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Don Giovanni tra comico e tragico: Tirso e Molière

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VALERIA MEROLA<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico:<br />

<strong>Tirso</strong> e <strong>Molière</strong><br />

Il <strong>tra</strong>gico di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong><br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> si rivela una figura ossimorica già con il suo statuto di mito<br />

letterario 1 , che lo rende indipendente dall’autore e dall’opera da cui nasce. La<br />

sua stessa natura mitica è sospesa <strong>tra</strong> la morte, ovvero lo scontro con il sovrannaturale,<br />

e la vita, di cui <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, nell’incostanza e nel movimento, è<br />

peraltro incarnazione suprema 2 . Immagine di Eros, ma di un eros portato alle<br />

estreme conseguenze dalla ripetizione e quindi svuotato di senso e reso ineluttabile<br />

come Thanatos, <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> partecipa contemporaneamente della dimensione<br />

della vita e di quella della morte: in questo è naturale e sovrannaturale,<br />

terreno e ul<strong>tra</strong>terreno. In lui si uniscono incostanza e movimento della vita e<br />

dell’amore e costanza e fissità della morte e della statua; fuoco della passione e<br />

del peccato e gelo del marmo. Ma l’ossimoro principale di cui egli si fa portatore<br />

è la coesistenza di libertà e necessità: il conflitto insanabile primario, che<br />

ripete e sottolinea tutti gli altri, e che rende il mito di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> un mito<br />

intimamente legato al <strong>tra</strong>gico 3 .<br />

1 Tra gli studi più importanti sul mito di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, ricordiamo: G. GENDARME DE<br />

BÉVOTTE, La Légende de <strong>Don</strong> Juan. Son évolution dans la littérature des origines au romantisme,<br />

Paris, Hachette, 1906; G. MACCHIA, Vita, avventure e morte di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, Bari,<br />

Laterza, 1966; J. ROUSSET, L’intérieur et l’extérieur. Essais sur la poésie et sur le théâtre au<br />

XVII e siècle, Paris, José Corti, 1976; ID., Le mythe de <strong>Don</strong> Juan, Paris, Colin, 1978 [Il mito di<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, Parma, Pratiche, 1980]; C. DUMOULIÉ, <strong>Don</strong> Juan ou l’Héroïsme du désir,<br />

Paris, PUF, 1978; M. MOLHO, Mythologiques, Paris, José Corti, 1995; P. BRUNEL,<br />

Dictionnaire de <strong>Don</strong> Juan, Paris, Laffont, 1999.<br />

2 ROUSSET, Le mythe de <strong>Don</strong> Juan, cit.<br />

3 Per la definizione del mito di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> rimando alle fondamentali pagine di F.<br />

ANGELINI, Barocco italiano, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, a cura di R.<br />

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Valeria Merola<br />

È nella scena dell’incontro e della cena con il morto che le due istanze antitetiche<br />

di libertà e necessità vengono a collidere <strong>tra</strong>gicamente 4 . Con l’invito a<br />

cena del morto, <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> infrange il tabù mitico di mangiare con i morti<br />

(in Da Ponte «non si pasce di cibo mortale / chi si pasce di cibo celeste») 5 e<br />

pene<strong>tra</strong> prepotentemente in uno spazio che non gli è proprio. Accettando la sfida<br />

con il soprannaturale, egli si colloca in una condizione di soglia, di limite <strong>tra</strong>gico<br />

lukacsiano 6 . D’al<strong>tra</strong> parte, nella stessa infrazione del tabù è già inscritto l’esito<br />

<strong>tra</strong>gico del conflitto, soprattutto se comparato, accogliendo il suggerimento di<br />

Renato Raffaelli 7 , con analoghe situazioni shakespeariane, come il banchetto di<br />

Macbeth cui viene invitato il morituro Banquo o il sogno di Cinna, in cui c’è un<br />

banchetto con Cesare, nella <strong>tra</strong>gedia omonima.<br />

Se anche presenta gli attributi fondativi del <strong>tra</strong>gico, il mito di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong><br />

porta impressi i segnali identificativi del <strong>comico</strong>. In primo luogo l’epilogo della<br />

vicenda, che è un lieto fine, ovvero, grazie al superamento della situazione <strong>tra</strong>gica,<br />

un finale da commedia. È il caso del Burlador de Sevilla di <strong>Tirso</strong> de<br />

Molina, che si conclude con la ricomposizione nel matrimonio delle coppie<br />

ingannate e così sottolinea il ritorno all’ordine, stabilito dall’allontanamento<br />

dell’elemento di disturbo, ottenuto con la morte di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>. Nella battuta<br />

finale di Sganarelle, che nel Dom Juan di <strong>Molière</strong> commenta la scena della<br />

catabasi del padrone, preoccupandosi per il suo stipendio («Mes gages, mes<br />

gages!»), c’è ugualmente una ricomposizione verso il <strong>comico</strong>, anche se con una<br />

meno stridente tendenza al grottesco, perché la battuta fa precipitare l’attenzione<br />

in una prospettiva addirittura scatologica (a maggior ragione se vogliamo<br />

dare ascolto alla nota associazione <strong>tra</strong> denaro ed escrementi), subito dopo aver<br />

raggiunto la massima profondità nel contatto con il soprannaturale. Tipicamente<br />

da commedia è invece il finale del <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> di Da Ponte, in cui alla morte<br />

del protagonista fanno seguito i matrimoni e Leporello che va a bere all’osteria,<br />

secondo stereotipi da opera buffa. In tutti i casi la morte rimbalza prepotentemente<br />

nella vita: di qui il <strong>comico</strong> e l’annullamento di una catarsi, che comunque<br />

si è realizzata.<br />

Comico è inoltre lo stile e il tono di ognuna delle <strong>tra</strong>sposizioni del mito. La<br />

comicità è data dalla presenza del servo, che, con il suo eloquio fitto di lazzi e<br />

Alonge e G. Davico Bonino, Torino, Einaudi, 2000, vol. I, La nascita del teatro moderno.<br />

Cinquecento-Seicento, pp. 193-275.<br />

4 Si veda G. DELEUZE, Le pli. Leibniz et le baroque, Paris, Les Editions de Minuit, 1988.<br />

5 Affronta diffusamente il tema, impostando su esso la propria lettura del mito, R.<br />

RAFFAELLI, Variazioni sul <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, Urbino, Quattroventi, 1990, di cui si veda anche<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> antropologia e filologia, Parma, Guaraldi, 2006.<br />

6 G. LUKÁCS, Metafisica della <strong>tra</strong>gedia, in L’anima e le forme, Milano, Sugar, 1963,<br />

pp. 303-47.<br />

7<br />

RAFFAELLI, Variazioni…, cit.<br />

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<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

giochi di parole e con la sua spiritosaggine, invade tutta la pièce. Anche <strong>Don</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> è condizionato dal servo al punto da diventarne il doppio, imitandone<br />

l’attitudine allo scherzo e al gioco. Il movimento di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> diventa<br />

gioco, e in questo senso scherzo e burla.<br />

A legittimare l’iscrizione della vicenda nella categoria del <strong>comico</strong>, contribuisce<br />

anche la caratterizzazione dei personaggi, che sono tipicamente da commedia.<br />

Come nella commedia c’è una commistione di personaggi alti e bassi, evidente<br />

nella stessa figura del protagonista capace di sedurre indifferentemente<br />

nobili e paesane. Dal catalogo di Leporello emerge chiaramente che <strong>Don</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> conquista mosso solo dal «piacer di porle in lista», senza alcuna passione.<br />

La sua ragion d’essere è l’accumulazione: «purché porti la gonnella voi<br />

sapete quel che fa» 8 . E per quanto i romantici po<strong>tra</strong>nno leggerci la ricerca dell’assoluto,<br />

il catalogo è decisamente anti-<strong>tra</strong>gico, contribuendo piuttosto alla<br />

caratterizzazione di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> in senso <strong>comico</strong>. <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> fa pensare<br />

all’attor giovane della commedia dell’arte o anche, ancora duplicando la figura<br />

del servo, allo Zanni 9 . Qui si riscon<strong>tra</strong> un altro elemento a favore del <strong>comico</strong>. È<br />

infatti <strong>comico</strong> che il servo commenti e degradi le azioni del padrone imitandole<br />

grottescamente. Questo fa scadere l’agire di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, che è abbassato di<br />

grado e involgarito nel momento stesso in cui viene enfaticamente celebrato.<br />

Pur presentando gli attributi identificativi del <strong>comico</strong>, il mito di don<br />

<strong>Giovanni</strong> è tuttavia <strong>tra</strong>gico, perché gli stessi elementi si caricano di segno opposto.<br />

È per esempio il caso del personaggio del servo, in cui si è rin<strong>tra</strong>cciata una<br />

delle principali componenti di comicità. Proprio nell’atto che si è visto caratterizzare<br />

maggiormente il personaggio in senso <strong>comico</strong>, la ripetizione e quindi la<br />

degradazione delle azioni del padrone, il servo conferisce spessore <strong>tra</strong>gico a<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>. Non riuscendo a imitarlo, il servo determina l’isolamento del<br />

padrone, che dal divario guadagna il riconoscimento del proprio eroismo e lo<br />

statuto di personaggio alto, adatto alla scena <strong>tra</strong>gica. Il servo ama le donne, ma<br />

non sa sedurle, mangia, ma è un ingordo: niente a che vedere con l’ars amatoria<br />

e con le cene con il morto del padrone. E così, anche ammettendo che en<strong>tra</strong>mbi<br />

siano ricalcati sulla maschera dello Zanni, il servo ne incarna il lato pauroso,<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> quello ingannatore.<br />

La paura e il timor di Dio rendono il servo, soprattutto nella scena seicentesca,<br />

immagine della concretezza realistica e della prudenza, in con<strong>tra</strong>sto con le<br />

8 L. DA PONTE, <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, in Memorie, I libretti mozartiani, Milano, Garzanti, 1976,<br />

le due citazioni sono <strong>tra</strong>tte dall’aria del catalogo, I, 5. Sull’opera di Da Ponte-Mozart rimando<br />

almeno a P.-J. JOUVE, Le <strong>Don</strong> Juan de Mozart, Paris, Bourgois, 1983 [<strong>tra</strong>d. it. Il <strong>Don</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> di Mozart, Milano, Adelphi, 2001]; M. MILA, Lettura del <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> di Mozart,<br />

Torino, Einaudi, 1988 e 2000.<br />

9 Ne parla, <strong>tra</strong> gli altri, A. FORTI LEWIS, Maschere, libretti e libertini: il mito di <strong>Don</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> nel teatro europeo, Roma, Bulzoni, 1992.<br />

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Valeria Merola<br />

quali si definisce la dimensione eroica di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>. Dalla comica codardia<br />

del servo viene esaltata la <strong>tra</strong>gicità di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, che sfida con <strong>tra</strong>cotanza la<br />

divinità. Nella sfida <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> è completamente isolato: non ha doppio, non<br />

ha spalla che possa ripeterne le azioni. Questo sopraggiunto isolamento getta una<br />

luce particolare su tutta la vicenda, che rivela la paradossale chiusura su se stesso<br />

di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> e la sua assenza di comunicazione reale con gli altri personaggi.<br />

Egli non ha interlocutori sulla scena: l’unico scambio avviene con la statua, che<br />

gli consente il contatto con la dimensione ul<strong>tra</strong>terrena di cui egli inevitabilmente<br />

partecipa e a competere con la quale aspira. <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> non comunica con gli<br />

altri personaggi, ma è oggetto costante di tutte le comunicazioni che avvengono<br />

sulla scena. Tutto ruota intorno a lui: di qui l’unità d’interesse, che supplisce all’unità<br />

d’azione, in ossequio alla struttura classica del dramma.<br />

Secondo Jean Rousset è nel finale che ci accorgiamo di aver assistito alla<br />

rappresentazione di una <strong>tra</strong>gedia. Nel suo studio sul mito di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, egli<br />

sostiene infatti che nel finale la <strong>tra</strong>gedia cade in oblio, ma dopo essersi realizzata,<br />

con tutte le conseguenze, evidenti, nella pièce di <strong>Molière</strong>, nella battuta di<br />

Sganarelle. Il finale <strong>comico</strong> in realtà non è un finale: <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, che era il<br />

protagonista, non è più in scena.<br />

Nel passare in rassegna gli elementi identificativi del <strong>comico</strong> e nell’osservare<br />

la loro inversione di segno in direzione del <strong>tra</strong>gico, un’attenzione particolare merita<br />

la burla. La burla rien<strong>tra</strong> <strong>tra</strong>dizionalmente nel canone del <strong>comico</strong>: si pensi alla<br />

commedia classica e ai servi imbroglioni di Plauto, nonché alla <strong>tra</strong>dizione novellistica,<br />

ma più ancora ai fasti recenti della Commedia dell’Arte. È il servo che<br />

inganna e si prende gioco del padrone credulone, con giochi di parole, lazzi, scambi<br />

di persone, <strong>tra</strong>vestimenti. Nel mito di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> la burla subisce un innalzamento<br />

di grado, diventando elemento del <strong>tra</strong>gico nella doppia e ambivalente accezione<br />

di inganno e di dissimulazione, e di beffa, ol<strong>tra</strong>ggio. La burla conquista il<br />

<strong>tra</strong>gico moderno, perché diviene in <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> lo spazio della libertà del personaggio<br />

e della <strong>tra</strong>gedia dell’intelligenza, e non più pura emanazione dell’inferiorità<br />

anzitutto sociale del personaggio. Nella burla, negli inganni e nelle menzogne si<br />

ritrova infatti l’attenzione barocca per l’argutezza e l’ingegno. La burla è la mise<br />

en abyme del conflitto barocco <strong>tra</strong> realtà e apparenza. Da questo nasce il <strong>tra</strong>gico<br />

della conoscenza: l’impossibilità di cogliere il reale. È il <strong>tra</strong>gico del sogno di<br />

Sigismondo, ma anche dell’impossibilità all’azione di Amleto: lo sfasamento <strong>tra</strong><br />

volontà e azione, lo scardinamento del tempo che fa dire all’eroe shakespeariano<br />

The time is out of joint. O cursed spite<br />

That ever I was born to set it right! 10<br />

10 W. SHAKESPEARE, Hamlet, edited by T. J. B. Spencer, London, Penguin, 1980, I, 5,<br />

vv. 188-9.<br />

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Il <strong>tra</strong>gico nel Burlador de Sevilla di <strong>Tirso</strong> de Molina (1630)<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

Il Burlador de Sevilla non è una <strong>tra</strong>gedia. La pièce di <strong>Tirso</strong> è soprattutto un<br />

auto sacramental: un dramma che nasce nel milieu dei collegi gesuitici e che si<br />

propone in primo luogo di fornire un esempio di condotta peccaminosa punita.<br />

L’intento di <strong>Tirso</strong> è dimos<strong>tra</strong>re qual è il destino cui va incontro il dissoluto per<br />

aver usato male il suo libero arbitrio.<br />

L’appartenenza all’ordine gesuitico porta <strong>Tirso</strong> a un’inevitabile condanna del<br />

proprio personaggio, che, in quanto protagonista di un dramma edificante, deve<br />

scontare in modo esemplare gli errori commessi. Di qui la scelta di un finale <strong>tra</strong>gico<br />

come quello proposto da <strong>Tirso</strong>: la catabasi di <strong>Don</strong> Juan, divorato da fiamme<br />

infernali evocate sulla scena sempre in osservanza del principio dell’evidenza<br />

visiva, l’ipotiposi, da ultimo di ignaziana memoria. Allo stesso principio<br />

rispondono anche la ripetizione ossessiva delle colpe e gli spostamenti multidirezionali<br />

e frenetici che inscrivono <strong>Don</strong> Juan nella dimensione dell’eccesso e<br />

dell’enormità del male.<br />

Diversi elementi caratterizzano il personaggio di <strong>Don</strong> Juan come esempio.<br />

Egli è «un hombre sin nombre» 11 , senza al<strong>tra</strong> identità che quella di uomo. È un<br />

everyman delle sacre rappresentazioni medievali. E come una sacra rappresentazione,<br />

in effetti, si svolge il suo dramma: per stazioni. Anche se cambiano i luoghi,<br />

<strong>tra</strong> Siviglia e Napoli, i contesti e i personaggi, di es<strong>tra</strong>zione alternativamente<br />

nobile o paesana, lo schema della vicenda si ripropone sempre uguale fino<br />

all’incontro con il morto, ovvero alla resa dei conti finale.<br />

Nella ripetizione dello schema della seduzione e della burla, <strong>Don</strong> Juan si<br />

rivela un esempio perché non cresce. Nella sua storia non c’è alcuna formazione<br />

(quasi anzi una anticipazione e con<strong>tra</strong>rio del futuro romanzo di formazione): il<br />

personaggio rimane sempre uguale a se stesso senza imparare niente dai propri<br />

errori. In questo egli non è un eroe moderno, ma assomiglia piuttosto al protagonista<br />

di un romanzo picaresco, con il quale condivide l’episodicità e la riproposizione<br />

della vicenda e la mancanza quasi di coscienza del proprio agire. La<br />

nota dominante di <strong>Don</strong> Juan è il libero arbitrio 12 . <strong>Don</strong> Juan è soprattutto un<br />

uomo libero, che porta la propria libertà alle estreme conseguenze. Il movimen-<br />

11 TIRSO DE MOLINA, El burlador de Sevilla, edición de A. Rodríguez López-Vázquez,<br />

Madrid, Cátedra, 2004 13 , jornada primera, v. 15. <strong>Don</strong> Juan usa questa formula per presentarsi<br />

a Isabella.<br />

12 Sulla questione del libero arbitrio si veda la disputa <strong>tra</strong> Luigi Molina, autore della<br />

Concordia del libero arbitrio con la grazia, e Domenico Bañez, con i suoi Scholastica<br />

Commentaria. Mentre Molina sostiene la teoria del “concorso simultaneo”, per cui la partecipazione<br />

di Dio all’azione dell’uomo è solo generica, Bañez crede piuttosto che il libero arbitrio<br />

sia il risultato della volontà divina.<br />

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Valeria Merola<br />

to e l’incostanza sono del resto immagini concrete della libertà intesa nelle sue<br />

coordinate spazio-temporali di varietas.<br />

Inserendosi nella <strong>tra</strong>dizione del dramma edificante, nel Libero arbitrio,<br />

Emanuele Tesauro 13 , a dimos<strong>tra</strong>zione della piena responsabilità dell’individuo<br />

nella determinazione del suo destino, propone i casi esemplari di Aquilio e<br />

Lucillo. Tesauro mos<strong>tra</strong> gli effetti opposti delle scelte degli uomini in direzione<br />

del bene o del male, a seconda che abbiano asservito il loro libero arbitrio al<br />

Timor di Dio, ovvero alla Prudenza, come nel caso di Aquilio, o che si siano<br />

lasciati accecare dall’Amor Proprio, come Lucillo. Anche <strong>Don</strong> Juan, indirizzando<br />

le proprie scelte nel segno dell’Amor proprio e dimenticando la guida della<br />

Prudenza, rien<strong>tra</strong> nella tipologia proposta da Tesauro. Le seduzioni, gli inganni<br />

e il vitalismo di <strong>Don</strong> Juan, più in generale, rispondono a questo atteggiamento,<br />

così come il piacere di fingersi un altro, di recitare, di puntare l’attenzione su se<br />

stesso e sulla propria identità continuamente dissimulata. La condotta imprudente<br />

e lo sguardo rivolto su di sé, sono d’al<strong>tra</strong> parte attributi qualificativi di<br />

quella che si rivela essere la caratteristica fondamentale di <strong>Don</strong> Juan: la giovinezza<br />

14 . Il personaggio di <strong>Tirso</strong> è infatti soprattutto un giovane, che crede sia<br />

troppo presto per pensare alla morte e che il tempo per pentirsi dei propri peccati<br />

sia illimitato. La giovinezza lo lega all’amore, alla cui personificazione <strong>Don</strong><br />

Juan è spesso accostato. Da Amore <strong>Don</strong> Juan mutua la condizione di bambino<br />

in virtù della quale si inserisce nella dimensione del gioco. Le parole che Ottavio<br />

utilizza per descrivere le bizzarrie del sentimento, si prestano anche a <strong>tra</strong>cciare<br />

i lineamenti del personaggio di <strong>Don</strong> Juan: «acuéstase, no sosiega, / siempre<br />

quiere madrugar / por levantarse a jugar, / que, al fin, como niño, juega» 15 .<br />

L’inquadramento del personaggio nella sfera del gioco legittima e qualifica l’atteggiamento<br />

incostante e l’insoddisfazione smaniosa, il gusto ludico, appunto,<br />

per l’accumulazione e la varietas. Al gioco e alla giovinezza appartiene anche il<br />

movimento, che, come si è visto, costituisce l’immagine principale di rappresentazione<br />

dell’incostanza in questo <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> spagnolo.<br />

Nel suo essere eccessivo e mostruoso, almeno stando alle descrizioni che di<br />

lui fanno gli altri personaggi, <strong>Don</strong> Juan è un personaggio <strong>tra</strong>gico. È la condizione<br />

di limite e di <strong>tra</strong>cotanza a conferirgli lo statuto eroico confacente alla <strong>tra</strong>gedia.<br />

L’eccessività è evidente in primo luogo nell’imprudenza: <strong>Don</strong> Juan crede in<br />

Dio, ma non lo teme. Per questo non coglie i segnali del <strong>tra</strong>gico, o meglio i<br />

funesti presagi, che sono disseminati in tutto il testo. Il Burlador è infatti un<br />

13 Pubblicato in M. L. DOGLIO, Un dramma inedito di Emanuele Tesauro: Il libero arbitrio,<br />

in «Studi secenteschi», X, 1969, pp. 163-242.<br />

14 E. BALMAS, Il mito di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> nel Seicento francese, Roma, Lucarini, 1986<br />

accenna al motivo della giovinezza.<br />

15 TIRSO DE MOLINA, El burlador…, cit., I, vv. 225-8.<br />

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dramma in cui la morte, e quindi il finale da <strong>tra</strong>gedia, si affaccia sin dalla prima<br />

battuta. La morte è promessa e paventata progressivamente da tutti i personaggi,<br />

come punizione equa ai misfatti di <strong>Don</strong> Juan. Ma, cosa ben più rilevante, la<br />

morte è continuamente sfidata dallo stesso <strong>Don</strong> Juan, che si dichiara ogni volta<br />

pronto a morire, sicuro della lontananza del pericolo: «bien puedo perder la<br />

vida, / mas ha de ir tan bien vendida / que a alguno le ha de pesar» 16 .<br />

Pur presente fin dall’inizio, la morte è controbilanciata dall’immagine del bambino<br />

che <strong>Don</strong> Juan rappresenta, a creare così una situazione ossimorica di conflitto<br />

<strong>tra</strong>gico. Nel gioco degli opposti <strong>tra</strong> la morte e la vita, <strong>Don</strong> Juan è alternativamente<br />

bambino che gioca e uomo che par morto, in un’eterna rincorsa al <strong>tra</strong>vestimento e<br />

allo scambio di ruoli, per cui <strong>Don</strong> Juan non è mai se stesso, ma continuamente cerca<br />

di impossessarsi dell’essere di un altro. Paradossalmente, l’essere di <strong>Don</strong> Juan si<br />

rivelerà solo nella morte, di fronte alla quale non valgono <strong>tra</strong>vestimenti. In questa<br />

prospettiva, le continue incursioni della morte nel tessuto del dramma potrebbero<br />

addirittura essere lette come delle sporadiche apparizioni dell’essere, quasi dei<br />

richiami all’ordine, contro l’imprudenza e la maschera, che ne è l’emblema.<br />

Le en<strong>tra</strong>te in scena della morte, con tutta la loro valenza di <strong>tra</strong>gico, assolvono<br />

la funzione di presagio dell’oracolo della <strong>tra</strong>gedia classica. Esse sono infatti<br />

poco più che delle apparizioni, modernamente assorbite dalla parola nella forma<br />

di ammonizioni, che quasi tutti i personaggi rivolgono a <strong>Don</strong> Juan. È il caso di<br />

Catalinon, che inserisce costantemente l’elemento provvidenziale della prudenza,<br />

ricordando al suo padrone che ogni burlatore sarà burlato nel momento<br />

estremo della morte («que el que vive de burlar, / burlado habrá de quedar» 17 ).<br />

Ma è anche il caso di <strong>Don</strong> Gonzalo («Seguirále mi furor, / que es <strong>tra</strong>idor, y el<br />

que es <strong>tra</strong>idor / es <strong>tra</strong>idor porque es cobarde» 18 ), del padre che lancia le sue<br />

maledizioni contro il figlio ribelle all’autorità e di Batrizio che preferisce morire<br />

di dolore, piuttosto che «vivir con engaños» 19 . Di particolare interesse, nell’àmbito<br />

di questa visione, il commento che i musici forniscono nel coro:<br />

Adviertan los que de Dios<br />

juzgan los castigos tarde,<br />

que no hay plazo que no llegue<br />

ni deuda que no se pague 20 .<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

L’inequivocabile funzione di oracolo svolta dal coro, che prospetta la fine<br />

<strong>tra</strong>gica invitando ancora una volta il peccatore alla prudenza, trova risonanza nel<br />

16 Ivi, I, vv. 38-40.<br />

17 Ivi, II, vv. 1391-2.<br />

18 Ivi, II, vv. 1634-6.<br />

19 Ivi, III, v. 1974.<br />

20 Ivi, III, vv. 2868-71.<br />

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Valeria Merola<br />

verdetto emesso dalla statua, che per condannare <strong>Don</strong> Juan ricorre alla saggezza di<br />

un vecchio proverbio popolare, a sottolineare l’enormità dell’errore, «quien tal<br />

hace, que tal pague» 21 . L’accostamento delle due sentenze, quella ammonitrice del<br />

coro e quella minacciosa di <strong>Don</strong> Gonzalo, scatena un inevitabile effetto di ironia<br />

<strong>tra</strong>gica, elemento che concorre ulteriormente alla definizione di <strong>tra</strong>gedia per il<br />

Burlador. L’ironia <strong>tra</strong>gica, mentre si somma alla <strong>tra</strong>cotanza, è evidente nelle parole<br />

di <strong>Don</strong> Juan, che ripete ossessivamente quello che diviene quasi un ritornello nel<br />

suo dramma: «lunga scadenza mi dai», «si tan largo me lo fias / vengan<br />

engaños» 22 . Nella hybris del protagonista si coglie la portata <strong>tra</strong>gica di una duplice<br />

sfida eroica: quella contro la morte e il destino, in primo luogo, che si evolve,<br />

secondo aspetto della sfida, nel finale ol<strong>tra</strong>ggio al morto. Convinto di disporre di<br />

un tempo illimitato per pentirsi, l’ingannatore di Siviglia crede di potersi burlare<br />

della morte e del suo inevitabile giudizio. Di qui la continua provocazione di <strong>Don</strong><br />

Juan, che agli occhi del lettore-spettatore, educato con i principi controriformistici<br />

e quindi consapevole della vanità della pretesa di pentirsi in estremo, appare come<br />

ironia <strong>tra</strong>gica. Sarà proprio la «lunga scadenza», infatti, a determinare la condanna<br />

di <strong>Don</strong> Juan, rivoltandosi contro lui che su di essa aveva impostato il proprio atteggiamento<br />

imprudente. Per questo l’eccessiva fiducia nel tempo a propria disposizione,<br />

emblematicamente rappresentato dalla giovinezza, si rivela la colpa <strong>tra</strong>gica<br />

di <strong>Don</strong> Juan. Come nota Umberto Curi nel suo saggio sulla Filosofia del <strong>Don</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> 23 , <strong>Don</strong> Juan non è punito per le seduzioni su cui si fonda il mito del dongiovannismo,<br />

ma perché nega la concezione teogonica dell’amore inteso come<br />

agape e perché esaspera il suo ateismo rimandando all’infinito la conversione.<br />

Per il gesuita <strong>Tirso</strong>, la colpa di <strong>Don</strong> Juan consiste nell’imprudenza e nel non<br />

aver saputo cogliere gli avvisi del Cielo. Sono gli infausti presagi di cui parla<br />

Catalinon nel suo resoconto dell’incontro infernale, i molteplici segni di morte<br />

che avevamo individuato come spie del <strong>tra</strong>gico. Non si <strong>tra</strong>tta dunque solo delle<br />

minacce e dei ripetuti inviti al pentimento che gli altri personaggi gli rivolgono,<br />

ma anche e soprattutto della fitta rete di immagini di cui la pièce è intessuta. Si<br />

pensi in particolare al rilievo che assume la metaforica del fuoco, spesso abbinata<br />

al gelo, in un binomio che ricorda i conflitti insanabili su cui si fonda il mito.<br />

Dalla scena dell’incontro con Tisbea in poi, il testo si arricchisce di immagini<br />

legate al fuoco (come la salamandra, cui è paragonato l’amante 24 ), che culmina-<br />

21 Ivi, III, v. 2897. Nella sua <strong>tra</strong>duzione (TIRSO DE MOLINA, L’ingannatore di Siviglia, a c.<br />

di L. Dolfi, Torino, Einaudi, 1998), Laura Dolfi propone per la sentenza di <strong>Don</strong> Gonzalo il<br />

proverbio: «chi il male fa, male aspetti».<br />

22 III, vv. 2056-7.<br />

23 U. CURI, Filosofia del <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>. Alle origini di un mito moderno, Milano, Bruno<br />

Mondadori, 2002.<br />

24 «Triste y mísero de aquel / que en su fuego es salamandra», ivi, I, vv. 968-9. Ci sono<br />

anche altre immagini del fuoco. Per esempio nelle parole di Tisbea a <strong>Don</strong> Juan: «pues venís<br />

150


no in «Troya en las llamas» 25 . L’accostamento della dimora di Tisbea sedotta e<br />

abbandonata con la scena di Troia che brucia appare piuttosto significativo,<br />

soprattutto perché segue all’identificazione di <strong>Don</strong> Juan naufrago con Enea.<br />

Un hombre al otro aguarda<br />

que dice que se ahoga,<br />

gallarda cortesía.<br />

En los hombros le toma:<br />

anquises le hace Eneas<br />

si el mar está hecho Troya 26 .<br />

Come scrive Laura Dolfi, rifacendosi alle osservazioni di A. Rodríguez, l’avvicinamento<br />

di <strong>Don</strong> Juan a Enea 27 , in questa fase del dramma, «anticipa l’intreccio»<br />

28 , facendo già presagire l’epilogo drammatico. La prefigurazione del finale<br />

del micro-intreccio funziona anche come anticipo dell’esito infernale della<br />

vicenda del protagonista. Non bisogna infatti dimenticare che la metaforica del<br />

fuoco nel Burlador ha il duplice intento di alludere alle fiamme della passione 29<br />

e a quelle dell’inferno 30 , che in questa prospettiva appaiono intimamente legate.<br />

L’insistenza sul fuoco, mentre fa da scenario agli inganni amorosi, già li iscrive<br />

nel territorio infernale della colpa. Anche a livello puramente empirico, nella<br />

dinamica della seduzione è sempre contemplata la morte, che resta fissa all’orizzonte.<br />

Sebbene ne sia consapevole, <strong>Don</strong> Juan preferisce ignorare questa presenza<br />

incombente della morte e concen<strong>tra</strong>rsi sulla vita. L’episodio del naufragio ne<br />

è un esempio lampante:<br />

Vivo en vos, si en el mar muero,<br />

[...]<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

formado de agua / y estáis preñado de fuego; / y si mojado abrasáis, / estando enjunto, ¿ qué<br />

haréis? / Mucho fuego prometéis, / ¡Plega a Dios que no mintáis!», ivi, I, vv. 655-60. O ancora<br />

in quelle di <strong>Don</strong> Juan a Tisbea: «Gran parte del sol mostráis, / pues que el sol os da licencia,<br />

/ pues sólo con la aparencia, / siendo de nieve, abrasáis», ivi, vv. 677-80.<br />

25 Ivi, I, v. 1035.<br />

26 Ivi, I, vv. 527-32.<br />

27 Ci sono anche altri elementi che rimandano alla vicenda di Enea. Per esempio quando<br />

Tisbea dice a <strong>Don</strong> Juan «Parecéis caballo griego / que el mar a mis pies desagua» (I, vv. 653-<br />

4), immagine in cui è già presente l’inganno.<br />

28 Il riferimento è alla nota 47 di pagina 27 dell’edizione curata dalla Dolfi.<br />

29 Per esempio nelle parole di Tisbea «ven, y será la cabaña / del amor, que me acompaña,<br />

/tálamo de nuestro fuego», ivi, I, vv. 995-7.<br />

30 Le fiamme infernali non sono presenti solo nella scena finale della catabasi, ma anche<br />

in quella della stretta di mano con la statua. A <strong>Don</strong> Juan che brucia e che chiede pietà, <strong>Don</strong><br />

Gonzalo risponde che «Aqueste es poco / para el fuego que buscaste» (III, vv. 2888-9), a sottolineare<br />

il legame con le altre immagini ignee disseminate nella pièce.<br />

151


Valeria Merola<br />

Ya perdí todo el recelo<br />

que me puedia anegar<br />

pues del infierno del mar<br />

salgo a vuestro claro cielo 31 .<br />

<strong>Don</strong> Juan scampa al naufragio (ma è «un hidalgo ya anegado» 32 ) e si rituffa<br />

nella vita, con la seduzione di Tisbea. La morte e la vita si trovano così quasi a<br />

collidere, in una condizione ossimorica che, insisto, è la cifra caratteristica del<br />

Burlador. È evidente d’al<strong>tra</strong> parte nelle parole di Tisbea, che coglie da subito<br />

questa doppia valenza, quando dice a <strong>Don</strong> Juan: «pues venís formado de agua /<br />

y estáis preñado de fuego» e poi «¿Tan helado os abrasáis?» 33 , laddove il gelo<br />

non può non rimandare al marmo e alla fissità della statua, in un continuo gioco<br />

di anticipazioni. E di anticipazione pure si <strong>tra</strong>tta nell’allusione all’inferno, cui<br />

<strong>Don</strong> Juan paragona il mare. La scena del naufragio diviene allora immagine dell’epilogo,<br />

anche se contiene la speranza della resurrezione, della salvezza.<br />

Ecco perché si può parlare di <strong>tra</strong>gico per il Burlador. Come dice <strong>Don</strong><br />

Gonzalo, «las maravillas de Dios / son […] imvestigables» 34 . <strong>Don</strong> Juan ha creduto<br />

invece di potersene burlare, in una sfida che aveva la pretesa di poter controllare.<br />

Ma è punito in modo esemplare, perché come dice Tiresia a proposito<br />

di Edipo nell’omonima <strong>tra</strong>gedia di Emanuele Tesauro: «chi al periglio / premos<strong>tra</strong>to<br />

si espon, non è innocente» 35 .<br />

Il <strong>tra</strong>gico nel Dom Juan di <strong>Molière</strong> (1665)<br />

Nel Dom Juan di <strong>Molière</strong> il <strong>tra</strong>gico è un elemento talmente forte da arrivare<br />

addirittura a condizionare la struttura della pièce, che in effetti si presenta organizzata<br />

come una <strong>tra</strong>gedia. Dal punto di vista dell’intreccio, il dramma appare<br />

piuttosto sbilanciato nel segno della conclusione, e tutta l’azione converge sul<br />

finale di cui risulta una sapiente preparazione. L’epilogo <strong>tra</strong>gico trova infatti dei<br />

segnali premonitori nello spazio scenico, ma non la sua causa determinante,<br />

l’uccisione del Commandeur, che è relegata nell’area dell’ex<strong>tra</strong>-scenico.<br />

L’evento <strong>tra</strong>umatico, la colpa dell’eroe che scatena la crisi <strong>tra</strong>gica, appartiene a<br />

un passato esterno alla mimesi ma in essa interviene condizionandola. Se la<br />

colpa è spostata nel passato, sulla scena si assiste soltanto alle conseguenze<br />

innescate da questa colpa, e quindi, <strong>tra</strong>ttandosi di <strong>tra</strong>gedia, alla catastrofe.<br />

152<br />

31 Ivi, I, vv. 612-20.<br />

32 Ivi, I, v. 711.<br />

33 Ivi, I, vv. 655-6 e v. 681.<br />

34 Ivi, III, vv. 2890-1.<br />

35 E. TESAURO, Edipo, a cura di C. Ossola, Venezia, Marsilio, 1987, V, 2, vv. 172-3.


<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

Nella scena del Dom Juan l’azione è limitata 36 . A differenza del suo predecessore<br />

spagnolo, il personaggio molièriano non è caratterizzato dall’accumulazione<br />

di azione, né tanto meno dal movimento. Il dramma di <strong>Molière</strong> elimina la<br />

ripetizione ossessiva degli schemi e si svuota di alcuni degli elementi caratterizzanti<br />

dell’azione. È quanto avviene con le seduzioni, che emblematicamente<br />

non si svolgono più sulla scena: non è un caso allora che <strong>Molière</strong> rinunci ad un<br />

personaggio come <strong>Don</strong>na Anna, la cui seduzione sarebbe dovuta avvenire<br />

necessariamente davanti agli occhi del pubblico. Al con<strong>tra</strong>rio, nella pièce molièriana<br />

l’attenzione si sposta su <strong>Don</strong>e Elvire, che, a conferma dello sfasamento<br />

cronologico <strong>tra</strong> la rappresentazione e le sue motivazioni, è un personaggio portatore<br />

di una storia ex<strong>tra</strong>-scenica, appartenente al passato. Eppure, l’episodio di<br />

<strong>Don</strong>e Elvire, come quello del Commandeur, rimbalzano prepotentemente sulla<br />

scena quando innescano la catastrofe, proponendosi come momenti culminanti<br />

della colpa <strong>tra</strong>gica. La loro esclusione dallo spazio mimetico è stata giustificata<br />

in considerazione dell’interesse molièriano per la verosimiglianza e soprattutto<br />

per l’unità di tempo, in funzione della quale mal si poteva accettare sia una<br />

estensione che una eccessiva concen<strong>tra</strong>zione di azioni. Nella prospettiva della<br />

<strong>tra</strong>dizione dongiovannesca, tuttavia, la scelta del drammaturgo francese potrebbe<br />

anche essere interpretata come una presa di distanza e un tentativo di innovazione.<br />

Se osservato in relazione ai suoi predecessori, in effetti il Dom Juan sembra<br />

nato da una specie di reazione ai modelli, che, in quanto basati sull’accumulazione<br />

esasperata di azione in scena, hanno provocato quasi l’assenza di azione<br />

principale.<br />

Oltre che al Burlador, la cui influenza sulla pièce è abbastanza limitata,<br />

<strong>Molière</strong> ha attinto ai rifacimenti francesi di Dorimon e Villiers e soprattutto agli<br />

scenari della Commedia dell’Arte 37 . Ebbene, è importante notare come in questi<br />

testi l’accento sia sempre spostato sull’azione. In Le Festin de pierre ou le Fils<br />

criminel (Lyon, 1658), per esempio, Dorimon insiste sul comportamento criminale<br />

dell’eroe nei confronti del padre, mentre Villiers ne aggrava le colpe, attribuendogli<br />

addirittura due omicidi. D’altro canto, Le Festin de pierre di Domenico<br />

Biancolelli (rappresentato per la prima volta nel 1658) si concen<strong>tra</strong> sulla<br />

figura di Arlecchino e lo spazio scenico è di conseguenza dominato da lazzi,<br />

pantomime e acrobazie, con inevitabile caduta di ogni elemento <strong>tra</strong>gico.<br />

In quest’ottica, la scelta molièriana per la riduzione dell’azione sembra quasi<br />

una mossa scoperta in direzione della <strong>tra</strong>gedia, segnata dall’evoluzione, in un<br />

36 Su questo cfr. MACCHIA, Vita, avventure…, cit., p. XVIII.<br />

37 Sul rapporto <strong>tra</strong> questi testi si veda soprattutto BALMAS, Il mito di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>…,<br />

cit., ma anche la recente edizione di S. CARANDINI e L. MARITI, <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> o l’estrema<br />

avventura del teatro: nuovo risarcito Convitato di Pie<strong>tra</strong> di Giovan Battista Andreini,<br />

Bulzoni, Roma 2003.<br />

153


Valeria Merola<br />

certo senso, dell’azione nella riflessione. Alla riflessione, seppure in forma paradossale,<br />

rimanda in effetti l’enfatizzazione del parlato che domina tutta la pièce<br />

e tutti i personaggi. Dom Juan e il suo servo parlano di continuo, soverchiando<br />

con la parola qualsiasi tipo di relazione presentata sulla scena. Lo scambio di<br />

battute assume però una fisionomia particolare, non essendo sempre finalizzato<br />

alla comunicazione. Il parlato si incanala nelle famose tirate, ovvero negli elogi<br />

paradossali, che scardinano il flusso comunicativo per evolvere nel virtuosismo<br />

e nella retorica 38 .<br />

La funzione dominante della retorica dell’elogio paradossale è evidente fin<br />

dall’ouverture del Dom Juan, che in effetti di apre sulla tirata di Sganarelle sul<br />

tabacco. Il monologo del valletto investe con prepotenza la pièce impostandone<br />

il tono e già imponendo la cen<strong>tra</strong>lità della verbalità, seppure a livello paradossale.<br />

Esso si struttura come un elogio, di cui ripete la forma e le tecniche, ma scatena<br />

un effetto di sorpresa e di rovesciamento nella scelta del soggetto, che en<strong>tra</strong><br />

in collisione con il genere a cui appartiene la tirata. Sganarelle parla seriamente<br />

di un argomento serio, ma in modo con<strong>tra</strong>rio alle aspettative: è il «jeu entre le<br />

discours régulier et son sujet inapproprié» di cui parla Patrick Dandrey nel suo<br />

studio sul Dom Juan 39 . Ne deriva una forte incongruenza, uno squilibrio <strong>tra</strong><br />

forma e significato che è all’origine del paradosso: il rovesciamento dell’opinione<br />

generalmente accettata sull’argomento in questione, il capovolgimento della<br />

doxa nel paradosso, appunto.<br />

L’elogio paradossale mette in moto il meccanismo dell’ironia e, in quanto<br />

discorso fazioso, innesca il doppio registro su cui si imposta il dramma molièriano,<br />

in bilico <strong>tra</strong> <strong>tra</strong>gico e <strong>comico</strong>. La “<strong>tra</strong>gedia” di Dom Juan passa at<strong>tra</strong>verso<br />

i discorsi paradossali, suoi e, in forma deviata, di Sganarelle, che lo imita. Il<br />

raddoppiamento e l’imitazione degradata da parte del servo sottolineano, come<br />

si è già visto, la natura paradossale dei discorsi del padrone, che nel suo parlare<br />

«tout comme un livre» 40 è grottesco ed estremo.<br />

Car vous tournez les choses d’une manière qu’il semble que vous avez raison; et cependant<br />

il est vrai que vous ne l’avez pas 41 .<br />

38 J. SCHERER, Sur le Dom Juan de <strong>Molière</strong>, Paris, Sedes, 1967, parla di lirismo delle tirate.<br />

39 Cito da P. DANDREY, Dom Juan ou la critique de la raison comique, Paris, Champion,<br />

1993. Dandrey, affrontando l’esthétique du paradoxe, offre una definizione di elogio paradossale:<br />

«Le principe, on le voit, consiste à louer tout à la fois sur la parodie quant au discours et<br />

sur le paradoxe quant à la thèse ou l’objet choisis. Ce jeu combine une constante – l’ensemble<br />

des règles immuables de l’éloquence épidéictique; et une variable susceptible de variations<br />

à l’infini – le sujet <strong>tra</strong>ité: il suffit à celui-ci d’être incongru pour convenir au projet. […]<br />

On notera enfin que le jeu entre le discours régulier et son sujet inapproprié supposait un troisième<br />

élément, implicite et essentiel: la doxa sur laquelle va jouer l’effet de paradoxe», p. 19.<br />

40 MOLIÈRE, Dom Juan, éd. par G. Couton, Paris, Gallimard, 1999, I, 2.<br />

154<br />

41 Ibid.


<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

Dom Juan sarebbe persino convincente, se non dicesse enormità. La funzione di<br />

Sganarelle è allora duplice: da un lato di riportare per con<strong>tra</strong>sto l’attenzione, con le<br />

sue tirate paradossali, sui discorsi del padrone; dall’altro di commentarli, evidenziandone<br />

lo stridore <strong>tra</strong> l’efficacia retorica e l’inaccettabilità del contenuto.<br />

L’apertura in medias res della pièce, con l’elogio del tabacco, è dunque importante<br />

perché impone una lettura del testo in funzione del paradosso. Non è paradossale<br />

solo la forma alta dell’elogio applicata al tabacco e neanche che a pronunciare<br />

questo discorso sia un servo. Il vero paradosso è nell’individuazione, nel<br />

tabacco, della virtù necessaria per divenire «honnête homme» 42 , in cui, con un<br />

rimando infratestuale, già si legge in nuce la presentazione di Dom Juan che<br />

Sganarelle sta per pronunciare: «un gran seigneur méchant homme» 43 . Nel discorso<br />

sul tabacco Sganarelle prepara per con<strong>tra</strong>sto l’en<strong>tra</strong>ta in scena del padrone, che,<br />

paradossalmente, nonostante le nobili origini non è un «honnête homme» (e sulla<br />

non ovvia indipendenza di nobiltà di sangue e nobiltà d’animo si leggerà più<br />

avanti il lungo discorso di Dom Louis). Allo stesso modo, l’idea che «le tabac<br />

inspire des sentiments d’honneur et de vertu à tous ceux qui en prennent» 44 , già<br />

presenta le condizioni necessarie per il rovesciamento imminente.<br />

Mais, par précaution, je t’apprends, inter nos, que tu vois en Dom Juan, mon maître, le plus<br />

grand scélérat que la terre ait jamais porté, un enragé, un chien, un Diable, un Turc, un Hérétique,<br />

qui ne croit ni Ciel, ni saint, ni Dieu, ni loup-garou, qui passe cette vie en véritable bête brute,<br />

en pourceau d’Epicure, en vrai Sardanapale, qui ferme l’oreille à toutes les remons<strong>tra</strong>nces<br />

chrétiennes qu’on lui peut faire, et <strong>tra</strong>ite de billevesées tout ce que nous croyons 45 .<br />

Dalle parole di Sganarelle che lo descrive a Gusman, il valletto di Elvire,<br />

l’immagine di Dom Juan en<strong>tra</strong> subito in collisione con il quadro di onestà e<br />

virtù emerso dall’elogio del tabacco. Il suo ingresso nella scena è infatti anticipato<br />

dall’identificazione con un Diable miscredente e scellerato, che già colloca<br />

il personaggio in una condizione di limite. La presentazione nel segno dell’eccesso<br />

è un modo per introdurre al <strong>tra</strong>gico che trova infatti risonanza anche nel<br />

seguito della descrizione di Sganarelle.<br />

Un mariage ne lui coûte rien à con<strong>tra</strong>cter; il ne se sert point d’autres pièges pour at<strong>tra</strong>per<br />

ses belles, et c’est un épouser à toutes mains. Dame, damoiselle, bourgeoise, paysanne, il ne<br />

trouve rien de trop chaud ni de trop froid pour lui; et si je te disais le nom de toutes celles<br />

qu’il a épousées en divers lieux, ce serait un chapitre à durer jusques au soir 46 .<br />

42 Ivi, I,1.<br />

43 Ibid.<br />

44 Ibid.<br />

45 Ibid.<br />

46 Ibid.<br />

155


Valeria Merola<br />

Con un’anticipazione della vicenda scenica (ancora una volta iscrivendo l’azione<br />

nel parlato), <strong>Molière</strong> si riallaccia anche alla <strong>tra</strong>dizione della Commedia<br />

dell’Arte che puntava sul catalogo come momento <strong>comico</strong>. Nella descrizione di<br />

Sganarelle, invece, l’abbozzo del catalogo assume una funzione di introduzione<br />

al <strong>tra</strong>gico, perché contribuisce alla definizione dell’eccesso. L’attribuzione di<br />

questo passo al <strong>tra</strong>gico sarà poi più evidente in relazione alla tirata di Dom Juan<br />

sull’incostanza, che risuonerà in effetti come un’eco di questa presentazione. Lo<br />

stesso si può dire per il passo successivo sull’ipocrisia, che può ugualmente<br />

essere letto come un assaggio dell’elogio paradossale corrispondente.<br />

Il faut que je lui sois fidèle, en dépit que j’en aie: la crainte en moi fait l’office du zèle,<br />

bride mes sentiments, et me réduit d’applaudir bien souvent à ce que mon âme déteste 47 .<br />

Prima di en<strong>tra</strong>re in scena, Dom Juan è dunque già identificato in quelle che<br />

si riveleranno le sue caratteristiche principali: la miscredenza, l’incostanza e l’ipocrisia.<br />

La pièce si apre, nonostante la tirata iniziale che poteva sembrare<br />

deviante, su Dom Juan e sugli elementi del <strong>tra</strong>gico.<br />

Il <strong>tra</strong>gico del Dom Juan è fil<strong>tra</strong>to at<strong>tra</strong>verso due procedimenti barocchi, due<br />

immagini che vengono a coincidere innescando appunto il meccanismo della<br />

<strong>tra</strong>gedia: la metamorfosi 48 e l’anamorfosi 49 .<br />

La metamorfosi, già presente negli altri episodi della drammaturgia del mito<br />

di <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong>, in <strong>Molière</strong> trova addirittura la sua tematizzazione. Più che a<br />

espedienti scenici, come il <strong>tra</strong>vestimento, che la esplicitino, qui la metamorfosi<br />

47 Ibid.<br />

48 Per la metamorfosi nell’immaginario barocco, rimando almeno a J. ROUSSET, La littérature<br />

de l’âge baroque en France. Circé et le paon, Paris, Corti, 1981 [<strong>tra</strong>d. it. La letteratura<br />

dell’età barocca in Francia. Circe e il pavone, Bologna, Il Mulino, 1985], e ad ANGELINI,<br />

Barocco italiano, cit.<br />

49 Per il concetto di anamorfosi si veda J. BALTRUSAITIS, Anamorfosi o magia artificiale<br />

degli effetti meravigliosi, Milano, Adelphi, 1969. «Dal greco ana (‘all’insù’, ‘all’indietro’,<br />

‘ritorno verso’) e morphe (forma). A quanto ci risulta, la parola anamorphosis non è mai stata<br />

usata prima di Gaspar Schott (1657)», p. 181; «L’anamorfosi – parola che compare nel<br />

Seicento benché si riferisca a combinazioni già note da tempo – ne [della prospettiva] inverte<br />

elementi e principi: essa proietta le forme fuor di se stesse invece di ridurle ai loro limiti visibili,<br />

e le disgrega perché si ricompongano in un secondo tempo, quando sono viste da un<br />

punto determinato», p. 13. Baltrusaitis offre poi altre definizioni, più aderenti al caso dongiovannesco,<br />

parlando di Descartes: «Si <strong>tra</strong>tta dunque di una confusione mentale, grazie alla<br />

quale la realtà appare del tutto diversa da quella che è, analogamente a ciò che accade con le<br />

figure che cambiano aspetto secondo il punto di vista artificiosamente prefissato», p. 76, e «è<br />

la “costruzione legittima” albertiana, la seconda regola del Vignola, quella che fornisce la<br />

prova definitiva della falsità delle apparenze del mondo fisico. La prospettiva non è uno strumento<br />

che ci fornisce rappresentazioni esatte: è una menzogna», p. 78.<br />

156


<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

è affidata ancora una volta alle parole, e in particolare all’elogio dell’incostanza.<br />

Nella lunga tirata di Dom Juan la metamorfosi passa at<strong>tra</strong>verso l’incostanza per<br />

assumere poi le sembianze della seduzione, così toccando più intimamente la<br />

natura del personaggio, anziché coglierlo nell’aspetto carnevalesco dello scambio<br />

di ruoli.<br />

Quoi? tu veux qu’on se lie à demeurer au premier objet qui nous prend, qu’on renonce au<br />

monde pour lui, et qu’on n’ait plus d’yeux pour personne? la belle chose de vouloir se piquer<br />

d’un faux honneur d’être fidèle, de s’ensevelir pour toujours dans une passion, et d’être mort<br />

dès sa jeunesse à toutes les autres beautés qui nous peuvent frapper les yeux! Non, non: la<br />

constance n’est bonne que pour des ridicules […] 50 .<br />

Dom Juan sposta l’àmbito della metamorfosi sull’incostanza amorosa, addirittura<br />

rovesciandone i termini in un ragionamento che, ancora una volta, imita<br />

la coerenza logica del discorso serio, quando teorizza l’uguale diritto di tutte le<br />

donne di essere amate da lui e il suo desiderio di non fare torto a nessuna 51 . Il<br />

virtuosismo retorico si piega allora alla realizzazione di un’insolita <strong>tra</strong>ttazione<br />

sull’amore, che, lungi dall’interessarsi alla dinamica dell’innamoramento, riflette<br />

sull’arte quasi bellica della conquista. E in effetti la tirata di Dom Juan assume<br />

i toni e il linguaggio della guerra, quando parla dei combattimenti «par des<br />

<strong>tra</strong>nsports, par des larmes et des soupirs» contro l’innocente pudore di un’anima<br />

che soffre «à rendre les armes», o ancora dell’«ambition des conquérants» o<br />

dell’«impétuosité de mes désirs», per fare solo qualche esempio 52 . La metafora<br />

bellica è talmente calzante da estendersi anche al suo coniatore, che si paragona<br />

ad Alessandro Magno, in uno slittamento di piani che contribuisce a sottolineare<br />

l’incostanza.<br />

Il n’est rien qui puisse arrêter l’impétuosité de mes désirs: je me sens un cœur à aimer<br />

toute la terre; et comme Alexandre, je souhaiterais qu’il y eût d’autres mondes, pour y pouvoir<br />

étendre mes conquêtes amoureuses 53 .<br />

Nella fenomenologia della seduzione pronunciata da Dom Juan, l’immagine<br />

del «coeur» che ama «toute la terre» crea un interessante corto circuito <strong>tra</strong> i due<br />

50 MOLIÈRE, Dom Juan, cit. I, 2.<br />

51 «toutes le belles ont droit de nous charmer, et l’avantage d’être rencontrée la première<br />

ne doit point dérober aux autres les justes prétentions qu’elles ont toutes sur nos coeurs»; e,<br />

più avanti: «j’ai beau être engagé, l’amour que j’ai pour une belle n’engage point mon âme à<br />

faire injustice aux autres; je conserve des yeux pour voir le mérite de toutes, et rends à chacune<br />

les hommages et les tributs où la nature nous oblige», ibid.<br />

52 Ibid. Altri esempi sono «les petites résistances» che deve forzare, lo charme «d’une<br />

conquête à faire», il piacere «de triompher de la résistance» di una persona.<br />

53 Ibid.<br />

157


Valeria Merola<br />

orizzonti di amore e guerra che si ripercuote poi nel sintagma, in questa luce<br />

quasi ossimorico senza cessare di essere banale, delle «conquêtes amoureuses».<br />

Quel che più mi sembra significativo è che da questo quadro si propaghi a ritroso<br />

(visto che il paragone con Alexandre chiude il lungo eloge) il senso di smania<br />

e di insoddisfazione che domina e motiva la tirata dongiovannesca. Da questa<br />

idea nasce la teorizzazione della metamorfosi come incostanza, laddove la<br />

metamorfosi è soprattutto quella dell’amore che non si fissa. La tesi intorno alla<br />

quale si articola il discorso è d’altronde quella per cui «tout le plaisir de l’amour<br />

est dans le changement». In questo universo non c’è spazio per l’amore assoluto,<br />

perché l’amore è ridotto a conquista e, quando «tout le beau de la passion est<br />

fini», si piegherebbe su se stesso se «quelque objet nouveau» non venisse a<br />

«réveiller nos désirs».<br />

Ad un’idea dell’amore completamente opposta allude invece il personaggio<br />

di <strong>Don</strong>e Elvire, che infatti innesca, nello scontro con Dom Juan, il meccanismo<br />

<strong>tra</strong>gico. <strong>Don</strong>e Elvire è portatrice di <strong>tra</strong>gico quando ammonisce Dom Juan,<br />

mos<strong>tra</strong>ndogli la pericolosità della sua condotta e collocando la sua sfida nella<br />

sfera del limite: «je te le dis encore, le Ciel te punira, perfide, de l’ou<strong>tra</strong>ge que<br />

tu me fais» 54 . E lo è anche quando, iscrivendo la pièce nell’area della <strong>tra</strong>gedia,<br />

segnala la condizione di soglia pericolosa che il protagonista sta per varcare:<br />

C’est ce parfait et pur amour qui me conduit ici pour votre bien, pour vous faire part d’un<br />

avis du Ciel, et tâcher de vous retirer du précipice où vous courez. […] vos offenses ont épuisé<br />

sa misericorde, […] sa colère redoutable est prête de tomber sur vous, […] il est en vous de<br />

l’éviter par un prompt repentir […] 55 .<br />

La funzione di <strong>Don</strong>e Elvire diventa in questo caso cen<strong>tra</strong>le anche nell’individuazione<br />

della colpa <strong>tra</strong>gica, che, in prospettiva controriformistica, si sposta sul<br />

libero arbitrio e sulla sordità di Dom Juan alle ammonizioni divine.<br />

<strong>Don</strong>e Elvire scardina il sistema dongiovannesco, addirittura decifrandone la<br />

logica di realtà e apparenza su cui è impostata tutta la retorica dell’eroe:<br />

J’admire ma simplicité et la faiblesse de mon coeur à douter d’une <strong>tra</strong>hison que tant d’apparences<br />

me confirmaient. J’ai été assez bonne, je le confesse, ou plutôt assez sotte pour me<br />

vouloir tromper moi-même, et <strong>tra</strong>vailler à démentir mes yeux et mon jugement 56 .<br />

Anche l’abilità interpretativa, che le consente di ascoltare con piacere le<br />

«mille chimères ridicules» con cui Dom Juan si proclamava innocente, conferisce<br />

a <strong>Don</strong>e Elvire lo statuto di personaggio <strong>tra</strong>gico. L’«épouser du genre<br />

54 I, 3. Ma ci sono anche altri luoghi analoghi, come: «mais sache que ton crime ne demeurera<br />

pas impuni, et que le même Ciel dont tu te joues me saura venger de ta perfidie», ibid.<br />

55 Ivi, IV, 6.<br />

56 Ivi, I, 3.<br />

158


humain» en<strong>tra</strong> infatti in conflitto insanabile con la sposa di Dio, che ha rapito<br />

nel convento perché divenisse sua moglie 57 . <strong>Don</strong>e Elvire non è allora <strong>tra</strong>gica<br />

solo per il destino infelice del suo amore, o in quanto portatrice di quel sacro<br />

che Dom Juan continuamente rinnega, ma soprattutto perché rappresentante di<br />

un’istanza con<strong>tra</strong>ria e inconciliabile con quella del protagonista. <strong>Don</strong>e Elvire è<br />

la necessità dell’amore assoluto e puro che si scon<strong>tra</strong> inevitabilmente con la<br />

libertà del seduttore, a essa conferendo, se ce ne fosse bisogno, una analoga<br />

purezza. Si <strong>tra</strong>tta già della fissità emblematizzata nella pie<strong>tra</strong> della statua che si<br />

oppone al movimento incontrollato del libertino. <strong>Don</strong>e Elvire è dunque l’istanza<br />

in collisione con la metamorfosi, l’amore che si fissa 58 .<br />

Il secondo principio barocco at<strong>tra</strong>verso cui passa il <strong>tra</strong>gico del Dom Juan è<br />

l’anamorfosi. Mentre si prepara ad un nuovo inganno, Dom Juan individua la<br />

ragion d’essere del suo comportamento:<br />

je me figurai un plaisir etrême à pouvoir troubler leur intelligence 59 .<br />

<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

Gli inganni di Dom Juan si rivelano infatti continui tentativi di «troubler leur<br />

intelligence»: si pensi alla seduzione simultanea di Charlotte e Mathurine o all’incontro<br />

con Monsieur Dimanche. Nel primo caso Dom Juan gioca sulla confusione<br />

delle malcapitate, a ciascuna delle quali fa credere di essere la sola ad aver ricevuto<br />

la sua promessa di matrimonio, convincendola della giustezza della propria<br />

prospettiva di lettura dell’apparenza 60 . Anche con Monsieur Dimanche si comporta<br />

in modo analogo, inondandolo di chiacchiere inutili con l’unico interesse di<br />

deviare l’attenzione su elementi secondari, per evitare che l’interlocutore possa<br />

chiedergli di pagare un annoso debito. Per conseguire il suo obiettivo, Dom Juan<br />

scardina la comunicazione, immettendo in essa numerosi elementi di disturbo che<br />

soffocano letteralmente quello che doveva esserne il vero oggetto 61 .<br />

57 Nella lista dei personaggi, <strong>Molière</strong> presenta <strong>Don</strong>e Elvire come «femme de Dom Juan».<br />

58 Anche se lo stesso amore di <strong>Don</strong>e Elvire subirà una ulteriore <strong>tra</strong>sformazione, purificandosi<br />

in amore celeste che lascia nei confronti di Dom Juan solo «une flamme épurée de<br />

tout le commerce des sens, une tendresse toute sainte, un amour détaché de tout», IV, 6.<br />

59 Ivi, I, 2.<br />

60 Ognuna delle due crede che sia l’al<strong>tra</strong> a mentire. Dom Juan dice loro di non fidarsi<br />

delle parole ma dei fatti e di dare ascolto solo alla propria coscienza: «Pourquoi m’obliger làdessus<br />

à des redites? Celle à qui j’ai promis effectivement n’a-t-elle pas en elle-même de quoi<br />

se moquer des discours de l’autre, et doit-elle se mettre en peine, pourvu que j’accomplisse<br />

ma promesse? Tous les discours n’avancent point les choses; il faut faire et non pas dire, et<br />

les effets décident mieux que les paroles», II, 4.<br />

61 Con una messinscena degna del suo ruolo e con abile diplomazia, Dom Juan in<strong>tra</strong>ttiene<br />

il suo ospite «faisant des grandes civilités», informandosi sulla sua salute, sui vari membri<br />

della sua famiglia… e persino invitandolo a cena («voulez-vous souper avec moi?»)!<br />

159


Valeria Merola<br />

L’eloge de l’hypocrisie è in questa prospettiva ancora una mise en abyme<br />

dell’anamorfosi, che in esso trova la sua applicazione più importante. L’ipocrisia<br />

è «un vice à la mode, et tous les vices à la mode passent pour vertus» 62 ,in<br />

un’unione di punti di vista <strong>tra</strong> loro inconciliabili che dà luogo allo s<strong>tra</strong>niamento<br />

dell’anamorfosi. Ma è soprattutto nella descrizione della «profession d’hypocrite»,<br />

in cui il saggio di <strong>tra</strong>ttatistica diplomatica si intreccia con la teoria del teatro<br />

(in direzione metatea<strong>tra</strong>le), che si può individuare l’attuazione del principio<br />

barocco. L’ipocrisia è «un art de qui l’imposture est toujours respectée» 63 , che<br />

doppia la realtà esasperandone il conflitto con l’apparenza. Avvalendosi del<br />

parallelo con il teatro, Dom Juan applica alla morale la legittimazione del vizio,<br />

che, pur restando tale, è accettato come principio. Come il teatro fonda il suo<br />

essere sulla coesistenza di due piani di realtà, all’interno della finzione ugualmente<br />

validi, così la condotta ipocrita sovrappone essenza e apparenza, falsandole.<br />

È la moda, la moda dei teatri per esempio, ma anche quella della corte, a<br />

legittimare l’estensione del principio tea<strong>tra</strong>le anche al reale. Lo stesso Dom<br />

Juan si arroga il diritto di usufruire di questa legittimazione del vizio quando,<br />

portando l’esempio di coloro che «sous cet habit respecté ont la permission d’être<br />

les plus méchants hommes du monde», implicitamente rimanda alla definizione<br />

proposta da Sganarelle: «un grand seigneur méchant homme».<br />

Se nell’elogio dell’ipocrisia e nel suo sfoggio di virtuosismo trova una tematizzazione<br />

come gioco illusionistico su cui si fonda il reale, l’anamorfosi diviene<br />

categoria di interpretazione per il personaggio di Dom Juan. La principale<br />

caratteristica dell’eroe di questa versione del mito è di essere un uomo cartesiano,<br />

che dubita. Rispetto a Sganarelle e alla sua morale da saggezza popolare,<br />

fondata sulla paura e sul timor di Dio, la prospettiva in cui si colloca Dom Juan<br />

è sicuramente deviata e s<strong>tra</strong>niata. Dom Juan, che si rivela un creatore di apparenze,<br />

un mistificatore del vero, non crede all’apparenza e al significato che gli<br />

uomini le conferiscono. Instauratore e teorico del doppio piano su cui si basa il<br />

reale, Dom Juan crede solo nel Cogito ergo sum e, sulla via del razionalismo<br />

esasperato, nella matematica, nella certezza evidente del «deux et deux sont<br />

quatre» e «quatre et quatre sont huit» 64 . Il suo sapere demolisce lo spettro, la<br />

statua che parla e che si muove, persino il Moine Bourru, in nome di una scien-<br />

Interessante è la battuta con cui Dom Juan commenta la performance: «C’est une fort mauvaise<br />

politique que de se faire celer aux créanciers. Il est bon de les payer de quelque chose,<br />

et j’ai le secret de les renvoyer satisfaits sans leur donner un double» (IV, 2) e quella con cui<br />

M. Dimanche sigla l’incontro: «Il est vrai; il me fait tant de civilités et tant de compliments<br />

que je ne saurais jamais lui demander de l’argent» (IV, 3). Degna di nota anche la chiusa di<br />

Dom Juan: «je suis votre serviteur, et de plus votre débiteur» (IV, 3).<br />

62 Ivi, V, 2.<br />

63 Ibid.<br />

64 Ivi, III, 1.<br />

160


<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

za libresca e razionale, opposta al «petit sens» e al «petit jugement» per cui<br />

Sganarelle afferma: «je vois les choses mieux que tous les livres» 65 .<br />

Privo delle giustificazioni della religione, cui ha sostituito la matematica<br />

(«votre religion, à ce que je vois, est donc l’arithmétique?» 66 , gli chiede Sganarelle),<br />

Dom Juan non crede nemmeno all’evidenza di ciò che sfugge al controllo<br />

della razionalità, relegando anche la certezza dell’esperienza empirica nell’àmbito<br />

delle fantasie superstiziose. Dalla matematica non si ricava una morale,<br />

eppure anche quella desunta dai luoghi comuni è palesemente infondata. È il<br />

caso del primo incontro con la Statue del Commandeur, che risponde al replicato<br />

invito a cena con dei cenni della testa. Lungi dal credere ai suoi occhi, una<br />

volta scampato il pericolo, Dom Juan riduce l’accaduto ad una immaginazione<br />

collettiva, dovuta all’inganno dei sensi:<br />

Quoi qu’il en soit, laissons cela: c’est une bagatelle, et nous pouvons avoir été trompés<br />

par un faux jour, ou surpris de quelque vapeur qui nous ait troublé la vue 67 .<br />

Lo scardinamento della verità prodotta dal senso comune e l’inserimento su<br />

di essa di un punto di vista esterno e scettico, affidato alla sola razionalità, innesca<br />

inevitabilmente un meccanismo anamorfico, cui del resto allude anche il<br />

richiamo, nel passo citato, al piacere di «troubler leur intelligence». Come gli<br />

inganni di Dom Juan, così anche i sensi inducono all’errore, pretendendo credibilità<br />

per l’apparenza. Ma, in quanto esperto illusionista, Dom Juan dubita, dileguando<br />

le nebbie della forma, alla ricerca della sostanza. È nel potere dissacratorio<br />

del dubbio che avviene lo slittamento di prospettiva dell’anamorfosi. Il<br />

dubbio infatti smonta il sistema guardandolo di <strong>tra</strong>verso e bucandone l’apparenza.<br />

Nello smontamento delle convinzioni messo in atto da Dom Juan (che non<br />

crede né alla religione, né alla medicina, in quest’ottica quasi una superstizione<br />

e un inganno), la scena si <strong>tra</strong>sforma come nella tela di un pittore cubista e gli<br />

opposti si trovano inaspettatamente a convivere.<br />

Ciò che rende possibile questo tipo di s<strong>tra</strong>niamento è la libertà del pensiero rappresentata<br />

da Dom Juan. Il libertino eroe di <strong>Molière</strong>, con il suo movimento, la sua<br />

disinvoltura, il suo gioco di specchi e di doppi e il suo continuo slittamento di piani,<br />

incarna lo scontro del pensiero con il dogma. È l’insanabile conflitto <strong>tra</strong> una libertà e<br />

una necessità su cui si fonda il <strong>tra</strong>gico. In questo caso appunto la libertà del pensiero<br />

in opposizione alla necessità cas<strong>tra</strong>nte delle verità rivelate e delle superstizioni.<br />

65 Ivi. L’affermazione di Sganarelle riecheggia il già citato commento <strong>comico</strong> con cui il<br />

servo aveva siglato l’éloge de l’incostance: «Il semble que vous avez appris cela par coeur, et<br />

vous parlez tout comme un livre», I, 2.<br />

66 Ivi, III, 1.<br />

67 Ivi, IV, 1.<br />

161


Valeria Merola<br />

L’effetto s<strong>tra</strong>niato che giunge al lettore-spettatore è accresciuto anche dalla<br />

mancata comprensione dei segni e degli avvisi che il Cielo offre al protagonista.<br />

Nella prospettiva di Dom Juan le manifestazioni del soprannaturale non sono<br />

sufficientemente chiare – irricevibili –, perché relegabili nel novero della pura<br />

apparenza e quindi prive di fondamento di verosimiglianza e di attendibilità. La<br />

mente di Dom Juan si ferma al rapporto matematico <strong>tra</strong> le cose, senza cogliere<br />

la portata <strong>tra</strong>scendente né il riflesso degli oracoli sulla sua vita. Lo stesso <strong>tra</strong>ttamento<br />

subiscono gli interventi degli altri personaggi, che tentano di persuaderlo<br />

distogliendolo dalla condotta peccaminosa ed esortandolo al pentimento. Dom<br />

Juan li liquida senza degnarli di considerazione.<br />

I discorsi di Sganarelle e di Dom Louis, in particolare, partecipano di quello<br />

s<strong>tra</strong>niamento verbale per cui è consentito parlare di anamorfosi. Il rilievo dato<br />

alle tirate di questi personaggi paralleli, oltre a far rimbalzare l’attenzione su<br />

quelle del protagonista e a dimos<strong>tra</strong>re l’errore di veduta da cui Dom Juan emette<br />

i suoi giudizi, sottolinea la cen<strong>tra</strong>lità della figura della prospettiva s<strong>tra</strong>niata<br />

come chiave di lettura della pièce.<br />

La tesi principale della lunga tirata di Dom Louis è che, a differenza di quanto<br />

crede Dom Juan, «la naissance n’est rien où la vertu n’est pas» 68 . Con i toni<br />

amari della delusione per un figlio degenere, Dom Louis ricorda a Dom Juan<br />

che la nobiltà non deriva necessariamente dal sangue, ma deve essere supportata<br />

dalla nobiltà delle azioni virtuose. I figli devono seguire le orme dei padri, sforzandosi<br />

«de leur rassembler», per potersi considerare «leurs véritables descendants»<br />

69 . Chi devia dal cammino indicato dagli avi è «un monstre dans la nature»,<br />

ossimorico come Dom Juan, «grand seigneur méchant homme», nobile nell’apparenza<br />

(il nome, cui, non a caso, nel mito è data molta importanza) e mostruoso,<br />

«terrible chose», negli atti.<br />

Il discorso di Dom Louis è dunque mirato a evidenziare l’errore della prospettiva<br />

adottata da Dom Juan. Eppure in esso è contenuta una deviazione del<br />

parlare molto importante, tale da produrre quello s<strong>tra</strong>niamento riconosciuto nell’anamorfosi.<br />

Hélas! que nous savons peu ce que nous faisons quand nous ne laissons pas au Ciel le<br />

soin des choses qu’il nous faut, quand nous voulons être plus avisés que lui, et que nous<br />

venons à l’importuner par nos souhaits aveugles et nos demandes inconsidérées! J’ai souhaité<br />

un fils avec des ardeurs nonpareilles; je l’ai demandé sans relâche avec des <strong>tra</strong>nsports<br />

incroyables; et ce fils, que j’obtiens en fatiguant le Ciel de vœux, est le chagrin et le supplice<br />

de cette vie même dont je croyais qu’il devait être la joie et la consolation 70 .<br />

162<br />

68 Ivi, IV, 4.<br />

69 Ibid.<br />

70 Ibid.


<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

Mentre descrive la hybris di domandare al Cielo un figlio eccezionale, «avec<br />

des ardeurs nonpareilles» e «avec des <strong>tra</strong>nsports incroyables», Dom Louis crea<br />

un abbaglio nel discorso. Dom Juan è effettivamente eccezionale ed eccessivo<br />

nel suo essere personaggio al limite e quindi eredita la tendenza paterna agli<br />

eccessi.<br />

La deviazione del parlare, creatrice di “illusioni ottiche” del discorso, caratterizza<br />

soprattutto due interventi di Sganarelle. Il primo caso è all’inizio della<br />

pièce quando il valletto, dopo essersi avvalso di giochi di parole, negazioni con<br />

funzione affermativa e dopo aver utilizzato lo schermo della menzogna come<br />

licenza, si esibisce in un concatenamento virtuosistico di ipotesi paradossali. La<br />

codardia del servo si esplicita nella creazione di un discorso ambiguo, impostato<br />

sul «si», ovvero sul doppio piano dell’affermazione e dell’ipotesi che la contiene.<br />

Ipotesi che viene presentata come assurda e necessitante altre condizioni di<br />

esistenza, ma che, spogliata del tono ironico, suona come un’affermazione. Con<br />

lo s<strong>tra</strong>tagemma di deviare l’attenzione sul «si», Sganarelle dice quello che non<br />

potrebbe.<br />

Et si j’avais un maître comme cela, je lui dirais fort nettement, le regardant en face:<br />

«Osez-vous bien ainsi vous jouer au Ciel, et ne tremblez vous point de vous moquer comme<br />

vous faites des choses les plus saintes? c’est bien à vous, petit ver de terre, petit mirmidon<br />

que vous êtes (je parle au maître que j’ai dit), c’est bien à vous à vouloir vous mêler de tourner<br />

en raillerie ce que tous les hommes révèrent? Pensez-vous que pour être de qualité, pour<br />

avoir une perruque blonde et bien frisée, des plumes à votre chapeau, un habit bien doré, et<br />

des rubans couleur de feu (ce n’est pas à vous que je parle, c’est à l’autre), pensez-vous, dis-je,<br />

que vous en soyez plus habile homme, que tout vous soit permis, et qu’on n’ose vous dire vos<br />

vérités? Apprenez de moi, qui suis votre valet, que le Ciel punit tôt ou tard les impies, qu’une<br />

méchante vie amène une méchante mort, et que…» 71 .<br />

La deviazione anamorfica del discorso è evidente di fronte ai continui tentativi<br />

di Sganarelle di dirigere il parlato in direzione opposta a quella cui effettivamente<br />

mira, impostando la comunicazione su due piani paralleli: quello apparente<br />

(rafforzato dalle continue rassicurazioni al destinatario) e quello reale.<br />

Ma è in quello che Cesare Garboli definisce il «supremo “grammelot”» 72 di<br />

Sganarelle, che lo s<strong>tra</strong>niamento della rappresentazione verbale raggiunge il suo<br />

culmine. In risposta al razionalistico elogio dell’ipocrisia appena pronunciato<br />

dal suo maître, Sganarelle si esibisce in un discorso ai limiti della comprensio-<br />

71 Ivi, I, 2.<br />

72 C. GARBOLI, Introduzione a <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> o Il festino di Pie<strong>tra</strong>, in MOLIÈRE, La<br />

Principessa d’Elide, Tartufo o L’Impostore, <strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> o Il festino di Pie<strong>tra</strong>, Il borghese<br />

gentiluomo, Il malato immaginario, saggi e <strong>tra</strong>duzioni di C. Garboli, Torino, Einaudi, 1974 e<br />

1976, pp. 153-70, p. 153.<br />

163


Valeria Merola<br />

ne, che emula lo sfogo passionale. Il «comble des abominations» 73 , emerso dalla<br />

tirata di Dom Juan, dà avvio al parlare del servo, che si dimos<strong>tra</strong> intrepido in<br />

nome del dovere di dire al padrone quello che il buon senso gli impone e della<br />

necessità di alleggerirsi l’anima 74 . Ne deriva un parlare paradossale, vuoto,<br />

senza significato apparente, che dall’accumulazione di argomenti <strong>tra</strong>e un senso<br />

di disorientamento e di caos. L’effetto stridente è dato soprattutto dalla struttura<br />

su cui è impostato il discorso, che è giocato su un fitto concatenarsi di proposizioni<br />

con valore assoluto, ma senza altro legame che quello puramente linguistico,<br />

in una sorta di stream of consciousness ante litteram. Lo scollamento <strong>tra</strong> la<br />

forma impeccabile e l’assenza di contenuto esplica la parodia del ragionamento<br />

logico e del rigore matematico, che vengono estremizzati nella sola componente<br />

esteriore e quindi nel non sense, con inevitabile ricaduta comica<br />

Sachez, Monsieur, que tant va la cruche à l’eau qu’enfin elle se brise; et comme dit fort<br />

bien cet auteur que je ne connais pas, l’homme est en ce monde ainsi que l’oiseau sur la<br />

branche; la branche est attachée à l’arbre; qui s’attache à l’arbre suit des bons préceptes; les<br />

bons préceptes valent mieux que les belles paroles; les belles paroles se trouvent à la cour; à<br />

la cour sont les courtisans; les courtisans suivent la mode; la mode vient de la fantasie; la fantasie<br />

est une faculté de l’âme; l’âme est ce qui nous donne la vie; la vie finit par la mort; la<br />

mort nous fait penser au Ciel; le Ciel est au-dessus de la terre; la terre n’est point la mer; la<br />

mer est sujette aux orages; les orages tourmentent les vaisseaux; les vaisseaux ont besoin<br />

d’un bon pilote; un bon pilote a de la prudence; la prudence n’est point dans les jeunes gens;<br />

les jeunes gens doivent obéissance aux vieux; les vieux aiment les richesses; les richesses<br />

font les riches; les riches ne sont pas pauvres; les pauvres ont de la nécessité, nécessité n’a<br />

point de loi; qui n’a point de loi vit en bête brute; et par conséquent, vous serez damné à tous<br />

les diables 75 .<br />

Il fitto ragionamento di Sganarelle (Dom Juan commenta ironicamente: «Ô<br />

le beau raisonnement!» 76 ) si avvale di frasi fatte e di proverbi per acquisire quello<br />

spessore di verità universale, che gli deriva dall’impiego del senso comune.<br />

Sganarelle sciorina una lunga serie di ovvietà, che toccano tutte le corde della<br />

morale cristiana e del vivere civile, dall’ipocrisia della vita di corte al rapporto<br />

<strong>tra</strong> la morte e il Cielo, fino alla prudenza, come guida per la vita terrena. Nel<br />

73 MOLIÈRE, Dom Juan, cit., V, 2.<br />

74 «Ô Ciel! Qu’entends-je ici? Il ne vous manquait plus que d’être hypocrite pour vous<br />

achever de tout point, et voilà le comble des abominations. Monsieur, cette dernière-ci m’emporte<br />

et je ne puis m’empêcher de parler. Faites-moi tout ce qu’il vous plaira, battez-moi,<br />

assommez-moi de coups, tuez-moi, si vous voulez: il faut que je décharge mon cœur, et qu’en<br />

valet fidèle je vous dise ce que je dois», ivi.<br />

75 Ibid.<br />

76 Ibid. Dom Juan sottolinea l’assenza di contenuto di un discorso mirato solo al funzionamento<br />

formale. Su questo cfr. ancora DANDREY, Dom Juan…, cit.<br />

164


<strong>Don</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>tra</strong> <strong>comico</strong> e <strong>tra</strong>gico<br />

vuoto della tirata di Sganarelle, è interessante notare come essa rappresenti<br />

l’impossibilità, per la morale <strong>tra</strong>dizionale, di opporre argomenti al libertinaggio<br />

intellettuale di Dom Juan. Pur imitandone la forma, il grammelot non può raggiungere<br />

le vette dell’agile movimento dell’elogio dongiovannesco. Il ricorso al<br />

senso comune e alle sue forme determina un flusso di verità più o meno coerenti,<br />

la cui consequenzialità non è evidente o è addirittura assente. Il discorso sembra<br />

infatti una preparazione alla affermazione finale, quasi a voler tirar in<br />

campo tutto lo scibile umano a dimos<strong>tra</strong>zione dell’imminente dannazione di<br />

Dom Juan («et par conséquent, vous serez damné à tous les diables»). Nella frenetica<br />

accumulazione proposta da Sganarelle, accanto a motivi sciocchi e vuoti<br />

con la sola funzione di preparare l’ascoltatore 77 , sono incastonate delle massime<br />

di portata universale, che però suonano particolarmente pregnanti in relazione a<br />

Dom Juan. In particolare nell’elenco apparentemente privo di senso, spiccano<br />

quelle verità universali che alludono alle colpe di Dom Juan. La più evidente in<br />

assoluto è l’affermazione per cui «les jeunes gens doivent obéissance aux<br />

vieux», in cui è contenuta la <strong>tra</strong>dizione francese del fils criminel, che <strong>Molière</strong><br />

recupera da Dorimon e Villiers. Mettendo l’accento sulla sacralità del rispetto<br />

dovuto ai più anziani, il discorso di Sganarelle rimbalza su quello di poco precedente<br />

di Dom Louis e ricalca l’immagine di Dom Juan giovane, già individuata<br />

in <strong>Tirso</strong>.<br />

Un’ulteriore allusione significativa è contenuta nella proposizione sulla<br />

moda, seguita dalla corte, luogo in cui si trovano «les belles paroles». Il richiamo<br />

all’ipocrisia, «vice à la mode», è abbastanza evidente, e riceve nuova energia<br />

dall’abbinamento con «les belles paroles», presenti in opposizione ai «bons<br />

préceptes». Non è un caso allora che il grammelot di Sganaelle si esplichi in una<br />

catena di «bons préceptes», quelli che la saggezza popolare gli propone, con cui<br />

il servo cerca di con<strong>tra</strong>stare le «belles paroles» del padrone. Né mi sembra<br />

casuale una simile affermazione, in una pièce dominata dalle parole, il cui protagonista<br />

parla più di quanto agisca e si avvale della retorica come arma della<br />

ragione.<br />

Chiave di lettura importante è anche il legame stabilito da Sganarelle <strong>tra</strong><br />

vita, morte e Cielo. Non è interessante solo che Sganarelle impieghi il banale<br />

precepte per cui la vita è seguita dalla morte, già invocando l’epilogo infernale<br />

in opposizione al vitalismo del protagonista, ma anche che egli inserisca il<br />

Cielo, e quindi la morale cristiana, nel nesso inscindibile <strong>tra</strong> vita e morte. Con<br />

questo espediente Sganarelle focalizza l’attenzione sull’ol<strong>tra</strong>ggio al Cielo com-<br />

77 Per citare solo un esempio, il proverbio con cui Sganarelle dà avvio alla tirata: «sachez,<br />

Monsieur, que tant va la cruche à l’eau qu’enfin elle se brise» (MOLIÈRE, Dom Juan,<br />

cit., V, 2).<br />

165


Valeria Merola<br />

piuto da Dom Juan, e sull’inevitabile condanna che la Provvidenza divina, il<br />

Cielo appunto, riserva ai peccatori 78 .<br />

Il nodo della tirata, il punto più alto da cui scaturisce la prefigurazione della<br />

dannazione, è individuabile nell’immagine dei poveri che «ont de la nécessité».<br />

Nel richiamare la scena dell’incontro con il Povero, Sganarelle le assegna il<br />

valore di momento cruciale della pièce, quello in cui si concen<strong>tra</strong>, in effetti, la<br />

sfida <strong>tra</strong>gica, sottolineata dalla «nécessité».<br />

Nell’invito al giuramento, che Dom Juan fa al povero, è condensato il dubbio<br />

del miscredente. Attentando al sistema di valori del povero, Dom Juan si<br />

riconferma uomo cartesiano, che dubita dei segni, della statua, del fantasma,<br />

credendole abbagli dell’immaginazione. Come dimos<strong>tra</strong>no i contenuti del<br />

discorso di Sganarelle, il <strong>tra</strong>gico della pièce di <strong>Molière</strong> nasce da questa sfida<br />

impari, che isola il protagonista conferendogli statuto eroico.<br />

Il <strong>tra</strong>gico è nello scardinamento provocato dall’intelligenza libertina, che<br />

dubita, e determina s<strong>tra</strong>niamento, mettendo in discussione una mentalità e i suoi<br />

dogmi. La dannazione del libertino corrisponde alla sua incapacità di fronteggiare<br />

il reale, nei suoi aspetti irriducibili alla Ragione. Le intelligenze si ingannano,<br />

perché altro non sono che prospettive in cui si cerca di incas<strong>tra</strong>re il reale.<br />

Eppure, come dice Baltrusaitis a proposito di Descartes, «la prospettiva non è<br />

uno strumento che ci fornisce rappresentazioni esatte: è una menzogna» 79 . Ecco<br />

allora la hybris di Dom Juan: l’eccessiva fiducia nell’intelligenza. La <strong>tra</strong>gedia<br />

sta nell’incapacità di comprendere che la Ragione è solo una prospettiva e quindi<br />

nell’inevitabilità della sconfitta dell’unico strumento conoscitivo all’altezza<br />

delle pretese moderne.<br />

78 Sulla presenza del Ciel nel Dom Juan si veda, <strong>tra</strong> l’altro, C. REICHLER, Dom Juan<br />

jouant, in «Obliques», numéro spécial <strong>Don</strong> Juan, 1974, pp. 51-73.<br />

79 BALTRUSAITIS, Anamorfosi…, cit., p. 78.<br />

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