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RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo

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mi possedette l'animo all'istante. Respirando appena, in un convulso tremore, accostai ancor più il lume al suo volto.<br />

Erano quelli, erano proprio quelli i lineamenti di William Wilson? Vedevo, sì, ch'erano i suoi, eppure mi lasciavo<br />

assalire da un brivido di febbre, immaginando ch'essi non lo erano. Che cosa, in essi, aveva il potere di farmi<br />

confondere a tal segno? Non potevo distogliermi dal contemplarlo ed il mio cervello roteava in preda al delirio di mille<br />

pensieri in contrasto. Non era così, ah, no! Certamente non era così ch'egli m'appariva nelle ore normali, quando era<br />

desto. Lo stesso nome, la stessa figura, lo stesso giorno d'entrata a scuola! E ancora l'inspiegabile dispetto della<br />

contraffazione della mia andatura, della mia voce, delle mie abitudini! Rientrava nelle possibilità umane che quel ch'io<br />

vedevo, ora, fosse pure soltanto il risultato di quel suo continuo esercizio, dell'ironia crudele della sua imitazione? Al<br />

colmo del terrore, rabbrividendo, soffiai sul mio lume, uscii in silenzio dalla cameruccia e abbandonai, una volta per<br />

sempre, il recinto della vecchia scuola.<br />

Dopo un lasso di tempo - qualche mese - che spesi, in ozio assoluto, nella casa di mio padre fui mandato a<br />

Eton. Tale breve intermezzo era stato sufficiente per annebbiare e quasi disperdere il ricordo degli avvenimenti<br />

dell'istituto del dottor Bransby, o almeno a mutare la <strong>nat</strong>ura dei sentimenti che quei ricordi mi risvegliavano. La realtà,<br />

e, cioè, la parte viva del dramma, non esisteva più, così ch'io credevo perfino di porre in dubbio la testimonianza dei<br />

miei sensi. E molto spesso, al ripensar quegli accidenti, meravigliavo del segno cui sa pervenire l'umana credulità e<br />

irridevo meco la prodigiosa fantasia della quale, a mezzo d'una trasmissione ereditaria, mi trovavo dotato dai miei<br />

genitori. La vita che io conducevo a Eton era tale da confortarmi in questa sorta di scettica professione. Il turbine di<br />

sregolate follie al quale, senza por tempo in mezzo, m'abbandonai allora, ebbe il potere di sommergere tutto, all'infuori<br />

d'un qualche superficiale ricordo di ciò ch'erano stati i mesi trascorsi e portò via seco ogni radicata impressione, senza<br />

permettere che la memoria serbasse null'altro, all'infuori delle più trasparenti immagini d'una bizzarra fanciullezza.<br />

Non ho alcuna intenzione di segnare, in questo luogo, il corso delle mie sciagurate dissolutezze, il quale<br />

sfidava ogni norma costituita, ed eludeva altresì ogni vigilanza. Tre anni di folli sregolatezze, spesi senza verun profitto,<br />

erano stati causa che il vizio piantasse profonde radici nell'animo mio, ed assieme che il mio sviluppo fisico fosse<br />

accresciuto in modo tutt'affatto anormale: un giorno, dopo una settimana di abbrutimento, spesa nell'esercizio delle più<br />

ributtanti infamie, convitai meco, nel mio appartamento privato, alcuni tra gli studenti più perversi, a far baldoria. Ci<br />

trovammo assieme a tarda sera, dacché la gozzoviglia avrebbe dovuto protrarsi con iscrupolo fino al mattino. Il vino<br />

corse a fiumi e non mancarono, com'è <strong>nat</strong>urale, altre e più pericolose fonti di dolce ebrezza, così che, quando furono<br />

annunciati i primi deboli chiarori dell'alba, noi avevamo appena toccato il vertice del nostro stravagante delirio.<br />

Incendiato come ero dall'alcool e dalla demoniaca febbre del giuoco, mi accanivo a ricominciare un brindisi della più<br />

volgare insolenza, allorché la mia attenzione fu distratta dallo spalancarsi improvviso d'una porta e dalle precipitate<br />

parole d'un servo: egli mi disse che un personaggio, il quale dava a vedere d'essere divorato dalla fretta, chiedeva di<br />

potermi parlare nell'atrio.<br />

Al colmo del delirio alcoolico, quella interruzione inaspettata, lungi dal meravigliarmi, mi arrecò quasi un<br />

senso di sollievo, e raggiunsi così, di passo incerto, il vestibolo. In quella bassa stanzetta non v'era altro lume che quello<br />

medesimo dell'alba veniente, il quale pioveva stento, attraverso agli oscuri vetri d'una finestra ad arco. Al momento di<br />

porre il piede sulla soglia, intravvidi la figura d'un giovane che sembrava della mia stessa statura e portava una veste da<br />

camera di cachemire bianco, tagliata secondo la moda più recente, in tutto identica a quella che, in quello stesso istante,<br />

avevo indosso lo. A quel fioco lume, non mi fu possibile distinguere la fisionomia del giovane, anche perché questi, non<br />

appena entrai, mi si fece all'improvviso da presso e afferrandomi un braccio in un gesto d'impazienza, bisbigliò, al mio<br />

orecchio, le due parole: William Wilson.<br />

La mia ubriachezza fu dispersa in quell'attimo.<br />

V'era qualcosa, nel comportamento dello straniero, in quel suo vibrare il dito levato davanti ai miei occhi<br />

contro la luce, che mi paralizzò di meraviglia. E nondimeno non poté esser ciò - quel qualcosa, dico - a sconvolgermi<br />

l'animo: l'esuberanza, bensì, dell'ammonimento solenne che era in quel nome pronunciato da una voce bassa e come<br />

fischiante e, sopra ogni altra cosa, il tono, il carattere, il senso di quelle sillabe, affatto familiari e nondimeno<br />

mormorate come da un magico potere, le quali risvegliarono un nugolo di memorie sopite, e mi penetrarono come d'un<br />

brivido elettrico. Non mi ero ancora rimesso da quella scossa che il mio visitatore era gia scomparso.<br />

Quantunque vivo e operante, l'effetto che un tale avvenimento produsse su di me ebbe, nondimeno, breve<br />

durata. Durante alcune settimane - è vero - m'avvenne di andare attorno a far ricerche, come pure di restare a lungo<br />

assorto in profonda riflessione. Non che cercassi di nascondermi l'identità del misterioso personaggio che mestava con<br />

tanta irriducibile caparbietà nei miei piaceri privati e m'infastidiva coi suoi ammonimenti! Ma chi era, infine, codesto<br />

Wilson? Di dove veniva? E che cosa voleva? Non seppi dare alcuna risposta a queste domande: seppi soltanto che, per<br />

un improvviso accidente occorso alla sua famiglia, egli era stato costretto ad abbandonare la scuola del dottor Bransby<br />

poche ore dopo che io stesso ne ero fuggito. Ciò nondimeno, di lì a qualche tempo, tutta quella storia fini con l'uscirmi<br />

affatto di mente e non mi occupai più che della mia partenza per Oxford - del resto già da tempo disposta - dove, ben<br />

equipaggiato com'ero dalle stolte e vanagloriose prodigalità dei miei, potei menare non appena arrivato, la frivola<br />

esistenza che tanto amavo, e rivaleggiare nelle spese, e soprattutto negli sprechi, coi più ricchi eredi delle più cospicue<br />

contee d'Inghilterra.<br />

Incoraggiato, così, il vizio, mi dedicai affatto e con sfre<strong>nat</strong>o e rinnovato ardore, alle mie <strong>nat</strong>urali inclinazioni e,<br />

pazzamente infatuato, infransi, nelle mie orge, i più elementari obblighi della decenza. Indugiare sui particolari della<br />

mia stravagante licenza sarebbe assurdo. Basti sapere che superai lo stesso Erode per la dissolutezza, e che, prestando il<br />

mio nome a innumeri nuove scellerataggini, m'avvenne d'arricchire non poco il catalogo dei vizi che erano allora di

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