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con sua sorella dei rapporti altrettanto stretti che con suo fratello; consideriamo parenti allo stesso titolo zii e cugini paterni o materni; in Grecia, dove la famiglia non comprendeva che i discendenti di un maschio per via maschile, era del tutto diverso. La famiglia romana era un corpo ampio che si annetteva, grazie all’adozione, nuovi componenti e collegava a sé un gran numero di schiavi e di clienti 2 . Nelle nostre società, nelle quali la famiglia tende sempre più a ridursi al gruppo coniugale, come potrebbero i sentimenti che uniscono gli sposi e che con quelli che li uniscono ai loro figli bastano, quasi, a costituire l’atmosfera affettiva della famiglia, non trarre una parte della loro forza dal fatto che essi sono quasi l’unico cemento che amalgama i membri del gruppo? Nella famiglia romana, al contrario, l’unione coniugale non è che uno dei tanti rapporti che uniscono al padre di famiglia non solo coloro che hanno il suo stesso sangue, ma i clienti, i liberti, gli schiavi, i figli adottivi: i sentimenti coniugali vi giocano quindi solo un ruolo di secondo piano; la donna considera suo marito soprattutto come il pater familias ed il marito, dal canto suo, vede nella moglie, non una “metà” della famiglia, ma un elemento tra i tanti della stessa e che potrebbe venir eliminato da essa senza minacciarne la vitalità o ridurne la sostanza. Si è spiegata l’instabilità dei matrimoni a Roma e la frequenza dei divorzi con l’intervento dei parenti, sia del marito che della moglie, che avrebbero avuto il potere di sciogliere un’unione conclusa con il loro consenso 3 ma non si sarebbe tollerato quest’intervento se il divorzio avesse minacciato l’esistenza stessa della famiglia, come nelle nostre società. Se è vero che “ammettendo a Roma una media di tre o quattro matrimoni per persona nel corso della vita siamo “al di sotto piuttosto che al di sopra della realtà” così che questo regime matrimoniale corrisponderebbe ad una “poligamia successiva, i sentimenti degli sposi dovevano distinguersi dal tipo di legame che si accompagna all’idea del matrimonio indissolubile. Oltre a queste regole comuni a tutta una società, esistono consuetudini e modi di pensare propri di ogni famiglia, e che parimenti impongono, ed anche più decisamente, la loro forma alle opinioni ed ai sentimenti dei loro membri. “Nell’antica Roma — ci dice Fustel de Coulanges — non c’erano né regole né forme o rituale comune per la religione domestica. Ogni famiglia godeva della più completa indipendenza. Nessuna forza esterna aveva il diritto di regolarne il culto o la fede. Non vi era altro sacerdote che il padre. Come sacerdote, egli non riconosceva nessuna gerarchia. Il pontefice di Roma poteva pure assicurarsi che il padre di famiglia compisse tutti i riti religiosi, ma non aveva il diritto di richiedere la più piccola modifica. Suo quisque ritu sacrificium faciat, quella era la regola assoluta. Ogni famiglia aveva le proprie cerimonie, le sue feste particolari, le sue formule di preghiera ed i suoi inni. Solo il padre, unico interprete ed unico pontefice della sua religione, poteva insegnarla, e poteva insegnarla solo a suo figlio. I riti, le parole della preghiera, i canti, che erano parte centrale di questa religione domestica erano un patrimonio, una proprietà sacra che la famiglia non condivideva con nessuno e che era finanche proibito rivelare agli estranei. Parimenti nelle società di oggi più tradizionali, ogni famiglia I ha il suo carattere, i suoi ricordi che è la sola a commemorare ed i suoi segreti che rivela solo ai suoi componenti. Ma questi ricordi, come d’altra parte le tradizioni religiose delle famiglie antiche, non consistono solo in 4

una serie d’immagini individuali del passato. Sono, al tempo stesso, dei modelli, degli esempi e quasi degli insegnamenti. In essi si esprime l’atteggiamento generale del gruppo; essi non ne riproducono solo la storia, ma ne definiscono la natura, le qualità, le debolezze. Quando si dice: “Nella nostra famiglia si vive a lungo, oppure: si è fieri, oppure: non ci si arricchisce”, si parla di una proprietà fisica o morale che si suppone inerente al gruppo, e che quest’ultimo trasmette ai suoi membri. E talvolta il luogo o la regione d’origine della famiglia o questa o quella figura caratteristica di uno dei suoi membri che diviene il simbolo, più o meno misterioso, del fondo comune da cui essi traggono i loro tratti distintivi. In ogni caso, con diversi elementi di questo genere, tratti dal passato, la memoria familiare compone un quadro che tende a conservare intatto e che costituisce in qualche modo l’armatura tradizionale della famiglia. Pur essendo costituito da fatti che ebbero un loro tempo, da immagini che non durarono che un attimo, dal momento che vi si ritrovano i giudizi che la famiglia e quelle ad essa vicine hanno dato su di essi, esso partecipa della natura di quelle nozioni collettive che non hanno né un luogo né un tempo definito e che sembrano dominare il corso del tempo. Supponiamo, ora, di ricordare un evento della nostra vita familiare che si è impresso, come si suoi dire, nella nostra memoria. Cerchiamo di eliminare da esso quelle idee e quei giudizi tradizionali che definiscono lo spirito della famiglia. Cosa resta? Ma è poi possibile operare una simile separazione e distinguere nel ricordo dell’evento “l’immagine di ciò che è accaduto una sola volta, che fa riferimento ad un istante ed ad un luogo unici” e le nozioni nelle quali si esprime in generale la nostra esperienza dell’agire e dei modi di essere dei nostri parenti? Quando Chateaubriand descrive, in una pagina famosa, come si passavano le serate al castello di Comhourg, si tratta forse di un evento che è accaduto una sola volta? Davvero egli è stato, una sera più delle altre, colpito dai silenziosi andirivieni del padre, dall’aspetto della stanza e dai dettagli che egli sottolinea nel suo quadro? No: egli ha, invece, certamente condensato in una sola scena i ricordi di molte serate, così come si erano impressi nella sua memoria ed in quella dei suoi: è il riassunto di un intero periodo, è l’idea dì un genere di vita. Vi si intravede il carattere degli attori, quale risulta indubbiamente dal ruolo che spetta loro in questa scena ma anche dal loro modo di essere abituale e da tutta la loro storia. Certo, ciò che più ci interessa è lo stesso Chateaubriand ed il senso di oppressione, di tristezza e di noia provocato in lui dal contatto con queste persone e cose. Ma come non vedere che in un altro ambiente questo sentimento non avrebbe potuto nascere, o che, se vi fosse nato, sarebbe stato identico solo in apparenza e che esso implica delle abitudini familiari che esistevano solo in quella piccola nobiltà di provincia dell’antica Francia, così come le tradizioni proprie della famiglia di Chateaubriand? È un quadro ricostruito e ben lungi dal dover rinunciare a riflettere, per vederlo ripresentarsi nella sua realtà di un tempo, è grazie alla riflessione che l’autore sceglie quei tratti fisici e quelle particolarità di abbigliamento, che egli dice, ad esempio, a proposito del padre,

una serie d’immagini individuali <strong>de</strong>l passato. Sono, al tempo stesso, <strong>de</strong>i mo<strong>de</strong>lli,<br />

<strong>de</strong>gli esempi e quasi <strong>de</strong>gli insegnamenti. In essi si esprime l’atteggiamento generale<br />

<strong>de</strong>l gruppo; essi non ne riproducono solo <strong>la</strong> storia, ma ne <strong>de</strong>finiscono <strong>la</strong> natura, le<br />

qualità, le <strong>de</strong>bolezze. Quando si dice: “Nel<strong>la</strong> nostra famiglia si vive a lungo, oppure:<br />

si è fieri, oppure: non ci si arricchisce”, si par<strong>la</strong> di una proprietà fisica o morale che si<br />

suppone inerente al gruppo, e che quest’ultimo trasmette ai suoi membri. E talvolta il<br />

luogo o <strong>la</strong> regione d’origine <strong>de</strong>l<strong>la</strong> famiglia o questa o quel<strong>la</strong> figura caratteristica di<br />

uno <strong>de</strong>i suoi membri che diviene il simbolo, più o meno misterioso, <strong>de</strong>l fondo<br />

comune da cui essi traggono i loro tratti distintivi. In ogni caso, con diversi elementi<br />

di questo genere, tratti dal passato, <strong>la</strong> memoria familiare compone un quadro che<br />

ten<strong>de</strong> a conservare intatto e che costituisce in qualche modo l’armatura tradizionale<br />

<strong>de</strong>l<strong>la</strong> famiglia. Pur essendo costituito da fatti che ebbero un loro tempo, da immagini<br />

che non durarono che un attimo, dal momento che vi si ritrovano i giudizi che <strong>la</strong><br />

famiglia e quelle ad essa vicine hanno dato su di essi, esso partecipa <strong>de</strong>l<strong>la</strong> natura di<br />

quelle nozioni collettive che non hanno né un luogo né un tempo <strong>de</strong>finito e che sembrano<br />

dominare il corso <strong>de</strong>l tempo.<br />

Supponiamo, ora, di ricordare un evento <strong>de</strong>l<strong>la</strong> nostra vita familiare che si è<br />

impresso, come si suoi dire, nel<strong>la</strong> nostra memoria. Cerchiamo di eliminare da esso<br />

quelle i<strong>de</strong>e e quei giudizi tradizionali che <strong>de</strong>finiscono lo spirito <strong>de</strong>l<strong>la</strong> famiglia. Cosa<br />

resta? Ma è poi possibile operare una simile separazione e<br />

distinguere nel ricordo <strong>de</strong>ll’evento “l’immagine di ciò che è accaduto una so<strong>la</strong> volta,<br />

che fa riferimento ad un istante ed ad un luogo unici” e le nozioni nelle quali si<br />

esprime in generale <strong>la</strong> nostra esperienza <strong>de</strong>ll’agire e <strong>de</strong>i modi di essere <strong>de</strong>i nostri<br />

parenti?<br />

Quando Chateaubriand <strong>de</strong>scrive, in una pagina famosa, come si passavano le<br />

serate al castello di Comhourg, si tratta forse di un evento che è accaduto una so<strong>la</strong><br />

volta? Davvero egli è stato, una sera più <strong>de</strong>lle altre, colpito dai silenziosi andirivieni<br />

<strong>de</strong>l padre, dall’aspetto <strong>de</strong>l<strong>la</strong> stanza e dai <strong>de</strong>ttagli che egli sottolinea nel suo quadro?<br />

No: egli ha, invece, certamente con<strong>de</strong>nsato in una so<strong>la</strong> scena i ricordi di molte serate,<br />

così come si erano impressi nel<strong>la</strong> sua memoria ed in quel<strong>la</strong> <strong>de</strong>i suoi: è il riassunto di<br />

un intero periodo, è l’i<strong>de</strong>a dì un genere di vita. Vi si intrave<strong>de</strong> il carattere <strong>de</strong>gli attori,<br />

quale risulta indubbiamente dal ruolo che spetta loro in questa scena ma anche dal<br />

loro modo di essere abituale e da tutta <strong>la</strong> loro storia. Certo, ciò che più ci interessa è<br />

lo stesso Chateaubriand ed il senso di oppressione, di tristezza e di noia provocato in<br />

lui dal contatto con queste persone e cose. Ma come non ve<strong>de</strong>re che in un altro<br />

ambiente questo sentimento non avrebbe potuto nascere, o che, se vi fosse nato,<br />

sarebbe stato i<strong>de</strong>ntico solo in apparenza e che esso implica <strong>de</strong>lle abitudini familiari<br />

che esistevano solo in quel<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> nobiltà di provincia <strong>de</strong>ll’antica Francia, così<br />

come le tradizioni proprie <strong>de</strong>l<strong>la</strong> famiglia di Chateaubriand? È un quadro ricostruito e<br />

ben lungi dal dover rinunciare a riflettere, per ve<strong>de</strong>rlo ripresentarsi nel<strong>la</strong> sua realtà di<br />

un tempo, è grazie al<strong>la</strong> riflessione che l’autore sceglie quei tratti fisici e quelle<br />

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