RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo
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OMBRA (UNA PARABOLA)<br />
Sebbene io proceda per la valle dell'Ombra.<br />
Salmo di Davide<br />
Voi che leggete siete ancora tra i vivi; ma io che scrivo sarò partito, da tempo, per la regione delle ombre.<br />
Dacché strane cose, invero, accadranno, segrete cose saranno svelate, ma innanzi che gli uomini ne acquistino la vista<br />
trascorreranno i secoli. E quando le avran viste, molti non crederanno e altri le porranno in dubbio e soltanto alcuni<br />
troveranno di che meditare sulle cifre che io qui incido con uno stilo di ferro.<br />
L'anno era stato posseduto dal terrore e da sentimenti anche più intensi che non il terrore, per i quali non c'è<br />
nome sulla terra. Imperocché molti prodigiosi accadimenti s'erano dati e molti segni erano stati scorti; e ampie sulla<br />
terra e sul mare s'erano distese le negre ali della Pestilenza. Coloro che sapevano leggere negli astri, avevano trovato<br />
che i cieli erano forieri di sventura, nel loro aspetto maligno, ed io, il greco Oinos, tra gli altri, vedevo bene come<br />
fossimo pervenuti a quel settecentonovantaquattresimo anno nel quale, all'entrar dell'ariete, il pianeta Giove si<br />
congiunge col roggio anello del terribile Saturno. Il bizzarro spirito dei cieli, s'io non m'inganno, si manifestava, non<br />
soltanto nell'orbe fisico della terra; nelle anime, bensì, nelle fantasie e nelle meditazioni degli uomini.<br />
Noi sedevamo, a notte, entro le mura d'una nobile sala nella lugubre città chiamata Tolemaide: eravamo sette e<br />
stavamo chini in cerchio su alcune grandi ampolle di vino di Chio. E la nostra sala non aveva ingresso se non da un'alta<br />
porta di bronzo, e la porta era opera dell'artefice Corinnos ed era opera di rara fattura; essa si serrava, pertanto,<br />
dall'interno. Negri cortinaggi nella tenebrosa aula coprivano la luna ai nostri sguardi e le lugubri stelle in una con essa, e<br />
ancora le vie deserte... ma il presentimento e il ricordo del Male non erano in tal modo esclusi. E v'eran cose, a noi<br />
d'attorno, delle quali io non posso dar conto esatto... ed esse erano materiali e anche spirituali... una cotale pesantezza<br />
nell'aria... un senso di soffocazione... un'ansia... e, sopra tutto, quella terribile condizione dello spirito che le persone<br />
ammalate di nervi provano allorché i loro sensi sono acutamente desti e vigili e le facoltà, per contro, del pensiero,<br />
torpide. Una invincibile pesantezza gravava nell'atmosfera attorno a noi. Essa gravava sulle membra nostre... sui mobili<br />
della casa... sulle tazze cui attingevamo per bere... ed ogni cosa era depressa e abbattuta per quella... ogni cosa, eccetto<br />
le sette fiammelle delle sette lampade che illuminavano il nostro festino. Quelle esili larve di luce si levavano alte e<br />
ardevano pallide e immote; e nello specchio che aveva creato il loro lume al di sopra della tavola d'ebano, rotonda,<br />
attorno alla quale eravamo adu<strong>nat</strong>i, ognuno di noi mirava il proprio volto sbiancato e l'inquieto folgorar degli occhi<br />
bassi dei suoi compagni. E ridevamo, tuttavia, e a nostro modo eravamo in allegria... una sorta d'isterismo: e cantavamo<br />
i canti di Anacreonte... che sono espressioni, per l'appunto, di follia: e bevevamo anche molto... sebbene il purpureo<br />
vino dovesse rammentarci il sangue. E v'era nella nostra aula un altro ospite, nella persona del giovane Zoilo. Stecchito,<br />
egli giaceva lungo disteso, avvolto nel suo sudario. Egli era insieme il dèmone ed il genio della scena. Egli non<br />
arrecava, ahimè, alcun contributo alla nostra allegrezza, ma il suo viso, distorto dalla peste, e gli occhi suoi, dei quali la<br />
Morte avea spento solo a mezzo il fuoco del morbo pestilenziale, pareano prender, per noi ch'eravamo d'attorno a ridere,<br />
l'interesse che i morti posson, forse, prendere per l'allegria di coloro che stan per morire. Epperò io, Oinos, sentivo che<br />
lo sguardo del defunto era fissato su di me e nondimeno facevo ogni sforzo per non sentire l'amarezza di quella<br />
espressione e, col mio sguardo fisso alle profondità dello specchio d'ebano, m'abbandonavo, con voce sonora, a riandare<br />
i canti del figlio di Teios. Ma a poco a poco quel canti cessarono e quei loro echi, correndo lungi tra i negri cortinaggi<br />
dell'aula, s'affievolirono, persero il timbro e poi svanirono del tutto. Ed ecco! Di fra quei negri cortinaggi dove<br />
andavano a morire i suoni di quei canti, uscì una oscura ombra e indistinta... un'ombra simile a quella che la luna forma<br />
della figura d'un uomo quand'essa è bassa nel cielo; ma essa non era l'ombra d'un uomo, e neppure l'ombra d'un Dio, né<br />
d'alcuna cosa familiare. Tremolando alquanto tra i cortinaggi dell'aula essa venne a stare, alfine, in piena vista, sulla<br />
superficie della porta di bronzo. E l'ombra era vaga e indistinta e informe, e non era l'ombra d'un uomo e neppure d'un<br />
Dio... né d'un Dio della Grecia, né d'un Dio di Caldea e neppure d'un Dio d'Egitto. E l'ombra s'arrestò sulla soglia di<br />
bronzo, e sotto l'architrave della porta, e stette immota e non disse verbo ma s'affissò e colà rimase. E la porta sulla<br />
quale s'era posata l'ombra, s'io ben rammento, era proprio dinanzi ai piedi del giovane Zoilo avvolto nel sudario. Ma noi<br />
- i sette - colà adu<strong>nat</strong>i, come vedemmo l'ombra uscirsene di tra i cortinaggi, non osammo guardarla fissa, ma<br />
abbassammo gli occhi e ci ostinammo nello specchio d'ebano. Io soltanto, il greco Oinos, trovai il coraggio, infine, di<br />
bisbigliare talune parole e richiesi l'ombra donde venisse e a quale nome rispondesse. E l'ombra disse allora:<br />
«Io sono OMBRA, ed ho la mia dimora accanto alle catacombe di Tolemaide, affatto vicina ai foschi campi di<br />
Helusione che si stendono lungo il sozzo canale Acheronteo».<br />
Ed allora noi, i sette, scattammo dai nostri seggi compresi d'orrore e ristemmo tremanti e atterriti, da che il<br />
tuono della voce dell'ombra non era il tuono della voce d'alcun essere; d'una moltitudine, bensì, di esseri e cangiando,<br />
da sillaba a sillaba, le cadenze, essa giungeva misteriosamente al nostro orecchio, con gli accenti familiari e ben noti di<br />
mille e mille amici scomparsi.