. Dal<br />
2006 si trova nel<br />
penitenziario di<br />
Opera (Mi), dove<br />
sconta 4 ergastoli<br />
e 260 anni di<br />
reclusione. In<br />
alto, la notizia<br />
della cattura e<br />
gli svilupppi del<br />
rapimento di<br />
Emanuela Trapani.<br />
A vent’anni dalla sua evasione più<br />
rocambolesca, la verità di Renato<br />
Vallanzasca, leggenda della “mala”<br />
“ Di lì non ci passa nemmeno<br />
un gatto” disse<br />
l’agente osservando<br />
l’oblò sul Flaminia,<br />
il traghetto che da Genova<br />
portava i turisti in Sardegna<br />
esattamente vent’anni fa, il 18<br />
luglio 1987. Ma non c’erano solo<br />
vacanzieri a bordo. Il carabiniere e altri<br />
4 suoi colleghi, tutte giovani reclute alla<br />
prima traduzione, accompagnavano un<br />
detenuto di “massima pericolosità”, Renato<br />
Vallanzasca, l’uomo che negli Anni<br />
’70 i giornali avevano definito “il Bel<br />
Renè”, “il bandito dagli occhi di ghiaccio”,<br />
“il Dillinger della Comasina”.<br />
Primi passi. Aveva iniziato ancora<br />
ragazzino a entrare e uscire dal Beccaria,<br />
il carcere minorile di Milano. Nel luglio<br />
del 1969 finì per la prima volta a San<br />
Vittore. Da allora è rimasto libero in tutto<br />
meno di due anni. Tornato in carcere<br />
nel 1972 per una rapina a un supermercato,<br />
evase in maniera clamorosa nell’estate<br />
del 1976. Non potendo contare<br />
su un medico compiacente che redigesse<br />
un falso certificato, aveva deciso di procurarsi<br />
un’epatite, nutrendosi per settimane<br />
con uova marce e iniettandosi la<br />
propria urina. Quando finalmente fu trasferito<br />
in ospedale, nel giro di pochi giorni<br />
riuscì a convincere una delle guardie,<br />
offrendogli 3 milioni, a chiudere un occhio<br />
per un paio di minuti. Così era sparito<br />
nella notte.<br />
Per i sette mesi successivi, fino al febbraio<br />
1977 quando fu riacciuffato a Roma,<br />
lui e la sua banda (la “batteria”,<br />
v. riquadro a pag. 94) riuscirono<br />
a tenere in scacco le forze<br />
dell’ordine di mezza Italia,<br />
rendendosi responsabili<br />
di un’ottantina<br />
di rapine, sparatorie<br />
e sequestri, tra<br />
cui uno, in particolare,<br />
che diede origine<br />
al “mito” del<br />
Bel Renè (v. riquadro<br />
a sinistra). Da un<br />
giorno all’altro, i gior-<br />
L’oblò del Flaminia, da<br />
un giornale dell’epoca.<br />
trasformarono Vallanzasca in una<br />
leggenda della malavita.<br />
Quelle due stagioni di fuoco costarono<br />
la vita a quattro poliziotti e ad altre due<br />
persone. Morti provocate dalla banda e<br />
per le quali Vallanzasca si accollò ogni<br />
responsabilità. Fu una scelta – sostiene<br />
lui – dettata da un “codice d’onore” a<br />
cui il bandito non intendeva trasgredire:<br />
visto che al processo gli avrebbero contestato<br />
di tutto, tanto valeva farsi carico<br />
anche delle colpe di altri, se così li poteva<br />
aiutare. Una decisione che gli costò<br />
quattro ergastoli e 260 anni di galera.<br />
Svanito. Quell’estate del 1987, dopo<br />
già dieci anni di carcere, Vallanzasca<br />
non aveva ancora smesso di pensare alla<br />
fuga. I carabinieri, fermi davanti alla<br />
cabina assegnata per il suo trasferimento<br />
al carcere di Nuoro, rimasero perplessi<br />
solo per un attimo. Era chiaro che la<br />
stanza grande, senza aperture ma con<br />
cinque brandine, era per loro, mentre<br />
quella piccola, con solo due letti e con<br />
il bagno interno, doveva andare al detenuto.<br />
Il fatto che ci fosse anche un oblò<br />
non li preoccupò troppo. Fu un errore, e<br />
quella sbadataggine rappresentò l’occasione<br />
che Vallanzasca aspettava. Appena<br />
fu chiuso nel suo alloggio, svitò i bulloni<br />
dell’oblò e dopo un paio di minuti<br />
era già sul ponte, mescolato ai passeggeri.<br />
Poiché la nave era ancora attraccata,<br />
riuscì a sbarcare e a perdersi nella folla.<br />
Sarebbe stata la sua ultima, rocambolesca,<br />
fuga.<br />
«Sono già passati vent’anni? Che certe<br />
parole vengano in mente a un ergastolano<br />
potrà sembrare ridicolo, ma<br />
non posso fare a meno di dire<br />
“come passa il tempo”»<br />
scherza Renato<br />
Vallanzasca, che oggi<br />
si trova nel carcere<br />
di Opera, vicino a<br />
Milano. «In realtà<br />
fu una “vacanza”<br />
brevissima, solo 20<br />
giorni. Ma tante cose<br />
mi sono rimaste<br />
impresse: il fatto che<br />
90 91
«C onosco<br />
Renato da<br />
40 anni» racconta<br />
la sua compagna<br />
Antonella<br />
D’Agostino. «Era<br />
un ragazzino sveglio<br />
e generoso.<br />
Ricordo una volta<br />
che si è preso una<br />
sculacciata dai<br />
suoi per essere<br />
tornato a casa<br />
senza scarpe: le<br />
aveva regalate a<br />
un bambino povero.<br />
Mi chiamava<br />
la sua “sorellina”,<br />
perché aveva solo<br />
fratelli e perché<br />
con me stava<br />
bene. Ogni tanto<br />
spariva, mi dicevano<br />
che era in<br />
collegio. Ho scoperto<br />
dai giornali<br />
che invece finiva<br />
al carcere correzionale.<br />
La vita<br />
poi ci ha separato,<br />
finché alcuni anni<br />
fa abbiamo preso<br />
a scriverci. Solo<br />
nel 2005 mi ha<br />
92<br />
Vallanzasca “privato”<br />
confessato che<br />
per lui ero più di<br />
una “sorella” e ho<br />
capito che anche<br />
per me era sempre<br />
stato così».<br />
Cambiato. «Un<br />
tempo» continua<br />
Antonella «quando<br />
Renato arrivava<br />
in un carcere la<br />
prima cosa che<br />
diceva al direttore<br />
era: “Io da qui<br />
me ne vado”. Ma<br />
oggi è un’altra<br />
persona. Sa che<br />
se facesse qualche<br />
sciocchezza<br />
perderebbe tutto,<br />
anche me». Se<br />
anche non avrà la<br />
grazia, Vallanzasca<br />
spera di poter<br />
almeno godere<br />
dei benefici della<br />
legge Gozzini, che<br />
prevede misure<br />
alternative alla<br />
detenzione, tra<br />
cui la semilibertà,<br />
il lavoro esterno,<br />
l’affidamento a<br />
servizi sociali.<br />
Sotto i riflettori<br />
Vallanzasca arrestato nel<br />
febbraio ’77, dopo il rapimento<br />
di Emanuela Trapani.<br />
Da bandito<br />
a celebrità<br />
A sinistra,<br />
Vallanzasca<br />
catturato dopo<br />
l’evasione<br />
del 1987. Le<br />
imprese di<br />
Vallanzasca e<br />
le sue fughe<br />
furono molto<br />
enfatizzate dai<br />
giornali (a lato,<br />
il primo articolo<br />
su di lui, del<br />
1969). Sopra, un<br />
muro di Milano,<br />
nel 1977.<br />
Dopo la cattura<br />
dell’87 venne<br />
identificato grazie<br />
a una cicatrice<br />
su un gluteo<br />
esistesse ancora della frutta deliziosa,<br />
per dirne una. Bere in un bicchiere di<br />
vetro è stata una sensazione piacevolissima.<br />
La cosa a cui feci invece fatica ad<br />
adattarmi fu il peso delle posate da tavola,<br />
visto che in galera si usano solo quelle<br />
di plastica. Comunque, al di là del sesso<br />
che ebbi finalmente modo di riscoprire,<br />
la cosa che più mi ha esaltato è stato correre<br />
a perdifiato in un prato alla periferia<br />
di Genova, gridando “Sono libero!”.<br />
Fu una sensazione travolgente».<br />
A piedi. Da Genova, infatti, Vallanzasca<br />
si fece quasi tutta a piedi la strada<br />
per tornare alla sua Milano. Percorrendo<br />
di notte i 38 km del passo del Turchino e<br />
trovando poi chi gli offrì uno strappo in<br />
auto credendolo un operaio dell’autostrada<br />
rimasto a piedi. «La cosa che mi<br />
colpì di più una volta a Milano fu che<br />
non la riconosce-<br />
la Ferrari, all’epovo.<br />
Non è che fosse<br />
ca giovane croni-<br />
più bella o più brutsta<br />
giudiziaria di<br />
ta, semplicemente<br />
un quotidiano mi-<br />
non era quella che<br />
lanese. «In realtà<br />
ricordavo».<br />
non subivo alcun<br />
A Milano, però,<br />
fascino e non so<br />
Vallanzasca non in-<br />
da che elementi il<br />
tendeva restare na-<br />
prefetto Serra posscosto:<br />
«Tanto sasa<br />
averlo dedotto.<br />
rebbe valso restare<br />
Ero una giornalista<br />
in galera». Per uno<br />
che faceva il suo la-<br />
come lui, ribelle e<br />
amante della provocazione,<br />
fu natu-<br />
Il corpo di Antonio Furlato dopo la<br />
sparatoria a Dalmine.<br />
voro. Mi occupavo<br />
di giudiziaria e mi<br />
si chiedevano inrale<br />
sfidare le forze<br />
terviste anche con<br />
dell’ordine esponendosi con un’inter- ergastolani come Vallanzasca. Quella<br />
vista in diretta a Radio Popolare. «Un sera arrivò a casa mia, senza preavvi-<br />
giorno ero in radio che conducevo il mio so, quell’uomo appena evaso, con tan-<br />
programma, quando un’assistente mi to di pistola. Non pensai a cattive inten-<br />
disse che c’era una visita per me» ricorzioni, ma, nonostante fossi in compagnia<br />
da il giornalista Umberto Gay. «Si fece di un collega, la tensione era davvero al-<br />
avanti un signore con una permanente ta. Passato lo choc, mi concentrai sul suo<br />
rossiccia e un paio di occhiali azzurrati. racconto pensando di ricavarne un arti-<br />
“Sì?” gli chiesi. Lui alzò gli occhiali e mi colo. Tre ore dopo se ne andò facendomi<br />
fece l’occhiolino. Santo Dio, era lui!». promettere che avrei concordato l’inter-<br />
«La sfida e una buona dose di incovista con Umberto Gay di Radio Poposcienza<br />
hanno sempre fatto parte del lare. Solo il giorno dopo trovai gli agenti<br />
mio Dna» dice Vallanzasca. «Se una della questura sotto casa mia, in un ser-<br />
persona si camuffa con qualche piccolo vizio di copertura a dir poco tardivo».<br />
accorgimento diventa pressoché invisi- Lo scoop comunque non ci fu perché<br />
bile, nell’indifferenza che regna sovrana l’intervista a Radio Popolare la bruciò<br />
tra la gente. Nel mio caso, mi ero taglia- sul tempo. «Semplicemente, Gay non<br />
to i baffi e mi ero fatto una tinta che, per accettò che il mio articolo uscisse lo stes-<br />
errore, venne fuori color rosso mogano. so giorno della sua intervista alla radio.<br />
Come che sia, a Umberto Gay l’intervi- Ma quando poi fu pubblicato – apparensta<br />
la dovevo. Gliel’avevo promessa». te frutto della conferenza stampa tenuta<br />
Piccoli misteri. Quell’intervista (in a Radio Popolare – c’erano molti parti-<br />
parte ascoltabile sul sito www.radiopocolari che testimoniavano invece di una<br />
polare.it) lasciò sbalordito Achille Ser- fonte diretta».<br />
ra, oggi prefetto a Roma ma allora di- Svolte. Intanto, il mondo stava camrigente<br />
alla Squadra mobile di Milano. biando. Gran parte dei vecchi amici del-<br />
Era il poliziotto che più di tutti aveva la banda o non erano più in vita o erano<br />
dato la caccia a Vallanzasca. «Quell’uo- in galera. Anche la “mala” era un’altra:<br />
mo aveva mille risorse» racconta Serra. i banditi e i rapinatori come lui aveva-<br />
«Due giorni dopo l’evasione misi un serno fatto il loro tempo, adesso imperavizio<br />
di sorveglianza sotto la casa di una va la droga. «Ma che malavita, quella<br />
giornalista che, negli ultimi tempi, mi ormai era solo mala vita» dice Vallan-<br />
era sembrata subire il fascino nero del zasca. «Per quella gente l’onore era un<br />
boss della Comasina. Lui non venne ma, optional, la parola data non valeva nien-<br />
alla fine, la giornalista si accorse dei pete e ciò che contava era quasi esclusivadinamenti<br />
e il suo direttore telefonò al mente il dio denaro. Era chiaro che ave-<br />
questore. Dire che io e i miei collaboravo fatto il mio tempo. Mi sentii come un<br />
tori fummo strapazzati per quell’inizia- pesce fuor d’acqua».<br />
tiva è poco. Fatto sta che seppi poi che «È vero» conferma Serra: «ormai alla<br />
Vallanzasca era effettivamente andato a Comasina (un quartiere della periferia<br />
trovarla, ma la sera prima che iniziassi- nord di Milano, ndr) c’era un’altra genemo<br />
gli appostamenti».<br />
razione criminale, lui avrebbe finito per<br />
«Non andò proprio così» ribatte Car- dare fastidio. I primi che se lo sarebbero<br />
93
Mamma battagliera<br />
Vallanzasca e mamma Maria<br />
nel ’77. Sotto, la lettera del<br />
2005 al presidente Ciampi.<br />
Una carriera nella “mala”<br />
● 4 maggio 1950: Renato<br />
Vallanzasca nasce a Milano.<br />
● 1958: finisce per la prima<br />
volta in questura per aver<br />
messo in libertà gli animali di<br />
un circo.<br />
● 16 luglio 1969: prima condanna<br />
a un anno e dieci mesi,<br />
per rapina a un portavalori.<br />
● 31 dicembre 1974: fallisce<br />
un tentativo di fuga da San<br />
Vittore (Milano), calandosi<br />
con le lenzuola.<br />
Così nacque la<br />
famigerata “batteria”<br />
«C onobbi<br />
Renato a<br />
San Vittore» dice<br />
Rossano Cochis,<br />
detto Mandingo.<br />
«Ci ritrovammo<br />
fuori con qualche<br />
altro amico e nacque<br />
la “batteria”.<br />
Iniziammo a fare<br />
qualche lavoretto<br />
in banca e i giornali<br />
si inventarono<br />
la “banda Vallanzasca”.<br />
Lui però<br />
non voleva essere<br />
il leader, furono i<br />
giornali a creargli<br />
intorno quell’alone<br />
leggendario».<br />
Fuori di sé. Li<br />
definirono la “banda<br />
dei drogati”,<br />
perché quando entravano<br />
in azione<br />
sembravano fuori<br />
di sé. «Eravamo<br />
tutti lucidi quando<br />
“lavoravamo”. Solo<br />
un paio tiravano<br />
coca, ma finirono<br />
presto fuori gioco.<br />
La verità è che la<br />
rapina ci dava una<br />
<strong>scarica</strong> enorme<br />
d’adrenalina. Alla<br />
fine, credo fosse<br />
più per l’emozione<br />
● Maggio 1975: tenta la fuga<br />
dal carcere di Campobasso.<br />
● 27 luglio 1976: evade<br />
dall’ospedale Bassi di Milano<br />
uscendo dall’ingresso principale<br />
con indosso un camice<br />
bianco.<br />
● 23 ottobre 1976: un complice<br />
di Vallanzasca, che gli<br />
sta portando nuovi documenti<br />
falsi, viene fermato dalla polizia<br />
stradale. L’uomo uccide<br />
l’appuntato Bruno Lucchesi<br />
che per i soldi se<br />
scegliemmo quella<br />
strada. Vivevamo<br />
alla giornata. Tanti<br />
guadagnati, tanti<br />
spesi. C’era una<br />
vera amicizia che<br />
ci legava e ognuno<br />
dipendeva dall’altro:<br />
era questione<br />
di sopravvivenza.<br />
I proventi si dividevano<br />
in parti<br />
uguali, indipendentemente<br />
dal ruolo».<br />
Semilibero. Oggi<br />
Cochis lavora in<br />
una comunità e<br />
rientra in carcere<br />
la sera. «Da 5 anni<br />
sono in semilibertà.<br />
Perché non c’è<br />
anche Renato? In<br />
fondo abbiamo<br />
commesso gli<br />
stessi reati. Sono<br />
convinto che paghi<br />
ancora per il suo<br />
nome, che i giornali<br />
hanno trasformato<br />
in sinonimo di<br />
“genio del male”».<br />
La banda rimase<br />
in attività nemmeno<br />
nove mesi. «Ma<br />
per me» dice oggi<br />
Cochis «valsero<br />
una vita».<br />
Cochis e Vallanzasca in manette.<br />
e ferisce l’agente Biagio<br />
Aliperti.<br />
● 30 ottobre 1976: due<br />
componenti della banda, Vito<br />
Pesce e Claudio Gatti, in una<br />
notte di follia uccidono il medico<br />
Umberto Premoli solo per<br />
rubargli l’auto. Saranno catturati<br />
2 settimane dopo.<br />
● 12 novembre 1976: nel<br />
corso di una rapina ad Andria<br />
(Ba) rimane ucciso il bancario<br />
Emanuele De Ceglie.<br />
“Merita<br />
equità”<br />
Achille Serra,<br />
che negli Anni<br />
’70 diede<br />
la caccia a<br />
Vallanzasca,<br />
oggi dice che<br />
il detenuto<br />
merita più<br />
equità.<br />
● 16 novembre 1976: un<br />
sopralluogo all’esattoria di<br />
piazza Vetra a Milano insospettisce<br />
le forze dell’ordine.<br />
Nella sparatoria che segue<br />
restano uccisi il brigadiere<br />
Giovanni Ripani e il bandito<br />
Mario Carluccio.<br />
● 29 novembre 1976: con<br />
un’intervista al Corriere d’Informazione<br />
Vallanzasca diventa<br />
un “personaggio”.<br />
● 13 dicembre 1976: rapi-<br />
venduto sarebbero stati proprio loro».<br />
Così, lasciò Milano e andò a nascondersi<br />
in una pensioncina di Grado (Go)<br />
in attesa dell’opportunità di scappare all’estero.<br />
Prese il sole e tirò tardi in discoteca,<br />
cercando di non sciupare neppure<br />
un minuto della ritrovata libertà. Fu solo<br />
quando tentò di mettersi in contatto<br />
con un’ammiratrice, che gli aveva scritto<br />
in carcere, che fu intercettato. Fu fermato<br />
a un posto di blocco, con una pistola<br />
che decise di non usare. Era rimasto<br />
fuori solo 20 giorni.<br />
Record. Oggi, con 38 anni di galera<br />
alle spalle, Vallanzasca è il detenuto italiano<br />
in carcere da più tempo. «Da una<br />
dozzina d’anni a questa parte ho sotterrato<br />
l’“ascia di guerra”» spiega. «Stando<br />
dentro ci si ritrova con più tempo per<br />
meditare e ripensare alle proprie scelleratezze,<br />
ed è qui che il carcere diven-<br />
mento di Emanuela Trapani<br />
(v. riquadro a pag. 90).<br />
● 23 gennaio 1977: Emanuela<br />
Trapani viene rilasciata dietro<br />
il pagamento di (si dice)<br />
2 miliardi di lire.<br />
● 6 febbraio 1977: un controllo<br />
della polizia stradale<br />
a Dalmine (Bg) scatena un<br />
conflitto a fuoco che causa la<br />
morte degli agenti Luigi D’Andrea<br />
e Renato Barborini, oltre<br />
a quella del rapinatore Antonio<br />
ta oltremodo pesante». Dice Serra: «Sì,<br />
sta scontando molti anni, ma io sono del<br />
parere che debba continuare a scontarli,<br />
considerato che tanta gente è stata uccisa<br />
e tanti hanno sofferto per causa sua.<br />
Certo oggi non lo ritengo più pericoloso,<br />
e quando vedo tanti altri lasciare il<br />
carcere penso che ci vorrebbe più equità<br />
anche nel suo caso. Non fosse altro,<br />
per la sua anziana mamma».<br />
Nel 2005 la quasi novantenne mamma<br />
di Renato scrisse all’allora presidente<br />
della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi,<br />
chiedendo la grazia per il figlio. «Non<br />
ne ho più saputo nulla» dice Vallanzasca.<br />
«Mi aspettavo almeno una risposta,<br />
anche negativa. È vero però che negli<br />
ultimi mesi ho potuto fare visita alla mia<br />
adorata e malandata vecchietta per ben<br />
due volte, se pure con abbondante scorta.<br />
Quando mi sarà data l’opportunità di<br />
Furiato. Anche se dichiarò di<br />
essere rimasto ferito in quell’occasione,<br />
forse Vallanzasca<br />
non era presente.<br />
● 14 febbraio 1977: viene<br />
arrestato dopo una soffiata.<br />
● 3 maggio 1977: la sua<br />
banda riesce a evadere da<br />
San Vittore, ma lui non può<br />
partecipare alla fuga perché si<br />
trova in isolamento.<br />
● 14 luglio 1979: sposa in<br />
carcere Giuliana Brusa. È<br />
Alla<br />
sbarra<br />
Alcuni membri<br />
della banda<br />
Vallanzasca<br />
al processo<br />
celebrato a<br />
Milano nel<br />
marzo del 1977<br />
e seguitissimo<br />
dalla stampa.<br />
un matrimonio organizzato<br />
per cementare un patto con<br />
Francis Turatello, boss delle<br />
bische milanesi, che diventa<br />
così suo compare.<br />
● 29 aprile 1980: con altri<br />
17 detenuti tenta la fuga da<br />
San Vittore, ma viene ferito.<br />
● 30 dicembre 1984: tenta<br />
di evadere dal carcere di Spoleto<br />
(Perugia).<br />
● 18 luglio 1987: a Genova<br />
fugge dal traghetto Flaminia.<br />
Molti criminali,<br />
per avere fama e<br />
rispetto, dicevano<br />
di appartenere<br />
alla sua banda<br />
recarmi in permesso senza una marea di<br />
agenti al seguito, potrò dimostrare di essere<br />
un detenuto come gli altri. E forse<br />
anche i più restii si convinceranno a darmi<br />
ancora una chance».<br />
«Al di là della grazia, io vedo la possibilità<br />
di valutare la concessione di misure<br />
alternative, tenendo conto che un<br />
percorso di reinserimento è cominciato»<br />
conferma Luigi Pagano, provveditore<br />
del Dipartimento amministrazione<br />
penitenziaria della Lombardia. Renato<br />
Vallanzasca in questi anni è infatti diventato<br />
un mago del computer e da tempo<br />
ha un contratto di lavoro con un’associazione<br />
no profit.<br />
Sulla Luna. «Come vedo il mio futuro?»<br />
conclude Vallanzasca. «Dare una<br />
risposta è impossibile. Sono in galera da<br />
tanto tempo, da prima ancora che l’uomo<br />
andasse sulla Luna. Posso capire chi<br />
pensa che per un assassino come me non<br />
sarebbero abbastanza neanche cent’anni<br />
di prigione. Ma resta il fatto che io possa<br />
e debba continuare a sperare». ❏<br />
Massimo Polidoro<br />
SAPERnE DI PIù<br />
Etica criminale, Massimo Polidoro<br />
(Piemme). Il libro su Vallanzasca e<br />
la sua banda, in uscita a settembre, di<br />
cui questo articolo è un’anticipazione.<br />
Viene catturato il 7 agosto.<br />
● 30 dicembre 1995: nel carcere<br />
di Nuoro gli trovano in cella<br />
una pistola e un telefonino. È<br />
il suo ultimo tentativo di fuga.<br />
● 1° maggio 2005: gli viene<br />
concesso un primo permesso<br />
di tre ore, per consentirgli di<br />
rivedere la madre.<br />
● 29 luglio 2006: viene<br />
trasferito al carcere di Opera<br />
(Mi) per avvicinarlo alla mamma,<br />
anziana e malata.<br />
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