Notiziario del Centro Studi per la Val di Sole - Centro Studi Val di Sole

ANNO XXXVIII - 2010 OTTOBRE-DICEMBRE n. 4 

Direttore responsabile: Alberto Mosca - Autorizzazione Tribunale di Trento n° 173 del 10.03.1973 - Spedizione in abbonamento postale - 70% D.C.B. di Trento - Taxe Percue - Tassa Riscossa Malé (TN) - C.C.P. 15926389 

Centro Studi 

per la Val di Sole 

Notiziario 

del Centro Studi 

per la Val di Sole

SOMMARIO CENTRO STUDI PER LA VAL DI SOLE 

editoriale 

3 La storia siamo noi 

di Alberto Mosca 

attività del centro studi 

4 Vent’anni di musica e ricerca: il coro Santa 

Lucia di Magras 

5 L’archivio musicale del coro S. Lucia: progetti 

per il suo sviluppo 

7 Pergamene di Peio nell’Archivio di Stato di 

Firenze 

8 La guerra a 3000 metri: il progetto Linke 

9 “Al diavolo questa guerra!” 

studi sulla val di sole 

10 Ossana e il suo territorio 

13 Giovanni Simone Ramus e Mezzolombardo 

14 Memorie delle due guerre a Caldes 

16 Ambienti e minerali in Val di Sole 

22 Il nipote e il “Barba” 

cultura delle valli 

23 Piani giovani di zona: un bilancio 

dopo quattro anni 

24 Lingue e dialetti delle Valli alpine: 

i Tra/Montani fra i cimbri 

30 Mulino Ruatti mostra la pace e i diritti umani 

31 Incontri tra croviani nella sala intitolata 

a Cristoforo Busetti 

32 Qualche riflessione con... don Renato Pellegrini 

33 Gli studenti raccontano la Guerra Bianca 

34 Specchio, specchio del mio paese 

36 Un paese... una storia 

socialia 

37 Socialia 

REALIZZAZIONE GRAFICA E STAMPA: 

ag. nitida immagine - cles 

38027 Malé - c/o Teatro Comunale 

(venerdì ore 17.00 - 19.00) 

Tel. e fax 0463.903085 

c.c.p. 15926389 

c.c.b. IBAN IT26 M080 4235 0000 0001 0307 295 

Quota sociale euro 20,00 

NUMERO SOCI 1900 - TIRATURA COPIE n. 2050 

MUSEO DELLA CIVILTÀ SOLANDRA 

Malé - Via Trento (ex Pretura) - direttore Federica Costanzi 

MUSEO DELLA GUERRA BIANCA 

Peio Paese - direttore Maurizio Vicenzi 

BIBLIOTECA STORICA 

Terzolas - palazzo della “Torraccia” 

In copertina: 

Novembre 2010: vengono abbattute le case addossate al 

castello, ricomincia il restauro di Castel Caldes (ph. almo). 

DIRETTORE RESPONSABILE 

Alberto Mosca 

albertomosca@albertomosca.it 

COMITATO DI REDAZIONE 

Rinaldo Delpero 

Salvatore Ferrari 

Mariapia Malanotti 

Elisa Merli 

Anna Panizza 

Romano Stanchina 

Fortunato Turrini 

HANNO COLLABORATO 

Annamaria Azzolini 

Claudia Cirina 

Giuseppe Colombo Manfroni de Manfort 

Erika Cortellini 

Federica Costanzi 

Paolo Dalla Torre 

Federica Flessati 

Piero Michelotti 

Alberto Penasa 

Vilma e Vasco Piccioli 

Nicoletta Redolfi 

Matteo Rizzi 

Romina Zanon 

Marco Valenti 

Giuseppina Zambotti 

Su Internet: 

www.centrostudivaldisole.it 

e-mail: 

centrostudi@centrostudivaldisole.it 

Su Facebook: 

LA VAL notiziario del Centro Studi per la Val di Sole

“L’incomprensione del presente nasce fatalmente 

dall’ignoranza del passato. Forse però non è meno 

vano affaticarsi a comprendere il passato, ove nulla 

si sappia del presente”. Le parole del grande storico 

belga Marc Bloch (1886-1945) ci riportano ad una 

dimensione dell’utilità della storia che vorremmo 

sempre meglio cercare per il nostro periodico. Una 

sorta di solidarietà tra le epoche che ci permetta 

di trovare nel discorso sul passato le basi di conoscenza 

che possono farci comprendere i perché 

del presente; ma anche un percorso inverso che 

valorizzi una coscienza civile che guarda all’attualità. 

Un modo per rendere la storia, per dirla sempre 

con Bloch, “la scienza degli uomini nella società 

dei tempi”: una storia che non è semplicemente la 

“scienza del passato” ma che riguarda tutti 

gli uomini nella loro dimensione singola e 

collettiva, nel contesto delle loro strutture 

sociali immerse nel cambiamento. Non si 

occupa di uomini del passato e nel passato, 

ma di uomini la cui vicenda è costantemente 

reinterpretata alla luce del presente, proiettati 

verso il futuro. Qualcosa di vivo, che 

viene fatto proprio per ricostituire il tessuto 

della memoria. Con le parole di un filosofo 

contemporaneo, Giacomo Marramao, 

possiamo pensare che “noi come individui 

non esistiamo, non abbiamo identità se non 

riusciamo a ricucire le tappe della nostra 

biografia, della nostra storia. Come culture, 

come gruppi collettivi, come società non 

esistiamo se non ricomponiamo costante- 

LA STORIA SIAMO NOI 


ASSEMBLEA ORDINARIA 

DEL CENTRO STUDI PER LA VAL DI SOLE 

DOMENICA 23 GENNAIO ore 14.30 

Malé - sala municipale del Comune - piazza Regina Elena, 17 (terzo piano) 

Tutti i soci sono invitati a partecipare in gran numero 

3 

editoriale 

mente i fili del rapporto tra il passato, il presente 

e il futuro”. Ricordandoci tuttavia che il discorso 

sul passato non ci insegna automaticamente nulla. 

La “magistra vitae” di ciceroniana memoria è lì, accogliente 

verso i propri alunni; ma da sola può far 

poco, ha bisogno di trovare allievi svegli, volonterosi, 

determinati, consapevoli che il passato insegna 

solo se viene in primo luogo accettato e quindi costantemente 

reinterpretato e reinvestito verso il 

futuro. Per dare concretezza, attraverso l’osservazione 

attenta del passato e del presente, a quanto 

ha mirabilmente riassunto un altro grande storico 

belga, Henri Pirenne (1862-1935), per il quale il primo 

dovere di uno storico “sia quello di interessarsi 

alla vita”. 

Castel Caldes, cappella di Santa Maria Assunta, Elia Naurizio, 1629; particolare della volta.

attività del Centro 

VENT’ANNI DI MUSICA E RICERCA: 

IL CORO SANTA LUCIA DI MAGRAS 


Il Coro Santa Lucia di Magras ha compiuto venti anni e li ha celebrati con un importante convegno di studi 

dedicato al Cecilianesimo nelle valli alpine, cui ha collaborato anche il Centro Studi. Un evento che ha attirato 

un folto pubblico di studiosi e appassionati, per il quale il direttore del Coro Fausto Ceschi delinea un 

bilancio più che positivo. 

Direttore, si può dire che sia andata davvero 

bene… 

Il convegno si è rivelato molto interessante, relatori 

di grande spessore hanno lasciato il segno e sono 

rimasti entusiasti per l’organizzazione e l’ospitalità. 

Le due giornate di studio ci hanno stimolato con 

tantissimi spunti per nuovi progetti e nell’immediato 

pubblicheremo gli atti di questo convegno con il 

quale abbiamo celebrato degnamente i nostri venti 

anni di attività. 

Oltre allo studio vi sono state ottime occasioni 

di canto… 

Sì, con concerti tenuti a Malé nella chiesa dell’Assunta 

e a Trento nella chiesa del S.Sacramento abbiamo 

reso omaggio ai maestri del Cecilianesimo, 

con un organo come il Mascioni, pensato proprio 

per il Cecilianesimo… Abbiamo offerto una proposta 

culturale diversa, alternativa, ma che paradossalmente 

fino agli anni ’60 del Novecento era nelle 

orecchie di tutti. 

Quali sono progetti in corso? 

Stiamo riordinando e catalogando l’archivio (si 

legga il contributo di Romina Zanon, ndr), con la 

scansione degli spartiti e il loro collegamento ipertestuale: 

procedendo nel lavoro di studio e grazie a 

eventi come il nostro convegno per i vent’anni troviamo 

continue occasioni per nuovi filoni di studio 

e si sa, da cosa nasce cosa, ad esempio riscoprendo 

con il prof. Luigino Endrighi la musica che accompagna 

il lavoro e le stagioni dell’uomo, oppure con 

il prof. Renato Morelli la tradizione sacra popolare. 

Lavoro ed entusiasmo non mancano. 

Quali novità emergono dagli archivi da voi 

recuperati e analizzati? 

Ad esempio, che nel ‘700 nella chiesa di Magras vi 

era l’organo ed era suonato da un Vecchietti; op- 

4 

pure che nel 1850 il coro della chiesa di Caldes 

festeggiava i 50 anni di vita… 

Il convegno ha presentato la fioritura del Movimento 

ceciliano in Italia, osservato dal punto di vista di 

una diocesi, quella di Trento, che si trovò nel mezzo 

di robuste e accese discussioni sostenute nei 

centri nevralgici di Ratisbona e Roma. E il Coro 

Santa Lucia fin dalla sua fondazione nel 1990, si dedica 

alla riproposizione (anche discografica) delle 

pagine corali ceciliane con un progetto di ricerca, 

catalogazione e archiviazione del repertorio già in 

uso nelle Valli di Sole e di Non. 

La prima sessione presieduta da Antonio Carlini ha 

visto le relazioni di don Felice Rainoldi (“Riformare 

la musica di chiesa: il conflitto delle interpretazioni”), 

don Ramon Saiz Pardo Hurtado (“La riforma 

della musica sacra nell’operare, a Roma, di padre 

Angelo De Santi”), don Severino Vareschi (“Il cecilianesimo 

nell’arcidiocesi di Trento”), Giulia Gabrielli 

(“Aspetti del cecilianesimo in Alto Adige”), 

Fausto Ceschi (“Il Coro Santa Lucia e il suo archivio 

di musiche ceciliane”); si è tenuta nella chiesa parrocchiale 

di Malé la decima edizione di “Te Deum 

laudamus” con il Coro e l’organista Tiziano Rossi. 

Dopo la Messa accompagnata dal Coro Santa Lucia, 

hanno preso la parola, presieduti da Salvatore de 

Salvo Fattor, i relatori Paolo Delama (“L’organaria 

in epoca ceciliana: il caso del Trentino”), Antonio 

Carlini (“La Cappella musicale del Duomo di Trento: 

il repertorio sotto la direzione di don Riccardo 

Felini”), Salvatore de Salvo Fattor (“Influssi del Cecilianesimo 

sul repertorio della Cappella musicale 

di S. Marco in Rovereto: dagli inizi del Novecento 

al Concilio Vaticano II”), Luigino Endrighi (“Il ruolo 

dei cori parrocchiali nell’anno liturgico preconciliare”) 

e Renato Morelli (“Dies Irae. La polivocalità 

popolare liturgica e paraliturgica in area alpina: alcuni 

esempi trentini, veneti e lombardi”).

5 


L’ARCHIVIO MUSICALE DEL CORO S.LUCIA: 

PROGETTI PER IL SUO SVILUPPO 

di Romina Zanon 

Incoraggiata dal mio professore di musica 

della facoltà di Scienze dei Beni Culturali 

dell’Università di Trento a realizzare la 

tesi e il tirocinio in ambito musicale, dopo 

alcune ricerche sono venuta a conoscenza 

del fatto che il Coro S.Lucia di Magras non 

solo fa risuonare nelle nostre chiese, ormai 

da vent’anni, le meravigliose armonie 

ceciliane, ma che anche, da diverso tempo, 

ha avviato un importante progetto di 

ricerca, raccolta, conservazione e catalogazione 

del patrimonio musicale dimenticato 

nelle sacrestie delle chiese della Valle 

dopo la riforma liturgica del Concilio 

Vaticano II, riforma che ha rappresentato 

una cesura netta con il passato, definendo 

l’italiano la lingua ufficiale della liturgia e facendo 

così dimenticare la profonda espressività spirituale 

della precedente tradizione musicale in latino e le 

intense emozioni da essa evocate. 

Questo lavoro di ricerca, raccolta, conservazione 

e catalogazione, avviato nel 2003 da Attilio Girardi, 

nella sua prima fase si è limitato ad una catalogazione 

su supporto cartaceo e ad un’archiviazione 

dei documenti organizzata in faldoni. Il suo sviluppo 

logico nel futuro dovrebbe sfociare nella sua trasformazione 

in formato digitale, garantendone così 

la salvaguardia contro ogni possibile pericolo di dispersione 

o addirittura di distruzione, mantenendo 

naturalmente la precedente raccolta cartacea. 

Il catalogo da me realizzato come attività di stage, 

con il prezioso sostegno di Salvatore de Salvo Fattor, 

di tutto il Coro e in particolare del suo direttore 

Fausto Ceschi, è stato redatto con il programma 

Excel, il quale offre un formato elettronico che si 

presta a qualsiasi tipo di ricerca, e ha visto come 

oggetto di studio ulteriori 1500 brani musicali (alcuni 

firmati da autori locali, come Egidio Tenni) 

provenienti dalle parrocchie di Caldes, Samoclevo 

e Terzolas. Ogni record bibliografico è stato strutturato 

secondo il seguente schema, che arricchisce 

di voci e completa la precedente versione: 

- titolo, il quale rappresenta il campo di ricerca 

principale; 

- autore, il quale è seguito da una qualificazione 

che ne specifica meglio il ruolo; 

- partitura, settore in cui vengono analizzate le 

varie voci, specificata la presenza o meno dello 

spartito e delle varie parti e l’eventuale presenza 

dell’organo, dell’armonio o del pianoforte; 

- il genere del brano musicale (inno, cantica, salmo…); 

- l’occasione religiosa in cui tale brano veniva cantato; 

- se la partitura sia una stampa, una copia o un manoscritto; 

- la data, che fa riferimento in rarissimi casi alla 

composizione, talvolta alla pubblicazione (per la 

stampa) e spesso alla trascrizione (per i manoscritti); 

è in questo caso che le date diventano 

importanti indicatori dell’evolversi della raccolta 

e possibili indizi delle vicende storiche del coro 

stesso; 

- il nome del trascrittore e, nel caso di una stampa, 

il nome della casa editrice; 

- la località di rinvenimento del documento; 

- il nome del donatore; 

- la data di inserimento nell’archivio. 

L’archivio digitale oltre che la mera catalogazione, 

racchiude in sè un’ulteriore validità, la quale permette 

una più rapida consultazione, una più appro-


fondita documentazione e una più completa ricerca, 

venendo incontro alle più esigenti necessità del 

futuro ricercatore. 

Inoltre, cliccando sul titolo del brano, si può visionare 

la copia digitale dello spartito in formato pdf 

mentre scegliendo il nome dell’autore o della casa 

editrice (se l’oggetto della ricerca è una stampa) 

compaiono le rispettive vicende storiche. 

Questo progetto di ricerca, raccolta, conservazione 

e catalogazione, per poter avere un sicuro futuro, 

ha naturalmente bisogno di un sostegno finanziario 

che si auspica possa 

essere erogato dall’Ente 

provinciale responsabile 

dei Beni Culturali. Per sostenere 

la ragionevolezza 

di questa proposta è opportuno 

citare l’esempio 

della Baviera, culla del cecilianesimo 

assieme al Trentino 

e al Tirolo, la quale ha 

promosso un censimento 

“musicale” riguardante tutto 

il suo territorio, dando 

vita al più importante archivio 

di musica ceciliana 

esistente, realizzato secondo 

l’evoluto modello per la 

gestione documentale ISO 

15489. A lavoro ultimato 

il prezioso patrimonio è 

stato pubblicato on-line, 

garantendone la consulta- 

6 

zione a livello mondiale, previo 

pagamento, a tutti gli utenti interessati, 

i quali non si limitano 

solamente alla sfera privata, ma 

contemplano anche enti pubblici 

e federali come università, scuole 

musicali e fondazioni addirittura 

dell’America del Nord. Il 

suo livello di consultabilità, che 

si estende a tutto il Web, è una 

fonte di ricchezza e proventi 

che ripagano gli impegni profusi 

in questo lavoro e che promuovono 

ulteriori progetti di ricerca 

e di promozione. 

Seguendo le orme della Baviera, 

il nostro lavoro si prefigge un 

continuo avanzamento nella raccolta di materiali 

in tutto il Trentino, per incrementare e arricchire 

l’archivio di nuove testimonianze musicali, affinchè 

una parte importante della storia dei nostri antenati 

non vada persa per sempre e perchè queste 

armonie possano essere riproposte nuovamente, in 

quanto “colpiscono profondamente l’animo umano 

e contribuiscono a far risentire nelle nostre chiese 

cose inaudite, stupende, che sanno ancora parlare e 

trasmettere, anche nella lingua latina, dei sentimenti” 

(don Giovanni Zanini).

7 


PERGAMENE DI PEIO 

NELL’ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE 

di Alberto Mosca con Vilma e Vasco Piccioli 

Questa è la storia di 

una piccola avventura 

di ricerca che ha 

portato a “riscoprire” 

all’Archivio di 

Stato di Firenze una 

serie di pergamene 

provenienti dalla Val 

di Peio. Probabilmente 

si tratta di un intero 

archivio familiare 

che, dopo vicende a 

noi ignote, nel 1869 

ha trovato riposo 

negli accoglienti ambienti 

di uno degli 

archivi più importanti 

del mondo. Il piccolo 

ma importante 

archivio, conservato 

nel fondo Diplomatico, 

consta di 55 pergamene: 

esso venne 

conferito all’archivio 

fiorentino da Giovanni Cavaciocchi nel 1869, tanto 

che è conosciuto come “Acquisto Cavaciocchi”. 

Le pergamene coprono in generale un arco temporale 

che va dal 1323 al 1752; ma quelle che a 

noi interessano di più rappresentano un gruppo 

ristretto, composto da 33 pergamene, complete di 

regesto, che vanno dal 1546 al 1667. Da un primo 

esame delle pergamene, in particolare dai cognomi 

contenuti e dal tono dei documenti, si può dire 

si tratti di un fondo familiare, con ogni probabilità 

proveniente dalla famiglia Pegolotti, i cui esponenti 

compaiono in ogni documento. Un archivio privato 

che documenta una secolo di storia familiare e che 

speriamo qualcuno vorrà ora studiare in modo più 

approfondito. 

Riporto ora il regesto della pergamena più antica, la 

n.12, datata al 3 maggio 1546 (marzo nel regesto): 

“Maestro Giovanni di Martino abitante in Cogulo 

nella valle del Sole (sic), diocesi di Trento vende 

a Giovanni di Antonio accettante e stipulante per 

sé e suoi eredi un appezzamento di terra prativa 

posta presso Cogulo predetto per il prezzo di lire 

594,3. Fatto in Cogulo predetto nel Trentino. Rog. 

Bonaventura dei Antonii de Cogulo”. 

Un esame diretto della pergamena permette tuttavia 

di individuare altri particolari: il nome del notaio 

ad esempio, Bonaventura del fu Antonio Framba, 

ricordato da padre Remo Stenico nel suo elenco 

di notai trentini 1 . Padre Remo riporta per “Ser Bonaventura 

notarius quondam Antonii Frambae de 

Cogulo vallis Solis”, rogiti che vanno dal 1515 al 

1546, anno della nostra pergamena. 

I regesti delle pergamene sono consultabili sul sito web dell’Archivio 

di Stato di Firenze (il link diretto è http://lartte.sns.it/ 

pergasfi/index.php?opadmin=0&op=fetch&type=tomo&id=375 

499&startimage=00103&endimage=00274&curimage=103). 

Cfr. p. R.STENICO ofm, Notai che operarono nel Trentino dall’anno 845, 

Trento 1999, p.151.


LA GUERRA A 3000 METRI: 

IL PROGETTO LINKE 

“L’importante progetto Linke lega la storia al territorio, 

riproponendo in maniera drammatica il teatro di 

guerra oltre i 3000 metri dove, accanto alle difficoltà 

imposte dal conflitto, i soldati dovettero fare i conti 

con le condizioni meteorologiche di un fronte d’alta 

montagna”: questo il commento del sindaco di Peio 

Angelo Dalpez presentando a Cogolo, nella splendida 

sala del Parco Nazionale dello Stelvio, i primi risultati 

della campagna di ricerche relativi all’iniziativa, che 

vede coinvolta dall’estate 2009 un équipe interdisciplinare 

per preservare le testimonianze della guerra, 

togliendole dai ghiacci che le hanno conservate per 

quasi 100 anni. Punta Linke, a 3612 metri di altitudine, 

fu uno dei centri nevralgici più alti ed importanti del 

fronte trentino nel gruppo Ortles Cevedale, durante la 

Grande Guerra. Lo scioglimento dei ghiacciai causato 

dai cambiamenti climatici sta restituendo alla luce e alla 

memoria il sistema di apprestamenti che garantivano il 

funzionamento di questo settore. Angelo Dalpez, oltre 

a ringraziare vivamente l’assessorato provinciale alla 

cultura ed il servizio Beni Archeologici della Provincia, 

ha quindi voluto donare al Museo della Guerra di Peio 

una carta topografica militare originale recuperata dai 

fratelli Bruno e Manlio Castiglioni, primi ufficiali italiani 

a scendere dal Tonale il 3 novembre 1918 al comando 

di un battaglione di Alpini. La preziosa carta, con tutte 

le postazioni e i luoghi di manovra del Tonale e della 

Valle di Peio era al II Rayon austroungarico di Fucine di 

di Alberto Penasa 

8 

Ossana. Per l’assessore provinciale alla cultura Franco 

Panizza, “la Provincia continuerà in maniera costante e 

convinta nella valorizzazione dei luoghi della memoria 

come quello di Punta Linke”. Dello stesso avviso 

Livio Cristofolini, soprintendente per i Beni librari archivistici 

e archeologici: il “Progetto Linke – il destino 

della memoria” è stato illustrato dai registi dell’intervento 

Franco Nicolis, della Soprintendenza provinciale, 

nonché Maurizio Vicenzi, direttore del Museo di Peio. 

Nicola Cappellozza, della Società Archeologica di Mantova, 

ha illustrato lo scavo e la documentazione raccolta 

mentre Lorenzo Pontalti, della Soprintendenza, ha 

parlato della conservazione e del restauro dei reperti; 

Alessandro Ervas è intervenuto sui restauri degli oggetti 

in metallo mentre Carlo Baroni, dell’Università di 

Pisa, ha tracciato il contesto glaciologico di Punta Linke 

e le metodologie d’intervento. 

Decisamente affascinante è stata l’illustrazione storiografica 

di tutto il teatro di guerra nell’area di Punta 

Linke: dotata di un doppio impianto teleferico, era collegata 

da una parte al fondovalle di Peio e dall’altra 

al “Coston delle Barache Brusade” verso il Palon de 

la Mare nel cuore del Ghiacciaio dei Forni. Il vicino 

rifugio Vioz era allora la sede del comando di settore 

dell’esercito austro-ungarico. Dopo un intervento 

d’urgenza nel 2009 finalizzato al recupero di manufatti 

ormai fuoriusciti dalla coltre glaciale ed esposti al saccheggio 

e al degrado, nell’estate 2010 la campagna di 

scavo ha avuto come obiettivo non solo il recupero dei 

reperti, ma anche quello di mettere in luce, con precisa 

metodologia archeologica, parte del contesto del sito 

di Punta Linke. Attraverso una raccolta accurata e una 

documentazione di tutto ciò che emerge dal ghiaccio, 

si potrebbero ottenere dati straordinari sulla vita in 

guerra a quelle altitudini, nell’ipotesi di realizzare un 

itinerario museale in quota di grande impatto emotivo, 

che potrebbe consentire il contatto fisico con gli 

ambienti che videro lo svolgersi drammatico di quei 

lontani eventi. Un lavoro complesso e multidisciplinare 

che vede all’opera, accanto agli archeologici provinciali, 

un’equìpe di glaciologi delle Università di Pisa, Roma, 

Milano e Padova, da anni impegnati in area alpina e in 

attività di ricerca nell’ambito del Programma Nazionale 

di Ricerche in Antartide.

“AL DIAVOLO QUESTA GUERRA!” 

La consueta commemorazione dei Kaiserschützen caduti 

sul Piz Giumela è stata preceduta da due significativi 

appuntamenti svoltisi nell’auditorium del centro termale. 

Venerdì 3 settembre il coro del Noce diretto da 

Giovanni Cristoforetti ha regalato al numeroso pubblico 

una serata densa di emozioni, mentre sabato è stata presentata 

una pubblicazione edita dal Museo della Guerra 

Bianca di Pejo, col sostegno del Centro Studi Val di Sole: 

si tratta del diario del capitano Benno Siglär “Verso la 

fine. Aprile-Agosto 1918”. 

La proposta del coro, fiore all’occhiello delle iniziative 

del 30° di fondazione, denominata “canti nella storia”, 

ha fatto sposare emblematiche immagini con brani sullo 

stesso tema. A sinistra del palco una piccola scenografia 

di valigie, fili spinati, sacchi, strumenti di lavoro contribuiva 

a creare un’atmosfera di tradizioni passate, mentre 

sullo schermo retrostante i coristi si succedevano foto, 

documentari che raccontavano episodi di guerra, emigrazione, 

vita agreste, attività quotidiane, chiudendo con 

splendidi flash sul paesaggio del territorio. Da “Ai preat” 

a “Montagne addio,” dal “Canto del minatore” a “La 

madonina”, giungendo a “‘Na sera serena”, conclusione 

felice di un vario excursus che è stato intervallato dal 

ricordo di Udalrico Fantelli dei tragici eventi del ’18 sul 

S.Matteo. 

Nella serata a seguire Oswald Mederle e don Fortunato 

Turrini hanno presentato il Diario di Benno Siglär 

da loro tradotto (con l’apporto di Ecky Lauschmann) e 

adattato per avvicinarlo alla parlata italiana corrente. 

Nato nel Voralberg ad Altstadt nel 1882, Benno è ar- 

di Nicoletta Redolfi 

9 


ruolato nei Kaiserjäger 

nel 1903. Fa 

una rapida carriera, 

documentata negli 

interessanti certificati 

allegati al diario, 

finchè, quando 

scoppia la guerra, 

il 4 agosto 1914 

è aggregato alla 

Compagnia di Stato 

Maggiore e nel 

novembre del ’15 

è capitano. Mentre 

scrive il suo 

Kriegstagebuch, 

Benno è comandante delle 

Guide Alpine del 2° Rayon che comprendeva anche il 

fronte Tonale-Pejo, teatro del suo narrare che va dal 3 

aprile al 17 agosto del 1918. 

Il diario di Benno è testimonianza singolare di un uomo 

sincero e sensibile, oltre che di un ufficiale responsabile. 

Nel suo stile essenziale e stringato esprime senza 

pudore una vasta gamma di sentimenti profondi sia 

per la famiglia - l’adorata moglie Franci (Franziska Maria 

Heider, sposata nel marzo ’17) e il primogenito Herbert 

Rudolf - sia per la truppa, le cui condizioni di fame, 

freddo e privazioni paiono interessare all’ufficiale di più 

delle operazioni militari che osserva e governa. Il nemico 

non è mai disprezzato e talvolta è anche oggetto di 

ammirazione, specialmente quando ne avverte la superiorità 

tattica. Non lesina invece critiche sulla gestione 

della guerra e sui limiti dello Stato Maggiore, intuendo 

la rovina soprattutto umana incombente. Ma Benno sa 

reggere il suo compito con fedeltà e senso del dovere, 

pur consapevole che “la guerra maledetta calpesta tutto 

il bello, il sublime con i propri piedi” e che solo il rifugio 

negli affetti restituisce l’armonia necessaria e dà motivo 

di continuare, nonostante tutto. “Es ist ja zum Teufel 

holen mit diesem Krieg” (al diavolo questa guerra) conclude, 

lasciandoci con un sintetico quanto emblematico 

messaggio ancora una volta spontaneo e determinato. 

Volume da leggere, soprattutto per conoscere un uomo 

di rara luminosità in un contesto davvero grigio.

studi sulla Val di Sole 

OSSANA E IL SUO TERRITORIO 

Il castello, la casa degli affreschi, le miniere 

di Annamaria Azzolini 

Nella casa degli affreschi, la Madonna col Bambino e a destra S.Barbara. 

L’immagine di Santa Barbara 1 che reca in mano un edificio 

turrito, restituitaci dagli affreschi dell’omonima 

casa, ben sintetizza i temi trattati nella serata svoltasi 

lo scorso 14 maggio, presso la sala convegni municipale 

di Ossana. 

Organizzata nell’ambito delle conferenze primaverili 

volute per far conoscere ai cittadini gli esiti delle ricerche 

condotte sul territorio dal gruppo di lavoro del 

“Progetto A.P.S.A.T.” – acronimo di Ambiente e Paesaggi 

dei Siti di Altura Trentini 2 - la serata ha posto l’attenzione 

sul castello di San Michele, sulla “Casa degli 

affreschi”, sulle miniere della Valle di Sole e di Pejo. 

Gli interventi si sono articolati seguendo tre aree tematiche: 

la conoscenza, la tutela, la conservazione dei 

luoghi e degli edifici storici che caratterizzano il territorio 

di Ossana. 

Il tema tutela come opportunità, come risorsa, non 

solo come strumento di vincolo e quindi misura restrittiva, 

è stato ampiamente illustrato dall’arch. Miche- 

10 

la Cunaccia – direttore dell’Ufficio Beni Monumentali 

della Soprintendenza ai Beni architettonici della Provincia 

autonoma di Trento - e dall’arch. Cinzia D’Agostino, 

funzionario del medesimo servizio. 

Nell’intervento, oltre a porre l’attenzione sul ruolo istituzionale 

della Soprintendenza nel campo della tutela 3 

e della valorizzazione, si è evidenziato come l’incontro 

con A.P.S.A.T. abbia portato ad uno scambio reciproco 

di informazioni. Il lavoro di equipe svolto sul cantiere 

del castello di San Michele ha dimostrato come la conoscenza, 

lo studio sullo stato delle strutture, permetta 

di pianificare corretti interventi di conservazione, 

finalizzati non solo alla valorizzazione ma soprattutto 

a “restituire” alla comunità beni a forte connotazione 

identitaria. 

Giorgia Gentilini, architetto libero professionista collaboratore 

del Progetto, nel suo contributo ha illustrato 

le fasi tecniche del lavoro che ha visto l’applicazione 

dell’archeologia dell’architettura 4 , una metodologia 

utilizzabile sulle strutture conservate in alzato che ha 

fornito nuove conoscenze circa le tecniche e le fasi 

costruttive del castello. 

Un serie di interventi hanno trattato ampiamente della 

“Casa degli affreschi”, straordinario edificio che ha restituito 

un ciclo quattrocentesco di insolita bellezza ed 

intensità 5 . Le indagini sull’edificio hanno riconosciuto 

una lunga sequenza costruttiva, da casa torre medievale 

fino alla configurazione del XX secolo; tuttavia alcuni 

aspetti connessi alla destinazione del fabbricato riman- 

L’entata di una galleria mineraria.

gono tutt’oggi sconosciuti e solo a studi conclusi sarà 

possibile formulare nuove ipotesi. 

La casa è stata oggetto di un intervento di emergenza 

volto a consolidarne le strutture, progettato sulla base 

di uno studio condotto, attraverso varie fasi di approfondimento, 

sulle caratteristiche materico-dimensionali 

e di conservazione dell’edificio. 

Il rilievo geometrico dimensionale e la caratterizzazione 

delle stratigrafie murarie è stata eseguita dal gruppo 

di lavoro dell’università di Padova guidato dal prof. 

Brogiolo ed illustrato nella serata dalla dott.ssa Isabella 

Zamboni, sua collaboratrice. L’analisi del degrado 

dell’edificio è stata svolta dall’équipe dell’arch. Paolo 

Faccio dell’università IUAV di Venezia, indagine che ha 

fornito la conoscenza dei meccanismi di danno pregressi 

e in essere, permettendo di effettuare una corretta 

e tempestiva valutazione dei rischi a cui la casa è 

sottoposta. 

Tematica questa di grande attualità ed interesse se 

considerata in relazione ai rischi sismici, al dissesto 

idro-geologico, ad interventi di manutenzione non appropriati, 

al “cattivo uso” degli immobili di pregio. 

La preziosità del ciclo di affreschi dell’omonima casa e 

la necessità di riconoscerne l’importanza come testi- 

11 


Il castello di San Michele. 

monianza tangibile del passato è quanto emerso dalla 

relazione dell’arch. Giovanni Dellantonio, funzionario 

della Soprintendenza ai beni storico-artistici della Provincia 

di Trento. 

Come ultimo intervento è stata presentata una relazione 

sull’attività mineraria della Valle di Sole e della vicina 

Val di Pejo. La dott.ssa Lara Casagrande, collaboratrice 

dell’unità di ricerca di Padova, attraverso ricognizioni sul 

territorio supportate dall’analisi dei dati acquisiti attraverso 

Lidar, interviste agli abitanti del luogo e ricerca archivistica 

ha potuto ricostruire il particolare paesaggio creato dall’attività 

estrattiva in diversi periodi storici. Sistemi di ricerca 

innovativi, quali appunto il Lidar, le banche dati Web-Gis, il 

rilievo e la modelizzazione in 3D costituiscono strumenti 

determinanti per l’acquisizione di nuove conoscenze sul 

territorio 6 . 

Metodologie queste che applicate anche ai contesti minerari 

hanno dato risultati apprezzabili, soprattutto per quanto 

concerne l’individuazione degli accessi alle gallerie ormai 

dismesse. Di particolare interesse si è rivelato lo studio 

condotto sulla Val di Pejo che è stata oggetto di intenso 

sfruttamento dei locali giacimenti di magnetite ed interessata 

dall’attività siderurgica per la lavorazione del minerale 

e del ferro da esso ricavato. L’ attività si sarebbe concentra-


ta in un arco temporale che va dalla fine del 1300 al 1967. 

Riprendendo gli studi condotti da Romano Sonna – presente 

tra il pubblico – e dal padre Remo su Comasine, è 

stato così possibile per la studiosa tracciare una mappa dei 

luoghi interessati dall’attività mineraria, riscoprendo percorsi 

ormai abbandonati. 

L’importanza del territorio di Ossana, costituito da edifici 

di pregio e dall’unicità del suo ambiente è stata più volte 

ribadita nel corso della serata, così come si è sottolineato 

che lo scambio reciproco di informazioni tra enti pubblici e 

unità di libera ricerca è foriero di nuove conoscenze, saperi 

da mettere a disposizione non solo degli “addetti ai lavori” 

ma dell’intera comunità, sensibile agli esiti di studi e ricerche 

ma soprattutto consapevole della ricchezza culturale 

del proprio territorio. 

AVVISO IMPORTANTE 

Ricordiamo che, ai sensi dello Statuto sociale, 

il versamento della quota annuale deve avvenire entro il 30 aprile 

e che la morosità di oltre sei mesi, ovvero oltre il 30 ottobre, 

comporta la perdita della qualità di socio. 

Ne consegue che il socio che non abbia versato la quota entro tale data 

perderà il diritto a ricevere i numeri successivi del notiziario la Val, 

nonchè le pubblicazioni dell’anno. 

12 

Le virtù nella Casa degli affreschi. 

NOTE 

1 La Santa, patrona dei minatori, che nell’affresco appare in posizione privilegiata accanto al Bambino alla sinistra della Vergine, mostra all’osservatore una miniatura di una 

torre, forse proprio quella del castello di San Michele di Ossana. 

2 Si tratta di un progetto di durata triennale, finanziato dalla Provincia autonoma di Trento (Grandi progetti 2006; Delibera G.P. 2790/2006) che vede coinvolti nella ricerca 

istituti universitari (Trento, Padova, Venezia), musei (Castello del Buonconsiglio e Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di S. Michele all’Adige) e la Fondazione 

Bruno Kessler di Trento. La ricerca si concentra sui siti di altura come elemento caratterizzante del territorio trentino ed è attuata con una metodologia a “fonti 

integrate”, in quanto vede il coinvolgimento di specialisti di ambiti disciplinari diversi. Obiettivo è una conoscenza dell’ambiente, dei paesaggi trentini il più esaustiva 

possibile, finalizzata alla conservazione ed alla valorizzazione delle specificità del territorio. 

3 Il termine stesso comprende gli aspetti connessi alla conoscenza ed alla conservazione, secondo il codice dei Beni Culturali. 

4 Disciplina nata negli anni 70 del ‘900, si concentra sullo studio delle tecniche impiegate, dei materiali utilizzati, e sulle varie fasi costruttive dell’edificio. Secondo questa 

metodologia ogni manufatto può essere “smontato” in piccole parti da analizzare singolarmente in modo da evidenziarne le caratteristiche specifiche e capirne allo 

stesso tempo le relazioni con l’insieme. È possibile in sostanza capire se parti dello stesso edificio sono state erette contemporaneamente, o costruite secondo modi 

e tempi diversi; ancora è possibile conoscere se elementi architettonici come porte, finestre, scale o puramente elementi decorativi facessero parte del progetto 

originario della costruzione o fossero stati inseriti a posteriori. I singoli elementi - siano essi un paramento murario, le pietre o i mattoni che lo compongono, o ancora 

elementi architettonici o decorativi - sono definiti unità stratigrafiche murarie (u.s.m.) e permettono di capire le possibili relazioni (anteriorità, contemporaneità, posteriorità) 

che intercorrono tra le varie parti di cui un edificio è composto. 

5 La metodologia LIDAR (Light Detection and Ranging) si basa sulla combinazione di tre differenti sistemi di raccolta dati: un laser scan, uno o più GPS e un Sistema di 

Navigazione Inerziale (INS). Le immagini acquisite attraverso il Lidar, opportunamente rielaborate con mezzi informatici, permettono di individuare le anomalie presenti 

sul territorio riconducibili molto spesso all’azione dell’uomo. È possibile così rintracciare strutture sepolte dalla vegetazione e quindi non più visibili, o come nel caso 

delle miniere individuarne gli accessi ormai interrati. Per quanto concerne il territorio trentino, il modello digitale delle superfici e del terreno è stato acquisito con un 

serie di passaggi aerei nel periodo ottobre 2006 – febbraio 2008. La banca dati di proprietà della Provincia autonoma di Trento è consultabile sul portale geocartografico 

trentino, alla voce S.I.A.T. – Lidar. 

6 Si veda: Remo Sonna, Comasine in Val di Peio: ricordi, annotazioni e riflessioni sui principali eventi di Comàsine dal 1853 al 1981, a cura di Romano Sonna.

GIOVANNI SIMONE RAMUS E 

MEZZOLOMBARDO 

di Paolo Dalla Torre 

L’intagliatore solandro Simone, o, meglio, Giovanni 

Simone Ramus (Ossana, 1631 – valle di Non, post 

1678) 1 , come informava Clemente Lunelli, è documentato 

in un atto steso a Mezzolombardo sabato 

10 agosto 1658 2 . In base a questa indicazione Raffaella 

Colbacchini invitava a “riconoscere la mano di 

Simone, forse insieme al padre [Giovanni Battista 

Ramus], nell’altare maggiore della chiesa di San Pietro 

a Mezzolombardo, datato 1656” 3 , mancante di 

parecchie sculture scomparse sabato 23 novembre 

1985 in seguito a un furto 4 . La studiosa suggeriva un 

suo intervento nello stesso edificio sacro per “alcune 

statue e angeli cerofori, collocati sui due altari 

laterali, più antichi e rimaneggiati probabilmente in 

quell’occasione.” 5 . 

Padre Marco Morizzo ipotizzava la presenza di Giovanni 

Simone Ramus nella realizzazione dell’antico 

altare maggiore della chiesa del Convento francescano 

dell’Immacolata, sempre a Mezzolombardo, 

opera del 1666, assieme a un altro artista del legno, 

Pasqualino Sergnano “vicentino”, abitante a Spormaggiore. 

L’intervento pittorico, invece, spettava a 

Marino Dalla Torre, da Mezzana, nipote del parroco. 

Le spese per realizzarlo erano a carico di Lodovico 

Vescovi, da Fraviano di Vermiglio 6 . 

L’indagine dei registri parrocchiali di Mezzolombardo 

ha permesso di rintracciare gli atti di battesimo 

di due figli dell’intagliatore, indice di una sua permanenza 

nel paese rotaliano per un determinato periodo. 

Il parroco del luogo, don Pietro Dalla Torre da 

Mezzana, in carica dal 1654 al 1672, potrebbe aver 

promosso l’inserimento di artisti della sua valle di 

13 


Giovanni Simone Ramus (attribuito), altare maggiore, Mezzolombardo, 

chiesa di san Pietro apostolo, 1656. Immagine anteriore al furto del 1985. 

Da: Scultura in Trentino. Il Seicento e il Settecento, a cura di A. BACCHI e L. 

GIACOMELLI, II, Trento 2003, p. 286. 

origine nelle committenze artistiche locali 7 . 

Il venerdì 11 febbraio 1656 don Dalla Torre battezzò 

Caterina figlia di Giovanni Simone Ramus e di Margherita. 

I padrini erano Giuseppe Filos e Anna Maria 

moglie di Giovanni Paolo “de Paulis” 8 . Il battesimo di 

Simone figlio di Giovanni Simone Ramus “sculptore 

ligneus” e di Margherita risale a sabato primo aprile 

1662. I padrini erano Alessandro Nodari “mercator” 

di Trento e Anna del fu Ferdinando Mazza 9 . 

NOTE 

1 R. COLBACCHINI, scheda Giovanni Simone Ramus, in Scultura in Trentino. Il Seicento e il Settecento, a cura di A. BACCHI e L. GIACOMELLI, II, Trento 2003, pp. 285-287, 

con bibliografia relativa. 

2 C. LUNELLI, Fonti per un dizionario di artisti e artigiani nel Trentino sec. XVI-XVIII, Bibliotheca Civis, XII, Trento 1997, p. 231; Trento, Archivio di Stato, notai di Mezzolombardo, 

notaio Gislimberti Gaspare, b. 1658, c. 69r/v. 

3 R. COLBACCHINI, scheda Giovanni Simone Ramus, cit., p. 285. 

4 Razzia in chiesa a Mezzolombardo, l’“Adige”, domenica 24 novembre 1985, p. 1; Mezzolombardo: “fuga” di santi dalla chiesetta di San Pietro, l’“Adige”, domenica 24 novembre 

1985, p. 4; Una storia in pericolo, 2. I furti delle opere d’arte nel Trentino dal 1981 al 1991, a cura di D. LORENZI, Trento 1991, pp. 76-79, nn. 233-248; pp. 131 e 137. 

5 R. COLBACCHINI, scheda Giovanni Simone Ramus, cit., p. 285. 

6 R. STENICO OFM, I Frati Minori a Mezzolombardo. Convento dell’Immacolata 1661-2000, Mezzolombardo – Trento 2001, p. 85, con bibliografia relativa. L’altare oggi visibile, 

del 1856-1857, è opera di Antonio Bertagnolli da Fondo su disegno dell’architetto Giuseppe Segusini da Feltre. Come principali benefattori si segnalano i de Vigili de 

Kreutzenberg e i Donati, assieme al sostegno dei paesi di Mezzolombardo e di Mezzocorona. Cfr. ibidem, p. 101. 

7 Ipotesi formulata dallo scrivente: cfr. P. DALLA TORRE, Simone Lenner e una notizia inedita: precisazioni sulla sua morte, “La Val. Notiziario del Centro Studi per la Val di 

Sole”, XXXVIII (2010), luglio-settembre, n. 3, p. 12. 

8 Mezzolombardo, Archivio parrocchiale, 1.2.1, Battezzati dal 1633 al 1670, c. 55r . 

9 Ibidem, c. 75v .


MEMORIE DALLE DUE GUERRE A CALDES 

Negli scritti di Antonio Manfroni 

Un ordine del giorno storico, 

firmato dal gen. Vietinghoff, che 

annuncia la capitolazione. 

Dopo aver pubblicato nello scorso numero de “La Val” il 

diario familiare che Antonio Manfroni (1869-1951) nei giorni 

del “Rebaltòn” dopo la fine della Prima guerra mondiale, 

andiamo a presentare quanto si legge nella parte di quaderno 

che reca il titolo “Guerra mondiale 1939-1945”. Sono 

ancora fatti tragici a riempire pagine e pagine, riportando 


14 

(seconda parte) 

circostanze anche inedite o comunque poco conosciute. 

Il racconto prende le mosse dal momento in cui, dopo la 

caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e l’armistizio dell’8 

settembre si prefigura un’avanzata alleata in Italia. Le nostre 

memorie ci portano così all’inizio del 1945… 

“Negli ultimi mesi si temeva sempre più che il nostro paese 

Trentino divenisse teatro di ostilità se i tedeschi si ritirassero 

(sic) lentamente dagli Appennini al Po e oltre. Quasi tutti 

già pensarono a nascondere le cose migliori e facilmente 

nascondibili così anche noi. Ci servimmo del nascondiglio 

già usato da don Felice Manfroni. Bombardamenti di velivoli 

erano frequenti e bombe e oggetti caddero anche nelle 

vicinanze come a Cavizzana, alle Cappelle e altrove. Per fortuna 

senza conseguenze, però non era certamente piacevole 

negli ultimi mesi il vedere ogni giorno e quasi sempre 

a mezzogiorno il passaggio di bombardieri in formazione 

e in numero di 50 a cento che volavano rombanti proprio 

sopra il paese sia in direzione da sud o nord (…) aeroplani 

caccia poi bersagliavano carri sullo stradone e il giorno 22 

marzo verso le ore 14 un caccia proprio sopra la chiesa e 

la piazza cominciò a mitragliare un camion dello dott. Borga 

che passava “al Crist” 1 uccidendo un uomo 2 e ferendone 

altri. Poi altri mitragliamenti seguirono cosi chè gli stradoni 

erano luoghi pericolosi per i pedoni (…) i passanti.” 

Con l’avvicinarsi degli ultimi giorni di guerra, il viavai di truppe 

tedesche in ritirata diviene sempre più intenso: sono 

giorni difficili, segnati dalla paura e dalla forzata ospitalità 

data ad alcuni ufficiali e soldati del Reich prossimo alla fine. 

“Qui non c’era truppa. Si fu soltanto col giorno 26 aprile 

che il passaggio di veicoli militari fu (…) durante le notti. 

Non si fermarono filavano per la Mendola era la ritirata 

dopo la battaglia del Po. Il 30 aprile arriva alle 3 ½ di notte 

un riparto di tangs 3 con un camion. Vogliono alloggio. Noi 

abbiamo due ufficiali prussiani e un soldato che riposavano 

sino alle 12. Indi verso le 17 ripartirono per la Mendola. 

Non fecero prepotenze anzi furono gentili con noi. Ancor 

la sera di quel giorno arrivano pure altri camions con sol-

dati pure provenienti dalla battaglia del Po e altri (…) 

Era un reparto già comandato da “Schweitzer” 4 caduto 

sul campo, che si trovavano qui come da accordo 

fatto fra loro. Noi ebbimo ospiti un medico Dr. Müller 

già assistente all’Università di Jena e due ufficiali (uno 

di Colonia).” 

Il mese di maggio, l’ultimo di guerra, portò spasmi di 

cruda violenza per poi lasciare il campo alla tanto sospirata 

pace; non mancarono gli episodi controversi 

e i morti ammazzati; un capitolo di storia solandra 

ancora pieno di ombre e di vicende pressoché sconosciute 

5 . 

15 


Un manifesto dal CLN trentino. 

NOTE 

1 Ovvero nei pressi della cappella di S.Apollonia, detta anche cappella del Crocifisso. Qualche mese prima, il 13 maggio 1944, un uomo di Caldes, Luigi Penasa nato nel 

1887 da Adamo e Domenica Baggia e sposato con Pierina Pedergnana, era stato “trovato morto a Trento in seguito ad incursione aerea anglo-americana” e sepolto il 

17 maggio nel cimitero di Caldes. Cfr. Archivio Parrocchiale di Caldes, Libro dei Morti 1866-1948. Ringrazio il parroco don Renato Pellegrini. 

2 Si trattava di Mario Mochen, di Dimaro, figlio di Giuliano e di Paola Albasini, sposato con Ester Tell di Romeno, nato il 23 febbraio 1907. Una precisa nota del tragico 

avvenimento che si trova nei registri parrocchiali di Dimaro riferisce che il fatto avvenne alle 15.30 e che il povero Mochen ricevette in punto di morte (o probabilmente 

già morto) l’estrema unzione dal parroco di Caldes don Antonio Zanotelli. Si legge inoltre che Mochen “morì a Caldes causa un bombardamento aereo e fu sepolto 

a Dimaro il 24 marzo 1945 alle ore 8.30”. Un’ultima nota precisa la causa della morte in una “ferita per arma da fuoco al torace (mitragliamento aereo)”. Ringrazio 

il parroco di Dimaro, don Matteo Eccher, per avermi fornito notizia di quanto scritto nei registri parrocchiali. Sul luogo del fatto fino a pochi anni fa era visibile una 

piccola lapide commemorativa, posizionata nei pressi dell’attuale magazzino frutticolo; rimossa a seguito di recenti lavori stradali, non posso dire ora quale sia stato il 

suo destino. Della vicenda di Mario Mochen tratta anche U.FANTELLI, Ai piedi del Sasso rosso, Malé 2002, p.266. 

3 Carri armati. 

4 Non so dire chi sia questo “Schweitzer”. 

5 Alcuni episodi relativi ad vera o presunta attività di Resistenza ricorrono nella memoria popolare della comunità: come a Terzolas, con la storia di un forestiero che arriva 

in paese e promette pubblicamente di preparare un attentato ai tedeschi e che scompare rapidamente dalla circolazione, si dice per una soffiata fatta dalle autorità 

del paese al comando germanico per evitare pericoli di rappresaglia (ringrazio per avermi reso noto questo episodio Tito Tenni); o come a Dimaro, dove la memoria 

popolare ricorda un gruppo di giovani tra i quali Luigi “Gigione” Marcolla, che intrapresero la via dei monti sopra Dimaro, ma dopo qualche azione vennero obbligati a 

forza a tornare a casa da una delegazione del paese guidata armi in pugno dal commissario prefettizio Giusto Fantelli e dal medico condotto Bruno Barbacovi, anche 

qui per evitare che il ripetersi di atti ostili portasse a rappresaglie contro la popolazione del paese. Anche qui si veda U.FANTELLI, Ai piedi del Sasso Rosso, pp.263-265. 

Altri episodi sono ricordati in F.TURRINI, Storia e storie nelle valli del Noce, Ossana 2001, pp.262-264. Lo studioso riferisce negli anni di guerra di un continuo passaggio 

attraverso le valli di Peio e Rabbi di piloti abbattuti e prigionieri alleati evasi in fuga verso la Svizzera, aiutati da gruppi locali; inoltre, a partire dal marzo 1945, dell’attività 

di fortificazione del Tonale da parte dei militari germanici. Ancora, nell’aprile 1945 riferisce che “morti e feriti si ebbero a Terzolas e incursioni presso Dimaro” e nello 

stesso periodo “a Caldes per uno stupido furto ai danni dei tedeschi furono uccisi a fucilate un paio di uomini presso l’albergo locale”. Forse è a quest’ultimo episodio 

che fa riferimento Antonio Manfroni nell’ultima parte delle sue memorie. È da ricordare infine la figura di Severino Costanzi di Malé, protagonista di un movimento 

politico trentino indipendentista. Cfr. A.MOSCA, A Dachau e ritorno, la guerra di Severino Costanzi, in NOS Magazine, a.2001, n.10, pp.15-16. Rimane tuttavia intatta la 

necessità di analizzare con completezza i fatti accaduti in Val di Sole nel periodo che va dall’armistizio dell’8 settembre 1943 alla fine della guerra. 

6 La zona è quella dei campi coltivati nei pressi del ponte sul Noce sulla strada che unisce Cavizzana a Caldes. 

7 Un’eventualità che pareva essere assai concreta e che si pensa possa essere stata scongiurata dall’intervento dello stesso parroco don Antonio Zanotelli e del commissario 

prefettizio Emilio Manfroni. 

8 Emilio Manfroni (1902–1988), commissario prefettizio, era figlio dell’Antonio autore di queste memorie. 

9 Severino Zanella fu storico direttore della Famiglia cooperativa di Caldes e vicesindaco negli anni ’70. Ringrazio Lauretta Zanella e Salvatore Ferrari per alcune indicazioni 

fornitemi.


AMBIENTI E MINERALI IN VAL DI SOLE 

Un libro di roccia: geologia in Val di Sole (10) 

ORIGINE E AMBIENTI DI FORMAZIONE 

Similmente agli esseri viventi, i minerali hanno un ciclo 

che potremmo definire vitale di nascita-maturazione-morte, 

seppure trattasi di materia inanimata. I 

tempi di questo loro ciclo, rapportati ai nostri, sono 

però molto dilatati, tanto che il fenomeno ci potrebbe 

apparire incomprensibile. Certi quarzi hanno impiegato 

sino a 300 Milioni di anni per “maturare”! 

Ma ci sono tante eccezioni. Ad esempio il gesso ha 

una sorprendente velocità di formazione. Si sono infatti 

potuti osservare alcuni cristalli di gesso con una 

“crescita” di 50 cm in poche ore! 

La “nascita” avviene per nucleazione, in cui gli atomi 

disordinati di uno o più elementi si associano in 

strutture semplici ma organizzate. Si costituisce così 

un germe che, se le condizioni ambientali sono sfavorevoli 

si divide in elementi più piccoli, nel caso 

contrario cresce e si ingrossa per aggregazione di 

altro materiale. Tuttavia, questi minerali e cristalli 

possono generarsi soltanto se all’interno delle cavità 

in cui sono ospitati trovano uno spazio sufficiente, 

nonché condizioni di pressione e temperatura che 

ne favoriscono lo sviluppo. Ma tali “condizioni favorevoli” 

esistono soltanto in un numero limitato di 

siti: luoghi che i cercatori di minerali chiamano “luoghi 

di ritrovamento” e che essi cercano con grande 

passione, pazienza e che custodiscono con grande 

cura. 

I minerali, così come le rocce che li ospitano, si sviluppano 

secondo modalità e condizioni diverse: da 

fusi rocciosi (magma); a partire da soluzioni incandescenti; 

in concomitanza a fenomeni di orogenesi 

(formazione di una catena montuosa); per precipitazione 

ed evaporazione da sostanze disciolte in acqua. 

LE ASSOCIAZIONI DI MINERALI 

In molti casi, durante i processi di cristallizzazione 

che portano alla formazione dei minerali, nel- 

di Giuseppina Zambotti e Marco Valenti 

Il quadro paesaggistico della Val di Sole è caratterizzato da formazioni rocciose di età, composizione e formazione 

diverse. Tale varietà si palesa naturalmente anche nei minerali attestati in valle. Tuttavia non tutti 

prestiamo attenzione ai cristalli che compongono le nostre rocce. Solo se le osserviamo con attenzione ci 

accorgiamo che tutte le rocce sono composte da aggregazione di minerali nelle più svariate modalità. 

16 

lo stesso luogo si originano diversi tipi di minerali, 

contemporaneamente, o in una determinata successione 

temporale. Tale simultanea presenza di minerali 

prende il nome di “associazione di minerali” 

(l’esperto preferisce usare il termine “paragenesi”). 

Le paragenesi sono caratterizzate in modo esclusivo 

dai vari processi di cristallizzazione tuttavia si 

deve escludere la presenza congiunta di minerali di 

origine totalmente diversa. Ad esempio, la cianíte si 

forma soltanto nelle profondità della crosta terrestre, 

a temperature e pressioni molto elevate, mentre 

il salgemma 1 si origina dall’evaporazione dell’acqua 

marina. I due minerali, pertanto, non potranno 

mai comparire in associazione. Ci sono poi minerali 

assolutamente caratteristici di una particolare associazione, 

altri, come la calcite o il quarzo, sono 

invece dei passepartout, nel senso che possono 

comparire praticamente ovunque. 

IL METAMORFISMO E I MINERALI 

DELLE ROCCE METAMORFICHE 

Abbiamo già visto come, in Val di Sole, le rocce di 

grado metamorfico medio-elevato si presentano 

principalmente a nord del Lineamento Periadriatico 

(Linea del Tonale e Linea delle Giudicarie Nord) 

e costituiscono ampie sezioni del nostro territorio. 

Le valli di Pèio e Rabbi e tutto il versante sinistro 

della Val di Sole, sono impostate in queste rocce. 

Nel suo complesso, dal punto di vista geologico, 

l’area viene chiamata “austroalpino”. I minerali di 

queste unità cristalline sono il prodotto di diversi 

processi metamorfici (di trasformazione). Nel 

basamento austroalpino dell’area della Val di Sole 

finora è stato possibile accertare la metamorfosi 

caledoniana (490÷430 Ma, Milioni di anni), varísica 

(360÷320 Ma) e alpina (100÷30 Ma). 

Le rocce metamorfiche quali gneiss, scisti, anfiboliti, 

marmi, e i minerali che le costituiscono, si formano

per trasformazione delle rocce già presenti durante 

una fase metamorfica, conseguente alla formazione 

di una catena montuosa. Il tipo di roccia che 

si forma in un processo metamorfico dipende però 

dalla composizione della roccia di partenza e dal 

grado della metamorfosi. Ad esempio, da un basalto 

si origina in un primo momento uno scisto verde, 

quindi all’aumentare della temperatura, un anfibolite. 

Da un granito si origina uno gneiss; da uno scisto 

argilloso una fillade e, a temperature elevate, un 

micascisto; da un calcare si genera invece il marmo. 

Un tipico minerale che indica la trasformazione di 

rocce sabbioso-argillose in micascisti e paragneiss 

è la staurolíte: questo minerale si forma a temperature 

superiori a 550°C, è piuttosto comune 

nell’antico basamento cristallino della Val di Sole, 

e va considerato come testimonianza del fatto che 

la maggior parte di queste rocce si sono formate al 

di sopra di questa temperatura. Altri minerali tipici, 

indicatori di temperatura e pressione, sono l’andalusíte, 

che si forma solo a basse pressioni (sotto i 

4500 bar/atm 2 ), la cianíte, che invece richiede una 

pressione da medio ad alta, e la sillimaníte, per lo 

più individuabile solo al microscopio, è stabile solo 

al di sopra della temperatura di 550°C. 

Ma veniamo ora a vedere quali sono i minerali tipici 

delle rocce metamorfiche che, con un po’ di 

fortuna, possiamo facilmente trovare in Val di Sole. 

Nel Gruppo dell’Ortles, percorrendo la Catena Vegaia 

– Tremenesca e in sinistra orografica della Val 

di Rabbi possiamo trovare cristalli di actinolite 3 o 

di tremolite (varietà dell’amianto estratta dai cunicoli 

aperti a est di Cima Zoccolo, fino agli anni 

1950). Cristalli di cianite, anche se spesso molto 

ossidata, sono facilmente reperibili un po’ ovunque 

sul versante sinistro della Val di Sole e su entrambi 

i versanti della Val di Rabbi. La staurolite, come 

l’andalusite, anche se minerali molto comuni, sono 

spesso difficilmente identificabili per l’occhio meno 

esperto. Cristalli di zoisite si presentano in “croste” 

o negli scisti entro alcuni affioramenti della 

valle Cercena, ai quali imprimono il caratteristico 

colore rosa pallido. Cristalli di granato nelle varietà 

almandino e andradite sono anch’essi facilmente 

osservabili nell’alta Val di Pèio ma anche sugli stessi 

versanti della Val di Rabbi e sul versante sinistro 

della medio-alta Val di Sole. 

Sul versante destro della Val di Pèio, tra il Costone 

di Stavión fino al Corn del Boai (1200÷2000 m 

17 


Cianite, Malga Cortinga (Val di Rabbi) - Marco Valenti (lunghezza del cristallo 8 cm). 

slm e oltre) e in Val Cercena, poco a est di Malga 

Cappelle, si osservano giaciture pneumatolitico – 

idrotermali con presenza di minerali quali magnetite 

(ossido di ferro) in forme massive con frequenti 

intercalazioni di ortogneiss pegmatitici e di calcari 

cristallini; solfuri di ferro (pirrotina, calcopirite, pirite 

e marcasite). La genesi di questi solfuri è posteriore 

alla genesi degli ossidi. (Si riscontrano anche 

nella zona della valle Cercena. Cristalli di biotite 

(colore bruno-nero) e muscovite (colore bianco 

traslucido) si trovano un pò ovunque nelle giaciture 

idrotermali ma anche negli gneiss del basamento 

cristallino. 

Esigue manifestazioni (rilevabili soltanto all’occhio 

esperto): oreneblenda, xantofillite, fassaite, dannemorite 

(raro). Cristalli di galena compaiono lungo 

il Rio S.Vigilio, tra Bolentina e Montés, a circa 40 

minuti dalla chiesetta omonima di Monclassico. 

Il basamento austroalpino è interessato anche dalla 

presenza di numerose manifestazioni pegmatitiche 4 

che includono grossi cristalli di tormalina nera, al-


bite, quarzo, granati, muscovite. È questo ad esempio 

il caso dei Crozzi della Coronaccia (Val de la 

Mare) dove estese pareti subverticali di pegmatite 

affiorano fin sul fondovalle: qui, grossi cristalli di 

questi minerali si possono estrarre facilmente dalle 

pareti, in sinistra del torrente Noce Bianco, senza 

dover compiere lunghi tragitti. 

I MINERALI DELLE ROCCE 

SEDIMENTARIE 

Le rocce sedimentarie si formano sulla superficie 

terrestre e possono essere ricondotte a: sedimenti 

clastici (detriti, sabbie o argille); rocce sedimentarie 

organogene (formate dal disfacimento di materiali 

organici come scheletri e gusci calcarei) e sedimenti 

chimici. I minerali delle rocce sedimentarie possono 

germinare in diversi momenti: alcuni si formano 

contemporaneamente alla roccia, ad esempio, il 

gesso, la celestina o la marcasite si formano già con 

la deposizione dei sedimenti. La rosa del deserto o 

il gesso si formano invece in quelle zone dove sussiste 

una massiccia evaporazione dell’acqua interstiziale 

all’interno dei sedimenti. Nel processo di 

dolomitizzazione dei sedimenti calcarei, invece, la 

germinazione dei minerali avviene durante la diagenesi 

5 . In questo caso, per effetto delle soluzioni ricche 

di magnesio, provenienti dall’ambiente marino, 

una parte del calcio presente nel carbonato di calcio 

viene sostituita dal magnesio, con conseguente 

formazione di dolomite. Questa roccia ha un volume 

più ridotto rispetto al calcare originario, quindi 

Muscovite su quarzo; Crozzi della Coronacia (Val de La Mare, Pèio) – Giuseppina 

Zambotti (lunghezza del cristallo 3.5 cm) 

18 

si formano cavità irregolari, tappezzate di dolomia 

e cristalli di calcite. 

Bellissimi cristalli di calcite biancastra, traslucida, o 

interclusi nella Dolomia Principale, si rinvengono 

nel Gruppo di Brenta lungo i fianchi del Peller. 

I MINERALI DELLE ROCCE INTRUSIVE 

Le rocce intrusive si formano in seguito alla penetrazione 

di fusi rocciosi incandescenti nella crosta 

terrestre. Il raffreddamento e cristallizzazione dei 

fusi, in genere, avviene lentamente e ciò determina 

la formazione di rocce granulari con struttura granitica. 

Un ampio territorio della Val di Sole, geologicamente 

compreso tra la linea del Tonale e la linea 

delle Giudicarie Sud, è costituito da queste rocce. Il 

batolite dell’Adamello costituisce un corpo intrusivo 

gigantesco, che raggiunge un estensione dell’ordine 

dei 100 km 2 . Corpi intrusivi caratterizzati da 

volumi di pochi chilometri cubici, ad esempio la 

Pala della Donzella (Val de la Mare), o piccoli corpi 

intrusivi, chiamati “apofisi” come quelle di Cima 

Verdignana (alta Val di Peio), sono tuttavia presenti 

anche nel basamento austroalpino. Infine, corpi 

intrusivi molto più piccoli, chiamati generalmente 

filoni, sono presenti un pò ovunque nel basamento. 

I MINERALI DELLE ROCCE 

DA METAMORFISMO DI CONTATTO 

Le rocce originatesi in seguito a metamorfismo di 

contatto fiancheggiano praticamente tutte le intrusioni 

in quanto, la penetrazione di fusi rocciosi con 

Calcite; Gruppo di Brenta - Giuseppina Zambotti (base 9 cm)

temperature fino a 800°C nelle rocce circostanti, 

fredde, non può rimanere priva di conseguenze. 

Il fuso in fase di cristallizzazione cede calore alle 

rocce incassanti che vengono così metamorfosate 

(trasformate). L’influsso di tale metamorfismo decresce 

a mano a mano che ci si allontana dalla zona 

di contatto. 

La grande intrusione dell’Adamello ha preso posto 

nelle successioni sedimentarie, al confine con il 

basamento metamorfico Austroalpino. Il batolite è 

bordato da una cintura di rocce che hanno subito 

metamorfismo di contatto, tuttavia, nonostante il 

corpo magmatico liberasse una quantità sufficiente 

di energia per dare luogo ad un estesa aureola di 

contatto, le formazioni di contatto delle unità austroalpine, 

che circondano il batolite verso nord, 

rivelano dimensioni piuttosto piccole e poco appariscenti. 

LE COLLEZIONI DI MINERALI 

Quando pensiamo ai minerali di solito ci ricordiamo 

di gemme e preziosi ammirati nelle vetrine di 

un gioielliere, o più semplicemente di monili e talismani 

su un banco al mercato o, se abbiamo avuto 

la fortuna di viaggiare, li abbiamo visti da un rivenditore 

di geodi e minerali in Brasile o in Madagascar, 

oppure esposti nelle bacheche di un museo 

di mineralogia. Chi non conosce il mestiere di collezionista 

di minerali ritiene che tutto sommato i 

cercatori facciano tutti la stessa cosa: raccolgono e 

accumulano pietre scintillanti. Eppure, il mondo cri- 

Tormalina nera con fratture fragili e riempimento di quarzo; le Lame (Val de La 

Mare, Pèio) - Marco Valenti (lunghezza del cristallo 6 cm) 

19 


stallino è molto vasto e sorprendentemente vario. 

A prima vista le vetrine dei collezionisti si assomigliano 

tutte. Il loro contenuto, però, è molto diverso. 

Questo non dipende solo dalla fortuna del 

singolo collezionista ma anche dall’impronta che 

egli intende dare alla propria collezione. I cercatori 

di minerali si possono così suddividere in vari 

gruppi a seconda delle motivazioni che prevalgono 

nella scelta di una collezione piuttosto che un’altra. 

Avremo così i collezionisti locali, che si limitano 

ad effettuare la ricerca nella propria zona di origine. 

O i tematici, che aspirano alla completezza in 

modo sistematico e, per quanto possibile, a perseguire 

canoni di natura estetica. Altri acquirenti 

acquisiscono i minerali attraverso la compravendita 

(in questo caso è evidente che la qualità della 

collezione dipende soprattutto dalla disponibilità 

economica del collezionista). Ci sono poi collezionisti 

di minerali piccolissimi (microminerali) o i collezionisti 

sistematici che mirano innanzitutto alla 

completezza; la loro collezione sarà quindi molto 

ricca ed eterogenea, con dimensioni e qualità dei 

campioni anche molto diverse. Accanto a minerali 

di valore troveremo spesso minerali poco appariscenti, 

di ambito sia internazionale che locale. Ma 

il gruppo più consistente di cercatori è senz’altro 

quello degli esteti. La loro collezione ci colpirà per 

la limitatezza dei minerali rappresentati, in compenso 

però rimarremo affascinati per sempre dalla 

bellezza, dallo splendore e dal luccicare dei campioni 

perfettamente cristallizzati. 

NOTE 

1 Cloruro di sodio, formula chimica NaCl, è il comune sale da cucina. 

2 4.500 atm per noi sembrano una pressione enorme tuttavia, trattandosi di 

rocce e movimenti all’interno della crosta terrestre, tale valore è assolutamente 

compatibile. 

3 Percorrendo la Val S.Vigilio, tra Bolentina e Montes. Presso la malga Plazza dei 

Cogni a quota 1350 m (circa). Minerale incluso nelle lenti olivinitiche. In Val 

Cercena (Rabbi) possiamo trovare lunghi cristalli aghiformi inclusi nella rocce 

carbonatiche debolmente metamorfosate (marmi e skarn) a causa dell’intrusione 

di filoni acidi. Bei cristalli di actinolite, inoltre, si possono trovare lungo 

i canaloni che da M.ga Monte Sole scendono verso la loc. Fontanon. 

4 Pegmatite: roccia magmatica; si trova in tozzi filoni lentiformi o in tasche irregolari, 

sia nelle rocce immediatamente circostanti ad una intrusione granitica, 

sia nelle parti periferiche dell’intrusione stessa. È caratterizzata da una grana 

cristallina assai grossolana, con cristalli lunghi parecchi centimetri. 

5 Diagenesi =processi che portano alla trasformazione di un sedimento incoerente 

in una roccia compatta


20

Una straordinaria immagine di Castel Caldes alla fine 

dell’Ottocento. Proviene dall’archivio della famiglia 

Manfroni e ci restituisce una scena d’altri tempi, che 

vi proponiamo a pendant dell’immagine di copertina e 

a precedere una simpatica memoria “turistica” legata 

al castello. Sono ricominciati infatti i lavori di restauro 

e sono state abbattute le case che “soffocavano” il 

castello. Si va avanti, con l’auspicio che di pari passo 

al restauro crescano valide idee di riutilizzo di questo 

nostro eccezionale monumento storico (almo). 

21 

studi sulla Val di Sole


IL NIPOTE E IL “BARBA” 

Il piccolo Cipriano racconta il soave fresco di Caldes 

La simpatica letterina di un bambino di otto anni 

all’anziano “barba” canonico di residenza a Trento: 

ma non solo, dato che le righe che qui propongo 

rappresentano un documento storico raro e 

interessante, che dobbiamo alla mano del giovane 

Cipriano Thun. Destinatario della lettera è Simone 

Thun, canonico della Cattedrale di Trento. Il contenuto 

della lettera, scritta in bella calligrafia e chiara 

nell’esposizione, offre numerosi spunti di interesse: 

siamo a fine settembre e l’occasione per scrivere 

è quella di una ormai finita visita della famiglia di 

Cipriano a Castel Caldes, con il non facile ritorno 

a Castel Thun. 

Al rimpianto del “suvave fresco” goduto in Val di 

Sole si accompagna la soddisfazione di essere ritornati 

a casa “sani tutti et iocondi” dopo un viaggio a 

quei tempi senz’altro impegnativo e rischioso. Cipriano 

non manca poi di informare lo zio dei propri 

progressi scolastici: “jmparo de vesperi a mente, 

di ornato, di regole, di abbaco, di ragion, de canto 

et de sonare”; proprio in campo musicale Cipriano 

ricorda quale compagno di “sonate” il fratello Cristoforo 

Valentino, di un anno più giovane, battezzato 

a Malé il 17 settembre 1570. 

Cipriano era il primogenito di Sigismondo “il Giovane” 

(1537-1596) e di Anna Cristina Fuchs-Lebenberg, 

sposatisi nell’ottobre 1568. Il bimbo nacque 

il 26 agosto 1569; il nome completo era Giovanni 

Cipriano, in famiglia solo Cipriano come l’illustre 

nonno paterno, nato nel 1501 e morto quando il 

nipotino aveva solo quattro anni. Il futuro di Giovanni 

Cipriano sarebbe stato ricco di soddisfazioni: 

chiamatovi dal fratello minore Cristoforo Simone si 

insediò in Boemia, dove morì il 15 dicembre 1630; 

suo figlio Giovanni Sigismondo fu il capostipite di 

tutte le linee boeme della famiglia. 

Il “barba” Simone destinatario della letterina era 

figlio di Luca Thun: quest’ultimo era prozio di Giovanni 

Cipriano in quanto fratello del nonno Cipriano; 

tuttavia è da notare che il bambino e Simone 

erano in realtà cugini, dato che il padre del primo 

era primo cugino del secondo. Simone Thun fu protagonista 

di una brillante carriera ecclesiastica: ricevette 

il canonicato tridentino forse nel 1538; nel 


22 

1542 era matricola all’Università di Ingolstadt e nel 

1546-47 studente di legge a quella di Padova; dal 

24 dicembre 1553 divenne decano del Capitolo tridentino, 

carica che tenne fino alla morte, mentre fu 

membro del Capitolo brissinese dal 26 agosto 1543 

al 26 agosto 1579, quando rinunciò a favore del nipote 

Giovanni Antonio Thun, nonché membro del 

Capitolo salisburghese tra il 1562 e il 1577, anno 

della rinuncia. Beneficiato a Malé tra il 1534 e il 

1565, ebbe altri benefici, poi resignati, a Taio, Vigo di 

Ton, Livo, Pieve di Rendena, Girlan/Cornaiano (fino 

al 1581). Morì il 21 agosto 1584 ed ebbe sepoltura 

nel braccio meridionale del transetto della Basilica 

di San Vigilio di Trento, dove ancora si trova la pietra 

tombale. 

Ma ecco il breve testo della lettera: 1 

“Molto Reverendo et illustre Signor Barba salutem. 

Avisiamo la qualmente siamo ritornati da Caldeso dal 

suvave fresco sani tutti et iocondi per gratia et bonta 

divina et con eficace animo habiamo desiderato che 

lei fusse à consolazione con tutti noi la saperà che 

io jmparo de vesperi a mente, di ornato, di Regole, di 

Abbaco, di ragion de canto et de sonare. Et in sin’hora 

io et mio fratello Cristofolten sapiamo tre […]sonade 

con ciò nostro signore nella conservi lungamente sana 

si come dicontinuo lo pregamo da thon alli 21 de settembrio 

nel .77. 

D.V.S. 

Cipriano et fratelli da thonn soi devoti Nevodi”. 

NOTE 

1 Cfr. APTn, ATCT, busta A 11.8 (segnatura provvisoria).

23 

cultura delle Valli 

PIANI GIOVANI DI ZONA: 

UN BILANCIO DOPO QUATTRO ANNI 

di Federica Flessati 

Lo scorso 9 novembre sono stata invitata a parlare di 

quattro anni di esperienza quale Referente tecnico per 

il Piano giovani dell’Alta Val di Sole; ecco alcuni passaggi 

del mio intervento. 

“Piani giovani di zona: una proposta che la Provincia 

faceva alle valli. Il lavoro sembrava impegnativo, 

anche se decisamente interessante. Praticando però, 

ognuno nel proprio territorio, le politiche giovanili, 

costituendo i tavoli e tentando tutti insieme di indirizzare 

ogni Piano secondo le sensibilità e le prerogative 

del territorio, ci siamo resi conto che i pochi 

confini dati erano utili nell’interesse vero del luogo 

in cui ci trovavamo ad operare. Sin dall’inizio abbiamo 

capito che i processi di avvicinamento alla realtà 

territoriale, ma soprattutto al mondo giovanile, sono 

processi lenti, ed è per questo che che i frutti del 

lavoro sono a lenta maturazione. Non c’è da spaventarsi 

se i ragazzi non vengono catturati immediatamente 

dai Piani, se ancora sul territorio c’è qualcuno 

che non sa cosa siano questi benedetti Piani giovani 

di Zona, se ancora qualcuno ne confonde il nome. È 

bello vedere invece come stiano germogliando i primi 

semi che abbiamo messo. Le scintille che il fuoco 

acceso con passione dai tavoli ha lanciato intorno 

a sé hanno prodotto e producono costantemente 

piccole fornaci operose nelle quali gruppi di giovani 

iniziano a muoversi e a capire quello strumento importante 

che è il Piano. 

All’inizio, durante il primo anno, ci siamo trovati, 

come tavolo dell’Alta Val di Sole, a tentare di proporre 

progetti ai ragazzi, per il semplice fatto che 

il tempo tiranno non ci permetteva di pubblicizzare 

questo nuovo strumento e avviare Progetti proposti 

dai giovani. Con il secondo anno però abbiamo visto 

presentati al tavolo alcuni progetti portati dagli stessi 

ragazzi che con impegno e dedizione si sono dedicati 

a stesura e messa in opera degli stessi. Possiamo dire 

oggi che, tutti i progetti per il 2011 o quasi, saranno 

presentati al tavolo da ragazzi pronti a mettersi in 

gioco e desiderosi di poter avere in loco opportunità 

che altrimenti sarebbero irrealizzabili. I ragazzi 

si muovono, creano, sanno chiedere e progettare. 

Sanno mettere in pratica le loro idee e farsi avanti a 

proporle. Sanno anche, come nel caso particolare di 

un gruppo giovani che abbiamo sul territorio, prendersi 

in carico i progetti proposti dai loro coetanei, e 

con la loro associazione seguire il tutto: dalla stesura 

alla rendicontazione. Il lavoro che ogni assessore ed 

ogni referente tecnico fa sul proprio territorio non è 

semplice, ma con la buona dose di collaborazione ed 

impegno si arriva ai giovani. La cosa fondamentale è 

credere in loro, dar loro autonomia e fiducia, aiutarli 

ed accompagnarli nelle fasi principali, ma poi lasciarli 

camminare autonomamente, cosa che i giovani sanno 

fare benissimo, ma che spesso i grandi dimenticano o 

non credono possibile. 

Quello che ogni amministratore dovrebbe fare sul 

proprio territorio, a giudicare da ciò che funziona, 

anche se magari funziona un periodo e poi va cambiato, 

visto il mutare veloce dei tempi e dei giovani, 

è essere presente nella comunità, farsi vicino ai 

ragazzi, ottenere la loro stima, far capire loro che 

vuole aiutarli a creare e realizzare qualcosa che loro 

desiderano e non che lui decide al posto loro: essere 

con loro, insomma, al loro servizio e desideroso del 

loro bene. A volte si arriva alla stessa meta anche 

per strade diverse, magari per sentieri che noi non 

percorreremmo mai, ma alla fine si rivelano essere i 

più indicati. 

Altra cosa fondamentale dei Piani è l’aspetto della 

sovra-comunalità: se il tavolo è unito e tutti gli assessori 

e le persone del mondo giovanile che operano 

al tavolo sono coesi, il gruppo di giovani si forma anche 

al di fuori del proprio paese per una dimensione 

di valle che sembra scontata, ma è difficile da creare 

anche su territori con pochissimi giovani cittadini. 

In questi anni abbiamo visto passare giovani che si 

sono impegnati in corsi di pittura, teatro, cittadinanza 

attiva, intercultura, fotografia... Anche se alcune 

sembrano attività comuni, spesso non lo sono in valli 

piccole come le nostre nelle quali riuscire ad attivare 

anche solo qualche corso di teatro o pittura è 

importante per ragazzi che non hanno le stesse opportunità 

che vivono i loro coetanei che risiedono in 

città. So che può sembrare banale, ma si crea molto 

più gruppo in questi modi, a volte, che con grandi 

progetti.”


LINGUE E DIALETTI DELLE VALLI ALPINE: 

I TRA/MONTANI FRA I CIMBRI 

di Rinaldo Delpero 

In questa nuova tornata al seguito dei Tra/Montani 

ho scovato-scoperto il singolare mondo piccolo 

dei Cimbri della Lessínia, nella montagna veronese. 

A monte dalla nota zona vinicola di Soave si snoda 

la valle dell’Illási su verso nord, fino a trovare il 

crinale di monti al confine Trentino, di là vedendo 

la Val d’Adige fra Ala e Avio. Esiste pure una strada 

tortuosa e ardita che scavalca lo sbarramento 

montano e collega Ala all’area dei Lessíni. Ma per 

chi ha premura di tempo e veicolo e non regge la 

vertigine, meglio optare per l’ampio giro autostradale 

di Verona. 

Gli Incontri Tra/Montani si passano di anno in anno 

il testimone in angoli sperduti dell’arco alpino, non 

solo italiano, per affrontare temi di comune interesse 

e ricerca, condividerne i risultati, confrontarsi e 

confortarsi su un futuro che non appare per nulla 

roseo per le terre di montagna. La tappa significati- 

Media valle dell’Illási nella zona pedemontana veronese: l’ambiente è insieme 

aspro e gradevole. Incuneandosi fin verso il confine trentino 

all’altezza di Ala, ha come ultimo centro abitato Giazza, frazione di Selva di 

Progno. 

24 

va della XX edizione aveva per titolo «Il valore culturale 

delle lingue e dei dialetti delle valli alpine». 

Sedi del convegno svoltosi fra il 24 e 26 settembre 

2010 sono stati i nuclei di Giazza e Selva di Prògno. 

L’anno precedente si era a Coumboscuro nelle valli 

del cuneese per parlare di Scuola di montagna e 

minoranze linguistiche. Entrambe i convegni hanno 

puntato l’attenzione sui dialetti, riduttivamente considerati 

spesso linguaggi minori, mentre vanno strenuamente 

“difesi” se intesi quali «lingue madri, che 

hanno cioè una valenza e un’importanza vitale nella 

comunicazione verbale della gente di montagna». 

Lo scorso anno si sottolineò il concetto ancora più 

pregnante di «lingua ancestrale», riferita al dialetto, 

dunque lingua delle radici identitarie e secolari di 

una terra e una gente, lingua succhiata con il latte 

materno –lingua madre, appunto!- linguaggio-ginnastica 

capace di sviluppare la creatività linguistica 

e facilitare l’apprendimento di altre parlate. Tutte 

cose sacrosante. Ma il dramma e tarlo di fondo in 

tema di dialetti e lingue è che si tiene in mano una 

sorta di patata bollente, un magma incontrollabile 

in continua eruzione ed evoluzione. Si consideri poi 

la contemporaneità con la estrema diffusione delle 

comunicazioni telefoniche e l’avvento della rete 

Internet che interconnette in tempo reale i mondi 

culturali più disparati. Il linguaggio che ne uscirà nel 

futuro sarà una rivoluzione forse tendente all’appiattimento, 

standardizzazione, semplificazione. Se 

la necessità è quella di intendersi velocemente, servono 

pochi e semplici vocaboli, magari abbreviati 

con parole all’osso come son soliti “messaggiarsi” 

i ragazzi. Sono vincenti lingue veicolari sul tipo di 

quelle “nazionali”, già essere frutto di artefazione. 

In tutto questo processo inarrestabile, il dialetto 

che si cerca affannosamente di studiare e “salvare” 

ha vita estremamente dura. Una battaglia persa in 

partenza, oseremmo dire. «Finché c’è salute non 

si va dal medico! Così il dialetto, finché era vivo 

e parlato nessuno si curava di studiarlo. Ora che 

è malato fioriscono gli studi» - ha detto bene Gabriele 

Antonioli (Grosio, Valtellina) al convegno di 

Giazza. Nessuno ha la ricetta in tasca per guarire 

il paziente. Studiarlo, codificarlo, grammatizzarlo,

Il paese di Giazza, stretto e quasi protetto dai crinali di monti, antica area di 

produzione del carbone da legna, ultima oasi linguistica dei cimbri della Lessínia 

veronese, con toponomastica naturalmente bilingue. 

produrre testi, tutto bene. Ma «… il tentativo di 

insegnare il dialetto a Scuola è un errore, fa odiare 

questa parlata. Il dialetto deve essere parlato in 

famiglia…» - ammonisce Davide Filié di Varallo in 

Valsesia (Vc). E come dargli torto? Una lingua madre 

non può essere una lingua “maestra”! 

Ma andiamo per ordine, dando voce alla sequenza 

di relatori che si sono alternati ai Tra/Montani di 

Giazza, partendo dagli auspici degli ospitanti e degli 

organizzatori. Il Sindaco di Selva di Progno Aldo 

Gugole parla di «questi retaggi del passato» da difendere 

perché «non vogliamo che tutto finisca, ma 

che qualcosa venga tramandato ai figli». Claudio 

Melotti, Presidente della Comunità Montana della 

Lessínia, ha portato il singolare esempio della tenuta 

nel tempo di un dialetto arcaico nelle comunità 

di emigranti veneti in Brasile, per l’isolamento geografico 

e culturale da enclave, tanto che ora sono 

consentite conoscenze di ritorno con recupero di 

vocaboli da noi scomparsi. Il camuno Giancarlo Maculotti 

(per la precisione d’origine appena al di là 

del nostro Tonale e Montozzo, in quel di Pèzzo) 

coordinatore dei convegni e anima fin dalla fondazione, 

ha puntato alla estrema varietà e ricchezza 

di dialetti rispetto alla popolazione nella nostra 

Italia, una densità unica al mondo che vorrà pur 

dir qualcosa. «Dialetti non varianti della lingua, ma 

tronchi dello stesso idioma latino originario, come 

diramazioni da Albero Genealogico». La ricchezza è 

più pregnante nella montagna rispetto all’omologazione 

cittadina. Dialetti e toponimi aiutano più dei 

reperti archeologici a ricostruire un percorso storico. 

Vito Massalongo del Curatorium Cimbricum 

Veronense, cuore di questa edizione degli incontri, 

25 


ha motivato la scelta del tema descrivendo la marginalità 

nei secoli della Lessínia, «terra di fatiche e 

fame atavica, di pascoli strappati alle rocce, di filò 

tenuti nei fenári (fienili), terra di esclusioni, di lotte 

per l’autonomia, che ha vissuto di inferiorità e 

di umiliazione». Nella «montagna alta del carbon» 

-come era definito questo territorio nei documenti 

del XII secolo- il dialetto era un codice verbale non 

consentito e riconosciuto dalle autorità. 

La relazione centrale del convegno è stata affidata 

al grande linguista Corrado Grassi dell’Università 

di Torino e Vienna, autodefinitosi decano della 

dialettologia italiana, presentato dal Centro Studi 

Judicaria di Tione. Ha cercato di far comprendere 

il valore linguistico del dialetto rispetto alla lingua 

nazionale. In linguistica è usato il concetto di diglossìa, 

una lingua composta di due varietà, quella 

alta e quella di uso quotidiano. Da noi diremmo 

«parlar en ponta», per chi predilige l’uso dell’italiano, 

un piemontese d’altri tempi direbbe «parlé 

triculur». Riferita ai nostri dialetti si palesa così una 

forma di pseudo bilinguismo. Dove c’è un dialetto 

c’è una lingua e viceversa. Certo che la crisi dei 

dialetti si trova dappertutto perché sono i parlanti 

che creano e modellano le lingue e non gli studi a 

tavolino che tentano solo di codificarle. E il parlante 

di oggi è nettamente diverso da quello di ieri. I 

riferimenti testuali di ieri e di oggi, i significati e la 

cultura materiale sottesa alla parlata sono nel tempo 

completamente variate. Un dialetto nato dalla 

tecnologia contadina oggi spazzata via ha i giorni 

contati, perché l’ambito di riferimento che l’ha alimentato 

per secoli e a cui era funzionale non esiste 

Un momento del Convegno dei Tra/Montani a Selva di Progno. In primo piano il 

grande linguista prof. Corrado Grassi dell’Università di Torino e Vienna.


Un piccolo insediamento sparso a monte di Giazza, dove si possono notare le 

architetture rurali frutto di pietra e fuoco, alzate con pietra, calce, terre cotte, 

mancando forestazione di conifere ed avendo i cimbri sfruttato nei secoli la 

latifoglia per il carbone di legna. 

più. Il dialetto oggi si riduce dunque alla conversazione 

tra amici e non ha più alle spalle un mondo 

che lo sostenga. 

Un caso singolare che interessa noi più da vicino 

è quello dei dialetti tedeschi in Alto Adige, tema 

presentato da Franz Lanthaler, docente di tedesco 

e latino alle superiori di Bolzano. Ha presentato la 

loro importanza per il gruppo di lingua tedesca e il 

loro impatto sul bilinguismo degli italofoni. La realtà 

della provincia confinante ha queste percentuali 

linguistiche: 64% tedesco, 25% italiano, 4% ladino, 

7% lingue immigrati. Ma nessuno in questa realtà di 

bilinguismo spiccato aveva mai considerato il ruolo 

dei dialetti. L’uso dello standard lingua nazionale 

era difficile in un ambiente spiccatamente dialettofono 

come quello di ambito tirolese, con disagio sia 

da parte di un gruppo che dell’altro. Ora la soglia 

si è abbassata, ma se è vero che il dialetto esclude, 

non è per chiusura o cattiveria dei gruppi. È perché 

dietro c’è l’aspetto identitario di riferimento. Il dialetto 

in Alto Adige non sta diminuendo, sta invece 

26 

cambiando. 

Vivaci chiarimenti sulla lingua e cultura cimbra 

sono venuti da Antonia Stringher dell’Associazione 

Tzimbar ‘un Ljètzan (Cimbri di Giazza). Il termine 

Cimbri che noi usiamo in italiano appare improprio 

e fuorviante perché legato più alla smentita ipotesi 

“umanistica” quali discendenti della tribù cimbra 

sconfitta dai Romani. Meglio pertanto il termine 

dialettale assonante Tzimbar, che indica lavoratori 

del bosco, disboscatori. E con questo ruolo è storicamente 

attestato, in un documento del 1287 del 

Vescovo di Verona, un contratto di locazione con 

coloni di provenienza tedesco-bavarese. La difficoltà 

di studio di questo idioma arcaico con prestiti 

dall’antico alto tedesco, dal longobardo, dal celtico 

è dovuto alla trasmissione esclusivamente orale nei 

secoli. Individuare le radici originarie dei termini 

non è mai agevole perché commiste a reinterpretazioni 

fuorvianti. Prendiamo i toponimi ospitanti il 

convegno, ad esempio. Giazza lo si farrebbe derivare 

dal latino «glacea» (e veramente è zona ombrosa 

e fredda), ma in cimbro è detta Ljètzan, dal longobardo 

«lezzen», sbarrare, trattenere: il paesino è 

posto in fondo ad un vero sbarramento di monti. 

Selva di Progno avrebbe denominazione dal latino 

«Silva Progni», ma in cimbro c’è il termine dall’antico 

alto tedesco «Brunge», per sorgente, fonte. Una 

vera sorpresa dal cimbro riguarda alcuni termini 

di derivazione longobarda nell’uso dialettale, che 

troviamo attestati quasi assonanti nel nostro solandro 

gaín, gergo dei paroloti come pure dei pastori 

bresciani: «gaiòfa» tasca, «bloto» nudo solo, «skita» 

sterco di gallina, «slandrón» pigro ozioso, «slèpa» 

sberla, «slapár» mangiare avidamente. Veramente 

singolari queste popolazioni cimbre degli storici 

XIII comuni veronesi. Il paesino di Giazza in particolare 

oggi è l’ultima area dove sopravvive l’antica 

parlata fra gli anziani. Ha resistito per l’isolamento 

geografico, i matrimoni endogamici, la scelta diretta 

dei preti che predicavano in cimbro secondo il 

privilegio dello jus patronatus, non ultimo il loro 

carattere ostile verso gli stranieri. Ridotto all’osso 

era il loro far di conto: avevano termini per contare 

solo fino a 4 e per il resto usavano le mani. Segno 

che l’economia era autarchica e legata soprattutto 

al baratto. Purtuttavia da tempo si sta studiando 

e fissando su carta questo per noi oscuro idioma 

perché «Ta ditza altaz garèida muzzat sterban, lébabe 

sain gadènka ute púachar» -Se questo vecchio 

linguaggio è destinato a morire, viva almeno nei li-

i- come sentenziò Mons. Giuseppe Cappelletti 1 , 

sacerdote matematico, figura di studioso emerito 

della Diocesi di Verona originario di Giazza. 

Le comunicazioni del pomeriggio hanno integrato 

la giornata su altre aree linguistiche dell’arco alpino. 

Davide Filiè ha parlato dei «Todeschi della 

Valsesia – Le isole linguistiche Walser ai piedi del 

monte Rosa», una lingua che sta morendo. I pochi 

anziani rimasti la parlano benissimo, ma non è praticata 

dai giovani tanto che «io l’ho insegnata ai 

miei figli almeno per avere qualcuno con cui parlare 

la mia lingua madre per tutta la vita». Aldo Imberti 

di Clusone in Val Seriana (Bg) ha esposto «La slacadura 

di tacoler – Gaí il dialetto dei pastori orobici». 

Franco Liloni ha trattato del Laboratorio linguistico 

camuno. Gabriele Antonioli di Grosio (So) ha 

relazionato sull’area valtellinese e valchiavennasca. 

Il trentino Leo Toller di Palù del Fersina–Palai en 

Bersntol- ha esposto la realtà dei Mòcheni oggi, linguaggio 

per molti aspetti gemello del cimbro. Claudia 

Robiglio, infine, docente universitaria a Verona, 

ha trattato dell’integrazione fra colture e culture 

in Val d’Illási e Giazza, pondendo l’attenzione agli 

aspetti d’immagine del territorio e loro significanza-simbologia 

culturale. 

Già si sta progettando con lena la prossima tappa 

dei Tra/Montani. La XXI edizione andrà ospite in 

Valsesia, in ambito linguistico walser-alemanno. La 

sua candidatura è stata presentata in contenuti e 

organizzazione in chiusura di giornata. Il tema proposto 

verterà sull’alimentazione, considerando che 

nell’agro-alimentare la marginalità alpina da problema 

può divenire risorsa. Questo il titolo «La cucina 

delle Alpi: fra tradizione e rivoluzione» 23-25 settembre 

2011. 

Una nota di colore non può mancare, perché i 

Tra/Montani, sia intesi come convegni che come 

persone coinvolte, non sono sempre e solo tutto 

“casa e studio”. Momenti di festa, divertimento, 

abbracci fra amici, convivialità e brindisi alle varie 

tavolate di tipicità alpine, scoperte di tradizioni e 

chicche da sano turismo culturale, rappresentano 

forse più delle relazioni accademiche il cuore pulsante 

e motivante degli incontri annuali. Dunque, 

mentre al termine del convegno rincorrevo alcuni 

relatori per arricchire e chiarire i mei appunti, 

fuori i “cimbri” di Badia Calavéna nella bassa Valle 

dell’Illási, procedevano alla carica dei mastodontici 

trombini. I Pistonieri dell’Abbazia, gruppo costituitosi 

nel 1992 da vecchie “batterie” scioltesi nel 

27 


I Pistonieri dell’Abbazia hanno appena dato fuoco alle polveri, con l’arma ora 

in posizione di riposo. Il trombino è opera di alto artigianato e antica tecnologia 

militare, decorato ad libitum dal proprietario –spesso esecutore stesso- ed ha un 

peso ragguardevole, direttamente proporzionale al volume del botto. Lo scoppio, 

con canna-trombone rivolta verso terra, avviene naturalmente “a salve”. Non si 

vedono in giro Pistonieri gracili! 

1962 tengono viva questa tradizione patrimonio 

esclusivo della minoranza etnica dei Cimbri. Botti 

da far tremare i muri del Centro comunitario dei 

educazione ambientale che ci ospitava ha drasticamente 

interrotto gli ameni colloqui con i relatori, 

richiamandoci in cortile. Purtroppo, come si suol 

dire, «sen rivadi al fum dele candele…», anzi dei 

trombini. Questi Pistoneri possono essere considerati 

la versione “Schützen” dei Cimbri. Le radici di 

dimestichezza con le polveri da sparo degli antichi 

coloni bavaresi in area tedesca –tradizionalmente 

anche bacino di provenienza delle maestranze dei 

minatori, Bergknappen, da cui il toponimo trentino 

Canòpi- terra di reclutamento mercenario, ha 

fatto sì che l’atavico “mestiere delle armi” affinato 

in Lessínia anche nel ruolo di guardiani dei valichi 

veronesi per conto del Vescovo e della Serenissima, 

sopravvivesse come fenomeno da baraccone. Oggi 

animano le varie feste di paese. 

Una ultima nota di tragica storia contemporanea ci


Monumento al Pistoniere, lungo la strada nei pressi di Badia Calavèna, risalendo 

l’Illási. La rappresentazione artistica ha un taglio di vivacità, quasi caricaturistico. 

Il soggetto potrebbe ben essere preso per un Andreas Hofer (tolta la barba!), un 

Bersagliere o un Brigante della Sila. 

rimanda al termine della seconda guerra mondiale. 

Un reparto di SS in ritirata, braccati dai partigiani 

veronesi, a Giazza prende in ostaggio il parroco che 

si è offerto per salvare la popolazione e scende in 

Val d’Adige per guadagnare la via del Nord. Ad Ala 

il comandante si sbarazza del parroco ordinandone 

la fucilazione. Nel plotone un caporale SS, addetto 

alle comunicazioni e portalettere, evidentemente 

cattolico, si rifiuta di partecipare all’esecuzione. 

«Befehl ist Befehl!» impone la rigidità teutonica. 

Viene degradato e fucilato dopo il sacerdote. Era 

sposato, con 4 figli. Il fatto succede il 27 aprile 1945. 

NOTE 

1 ll Mons. Giuseppe Cappelletti nacque a Giazza il 25 giugno 1871 e morì a Verona il 4 maggio 1958. Passava le vacanze estive nel paese natale. Per onorare questo suo 

legame viscerale con la terra d’origine, nel 1968 le sue spoglie vennero sepolte nel cimitero di Giazza. Sulla casa di vacanza, in fronte alla chiesa di Giazza, quasi una 

terrazza che dall’alto domina il solco profondo e selvaggio dell’alta valle dell’Illási, vennero posti un busto in pietra a bassorilievo, una lapide marmorea, targhe d’ottone 

in tedesco, cimbro e italiano in suo ricordo. La lapide in lettere capitali riporta: «MONS. GIUSEPPE CAPPELLETTI / 1871 1958 / MATEMATICO, GLOTTOLOGO, MEM- 

BRO DI ACCADEMIE ITALIANE E STRANIERE / IN VERONA MAESTRO INSIGNE DI TRE GENERAZIONI / CON ESEMPLARE DOTTRINA ILLUSTRÒ L’ANTICA 

LINGUA –ALTAZ GAREIDA- / DEI TREDICI COMUNI VERONESI / IL COMUNE DI SELVA DI PROGNO». 

2 Per approfondimenti su questo singolare episodio e sulla figura del Dallasega di Provés vedi l’opuscolo «Un eroico obiettore: Leonhard Dallasega» di Lorenzo Dalponte, 

estratto dall’Annuario del Collegio Arcivescovile C.Endrici, Anno 1986/87 n. 53, pagine 20, rintracciabile nelle Biblioteche. 

28 

Era nato a Provés, Val di Non tedesca, nel 1913 ed 

opta per la Germania nel 1939. Il suo nome era 

Leonhard Dallasega. 

La sua identità viene individuata solo intorno al 

1980. Mons. Lorenzo Dalponte, già Preside dell’Arcivescovile 

di Trento, lo definisce «un eroico obiettore» 

2 , quando ancora di obiezione di coscienza 

nemmeno esisteva il concetto. 

Un prezioso inedito in lingua cimbra 

raccolto al convegno di Giazza. 

La preghiera viene recitata giornalmente 

dalla mamma della relatrice Antonia Stringher, 

Rosa Dal Bosco Stringher (1925). 

IS GAPèT ‘UN DRAI HENGHILjAR 

Haint i ghè nídar súaze 

pitar drai henghiljar 

in de vúaze. 

Úanz dèi-kapi 

úanz darbèikapi 

úanz vuáta pi 

‘un aljan pòasen díngar 

‘un aljan pòasen tròman 

fúnze lièbe ljèste tak. 

LA PREGHIERA DEI TRE ANGIOLETTI 

Questa sera io vado giù dolcemente 

(mi addormento) 

con tre angioletti 

ai piedi. 

Uno mi copre 

uno mi sveglia 

uno mi protegge 

da tutte le brutte cose 

da tutti i brutti sogni 

fino al caro chiaro giorno

POESIA 

NONNA 

di Maurizio Carpi 

Capelli grigi raccolti con mani 

tremanti illuminano occhi che 

riflettono nei miei protezione e amore. 

Voglio dormire con te 

e ascoltare all’infinito le tue storie 

che mi traghettano verso sogni sereni. 

Storie che rimangono per me la 

tua meravigliosa eredità. 

Malattia indegna ti strappa la vita, 

incurante delle preghiere di un bambino. 

Dalla tua foto riposta sul comodino, 

sento ancora il tuo profumo 

e il tuo affetto. 

Ci sentiamo questa sera. 

29 

E VèGN LA SERA 

di Fabrizio da Trieste 

E vègn la sera 

a ravèrger ricordi 

che i s’empèrla de ‘nsògni 

come foc che me brusa 

el cor e l’anma. 


(E viene la sera/ad aprire ricordi/che si imperlano 

di sogni/come fuoco che mi brucia/il cuore e l’anima). 

GIÒVENI SèMPRO 

di Fabrizio da Trieste 

Giòveni sèmpro: 

ma con àotri pensieri 

e àotro traguardo. 

(Giovani sempre:/ma con altri pensieri/e altro traguardo). 

Una fotografia eccezionale, scattata a Malé nel 1905, con il torello di dieci mesi vincitore di una gara bovina e tanta gente intorno... (Archivio famiglia Slucca).


MULINO RUATTI MOSTRA 

LA PACE E I DIRITTI UMANI 

“È importante che mostre di questo tipo arrivino anche 

nelle comunità più piccole,”. Parola di Marcello Flores, professore 

di storia contemporanea all’Università di Siena, 

dove dirige il Master in “Human Rights and Humanitarian 

Action”. “Fino a dieci anni fa – prosegue – di questi temi 

nessuno parlava, nonostante la Dichiarazione dei Diritti 

dell’Uomo sia del 1948 e per questo è fondamentale lavorare 

in ogni comunità per far sì che una cultura di pace e 

dei diritti umani sia patrimonio comune”. 

Flores ha curato i testi che accompagnano il catalogo della 

mostra “Senza distinzione alcuna: pace e diritti umani”, allestita 

a Mulino Ruatti di Pracorno e inaugurata lo scorso 

27 novembre. La mostra, promossa dalla Regione autonoma 

Trentino-Alto Adige/Südtirol e dal Forum trentino per 

la pace e i diritti umani, in collaborazione con la Provincia 

autonoma di Trento, i Comuni di Rabbi e Malé, Bim dell’Adige, 

Consorzio dei comuni trentini, Fondazione Caritro e 

Comunità della Val di Sole, è accompagnata da un catalogo 

curato da Daniele Jalla (curatore dell’allestimento), Lucia 

Impelluso e Marcello Flores, presenti all’inaugurazione. 

A introdurre l’evento è stata la vicesindaco di Rabbi Adriana 

Paternoster, che ha presentato la cornice del Mulino 

Ruatti da poco restaurato. È toccato quindi a Marina Pasolli 

presentare la mostra, (“di diritti umani non si deve solo 

parlare ma tutelarli a partire dai piccoli comuni”). Il sindaco 

di Malé Bruno Paganini ha quindi sottolineato l’importanza 

30 

“per ogni comune di essere ente costruttore di pace, promuovendone 

la cultura nel proprio territorio e cercando 

di sensibilizzare il più possibile la comunità”; infine il sindaco 

di Rabbi Lorenzo Cicolini ha manifestato “il ringraziamento 

per aver scelto il Mulino Ruatti quale sede espositiva”. 

Il prof. Daniele Jalla, coordinatore dei servizi museali della 

Città di Torino e presidente del Comitato italiano ICOM, 

che ha curato l’allestimento in collaborazione di alcuni artigiani 

solandri e il Museo tridentino di Scienze naturali, ha 

quindi spiegato i temi e i significati della mostra fotografica: 

“Si tratta di immagini diverse, alcune immediatamente 

leggibili, mentre altre richiedono di essere capite catalogo 

alla mano, strumento utile per interpretarle e per rendersi 

conto pienamente di come le immagini possano raccontare 

i diritti; i testi redatti da Marcello Flores in questo svelano 

la propria straordinarietà, tali da rendere la mostra fruibile 

anche ai più piccoli, nell’auspicio che la mostra possa girare 

in altre realtà”. 

Marcello Flores ha concluso la serie degli interventi: “Abbiamo 

cercato di riassumere in modo chiaro ciò che mirabilmente 

era stato riassunto nel 1948, quando venne 

presentata la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo: 30 articoli 

contenenti i principi fondamentali che oggi come allora 

parlano alla coscienza di ognuno di noi”. 

La mostra rimarrà aperta fino al 28 febbraio 2011, nei giorni 

di sabato e domenica con orario 9-12 e 14.30-17; negli 

altri giorni su prenotazione al numero 345.214.78.17. L’ingresso 

è gratuito. (almo) 

Una storica immagine della Carta approvata nel 1948 e l’allestimento al mulino.

31 


INCONTRI TRA CROVIANI NELLA SALA 

INTITOLATA A CRISTOFORO BUSETTI 

Croviana risco- 

pre una delle 

maggiori glorie 

della propria 

storia e lo fa 

intitolandogli 

la nuova sala 

della comunità 

costruita nei 

pressi della 

scuola elementare. 

Essa è stata dedicata a Cristoforo Busetti (1540 

ca.-1604/1606), giurisperito e poeta che nel Cinquecento 

fu il primo in Trentino a comporre un 

Canzoniere sul modello di quello di Francesco Petrarca, 

i celeberrimi “Rerum vulgarium fragmenta”. 

Busetti va così a fare compagnia ad un altro 

illustre personaggio di Croviana e suo 

contemporaneo, quel Bartolomeo Pezzen 

(1550-1605) che alla fine Cinquecento 

fu ambasciatore imperiale alla corte del 

sultano turco e al quale è stata dedicata 

la scuola elementare. L’evento di inaugurazione 

ha visto il tradizionale taglio del 

nastro, un breve intervento di presentazione 

della figura di Busetti e quindi il rinfresco 

a cura dei commercianti del paese. 

Ma non è finita: l’occasione è stata infatti 

propizia per presentare una originale 

iniziativa proposta dall’amministrazione 

comunale e denominata “Incontri fra 

Croviani”. Un modo simpatico di radunare 

i cittadini per scoprire, attraverso dei 

compaesani “esperti nella materia” una 

serie di interessanti argomenti di studio 

e discussione. Un’idea nata per proporre 

l’approfondimento e la condivisione 

di tematiche ed esperienze maturate da 

persone del paese, sia per migliorare la 

conoscenza reciproca all’interno della 

comunità, sia per suscitare interesse 

agli argomenti trattati. I seminari partiti 

a fine ottobre e preceduti da un piccolo 

rinfresco in modo da rendere l’atmosfera 

conviviale e informale hanno visto gli interventi di 

Graziella Pangrazzi, che da Croviana è andata a studiare 

le culture di tutto il pianeta e ha parlato del 

suo “Incontro con i pigmei africani, guaritori della 

foresta”, di Fabio Angeli (“Come sono cambiati nel 

tempo i boschi e la fauna delle nostre montagne”) e 

Alberto Mosca (“Parliamo di storia: una maestra di 

vita senza più alunni?”) Prossimamente, il 22 gennaio 

si va avanti con Francesco Moratti, Gualtiero Marcolla 

e Sergio Angeli (“Le api, la loro affascinante struttura 

sociale e il miele”) e infine il 19 febbraio Alessandra 

Pasini (“La riforma della scuola secondaria superiore: 

quali opportunità per i nostri giovani”).


Don Renato Pellegrini, decano, 

parroco in Val di Rabbi, Magras 

e Arnago, è ora parroco anche a 

Terzolas, Bolentina, Samoclevo, 

Caldes, Bordiana e Bozzana. Ce 

la farà don Renato ad espletare 

un mandato in così tante parrocchie 

e soprattutto ce la faranno 

i suoi parrocchiani a far crescere 

delle comunità religiose unite e 

responsabili? Ne parliamo direttamente 

con lui. 

QUALCHE RIFLESSIONE CON... 

DON RENATO PELLEGRINI 

Don Renato, come si possono 

motivare i cambiamenti 

ai quali, forse un po’ impreparati, 

stiamo assistendo in 

questi ultimi mesi? 

Da più di trent’anni si assiste al 

calo inarrestabile delle vocazioni, senza peraltro 

che si avvertisse fin da subito la necessità di studiare 

forme nuove di presenza della chiesa nei nostri 

paesi. Si è sempre ricorsi a tamponare ogni situazione 

di crisi. I parroci non hanno preparato il futuro, 

non hanno saputo prendere in mano una situazione 

che si faceva di giorno in giorno più grave. Questo 

anche per l’evidente innalzamento dell’età media 

del clero. Dieci anni fa si è cominciato a parlare di 

“Unità pastorale”, di una nuova figura, che riuniva 

un numero variabile di parrocchie, con alla guida 

un unico parroco, ma non si riusciva a coinvolgere 

in modo significativo i laici. Occorreva allora e 

occorre ancora di più oggi, che il laico cristiano 

superi l’idea di essere semplicemente spettatore, 

che partecipa alle liturgie, che partecipa a riunioni 

e assemblee, senza mai aver veramente voce in capitolo. 

Oggi il laico dovrebbe non certo essere un 

prete in miniatura, ma in grado di far funzionare la 

parrocchia anche senza parroco residente. 

Come pensa di organizzarsi nelle parrocchie 

che Le sono state recentemente affidate? 

Per me la cosa più urgente è la formazione delle 

persone: formazione biblica prima di tutto, ma poi 

di Mariapia Malanotti 

32 32 

anche pastorale, sociale ecc. Ad 

esempio: cosa significa essere 

famiglia cristiana oggi? E come 

vanno accolte le famiglie che 

vengono definite “irregolari”? 

Quale dovrebbe essere lo sguardo 

del cristiano su situazioni di 

estrema attualità quali l’immigrazione? 

Come attivare forme 

autentiche e talvolta necessarie 

di solidarietà? Ma anche: come 

si può pregare pubblicamente, 

in chiesa, alla domenica, se non 

c’è il prete? Come essere vicini 

ai malati, se il prete è affaccendato 

in mille cose e rischia di 

non avere il tempo necessario 

per questa opera fondamentale? 

E come preparare e celebrare i 

sacramenti? A me pare che un punto importante 

sia creare unità fra tutte le parrocchie che mi sono 

affidate. Bisogna, per quanto possibile e senza umiliare 

le particolarità di ogni comunità, superare il 

campanilismo, cominciare a fare delle cose insieme, 

lasciando ai laici molta responsabilità. 

Come in missione... 

Dobbiamo prendere atto seriamente che nella nostra 

società i cristiani sono una minoranza. Non si 

può continuare a bearsi perché quasi tutti chiedono 

il battesimo (anche se la percentuale, comincia a 

scendere) e la cresima ecc. Essere cristiano forse è 

un’altra cosa, che non si ferma ai sacramenti. Come 

in missione occorre che si formino consigli parrocchiali 

competenti e responsabili, consigli per gli 

affari economici, che agiscano per quanto possibile 

in autonomia, un gruppo con un paio di rappresentanti 

per parrocchia, in grado di coordinare le 

iniziative comuni. Importante è che un rappresentante 

del Consiglio pastorale tenga i collegamenti 

con le associazioni per poter interagire nella programmazione 

delle varie iniziative. 

Buon cammino a tutti!

GLI STUDENTI RACCONTANO 

LA GUERRA BIANCA 

di Matteo Rizzi 

Lo studio della storia locale è sempre stato un argomento 

poco trattato alle scuole superiori. Ciò significa, 

che la conoscenza degli avvenimenti nazionali o 

europei non è accompagnata dall’analisi degli eventi 

che hanno coinvolto la vita dei nostri paesi. 

Fatti storici di portata sovranazionale, quali l’impero 

napoleonico o le guerre mondiali hanno avuto effetti 

molto significativi anche per le nostre Valli. Ed è per 

questo che all’istituto tecnico “Carlo Antonio Pilati” 

di Cles gli studenti delle classi quinta ragioneria e 

quinta Iti meccanica hanno voluto approfondire gli 

aspetti locali della Guerra Bianca, con un progetto 

proposto dalle docenti di storia Rosalba Bentivoglio 

e Gabriella Melchiori. 

In seguito ad una preparazione approfondita 

in classe, gli studenti hanno 

riscoperto i luoghi della guerra 

attraverso la visita a Forte Strino, al 

monumento ossario del Tonale e ai 

musei della guerra di Vermiglio e Pejo. 

Il lavoro principale è continuato dagli 

studenti che si personificano in 

veri propri ricercatori: sono raccolte 

testimonianze scritte o orali, documenti 

e oggetti che riguardano la 

vita quotidiana nel corso della Prima 

Guerra Mondiale. Si è alla ricerca di 

fotografie, lettere o diari che sono 

importanti documenti del nostro passato, 

ma spesso dimenticati in soffitte 

polverose. 

Un altro lavoro collaterale è il censimento 

dei monumenti ai caduti nei 

paesi della val di Sole e della val di 

Non. Si cercheranno notizie e dati 

sulla loro costruzione. 

I materiali raccolti saranno presentati 

all’istituto in una mostra all’interno 

della scuola. Sarà creato un cd 

sul quale saranno presenti tutte le 

informazioni ricavate; probabilmente 

sarà aperto un sito internet in cui 

tutti gli interessati potranno esaminare 

il risultato della ricerca. 

33 


Questo progetto è un piccolo pezzo di un puzzle 

che possiamo definire memoria: la memoria aiuta a 

ricordare, per far si che si possa capire veramente 

ciò che i nostri avi hanno vissuto. Ora noi vediamo 

la guerra lontana, in Iraq o Afghanistan, ma meno di 

cent’anni fa la guerra era davvero vicina. La guerra 

era sulle nostre montagne, nelle nostre famiglie, fu 

parte della vita per quattro lunghi anni. 

Con il nostro contributo, quindi, si cerca di non far 

scomparire un piccolo pezzo della storia che il tempo 

avrebbe potuto cancellare. 

Il cimitero austroungarico sul dosso di San Rocco.

cultura delle valli 

SPECCHIO, SPECCHIO DEL MIO PAESE 

Gli alunni della scuola materna di Malé 

alla scoperta dell’acqua e delle fontane 

La Federazione Provinciale delle Scuole Materne di Trento 

ha elaborato un progetto denominato “Piccole guide per 

grandi scoperte”, progetto che ha portato i bambini di tante 

scuole materne del Trentino prima ad esplorare e poi a 

raccontare il proprio territorio, il paese in cui vivono, aspetti 

particolari della loro realtà quotidiana. 

Scopo del progetto era quello di dare spazio, cittadinanza, 

rilievo ai bambini ed ai loro pensieri; era diretto a verificare 

la condizione dell’infanzia in relazione all’ambiente ed al 

mondo degli adulti, a valorizzare il mondo dei più piccoli, 

a dar loro voce, ad esaminare se l’ambiente in cui i piccoli 

crescono si preoccupa di loro, e li può aiutare nella crescita; 

voleva provare a trasformare le istituzioni in veri interlocutori 

anche dei più piccoli, senza la mediazione degli adulti. 

La prospettiva era quella di coinvolgere gruppi di alunni 

nell’esplorazione e nella conoscenza del proprio ambiente 

attraverso percorsi attivi, al fine anche di realizzare piccole 

guide per la scoperta del territorio della nostra regione 

grazie a bambini che parlano, disegnano e rappresentano 

la loro esperienza, e la raccontano ad altri bambini. Il progetto 

è stato accolto con entusiasmo da molte scuole della 

nostra provincia, ed è poi stato presentato al pubblico a 

Trento. 

Le insegnanti della Scuola Materna di Malè hanno aderito 

con entusiasmo a questa iniziativa, anche perché già coinvolte 

in un altro progetto relativo alla conoscenza ed al 

rispetto dell’elemento “acqua”, proposto dall’ente gestore 

con la guida dagli operatori dell’Agenzia Provinciale del- 

34 

la Protezione Ambientale; alla scoperta dell’acqua, già in 

programma, hanno così aggiunto anche una ricerca sulle 

fontane, da inserire nel progetto delle “Piccole Guide” ed 

hanno così portato i loro piccoli alunni alla meravigliosa 

scoperta anche dell’acqua delle fontane. 

Per noi adulti la fontana è un bene conosciuto, ciascuno 

ne ricorda gli svariati utilizzi: serviva per far abbeverare il 

bestiame, per fornire di acqua potabile le abitazioni prive di 

acqua corrente, era fonte per calmare la sete del passante, 

serviva per innaffiare gli orti, per lavare le strade; lì le donne 

lavavano i panni e pulivano i “rami de cosina”, facevano 

“filò”. Ma i nostri piccoli amici? Per loro le fontane servono 

per bere e per giocare, per spruzzare l’acqua, per abbeverare 

i cani che li accompagnano al guinzaglio, inconsapevoli 

di case e stalle senz’acqua, senza lavatrice, senza doccia o 

vasca da bagno. 

L’iniziativa ha creato in realtà un Museo all’aperto e la scuola 

Materna di Malè ha stampato un pieghevole che racconta 

le esperienze dei bambini alla scoperta di una delle tante 

fontane di Malè. Ne riproduciamo una pagina, con i disegni 

dei bambini, che si sono tanto divertiti a provare a lavare, 

come facevano le loro bis o trisnonne, come si vede nelle 

fotografie. Ma hanno anche imparato dove sono le fontane 

di Malè e delle frazioni, i nomi dei luoghi dove queste fon-

tane si trovano, i nomi delle sue parti, le caratteristiche, gli 

usi, e poi sono andati in visita al nostro Museo della Civiltà 

Solandra. Lì sono andati ancora più indietro nel tempo: le 

nostre custodi Angela e Silvia hanno prima fornito spiegazioni 

e poi montato per loro “i caucedrei sul bagilòn”, ed 

hanno accompagnato i bambini a prelevare l’acqua dalla 

fontana di fronte al Museo. Chissà se la Angela ha portato 

in cucina i caucedrei pieni, o se la meza aqua la e nada persa 

per la strada! 

L’incontro dei piccoli con il Museo è sempre un’emozione 

ed una scoperta, per loro è come entrare nel mondo delle 

fiabe, di una realtà che non conoscono affatto e con la quale 

En cima al paesòt 

su l’or de la campagna 

con l’acqua ciara e fresca 

cantava ‘na fontana. 

Al canto de quel’acqua 

la gente la se ‘ncontrava 

ma col mondo moderno 

i l’ha desmentegada! 

Alora g’era i popi 

che i nova if a giugàr 

sul’acqua ‘na barcheta 

i fòva navigar. 

LA FONTANA CANTERINA 

di Edoardo Redolfi 

Gh’era anca i matèi 

dal cör che spasimava 

i spetava la morosa 

e d’amor i se parlava. 

Dopo gh’era tante femne 

che lavava rèf e lin, 

creando ‘en tal bacàn 

da far el “Gazetìn”. 

Pasava quei pu vecli, 

la facia che sudava, 

i beveva e po’ i se dòva 

‘na bela slavaciada. 

35 


è per loro difficile confrontarsi; ma poi capiscono, eccome: 

“Una volta si costruivano le scarpe, si dovevano aggiustare 

le lenzuola perché non si poteva buttar via niente, si doveva 

accendere il fuoco al posto dei termosifoni, non si comprava 

la carne ma si ammazzavano i maiali: abbiamo capito 

che non era tanto facile vivere ai tempi dei nostri bisnonni: 

si doveva lavorare molto, faticare e risparmiare” queste le 

riflessioni dei bambini di una terza elementare in visita al 

Museo. 

Grazie alla Scuola Materna di Malè per averci voluto coinvolgere 

nel loro progetto, e arrivederci alla prossima volta. 

(f.c.) 

Adess, la fontanela 

la è deventada muta, 

en giro tut ortighe, 

la è quasi suta! 

Ancöi sen tuti siori, 

lavatrice e acqua ‘n casa, 

la cara fontanela 

l’aven desmentegada! 

Ma ‘n fondo l’è ‘l progresso, 

che ‘l fa desmentegàr, 

e l’acqua che è pasada 

no la pöl pù masnar.


UN PAESE... UNA STORIA 

Immagini che raccontano Croviana 

Maggio 2007, questa è la data in cui tutto ebbe inizio. 

Venne proposta una mostra-concorso fotografico rivolta 

a tutta la comunità il cui invito, recapitato ad ogni famiglia, 

citava così “le fotografie che vorrete scattare, ricercare e 

mettere in mostra, saranno le protagoniste di un filo narrativo 

tra passato e presente”. Purtroppo un po’ per dimenticanza 

o mancanza di tempo non era pervenuta nessuna 

fotografia. Non mi sono scoraggiata, sono andata direttamente 

di casa in casa a reperire il materiale. Insieme a loro 

osservavo e sceglievo le foto, ascoltavo i loro racconti che 

ogni immagine rievocava e in quel momento mi sentivo 

partecipe del loro passato. 

Alla fine ero riuscita a recuperare più di 800 fotografie che 

con pazienza avevo suddiviso per argomento cercando di 

dare, nell’esposizione della mostra, un percorso logico sulla 

ricostruzione degli avvenimenti che avevano caratterizzato 

la vita e l’evoluzione del paese, un unione tra il passato e 

il presente. 

Il 16 giugno del 2007 presso la sala del Mulino di Croviana 

venne inaugurata la mostra. 

Era stata una mostra viva 

dove, soprattutto la gente 

del paese, si soffermava a 

lungo ad osservare le foto 

che ritraevano le famiglie e 

le persone del passato, si rivedevano 

quando andavano 

a scuola, rivedevano famigliari 

morti nelle guerre. Tutto 

ciò li portava a ricordare, 

emozionarsi, commuoversi, 

confrontarsi e discutere 

su chi poteva essere quella 

persona o quel paesaggio. 

Era stata una mostra di scoperta 

di talenti, attraverso il 

concorso fotografico “Croviana 

vista da noi”, dove 

adulti, ragazzi/e, bambini/e si 

erano messi alla prova realizzando 

foto significative e 

meravigliose. Quindi passato 

e presente in sintonia. Ho 

raccontato tutto questo per 

di Claudia Cirina 

36 

far capire la mia scelta di realizzare il libro “Un paese … 

una storia” immagini che raccontano. Visto il grande coinvolgimento 

affettivo da parte delle persone che erano venute 

a visitare la mostra, avevo pensato che sarebbe stato 

un peccato che tutto questo “bagaglio” storico, una volta 

smantellato, andasse perduto. Quanto sono importanti i 

ricordi per non dimenticare e scoprire la storia di un paese. 

Per un libro non erano abbastanza le fotografie, bisognava 

integrarle con qualcosa di scritto. 

Il mio archivio storico più importante, oltre a quello trovato 

in Comune, sono state le testimonianze delle persone 

anziane e non, che hanno vissuto in prima persona l’evoluzione 

dei periodi storici, sopportato la miseria, fatto lavori 

duri e sacrifici affinché il paese potesse migliorare. Quando 

andavo ad intervistarli stavo lì ore ad ascoltarli, vivevo le 

loro emozioni, ogni volta era una scoperta che mi portava 

ad essere sempre più curiosa e da parte loro sentivo la 

gioia di poter finalmente raccontare a qualcuno il loro vissuto. 

Dopo due anni di lavoro, alcune volte difficile ed impegnativo, 

ecco la realizzazione di 

questo volume, che racchiude 

28 capitoli suddivisi per argomenti 

come: famiglie e persone, 

emigranti, soldati e avvenimenti 

storici, la scuola, lavori ieri e 

oggi, le malghe, i coscritti ecc., 

e dove foto e racconti si valorizzano 

a vicenda, diventando 

quasi come un libro di ricordi 

per non dimenticare la storia 

del proprio paese. 

Un ringraziamento va all’interessamento 

dell’ex assessore 

alla cultura di Croviana Laura 

Ricci, all’Assessore alla cultura 

della Provincia Autonoma 

di Trento Franco Panizza che 

hanno caldamente appoggiato 

l’iniziativa ed al personale del 

Centro Stampa e Duplicazioni 

della Regione Autonoma del 

Trentino Alto Adige che hanno 

seguito il lavoro con grande impegno 

e professionalità.

SOCIALIA 

Il comitato di redazione de La Val si rivolge a soci e fiduciari per chiedere loro maggiore collaborazione 

per la redazione di questa rubrica. Attraverso le “socialia” desideriamo comunicare ai nostri lettori 

gioie e dolori di tutti i nostri soci, una cronaca famigliare che spesso si va a rileggere anche dopo molti 

anni. Senza volerlo, qualche volta abbiamo commesso peccato di omissione, per ignoranza degli avvenimenti, 

e ci rammarichiamo per le notizie mancate, le gioie non comunicate, ancora di più per i lutti non 

condivisi. Ci rendiamo conto quanto sia facile comunicare personalmente una nascita, una laurea, un 

anniversario, un evento lieto, e quanto invece si cerchi solidarietà spontanea in caso di lutto. Chiediamo 

quindi a tutti voi, e specie ai fiduciari di zona, di voler dare comunicazione delle notizie relative ai soci 

di vostra conoscenza ed alle loro vicende famigliari, perché più grande è una gioia condivisa, e più sopportabile 

una pena; in alternativa, anche inviando un’e-mail all’indirizzo albertomosca@albertomosca.it 

LUTTI 

37 

socialia 

Lo scorso mese di agosto è improvvisamente mancata la signora Albertina Pedrazzoli di Termenago. Il Centro Studi partecipa sincere 

condoglianze ai figli Claudia, Priamo, nostro socio di Milano, e Graziella ed a tutti i famigliari. 

Il giorno 8 agosto è deceduta a Legnago (VR) la signora Albina Pedergnana, nata a Ortisè nel 1916, vissuta fino al 1969 a Bolentina e 

poi trasferitasi a Bonavigo, nel veronese. Ne danno l’annuncio il figlio Dino Tressino, nostro socio di Bonavigo, con la moglie Gabriella, 

ai quali il Centro Studi porge sincere condoglianze. 

Ricordiamo con affetto il socio Aldo Pedergnana (Gris) di Ortisè, che è mancato lo scorso 11 settembre; porgiamo le nostre condoglianze 

alla moglie Candida, ai figli Cornelio, Massimo, Eugenia, Paola, Amabile e Noemi, ai nipoti e parenti tutti. 

Porgiamo sincere condoglianze alla socia di Deggiano di Commezzadura Ivana Podetti ed ai fratelli Daniela, Giuliana, Gabriella e 

Gianni per la perdita della mamma signora Cesara Rossi, mancata improvvisamente lo scorso mese di ottobre. 

È mancato improvvisamente il nostro socio di Vermiglio Stefano Panizza. Il Centro Studi porge sentite condoglianze a tutti i famigliari. 

Partecipiamo al lutto che ha colpito la nostra socia Albertina Zanoni per la morte del padre Livio. Porgiamo sincere condoglianze 

anche alla moglie, alla figlia Bruna e a tutti i famigliari. 

Il Centro Studi porge sentite condoglianze alla socia Maristella Delpero per la perdita della madre Rosalia. 

Il 24 marzo 2010 è morto a Edolo Antonio Bettinelli (1930) marito della nostra socia Pina Paganini di Malé che con gli altri 9 fratellisorelle, 

fra cui il nuovo Sindaco Bruno, segue da tempo le nostre attività. I Bettinelli sono famiglia molto nota in Val Camonica per 

l’attività di grossista distribuzione bevande e un tempo Distilleria Adamello. Antonio era legato alla Val di Sole; alla IdroPèjo aveva il 

riferimento per acqua e bibite. Gradiva particolarmente la lettura dei libri del Centro Studi e periodicamente sottolineava: «Pòta… 

soi propri content de l’iscrisiù…!» che riceveva in dono dalla cognata di Cógolo. I familiari lo ricordano così: «La tua malattia è 

stata una riscoperta del tuo immenso affetto per la famiglia, e per noi che ti siamo stati accanto una grande lezione d’amore che 

non potrà estinguersi ora che ci hai lasciato». Condoglianze dal Centro Studi alla moglie Pina e alle figlie Elena, Monica e famigliari. 

Lo scorso 27 agosto è deceduto il socio di Arnago Alfonso Daprà; il Centro Studi partecipa sincere condoglianze alla moglie Teresa, 

ai figli Agostino e Maria Luigia, a nipoti e parenti tutti. 

Il giorno 3 settembre è deceduto il signor Armando Conta, zio dei soci Claudio ed Enrico Ravelli di Presson e della socia Marina 

Ravelli di Pellizzano. Il Centro Studi partecipa al lutto dei famigliari, in particolare delle sorelle Daria e Beppina.

socialia 

NASCITE 

Viva i nonni! La socia Stefania Bottea di Monclassico, residente a Caldonazzo è diventata nonna di un maschietto, 

Giordano, nato lo scorso mese di giugno. Congratulazioni vivissime alla neo nonna ed ai genitori Alessandro Mattè 

e Stella Carol e auguri di cuore. 

Lo scorso 7 luglio 2010 è nata Sara, figlia della nostra socia Anna Rizzi e di Luigi Gosetti di Caldes. Congratulazioni 

da parte del Centro Studi anche ai nonni Alba e Giuseppe, Rita e Marino e zii tutti. 

Il giorno 13 luglio è nato a Milano Mattia Carnevali, figlio di Cristina Rasi e di Giulio Carnevali e nipotino della 

socia Marisa Conta Rasi di Monclassico. A tutti loro e famigliari le nostre più vive congratulazioni per questo 

fiocco azzurro, ed auguri di tanta gioia. 

Grandissima gioia in casa del socio Alessandro Fantelli di Dimaro e della moglie signora Patrizia Basei per la nascita 

della primogenita Isabella, lo scorso 12 novembre. Ai genitori ed alla loro piccolina le nostre congratulazioni e 

migliori auguri. Alessandro e Patrizia non ne avranno a male se in questo momento il nostro pensiero va soprattutto 

alla gioia dei nonni Daniela e Udalrico Fantelli, nostro Presidente per vent’anni ed ora nonno per tutta la 

vita! È un ruolo magnifico, che vi auguriamo di vivere nel modo più pieno: che questa nipote sia la prima di tanti 

altri piccoli Fantelli, per regalarvi ancora tante emozioni. Un abbraccio a tutti. 

Una nota simpatica: la piccola Isabella, appena nata, è stata subito iscritta al Centro Studi, ed è quindi la più giovane 

socia che il Centro abbia mai avuto! 

Felicità da nonni anche per il socio Renato Wegher di Monclassico e per la moglie Giuliana Maroni per l’arrivo del 

piccolo Luca, per la gioia di papà Marco, della mamma Alessandra Onofrio e della zia Francesca. Il Centro Studi 

partecipa all’emozione di questo lieto evento, con tanti auguri a nonni e genitori, che Luca possa crescere sereno, 

circondato dal loro affetto. 

Il socio Giovanni Brunori di Firenze ci comunica con emozione la notizia della nascita del suo secondo nipotino, 

Nicola, avvenuta a Firenze lo scorso 2 ottobre; il Centro Studi porge vivissime felicitazioni ai genitori Veronica 

e Matteo, alla sorellina Adele, a nonno Giovanni e nonna Giovanna ed alla zia Nicoletta, ringraziandoli per aver 

voluto condividere con “i lettori della gloriosa rivista” la loro gioia. A tutti auguri di cuore. 

L’emozione del primo nipotino anche per la socia di Samoclevo Mariapia Fedrizzi, il marito Livio Pancheri, che ora 

diventerà nonno Livio, e per la zia Manuela: il 18 novembre è arrivato Antonio, a riempire di gioia la casa di papà 

Massimiliano e mamma Barbara Rizzi, accolto con tanto amore da tutti i famigliari. Ai genitori auguriamo notti 

tranquille, a tutti un futuro sereno. Congratulazioni anche ai nonni Giuseppe e Alba. 

A far compagnia a Chiara lo scorso 19 novembre è arrivata una sorellina, Gioia, figlia dei soci Luca Focher e 

Raffaella Dalla Torre di Cellentino; che il nome della loro bimba sia di buon augurio a tutta la famiglia, con vive 

congratulazioni anche ai nonni Pierino e Adelina Focher, Enrico e Teresina Dalla Torre. 

L’8 Giugno 2010 è nata Nicole, figlia della socia Mara Battistini oriunda della Val di Pèio e Adriano Ermini di Cavareno. 

La piccina fa compagnia al fratellino Alessio ed allieta le famiglie dei nonni e zii “nonesi e solandri” (il socio 

papà-nonno Dario Battistini con Graziella di Comásine) serenamente unite da vincoli parentali. Felicitazioni e 

auguri da parte del Centro Studi. 

Lo scorso 23 ottobre, fiocco azzurro nella famiglia del nostro revisore dei conti Lino Michelotti, diventato orgoglioso 

nonno di Giulio, figlio del figlio Alberto e di Federica, che andrà a far compagnia al fratellino Tommaso. 

Vivissime congratulazioni da tutti noi. 

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LAUREE 

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socialia 

Lo scorso 20 luglio presso l’Università di Modena e Reggio Emilia si è laureata a pieni voti in medicina e chirurgia Cinzia Bonvecchio, 

figlia della socia Loredana Pedrotti di Magras, discutendo con il prof. Alberto Barbieri la tesi dal titolo: “Markers di danno neuronale 

in chirurgia vascolare”. La neo dottoressa, alla quale vanno i nostri complimenti ed un particolare riconoscimento per l’impegno, ha 

con decisione e coraggio scelto quale percorso di specialità Anestesia e Rianimazione. A Cinzia felicitazioni vivissime ed auguri per 

il suo futuro, personale e professionale. 

Lo scorso 17 settembre Marzia Albasini, figlia del socio di Dimaro Fabio Albasini, ha superato l’esame di ammissione alla professione 

di Avvocato, con successivo emozionante giuramento in Tribunale, con obbligo di indossare la toga, per la soddisfazione di papà 

Fabio, di mamma Daniela e del fratello Alessio. Alla neo “Avv.” felicitazioni vivissime, complimenti ed auguri di soddisfazioni professionali, 

in un momento in cui questa antica professione è chiamata a sfide importanti. 

In data 13 ottobre 2010 Francesca Bianchi di Renazzo (Fe) figlia della socia Antonella Cazzuffi si è laureata presso l’Università degli 

Studi di Ferrara con la votazione di 110 e lode in Giurisprudenza, discutendo la tesi “La dispensa nel diritto canonico”. 

In data 25 ottobre 2010 Alessandro Bianchi di Renazzo (Fe) figlio della socia Antonella Cazzuffi si è laureato presso l’Università 

degli Studi di Ferrara con la votazione di 110 e lode in Odontoiatria e Protesi Dentaria, discutendo la tesi “Cisti dentigere e ritardo 

eruttivo: una relazione bidirezionale”. Familiari, parenti, amici e il Centro Studi, si congratulano con i neo dottori. 

Il giorno 26 ottobre 2010, presso l’Università degli studi di Padova, ha conseguito la laurea specialistica in Psicologia clinico-dinamica 

con 110 e lode Silvia Podetti, figlia del socio Pietro Podetti di Terzolas, discutendo con la professoressa Silvia Salcuni la tesi dal titolo 

“Multimethod assessment nei pazienti obesi: studio esplorativo della personalità, dell’immagine corporea e dell’attaccamento”. A 

Silvia e al papà, già membro della Direzione del Centro, calorose congratulazioni. 

Daniele Daprà, figlio del nostro socio di Cogolo Mauro Daprà, ha conseguito lo scorso 13 ottobre il diploma di laurea triennale 

presso l’Università di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Discipline della mediazione linguistica e culturale, 

discutendo con il Prof. Giovanni Cara la tesi dal titolo: “La memoria historica en soldados de Salamina entre literatura y cine”. 

Congratulazioni a Daniele ed a tutta la famiglia, a papà Mauro, a mamma Afra, alla sorella Laura che lo hanno sostenuto. Vivissimi 

complimenti, muchas felicidades e auguri per il prossimo traguardo della laurea specialistica. 

In occasione della XIVa edizione del premio Giornalistico Val di Sole anno 2009 il Centro Studi ha voluto premiare 

Samantha Cristoforetti, figlia della socia Antonella Pedrotti di Malè, prima astronauta italiana. Lo scorso 22 novembre 

l’agenzia spaziale europea ha organizzato a Colonia, presso il Centro Astronauti Europeo, una cerimonia ufficiale in 

onore dei nuovi astronauti, per segnare il completamento del loro corso di base. Il tenente Cristoforetti ha completato 

l’Addestramento di Base, la prima fase di preparazione di un astronauta, che comprende informazioni sull’ESA 

e su altre Agenzie spaziali e sui loro principali programmi, conoscenze di base di ingegneria spaziale e di ingegneria 

elettrica; ha studiato i sistemi di trasporto come lo Space Shuttle e la Soyuz, ed ha concluso l’addestramento con 

corsi specifici quali immersione subacquea, basilare per le passeggiate spaziali, robotica, sopravvivenza, avvicinamento 

e attacco, studio della lingua russa, comportamento umano, primo soccorso e prove attitudinali. 

Le diverse fasi dell’addestramento sono documentate in un video che può essere visionato sul portale dell’ESA. 

Il Centro Studi continuerà a seguire la meravigliosa carriera di Samantha, rinnovandole stima e fiducia, congratulazioni 

per i traguardi intermedi, auguri per il futuro che desidera. 

IL MUSEO RINGRAZIA il socio Renzo Andreis che ha donato al Museo una bellissima bicicletta d’altri tempi, 

marca MILENE, con tanto di freni a stanghetta (o a bacchetta) e borsetta sottosella originali; fu acquistata 

nell’estate del 1935 da Andrea Ruatti, mugnaio di Pracorno, nel negozio di Sisinio Andreis a Malè. Il figlio Renzo, 

uno dei nove figli di Sisinio, ha recuperato la bicicletta, che porta ancora l’etichetta del negozio del papà, l’ha 

sistemata e l’ha poi generosamente donata al Museo, dove ora fa bella mostra di sé, perfettamente funzionante. 

Grazie al Cav. Renzo Andreis per questo atto di generosità e di collaborazione.

NOTIZIARIO DEL CENTRO STUDI PER LA VAL DI SOLE 

Lo spartito di un “Magnificat”, scritto e cantato in Val di Sole.

Notiziario del Centro Studi per la Val di Sole - Centro Studi Val di Sole

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