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RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo

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della Natura venne sfigurato come dalle devastazioni di un morbo ripugnante. E, mia dolce Una, io credo che forse il<br />

nostro senso, torpido di quanto è in<strong>nat</strong>urale e forzato, poteva farci fermare qui. Ma è chiaro ormai che avevamo<br />

precipitato la nostra stessa distruzione pervertendo il nostro gusto, o piuttosto ciecamente trascurando di coltivarlo nelle<br />

scuole. Giacché, in verità, era in questa crisi che il gusto - la facoltà che, in quanto via media tra il puro intelletto e il<br />

senso morale, mai si può ignorare senza rischio - il gusto soltanto avrebbe potuto gradualmente riportarci alla Bellezza,<br />

alla Natura, alla Vita. Ahimè, puro spirito contemplativo e sublime intuizione di Platone! Ahi, quella mousikh, che egli,<br />

a ragione, considerava bastevole educazione dell'anima! L'uno e l'altra dimenticati o spregiati, proprio quando<br />

d'entrambi v'era più disperato bisogno!<br />

Pascal, filosofo che tu ed io amiamo, ha detto, con quanta verità!, «que tout notre raisonnement se réduit à<br />

céder au sentiment»; e non è impossibile che il sentimento del <strong>nat</strong>urale, se il tempo lo avesse consentito, avrebbe alla<br />

fine riconquistato il suo antico predominio sulla cruda ragione matematica delle scuole. Ma ciò non doveva essere.<br />

Precocemente sollecitata dagli eccessi della conoscenza, la vecchiaia del mondo s'appressava. La massa dell'umanità<br />

non se ne avvide o, vivendo una vita fatta di interessi voluttuari, eppure infelice, finse di non avvedersene. Quanto a me,<br />

la documentata storia della Terra mi aveva inseg<strong>nat</strong>o ad attendermi la più vasta rovina come prezzo della più alta<br />

civiltà. Avevo attinto il presentimento del nostro Fato paragonando la Cina, semplice e paziente, con l'Assiria degli<br />

architetti, l'Egitto degli astrologi, e la Nubia, d'essi più ingegnosa, turbolenta madre di tutti gli artefici. Nella storia di<br />

queste terre incontrai un raggio del Futuro. Le artificiose specializzazioni delle ultime tre nazioni erano malattie di quei<br />

particolari luoghi della Terra, e nella loro scomparsa avevamo veduto l'applicazione di rimedi puramente locali; ma per<br />

il mondo infetto, in ogni sua parte, non potevo vedere altra rigenerazione che la Morte. Perché l'uomo, in quanto razza,<br />

non si estinguesse, capivo che egli doveva «nascere di nuovo».<br />

E fu allora, mia bellissima, mia carissima, che quotidianamente avvolgemmo i nostri spiriti nei sogni. Fu allora<br />

che, nel crepuscolo, discorremmo dei giorni a venire, quando la superficie della Terra, deturpata dall'artificio, dopo aver<br />

subito quella purificazione che sola poteva abolire le sue rettangolari oscenità, si sarebbe rivestita nuovamente di<br />

verzura e declivi montani e radiose acque di Paradiso, e sarebbe stata finalmente dimora adatta all'uomo: all'uomo<br />

mondato dalla morte - all'uomo per il cui intelletto ora sublimato la conoscenza non avrebbe più avuto veleni - all'uomo<br />

redento, rigenerato, beatificato e ormai immortale, ma pur sempre corporeo.<br />

UNA Ben rammento, carissimo Monos, queste conversazioni; ma l'epoca della distruzione ad opera del<br />

fuoco non era così prossima come noi credevamo, e come la corruzione di cui parli ben ci autorizzava a credere. Gli<br />

Uomini vissero; e i singoli morivano. Anche tu ti ammalasti, e andasti alla tomba; e là prontamente ti seguì la tua fedele<br />

Una. E sebbene il secolo che da allora è trascorso e che, concludendosi, ancora una volta a questo modo ci congiunge,<br />

non abbia torturato d'impazienza per così lungo durare i nostri sensi assopiti, pure, mio Monos, fu sempre un secolo.<br />

MONOS Di', piuttosto, un punto nel vago infinito. Indubbiamente, sono morto quando la terra era<br />

giunta allo stadio estremo della sua stolida vecchiezza. Il cuore esausto d'angoscia per lo sconvolgimento e il<br />

decadimento generale, soccombetti alla febbre divorante. Dopo alcuni giorni di sofferenza, e molti di sogni deliranti, di<br />

estasi incontenibili, le cui manifestazioni tu scambiavi per sofferenza, mentre anelavo a disingannarti, e tuttavia non ne<br />

avevo la forza - dopo alcuni giorni mi colse, come hai detto, un torpore senza respiro, senza moto; e coloro che mi<br />

stavano attorno lo chiamarono Morte.<br />

Le parole sono cose vaghe. Il mio stato non mi privava della sensibilità. Non mi sembrava gran che dissimile<br />

dall'estrema quiete di chi, dopo aver dormito a lungo, profondamente, immoto, prostrato dal sole meridiano, lentamente,<br />

sazio ormai di sonno e senza esser destato da alcuna molestia esterna, riemerge alla coscienza.<br />

Non respiravo più. Le pulsazioni erano cessate. Il cuore non batteva più. La volizione, sebbene non del tutto<br />

scomparsa, era incapace di estrinsecarsi. I sensi erano insolitamente acuti, ma in modo bizzarro, e spesso l'uno<br />

assumeva le funzioni dell'altro, a caso. Gusto e odorato erano inestricabilmente mescolati, erano divenuti un unico<br />

sentimento, anomalo e intenso. L'acqua di rose di cui la tua tenerezza fino all'ultimo mi inumidì le labbra, suscitò in me<br />

soavi fantasie di fiori: fiori fantastici, assai più belli d'ogni fiore della vecchia Terra, i cui modelli vediamo sbocciare<br />

qui intorno a noi. Le palpebre, trasparenti ed esangui, non impedivano completamente la vista. Poiché la volizione era<br />

come sospesa, gli occhi non potevano roteare nelle orbite, ma tutti gli oggetti situati entro l'ambito del campo visivo si<br />

potevano scorgere - quale più, quale meno - distintamente; i raggi che colpivano la retina periferica o la cornea<br />

producevano un effetto più vivido di quelli che ne colpivano la parte frontale o superficie anteriore. Eppure, nel primo<br />

caso, l'effetto era a tal punto anomalo che potevo sentirlo solo come suono: suono soave o discorde a seconda che gli<br />

oggetti che mi si presentavano a lato fossero di colore chiaro o scuro, di contorni curvi o angolari. Nello stesso tempo<br />

l'udito, sebbene in qualche misura eccitato, non funzionava in modo irregolare: anzi, percepiva i suoni reali con strana<br />

precisione e sensibilità. Il tatto aveva subito una trasformazione più peculiare. Riceveva le impressioni con lentezza, ma<br />

le riteneva osti<strong>nat</strong>amente, producendo sempre il più alto piacere fisico. Così la pressione delle tue dolci dita sulle mie<br />

palpebre, dapprima riconosciuta solo grazie alla vista, alla fine, molto tempo dopo che dalle palpebre esse si erano<br />

staccate, colmò tutto quanto il mio essere di un incommensurabile diletto dei sensi. Ho detto diletto dei sensi. Tutte le<br />

mie percezioni erano puramente sensoriali. La materia che i sensi trasmettevano al cervello passivo non veniva in alcun<br />

modo elaborata, composta in forma dal mio morto intelletto. Poco il dolore, molto il piacere; mai, comunque, dolore o<br />

piacere dello spirito. Così, i tuoi singhiozzi sfre<strong>nat</strong>i fluivano con tutte le loro meste cadenze alle mie orecchie che ne<br />

gustavano ogni melanconica modulazione; ma erano dolci musiche, e null'altro; alla ragione estinta nulla suggerivano<br />

della sofferenza che le generava; mentre le grosse lacrime che ininterrottamente mi cadevano sul volto e che ai presenti<br />

dicevano di un cuore infranto facevano vibrare ogni fibra del mio corpo d'estasi soltanto. E quella era in verità la Morte,

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