RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo

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l'acqua. Quando ritrovò la sua stabilità, vi presero posto il capitano e sua moglie, Wyatt e famiglia, un ufficiale messicano con la moglie e i quattro bambini, e infine io e un servitore negro. Naturalmente, non vi era posto che per pochi strumenti assolutamente indispensabili, un po' di viveri e i vestiti che avevamo indosso. Nessuno aveva nemmeno pensato di portare in salvo qualcosa. Si immagini quindi lo stupore di tutti quando, scostatici di poco dalla nave, Wyatt si levò in piedi sulla poppa e chiese freddamente al capitano Hardy che la barca tornasse indietro a prendere la cassa oblunga! «Sedete, Mr. Wyatt», rispose il capitano con una certa durezza; «ci farete finire tutti in acqua, se non ve ne state seduto e tranquillo». «La cassa!», gridò Wyatt, continuando a restare in piedi; «la cassa, ho detto! Capitano Hardy, non potete, non vorrete rifiutare. Pesa pochissimo... un niente, un niente. In nome della madre che vi diede la vita, in nome del cielo, per la salvezza eterna in cui sperate, ve ne supplico: torniamo indietro a prendere la cassa!». Per un attimo, il capitano parve turbato dal disperato appello dell'artista, ma ritrovò la sua severa impassibilità e disse semplicemente: «Mr. Wyatt, voi siete pazzo. Io non posso darvi ascolto. Sedete, vi dico, o farete rovesciare la barca... Fermo! Tenetelo! Prendetelo!... Ecco, lo sapevo! È finito!». Infatti, mentre il capitano pronunciava queste parole, Wyatt era saltato fuori della barca, e poiché eravamo ancora sottovento al relitto della nave, era riuscito, con uno sforzo quasi sovrumano, ad afferrare una fune che pendeva da uno degli occhi di cubìa. Un attimo, e fu a bordo, dove si precipitò frenetico giù nella cabina. Nel frattempo, eravamo stati spinti con violenza verso la poppa della nave e, non essendo più sottovento, eravamo in balia del mare sempre più agitato. Facemmo di tutto per tornare indietro, ma la nostra piccola imbarcazione era come una piuma nella tempesta. Capimmo subito che il destino dello sventurato artista era segnato. Mentre la nostra distanza dal relitto aumentava rapidamente, vedemmo il pazzo (poiché non potevamo considerarlo che tale) emergere dal boccaporto, trascinando in coperta, con uno sforzo che ci parve gigantesco, la cassa oblunga. Mentre lo fissavamo con attonito stupore, passò rapidamente tre giri di una fune spessa tre pollici prima intorno alla cassa, poi intorno al proprio corpo. Un altro attimo, e tanto il corpo che la cassa finirono in mare, dove scomparvero immediatamente e per sempre. Indugiammo tristemente a remi fermi, gli occhi fissi su quel punto; poi ci allontanammo. Per un'ora durò il silenzio, ininterrotto. Alla fine, arrischiai un'osservazione. «Avete notato, capitano, come sono andati subito a fondo? Non è stato molto strano? Confesso di avere vagamente sperato che riuscisse a salvarsi, quanto l'ho visto legare il suo corpo alla cassa e gettarsi in mare». «Naturalmente sono andati a fondo», rispose il capitano, e con la rapidità di una palla di schioppo. «Torneranno a galla, ma non prima che il sale si sia disciolto». «Il sale!», esclamai. «Ssst!», fece il capitano, indicando la moglie e le sorelle dello scomparso. «Ne parleremo in un momento più opportuno». Molto avemmo da patire, e a stento ci salvammo; ma la fortuna ci fu amica, così come lo era stata ai nostri compagni della scialuppa a vela. Finalmente sbarcammo, più morti che vivi, dopo quattro giorni di penosi disagi, sulla spiaggia di fronte all'isola di Roanoke. Vi rimanemmo una settimana, risparmiati dai soliti predoni, e alla fine trovammo un passaggio per New York. Circa un mese dopo il naufragio dell'Independence, incontrai per caso a Broadway il capitano Hardy. Naturalmente, parlammo del naufragio, e specialmente del triste destino del povero Wyatt. Appresi così i seguenti particolari. L'artista aveva prenotato il passaggio per sé, la moglie, le due sorelle e una domestica. La moglie era davvero, come egli l'aveva descritta, una donna leggiadra e squisita. La mattina del quattordici giugno (il giorno della mia prima visita alla nave), la signora si era improvvisamente ammalata ed era morta. Il giovane marito era folle di dolore, ma v'erano circostanze che non consentivano di rimandare il viaggio a New York. Era necessario portare la salma della sua adorata sposa alla madre di lei e, d'altra parte, era ben noto il pregiudizio universalmente diffuso, che gli avrebbe impedito di far ciò apertamente: i nove decimi dei passeggeri avrebbero abbandonato la nave piuttosto che fare il viaggio con un cadavere. Posto di fronte a questo dilemma, il capitano decise che la salma, dopo essere stata parzialmente imbalsamata, fosse cosparsa di sale in gran quantità, chiusa in una cassa di dimensioni convenienti, e portata a bordo come merce. Della morte della signora non si doveva far parola; e poiché era risaputo che Mr. Wyatt aveva prenotato anche per la moglie, fu necessario che qualcuno ne prendesse il posto durante il viaggio. A far ciò venne persuasa senza difficoltà la cameriera della defunta. La cabina in soprannumero, che in origine, mentre la signora era ancora in vita, era stata prenotata per la ragazza, venne confermata; e in questa cabina, naturalmente, dormiva ogni notte la presunta moglie. Durante il giorno, recitava, come meglio poteva, la parte della signora che, come era stato accuratamente accertato, nessuno a bordo conosceva di persona. Il mio errore, logicamente, era la conseguenza di un temperamento troppo precipitoso, troppo indiscreto, troppo impulsivo. Ma in questi ultimi tempi mi accade di rado di dormire sonni profondi la notte. Mi giro e mi rigiro, e sempre un volto mi ossessiona, una risata isterica mi risuona ininterrottamente all'orecchio.

IL BARILE D'AMONTILLADO Avevo sopportato come meglio avevo potuto le mille e passa impertinenze di Fortunato. Ma giurai vendetta la prima volta ch'egli si lasciò andare ad un vero e proprio insulto. Voi che conoscete, ormai a fondo, la vera mia natura, non sarete per supporre, al certo, che io gli abbia mossa una qualche minaccia. Avrei avuta vendetta, infine: non vi poteva essere alcun dubbio attorno a ciò. E nondimeno lo stesso carattere intransigente della mia decisione escludeva qualsiasi idea di rischio. Non era soltanto necessario che io punissi, occorreva anche ch'io restassi impunito. Non è vera riparazione quella per cui il castigo viene poi a ricadere sulla medesima persona di colui che castiga. Al modo istesso che se il vendicatore manca di rivelarsi a colui che commise il torto. È inteso, in tal modo, ch'io non avevo, né a parole né a fatti, fornita a Fortunato alcuna ragione per dubitare della mia benevolenza. Continuai, secondo era mia abitudine, a sorridergli e a lui non passò nemmeno per la mente ch'io sorridevo, adesso, soltanto al pensiero di sacrificarlo. Aveva un debole - cotesto Fortunato, - pur s'egli era uomo da stimarsi, e anche da temersi, sotto tutti gli altri riguardi: si vantava d'essere un fine intenditore di vini. Ma italiani, veramente intenditori, ce n'è pochi. Il loro entusiasmo è tagliato su misura, il più delle volte, in ragione del tempo e dell'occasione, per quel tanto che basta, insomma, a imbrogliare i millionnaires inglesi o austriaci che sieno. Allo stesso modo, per quel che riguardava i quadri e i gioielli, questo Fortunato, come tutti i suoi compatrioti, del resto, era un vero ciarlatano. Ma per i vini era competente, ed in questo io non ero da meno di lui, dacché, in fatto di prodotti italiani, la sapevo lunga e ne acquistavo largamente ogni volta che me ne capitava l'occasione. Una sera, all'imbrunire, proprio nei giorni in cui più infuriava il carnevale, m'imbattei nel mio amico. Egli mi venne incontro ostentando un'esagerata cordialità. Doveva aver bevuto assai. Era mascherato: indossava un costume attillato, a colori contrastanti e si era coperto il capo d'un cappello conico adorno di sonagli. Fui talmente felice d'incontrarlo, che non avrei più finito di torcergli la mano. «Mio caro Fortunato», gli dissi, «v'incontro a proposito! Come state bene, oggi! Ma io, a dire il vero... a dire il vero ho ricevuto un barile che m'hanno garantito per Amontillado e... e... francamente... ho i mei dubbi ...». «Come?», fece lui, «Amontillado? Un barile? È impossibile! E in pieno carnevale!». «Ho i miei dubbi, infatti!», risposi. «E sono stato così sciocco che ho pagato tutt'intero il prezzo del barile senza prima consultarmi con voi. Vi ho cercato da per tutto, ma non sono riuscito a trovarvi, e d'altro canto non volevo perdere un'occasione simile...». «Amontillado!». «Ho i miei dubbi». «Amontillado!». «E debbo soddisfarli». «Amontillado!». «Dal momento che avete da fare, andrò a cercare Lucchesi. Se c'è qualcuno che sia provvisto di senso critico per tali faccende, quello è lui. Egli mi dirà...». «Siete matto? Lucchesi non è buono a distinguere l'Amontillado dallo Xeres!». «E nondimeno taluni imbecilli presumono che egli ne sappia quanto voi». «Andiamo!». «Dove?». «Alle vostre cantine!». «Ma no, amico mio. Non voglio approfittare di voi. Vedo che siete impegnato. Del resto Lucchesi...». «Non ho alcun impegno. Andiamo!». «No, no, amico mio. Non è tanto per l'impegno, quanto per l'infreddatura che, come mi sono accorto, vi affligge. Senza contare che le cantine si trovano a essere terribilmente umide, tutte incrostate di nitro come sono!». «Andiamo! Non importa! L'infreddatura è roba da nulla. Amontillado! Ve l'hanno data a intendere! E quanto a Lucchesi, egli non è buono a distinguere lo Xeres dall'Amontillado...». Mentre che così stavamo discorrendo, Fortunato mi prese sotto il braccio. Ed io, dopo essermi messo sul viso una maschera di seta nera, e avviluppato che fui nel mio mantello, lasciai ch'egli mi trascinasse al mio palazzo. Non c'erano servi in casa. Erano tutti usciti per darsi al bel tempo in onore della stagione. Li avevo ammoniti categoricamente a non muoversi per il fatto, appunto, che non sarei tornato prima del mattino, ed era stato sufficiente quell'ordine, lo sapevo, per garantirmi che tutti, dal primo all'ultimo, sarebbero scomparsi non appena avessi voltate le spalle. Tolsi due torce su dai loro bracci e ne porsi una a Fortunato. M'inchinai più volte, poi, per fargli strada sino all'androne che immetteva nelle cantine. Lo condussi giù per una lunga e tortuosa scala, raccomandandogli d'esser cauto nel seguirmi. Arrivati che fummo in fondo, ci trovammo sul suolo umido delle catacombe dei Montrésors. Fortunato si reggeva malamente sulle gambe, ed i sonagli del suo berretto tintinnavano ad ognuno dei suoi passi. «E il barile?», chiese. «È più in là», diss'io. «Ma guardate le pareti di questa cantina. Non vedete come lustrano di bianco?». Si volse a guardarmi negli occhi col suoi due globi appannati che distillavano l'umore dell'ebrietà. «Il nitro?», chiese alfine. «Nitro!», diss'io. «Da quanto siete afflitto da questa tosse?».

l'acqua. Quando ritrovò la sua stabilità, vi presero posto il capitano e sua moglie, Wyatt e famiglia, un ufficiale<br />

messicano con la moglie e i quattro bambini, e infine io e un servitore negro.<br />

Naturalmente, non vi era posto che per pochi strumenti assolutamente indispensabili, un po' di viveri e i vestiti<br />

che avevamo indosso. Nessuno aveva nemmeno pensato di portare in salvo qualcosa. Si immagini quindi lo stupore di<br />

tutti quando, scostatici di poco dalla nave, Wyatt si levò in piedi sulla poppa e chiese freddamente al capitano Hardy<br />

che la barca tornasse indietro a prendere la cassa oblunga!<br />

«Sedete, Mr. Wyatt», rispose il capitano con una certa durezza; «ci farete finire tutti in acqua, se non ve ne<br />

state seduto e tranquillo».<br />

«La cassa!», gridò Wyatt, continuando a restare in piedi; «la cassa, ho detto! Capitano Hardy, non potete, non<br />

vorrete rifiutare. Pesa pochissimo... un niente, un niente. In nome della madre che vi diede la vita, in nome del cielo, per<br />

la salvezza eterna in cui sperate, ve ne supplico: torniamo indietro a prendere la cassa!».<br />

Per un attimo, il capitano parve turbato dal disperato appello dell'artista, ma ritrovò la sua severa impassibilità<br />

e disse semplicemente:<br />

«Mr. Wyatt, voi siete pazzo. Io non posso darvi ascolto. Sedete, vi dico, o farete rovesciare la barca... Fermo!<br />

Tenetelo! Prendetelo!... Ecco, lo sapevo! È finito!».<br />

Infatti, mentre il capitano pronunciava queste parole, Wyatt era saltato fuori della barca, e poiché eravamo<br />

ancora sottovento al relitto della nave, era riuscito, con uno sforzo quasi sovrumano, ad afferrare una fune che pendeva<br />

da uno degli occhi di cubìa. Un attimo, e fu a bordo, dove si precipitò frenetico giù nella cabina.<br />

Nel frattempo, eravamo stati spinti con violenza verso la poppa della nave e, non essendo più sottovento,<br />

eravamo in balia del mare sempre più agitato. Facemmo di tutto per tornare indietro, ma la nostra piccola imbarcazione<br />

era come una piuma nella tempesta. Capimmo subito che il destino dello sventurato artista era seg<strong>nat</strong>o. Mentre la nostra<br />

distanza dal relitto aumentava rapidamente, vedemmo il pazzo (poiché non potevamo considerarlo che tale) emergere<br />

dal boccaporto, trascinando in coperta, con uno sforzo che ci parve gigantesco, la cassa oblunga. Mentre lo fissavamo<br />

con attonito stupore, passò rapidamente tre giri di una fune spessa tre pollici prima intorno alla cassa, poi intorno al<br />

proprio corpo. Un altro attimo, e tanto il corpo che la cassa finirono in mare, dove scomparvero immediatamente e per<br />

sempre.<br />

Indugiammo tristemente a remi fermi, gli occhi fissi su quel punto; poi ci allontanammo. Per un'ora durò il<br />

silenzio, ininterrotto. Alla fine, arrischiai un'osservazione.<br />

«Avete notato, capitano, come sono andati subito a fondo? Non è stato molto strano? Confesso di avere<br />

vagamente sperato che riuscisse a salvarsi, quanto l'ho visto legare il suo corpo alla cassa e gettarsi in mare».<br />

«Naturalmente sono andati a fondo», rispose il capitano, e con la rapidità di una palla di schioppo.<br />

«Torneranno a galla, ma non prima che il sale si sia disciolto».<br />

«Il sale!», esclamai.<br />

«Ssst!», fece il capitano, indicando la moglie e le sorelle dello scomparso. «Ne parleremo in un momento più<br />

opportuno».<br />

Molto avemmo da patire, e a stento ci salvammo; ma la fortuna ci fu amica, così come lo era stata ai nostri<br />

compagni della scialuppa a vela. Finalmente sbarcammo, più morti che vivi, dopo quattro giorni di penosi disagi, sulla<br />

spiaggia di fronte all'isola di Roanoke. Vi rimanemmo una settimana, risparmiati dai soliti predoni, e alla fine trovammo<br />

un passaggio per New York.<br />

Circa un mese dopo il naufragio dell'Independence, incontrai per caso a Broadway il capitano Hardy.<br />

Naturalmente, parlammo del naufragio, e specialmente del triste destino del povero Wyatt. Appresi così i seguenti<br />

particolari.<br />

L'artista aveva prenotato il passaggio per sé, la moglie, le due sorelle e una domestica. La moglie era davvero,<br />

come egli l'aveva descritta, una donna leggiadra e squisita. La mattina del quattordici giugno (il giorno della mia prima<br />

visita alla nave), la signora si era improvvisamente ammalata ed era morta. Il giovane marito era folle di dolore, ma<br />

v'erano circostanze che non consentivano di rimandare il viaggio a New York. Era necessario portare la salma della sua<br />

adorata sposa alla madre di lei e, d'altra parte, era ben noto il pregiudizio universalmente diffuso, che gli avrebbe<br />

impedito di far ciò apertamente: i nove decimi dei passeggeri avrebbero abbando<strong>nat</strong>o la nave piuttosto che fare il<br />

viaggio con un cadavere.<br />

Posto di fronte a questo dilemma, il capitano decise che la salma, dopo essere stata parzialmente imbalsamata,<br />

fosse cosparsa di sale in gran quantità, chiusa in una cassa di dimensioni convenienti, e portata a bordo come merce.<br />

Della morte della signora non si doveva far parola; e poiché era risaputo che Mr. Wyatt aveva prenotato anche per la<br />

moglie, fu necessario che qualcuno ne prendesse il posto durante il viaggio. A far ciò venne persuasa senza difficoltà la<br />

cameriera della defunta. La cabina in soprannumero, che in origine, mentre la signora era ancora in vita, era stata<br />

prenotata per la ragazza, venne confermata; e in questa cabina, <strong>nat</strong>uralmente, dormiva ogni notte la presunta moglie.<br />

Durante il giorno, recitava, come meglio poteva, la parte della signora che, come era stato accuratamente accertato,<br />

nessuno a bordo conosceva di persona.<br />

Il mio errore, logicamente, era la conseguenza di un temperamento troppo precipitoso, troppo indiscreto,<br />

troppo impulsivo. Ma in questi ultimi tempi mi accade di rado di dormire sonni profondi la notte. Mi giro e mi rigiro, e<br />

sempre un volto mi ossessiona, una risata isterica mi risuona ininterrottamente all'orecchio.

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