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RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo

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potrei, ora, descrivere i miei sentimenti di quell'istante? Occorre forse ch'io dica come mi sentii posseduto dai terrori dei<br />

dan<strong>nat</strong>i? Non ebbi, a ogni modo, alcun tempo per riflettere. Mille mani mi furono addosso nel mentre che i lumi<br />

venivano riaccesi. Mi perquisirono. E se nel risvolto della mia manica sinistra si trovarono tutte le principali figure<br />

dell'écarté, nelle tasche della mia vestaglia furori rinvenuti numerosi mazzi di carte simili a quelli di cui ci servivamo<br />

nelle nostre accolte, salvo che le mie eran di quelle dette arrotondate, secondo che il linguaggio del mestiere definisce<br />

una leggera convessione alle estremità degli onori, e ai lati delle altre carte, per cui la vittima, alzando come è l'uso,<br />

nella lunghezza del mazzo, era costretta a dare un onore all'avversario, nel mentre che costui, il quale alzava in<br />

larghezza, aveva modo di non dare mai alla vittima una carta che gli riuscisse di svantaggio.<br />

Un uragano di sdegno sarebbe stato preferibile al profondo silenzio pieno di significato che seguì quella<br />

scoperta.<br />

«Signor Wilson», disse l'ospite mio, nel mentre che si chinava per terra a raccattare un meraviglioso mantello<br />

foderato di pelliccia che, per il freddo, m'ero messo sulle spalle uscendo di casa e m'ero tolto non appena raggiunto il<br />

teatro del giuoco. «Signor Wilson: questa è roba vostra. Mi sembra superfluo», soggiunse con un amaro sorriso,<br />

esaminando le pieghe del mantello, «mi sembra superfluo ricercare, anche qui, nuove prove della vostra industria. Ne<br />

abbiamo avute a sufficienza, per la verità. Così che spero comprendiate la necessità di abbandonare Oxford e, in ogni<br />

caso, di uscire subito da casa mia!».<br />

Avvilito come ero, e umiliato dalla mia bassezza medesima, avrei avuto la forza, tuttavia, di reagire a quegli<br />

insulti con qualche atteggiamento, magari, di violenza, ove la mia attenzione non fosse stata attratta, in quel punto, da<br />

un avvenimento eccezionale. Il mantello col quale ero entrato in casa del mio ospite era, secondo ho già rilevato,<br />

guarnito e foderato d'una pelliccia rara e preziosa, e tagliato secondo un modello di mia invenzione, dacché in tali<br />

frivolezze ero di contentatura difficile e quant'altri mai eccentrico. Nel mentre, dunque, Preston mi porse il mantello che<br />

aveva raccolto sulla soglia della stanza, mi sentii gelare per la meraviglia - per non dire dalla paura - nell'accorgermi<br />

ch'io avevo già il mio, sul braccio, e che l'altro che m'era porto era, di quello, solo una contraffazione, esattissima nei<br />

minimi particolari. Il singolare individuo dal quale ero stato, per mala ventura, smascherato, aveva, secondo ricordavo<br />

perfettamente, anch'egli un mantello e, tra gli astanti, io solo ero venuto a giocare con un simile indumento. Come<br />

dovevo comportarmi? Cercai di serbare, al massimo, un contegno disinvolto, tolsi in braccio anche il mantello che mi<br />

porgeva l'ospite, lo sovrapposi al mio senza farne avveduto alcuno, ed uscii da quel luogo, fulminando in giro<br />

un'occhiata di sfida. Era appena l'alba ed io ero già in fuga da Oxford, diretto al continente, in preda a un'agonia d'orrore<br />

e di vergogna.<br />

Era invano, però, ch'io fuggivo. Il mio destino di sventura ebbe a perseguitarmi, vittorioso, dando a vedere che<br />

in quella tragica notte aveva soltanto cominciato a esercitare su di me il suo misterioso dominio. Non ero ancor giunto a<br />

Parigi che già Wilson mi forniva nuove prove del malefico interesse ch'egli aveva preso alla mia sorte. E il tempo passò<br />

tuttavia, ed il mio nemico non mi die' tregua. Miserabile! Con quale inopportuna premura e con qual garbo nulladimeno<br />

sinistro non ebbe a intromettersi, tra me e il mio orgoglio, a Roma! E a Vienna! A Berlino! A Mosca! In qual luogo mai<br />

non colsi un qualche amaro motivo per maledirlo dal profondo di tutto l'essere mio? Io fuggivo, preda del terrore,<br />

innanzi alla sua imperscrutabile tirannide come se, a inseguirmi, fosse un'epidemia pestilenziale. In capo al mondo<br />

fuggii ma fu sempre invano.<br />

E ancora, chiedevo al segreto dell'animo mio: Chi è? Donde viene? Che vuole? E non avevo risposta. E<br />

studiavo le forme, i metodi, i caratteristici tratti della sua arrogante sorveglianza, e nulla potevo trovare che potesse,<br />

anche di lontano, schiuderne il mistero. Noterò, inoltre, che in ognuna delle innumeri volte in cui m'attraversò la strada,<br />

egli mirò a sconvolgere i miei piani e mutar corso alle mie operazioni, le quali, ove fossero state condotte a buon punto,<br />

m'avrebbero pur procurato, sempre, un amaro disinganno. E nondimeno, qual meschina giustificazione non era questa<br />

per usurpare quella sua autorità in maniera tanto insolente? Qual gramo compenso per il mio <strong>nat</strong>urale diritto a eleggere<br />

la mia volontà, offeso così accanitamente e ingiuriosamente?<br />

Avevo notato, fin dai nostri primi incontri, che egli, pur nella sua scrupolosa e miracolosa destrezza nell'imitare<br />

la mia foggia di vestire, ogni volta che veniva a porre un ostacolo alla mia libera volontà, aveva sempre evitato ch'io lo<br />

guardassi in volto. Chiunque egli fosse, toccava, in codesto volersi trincerare nel mistero, il colmo dell'affettazione e<br />

della stupidità. Maledetto! Poteva egli illudersi che in colui che m'aveva ammonito ad Eton, che aveva distrutto l'onor<br />

mio a Oxford, che aveva avversata la mia ambizione a Roma, la mia vendetta a Parigi, la mia passione a Napoli e ciò,<br />

infine, ch'egli a torto definì cupidigia in Egitto, poteva egli illudersi che nel mio capitale nemico e malefico genio, io<br />

non avessi ravvisato il William Wilson dei miei anni di scuola? Il mio omonimo? Il mio esecrato rivale al convitto del<br />

dottor Bransby? Sarebbe stato assurdo. E veniamo, nondimeno, all'ultima scena del dramma.<br />

Avevo, sempre, sino allora, subito passivamente d'essergli soggetto. Il profondo rispetto col quale mi ero<br />

abituato a venerare il suo nobile carattere, la maestà del suo sapere, la sua onnipotenza e apparente onnipresenza, in una<br />

sorta di paura che m'ispiravano taluni tratti della sua indole, m'avevano persuaso d'esser debole e del tutto indifeso<br />

dinanzi a lui e, insieme, m'avevan consigliata una totale sottomissione - per quanta amarezza e disgusto potesse<br />

costarmi - alla sua arbitraria dittatura. Negli ultimi mesi mi ero consacrato all'alcool con una assoluta dedizione, con<br />

l'effetto ch'io ero reso ogni giorno più insofferente di qualsiasi controllo. Cominciai così, a mormorare, ad esitare, a<br />

resistere, infine. Fu forse una follia credere che l'ostinazione di colui che s'era eletto a mio carnefice sarebbe stata<br />

attenuata dalla mia fermezza? È probabile che fosse così. E nondimeno io mi sentii, poco alla volta, animato da una<br />

nuova speranza e cominciai a nutrir fede, in segreto, che sarei riuscito a liberarmi da quella schiavitù.<br />

Nel carnevale del 18... ero a Roma. Una sera mi recai a un ballo in maschera che aveva luogo nel palazzo del

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