Notiziario del Centro Studi per la Val di Sole - Centro Studi Val di Sole

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cultura delle Valli LINGUE E DIALETTI DELLE VALLI ALPINE: I TRA/MONTANI FRA I CIMBRI di Rinaldo Delpero In questa nuova tornata al seguito dei Tra/Montani ho scovato-scoperto il singolare mondo piccolo dei Cimbri della Lessínia, nella montagna veronese. A monte dalla nota zona vinicola di Soave si snoda la valle dell’Illási su verso nord, fino a trovare il crinale di monti al confine Trentino, di là vedendo la Val d’Adige fra Ala e Avio. Esiste pure una strada tortuosa e ardita che scavalca lo sbarramento montano e collega Ala all’area dei Lessíni. Ma per chi ha premura di tempo e veicolo e non regge la vertigine, meglio optare per l’ampio giro autostradale di Verona. Gli Incontri Tra/Montani si passano di anno in anno il testimone in angoli sperduti dell’arco alpino, non solo italiano, per affrontare temi di comune interesse e ricerca, condividerne i risultati, confrontarsi e confortarsi su un futuro che non appare per nulla roseo per le terre di montagna. La tappa significati- Media valle dell’Illási nella zona pedemontana veronese: l’ambiente è insieme aspro e gradevole. Incuneandosi fin verso il confine trentino all’altezza di Ala, ha come ultimo centro abitato Giazza, frazione di Selva di Progno. 24 va della XX edizione aveva per titolo «Il valore culturale delle lingue e dei dialetti delle valli alpine». Sedi del convegno svoltosi fra il 24 e 26 settembre 2010 sono stati i nuclei di Giazza e Selva di Prògno. L’anno precedente si era a Coumboscuro nelle valli del cuneese per parlare di Scuola di montagna e minoranze linguistiche. Entrambe i convegni hanno puntato l’attenzione sui dialetti, riduttivamente considerati spesso linguaggi minori, mentre vanno strenuamente “difesi” se intesi quali «lingue madri, che hanno cioè una valenza e un’importanza vitale nella comunicazione verbale della gente di montagna». Lo scorso anno si sottolineò il concetto ancora più pregnante di «lingua ancestrale», riferita al dialetto, dunque lingua delle radici identitarie e secolari di una terra e una gente, lingua succhiata con il latte materno –lingua madre, appunto!- linguaggio-ginnastica capace di sviluppare la creatività linguistica e facilitare l’apprendimento di altre parlate. Tutte cose sacrosante. Ma il dramma e tarlo di fondo in tema di dialetti e lingue è che si tiene in mano una sorta di patata bollente, un magma incontrollabile in continua eruzione ed evoluzione. Si consideri poi la contemporaneità con la estrema diffusione delle comunicazioni telefoniche e l’avvento della rete Internet che interconnette in tempo reale i mondi culturali più disparati. Il linguaggio che ne uscirà nel futuro sarà una rivoluzione forse tendente all’appiattimento, standardizzazione, semplificazione. Se la necessità è quella di intendersi velocemente, servono pochi e semplici vocaboli, magari abbreviati con parole all’osso come son soliti “messaggiarsi” i ragazzi. Sono vincenti lingue veicolari sul tipo di quelle “nazionali”, già essere frutto di artefazione. In tutto questo processo inarrestabile, il dialetto che si cerca affannosamente di studiare e “salvare” ha vita estremamente dura. Una battaglia persa in partenza, oseremmo dire. «Finché c’è salute non si va dal medico! Così il dialetto, finché era vivo e parlato nessuno si curava di studiarlo. Ora che è malato fioriscono gli studi» - ha detto bene Gabriele Antonioli (Grosio, Valtellina) al convegno di Giazza. Nessuno ha la ricetta in tasca per guarire il paziente. Studiarlo, codificarlo, grammatizzarlo,
Il paese di Giazza, stretto e quasi protetto dai crinali di monti, antica area di produzione del carbone da legna, ultima oasi linguistica dei cimbri della Lessínia veronese, con toponomastica naturalmente bilingue. produrre testi, tutto bene. Ma «… il tentativo di insegnare il dialetto a Scuola è un errore, fa odiare questa parlata. Il dialetto deve essere parlato in famiglia…» - ammonisce Davide Filié di Varallo in Valsesia (Vc). E come dargli torto? Una lingua madre non può essere una lingua “maestra”! Ma andiamo per ordine, dando voce alla sequenza di relatori che si sono alternati ai Tra/Montani di Giazza, partendo dagli auspici degli ospitanti e degli organizzatori. Il Sindaco di Selva di Progno Aldo Gugole parla di «questi retaggi del passato» da difendere perché «non vogliamo che tutto finisca, ma che qualcosa venga tramandato ai figli». Claudio Melotti, Presidente della Comunità Montana della Lessínia, ha portato il singolare esempio della tenuta nel tempo di un dialetto arcaico nelle comunità di emigranti veneti in Brasile, per l’isolamento geografico e culturale da enclave, tanto che ora sono consentite conoscenze di ritorno con recupero di vocaboli da noi scomparsi. Il camuno Giancarlo Maculotti (per la precisione d’origine appena al di là del nostro Tonale e Montozzo, in quel di Pèzzo) coordinatore dei convegni e anima fin dalla fondazione, ha puntato alla estrema varietà e ricchezza di dialetti rispetto alla popolazione nella nostra Italia, una densità unica al mondo che vorrà pur dir qualcosa. «Dialetti non varianti della lingua, ma tronchi dello stesso idioma latino originario, come diramazioni da Albero Genealogico». La ricchezza è più pregnante nella montagna rispetto all’omologazione cittadina. Dialetti e toponimi aiutano più dei reperti archeologici a ricostruire un percorso storico. Vito Massalongo del Curatorium Cimbricum Veronense, cuore di questa edizione degli incontri, 25 cultura delle Valli ha motivato la scelta del tema descrivendo la marginalità nei secoli della Lessínia, «terra di fatiche e fame atavica, di pascoli strappati alle rocce, di filò tenuti nei fenári (fienili), terra di esclusioni, di lotte per l’autonomia, che ha vissuto di inferiorità e di umiliazione». Nella «montagna alta del carbon» -come era definito questo territorio nei documenti del XII secolo- il dialetto era un codice verbale non consentito e riconosciuto dalle autorità. La relazione centrale del convegno è stata affidata al grande linguista Corrado Grassi dell’Università di Torino e Vienna, autodefinitosi decano della dialettologia italiana, presentato dal Centro Studi Judicaria di Tione. Ha cercato di far comprendere il valore linguistico del dialetto rispetto alla lingua nazionale. In linguistica è usato il concetto di diglossìa, una lingua composta di due varietà, quella alta e quella di uso quotidiano. Da noi diremmo «parlar en ponta», per chi predilige l’uso dell’italiano, un piemontese d’altri tempi direbbe «parlé triculur». Riferita ai nostri dialetti si palesa così una forma di pseudo bilinguismo. Dove c’è un dialetto c’è una lingua e viceversa. Certo che la crisi dei dialetti si trova dappertutto perché sono i parlanti che creano e modellano le lingue e non gli studi a tavolino che tentano solo di codificarle. E il parlante di oggi è nettamente diverso da quello di ieri. I riferimenti testuali di ieri e di oggi, i significati e la cultura materiale sottesa alla parlata sono nel tempo completamente variate. Un dialetto nato dalla tecnologia contadina oggi spazzata via ha i giorni contati, perché l’ambito di riferimento che l’ha alimentato per secoli e a cui era funzionale non esiste Un momento del Convegno dei Tra/Montani a Selva di Progno. In primo piano il grande linguista prof. Corrado Grassi dell’Università di Torino e Vienna.
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