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RACCONTI DEL MISTERO E DEL RAZIOCINIO.pdf - nat russo

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evitai, in ciò seguendo il consiglio del capitano. Questi sembrava concordare del tutto con la mia convinzione che egli<br />

fosse impazzito; ma mi raccomandò di non farne parola con altri a bordo.<br />

Dopo quella crisi di Wyatt, si verificarono immediatamente numerose circostanze che contribuirono ad acuire<br />

la mia già divorante curiosità. Tra le altre, questa: da un po' avevo i nervi tesi - avevo bevuto troppo tè verde, forte, e la<br />

notte dormivo male, anzi, per due notti potrei dire di non aver dormito affatto. Ora, la mia cabina, come tutte le cabine<br />

singole, dava sul salone centrale, o sala da pranzo. Le tre cabine di Wyatt si trovavano nella sezione di poppa, separata<br />

dal salone da una leggera porta scorrevole che non veniva mai chiusa a chiave, nemmeno di notte. Poiché eravamo<br />

quasi ininterrottamente spinti da un vento piuttosto forte, la nave s'inclinava notevolmente; e ogni volta che il fianco<br />

destro era sottovento, la porta scorrevole tra le cabine si apriva e restava aperta, perché nessuno si prendeva la briga di<br />

alzarsi e richiuderla. Ma la mia cuccetta era in posizione tale che, quando la porta della cabina era aperta, e così la porta<br />

scorrevole (e per via del caldo la mia porta era sempre aperta), potevo vedere distintamente tutta la sezione di poppa, e<br />

appunto quella parte dove si trovavano le cabine di Wyatt. Bene, durante le due notti (non consecutive) che rimasi<br />

sveglio, vidi Mrs. Wyatt uscire cautamente dalla cabina di Mr. Wyatt ed entrare nella cabina in soprannumero, dove<br />

rimase poi fino allo spuntar del giorno, quando, chiamata dal marito, fece ritorno da lui. Che fossero praticamente<br />

separati era evidente. Occupavano camere separate, senza dubbio in previsione di un più definitivo divorzio; questo,<br />

pensai, era dunque il mistero della cabina in più.<br />

C'era poi un'altra circostanza che mi interessò moltissimo. Durante quelle due notti insonni, subito dopo che<br />

Mrs. Wyatt era scomparsa nell'altra cabina, fui colpito da certi rumori singolari, cauti, soffocati, provenienti da quella<br />

del marito. Dopo averli ascoltati per qualche tempo con perplessa attenzione, riuscii alla fine a individuarne la <strong>nat</strong>ura.<br />

Erano i rumori che faceva l'artista nell'aprire la cassa oblunga servendosi di una leva e di un martello, la cui testa era<br />

evidentemente fasciata con qualcosa di morbido, lana o cotone, allo scopo di attutire o smorzare del tutto i colpi.<br />

In questo modo mi parve di poter distinguere il preciso istante in cui egli sollevava delicatamente il coperchio:<br />

non solo, ma di poter determinare il momento in cui lo staccava completamente e lo posava sulla cuccetta inferiore della<br />

cabina; quest'ultimo particolare mi era rivelato, ad esempio, da certi colpi leggeri prodotti dal coperchio nell'urtare i<br />

bordi di legno della cuccetta, mentre con grande cautela egli cercava di deporvelo, non essendovi posto sul pavimento.<br />

Seguiva un silenzio assoluto, né, in quelle due occasioni, udii altro fin quasi al mattino; a meno che non debba<br />

menzionare un suono sommesso, come un singhiozzo o un mormorio, tanto soffocato da essere appena udibile -, sempre<br />

che questo suono non nascesse dalla mia immaginazione. Dico che sembrava somigliare a un singhiozzo o a un sospiro;<br />

ma, <strong>nat</strong>uralmente, non poteva essere né l'uno né l'altro. Credo che fosse piuttosto un ronzio dentro le mie orecchie.<br />

Senza dubbio Wyatt, secondo il suo solito, si abbandonava a una delle sue fantasie, si lasciava trasportare da uno dei<br />

suoi deliri di entusiasmo artistico. Aveva aperto la sua cassa oblunga per deliziarsi alla vista del tesoro pittorico che essa<br />

conteneva. Ma in ciò non v'era nulla che potesse farlo singhiozzare. Ripeto, perciò, che deve essersi trattato<br />

semplicemente di uno scherzo della mia fantasia, eccitata dal tè verde del buon capitano Hardy. Ciascuna di quelle due<br />

notti, poco prima dell'alba, udii chiaramente Wyatt riporre il coperchio sulla cassa oblunga e, col martello imbottito,<br />

piantare i chiodi al loro posto. Fatto ciò, usciva, completamente vestito, dalla cabina e andava a chiamare Mrs. Wyatt.<br />

Eravamo in mare da sette giorni e ci trovavamo al largo di Capo Hatteras, quando il vento ci investì da sudovest<br />

con tremenda violenza. Eravamo però abbastanza preparati, perché negli ultimi giorni il tempo si era fatto<br />

minaccioso. Vennero prese tutte le misure del caso, sopra e sotto coperta; e poiché la forza del vento aumentava,<br />

andammo per un certo tempo con la vela di mezzana e il fiocco alto entrambi con due mani di terzaroli.<br />

In tale assetto, riuscimmo per quarantott'ore a tenere discretamente il mare; la nave si mostrò sotto molti punti<br />

di vista eccellente e non imbarcò acqua in misura preoccupante. Al termine di questo periodo, tuttavia, il vento di<br />

tempesta si era mutato in uragano, e la vela di poppa andò a pezzi; di conseguenza, ci trovammo così spesso in mezzo ai<br />

marosi che imbarcammo acqua a non finire. In tale accidente perdemmo tre uomini, finiti in mare, la cambusa, e quasi<br />

tutti i parapetti di babordo. Non appena riacquistato l'uso della ragione, il fiocco alto andò a brandelli; allora issammo<br />

una vela di strallo da tempesta, e in questo modo andammo discretamente bene per alcune ore, con la nave che teneva il<br />

mare molto più stabilmente di prima.<br />

Ma l'uragano continuava, né accennava a placarsi. Si constatò che il sartiame era mal sistemato e sotto sforzo;<br />

e il terzo giorno di bufera, verso le cinque pomeridiane, il nostro albero di mezzana, in una rollata violenta e<br />

improvvisa, si inclinò fuori bordo. Per più di un'ora, tentammo di liberarcene, impediti dal tremendo rollio della nave; e,<br />

prima che ci riuscissimo, venne a poppa il carpentiere per annunciarci che nella stiva c'erano quattro piedi d'acqua. Per<br />

aggravare la situazione, scoprimmo che le pompe erano bloccate e pressoché inutilizzabili.<br />

Tutto era confusione e disperazione, ma fu fatto uno sforzo per alleggerire la nave, gettando fuori bordo tutto<br />

ciò che potemmo prendere dal carico e tagliando i due alberi superstiti. Ci riuscimmo, alla fine; ma, quanto alle pompe,<br />

eravamo sempre nell'impossibilità di servircene. E, intanto, la falla si allargava rapidamente.<br />

Verso il tramonto, la violenza della tempesta era sensibilmente diminuita e poiché anche il mare si era un poco<br />

calmato, avevamo ancora qualche speranza di salvarci con le scialuppe. Alle otto pomeridiane, una ventata squarciò le<br />

nubi e avemmo il conforto della luna piena: una vera fortuna, che mirabilmente servì a sollevare i nostri spiriti depressi.<br />

Con incredibile fatica riuscimmo infine a calare la scialuppa a vela senza gravi incidenti; in essa si accalcarono<br />

tutto l'equipaggio e la maggior parte dei passeggeri. Questo primo gruppo si allontanò immediatamente e, dopo molte<br />

traversie, giunse finalmente in salvo a Ocracoke Inlet.<br />

A bordo rimanevano ancora quattordici passeggeri e il capitano, che risolvettero di affidare la loro sorte alla<br />

iole di poppa. La calammo senza difficoltà, anche se solo un miracolo le impedì di andare a fondo non appena toccò

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