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RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo

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Da un angolo della murata che recingeva la scuola, guardava una porta ancor più massiccia dello stesso muro,<br />

la quale era saldamente sbarrata, fornita d'un chiavistello e sormontata da una corona di punte acumi<strong>nat</strong>e di ferro. Essa<br />

ci ispirava i più profondi terrori. Non accadeva giammai che si aprisse se non per le tre sortite, con le relative rientrate,<br />

di ogni settimana e nello stridere che allora faceva sui cardini, noi ci trovammo sopraffatti da una profondità di mistero<br />

che schiudeva, alle nostre vergini menti, un intero mondo di solenni meditazioni.<br />

Il lungo recingimento era irregolare, per la forma, e diviso in più parti delle quali le tre o quattro più vaste<br />

fungevano da corte di ricreazione. Quest'ultima era spia<strong>nat</strong>a e coperta d'uno strato di ghiaia fine e scricchiolante.<br />

Rammento bene che essa era nuda al tutto, senza che vi si potessero scorgere né alberi, né panche, né altro oggetto<br />

simile. Si apriva, <strong>nat</strong>uralmente, sul retro dell'edificio mentre davanti alla facciata vegetava una sorta di piccolo giardino<br />

coltivato a bossi od altra sorta di arbusti, il quale costituiva una sacra e vergine oasi che ci era dato di attraversare assai<br />

raramente, e soltanto, cioè, in occasioni come quella del nostro arrivo a scuola e della nostra definitiva partenza da essa,<br />

ovvero in quell'altra nella quale, affidati a un amico o a un parente che era venuto a prenderne, ci avviavamo, pieni di<br />

gioia, alla volta della casa paterna, durante le vacanze <strong>nat</strong>alizie o in quelle estive.<br />

Ma la casa! Qual vecchio e bizzarro edificio non era la casa! E qual, per me, palazzo di magia! Dove potesse<br />

aver fine l'inestricabile labirinto dei suoi anditi, e delle sue suddivisioni, era impossibile comprendere, ed in<br />

qualsivoglia momento era difficile stabilire con sicurezza dove ci si trovasse, se al primo, ovvero al secondo piano, dal<br />

momento che si era sempre sicuri di trovare due, tre e finanche quattro gradini da salire o da scendere in ciascun<br />

passaggio da una stanza all'altra. Gli scompartimenti laterali, poi, erano innumerevoli: giravano e rigiravano e finivano<br />

poi così bene con l'incontrarsi l'uno nell'altro che le idee che potevamo avere, relativamente all'edificio nel suo insieme,<br />

non erano molto diverse da quelle altre in virtù delle quali studiamo di farci informati dell'infinito. Per tutti i cinque<br />

anni che vi passai dentro, non fui mai buono a determinare, infatti, in quale punto fosse precisamente l'angusto<br />

dormitorio che mi era stato asseg<strong>nat</strong>o assieme a una ventina di altri scolari.<br />

L'aula desti<strong>nat</strong>a allo studio era la più vasta di tutto l'edificio e di tutto il mondo: tale, almeno, mi sembrava. Più<br />

lunga che larga e sinistramente bassa, riceveva luce da finestre ogivali e possedeva un soffitto di quercia. In un suo<br />

remoto cantuccio - oggetto di terrore, per noi - era riservato un recinto quadro, largo da otto a dieci piedi, il quale<br />

rappresentava il sanctum del direttore, reverendo dottor Bransby, nelle ore in cui eravamo riuniti a studiare. Era una<br />

solida costruzione, dalla porta massiccia, ma noi, pur quando il maestro di scuola era assente, avremmo preferito morire<br />

della peine forte et dure anziché arrischiarci ad aprirla. In altri due angoli della sala sorgevano altre due tribune eguali<br />

che, seppure incutevano una venerazione men profonda, era pur tuttavia enorme il terrore che ne emanava: la cattedra,<br />

l'una, del professore di discipline classiche, del professore di quelle matematiche e d'inglese, l'altra. Sparsi dappertutto<br />

per la sala erano innumeri banchi e leggii gravi per il peso di antichissimi libri sudici di ditate; essi erano disposti con<br />

tale disordine ed erano così logorati dal tempo e tatuati d'iniziali, di nomi, d'immagini grottesche e d'altre consimili<br />

mirifiche invenzioni del temperino, che avevano del tutto smessa la forma d'origine conferita ad essi, un tempo,<br />

dall'immemorabile passato. Una enorme secchia colma d'acqua era, inoltre, a un capo dell'aula e all'altro s'ergeva un<br />

orologio d'incredibili proporzioni.<br />

Fra le massicce pareti di questo venerando istituto, io passai, senza che potessi, nondimeno, provare alcuna<br />

noia e alcun disagio, gli anni che occuparono il terzo lustro della mia vita. La mente dei fanciulli, feconda<br />

d'immaginazione, non ha bisogno degli incidenti esteriori per occuparsi e divertirsi, e la sinistra monotonia della scuola<br />

fu popolata, per me, di più intensi eccitamenti che non quelli richiesti, in seguito, dalla mia giovinezza alla voluttà, e<br />

dalla mia virilità al delitto. E tuttavia sono portato a credere che la mia intelligenza si sviluppò, in principio, in modo<br />

tutt'affatto anormale e sregolato. Una volta ch'egli è pervenuto alla maturità, gli avvenimenti dell'infanzia non lasciano<br />

solitamente, nell'uomo, un'impressione ben conformata. Ogni cosa s'ingrigia simile a un'ombra e gli intrighi confusi di<br />

tenui piaceri e fantasiose angosce s'annebulano in un vago e irregolare ricordo. Occorre che io abbia inteso, nella mia<br />

infanzia, con l'energia dell'uomo adulto, tutto quel che trovo ancora seg<strong>nat</strong>o nella mia memoria a tinte vive, profonde e<br />

durature, com'è l'esergo delle monete cartaginesi.<br />

E nondimeno, per quel che era il fatto in sé e per sé - dal punto di vista, almeno, dal quale la gente giudica<br />

d'usato simili accidenti - v'era assai poco da serbarne memoria. La sveglia al mattino, l'ordine d'andare a coricarsi la<br />

sera, le lezioni, le rappresentazioni, i brevi periodi di vacanza, le passeggiate, le contese durante la ricreazione nella<br />

corte, i giuochi, gli intrighi e i complotti, tutte queste cose, insomma, per lo smagamento dell'anima, disperso di poi,<br />

portavano seco una folla di sensazioni, un universo ricco e variegato d'avventure e delle più svariate emozioni, come<br />

pure degli eccitamenti più ebbri e passio<strong>nat</strong>i. «Oh, le bon temps, que ce siècle de fer!».<br />

La mia focosa, altera, entusiasta <strong>nat</strong>ura non tardò, per la verità, a farmi eccellere tra i miei compagni, e mi<br />

diede, man mano, un notevole ascendente su coloro almeno che non erano più grandi di me: su tutti, tranne uno. Era<br />

costui un allievo che, senz'essermi tuttavia legato da alcuna parentela più o meno lontana, portava oltre il mio nome di<br />

battesimo, anche il mio stesso nome di famiglia. Tale circostanza, per la verità, non deve meravigliare troppo, dal<br />

momento che il mio, nonostante la nobile origine, era uno di quel nomi del tutto comuni che, per una sorta di<br />

prescrizione, sembrano essere stati, fin dai tempi dei tempi, di dominio pubblico. Ho così assunto, nell'odierno racconto,<br />

il nome di William Wilson, il quale è nome fittizio ma non per questo troppo discosto dal vero. Tra coloro i quali, per<br />

usare un'espressione della scuola, facevano parte della nostra classe, il mio omonimo soltanto osava gareggiar meco<br />

negli studi come anche nei giuochi e nelle competizioni delle ore di svago. Egli era il solo che si rifiutasse di credere<br />

alle mie asserzioni con quell'assoluta cecità con cui gli altri solevano, che non soffrisse di sottomettersi alla mia volontà,<br />

che contrastasse, insomma, in tutti i possibili modi e casi, alla mia dittatura. E notate che non v'è sulla terra dispotismo

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