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L’istromento del 1091 ha <strong>per</strong>ò una rilevanza anche dal punto di vista<br />
prosopografico, in quanto dalle professioni di legge apprendiamo<br />
che l’italico Rambaldo (ex professum lege longobarda) aveva sposato<br />
Matilda ex natione mea lege vivere videor salica, figlia di un marchese<br />
di nome Burgundo, evidentemente di provenienza oltralpina. E’<br />
una notizia indicativa, certamente non isolata come testimonia il<br />
caso cenedese sottoriportato, di rapporti matrimoniali tra nobiltà<br />
e in generale ceto di possessori italici ed immigrati nordici più<br />
generalmente definibili teutisci. Purtroppo non è possibile risalire<br />
con precisione all’identificazione del marchese Burgundo, non<br />
contemplato dal re<strong>per</strong>torio dello storico Edouard Hlawitscka,<br />
tanto più che i beni donati sembrano appartenere esclusivamente<br />
alla sfera patrimoniale trevigiana.<br />
E’ proprio attraverso i numerosi documenti di dotazione<br />
patrimoniale di monasteri ed enti ecclesiastici che riusciamo ad<br />
intravvedere i stretti legami di affinità tra i membri più importanti<br />
del territorio trevigiano e friulano di questi anni. L’ospitalecertosa<br />
di Santa Maria presso il Piave in loco Talponus, fondato<br />
in precedente epoca imprecisata, è beneficato nel 1120 da una<br />
donazione congiunta di tre aristocratici, i conti Rambaldo di<br />
Treviso, Valfredo di Colfosco ed Ermano di Ceneda, e da una<br />
figura di crescente – ma ancora non completamente palesata –<br />
influenza: Gabriele di Guecello da Montanara, che di li a poco<br />
troveremo come Gabriele da Camino. I donatari sono tutti<br />
italici (professimus ex natione nostra lege vivere Longobarda), e questo<br />
assieme alla comunanza nel possesso dei beni in Talpone ha spinto<br />
soprattutto gli autori antichi ad ipotizzare che i da Camino, i conti<br />
di Treviso e quelli di Ceneda appartenessero ad una unica famiglia.<br />
Questo può valere probabilmente <strong>per</strong> il rapporto tra Rambaldo di<br />
Treviso e Valfredo di Colfosco. Essi compaiono in coppia (ideoque<br />
nos Rambaldus et Valfredus […] donamus et offerimus a presenti die in<br />
eadem ecclesiaet hospitali <strong>per</strong> animarum nostrarum mercede nominatim omnes<br />
res et proprietastes, seu et <strong>per</strong>tinentias illas juris nostri etc.), e documenti<br />
posteriori di un decennio hanno indotto alcuni storici a confermare<br />
la loro stretta parentela in virtù di una clausola ereditaria che<br />
garantisce la trasmissione di proprietà tra le due famiglie. La prima<br />
ipotesi sorta da metodo scientifico sul rapporto tra queste famiglie<br />
risale agli inizi del secolo scorso: ne fu propugnatore Luigi Bailo,<br />
fondatore del museo civico comunale. Ma già prima di lui questa<br />
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profonda suggestione influenzava cronisti e storici già da alcuni<br />
secoli.<br />
4. Come detto dal Duecento queste fondazioni diventano sempre<br />
più appannaggio dei grandi ordini. I casi sono molti: nel territorio<br />
liventino esiste l’ospedale di Camolli, presso Sacile, che si sviluppa<br />
durante il XIII secolo <strong>per</strong> assicurare la manutenzione dei ponti,<br />
controllare le piene dei due fiumi e i guadi soprattutto <strong>per</strong> fornire<br />
assistenza ai viandanti. In questo <strong>per</strong>iodo gli xenodochia (il termine<br />
dal XII secolo è sostituito dai vocaboli hospitale e hospitium) sono<br />
quindi principalmente luoghi di assistenza e di sosta <strong>per</strong> i pellegrini.<br />
In questo senso è documentato nel Trecento l’ospedale di San<br />
Giovanni dei Cavalieri a Prata, promosso assieme al monastero<br />
camaldolese di Rivarotta come una fondazione di familiare dei<br />
conti di Prata. E anche in questo caso un ruolo importante ce<br />
l’aveva evidentemente la vicinanza al fiume Livenza, che oggi<br />
lambisce l’antico monastero trasformatosi in villa col mutare delle<br />
epoche. Presso Sacile tra il Due ed il Trecento prende consistenza<br />
inoltre la fondazione di San Giovanni del Tempio: insomma un<br />
fermento in grande stile con protettori ad hoc come testimoniano i<br />
grandi affreschi dei santi protettori del guado e della buona morte,<br />
san Cristoforo in testa. Secondo la tradizione era un martire in<br />
Licia nel 250, durante la <strong>per</strong>secuzione dell’im<strong>per</strong>atore Decio. Fu<br />
uno dei «quattordici santi ausiliatori», colui che avrebbe portato<br />
sulle spalle un bambino, che poi si rivelò Gesù. Il testo più antico<br />
dei suoi Atti risale all’VIII secolo. In un’iscrizione del 452 si cita<br />
una basilica dedicata a Cristoforo in Bitinia. Cristoforo fu tra i<br />
santi più venerati nel Medioevo; il suo culto fu diffuso soprattutto<br />
in Austria, in Dalmazia e in Spagna. Chiese e monasteri si<br />
costruirono in suo onore sia in Oriente che in Occidente, ma nelle<br />
nostre terre lo si trovava raffigurato sulle facciate delle chiese e nei<br />
pressi dei ponti, invocato <strong>per</strong> l’assistenza nei momenti di <strong>per</strong>icolo,<br />
ed invocati la mattina dai viandanti e dai contadini che andavano ai<br />
campi <strong>per</strong> chiedere il dono della Buona Morte, ovvero della morte<br />
in grazia di Dio.<br />
Doc. 2<br />
La morte dell’arcivescovo di Udine Bartolomeo<br />
Gradenigo