RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo
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sua stanza, salì in gran furia sul suo cavallo di fuoco e scomparve in un balzo negli intrichi della selva. L'avvenimento era così comune che nessuno vi pose mente; epperò i servi attesero il ritorno del barone con viva ansietà poiché, qualche ora dipoi che era scomparso, i mirifici edifizi del palazzo di Metzengerstein avevano cominciato a scricchiolare e a vacillar dalle fondamenta sotto l'azione d'un fuoco improvviso e irriducibile il quale ricopriva le costruzioni d'una massa livida e spessa di fumo. E nondimeno, allorché la gente se ne avvide, le fiamme avevano già menata innanzi di tanto la loro opera distruttrice che qualsiasi sforzo per salvare una parte soltanto delle costruzioni apparve palesemente vano, e così gli accorsi se ne stettero attoniti là intorno, preda d'uno stupefatto, se non apatico silenzio. Ma un oggetto nuovo e terribile affissò ben presto l'attenzione della moltitudine e mostrò come sia molto più intenso - l'interesse che può fomentare, in una folla, la contemplazione d'una umana agonia che non il più orripilante spettacolo offerto dalla materia inanimata. Sul lungo viale di querce vetuste che menava, dalla selva, all'ingresso del palazzo di Metzengerstein apparve all'improvviso un corsiero, montato da un cavaliere scapigliato e con le vesti in disordine, il quale spiccava tali sbalzi da sfidare, per l'impeto, fino il Dèmone dell'uragano. Il cavaliere - era evidente - non riusciva a frenare quella corsa impazzita, ed appariva, dall'espressione atterrita della sua faccia e dal convulso agitarsi del suo corpo, ch'egli stava sostenendo uno sforzo sovrumano. E purtuttavia, all'infuori d'un unico grido - e come fu inteso rintronare! - che gli sfuggì dalle labbra, lacerate dai suoi stessi morsi che la intensità del terrore gli suggeriva sempre più frequenti, non fu udito alcun suono che provenisse da lui. Un solo istante ancora e lo scalpitio degli zoccoli stridette più alto ed acuto che il ruggito delle fiamme e l'urlio del vento. Un solo istante ancora e, dopo aver superato, in un sol balzo, il fossato e la soglia, il cavallo si slanciò su per le scale del palazzo, prossime a crollare, col suo cavaliere in groppa, nitrendo alto fra i turbini del fuoco. E all'improvviso, allora, s'acquetò la furia dell'uragano e sopravvenne una tetra calma di morte. Salì una candida fiamma e avviluppò tutto il palazzo come un sudario e, vampando su per l'aria tranquilla, dardeggiò in lontananza una luce soprannaturale. In quello stesso mentre, una spessa nube di fumo s'appesantì sull'antica costruzione e prese la forma d'un gigantesco cavallo.
MANOSCRITTO TROVATO IN UNA BOTTIGLIA Qui n'a plus qu'un moment à vivre N'a plus rien à dissimuler. Quinault, Atys Del mio paese, della mia famiglia ho ben poco da dire. Soprusi e l'accumularsi degli anni mi hanno allontanato dall'uno e straniato dall'altra. La ricchezza ereditata mi consenti di beneficiare di un'istruzione d'ordine non comune, e uno spirito contemplativo mi i mise in grado di classificare metodicamente il copioso materiale che i miei studi precoci avevano diligentemente accumulato. Sopra ogni altra cosa, mi dilettavano le opere dei filosofi tedeschi: non per sconsiderata ammirazione della loro follia eloquente, ma per la facilità con cui l'abituale rigore del mio intelletto mi consentiva di scoprirne le falsità. Mi si è spesso rimproverata l'aridità dell'ingegno, e imputata a delitto la deficienza d'immaginazione; e in ogni circostanza il pirronismo delle mie opinioni mi ha reso ambiguamente famoso. E in verità il vivo interesse per le scienze fisiche mi ha, temo, contagiato la mente d'un errore assai comune nell'epoca presente: intendo l'abitudine di rapportare i fatti, anche i meno suscettibili a tale rapporto, ai principi di quella scienza. In complesso, nessuno potrebbe essere meno incline di me a lasciarsi sviare dagli ignes fatui della superstizione così sfuggendo ai severi recessi del vero. Ho ritenuto opportuno fare questa premessa nel timore che il racconto incredibile che mi accingo a narrare sia considerato delirio di un'immaginazione incolta piuttosto che l'esperienza reale di una mente per cui sogni e fantasticherie sono stati sempre lettera morta, cose vuote di senso. Dopo molti anni trascorsi viaggiando in terre lontane, nell'anno 18... salpai dal porto di Batavia, nella ricca e popolosa isola di Giava, diretto all'arcipelago della Sonda. Viaggiavo come passeggero, da null'altro indotto che da una sorta di nervosa inquietudine che come un demone mi torturava. Era una bella nave, la nostra: circa quattrocento tonnellate, con rinforzi di rame, costruita a Bombay in legno di teak del Malabar. Portava un carico di cotone e olio delle Laccadive. A bordo avevamo anche copra, zucchero di palma, burro di bufala indiana, noci di cocco, e alcune casse d'oppio. Lo stivaggio era malamente distribuito, e di conseguenza la nave non teneva bene il mare. Salpammo con una bava di vento e per molti giorni ci tenemmo lungo la costa orientale di Giava senza che nulla occorresse a ingannare la monotonia della nostra rotta tranne qualche raro incontro con le giunche dell'arcipelago al quale eravamo diretti. Una sera - stavo appoggiato al coronamento di poppa - notai, verso nord-ovest, una singolarissima nube isolata. Singolarissima e per il colore e per il fatto che era la prima che incontravamo da quando eravamo salpati da Batavia. La osservai attentamente fino al tramonto, quando d'un tratto dilagò verso oriente e verso occidente, cingendo l'orizzonte d'una sottile striscia di vapore, simile alla lunga linea di una spiaggia piatta. Subito dopo, attrassero la mia attenzione il color rosso cupo della luna e l'aspetto dal mare, così strano: poiché il mare andava rapidamente mutandosi, e l'acqua sembrava più trasparente del consueto. Sebbene potessi scorgere chiaramente il fondale, quando calai lo scandaglio constatai che l'acqua era profonda quindici tese. L'aria si era fatta intollerabilmente calda ed era carica di esalazioni a spirale, simili a quelle che si levano dal ferro arroventato. Come scese la notte, cessò ogni fiato di vento: impossibile immaginare una bonaccia più completa. La fiamma di una candela ardeva a poppa senza alcun moto percettibile, e un lungo capello, tenuto stretto fra due dita, pendeva senza che si potesse scorgere la benché minima vibrazione. Tuttavia, poiché il capitano diceva di non vedere alcun segno di pericolo e la deriva ci spingeva verso la spiaggia, egli ordinò di ammainare le vele e di gettare l'ancora. Non furono disposti turni di guardia, e i membri dell'equipaggio, quasi tutti malesi, si sdraiarono tranquillamente sulla tolda. Scesi sottocoperta, non senza sinistri presentimenti: tutto, a dire il vero, mi faceva temere un simun. Parlai delle mie apprensioni al capitano, ma egli non badò a quanto dicevo e si allontanò senza degnarmi di una risposta. L'inquietudine mi impedì tuttavia di dormire, e verso mezzanotte salii sul ponte. Come posi piede sull'ultimo gradino della scala di boccaporto, trasalii a un forte ronzio non diverso da quello prodotto dal rapido moto circolare di una ruota da mulino, e prima di poterne accertare la causa, sentii che tutta la nave, fino al suo stesso centro, era scossa come da un fremito. Un istante dopo una valanga di spuma l'inclinò sul fianco e, investendoci da prora a poppa, spazzò tutto quanto il ponte. L'estrema furia della raffica finì per essere, in gran parte, la salvezza della nave. Sebbene completamente invasa dall'acqua, poiché gli alberi erano andati perduti, dopo un minuto si levò pesantemente dal mare, barcollò per qualche tempo sotto l'immane pressione della tempesta, e infine si raddrizzò. Per quale miracolo sfuggissi alla morte, non saprei dire. Stordito dall'urto della massa d'acqua, quando rinvenni mi trovai incuneato fra il dritto di poppa e il timone. Con grande difficoltà mi rimisi in piedi e, guardandomi intorno in preda alla vertigine, fui sulle prime atterrito all'idea che ci trovassimo tra i frangenti; tanto era tremendo, al di là di ogni immaginazione, il vortice di montagne spumeggianti, l'oceano che ci inghiottiva. Dopo un po' udii la voce di un vecchio svedese che si era imbarcato con noi giusto prima che salpassimo. Lo chiamai, gridando con tutte le mie forze, e subito, barcollando, venne a raggiungermi a poppa. Scoprimmo ben presto di essere i soli superstiti del sinistro. Tranne noi due, tutti, sul ponte, erano stati spazzati via; il capitano e i secondi dovevano essere morti nel sonno, poiché le cabine erano completamente allagate. Senza nessuno che ci desse una mano, non potevamo sperare di fare gran che per la salvezza della nave, e i nostri sforzi furono dapprima paralizzati dalla convinzione che, da un momento all'altro, saremmo andati a fondo. Naturalmente il nostro cavo s'era spezzato come spago al primo soffio dell'uragano, saremmo stati immediatamente perduti. Filavamo a una velocità spaventosa, col mare in poppa, e le onde ci investivano e passavano sopra di noi. L'intelaiatura della parte poppiera era irrimediabilmente danneggiata, e quasi dovunque gravissime erano le avarie; ma con estrema gioia scoprimmo che le pompe non erano bloccate e che la zavorra non si
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MANOSCRITTO TROVATO IN UNA BOTTIGLIA<br />
Qui n'a plus qu'un moment à vivre<br />
N'a plus rien à dissimuler.<br />
Quinault, Atys<br />
Del mio paese, della mia famiglia ho ben poco da dire. Soprusi e l'accumularsi degli anni mi hanno allonta<strong>nat</strong>o<br />
dall'uno e straniato dall'altra. La ricchezza ereditata mi consenti di beneficiare di un'istruzione d'ordine non comune, e<br />
uno spirito contemplativo mi i mise in grado di classificare metodicamente il copioso materiale che i miei studi precoci<br />
avevano diligentemente accumulato. Sopra ogni altra cosa, mi dilettavano le opere dei filosofi tedeschi: non per<br />
sconsiderata ammirazione della loro follia eloquente, ma per la facilità con cui l'abituale rigore del mio intelletto mi<br />
consentiva di scoprirne le falsità. Mi si è spesso rimproverata l'aridità dell'ingegno, e imputata a delitto la deficienza<br />
d'immaginazione; e in ogni circostanza il pirronismo delle mie opinioni mi ha reso ambiguamente famoso. E in verità il<br />
vivo interesse per le scienze fisiche mi ha, temo, contagiato la mente d'un errore assai comune nell'epoca presente:<br />
intendo l'abitudine di rapportare i fatti, anche i meno suscettibili a tale rapporto, ai principi di quella scienza. In<br />
complesso, nessuno potrebbe essere meno incline di me a lasciarsi sviare dagli ignes fatui della superstizione così<br />
sfuggendo ai severi recessi del vero. Ho ritenuto opportuno fare questa premessa nel timore che il racconto incredibile<br />
che mi accingo a narrare sia considerato delirio di un'immaginazione incolta piuttosto che l'esperienza reale di una<br />
mente per cui sogni e fantasticherie sono stati sempre lettera morta, cose vuote di senso.<br />
Dopo molti anni trascorsi viaggiando in terre lontane, nell'anno 18... salpai dal porto di Batavia, nella ricca e<br />
popolosa isola di Giava, diretto all'arcipelago della Sonda. Viaggiavo come passeggero, da null'altro indotto che da una<br />
sorta di nervosa inquietudine che come un demone mi torturava.<br />
Era una bella nave, la nostra: circa quattrocento tonnellate, con rinforzi di rame, costruita a Bombay in legno di<br />
teak del Malabar. Portava un carico di cotone e olio delle Laccadive. A bordo avevamo anche copra, zucchero di palma,<br />
burro di bufala indiana, noci di cocco, e alcune casse d'oppio. Lo stivaggio era malamente distribuito, e di conseguenza<br />
la nave non teneva bene il mare.<br />
Salpammo con una bava di vento e per molti giorni ci tenemmo lungo la costa orientale di Giava senza che<br />
nulla occorresse a ingannare la monotonia della nostra rotta tranne qualche raro incontro con le giunche dell'arcipelago<br />
al quale eravamo diretti.<br />
Una sera - stavo appoggiato al coronamento di poppa - notai, verso nord-ovest, una singolarissima nube isolata.<br />
Singolarissima e per il colore e per il fatto che era la prima che incontravamo da quando eravamo salpati da Batavia. La<br />
osservai attentamente fino al tramonto, quando d'un tratto dilagò verso oriente e verso occidente, cingendo l'orizzonte<br />
d'una sottile striscia di vapore, simile alla lunga linea di una spiaggia piatta. Subito dopo, attrassero la mia attenzione il<br />
color rosso cupo della luna e l'aspetto dal mare, così strano: poiché il mare andava rapidamente mutandosi, e l'acqua<br />
sembrava più trasparente del consueto. Sebbene potessi scorgere chiaramente il fondale, quando calai lo scandaglio<br />
constatai che l'acqua era profonda quindici tese. L'aria si era fatta intollerabilmente calda ed era carica di esalazioni a<br />
spirale, simili a quelle che si levano dal ferro arroventato. Come scese la notte, cessò ogni fiato di vento: impossibile<br />
immaginare una bonaccia più completa. La fiamma di una candela ardeva a poppa senza alcun moto percettibile, e un<br />
lungo capello, tenuto stretto fra due dita, pendeva senza che si potesse scorgere la benché minima vibrazione. Tuttavia,<br />
poiché il capitano diceva di non vedere alcun segno di pericolo e la deriva ci spingeva verso la spiaggia, egli ordinò di<br />
ammainare le vele e di gettare l'ancora. Non furono disposti turni di guardia, e i membri dell'equipaggio, quasi tutti<br />
malesi, si sdraiarono tranquillamente sulla tolda. Scesi sottocoperta, non senza sinistri presentimenti: tutto, a dire il<br />
vero, mi faceva temere un simun. Parlai delle mie apprensioni al capitano, ma egli non badò a quanto dicevo e si<br />
allontanò senza degnarmi di una risposta. L'inquietudine mi impedì tuttavia di dormire, e verso mezzanotte salii sul<br />
ponte. Come posi piede sull'ultimo gradino della scala di boccaporto, trasalii a un forte ronzio non diverso da quello<br />
prodotto dal rapido moto circolare di una ruota da mulino, e prima di poterne accertare la causa, sentii che tutta la nave,<br />
fino al suo stesso centro, era scossa come da un fremito. Un istante dopo una valanga di spuma l'inclinò sul fianco e,<br />
investendoci da prora a poppa, spazzò tutto quanto il ponte.<br />
L'estrema furia della raffica finì per essere, in gran parte, la salvezza della nave. Sebbene completamente<br />
invasa dall'acqua, poiché gli alberi erano andati perduti, dopo un minuto si levò pesantemente dal mare, barcollò per<br />
qualche tempo sotto l'immane pressione della tempesta, e infine si raddrizzò.<br />
Per quale miracolo sfuggissi alla morte, non saprei dire. Stordito dall'urto della massa d'acqua, quando rinvenni<br />
mi trovai incuneato fra il dritto di poppa e il timone. Con grande difficoltà mi rimisi in piedi e, guardandomi intorno in<br />
preda alla vertigine, fui sulle prime atterrito all'idea che ci trovassimo tra i frangenti; tanto era tremendo, al di là di ogni<br />
immaginazione, il vortice di montagne spumeggianti, l'oceano che ci inghiottiva. Dopo un po' udii la voce di un vecchio<br />
svedese che si era imbarcato con noi giusto prima che salpassimo. Lo chiamai, gridando con tutte le mie forze, e subito,<br />
barcollando, venne a raggiungermi a poppa. Scoprimmo ben presto di essere i soli superstiti del sinistro. Tranne noi<br />
due, tutti, sul ponte, erano stati spazzati via; il capitano e i secondi dovevano essere morti nel sonno, poiché le cabine<br />
erano completamente allagate. Senza nessuno che ci desse una mano, non potevamo sperare di fare gran che per la<br />
salvezza della nave, e i nostri sforzi furono dapprima paralizzati dalla convinzione che, da un momento all'altro,<br />
saremmo andati a fondo. Naturalmente il nostro cavo s'era spezzato come spago al primo soffio dell'uragano, saremmo<br />
stati immediatamente perduti. Filavamo a una velocità spaventosa, col mare in poppa, e le onde ci investivano e<br />
passavano sopra di noi. L'intelaiatura della parte poppiera era irrimediabilmente danneggiata, e quasi dovunque<br />
gravissime erano le avarie; ma con estrema gioia scoprimmo che le pompe non erano bloccate e che la zavorra non si