Notiziario del Centro Studi per la Val di Sole - Centro Studi Val di Sole

Il paese di Giazza, stretto e quasi protetto dai crinali di monti, antica area di
produzione del carbone da legna, ultima oasi linguistica dei cimbri della Lessínia
veronese, con toponomastica naturalmente bilingue.
produrre testi, tutto bene. Ma «… il tentativo di
insegnare il dialetto a Scuola è un errore, fa odiare
questa parlata. Il dialetto deve essere parlato in
famiglia…» - ammonisce Davide Filié di Varallo in
Valsesia (Vc). E come dargli torto? Una lingua madre
non può essere una lingua “maestra”!
Ma andiamo per ordine, dando voce alla sequenza
di relatori che si sono alternati ai Tra/Montani di
Giazza, partendo dagli auspici degli ospitanti e degli
organizzatori. Il Sindaco di Selva di Progno Aldo
Gugole parla di «questi retaggi del passato» da difendere
perché «non vogliamo che tutto finisca, ma
che qualcosa venga tramandato ai figli». Claudio
Melotti, Presidente della Comunità Montana della
Lessínia, ha portato il singolare esempio della tenuta
nel tempo di un dialetto arcaico nelle comunità
di emigranti veneti in Brasile, per l’isolamento geografico
e culturale da enclave, tanto che ora sono
consentite conoscenze di ritorno con recupero di
vocaboli da noi scomparsi. Il camuno Giancarlo Maculotti
(per la precisione d’origine appena al di là
del nostro Tonale e Montozzo, in quel di Pèzzo)
coordinatore dei convegni e anima fin dalla fondazione,
ha puntato alla estrema varietà e ricchezza
di dialetti rispetto alla popolazione nella nostra
Italia, una densità unica al mondo che vorrà pur
dir qualcosa. «Dialetti non varianti della lingua, ma
tronchi dello stesso idioma latino originario, come
diramazioni da Albero Genealogico». La ricchezza è
più pregnante nella montagna rispetto all’omologazione
cittadina. Dialetti e toponimi aiutano più dei
reperti archeologici a ricostruire un percorso storico.
Vito Massalongo del Curatorium Cimbricum
Veronense, cuore di questa edizione degli incontri,
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cultura delle Valli
ha motivato la scelta del tema descrivendo la marginalità
nei secoli della Lessínia, «terra di fatiche e
fame atavica, di pascoli strappati alle rocce, di filò
tenuti nei fenári (fienili), terra di esclusioni, di lotte
per l’autonomia, che ha vissuto di inferiorità e
di umiliazione». Nella «montagna alta del carbon»
-come era definito questo territorio nei documenti
del XII secolo- il dialetto era un codice verbale non
consentito e riconosciuto dalle autorità.
La relazione centrale del convegno è stata affidata
al grande linguista Corrado Grassi dell’Università
di Torino e Vienna, autodefinitosi decano della
dialettologia italiana, presentato dal Centro Studi
Judicaria di Tione. Ha cercato di far comprendere
il valore linguistico del dialetto rispetto alla lingua
nazionale. In linguistica è usato il concetto di diglossìa,
una lingua composta di due varietà, quella
alta e quella di uso quotidiano. Da noi diremmo
«parlar en ponta», per chi predilige l’uso dell’italiano,
un piemontese d’altri tempi direbbe «parlé
triculur». Riferita ai nostri dialetti si palesa così una
forma di pseudo bilinguismo. Dove c’è un dialetto
c’è una lingua e viceversa. Certo che la crisi dei
dialetti si trova dappertutto perché sono i parlanti
che creano e modellano le lingue e non gli studi a
tavolino che tentano solo di codificarle. E il parlante
di oggi è nettamente diverso da quello di ieri. I
riferimenti testuali di ieri e di oggi, i significati e la
cultura materiale sottesa alla parlata sono nel tempo
completamente variate. Un dialetto nato dalla
tecnologia contadina oggi spazzata via ha i giorni
contati, perché l’ambito di riferimento che l’ha alimentato
per secoli e a cui era funzionale non esiste
Un momento del Convegno dei Tra/Montani a Selva di Progno. In primo piano il
grande linguista prof. Corrado Grassi dell’Università di Torino e Vienna.