RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo
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durante una lunghissima parte del giorno, in un'ombra bizzarra che il sole moribondo disegnava obliquamente sui<br />
damaschi polverosi e sul tappeto tarlato... e mi perdevo, inoltre, intere notti, con l'occhio fisso al palpito della fiammella<br />
d'un lume, ovvero alle braci rosseggianti del camino... e ancora, per giorni e giorni, fantasticavo sul profumo dei fiori...<br />
o ripetevo con esasperante monotonia, una parola tutt'affatto banale... e la ripetevo tanto e poi tanto che essa finiva per<br />
ispogliarsi totalmente d'ogni larva di umano significato... e così perdevo ogni senso del movimento, come pure<br />
dell'esistenza fisica, prolungando osti<strong>nat</strong>amente un ozio assoluto...<br />
Tali furono le più ordinarie e le meno dannose fra le aberrazioni cui s'abbandonò la mia mente ed il mio spirito:<br />
non del tutto, al certo, eccezionali, e nulladimeno al di fuori d'ogni spiegazione o analisi. Ma io non voglio essere<br />
frainteso. L'attenzione avida, morbosa e del tutto anormale che era in tal modo eccitata in me dai più comuni e futili<br />
oggetti, non va in alcun modo scambiata con quella disposizione dell'animo d'andar ruminando tra sé le proprie doglie,<br />
la quale è comune a tutto l'uman genere ed in special modo alle persone afflitte da una vivace immaginazione. La mia<br />
non era, quindi, una condizione puramente esterna o una esagerazione di quella tendenza: essa, al contrario, si<br />
distingueva dall'altra così per l'origine come per l'intima essenza, le quali erano del tutto opposte. In quel primo caso, il<br />
sog<strong>nat</strong>ore - ovvero l'esaltato, se così si vuol definire - il quale ha l'interesse risvegliato, solitamente, da oggetti di non<br />
futile <strong>nat</strong>ura, perde di vista, appunto, cotesto interesse, col mezzo d'innumeri deduzioni o supposizioni che a quello si<br />
riferiscono, fintantoché, al termine d'una gior<strong>nat</strong>a trascorsa a sognare, la quale è spesso piena di piacere discopre che<br />
l'incitamento - e cioè la causa prima e origine di tutte le sue divagazioni - è del tutto svanito e come straniato dalla<br />
mente. Nel caso mio, al contrario, il punto di partenza era costantemente frivolo anche se, alterato dalla mia fantasia<br />
sovreccitata, finiva coll'assumere, per riflesso, un'irreale consistenza. Seppur mi accadeva di farne, io ero pochissimo<br />
propenso alle deduzioni, e quelle poche in cui m'imbrogliavo tornavano con ostinazione, sempre e sempre, sull'oggetto<br />
di partenza come su di un centro magico d'attrazione. Tali meditazioni non erano mai piacevoli e, al dileguarsi di quelle<br />
chimeriche fantasie, anziché disperdersi ancor essa, la causa principale ed origi<strong>nat</strong>rice di esse raggiungeva<br />
quell'interesse sopran<strong>nat</strong>urale ed esagerato che era la prima caratteristica del mio male. Le facoltà, in breve, che<br />
venivano più facilmente eccitate in me, erano quelle dell'attenzione al contrario di quelle che sono eccitate nel sog<strong>nat</strong>ore<br />
comune, le quali sono puramente speculative.<br />
Seppure non erano causa diretta nello stuzzicare quel mio male segreto, è fatale che i libri, per la loro stessa<br />
fantastica ed inconseguente <strong>nat</strong>ura, partecipassero, nella maniera più ampia, a svilupparne le peculiari caratteristiche. Io<br />
rammento bene, tra gli altri, il trattato De amplitude beati regni Dei del nobile italiano Coelius Secundus Curio, come<br />
pure il capolavoro di Sant'Agostino, La città di Dio, e quello di Tertulliano De carne Christi, il cui paradossale<br />
pensiero, Mortuus est Dei filius; credibile est quia ineptum est; et sepultus resur rexit; certum est quia impossibile est,<br />
assorbì per più settimane, in laboriose e sterili investigazioni, il mio povero tempo.<br />
Appare, in tal modo, evidente come la mia ragione, messa a repentaglio dai più futili motivi, potesse<br />
paragonarsi a quella rupe di cui dice Tolomeo Efestione, la quale resisteva ad ogni umana violenza e al più orribile<br />
infuriare delle acque e dei venti, come una torre saldamente radicata nel terreno, epperò, non appena tocca dal fiore che<br />
vien detto asfodelo, vacillava fin dalle scaturigini.<br />
Potrà sembrare ovvio, ad un superficiale pensatore, che la terribile alterazione prodotta dalla malattia sulle<br />
condizioni spirituali di Berenice, fornisse, a me, non poco incremento per una intensa meditazione, quella medesima<br />
della quale ho potuto testé definire la <strong>nat</strong>ura soltanto in modo eccessivamente complicato e confuso. Non era così,<br />
invece. Negli intervalli che la mia malattia consentiva alla lucidità, quella sventura mi colmava di pena e come io<br />
prendevo a cuore, nel più partecipe dei modi, la compiuta rovina della bella e dolce Berenice, non mancavo, sovente, di<br />
riflettere con amarezza, al modo misterioso per il quale era avvenuto in lei un sì strano rivolgimento. Queste riflessioni<br />
non partecipavano, però, dell'idiosincrasia del mio male ed eran le medesime, anzi, che sarebbe avvenuto di fare alla<br />
media degli uomini, in circostanze analoghe. La mia infermità, fedele alla propria <strong>nat</strong>ura, faceva presa sui meno<br />
importanti - epperò più repentini - mutamenti che avvenivano nel fisico di Berenice e cioè sulla singolare e paurosa<br />
alterazione che subiva la sua personale identità.<br />
Io ero sicurissimo, nei più radiosi giorni della sua bellezza, la quale era al di fuori d'ogni paragone, che non mi<br />
era mai accaduto d'amarla. Sono, infatti, in grado di affermare, con tutta certezza, che per le strane anomalie della mia<br />
<strong>nat</strong>ura, i miei sentimenti non furono mai origi<strong>nat</strong>i dal cuore e le mie passioni ebbero sempre ad accendersi soltanto nel<br />
mio cervello. Nel grigio annuncio dell'alba, nel meriggio, traverso ai foschi tralicci d'ombre della selva, e ancora, la<br />
sera, nel silenzio della mia biblioteca, Berenice m'era bale<strong>nat</strong>a dinanzi agli occhi ed io l'avevo veduta non già quale era<br />
da viva e col respiro sulle labbra, ma come una Berenice di sogno; non una creatura terrestre fatta di carne, l'astrazione,<br />
bensì, d'una tale creatura. E non una creatura da contemplare ed ammirare: da studiare, invece. Non tema d'amore,<br />
infine, ma di astrusa e strampalata speculazione. Ed eccomi dinanzi a lei, in preda a un tremore violento e convulso,<br />
Pallido al suo accostarsi, epperò dolente della sua condizione e sventura. Poiché essa mi aveva lungamente amato,<br />
com'io potei, infine, rammentarmi e, in un maligno istante, io le avevo anche parlato di sposarla.<br />
S'avvicinava l'epoca fissata per le nostre nozze ed ecco, in una sera d'inverno, ma calda per la nebbia stagnante<br />
delle gior<strong>nat</strong>e care ad Alcione, io sedevo - credendo d'essere solo - nella mia biblioteca. E come sollevai gli occhi da un<br />
volume nel quale ero immerso, vidi Berenice, ritta innanzi a me.<br />
Era la mia immaginazione sovreccitata, ovvero soltanto un effetto dell'atmosfera nebbiosa dei paraggi, o<br />
l'incerta Penombra che regnava nella stanza, o ancora i drappi grigi dei quali ella s'era avviluppata la persona che<br />
rendevano tanto sfumato il suo profilo? Non posso affermarlo con certezza. Ella non disse parola ed io non avevo<br />
parimenti l'animo di rivolgerle in quel punto alcuna domanda. Un brivido ghiacciato mi corse giù per la schiena e, nel