31.05.2013 Views

Libro Ospedale Motta per internet.indd - Ospedale riabilitativo Motta ...

Libro Ospedale Motta per internet.indd - Ospedale riabilitativo Motta ...

Libro Ospedale Motta per internet.indd - Ospedale riabilitativo Motta ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

“E’ prima massima nei provvedimenti reclamati dal bene generale il fare scelta dei migliori: sia pel minore dispendio che<br />

importino, come pel maggiore profitto che recano”.<br />

Esortazione dell’Im<strong>per</strong>ial Regia Delegazione della Provincia di Treviso al Commissario Distrettuale di <strong>Motta</strong>, 17 ottobre 1835.<br />

(Archivio storico comunale di <strong>Motta</strong> di Livenza, vol. II, b.11, fasc.6)


Bruno Stefanat<br />

L’OSPEDALE DI MOTTA DI LIVENZA<br />

DALL’ANTICO HOSPEDAL DI BORGO DEGLI ANGELI<br />

ALL’OSPEDALE RIABILITATIVO DI ALTA SPECIALIZZAZIONE<br />

Con una comunicazione di Luigi Zanin<br />

<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione - <strong>Motta</strong> di Livenza 2008


SOMMARIO<br />

Prefazioni pag. 5<br />

Introduzione pag. 9<br />

Le origini. Epidemie e lazzaretti pag. 13<br />

Antichi ospedali e metodi di cura nel Veneto Orientale pag. 18<br />

L’hospedal di Borgo degli Angeli. Primo esempio di s<strong>per</strong>imentazione pubblico-privata? pag. 22<br />

Dal secondo <strong>per</strong>iodo napoleonico al Regno sabaudo pag. 27<br />

L’invasione austroungarica pag. 31<br />

La morte di Italo Svevo pag. 38<br />

L’alluvione del 1966 pag. 43<br />

Nasce l’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione pag. 45<br />

Appendice pag. 53<br />

Bibliografia pag. 71


PREFAZIONI<br />

La tradizione di eccellenza ospedaliera del Veneto ha<br />

origini antiche, infatti, ospedali come quello di <strong>Motta</strong> di<br />

Livenza, risalente al XV secolo, hanno attraversato epoche<br />

anche oscure senza mai venir meno ai doveri di assistenza<br />

e di solidarietà nei confronti della popolazione. Nel caso di<br />

<strong>Motta</strong>, ma non solo, la religiosità popolare e la vicinanza di<br />

un celebre e amato santuario mariano, edificato nel primo<br />

‘500 con la su<strong>per</strong>visione del minorita veneziano Francesco<br />

Zorzi - una delle massime <strong>per</strong>sonalità culturali dell’epoca<br />

- hanno certamente contribuito a sollevare dalla malattia e<br />

dalla povertà generazioni di nostri concittadini.<br />

La Regione del Veneto si onora oggi di continuare quest’o<strong>per</strong>a<br />

meritoria, coniugando le moderne tecnologie medico-scientifiche<br />

con quel progetto di umanizzazione in medicina che è parte<br />

5<br />

integrante dell’attuale progetto di governo. Ben vengano,<br />

quindi, le iniziative culturali che mirano a valorizzare la<br />

storia della nostra sanità, rafforzando e rivitalizzando<br />

l’identità di un popolo forte, laborioso, buono e solidale.<br />

Intendo, infine, ricordare come l’odierno <strong>Ospedale</strong> Riabilitativo<br />

di Alta Specializzazione di <strong>Motta</strong> di Livenza sia un fiore<br />

all’occhiello della sanità veneta, esempio paradigmatico<br />

della funzionalità e delle potenzialità dello strumento della<br />

s<strong>per</strong>imentazione gestionale pubblico-privata, e come, quindi,<br />

abbia degnamente raccolto l’eredità degli antichi hospitali<br />

veneti.<br />

Giancarlo Galan<br />

Presidente della Regione del Veneto


La storia degli ospedali nel nostro territorio, trova le sue ori-<br />

gini nella umanità che scaturì in secoli lontani quando la<br />

cultura della carità propria della religione, influì sul mondo<br />

laico facendo della solidarietà un im<strong>per</strong>ativo sociale. Nel territorio<br />

dell’Azienda Ulss 9 l’<strong>Ospedale</strong> di <strong>Motta</strong>, insieme a<br />

quello di Treviso, ci ricordano l’origine medievale della nostra<br />

rete assistenziale e ci tramandano un’eredità ininterrotta nei<br />

secoli di impegno sanitario, in cui i traguardi clinici, i nomi<br />

di <strong>per</strong>sonaggi e le applicazioni scientifiche appaiono aspetti<br />

univoci di un grande quadro che è la storia dell’attenzione<br />

<strong>per</strong> la Persona.<br />

Una storia che non ci consente di ri<strong>per</strong>correre solo l’evoluzione<br />

dell’agire del medico nella quotidianità della cura, ma – in<br />

una infinità di rapporti intercorrenti – attraversa tutta la nostra<br />

società, il suo modo di organizzarsi, la sua aspirazione<br />

alla salvaguardia di un bene universale che è stata il motore<br />

di quello che oggi viene chiamato il modello sanitario trevigia-<br />

6<br />

no. Un modello in cui l’<strong>Ospedale</strong> di <strong>Motta</strong> di Livenza, nella<br />

condivisione di origini culturali comuni, si contraddistingue<br />

oggi <strong>per</strong> una propria tipicità in cui si fondono la connotazione<br />

del forte legame con il territorio e la realizzazione di un<br />

modello di s<strong>per</strong>imentazione gestionale della Regione Veneto,<br />

grazie al quale si è affermato come polo <strong>riabilitativo</strong> ad alta<br />

specializzazione.<br />

Tra i Mottensi, da sempre non è raro sentir indicare il nosocomio<br />

come “il nostro ospedale”. Si usa quel pronome che<br />

non vuole essere possessivo ma indicativo di una storia, di una<br />

appartenenza territoriale, di una condivisione sociale, di una<br />

partecipazione alle prospettive. Un’anticipazione ed un’efficace<br />

sintesi dello slogan scelto dall’Azienda Ulss 9 <strong>per</strong> le sue<br />

campagne comunicative: “La salute costruiamola insieme”.<br />

dr. Claudio Dario<br />

Direttore Generale Azienda Ulss 9


Mi sembra innanzitutto doveroso ringraziare la Direzione<br />

dell’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione <strong>per</strong><br />

una iniziativa che ha prodotto non soltanto una valida<br />

testimonianza sulle antiche istituzioni ospedaliere venete e<br />

sulla medicina del passato, ma un contributo importante <strong>per</strong> la<br />

stessa storia della Città di <strong>Motta</strong>, che si intreccia strettamente<br />

-e da molti secoli- con quella del suo ospedale. E’ davvero<br />

significativo che l’antico hospedal di Borgo degli Angeli nasca<br />

nel 1567 <strong>per</strong> una iniziativa della Comunità, che affida alla<br />

Confraternita di Santa Maria e San Nicolò l’incarico di<br />

costruirlo e poi gestirlo: una tradizione che continua oggi<br />

nell’attiva partecipazione del Comune alla formula societaria<br />

dell’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione, erede<br />

del vecchio <strong>Ospedale</strong> Civile Comunale. L’attuale nosocomio<br />

<strong>riabilitativo</strong>, oltre a essere uno tra i pochi esempi in Italia<br />

di ideale s<strong>per</strong>imentazione pubblico-privata, è un vanto e un<br />

punto di riferimento <strong>per</strong> la Città, <strong>per</strong> la Regione e <strong>per</strong> l’intera<br />

7<br />

sanità nazionale. Siamo <strong>per</strong>ciò fieri che questa struttura,<br />

proiettata a buon diritto in una dimensione tecnico-sanitaria<br />

avanzata e globale, continui degnamente l’antica tradizione<br />

di solidarietà e di assistenza ai poveri e agli infermi dei<br />

mottensi: un’assistenza che non è mai mancata, anche nei<br />

momenti tragici della nostra storia passata e recente, grazie a<br />

una nobile gara di generosità tra le più importanti famiglie di<br />

<strong>Motta</strong>. Voglio inoltre ricordare, ringraziandoli idealmente,<br />

i molti medici e chirurghi originari della nostra Città che<br />

hanno raggiunto vertici mondiali di professionalità e di fama<br />

scientifica, secondo una tradizione secolare davvero unica; così<br />

come sono certo che tutti i nostri concittadini sono grati e<br />

riconoscenti a quanti o<strong>per</strong>ano oggi nell’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo,<br />

garantendo servizi medici e clinici di eccellenza.<br />

Paolo S<strong>per</strong>anzon<br />

Sindaco di <strong>Motta</strong> di Livenza


Eccellenza delle cure e delle tecnologie, della professionalità<br />

medica e delle risorse umane; umanizzazione; presa in carico<br />

totale del malato, tanto nella fase di ricovero che in quelle pre<br />

e post-dimissione: sono gli obiettivi che mi prefissai nel 2003,<br />

quando accettai la difficile sfida di dar vita all’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo<br />

di Alta Specializzazione. Leggendo questo libro,<br />

ho trovato sorprendenti analogie tra questi principi e l’antica<br />

tradizione ospedaliera di <strong>Motta</strong> di Livenza: lascio al lettore<br />

il piacere e la sorpresa di rilevarle, ma non posso non<br />

sottolineare che qui, nel 1567, nasceva un hospedal <strong>per</strong> iniziativa<br />

del “pubblico” (la Comunità), che ne affidava la gestione<br />

economica e pratica a un “privato”, nella fattispecie la<br />

locale confraternita dei Battuti. In altri termini, è quello che<br />

succede oggi grazie all’agile strumento della s<strong>per</strong>imentazione<br />

pubblico-privata, che ci ha consentito, insieme alla fiducia accordataci<br />

dalla Regione Veneto, di raggiungere in pochi anni<br />

traguardi impensabili nel campo della riabilitazione. Voglio<br />

ricordare con gratitudine alcune delle moderne “confraterni-<br />

8<br />

te” che ci affiancano con serietà e dedizione: l’Associazione<br />

Amici del Cuore di Egidio Bianco, insostituibile nell’attività<br />

di informazione e prevenzione sul territorio e collettore della<br />

“beneficenza” dei mottensi, mai venuta meno, ieri a sostegno<br />

di poveri e infermi, oggi <strong>per</strong> l’acquisto di tecnologie clinicoospedaliere<br />

avanzate; e la onlus CentroPrua di Rodolfo Dalla<br />

Mora, che attraverso l’iniziativa “Sportello senza barriere”<br />

ci <strong>per</strong>mette di offrire assistenza <strong>per</strong> l’eliminazione delle<br />

barriere architettoniche non solo a pazienti ed ex-pazienti del<br />

nostro ospedale, ma a tutti i cittadini.<br />

Dedico questo libro ai dipendenti e collaboratori dell’<strong>Ospedale</strong>,<br />

passati e presenti: è soprattutto grazie a loro che quello che<br />

sembrava poco più di un sogno è diventato realtà.<br />

Alberto Prandin<br />

Direttore generale <strong>Ospedale</strong> Riabilitativo<br />

di Alta Specializzazione


INTRODUZIONE<br />

Immaginiamo uno stanzone affollato di letti e giacigli, con ammalati<br />

distesi e inerti, avvolti in fasciature approssimative, oppure seduti,<br />

la testa e le spalle appoggiate a cuscini di fortuna, o, ancora, in<br />

piedi lungo le pareti imbiancate a calce, sostenuti da rudimentali<br />

stampelle. Predominano i lamenti, le invocazioni e le preghiere<br />

ad alta voce, ma anche le grida di bambini che fanno irruzioni<br />

improvvise, inseguendosi e giocando tra i cumuli di stracci. Gli<br />

ammalati più fortunati sono assistiti dai familiari, povera gente<br />

dall’aspetto non molto più sano dei ricoverati; essi somministrano<br />

loro un poco di latte portato da casa o appoggiano pezzuole<br />

imbevute d’acqua sulla fronte dei febbricitanti. Gli altri devono<br />

aspettare che qualche fratello della congregazione religiosa, avvolto<br />

in una tunica bianca che ha sul petto le insegne rosse e blu con il<br />

flagello dei Battuti, si prenda finalmente cura di loro. I lamenti si<br />

moltiplicano e le braccia si alzano nell’invocazione quando appare<br />

un medico, anch’egli avvolto in una lunga tunica, ma nera, il volto<br />

celato dietro una maschera con un lunghissimo becco. Ciascuno<br />

invoca attenzione <strong>per</strong> sé, ma il medico, seguito dal cirologo o chirurgo<br />

e dagli assistenti che portano i libri e gli strumenti del mestiere, si<br />

dirige risoluto verso il priore dell’<strong>Ospedale</strong>, seduto a un tavolino<br />

all’estremità dello stanzone. Questi si inchina rispettosamente<br />

e indica un malato. Chirurgo e allievi predispongono intorno<br />

al letto di costui un paravento di stoffa bianca, dietro il quale<br />

prendono posto al seguito del magister. All’improvviso è silenzio,<br />

o quasi. I bambini che arrivano di corsa dagli ingressi della stanza<br />

vengono prontamente afferrati sulla soglia e respinti. Passa un<br />

tempo lunghissimo, finché dal paravento si leva un grido lacerante.<br />

Stavolta non si sente davvero volare una mosca, e anche i malati<br />

che rantolano vengono tacitati con una mano sulla bocca da chi<br />

li assiste. Finalmente il medico esce con sussiego, in un fruscio<br />

dell’ampia veste il cui colore scuro mimetizza le macchie di sangue.<br />

Rivolto al priore scuote il lungo becco orizzontalmente, oppure<br />

in senso verticale. Il priore si inchina di nuovo e, a seconda dei<br />

casi, ordina a qualcuno dei suoi di portare via il cadavere, oppure<br />

di soccorrere il sopravvissuto portandogli dell’acqua fresca e delle<br />

bende pulite. L’ala della morte è ora passata e lo stanzone riassume<br />

il consueto aspetto di dolorosa normalità. Vi sono anche degli<br />

9<br />

anziani, abbastanza sani all’apparenza, che vengono a prestare<br />

o<strong>per</strong>a caritatevole agli ammalati. Le loro mani tremano, ma fanno<br />

quel che possono, <strong>per</strong> lo più suggeriscono giaculatorie e parole<br />

di conforto, a volte riescono a far sorridere con qualche facezia<br />

dialettale. Sono vecchi indigenti, raccolti “allo stremo della miseria”<br />

e ospitati nel luogo di dolore insieme ai bambini che giocano tra<br />

gli ammalati, gli “innocenti Esposti” provenienti dalle ruote dei<br />

conventi o dalla pubblica strada. E’ il quadro complessivo di<br />

una umanità misera, ma “umana”, priva o quasi di s<strong>per</strong>anze, ma<br />

solidale, che condivide i frutti della carità e la fede religiosa, magari<br />

la su<strong>per</strong>stizione e, sempre, la rassegnazione.<br />

Si è cercato, con qualche licenza storico-letteraria, di descrivere<br />

un ospedale come doveva presentarsi dal medioevo sino al XIX<br />

secolo, quando le sco<strong>per</strong>te scientifiche, soprattutto quelle in materia<br />

di igiene, rivoluzionarono l’assetto dei nosocomi, che iniziarono<br />

così ad assumere l’aspetto odierno. La differenza fondamentale<br />

degli antichi “pii ospedali” con gli ospedali pubblici quali furono<br />

concepiti dalla fine dell’800 è nella tipologia dell’assistenza, affidata<br />

sin dagli inizi ai “volontari” delle Confraternite, e quindi connotata<br />

profondamente dalla pietà e dalla devozione religiosa, ed anzi, quasi<br />

confusa con esse. Un comune sentimento di solidarietà umana<br />

imponeva agli abitanti di un villaggio o di una città, ai membri di<br />

una corporazione o di una confraternita, di soccorrere il vicino nato<br />

o divenuto infirmus et debilis. Nella Summa theologica dell’arcivescovo<br />

Antonino da Firenze (1389-1459), trattato di teologia morale di<br />

notevole successo che dedica ampio spazio ai “bisogni” della<br />

popolazione più debole, si sancisce l’obbligo di soccorrere i poveri<br />

destinando loro l’eccedenza dei beni posseduti. Inoltre, si propone<br />

una specializzazione degli ospedali e si delineano le caratteristiche<br />

peculiari di chi deve dedicarsi agli ammalati: anzitutto la pazienza<br />

e la bontà, quindi l’accoglienza amorosa, caratterizzata, sì, dalla<br />

somministrazione del cibo e dei medicinali necessari, ma anche<br />

dall’attenzione ai bisogni spirituali. Con un principio laico ante<br />

litteram, Antonino afferma che la gestione di tali ospedali può<br />

essere affidata indifferentemente a religiosi o secolari, e che questi<br />

ultimi possono farlo senza che vi sia bisogno del <strong>per</strong>messo del<br />

vescovo.<br />

Si può essere tentati di dire che proprio il vacillare dei dogmi<br />

della fede, unitamente al progredire della scienza, ha trasformato


dall’illuminismo in avanti l’assistenza sanitaria in una professione<br />

sociale diffusa, con indubbi vantaggi <strong>per</strong> gli ammalati. Ciò<br />

nonostante, molti ricordano con gratitudine le suore ospedaliere,<br />

oggi pressoché scomparse dall’assistenza pubblica, che hanno<br />

rappresentato sino a pochi anni fa questa tradizionale sintesi<br />

tra professionalità sanitaria e fede religiosa. L’aspetto fideisticoreligioso<br />

e la s<strong>per</strong>anza nella guarigione affidata al soprannaturale<br />

non si possono sottovalutare neppure oggi, e costituiscono un<br />

aspetto psicologico di cui occorre tener conto.<br />

L’ospedale di <strong>Motta</strong> di Livenza, la cui attuale struttura edilizia<br />

prende avvio nel 1911, rappresenta un paradigma di questo<br />

binomio salute-religione, sorgendo accanto alla Basilica della<br />

Madonna dei Miracoli, costruita subito dopo l’apparizione della<br />

Vergine al contadino mottense Giovanni Cigana nel 1509 (FOTO<br />

N.1 e N.2). Il nosocomio territoriale è sempre stato, in qualche<br />

modo, strettamente connesso alla Basilica dei Frati Minori, e<br />

generazioni di cittadini di <strong>Motta</strong> e dei dintorni hanno affidato<br />

alla Madonna le proprie s<strong>per</strong>anze e le proprie paure di fronte agli<br />

eventi estremi della vita. All’interno del convento esisteva, come<br />

in tutti i monasteri, un’infermeria, destinata alla cura dei religiosi,<br />

ma anche dei poveri e dei viandanti 1 . Inoltre, <strong>per</strong> molti anni i<br />

10<br />

locali del convento, soppresso e confiscato nel secondo <strong>per</strong>iodo<br />

napoleonico e riacquistato nel 1832 da padre Vincenzo Volpi –un<br />

frate che negli anni del Regno d’Italia napoleonico aveva vissuto<br />

insieme ad alcuni confratelli “in un luogo di fortuna” 2 vestito da<br />

prete secolare-, furono sede dell’“Ospitale <strong>per</strong> i poveri di <strong>Motta</strong>”,<br />

divenuto <strong>Ospedale</strong> civile cittadino a partire dal 1866.<br />

In questa ricerca non siamo stati supportati da una esauriente<br />

documentazione del passato: eventi naturali e bellici, primi fra<br />

tutti l’alluvione che nel 1966 colpì duramente <strong>Motta</strong> e dintorni<br />

e l’invasione austriaca del 1918, non hanno risparmiato archivi e<br />

biblioteche, pubblici e privati. Pertanto è impossibile ricostruire<br />

una storia cronologicamente organica dell’ospedale. Ci auguriamo<br />

che nel futuro gli archivi ospedalieri siano opportunamente<br />

conservati quali testimonianza della sofferenza degli uomini e delle<br />

comunità, della solidarietà e del controllo sociale, dell’evolversi di<br />

cure e terapie, ed anche quale ausilio insostituibile <strong>per</strong> la storia<br />

della medicina e <strong>per</strong> la stessa medicina del futuro 3 .<br />

Note<br />

1 Se ne parla in un resoconto della “teribile Montana” (alluvione) che colpì <strong>Motta</strong> nel novembre 1785, conservato tra le carte delle “Scuole<br />

(confraternite) di <strong>Motta</strong>” presso l’Archivio di Stato di Treviso.<br />

2 Damiano Meda, La Madonna dei Miracoli nella sua origine, nella storia e nella pietà, <strong>Motta</strong> di Livenza 1985, p. 257.<br />

3 Cfr. “Archivi ospedalieri tra passato e presente”, 7 dicembre 1993, Ca’ Foncello, Treviso. Con interventi di Claudio Dario, Pietro Ferracin, Bianca<br />

Lanfranchi Strina, Giovanni Pesiri e altri, nell’ambito della IX Settimana <strong>per</strong> i Beni culturali e ambientali.<br />

Afferma Nelli-Elena Vanzan Marchini: “Molti ospedali delle nostre città storiche possiedono documentazione molto antica il più delle volte relativa<br />

a lasciti ottenuti dagli antichi ospedali nei quali l’esercizio dell’assistenza e della carità cristiana era <strong>per</strong>messo da lasciti ed elargizioni. Questi fondi<br />

antichi individuati come “preziosi” vengono talvolta passati agli Archivi di stato affinché li restaurino, li conservino e ne <strong>per</strong>mettano la consultazione<br />

agli studiosi. L’o<strong>per</strong>azione è senz’altro meritoria, <strong>per</strong>ò l’ottica complessiva che costringe ad o<strong>per</strong>are tali frantumazioni nella memoria degli ospedali<br />

deve cambiare. A livello regionale si dovrebbe cominciare a rapportarsi con gli archivi ospedalieri come a patrimoni che vanno organizzati e<br />

salvaguardati nella loro totalità, <strong>per</strong>ché le cartelle cliniche richiedono consultazione e conservazione come le mappe antiche…negli archivi ospedalieri<br />

è scritta la storia della sofferenza degli uomini e delle comunità, la storia della solidarietà e del controllo sociale, la storia delle cure. …Vi sarà poi<br />

tanta differenza tra un lascito testamentario del XVI secolo e il macchinario terapeutico donato nel XX secolo da una banca? Non testimoniano<br />

entrambi l’esercizio della solidarietà?...E’ emblematico il fatto che le amministrazioni ottocentesche degli ospedali si premurassero nei loro statuti di<br />

conservate la strumentazione medica, affidandola al chirurgo primario in quanto la memoria era considerata una componente fondamentale anche<br />

<strong>per</strong> una scienza medica proiettata verso il futuro, ma non <strong>per</strong> questo disposta a dimenticare il passato…uno dei più preziosi strumentari italiani ci è<br />

giunto solo grazie all’amore antiquario dell’economo dell’ospedale.”


1) La basilica della Madonna dei Miracoli in una cartolina del 1907.<br />

11


2) La basilica oggi.<br />

12


LE ORIGINI. EPIDEMIE E LAZZARETTI<br />

Le istituzioni ospedaliere trovano lontana origine nell’o<strong>per</strong>a delle<br />

prime comunità cristiane a favore dei fratelli, come luogo di<br />

assistenza (xenodochia) <strong>per</strong> coloro che si trovavano in viaggio o in<br />

stato di necessità. Nel Veneto i primi luoghi di ricovero documentati<br />

risalgono all’Alto Medioevo, nell’ambito dei conventi benedettini<br />

-nei quali si trovava quasi sempre un infirmitorium-, coadiuvati<br />

poi da quelli degli Ordini cavallereschi, primi fra tutti Templari e<br />

Giovanniti. Lo scopo principale era quello di assistere i poveri: la<br />

piaga della povertà si può definire senz’altro la più grave e diffusa<br />

malattia dei secoli passati, e occorre precisare che il concetto<br />

attuale di povertà è piuttosto differente da quello originario.<br />

Lo stesso detto latino homo sine pecunia imago mortis si riferisce<br />

probabilmente a chi, non avendo di che sostentarsi, è facile preda<br />

di ogni sorta di malattie e destinato inevitabilmente alla morte. Se<br />

oggi, infatti, definiamo povertà soprattutto la mancanza di beni<br />

di proprietà, nel passato i pau<strong>per</strong>es erano l’innumerevole schiera di<br />

quanti vagavano <strong>per</strong> le città e <strong>per</strong> le campagne alla <strong>per</strong>enne ricerca<br />

di cibo e di un rifugio. Secondo il cronista fiorentino Giovanni<br />

Villani, verso il 1330 a Firenze vi erano 17000 uomini, donne<br />

e bambini che vivevano di elemosina, corrispondenti a oltre il<br />

20% della popolazione, e non dissimile era la situazione nel resto<br />

d’Italia, compresa Venezia, che alla fine del Medioevo contava<br />

150000 abitanti. Forse peggiore la situazione nelle campagne,<br />

dove la sopravvivenza della popolazione era costantemente<br />

minacciata dalle guerre e dalle carestie. Le congregazioni religiose,<br />

capillarmente diffuse, erano le istituzioni di beneficenza deputate<br />

alla gestione degli hospitalia: nel Veneto orientale tra la fine del XIII<br />

13<br />

secolo e gli inizi del XIV sorse una fitta rete di piccoli ospizi gestiti,<br />

in particolare, dalle confraternite dei Battuti o Disciplinati. Ancor<br />

oggi l’<strong>Ospedale</strong> di Ca’ Foncello a Treviso è intitolato a Santa Maria<br />

dei Battuti (FOTO N.3).<br />

A <strong>Motta</strong> di Livenza, terra di confine con il Patriarcato di Aquileia,<br />

che rimase nell’orbita delle turbolente signorie della Marca<br />

trevigiana -le quali, a seconda dell’opportunità, si schieravano<br />

con la Repubblica di Venezia o con i suoi nemici friulani-, fino<br />

a quando entrò a far parte definitivamente della Serenissima nel<br />

1388, fu fondata l’8 settembre 1448 la Scuola (confraternita)<br />

di Santa Maria Annunziata e San Nicolò o dei Battuti. Mentre<br />

sull’antico <strong>Ospedale</strong> di Santa Maria dei Battuti di Treviso,<br />

fondato nel 1261, esiste una ricca documentazione in buona parte<br />

pubblicata 1 e conservata presso l’Archivio di Stato di Treviso,<br />

oltre che presso il Centro studi <strong>per</strong> la storia delle campagne<br />

venete (CESCAVE) di Ca’ Tron, non sappiamo con certezza se<br />

a <strong>Motta</strong> sia stato subito creato un ricovero ospedaliero diverso<br />

dal lazzaretto, destinato ad accogliere le vittime delle epidemie,<br />

ma si può presumere che la congregazione nacque con gli scopi<br />

tradizionali delle analoghe istituzioni, le quali nelle vicine San Vito<br />

al Tagliamento, Portogruaro, Pordenone, Sacile, amministravano<br />

da tempo degli ospedali. Nel 1474 il vescovo di Ceneda Nicolò<br />

Trevisan visitò a <strong>Motta</strong> la chiesa di Santa Maria “in qua fundata est<br />

schola batutorum”, ma nella relazione che accompagnava sempre<br />

queste visite pastorali 2 non si accenna alla presenza di un ospedale.<br />

Quel che è certo è che nel 1567, quando inizia la costruzione di<br />

un ospedale nel Borgo degli Angeli, ed anche oltre, continua ad<br />

esistere un hospedal vechio -del quale nelle carte non si specifica mai<br />

la localizzazione- che abbisogna di restauri 3 (FOTO N.4).<br />

Note<br />

1 Cfr. <strong>per</strong> tutti: Giovanni Netto, Vicende dell’<strong>Ospedale</strong> di Treviso nel ‘300, Treviso, 1965, e: Nel Trecento a Treviso. Vita cittadina vista nell’attività della “scuola”<br />

Santa Maria dei Battuti e del suo ospedale, Treviso, 1976, e il recente Le terre dell’<strong>Ospedale</strong> di Santa Maria dei Battuti di Francesca Pastro, Treviso 2003. Anche<br />

questo ospedale fungeva da orfanotrofio e ospizio <strong>per</strong> vecchi e “donzelle da maritar”.<br />

2 Presso l’Archivio storico della Diocesi di Vittorio Veneto (“Archivio Vecchio”) si conservano le relazioni delle visite pastorali pre e post-tridentine<br />

effettuate a <strong>Motta</strong>, ma in esse non viene mai citato l’ospedale.<br />

3 Nel libro spese della Scuola conservato presso l’Archivio storico parrocchiale di <strong>Motta</strong> si legge che il 22 marzo 1579 furono date Lire 10 “al muraro,<br />

che si fe bianchezzar l’hospedal vechio”. Di questo ospedale si sa soltanto che nel 1510 era amministrato dal priore Bortolamio Catelan di Giovanni<br />

(Damiano Meda, op. cit. p. 257).


3) L’ospedale di Santa Maria dei Battuti di Treviso, oggi sede dell’Università.<br />

Incisione ottocentesca.<br />

5) Lo stemma dei Battuti sul frontespizio del catastico del 1600.<br />

6) Le case di proprietà della confraternita.<br />

Sulle facciate campeggia lo stemma con il flagello.<br />

14<br />

4) L’hospedal di Borgo degli Angeli nel disegno del 1600


La spiritualità dei Battuti consisteva nell’immedesimazione con il<br />

sacrificio di Cristo, ed era simboleggiata dal flagello che compare<br />

nelle loro insegne 4 (FOTO n.5). Le congregazioni si sostentavano<br />

con i fondi destinati alla beneficenza, in particolare dai mercanti<br />

e da quanti sentivano la necessità di redimersi dai peccati. Nei<br />

“libri segreti” delle compagnie commerciali esisteva quasi sempre<br />

un “conto di Messer Domineddio” che consentiva di conciliare i<br />

profitti con i principi religiosi; anche nei libri mastri della Scuola<br />

di <strong>Motta</strong>, ricchi di dettagli su entrate e uscite, sono registrate sino<br />

alla fine del XVIII le prove che i fondi, frutto della carità privata,<br />

non mancavano. Alcuni disegni del 1600 presenti nel Catastico de<br />

tutti li beni della veneranda Scuola di Santa Maria e San Nicolò della <strong>Motta</strong><br />

conservato presso l’Archivio di Treviso testimoniano il cospicuo<br />

patrimonio immobiliare della confraternita 5 (FOTO n.6) -che<br />

donò <strong>per</strong>sino il terreno su cui sorse il santuario della Madonna dei<br />

Miracoli-, e si nota chiaramente che gli edifici di proprietà erano<br />

contrassegnati dallo stemma dei Battuti. Ma com’era progettato<br />

un antico ospedale? Sicuramente l’infirmarium, cioè lo spazio<br />

dedicato ai malati, comprendeva, oltre a un’ampia sala di degenza,<br />

una stanza <strong>per</strong> clisteri e salassi –rimedi universali che spesso<br />

riducevano il paziente in condizioni più gravi di quelle iniziali-<br />

e un locale con armarium che fungeva da archivio e farmacia.<br />

Non mancava all’esterno un orto <strong>per</strong> la coltivazione di piante<br />

medicinali, base di ogni terapia. Il numero dei ricoverati era di<br />

solito fisso ed il paziente, una volta accolto, rimaneva nell’ospedale<br />

fino alla morte: il ricovero temporaneo non esisteva. Sugli ospedali<br />

medioevali in generale e su quelli del Veneto Orientale rinviamo<br />

alla comunicazione di Luigi Zanin riportata in appendice (doc.1).<br />

15<br />

Diversa era la funzione e tipologia del lazzaretto, destinato ad<br />

accogliere lebbrosi e malati infettivi durante le frequenti epidemie<br />

o a far trascorrere la quarantena a coloro che giungevano da luoghi<br />

-diremmo oggi- “a rischio”. Nel 1182, la Repubblica di Venezia<br />

decideva di destinare al ricovero dei lebbrosi l’<strong>Ospedale</strong> di San<br />

Leone, costruito su un’isola della laguna. In ossequio al culto che<br />

prescriveva come protettore dei lebbrosi il Lazzaro dei Vangeli<br />

risuscitato dal sepolcro, isola e ospedale cambiarono nome e<br />

assunsero quello di San Lazzaro (da cui, appunto, il termine<br />

lazzaretto). Nella primavera del 1528, aggiungendosi a una terribile<br />

carestia che aveva spinto migliaia di contadini famelici a rifugiarsi a<br />

Venezia dalla terraferma, sopraggiunsero la peste e il tifo (“mal di<br />

petecchie”), e <strong>per</strong> parecchi mesi si registrarono migliaia di decessi 6 .<br />

La Repubblica cercò di correre ai ripari, ma obbligò i mendicanti<br />

a ricoverarsi negli ospedali, che in questo modo divennero vere e<br />

proprie fabbriche della morte. Anche a <strong>Motta</strong> c’era un lazzaretto,<br />

gestito sempre dalla congregazione di Santa Maria e San Nicolò:<br />

nel 1580 si stanziano fondi <strong>per</strong> la “Fabrica di un capitello nel<br />

lazzaretto posto nelle Campagnole” 7 ; le località Campagnole,<br />

Moletto e Le Cerche, decentrate lungo la Postumia, sono di<br />

origine medioevale, com’è probabile fosse il lazzaretto. Nella città<br />

liventina si presero molti provvedimenti contro la peste: nel 1478<br />

la Comunità pose delle sentinelle che sorvegliassero di giorno i<br />

ponti su Livenza e Monticano, impedendo l’accesso ad eventuali<br />

“untori”, e chiudessero di notte le porte cittadine; l’anno seguente<br />

si impose ai contagiati di bruciare tutte le loro masserizie e di<br />

andare a risiedere in casolari fuori città, a spese del Comune, ma a<br />

patto che, qualora fossero sopravvissuti, le avrebbero rimborsate;<br />

4 Lo stemma dei Battuti di <strong>Motta</strong> è simile a quello di Ca’ Foncello di Treviso, riconosciuto nel R.D. 12/3/1936 in base alla vigente normativa<br />

araldica: “stemma d’argento al flagello posto in palo manicato di rosso, avente nella parte inferiore due catenelle di nero, affiancate dalle lettere S e<br />

M sormontate da accento circonflesso, il tutto di nero”, dove le lettere stanno <strong>per</strong> “Sancta Maria”.<br />

5 Catastico fatto <strong>per</strong> me, Costantin Cortelotto <strong>per</strong>tegador pubblico di Oderzo ad instanzia del Sig. Zuanne Lonà e del Sig. Zanmaria Padoan suo successor Gastaldi della<br />

Veneranda Confraternita della Scola del Protettor Ms. San Nicolò della <strong>Motta</strong> de tutte le sue case in la <strong>Motta</strong>, et terre pradi ecc.<br />

6 Nel Veneto le più grandi epidemie di peste si registrarono negli anni 1348, 1477, 1485/87, 1528, 1576 e 1629/31 (di manzoniana memoria).<br />

Quest’ultima a <strong>Motta</strong> non fu particolarmente violenta, come ricorda una tavoletta votiva di ringraziamento alla Beata Vergine del Carmine presente<br />

nel Duomo di San Nicolò (FOTO n.7-8-9).<br />

7 Dal <strong>Libro</strong> dei conti della congregazione, in Archivio storico parrocchiale di <strong>Motta</strong>. Si tratta probabilmente dello stesso capitello <strong>per</strong> il quale nel<br />

1578 la Comunità aveva stanziato 10 ducati, e che doveva ricordare “i molti cadaveri sepolti al tempo della peste”. Lepido Rocco, <strong>Motta</strong> di Livenza e<br />

i suoi dintorni, Treviso, 1897, p.103.


7)<br />

8 e 9) Due lasciapassare rilasciati in tempo di peste<br />

da giurisdizioni feudali.<br />

16


nel 1525 si inviò una supplica al Doge <strong>per</strong> ottenere un’esenzione<br />

fiscale, dal momento che si erano sostenute molte spese a causa<br />

del “flagello della peste, che avea colpite e condotte a morte molte<br />

<strong>per</strong>sone”; nello stesso anno si deliberò di ricostruire in pietra la<br />

chiesa di San Rocco, protettore degli appestati, che era fatta “di<br />

tavole”. Fu durante le epidemie che la Comunità iniziò a nominare<br />

due provveditori che eseguissero scrupolosamente le direttive del<br />

Magistrato veneziano alla Sanità. A partire dal 1600 la carica venne<br />

istituzionalizzata: i provveditori cittadini alla sanità dovevano in<br />

particolare stilare precisi referti nei casi di morte improvvisa, ma<br />

anche segnalare le malattie del bestiame e prendere gli opportuni<br />

provvedimenti. Rocco ebbe modo di consultare nel poi dis<strong>per</strong>so<br />

17<br />

Archivio comunale le “Relazioni, comparse e decreti in materia<br />

di Sanità” e racconta che erano ricchi di descrizioni di sintomi<br />

di malattie, diagnosi, cure e referti di esami necroscopici. In<br />

appendice riportiamo quello che riguarda un illustre <strong>per</strong>sonaggio<br />

che trovò casualmente la morte a <strong>Motta</strong> nel 1765: l’arcivescovo<br />

di Udine Bartolomeo Gradenigo, mentre era in viaggio da<br />

Venezia al capoluogo friulano (appendice doc. 2). A un certo punto<br />

il lazzaretto fu dismesso e in altre occasioni pare fosse la basilica<br />

della Madonna dei Miracoli a fungere da temporaneo ricovero <strong>per</strong><br />

i malati epidemici 8 , così come in altri <strong>per</strong>iodi fu trasformata in<br />

ospedale militare (FOTO n. 10). Secondo Rocco si usava anche, in<br />

caso di necessità, requisire due case private contigue alla basilica.<br />

10) la basilica trasformata in ospedale militare austrungarico fino al presbiterio.<br />

8 “E’da ritenersi che la chiesa [della Madonna dei Miracoli] fosse internamente dipinta da buona mano, <strong>per</strong>ciocché dalla paziente o<strong>per</strong>a d’alcuni di que’<br />

padri col cancellare della sovrapposta imbianchitura forse distesa quando il convento servì di lazzaretto, in occasione d’una pestilenza)…”. Alvise<br />

Semenzi, Treviso e la sua Provincia, Treviso, 1864, p.244.


Un episodio emblematico. Dopo il 1832, quando padre Vincenzo<br />

Volpi acquistò dal demanio austriaco i locali del soppresso<br />

convento francescano, che più tardi divenne sede dell’ospedale<br />

civile comunale di <strong>Motta</strong> -e tale rimase fino al 1911-, a fronte<br />

dell’epidemia di colera che nel 1835-36 dilagò nel Lombardo-<br />

Veneto l’Arciduca-Vicerè Ranieri d’Asburgo ordinò di istituire<br />

“Spedali appositi pei cholerosi” da “stabilirsi nelle diverse Città e<br />

luoghi più popolosi”. Quando l’ordine arrivò a <strong>Motta</strong> il Consiglio<br />

comunale, riunitosi il 15 ottobre 1835, deliberò di acquistare da<br />

Antonio Gini -anch’egli consigliere, ma, come precisa il verbale<br />

conservato in quel che resta dell’Archivio storico comunale,<br />

assente alla seduta- “la casa detta Miotto di di lui ragione posta in<br />

vicinanza di questo Convento dei Minori Osservanti <strong>per</strong> disporla<br />

urgentemente ad uso d’ospizio dei cholerosi”. Il prezzo pattuito<br />

era di 3200 lire austriache; inoltre, si chiarisce che “questo locale<br />

una volta che sia cessato ogni sospetto di cholera sarà convertito ad<br />

uso di Ospitale Civile…qual Ospitale servirà anco <strong>per</strong> accogliere<br />

li malati miseri di tutto il Distretto”. Ma il giorno dopo viene<br />

protocollata un’altra offerta, quella di G. Matteo Botti, di 800 lire<br />

inferiore, <strong>per</strong> un edificio “giacente in limite al paese dal lato di<br />

mezzodì, in plaga la più salubre <strong>per</strong>ché ovunque ventilatissima,<br />

in suolo elevato al di sopra del livello delle piene del Livenza, ed<br />

in contatto a questo fiume”. L’edificio “che non soffre confronto<br />

<strong>per</strong> ordine architettonico né <strong>per</strong> capacità, dispone di un fondo<br />

coltivo che dà un’annuale rendita certa”, a differenza del terreno<br />

circostante la casa del Gini, che “consiste in 300 tavole circa di<br />

terreno abbandonato in seno della natura, e quasi del tutto sterile”<br />

ed è <strong>per</strong> giunta situato “lungo la strada Callalta notoriamente<br />

frequentatissima”. L’Im<strong>per</strong>ial-Regia Delegazione della Provincia<br />

di Treviso invita il Commissariato Distrettuale di <strong>Motta</strong> a<br />

procedere senza indugio all’acquisto della casa del Botti, in base al<br />

principio che “è prima massima nei provvedimenti reclamati dal<br />

bene generale il fare scelta dei migliori: sia pel minore dispendio<br />

che importino, come pel maggiore profitto che recano”. Ma a<br />

<strong>Motta</strong> si formano due partiti, uno pro-Gini avallato dal parroco<br />

e dal medico condotto, uno pro-Botti, ciascuno dei quali produce<br />

pedantemente le proprie ragioni. Il risultato è che la faccenda<br />

18<br />

si arena e da una lettera dell’Im<strong>per</strong>ial-Regia Delegazione alla<br />

Deputazione Comunale di <strong>Motta</strong> del 26 giugno 1836 si desume<br />

che, nonostante il Gini abbia abbassato il prezzo a 2800 lire, ancora<br />

nulla è stato deciso. Mancano riscontri successivi, ma è certo che<br />

la vicenda non ebbe alcun seguito, anche <strong>per</strong>ché nel frattempo<br />

l’epidemia era cessata 9 . Così <strong>Motta</strong> <strong>per</strong> avere un proprio ospedale<br />

civile dovette aspettare molti anni. Fortunatamente <strong>per</strong> i cittadini,<br />

il padre Volpi e i suoi confratelli continuavano a prestare o<strong>per</strong>a<br />

caritatevole, oltre che spirituale, nel convento, con l’appoggio<br />

finanziario di molti benefattori.<br />

ANTICHI OSPEDALI E METODI DI CURA<br />

NEL VENETO ORIENTALE<br />

Per quanto riguarda le condizioni degli antichi ospedali in Italia,<br />

possediamo una testimonianza d’eccezione, quella di Martin<br />

Lutero, che nel 1510 visita a Roma l’ospedale di Santo Spirito e<br />

a Firenze quello di Santa Maria Nuova, rimanendo impressionato<br />

dalla loro efficienza. “Gli ospedali sono ben provveduti, hanno<br />

splendide sedi, forniscono bevande e cibi ottimi, il <strong>per</strong>sonale è<br />

assai diligente e i medici dottissimi. Appena entra un infermo,<br />

questi depone il vestiario e quanto altro gli appartiene; di tutto<br />

viene preso nota <strong>per</strong> un’ordinata custodia . Poi l’infermo indossa<br />

un bianco camice e gli viene apprestato un buon letto con<br />

biancheria di bucato. Subito dopo sopraggiungono due medici ed<br />

inservienti che portano cibi e bevande, contenuti in vetri tersi che<br />

non vengono toccati nemmeno con un dito, ma presentati sopra<br />

vassoi”. Martin Lutero trovò soltanto da ridire sul principio di<br />

carità che induceva gli Italiani a sostenere le istituzioni.<br />

Cesare de Nores, vescovo di Parenzo e visitatore apostolico<br />

incaricato nel 1584 di verificare nelle chiese del Veneto orientale<br />

l’applicazione dei principi liturgici sanciti dal Concilio di Trento,<br />

censì tutti gli edifici di culto della Diocesi di Concordia. A<br />

Portogruaro, visitando la locale chiesa dei Battuti con annesso<br />

ospedale, constatò che gli otto letti presenti nell’ospedale erano<br />

9 Nel 1836 morirono di colera a <strong>Motta</strong> 22 <strong>per</strong>sone, tra cui il parroco don Cabrusà, sepolto “senza il debito onore” (D. Meda, op. cit., p.257n.).


«satis instructa», ovvero abbastanza forniti, ma ordinò che gli uomini<br />

fossero separati dalle donne. Questa situazione di promiscuità,<br />

tipica delle prime forme di ospedale, continuò anche negli anni<br />

successivi, dato che il Vescovo di Concordia Sanudo I, nel 1599,<br />

ribadì l’invito a evitare che le donne fossero ricoverate assieme<br />

agli uomini e a tal fine ordinò che <strong>per</strong> loro si utilizzasse il «solaro di<br />

sopra», dove normalmente si riuniva la confraternita.<br />

In un altro comune circonvicino, San Vito al Tagliamento, si<br />

verificava la contiguità di un’ala riservata all’ospedale e di un<br />

luogo di culto -sempre istituito dai Battuti-, e cioè la stretta<br />

connessione di esigenze profane e religiose entro un solo edificio<br />

estremamente compatto, secondo la caratteristica tipica degli<br />

ospedali tardomedievali europei. A <strong>Motta</strong> l’hospedal costruito alla<br />

fine del ‘500 sorse nel Borgo degli Angeli, che si trovava al confine<br />

tra gli attuali Borgo Aleandro e Viale della Madonna, allora<br />

lambito dal fiume Monticano, poi deviato e interrato. Anche qui<br />

l’edificio ospedaliero fu edificato accanto alla chiesa di Santa Maria<br />

degli Angeli, detta dei Morti <strong>per</strong>ché collegata al cimitero, officiata<br />

dal cappellano salariato dalla confraternita di Santa Maria e San<br />

Nicolò. Questa chiesa, eretta nel 1467 e affrescata da Dario da<br />

Pordenone, fu demolita nel 1873.<br />

A San Vito pare che nella seconda metà del ‘300 la stessa piccola<br />

chiesa svolgesse le funzioni di ospedale secondo lo schema<br />

caratteristico delle cosiddette “sale ospedaliere medievali”, che<br />

garantivano la funzione assistenziale abbinata nello stesso ambiente<br />

a quella religiosa, ma è certo che nel corso del secolo successivo gli<br />

ampliamenti dell’edificio e il suo innalzamento <strong>per</strong> poter utilizzare<br />

piani più alti finirono <strong>per</strong> dividere stabilmente la destinazione dei<br />

due vani, quello della chiesa e quello dell’ospedale vero e proprio.<br />

Sempre a San Vito i documenti relativi alla visita apostolica<br />

del vescovo Cesare de Nores testimoniano che nell’ospedale<br />

esistevano nove “cubilia” destinati a poveri e miserabili del posto<br />

e a pellegrini in transito e che i letti dei malati erano tutti raccolti<br />

in un’unica stanza senza separazione dei sessi. L’amministrazione<br />

dell’ospedale era affidata a un “cameraro” eletto tra i membri della<br />

confraternita ma la gestione quotidiana vera e propria dell’istituto<br />

era demandata ad un “priore” che vi abitava con la famiglia e la di<br />

10 Angelo Marchesan, Treviso medievale, Treviso 1923, vol. II, pp. 262 segg.<br />

19<br />

lui moglie aveva il compito di accudire alle degenti. Anche a <strong>Motta</strong><br />

l’ospedale veniva retto da un priore, che dipendeva direttamente<br />

dal gastaldo della Scuola di Santa Maria e San Nicolò.<br />

Alla fine del Medioevo la professione medica era regolata a<br />

Treviso con molta cura. Già nel 1231 si emette un bando <strong>per</strong><br />

l’assunzione di un medico che sia anche in grado di istituire una<br />

scuola di medicina. Nel 1314 il Comune assoldò maestro Pizolo,<br />

figlio di maestro Francesco di Capo di Monte da Montebelluna,<br />

affiancandolo agli altri medici già o<strong>per</strong>anti, in qualità di giustaossi<br />

(“cum civitas indigeat medicis qui mederi sciant de fracturis ossium”).<br />

Egli doveva medicare anche altre infermità e lavorare sempre<br />

gratis <strong>per</strong> i poveri, ed eventualmente dare lezioni di medicina a<br />

chi le richiedesse. Il suo contratto prevede l’obbligo specifico di<br />

risiedere a Treviso o nei borghi, nonché di non allontanarsi e di<br />

non <strong>per</strong>nottare mai fuori città senza il <strong>per</strong>messo del podestà. Il<br />

medico era affiancato dal chirurgo, o cirologo, che spesso svolgeva<br />

anche la professione di barbiere: questi eseguiva piccoli interventi<br />

e salassi, medicava “bruschi e sgrafadure” ed era sostanzialmente<br />

considerato una sorta di manovale della professione medica.<br />

In ogni caso nella Treviso del ‘300 sia i medici che i cirologi<br />

guadagnavano molto bene, al punto da prestare denaro allo stesso<br />

Comune 10 . Grande autorità medica del tempo era Pietro d’Abano,<br />

che nell’o<strong>per</strong>a Conciliator differentium stabiliva, ad esempio, “non<br />

esser il salasso mai tanto salutare, quanto nel secondo quarto della<br />

luna; e <strong>per</strong> guarire dai dolori nefritici, doversi nel momento, in cui<br />

il sole passa nel meridiano, col cuor del leone delineare la figura<br />

d’un leone sopra una piastra d’oro, e appendere poi questa al<br />

collo dell’ammalato; inoltre gli strumenti di ferro essere preferibili<br />

a quelli d’oro, <strong>per</strong>ché Marte esercita una grande influenza sulla<br />

chirurgia”. Un codice cartaceo risalente agli ultimi anni del 1300<br />

e conservato presso la Biblioteca Capitolare di Treviso descrive i<br />

rimedi in uso, a cavallo tra botanica, su<strong>per</strong>stizione e magia.<br />

Eccone alcuni:<br />

Rimedio <strong>per</strong> l’epilessia<br />

“Recipe le foglie dell’erba bissara, overo la semenza o la radice, overo<br />

de la soa uva, e dala a bevere a quello che a questo male, e in diece<br />

dì serà guarito. Ma in questi diece dì avrà el morbo fortemente;


questa erba nasce <strong>per</strong> le frate o <strong>per</strong> li boschi et apicasse ali albori<br />

come fano le vite, et fa li grani a modo de graspi de uva e sono<br />

rossi et si se adomanda erba bissara, <strong>per</strong>ché se involta intorno a li<br />

albori como la bissa. Ancora piglia una herba che a nome pionia,<br />

e tritala e fane polvere; poi habi del osso de uno homo morto, zoè<br />

dela testa, se elo è homo che abia male, et s’ela è femina, piglia de<br />

quello de la femina”.<br />

Per la sciatica<br />

“Piglia un mastello de legno de doe some, et conza dentro <strong>per</strong><br />

modo se possa sedere col c…cioè nudo et copri de sora cum uno<br />

lenzuolo che copra tuto el mastello, et toli cinque pedre (pietre)<br />

cote che non sia state in o<strong>per</strong>a, et infuogale molto bene et metile<br />

in lo mastello una <strong>per</strong> volta, et <strong>per</strong> ogni volta uno terzo de uno<br />

bichiero de aqua de vita che sia bona e botala sula preda, e fa cossì<br />

cinque volte tanto che dici 3 pater e 3 ave; et fornito de meter tute<br />

le dite pietre vatene in lecto nudo, che sia caldo e fate ben fregar li<br />

fianchi in zoso fina su lo pè cum uno pano caldo; et fa cossì diexe<br />

sere e serai guarito”.<br />

Per il gozzo<br />

“Toli una sponza e metilla in un testo (padella) caldo e fane<br />

polvere, e poi toli una onza de pevere polverizzato, e una de<br />

zenzero polverizzato et mescola cum optimo vino caldo e bevilo<br />

la matina <strong>per</strong> tempo, e la sera quando tu vaj a leto, tre dì e tre nela<br />

note, soto la lengua e desecarase”.<br />

Per il morso di un cane rabbioso<br />

“Tuoli le foglie dela ortiga et de lo sale et pestala et fane empiastro<br />

et metila suso la mordadura; et anche fa gran prova ali ochi<br />

carnosi”. O anche: “Recipe una crosta de pan de orzo et scrivi in<br />

su la crosta queste parole: + gusagota + pissagota + in sancta hic ipsa<br />

incipit panem; deo gratias. Et dà da manzar a coluj ch’è stato mordudo<br />

dal chan rabioso e serà liberato”.<br />

Contro la peste<br />

“Recipe aceto forte, aqua vita, in tuto mezo bichiero, quanto uno<br />

11 Alfonso Ciacconio, Historia Pontificum, tomo III, 1534.<br />

20<br />

de triacha [sorta di rimedio universale] fina, et artanto de senavro<br />

polverizzato et mescola ogni cossa insieme et dalo a bere al<br />

paziente, et metillo subito in lecto, et coprilo ben de pani tanto<br />

ch’el sudi ben et substegna el sudore, e questo se convien far subito<br />

, da poi che è data la doglia infra spacio de ore octo, et immediate<br />

che l’averà padito la medecina descaza ogni veneno immediate che<br />

l’averà padito quella medecina <strong>per</strong> el sudore; ma guarda non la<br />

scaldar molto”. O ancora: “recipe semenza de citrol, semenza de<br />

ruda, semenza de verze, semenza de coloquintida, an.3, gientiana<br />

3, trementilla 3, osso de corno de cervo 3, bolo arminio lavado cum<br />

aqua de scabiosa 3, jacintini; ambra de balena 3, mira electa, aloe<br />

cicotrino lavado cum aqua de scabiosa, zaffaran; pesta ogni cosa et<br />

incorpora cum l’aqua dela scabiosa et fa pìrole grande come cesare<br />

(ciliegie) et pigliane ogni matina, et queste sono optime contra<br />

peste, et probate”.<br />

Probabile vittima di simili metodi di cura fu un mottense illustre,<br />

l’umanista e cardinale Girolamo Aleandro, morto a Roma nel<br />

1542. Nel suo Diario descrive spesso i disturbi di stomaco che<br />

lo affliggono e il gran numero di medicine assunte. Uno storico<br />

dell’epoca 11 osserva che sarebbe vissuto certamente più a lungo se<br />

non avesse dato troppo credito ai medici, facendo un “intempestivo<br />

ac immodico” uso di farmaci.<br />

Ingredienti e rimedi rimangono più o meno gli stessi sino a fine<br />

‘700, come si desume dal “Catalogo dei medicinali de’ quali<br />

devono essere sortite le Spezierie Medicinali di Villa” promulgato<br />

dal Podestà di Treviso Zuanne Moro nel 1778 (FOTO n.11) -<br />

corredato da una Ricetta dell’Unguento <strong>per</strong> la Rogna del Pio Ospitale<br />

di Treviso-, e come si ricava da un interessante “consulto”,<br />

probabilmente di fine ‘600, rinvenuto tra carte mottensi in un<br />

archivio privato, che si trascrive in appendice (vedi appendice doc.3).<br />

Nel frattempo <strong>per</strong>ò si era ulteriormente sviluppata una medicina<br />

teorica, erudita e sempre sprezzante verso la pratica chirurgica,<br />

mentre i medici detti “fisici” arrogavano a sé in esclusiva la<br />

prescrizione delle medicine e la dieta da far osservare al malato.<br />

Anche dal consulto mottense risulta un preciso rispetto dei ruoli, e<br />

le visite domiciliari a partire dal XVI secolo si svolgevano secondo


21<br />

11) Prontuario farmaceutico<br />

emanato dal<br />

Podestà di Treviso.


ituali ben descritti nel Malato immaginario di Molière. Si tenevano<br />

porte e finestre ben a<strong>per</strong>te, mentre su un fornello si bruciavano<br />

sostanze aromatiche. In prossimità del malato, il medico teneva un<br />

mazzetto di erbe profumate vicino alle narici e in mano un ramo<br />

di ginepro acceso <strong>per</strong> scongiurare eventuali miasmi pestilenziali.<br />

Il paziente veniva interrogato da una certa distanza sui sintomi e<br />

sulle manifestazioni dolorose e poi, se necessario, auscultato dal<br />

medico che gli si avvicinava di spalle. Poteva esserci un esame<br />

organolettico di feci e urine, con una prolusione di dotte citazioni<br />

latine che raramente il paziente poteva comprendere, ma che<br />

doveva rassicurarlo sulla competenza del medico. I Provveditori<br />

veneti alla Sanità autorizzavano la pubblicazione e la propaganda<br />

di ricette e medicinali (FOTO n.12 e 13), ma non mancavano i fogli<br />

pubblicitari diffusi dalle singole Spezierie (FOTO n.14).<br />

L’HOSPEDAL DI BORGO DEGLI<br />

ANGELI (1567-1806): PRIMO ESEMPIO<br />

DI SPERIMENTAZIONE PUBBLICO-<br />

PRIVATA?<br />

La fabbrica dell’hospedal novo di Borgo degli Angeli fu lunga e<br />

laboriosa. Nel gennaio del 1567 la Comunità di <strong>Motta</strong> nominò un<br />

“Provveditor sopra l’Ospedal” 12 . Lo scopo è che “unitamente alla<br />

Scuola di San Nicolò siano posti li fondamenti <strong>per</strong> far l’Ospitale<br />

in Borgo, vicino alla Chiesa di S. Maria dei Morti”. Curiosamente,<br />

pare trattarsi di quella che oggi definiremmo “s<strong>per</strong>imentazione<br />

pubblico-privata”, dove il pubblico (la comunità) affida al “privato”<br />

(la confraternita) la costruzione e la gestione dell’ospedale,<br />

mantenendone sempre il controllo, tant’è vero che la confraternita,<br />

più che dipendere dal vescovo diocesano, com’era consuetudine,<br />

sembra rispondere direttamente alla comunità 13 . Il 20 marzo 1567<br />

Francesco Locatello, gastaldo della Scuola di Santa Maria e San<br />

Nicolò, compra da Marino Rizzato “tertiam partem sediminis seu<br />

22<br />

Brojlii esistenti in Burgo Sanctae Mariae Mortuorum”. Notaro<br />

Antonio de Mediis “de honorando Collegio Notariorum Mothae”.<br />

L’acquisto viene fatto “pro facendo unum Ospitalem ut constat<br />

parte in ea capta sub die quarta mensis instantis”. Dunque vi era<br />

stata una regolare delibera in data 4 marzo, ed erano stati stanziati<br />

50 ducati d’oro <strong>per</strong> l’acquisto di quella che era la terza parte di un<br />

terreno che Marino Rizzato deteneva in comproprietà con altri<br />

familiari. L’edificio è certamente quello ancor oggi esistente tra la<br />

fine del Borgo Aleandro e l’inizio di Viale Madonna, di proprietà<br />

Stradiotto, anche se con tutta probabilità fu più tardi ampliato in<br />

altezza e larghezza, come si può presumere da una traccia verticale<br />

visibile anche in vecchie foto sul muro laterale destro, mentre sul<br />

lato sinistro fu accorpato in epoca successiva un altro edificio<br />

(FOTO n. 15 e 16). Dodici anni dopo l’acquisto del terreno la<br />

costruzione non era ancora terminata: il 6 marzo 1579 si pagano<br />

lire 55 a “Bortolo Gusella <strong>per</strong> uno centenaro de tavolle e letti e<br />

<strong>per</strong> gli marangoni [carpentieri] <strong>per</strong> far gli sollari, scale et porte nel<br />

hospedal novo”. Ecco alcuni esempi di spese tratti dal libro dei<br />

conti della Scuola:<br />

27 settembre 1579: salario a Bastian Targa (il priore) “<strong>per</strong> lavar gli<br />

drappi del hospedal”. L.20<br />

18 marzo 1579: “<strong>per</strong> amor de Dio exsborsati in comprar olio,<br />

et altri onguenti, <strong>per</strong> medicar quella povera zotta [zoppa] nel<br />

hospedal”. L.11<br />

7 settembre 1580: <strong>per</strong> tagliare “l’herba del cortivo et prado del<br />

hospedal novo”. L.4<br />

8 gennaio 1581: “al prior 14 <strong>per</strong> suo salario <strong>per</strong> tenir neto l’hospedal”.<br />

L.20.<br />

Tra le spese scrupolosamente annotate, quelle <strong>per</strong> porte e finestre,<br />

che vengono ultimate solo nel 1584, e ancora <strong>per</strong> molte elemosine<br />

a <strong>per</strong>sone “bisognose et vergognose”, <strong>per</strong> il trasporto dei trovatelli<br />

(detti “creature”) all’ospedale di Oderzo, forse più capiente, e<br />

anche alcune spese stravaganti, come quella del 25 marzo 1585<br />

“<strong>per</strong> redimer dal carcere quel pover frate [confratello] retento con<br />

12 Lepido Rocco, <strong>Motta</strong> di Livenza e i suoi dintorni, Treviso, 1897, pp. 531-532. Rocco trae le notizie dal poi dis<strong>per</strong>so Archivio comunale.<br />

13 Altra curiosa coincidenza è che l’attuale Direttore Sanitario dell’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di <strong>Motta</strong> è Marco Cadamuro Morgante, discendente diretto<br />

del “distinto chirurgo” Bartolomeo Cadamuro, la cui famiglia fu aggregata al Nobile Consiglio di <strong>Motta</strong> nel 1700.<br />

14 Nel 1585 il priore era ancora Bastian Targa.


12) 13)<br />

23


24<br />

14)


25<br />

15 e 16) L’hospedal di Borgo degli<br />

Angeli oggi. Sul lato destro è visibile il<br />

segno di partenza del probabile<br />

ampliamento in larghezza e altezza<br />

dell’edificio.


tanto gran strepito et scandalo”.<br />

Più in là nel tempo, continuano le spese <strong>per</strong> i sussidi ai poveri o<br />

<strong>per</strong> dar loro ricovero nell’ospedale 15 e <strong>per</strong> maritare o “monacar<br />

donzelle”, che vengono provviste di “vestine, cotole, intimele<br />

[federe], lenzuoli, gabane, busti…”.<br />

Le finanze e le attività dell’ospedale andarono sempre più<br />

scemando: nel 1804 la Comunità di <strong>Motta</strong> descriveva “un piccolo<br />

ospizio senza rendita, di ragione della Veneranda Luminaria<br />

di S. Maria e S. Nicolò, che caritativamente viene concesso <strong>per</strong><br />

alloggiare qualche povero infermo di questa terra” 16 . Prima della<br />

caduta della Repubblica Veneta avvenuta nel 1797, si era stabilito<br />

che ogni “Podesteria” trevigiana disponesse di “…un Fiscale, un<br />

Protomedico, un Medico suffraganeo, Cancelliere, Vice Cancelliere,<br />

un Chirurgo, quattro Fanti e due Deputati in ciascheduna Villa,<br />

che vegliano costantemente su qualunque emergenza <strong>per</strong> renderne<br />

immediatamente l’Offizio”. “In tutti i casi di morti repentine<br />

d’Uomini, e di animali valsi l’Offizio del proprio Medico, e<br />

Chirurgo o di Periti <strong>per</strong>sone tutte es<strong>per</strong>imentate” 17 .<br />

Il podestà mottense Andrea Landi nel 1791 trasmette su richiesta<br />

del Podestà e Capitano di Treviso l’organigramma sanitario della<br />

città:<br />

“In esecuzione alle riveribili Lettere ecc. mi do l’onore di avanzarle<br />

l’inserita nota riguardante Medici Fisici e Chirurghi esercenti in<br />

questo luoco e territorio ecc.” .<br />

Nota de’ Medici Fisici e Chirurghi esercenti nella Terra della <strong>Motta</strong><br />

e Territorio<br />

Ecc.te Dr. Luigi Soler medico condotto<br />

Sr. Luigi Cimarosti Chirurgo condotto<br />

Sr. Giuseppe Ortica Chirurgo<br />

26<br />

Sr. Gio. Domenico Ortica Chirurgo<br />

Sr. Valerio Ortica<br />

Sr. Valerio Nani<br />

(Esercenti)<br />

<strong>Motta</strong>, 20 luglio 1791. Andrea Landi Podestà.<br />

In quell’occasione, aggiunge che:<br />

“Relativamente alle ossequiate lettere con le quali mi vengono<br />

accompagnate alcune stampiglie della Terminazione e Proclama<br />

4 Maggio dell’Ecc.mo Magistrato alla Sanità di Venezia<br />

nell’importante argomento della China-China <strong>per</strong> assicurare<br />

possibilmente la preservazione della medesima e <strong>per</strong> togliere<br />

l’inferior qualità della stessa, ed in quanto al Proclama <strong>per</strong>ché li<br />

Medici e Chirurghi non possano esercitare nello Stato né usare di<br />

altri privilegi se non di quelli che venissero rilasciati dall’Università<br />

di Padova, e da Colegi di Venezia, esclusi <strong>per</strong> sempre tutti gl’esteri<br />

…ho fatto pubblicare sotto questa Pubblica Loggia con le solite<br />

formalità gl’esemplari medesimi ecc.” (FOTO n. 17-18-19).<br />

Con l’avvento del primo dominio napoleonico è il chirurgo<br />

Giuseppe Ortica ad assumere la carica di presidente della<br />

Municipalità di <strong>Motta</strong>. Il 26 maggio 1797 con il motto “Libertà<br />

Virtù Eguaglianza” la Municipalità elegge a delegati alla Sanità “i<br />

Cittadini Gio. Batta Fabris e Girolamo Tagliapietra” e Segretario<br />

alla Sanità “il Cittadino Domenico Lippi”. Di fronte alla rapacità<br />

subito dimostrata dai francesi i governanti locali si dimostrano<br />

saggi e intenzionati soprattutto a difendere la popolazione: di<br />

fronte alle pressanti richieste del “Comitato Militar Centrale” di<br />

Treviso che richiede un pesante contributo di attrezzature <strong>per</strong><br />

il secondo ospedale militare (destinato ai francesi), “di fresco<br />

eretto”, il 14 ottobre Ortica risponde che “sono tre giorni che qui<br />

15 28 giugno 1766 “il povero Antonio Basso da quattr’anni ridotto all’ultimo della miseria non ha nemmeno letto da dormire, <strong>per</strong>ciò umile e clino<br />

ricorre a quest’adunanza acciò voglia fargli la carità di riceverlo in questo Ospitale”. Lo stesso giorno si annota: “ridotto l’Ospitale all’ultimo<br />

del bisogno della rinnovazione de lenzuoli e stramazzi [materassi], <strong>per</strong>ciò manda parte il Sig. Gastaldo che siagli data facoltà poter spendere <strong>per</strong><br />

l’occorrente…” (ASTv, Scuole di <strong>Motta</strong>, busta 3).<br />

16 L. Rocco, op. cit., p.532.<br />

17 Da Allegazione della Magnifica Città di Treviso e suo Offizio di Sanità, 1791.


17) 18) 19)<br />

dimorano 3000 soldati e 700 cavalli”, da ospitare e mantenere 18 ,<br />

e che “se fosse a vs. cognizione le nostre miserie” tali richieste<br />

non verrebbero certo fatte. Fa presente che una esondazione<br />

di Livenza e Monticano “apportò a questi miseri abitanti il<br />

deplorabile sacrificio delle loro sostanze”, e che mancano del<br />

tutto sorgoturco, legumi, uva e fieno. Il delegato Fabris, dal canto<br />

suo, dovendo dopo altre insistenze assecondare la richiesta, scrive:<br />

“Tutta la biancheria ed altri effetti ch’erano destinati <strong>per</strong> costì si<br />

dovettero impiegarli <strong>per</strong> questi ammalati e non ci troviamo più<br />

al caso di spedirvi cosa alcuna…”. Il 29 ottobre il Comitato di<br />

Treviso attesta ricevuta da <strong>Motta</strong> di “8 lenzuoli 8 camicie 6 paglioni<br />

6 capezzali e 2 co<strong>per</strong>te”, ma contestualmente lamenta in tono un<br />

po’ minaccioso come “in tutto il vs circondario non si ritrovi della<br />

gioventù che ami di arruolarsi nella milizia. Indagate, cittadini, <strong>per</strong><br />

quanto potete, di ritrovar dei volontari, e la forza sia l’ultimo vs.<br />

tentativo. Salute e fratellanza”. Negli stessi giorni, <strong>per</strong>ò, il Trattato<br />

18 Lepido Rocco e Damiano Meda narrano nei dettagli le violenze e le ruberie dei napoleonici.<br />

27<br />

di Campoformido poneva fine al primo dominio napoleonico, e i<br />

territori veneti venivano ceduti all’Austria.<br />

D A L S E C O N D O P E R I O D O<br />

NAPOLEONICO AL REGNO SABAUDO<br />

Con l’instaurarsi del secondo dominio napoleonico nel 1806<br />

il settore dell’assistenza e dalla pubblica beneficenza venne<br />

fortemente rimaneggiato: furono soppresse tutte le congregazioni<br />

religiose e fondate le Congregazioni di carità, mantenute poi<br />

dall’Im<strong>per</strong>o austroungarico e anche, successivamente, dal regno<br />

d’Italia. Erano amministrazioni unitarie di tutti gli ospedali,<br />

orfanotrofi luoghi pii, monti di pietà, lasciti e fondi di pubblica<br />

beneficenza di qualunque natura o denominazione, delle quali


facevano parte quasi esclusivamente autorità laiche. A <strong>Motta</strong><br />

cominciò un lungo braccio di ferro tra la locale Municipalità e<br />

la Vice-Prefettura del Dipartimento del Tagliamento, l’autorità<br />

francese con sede a Treviso cui era direttamente subordinata.<br />

Sono continue le lamentele, i richiami e le minacce <strong>per</strong> le incurie<br />

e le omissioni degli amministratori locali, che l’8 ottobre 1808<br />

avevano comunicato di non avere “nella sua Comune alcun<br />

istituto di pubblica beneficenza”. L’hospedal descritto quattro anni<br />

come “piccolo ospizio senza rendita” aveva cessato di funzionare<br />

in forza della soppressione delle congregazioni religiose, e non<br />

era stato rimpiazzato da un analogo istituto. In verità i mottensi<br />

non volevano farsi carico dei malati militari francesi, privilegiati<br />

più di ogni altro dal governo, e <strong>per</strong> questo tardavano ad attivare la<br />

congregazione di carità. E i malati civili? Mancano notizie, ma è<br />

presumibile che continuassero ad essere assistiti a domicilio o nel<br />

convento della Madonna dei Miracoli -sopravvissuto a una prima<br />

soppressione degli istituti religiosi veneti decretata da Napoleone<br />

nel 1805-, almeno fino a quando, nel 1810, fu secolarizzato<br />

e confiscato a seguito del Decreto di Compiègne. L’ex-frate<br />

Vincenzo Volpi, ridotto a vivere in un “luogo di fortuna” con<br />

sette confratelli, si mise subito a disposizione della popolazione,<br />

assistendo poveri e ammalati, fino a che, nel 1832, realizzò il<br />

sogno di riacquistare l’edificio monastico grazie alla generosità dei<br />

fedeli.<br />

Piovono senza tregua su <strong>Motta</strong> le disposizioni degli occupatori<br />

francesi, eloquenti anche <strong>per</strong> la situazione di estrema e generale<br />

indigenza che descrivono: il 4 novembre si prescrive che le<br />

amministrazioni degli ospedali civili diano ai militari “che sortono<br />

dagli Ospedali” e hanno assoluto bisogno di “scarpe ed effetti<br />

di piccolo equipaggi” le migliori “fra quelle lasciate dagli uomini<br />

morti”. L’8 dicembre il Vice-Prefetto richiede “immediatamente e<br />

senza <strong>per</strong>dita d’un minuto” una “dettagliata e specifica della qualità<br />

e quantità de’ cibi e bevande componenti il vitto giornaliero di<br />

ciascun ricoverato ne’ pii stabilimenti, precisando le misure e i pesi”.<br />

Il 13 dicembre un solenne richiamo del Prefetto del Dipartimento<br />

del Tagliamento lamenta “l’inattività assoluta della Congregazione<br />

di carità di <strong>Motta</strong>” a proposito dei “doveri dell’umanità”, e dà un<br />

19 Busta 31.<br />

28<br />

mese di tempo <strong>per</strong>ché “lo stato amministrativo della Congregazione<br />

di <strong>Motta</strong> pareggi quello di tutte le altre Congregazioni”. Si allega<br />

un modulo stampato da compilare:<br />

“Conto preventivo delle rendite e spese degli stabilimenti di<br />

pubblica beneficenza riuniti sotto l’amministrazione della<br />

Congregazione di carità nel comune di …<br />

Per gli ospedali:<br />

riparazioni ai locali <strong>per</strong> uso degl’istituti<br />

salari ai medici, chirurghi, infermieri ed altri inservienti nell’interno<br />

dell’<strong>Ospedale</strong><br />

trattamento di n. malati<br />

pazzi<br />

incurabili<br />

carcerati infermi<br />

medicinali<br />

biancheria, manutenzione di n. …letti, rinnovazione di mobili ed<br />

utensili<br />

introduzione delle derrate in città, e spese minute<br />

lumi, combustibili, carta, libri, penne ecc. <strong>per</strong> l’interno<br />

dell’ospedale<br />

oggetti di culto<br />

tumulazione di n. …cadaveri, cioè n. maschi e n. femmine”.<br />

E’ significativo che il modulo, giacente dopo due secoli esatti tra<br />

le carte delle “Scuole di <strong>Motta</strong>” dell’Archivio di Treviso 19 , da cui<br />

abbiamo tratto queste notizie, sia rimasto in bianco.<br />

Il 6 gennaio 1809 il Vice-Prefetto vieta di trasferire “da un<br />

Ospitale all’altro i malati militari, atteso il rigore della stagione,<br />

non <strong>per</strong>mettendo l’umanità ed il riguardo da doversi a tali <strong>per</strong>sone<br />

benemerite che venga esposta ad un così prossimo <strong>per</strong>icolo la loro<br />

vita consagrata alla difesa del Sovrano e della Patria”. Sei giorni<br />

dopo il Vice-Prefetto comunica che “l’Amministrazione della<br />

Guerra dell’Im<strong>per</strong>o Francese ha ridotto la corresponsione pel<br />

trattamento e cura degl’ammalati militari francesi ad 1 franco <strong>per</strong><br />

gli Ospitali della riva destra dell’Adige, e ad 1 franco e 10 centesimi<br />

<strong>per</strong> quelli della sinistra”: un motivo in più <strong>per</strong> evitare di farsi carico<br />

dei soldati francesi.


Soltanto il 6 febbraio 1812 si comunicano a Treviso i nomi dei<br />

membri della Congregazione di carità:<br />

“Elenco complessivo di tutti li Membri che compongono l’intiera<br />

Congregazione di Carità di <strong>Motta</strong>, esistente nel Cantone di <strong>Motta</strong>,<br />

Distretto di Conegliano-Dipartimento del Tagliamento:<br />

Antonio Burlina, presidente<br />

Gio. Domenico Brustoloni, vice-presidente<br />

Angelo Pasini (tesoriere), Gio. Battista Sutto, Luigi Peratoner,<br />

Melchior Zannoner (membri)”.<br />

Un mottense che invece fu in buoni rapporti, anche <strong>per</strong>sonali,<br />

con Napoleone fu Antonio Scarpa (FOTO n. 20), uno dei primi<br />

anatomo-patologhi dell’era moderna. Nacque a Lorenzaga<br />

di <strong>Motta</strong> nel 1752, si laureò in medicina a Padova nel 1770 ed<br />

ottenne nel 1772 la cattedra anatomo-chirurgica dell’Università<br />

di Modena, che tenne sino al 1783, anno in cui venne chiamato<br />

all’Università di Pavia. Qui gli fu assegnata la cattedra di Anatomia<br />

umana, accoppiandovi l’insegnamento di o<strong>per</strong>azioni chirurgiche.<br />

Il suo primo impegno fu la costruzione dell’ampio e su<strong>per</strong>bo<br />

20) Antonio Scarpa<br />

in un’incisione di<br />

epoca napoleonica.<br />

29<br />

teatro anatomico, oggi “Aula Scarpa”. Gli venne poi affidata la<br />

direzione della Clinica Chirurgica, fu riconfermato professore di<br />

Anatomia Umana e Clinica Chirurgica, fu Direttore degli Studi<br />

Medici e dei Gabinetti e ripetutamente Rettore. Il nome di Antonio<br />

Scarpa rimane soprattutto legato alle fondamentali sco<strong>per</strong>te che<br />

egli, con finissima tecnica dissettoria, fece in campo anatomico<br />

ed in particolare neurologico: diede una magistrale descrizione<br />

dell’organo dell’udito, di cui scoprì il ganglio vestibolare ed il<br />

timpano secondario; studiò l’organo dell’olfatto e scoprì il nervo<br />

olfattivo ed il nervo nasopalatino; scoprì ed accuratamente<br />

descrisse il numero, l’origine ed il decorso dei nervi cardiaci. Scarpa<br />

fu anche un grande chirurgo: nelle sue descrizioni di o<strong>per</strong>azioni<br />

chirurgiche si trova sempre, accanto alla tecnica, una dettagliata<br />

descrizione anatomica, come nella sua grande o<strong>per</strong>a sulle ernie,<br />

dove egli magistralmente descrive le regioni inguino-addominale<br />

ed inguino-femorale ed i particolari di quello che ancor oggi viene<br />

chiamato “triangolo di Scarpa”. Morì nel 1832 20 .<br />

Dopo il Congresso di Vienna iniziano i lunghi anni del Regno<br />

Lombardo-Veneto. Anni di declino e depressione, soprattutto <strong>per</strong><br />

21) La testa di Antonio Scarpa conservata<br />

all’Università di Pavia.<br />

20 Presso il Museo <strong>per</strong> la Storia dell’Università di Pavia si conserva in alcool la testa di Antonio Scarpa (FOTO n. 21). Due le versioni sulla esposizione<br />

della singolare “reliquia”: la prima riconduce a una soverchia venerazione da parte degli allievi, la seconda all’esatto contrario, e quindi a una<br />

vendicativa decapitazione della salma o<strong>per</strong>ata dagli stessi. In ogni caso, il re<strong>per</strong>to è accompagnato da una iscrizione elogiativa: “Honori et memoriae<br />

Antonii Scarpae / ingenio et doctrina singulari anatomicorum principis / qui musaeum inventis suis o<strong>per</strong>ibus / auctum studiis anatomicis fovendis / atq ornamento<br />

nobilissima sui parte honestavit”.


Venezia 21 , ormai città <strong>per</strong>iferica dell’Im<strong>per</strong>o austroungarico, che<br />

sembra destinata a spopolarsi e a trasformarsi in una romantica<br />

città-museo, senza <strong>per</strong>altro godere ancora dei benefici economici del<br />

turismo di massa, e poi <strong>per</strong> tutto l’entroterra veneto. Si diffondono<br />

le malattie connesse alla povertà e alla sottoalimentazione: pellagra,<br />

scorbuto, rachitismo, con frequenti epidemie di tifo e di colera.<br />

L’Im<strong>per</strong>ial Regia Delegazione Provinciale di TV in un “avviso”<br />

del 3 giugno 1862 elenca Medici, Chirurghi, Levatrici e veterinari<br />

“accreditati”. A <strong>Motta</strong> il medico è Egidio Giacomini 22 , il chirurgo<br />

Francesco Fantini, i farmacisti Pietro Burlina e Giovanni Sartori,<br />

le levatrici Orsola Scarpa, Romana Barea e Malvina Longo Bigotti,<br />

il veterinario Giovanni Lippi.<br />

Si è già detto come negli anni 1835-36 si dovesse edificare un<br />

lazzaretto <strong>per</strong> colerosi destinato, a fine epidemia, a diventare<br />

ospedale civile comunale e di come non se ne fece nulla: soltanto<br />

dopo il 1866, quando Lombardia e Venezie entrarono a far parte<br />

del Regno d’Italia, nacque il tanto auspicato nosocomio pubblico.<br />

Ancora una volta, fu il convento della Madonna dei Miracoli ad<br />

accogliere gli ammalati e i poveri di <strong>Motta</strong> e dintorni. Facendo<br />

rilevare che padre Vincenzo Volpi, nell’acquisto del 1832, aveva<br />

posto la condizione che “cessando il convento di appartenere ai<br />

Minori Osservanti non abbia ad appartenere a beneficio dello<br />

Stato, ma sia invece costruito Ospitale <strong>per</strong> i poveri di <strong>Motta</strong>”<br />

il Comune ottenne nel 1869, dopo la nuova soppressione degli<br />

istituti religiosi decretata dal Regno sabaudo, che l’antico edificio<br />

non venisse incamerato dal demanio dello Stato, bensì dal Comune<br />

stesso, il quale ne affidò la gestione alla congregazione di carità.<br />

Gran parte del convento fu adibita “ad uso di infermeria e servizi<br />

relativi”; rimasero, pagando un affitto, alcuni frati incaricati di<br />

officiare la basilica e anche di assistere spiritualmente gli ammalati 23 .<br />

L’assistenza, garantita poi da un cappellano appositamente<br />

nominato, durerà fino al 1942, quando, piuttosto a malincuore,<br />

i frati dovettero rinunciarvi <strong>per</strong> decisione del vescovo di Vittorio<br />

Veneto, che preferì affidarla a un sacerdote del clero diocesano 24 .<br />

30<br />

Nel 1880 nacque ufficialmente l’<strong>Ospedale</strong> civile comunale di <strong>Motta</strong>,<br />

con un proprio statuto organico. Era retto da un’Amministrazione<br />

composta da un presidente e quattro membri eletti dal consiglio<br />

comunale, i quali prestavano servizio gratuito. Grazie anche a<br />

numerosi benefattori, nel 1890 lo stato patrimoniale era costituito<br />

da “beni rustici, fabbricati, rendita pubblica, mutui e mobili del<br />

valore complessivo di circa sessantamila lire”, una cifra non<br />

indifferente. Dal 1880 al 1890 la retta giornaliera <strong>per</strong> gli ammalati<br />

a carico del Comune di <strong>Motta</strong> ammontava a L.1.30, <strong>per</strong> quelli a<br />

carico di altri comuni a L.1.45; in questi anni la durata media di<br />

un ricovero era di ben 44 giorni. “Dal 1890” scrive Rocco qualche<br />

anno dopo “la gestione dell’<strong>Ospedale</strong> progredisce con efficacia<br />

sempre maggiore, im<strong>per</strong>ciocché le accresciute comodità del locale,<br />

l’inappuntabilità del servizio che vi prestano gli infermieri, la<br />

buona raccolta di apparecchi di medicina e di istrumenti chirurgici<br />

e la premura ed abilità del medico-chirurgo curante [il dott.<br />

Giulio Dozzi], fanno sì che vi accorra di anno in anno un numero<br />

sempre maggiore di infermi e che vi trovino conforti e rimedi<br />

soddisfacenti”. Le o<strong>per</strong>azioni più praticate erano in quel <strong>per</strong>iodo<br />

“laparotomie, ovariotomie, o<strong>per</strong>azioni radicali alla Bassini <strong>per</strong> la<br />

riduzione delle ernie (oltre 50 all’anno)”. Il martedì e il sabato<br />

mattina era in funzione l’ambulatorio, molto frequentato anche da<br />

pazienti dei mandamenti vicini (FOTO n.22). Due validi chirurghi<br />

mottensi, Giuseppe Trevisanello e Basilio della Frattina, erano in<br />

quegli anni rispettivamente primario dell’<strong>Ospedale</strong> Pammatone<br />

di Genova e primario dell’<strong>Ospedale</strong> civile di Pordenone. Le celle<br />

del convento ospitavano ancora, secondo l’antica tradizione e<br />

con gravi problemi di promiscuità e sovraffollamento, singoli o<br />

famiglie di indigenti, che si riuscì a ridurre, nel 1891, a una ventina<br />

di unità.<br />

Nel 1911 i Francescani ricomprarono dal Comune di <strong>Motta</strong><br />

il convento, spendendo 60.000 lire <strong>per</strong> l’acquisto e 12.000 <strong>per</strong><br />

l’ennesima riconversione dell’edificio. 110.000 lire fu invece<br />

l’ammontare del preventivo <strong>per</strong> il primo padiglione (oggi<br />

21 Cfr.: Alvise Zorzi, Venezia austriaca, Editrice Goriziana, 2000.<br />

22 Singolare figura di medico-poeta, autore dei “Versi” pubblicati postumi nel 1908. Fu medico condotto <strong>per</strong> cinquant’anni.<br />

23 “I sacerdoti, <strong>per</strong> gratitudine all’ospedale, che assegna loro un’abitazione, si esibiscono di prestare gratuitamente la loro o<strong>per</strong>a spirituale agli infermi<br />

nel fu convento” (D. Meda, op. cit., p.260).<br />

24 D. Meda, op. cit., p.261-262.


“Cardazzo”), che l’amministrazione comunale fece finalmente<br />

costruire sul terreno dell’ex-orto dei frati, e che costituì il primo<br />

nucleo dell’odierno complesso ospedaliero (FOTO n.23). Nel<br />

1922 il Comune acquistò dai religiosi un altro appezzamento<br />

<strong>per</strong> edificarvi il padiglione delle malattie infettive (FOTO n.24),<br />

progettato dall’architetto Attilio Saccomani, autore di molte altre<br />

o<strong>per</strong>e pubbliche a <strong>Motta</strong> e dintorni. Si trattava di una costruzione<br />

all’avanguardia, tant’è che l’anno dopo il sindaco di Castelfranco<br />

Veneto chiedeva a quello di <strong>Motta</strong> la pianta del padiglione e altre<br />

informazioni tecniche (appendice, doc. 4), dovendo costruirne uno<br />

analogo (FOTO n. 25).<br />

L’INVASIONE AUSTROUNGARICA<br />

Antonio Ludovico Ciganotto (1869-1934), francescano, fu<br />

docente di teologia, storia ecclesiastica e diritto canonico a Malta<br />

e a Gerusalemme, dove venne ordinato sacerdote. Alcuni suoi<br />

saggi sul filosofo medioevale Duns Scoto sono ancor oggi ritenuti<br />

fondamentali. Durante l’invasione austro-ungarica del 1917-1918,<br />

conseguente alla disfatta di Caporetto, si trovava nel convento di<br />

<strong>Motta</strong>, e ci ha lasciato una drammatica cronaca di quei giorni 25 .<br />

In data 7-8 novembre 1917, quando gli austriaci sono alle porte<br />

di <strong>Motta</strong>, annota: “L’<strong>Ospedale</strong> civile è stato sgombrato <strong>per</strong> tempo<br />

dai malati. La clinica e quanto vi aveva di meglio, è stato messo in<br />

salvo. Alcune vecchie ricoverate e impotenti a muoversi, sono state<br />

abbandonate. Ma fortuna <strong>per</strong> loro che un religioso, il Cappellano,<br />

sia andato a farvi un sopraluogo! Se il convento non provvedesse,<br />

quelle povere disgraziate e ignorate sarebbero morte di fame”.<br />

Il 10-11 novembre: “Il saccheggio nel vero senso della parola, si<br />

esercita liberamente. Tutti questi invasori, chi più può più porta<br />

via. Le botteghe e i depositi dei grandi negozianti e i migliori<br />

palazzi sono piantonati da guardie armate, affinché il popolo non<br />

abbia da approfittare di qualche cosa. La rapacità e l’ingordigia,<br />

dirò così, insensata, è qualcosa d’indescrivibile, di frenetico. I<br />

soldati abbrancano qualunque cosa che cada loro fra le mani: libri,<br />

carte, specchi, oggettini di lusso, ninnoli, ecc., tutta roba a loro<br />

inutile che poi gettano nei cortili, nelle strade e nei fossi. Sorte<br />

25 V. www.frontedelpiave.info. Novembre 1917.<br />

31<br />

miseranda <strong>per</strong> mano di questi predoni è toccata all’archivio antico<br />

del municipio, ricco di documenti di primaria importanza”.<br />

Il 13 novembre gli invasori requisiscono metà del convento ad uso<br />

ospedale. Il 14 tocca alla basilica, fino al presbiterio (FOTO n.26).<br />

17 novembre: “A cimitero militare è stato adibito il terreno<br />

all’angolo sud-est dell’ospedale civile. A scavare le fosse vi pensano<br />

già i prigionieri russi!”.<br />

3 dicembre: “Compiuta la rapina ufficiale delle macchine, del<br />

bestiame, dei viveri ecc.: provvedere al mantenimento della<br />

popolazione incombe all’autorità civile del luogo! …il colmo è<br />

che i malati civili possono usufruire della visita gratuita dei medici<br />

militari (che del resto in omaggio alla verità e alla giustizia, si sono<br />

prestati e si prestano con premura… Quando i “civili”, come ora<br />

appellansi, cioè la popolazione soggiacerà alla malattia della…fame<br />

(che già bussa alla porta di molti), i medici militari faranno bensì la<br />

visita, ma daranno poi la medicina?”.<br />

29 dicembre: “Sono arrivati due carri ferroviari di carbon fossile<br />

<strong>per</strong> l’ospedale. Questa notizia <strong>per</strong> l’ufficiale che la dava era un<br />

avvenimento…gli ospedali sono privi delle cose di prima necessità.<br />

Non parlo di stufe (ora improvvisate in qualche modo), o di<br />

bottiglie di riscaldamento <strong>per</strong> i degenti, che potrebbero parere un<br />

lusso, ma di letti, di biancheria, di co<strong>per</strong>te. Per un bel po’ i malati<br />

e i feriti in questa nostra chiesa giacquero sulle pietre sopra un<br />

braccio di fieno, pressoché ignudi”.<br />

Dopo aver descritto i continui saccheggi, ruberie e violenze<br />

delle truppe di occupazione, Ciganotto scrive il 21 gennaio<br />

1918: “Devo rendere ancora una volta omaggio all’umanità degli<br />

ufficiali di quest’ospedale, che prestano la loro o<strong>per</strong>a caritatevole<br />

e gratuita, anche a domicilio, in favore di questa popolazione.<br />

Lo stesso Maggiore oggi pregato da alcune povere donne, non<br />

avendo chi mandare, <strong>per</strong> istrade pressoché impraticabili, andò in<br />

<strong>per</strong>sona sino a Malintrada a visitare alcuni degenti, sacrificando<br />

l’ora del pranzo. Alle visite gratuite aggiungono anche le medicine<br />

parimenti gratuite. Tutti di famiglie signorili questi ufficiali, sono<br />

un fiore di compitezza civile, ma non disdegnano il casolare del<br />

povero. Sono in maggioranza boemi. Tutto questo va notato ad<br />

onore della verità e <strong>per</strong> titolo di giustizia”.


23) Un’immagine successiva al 1911, con il primo<br />

padiglione (oggi Cardazzo) appena costruito.<br />

www.mottadilivenza.biz<br />

24) Pianta del “lazzaretto”<br />

progettato dall’ing.<br />

Saccomani (1922).<br />

22) La basilica prima della costruzione<br />

del primo padiglione dell’ospedale. In<br />

primo piano l’orto dei frati poi acquistato<br />

dall’amministrazione ospedaliera.<br />

32<br />

www.mottadilivenza.biz


www.mottadilivenza.biz<br />

33<br />

25) Lettera di risposta al sindaco di Castelfranco in cui si sottolinea<br />

“il generale compiacimento <strong>per</strong> l’ottima riuscita” del padiglione degli<br />

infettivi.<br />

26)


9 febbraio: “Nei giorni scorsi c’è stata un’ispezione nell’ospedale<br />

da campo 808 qui stanziato. Le conseguenze sono disposizioni<br />

<strong>per</strong> molti cambiamenti di <strong>per</strong>sonale. Ci sono a <strong>Motta</strong> due ospedali,<br />

l’808 che funziona sin dai primi giorni dell’invasione, e l’807 di<br />

riserva, in attesa di andare avanti. In tale attesa il <strong>per</strong>sonale di<br />

questo occupa il suo tempo in quello: ma la sua presenza qui<br />

ormai tornava su<strong>per</strong>flua. Gli dispiaceva molto <strong>per</strong>ò lasciare <strong>Motta</strong><br />

<strong>per</strong> trasferirsi ad Annone. Si approfittò quindi della temporanea<br />

assenza del Maggiore medico il sig. E. Wagner, di nazione boemo,<br />

l’unico e vero responsabile, <strong>per</strong> compiere un sopraluogo, e <strong>per</strong><br />

prendere quelle determinazioni che erano nei desideri del <strong>per</strong>sonale<br />

dell’807, un misto di tedesco e di ungherese. A questi intrighi non<br />

sono probabilmente estranei motivi di religione, ma certo hanno<br />

una larga parte questioni di nazionalità (in Austria le nazionalità<br />

si odiano cordialmente), e specialmente le donne. Anzi è proprio<br />

una signorina della Croce Rossa appartenente all’807, figlia d’un<br />

deputato ungherese, cui tanto dispiaceva partire da <strong>Motta</strong>. Una<br />

vittima di questi intrighi è il capitano medico Sig. Giuseppe Prader<br />

da Merano (Bolzano), <strong>per</strong>sona degna di ogni rispetto, la quale<br />

pel bene che ha fatto si è acquistata la stima e la benevolenza di<br />

tutti”.<br />

13 febbraio: “…giungeva la voce che un drappello armato <strong>per</strong><br />

ordine del Comando aveva intrapreso un nuovo spoglio della<br />

biancheria nelle famiglie. L’annunzio dell’imminente arrivo di una<br />

banda di briganti non avrebbe incusso tanto spasimo…vi fu chi<br />

giunse ad augurarsi <strong>per</strong>fino la morte: “piuttosto di rinnovarci ogni<br />

altro giorno di martirio, ci uccidano, che tutto finirà in una sola<br />

volta”. Fortunatamente questa, <strong>per</strong> eccezione, non è stata una<br />

rapina, ma una questua di beneficenza <strong>per</strong> gli ospedali”.<br />

12-17 marzo: “Trentacinque giorni di letto con una bronchite<br />

cronica. Rendo omaggio di gratitudine agli ufficiali di questo<br />

ospedale <strong>per</strong> le premure loro e <strong>per</strong> le cure prestatemi”. 1° maggio:<br />

“In quest’ospedale, da prima prettamente boemo, da tempo<br />

hanno cominciato ad infiltrarsi degli elementi estranei, tedeschi,<br />

protestanti, ebrei: elementi che ora sono la maggioranza. La prima<br />

delle premure che questo elemento nuovo s’è data, è stata quella<br />

di fornire l’ospedale d’un mobile di lusso, d’un feldkurat (così ama<br />

chiamarsi) protestante, al quale è stato assegnato a mensa il posto<br />

d’onore. Trattandosi d’un lusso, lo merita: ma stando al buon<br />

34<br />

senso un feldkurat protestante pare proprio il colmo del ridicolo,<br />

non avendo, la forza dei principii religiosi religiosi professati da lui<br />

e dai suoi correligionari , proprio altro da curare che la riscossione<br />

della paga mensile di corone cinquecento. Pareva dovesse venire a<br />

mensa anche un…feldkurat ebreo (il quale ha già piantato sinagoga<br />

nella casa di Cranio). Difatti una sera si presentò, ma poi non si<br />

vide più”.<br />

Il 24 maggio inizia la grande offensiva del Piave, che porterà<br />

l’Italia alla vittoria. Ciganotto è attento ai segnali che filtrano dalle<br />

conversazioni degli ufficiali, e continua nella sua o<strong>per</strong>a di carità. Il<br />

17 giugno annota come continui “un grande affluire di feriti, come<br />

al solito in maggioranza leggeri, che medicati si fanno proseguire.<br />

In quest’ospedale vi sono anche diciotto feriti nostri, uno dei quali<br />

morto questa sera”.<br />

Il 19 giugno: “affluire stragrande di feriti. Sono stati allogati alla<br />

meglio su trucioli e su frasche verdi nell’atrio della Chiesa e nei<br />

chiostri del Convento. Vi sono anche degli italiani, alcuni dei quali<br />

feriti e fatti prigionieri a San Biagio di Callalta”.<br />

Il 22 giugno precisa che ben 70 ricoverati sono morti negli ultimi<br />

due giorni: “Iddio li abbia in pace, purché non vi siano andati<br />

[all’altro mondo] coll’animo di saccheggiare e rapinare anche<br />

là…le vesti dei morti devono servire ai vivi, <strong>per</strong>ciò i cadaveri si<br />

avvolgono nudi in un lenzuolo, e senza attender altro si accatastano<br />

come sacchi di farina s’un carro, e via”.<br />

24 giugno: “Oggi l’atrio della chiesa e i chiostri del convento<br />

sono stati sgombrati dai feriti. Disgraziati! Molti di loro giacquero<br />

tre giorni sul campo prima di poter essere raccolti, e due giorni<br />

qui sulle pietre prima che venisse il loro turno di medicazione.<br />

E non erano tutti leggeri. Questo fatto miserando è dovuto al<br />

loro numero oltremodo grande, non alla trascuratezza dei medici<br />

che lavorano anche la notte. Neanche questo fu –come altre cose-<br />

contemplato nei calcoli preventivi. “Al massimo sarà di duemila il<br />

giro di feriti in quest’ospedale” disse il Generale sanitario, il quale<br />

negli ultimi giorni precedenti l’offensiva aveva tenuto varii consigli<br />

nel nostro refettorio. Solo nei due giorni 18-20 i feriti arrivati in<br />

quest’ospedale sono stati 5000 (cinquemila). La città, già tutta una<br />

caserma, si va trasformando in un ospedale, e presso la stazione<br />

della strada ferrata si stanno costruendo dei baraccamenti capaci di<br />

diecimila ammalati. Conseguenze sgradevoli di calcoli…sbagliati!


Subito che abbiano passato visita e medicazione, i feriti che non<br />

sono estremamente gravi, vengono trasportati al treno, e inviati<br />

nell’interno, triste trofeo della Piave, ecatombe dell’esercito e,<br />

come s<strong>per</strong>iamo, tomba dell’Austria”.<br />

Tra alti e bassi, continuano devastazioni, requisizioni e ruberie, in<br />

città e nelle campagne. 7 luglio: “Oggi sono sette giorni che siamo<br />

all’acqua. Del vino ce ne sarebbe stato a sufficienza <strong>per</strong> tutti e <strong>per</strong><br />

tutto l’anno se gli ufficiali dell’ospedale si fossero limitati a bere<br />

con moderazione, ma <strong>per</strong> quanto siano eglino di modi signorili<br />

e compiti, sono purtroppo molto lontani dall’essere modelli di<br />

sobrietà…”.<br />

22 luglio: “Serpeggia largamente un’epidemia, che in altri ha<br />

caratteri di colerica, in altri di dissenteria. Non è mortale, ma<br />

molto molesta, e in taluni ribelle. Non è del tutto nuova in questa<br />

stagione, se non <strong>per</strong> l’intensità e <strong>per</strong> la molta sua diffusione,<br />

cosa che a mio credere devesi al sudiciume che quest’invasori ci<br />

hanno regalato, e alle immondezze sparse dovunque: in paese,<br />

ch’è diventato stalla e latrina, nei dintorni, che sono un vasto<br />

letamaio: nelle campagne, dove in luogo dei soavi profumi che si<br />

respiravano una volta, emanano esalazioni fetide da doversi bene<br />

spesso portarsi la pezzuola al naso”.<br />

14 agosto: “In mezzo alle truppe infieriscono varie malattie: la<br />

malaria che contraggono alle Basse: malattie intestinali epidemiche<br />

(delle quali già dissi e sulle quali ritengo debba influire l’abuso<br />

dell’alcool), che, purtroppo, si diffondono anche nelle popolazioni<br />

civili; malattie le quali, <strong>per</strong> i caratteri che hanno di <strong>per</strong>sistenza e di<br />

gravità, debbono ritenersi importate dall’Austria dove sono molto<br />

diffuse, e qui mantenute dalle truppe, che col loro sudiciume<br />

hanno infettato i luoghi e inquinato le acque. Aggiungasi quella<br />

che oggi chiamiamo “influenza spagnuola”, la quale pel momento<br />

non infesta che le truppe. Dai medici è qualificata come scettica, si<br />

sviluppa a preferenza in broncopolmonite, e spessissimo è letale.<br />

“E’ cosa che dà molto pensiero questo fronte del Piave” dissemi<br />

un capitano medico “abbiamo più decessi <strong>per</strong> malattie qui che<br />

morti <strong>per</strong> ferite sul Carso! 26 ”.<br />

35<br />

Il 19 agosto, quando ormai serpeggia la notizia dell’avanzata<br />

italiana padre Ciganotto scrive: “La popolazione è un terzo di<br />

meno del normale: ma il numero dei morti in questi ultimi mesi è<br />

cresciuto in proporzione straordinaria: morti di malattie, morti di<br />

privazioni, di stenti, di miseria”.<br />

29 agosto: “Le truppe sono tormentate, decimate dalle malattie,<br />

specialmente dalla malaria che contraggono al basso Piave, e<br />

dall’influenza, che elegantemente ora chiamano spagnuola, la<br />

quale ha delle manifestazioni gravissime e spessissimo letali. Si<br />

sono avuti casi di decesso in due giorni. “Queste malattie” disse il<br />

comandante dell’ospedale “sono <strong>per</strong> noi peggio d’un’offensiva”…<br />

Gli ospedali di <strong>Motta</strong> si tengono laboriosamente sgombri: pieni<br />

la sera, vuoti la mattina. Da questi e da altri indizi non del tutto<br />

trascurabili, si va consolidando l’opinione divenuta comune, che<br />

gli invasori si tengano pronti ad una ritirata non remota, in vista<br />

dell’offensiva dei nostri…”Partirò <strong>per</strong> tempo” dissemi una dama<br />

della Croce Rossa [austriaca] “non mi farò prendere prigione,<br />

ancorché si dovessero lasciare qui dei malati”. “Perché?”. “Perché<br />

temo gli italiani”. “Ma gli italiani sono buoni: non usano sevizie,<br />

né maltrattamenti ai prigionieri”. “E’ che troppe ne abbiamo fatte<br />

qui, e temo giustamente un’aspra vendetta”. Una confessione<br />

tanto sincera avrebbe, al caso, meritato un’attenuante”.<br />

Il 6 settembre si parla a<strong>per</strong>tamente di ritirata austriaca: “Notevole<br />

è <strong>per</strong> noi che l’abbiamo sotto gli occhi quanto accade in questo<br />

ospedale 808. Una dozzina di giorni fa pareva dovesse comporre i<br />

bagagli: poi non se ne parlò più: è <strong>per</strong>ò un fatto molto significante<br />

che non riceve più malati, e che i medici che non sono della<br />

Sanità sono stati licenziati. Vuol dire o che le malattie sono<br />

miracolosamente scomparse o che non vi sono più soldati che<br />

abbiano da ammalarsi. Nell’uno e nell’altro caso stiamo meglio<br />

tutti”.<br />

7 ottobre: “La notte scorsa è stato pubblicato in mezzo alle<br />

truppe un telegramma del Comando supremo annunziante la pace<br />

prossima a conchiudersi. E’ stato un delirio di allegria: è un gran<br />

parlare che si fa da tutti, ma il popolo, che pur desidera la pace<br />

26 Le riflessioni in materia sanitaria di Ciganotto trovano conferma nelle Relazioni sulla Reale Commissione d’inchiesta sulle violazioni del diritto delle genti<br />

commesse dal nemico. Documenti raccolti nelle Provincie invase. Vol. IV, Milano-Roma, s.i.d., p.81 segg. A pag. 427 dello stesso volume si legge come a <strong>Motta</strong><br />

risultino in buona parte distrutti sia l’Archivio comunale che quello della Congregazione di carità.


come liberazione dal martirio che soffre da undici mesi, prende<br />

le cose colla solita sua calma veneta, consolidata da una forte<br />

dose di scetticismo…Oggi è partito <strong>per</strong> recarsi alla sua nuova<br />

destinazione a Sedan!!! il comandante di quest’ospedale da campo,<br />

il dott. Edoardo Wagner, di nazione boemo, di religione cattolico.<br />

Uomo buono, ha fatto del bene a molti, non ha fatto del male a<br />

nessuno: lascia grata ricordanza in tutti. Il Signore lo benedica e<br />

l’accompagni. Giorni fa è stato trasmesso al convento un avviso<br />

da pubblicarsi in Chiesa. E’ in buon italiano. Il Corpo d’Armata<br />

fa noto alle popolazioni dei paesi occupati che non potrà curare<br />

dalla malaria i loro ammalati, quantunque n’abbia tutta la buona<br />

volontà: e che di ciò la colpa ricade tutta sopra il Governo italiano<br />

(“vostri fratelli” fa notare) che richiesto di chinino, non l’ha voluto<br />

dare. E’ tendenzioso questo linguaggio, e non so capire come<br />

questa gente si <strong>per</strong>da in manovre sì meschine. Del resto piuttosto<br />

di darsi tanta premura di curarci dalla malaria, che non esiste,<br />

farebbe meglio curarci dalla fame, ciò che potrebbe fare –senza<br />

bisogno di ricorrere a nessuno- coll’astenersi dal rubarci il frutto<br />

del sudore della nostra fronte”.<br />

9 ottobre: “Le condizioni nostre sono ormai miserrime, e più<br />

misere si riscontrano più che ci si allontana da questo centro.<br />

Quelli che stanno peggio sono i luoghi dove stanzia il IV Corpo<br />

d’Armata: Gorgo, Oderzo, Piavon ecc. Tra i cattivi, gli ungheresi,<br />

fatte rare eccezioni, sono pessimi: qui passano come l’espressione<br />

più autentica dei barbari. La fame bussa alla porta di tutti: le<br />

privazioni d’ogni genere sono grandi: la miseria ha preso stanza<br />

in tutte le case. A questo stato di cose fanno seguito necessario<br />

le malattie. Non vi ha famiglia, specialmente rurale, che non<br />

abbia, quasi in <strong>per</strong>manenza, due, tre e più malati a letto, privi<br />

naturalmente di tutto, fuorché dell’amorosa assistenza dei loro<br />

congiunti. La mortalità qui a <strong>Motta</strong> (dove i profughi dal fronte<br />

hanno rifatto all’incirca il numero dei fuggiti), al primo di questo<br />

mese raggiungeva già il doppio d’un anno intero normale. Non<br />

ostanti tante miserie, ci reputeremo compensati quel giorno in cui<br />

potremo dire che questi crudeli invasori se ne sono andati, senza<br />

tema che abbiano a tornarci più”.<br />

36<br />

Il 17 ottobre Ciganotto registra una certa agitazione tra gli invasori<br />

e alcune loro curiose abitudini di tipo alimentare: “Ieri la mensa<br />

degli ufficiali di quest’ospedale ha abbandonato il nostro refettorio<br />

<strong>per</strong> trasferirsi nella prima sala presso la porteria. Così si sono<br />

messi d’accanto alla mensa delle Dame della Croce Rossa -ch’essi<br />

chiamano Dame dell’Armata- stabilitasi contemporaneamente<br />

nella sala attigua. E’ da una settimana che alcuni volevano<br />

ammetterle senz’altro in refettorio, <strong>per</strong> cui nacque tra gli ufficiali<br />

tale un dissidio, che una metà minacciò una scissione. Giacché<br />

siamo in refettorio, non è fuor di proposito far menzione di certi<br />

gusti tutti particolari di certi ufficiali. E’ noto che gli anglosassoni<br />

fanno largo uso dello zucchero come d’un eccitante del sangue,<br />

forse quale surrogato del nostro bello e saluberrimo clima che<br />

tanto c’invidiano. Sulle nostre tavole, <strong>per</strong> quanto modeste, non<br />

manca mai la saliera. Di questa eglino non se n’occupano, e fanno<br />

senza: ma in sua vece vi figura immancabilmente un barattolo di<br />

zucchero. A che scopo? I dolci non devono mai mancare dalla loro<br />

mensa: e se manca la farina di frumento, non importa, i dolci si<br />

fanno con quella di granoturco. Anzi, è tanto l’uso che fanno dello<br />

zucchero che ve lo mettono largamente <strong>per</strong>fino sopra i fagioli lessi<br />

(dei quali <strong>per</strong> motivi di civiltà non abusano) e sull’insalata…”.<br />

24 ottobre: “Le discordie tra gli ufficiali di quest’ospedale vanno<br />

sempre ingrossando. Da quando hanno lasciato il nostro refettorio<br />

non passa giorno senza litigi. Contro il Maggiore medico sig. Salzer<br />

(viennese, protestante, del partito radicale tedesco), causa di molti<br />

malumori, è stato sporto presso il Comando un grave rapporto. E’<br />

un po’ ameno assistere a queste beghe dei nemici”.<br />

25 ottobre: “Colla data del 24 corr. il nostro mellifluo Comandante<br />

Catinelli 27 emana una “Dieustzlettal”, che non so se voglia dire<br />

Avviso, e che s<strong>per</strong>o sia l’ultimo. E’ una serie di nove prescrizioni<br />

(ma senza la immancabile solita minaccia di “severe punizioni”)<br />

(FOTO n.27) d’indole umanitaria <strong>per</strong> prevenire e curare la febbre<br />

spagnuola, che comincia ad infierire anche nel popolo. Di tali<br />

prescrizioni merita notarne due, che sono le più caratteristiche<br />

anche in fatto di lingua: 1) Sventolare le stanze, in giorni freddi e<br />

piogiosi bisogna scaldare le stufe e i letti; 4) Vestirsi bene e d’inverno.<br />

27 Sulla crudeltà del goriziano Catinelli , che odiava particolarmente gli italiani, e sulle violenze commesse v. Relazioni cit. Vol. VI, p.95 segg. e pp.<br />

487-488.


27) Un proclama austroungarico del luglio 1918.<br />

37


Non pare un’ironia?”.<br />

28 ottobre: “Circa le tre e venti pom. un’incursione offensiva di<br />

nostri velivoli. Hanno lanciato una quantità di bombe, tutte ad alto<br />

esplosivo, anche in località da non spiegarsi il <strong>per</strong>ché, come nel<br />

sobborgo delle Spinade. Ero al tavolino recitando l’ufficio, e come<br />

al solito non ci badavo. Però certi scoppii molto vicini solleticarono<br />

la mia curiosità…Due bombe rasentarono l’angolo sud-est<br />

dell’ospedale, scavando due enormi imbuti: forse avevano di mira<br />

i numerosi carri (dello stesso ospedale) radunati là vicino”.<br />

29 ottobre: “Le vittime dell’incursione aerea di ieri sono<br />

aumentate: i morti sono già saliti a 25, ed altri feriti gravissimi<br />

li seguiranno presto. Lode incondizionata va tributata ai sanitari<br />

di quest’ospedale, i quali corsero immediatamente sul luogo del<br />

disastro a raccogliere i feriti, prestando loro premurose cure”.<br />

30 ottobre: “Tutta la notte e tutto il giorno è stato un continuo<br />

movimento di truppe che ripassano la Livenza, bersagliate dalle<br />

mitragliatrici dei nostri velivoli che le incalzano senza pietà. Alle<br />

sei di stamane è partito l’ospedale con tutto quello che poté<br />

portare seco. Ha lasciato parecchi malati gravissimi dei suoi e dei<br />

nostri (quest’ultimi, feriti dalla bomba del 28). Per questi e <strong>per</strong><br />

i malati borghesi ha lasciato tredici capi di bovini (presso varie<br />

stalle) e medicine. La consegna l’ha fatta al convento (eccettuati<br />

i bovini, ben’inteso), <strong>per</strong> la cura ha lasciato un giovane medico<br />

ucraino, ossesso dalla paura a segno che non distingue più fra i vivi<br />

e i morti. I locali li ha lasciati in buono stato. Ha lasciato parimenti<br />

tutta la fornitura ed il mobilio che ha trovato appartenente<br />

all’ospedale civile, più molta della sua roba, specialmente letti,<br />

brande, materassi, stufe di ferro tutt’ora imballate ecc. Alle tre<br />

del pomeriggio quel buon medico ucraino, dopo essersi rivolto<br />

a questo e a quello <strong>per</strong> consiglio, ma inutilmente <strong>per</strong>ché ormai<br />

ognuno attendeva a se stesso, si risolse di partire a piedi”.<br />

Il 31 ottobre gli invasori lasciano <strong>Motta</strong> e poche ore dopo, da<br />

ponente, arrivano i primi liberatori, che fanno parte dell’avanguardia<br />

ciclistica del Reggimento di Cavalleria “Aquila”. La popolazione<br />

esultante si riversa in piazza <strong>per</strong> festeggiarli, ma il <strong>per</strong>icolo è<br />

ancora grande a causa di un bombardamento e molti si rifugiano<br />

in convento e nei locali dell’ospedale. Purtroppo, anche tra gli<br />

arditi e i componenti della Brigata “Ionio” dell’esercito italiano<br />

che sopraggiungono vi sono alcuni che tentano di requisire<br />

38<br />

e derubare, ma padre Ciganotto li affronta con coraggio. Il 4<br />

novembre arriva la notizia dell’armistizio; dopo un solenne Te<br />

Deum nel Santuario, finalmente ritornato luogo di culto, il frate<br />

chiude così il suo racconto: “Sono e moralmente e fisicamente<br />

stanco molto, e pongo fine a questa cronaca tutta di dolori, che è<br />

il nostro martirio d’un anno”.<br />

Scrive Damiano Meda nel volume La Madonna dei Miracoli in<br />

<strong>Motta</strong> di Livenza (1985): “La guerra poteva trasformare <strong>Motta</strong> in<br />

un inferno: la ferrovia e i ponti sul fiume Livenza erano obiettivi<br />

appetibili. Invece, essendo trasformata in un grande ospedale,<br />

rendeva più sicuro il paese. Al di là del Piave lo sapevano; le spie<br />

lo avevano notificato. Fu dunque una grazia della Madonna che<br />

la basilica fosse adibita ad ospedale…Fu una grazia <strong>per</strong> tutta la<br />

popolazione, <strong>per</strong>ché il santuario segnalato come zona di Croce<br />

Rossa, era indicato come luogo non soggetto a bombardamenti”.<br />

Più laicamente, possiamo concludere che la presenza del luogo di<br />

culto, oltre a rappresentare un motivo di s<strong>per</strong>anza e di conforto<br />

<strong>per</strong> i credenti, preservò certamente tutti da guai maggiori.<br />

LA MORTE DI ITALO SVEVO<br />

Qualcuno ha scritto che Italo Svevo (FOTO n.28) è stato la vittima<br />

più illustre della “famigerata” Postumia, l’antica arteria consolare<br />

romana fatta costruire nel 148 a.C. dal console Postumio Albino<br />

<strong>per</strong> congiungere strategicamente i porti di Genova e Aquileia, oggi<br />

solcata nel trevigiano da un intenso e <strong>per</strong>icoloso traffico pesante.<br />

Racconta la figlia di Svevo, Letizia Fonda Savio:<br />

“Adorava i luoghi di cura. Era stato a Salsomaggiore, poi varie volte<br />

a Montecatini, a San Pellegrino, infine a Bormio. Tornava, appunto,<br />

da Bormio quando accadde l’incidente mortale a <strong>Motta</strong> di Livenza.<br />

Mi trovavo nella nostra casa a Opicina. Arrivò un telegramma che<br />

mi avvertiva dell’incidente: l’auto con mio padre, mia madre e mio<br />

figlio Paolo, slittando sulla strada bagnata, era finita contro un<br />

albero. Dapprima il meno grave era sembrato proprio papà; partii<br />

con mio cugino, il medico Aurelio Finzi, con un’autoambulanza<br />

<strong>per</strong> Treviso; trovai mio padre con gravi difficoltà di respirazione,<br />

immerso nei cuscini: aveva riportato la frattura del femore, lesione<br />

non mortale in sé, ma il suo cuore indebolito non resisteva al


tremendo choc. Per tutta la vita aveva avuto il presentimento<br />

che il fumo (60 sigarette al giorno) lo avrebbe portato alla morte.<br />

Avrebbe resistito solo 24 ore: la morte sopraggiunse <strong>per</strong> asma<br />

cardiaco da enfisema polmonare. Mi disse: “Non piangere, Letizia,<br />

non è niente morire”. Chiese invano una sigaretta a mio cugino<br />

e, rivolto a noi, con voce già indistinta: “Questa sarebbe davvero<br />

l’ultima sigaretta”. Mia madre, che era cattolica, gli chiese a bassa<br />

voce: “Vuoi pregare?”. Egli gemette: “Quando non si è pregato<br />

tutta la vita, non serve all’ultimo momento”. Non era credente, né<br />

in una religione, né nell’altra. Non parlammo più: due ore dopo<br />

era spirato. Erano le due e mezzo di giovedì 13 settembre 1928.<br />

Aveva 67 anni. Fumatore vizioso, sempre al traguardo di ogni<br />

“ultima sigaretta”, preoccupato sempre della propria salute, il suo<br />

declino fisico si accompagnava all’ascesa letteraria. Era convinto<br />

come malato. Almeno mi sembrava, ma secondo me esagerava.<br />

Il nipote medico lo aveva avvertito del <strong>per</strong>icolo, ma non aveva<br />

mai potuto smettere; eppure aveva paura del fumo: tossiva, aveva<br />

disturbi <strong>per</strong> questo. Ogni anno andava a Bormio <strong>per</strong> i polmoni<br />

ma, l’anno in cui morì, la mamma mi scrisse che il papà non<br />

traeva più alcun beneficio dalla cura. Quando il medico gli disse<br />

di limitare la carne, adottò una dieta vegetariana, piselli all’olio e<br />

basta… Era un malato immaginario, ossessionato dalla malattia,<br />

che era certamente un mascheramento della morte, e la sua o<strong>per</strong>a<br />

gira attorno a questa protagonista. Eppure, al momento di morire,<br />

conservò una stoicità da filosofo antico”.<br />

Lo scrittore triestino godeva solo da un paio d’anni di una certa<br />

notorietà letteraria, conseguente alla pubblicazione del romanzo<br />

La coscienza di Zeno, edito nel 1923 e recensito favorevolmente da<br />

James Joyce –che a Trieste aveva trascorso alcuni anni frequentando<br />

Svevo- e da un giovane critico ligure, Eugenio Montale. Gli altri<br />

romanzi, Una vita (1892) e Senilità (1898) erano passati sotto<br />

silenzio ed ebbero fortuna postuma. Una esatta ricostruzione<br />

dell’incidente di <strong>Motta</strong> si deve a Piero Sanchetti, medico-scrittore<br />

che o<strong>per</strong>ò <strong>per</strong> molti anni nel nosocomio mottense 28 . Di ritorno da<br />

Bormio Valtellina su una berlina OM guidata dall’autista Giovanni<br />

Colleoni sotto una pioggia battente, Ettore “Aron” Schmitz (vero<br />

nome dello scrittore di origine ebraica) a mezzogiorno del 12<br />

39<br />

settembre 1928 si era fermato con moglie e nipotino (FOTO n.29)<br />

a Treviso <strong>per</strong> pranzare. Ripartirono verso le 14, <strong>per</strong> <strong>per</strong>correre i 150<br />

chilometri di strada (allora in terra battuta) che separano Treviso<br />

da Trieste. A un paio di chilometri da <strong>Motta</strong> era stato da poco<br />

ultimato il ponte in cemento sul canale Malgher e la sede stradale<br />

era ancora in disordine, senza indicazioni che lo segnalassero. La<br />

pesante vettura slittò proprio sul fondo viscido del ponte, ma<br />

l’autista riuscì <strong>per</strong> qualche decina di metri a governarla, finendo<br />

poi contro un platano sulla sinistra della carreggiata. La signora<br />

Schmitz batté la testa e svenne; rinvenendo, vide che l’autista,<br />

praticamente incolume, aveva già estratto dall’auto il nipotino e<br />

cercava di fare lo stesso con suo marito, che gemeva accusando un<br />

forte dolore alla gamba. Alla fine fu messo a sedere sulla strada,<br />

sotto la pioggia, e, mentre si aspettavano i soccorsi, con la tipica<br />

reazione adrenalinica conseguente ai fatti traumatici, considerò<br />

con la moglie che, tutto sommato, avrebbe potuto andare peggio,<br />

visto che la corsa dell’auto era stata arrestata dall’albero sul ciglio<br />

di un profondo fossato. La signora e il bambino furono portati<br />

all’ospedale di <strong>Motta</strong> da una macchina di passaggio, mentre Svevo,<br />

che sembrava il meno grave, attese un’auto pubblica. Il medico di<br />

guardia, il dottor Gasparini, si accorse subito che in realtà era lo<br />

scrittore ad aver riportato le ferite più gravi, e ricoverò in una stessa<br />

stanza del reparto dozzinanti i tre infortunati. La prima diagnosi,<br />

firmata dal dottor Giovanni Cardazzo, fu, <strong>per</strong> la signora Schmitz, di<br />

commozione cerebrale traumatica, con “escoriazioni ed ecchimosi<br />

alle ossa del capo e contusioni all’addome”, e prognosi di 15 giorni.<br />

Per il piccolo Paolo di “ferite lacero-contuse al parietale sinistro<br />

e alla regione sottomascellare guaribili in 20 giorni”. Al 67enne<br />

Ettore Schmitz fu constatata la “frattura del femore sinistro ed<br />

escoriazioni alla faccia”; prognosi 40 giorni. Trascorse la notte<br />

senza febbre, ma con un’agitazione che andava aumentando, di<br />

pari passo con il battito del polso e l’affanno del respiro. Grande<br />

fumatore come il proprio alter ego Zeno del romanzo, Svevo<br />

chiedeva con insistenza una sigaretta, che, ovviamente, gli veniva<br />

negata. Nella notte erano arrivati da Trieste la figlia e il genero,<br />

ed anche il medico curante e parente Aurelio Finzi. Fu sotto i<br />

loro occhi che, nel primo pomeriggio, morì. Sulla cartella clinica n.<br />

28 P. Sanchetti, La morte di un industriale triestino a <strong>Motta</strong> di Livenza, in: La Castella, <strong>Motta</strong> di Livenza, maggio 1994, pp. 125 segg.


28) Italo Svevo.<br />

40<br />

29) Italo Svevo poco prima della morte con<br />

moglie, figlia e genero.


876-1928 il medico di guardia annotò: “Morto alle ore 14.30 <strong>per</strong><br />

uremia e insufficienza cardiaca”. In un foglio a parte il primario<br />

Cardazzo scrisse: “Alla fronte due escoriazioni ed una contusione<br />

alla regione parietale sinistra, una escoriazione alla faccia esterna<br />

della gamba destra al terzo su<strong>per</strong>iore, frattura del femore sinistro<br />

al terzo medio. Premesso che il paziente fu ricoverato in questo<br />

ospedale alle ore 15 del 12 settembre e presentava dispnea intensa,<br />

sudore profuso, polso piccolo e frequente con raffreddamento<br />

alle estremità, apiretico, piena coscienza e lucidità mentale. La<br />

sofferenza cranica che tormentava il paziente era da forte ambascia<br />

di respiro, dalla quale diceva di essere stato colpito subito dopo<br />

il trauma. Stette senza orinare fino alle ore 22.30, nella quale<br />

ora spontaneamente emise circa 200 cm3 di orina con intensa<br />

albuminuria. Si lagnava anche di pesantezza allo stomaco, e verso<br />

le cinque antimeridiane del giorno 13 ebbe vomito con emissione<br />

di resti alimentari. Malgrado le cure, le condizioni generali del<br />

paziente andarono aggravandosi. La dispnea si fece sempre più<br />

accentuata, il polso man mano si faceva meno <strong>per</strong>cettibile e verso<br />

le ore 14.30 del giorno 13 spirò. Faccio rilevare che orinò una sola<br />

volta come sopra detto” (FOTO n.30).<br />

Il Gazzettino del 14 settembre titolò: “DOPO IL GRAVE<br />

INCIDENTE D’AUTO LA MORTE DEL SIGNOR<br />

SCHMITZ”. “<strong>Motta</strong> di Livenza, 14. Penosissima impressione<br />

ha suscitato in città la notizia subito divulgatasi l’altro ieri del<br />

violento cozzo di un’automobile contro un albero <strong>per</strong> cui erano<br />

rimasti feriti tre triestini. Maggiormente il fatto gravissimo fu<br />

deplorato ieri, quando nel pomeriggio si diffuse il triste annuncio<br />

che verso le ore 14.30 il signor Ettore Schmitz era spirato dopo<br />

atroci sofferenze dovute a fatti di uremia e di affezione cardiaca,<br />

anziché a dolori derivanti dalla frattura del femore. Il trasporto<br />

della salma sarà effettuato a mezzo di apposito autocarro funebre<br />

espressamente inviato da Trieste e che proseguirà direttamente<br />

verso quel cimitero degli ebrei. Nell’autoambulanza dell’ospedale<br />

poi (FOTO n.31) vi saranno accompagnati la signora Veneziani<br />

e il nipotino Fonda, lo stato di salute dei quali non desta ormai<br />

più alcuna preoccupazione”. In ogni caso il dottor Finzi dovette<br />

scrivere sulle loro cartelle: “Dichiaro che faccio il trasporto del<br />

malato sotto la mia responsabilità”. L’altro quotidiano locale del<br />

tempo, la Gazzetta di Venezia, oltre alla cronaca non mancò di<br />

41<br />

commemorare lo scrittore con un elzeviro di Francesco Fattorello,<br />

ma ri<strong>per</strong>corriamo brevemente la sua carriera letteraria attraverso le<br />

più significative parole della figlia:<br />

“Zeno Cosini, il protagonista della Coscienza di Zeno, era un<br />

antieroe che esulava dalla retorica dell’epoca. Siamo lontani<br />

dal D’Annunzio “immaginifico” che mio padre detestava, e<br />

dal “su<strong>per</strong>uomo” desunto da Nietzsche. I <strong>per</strong>sonaggi di mio<br />

padre erano degli antieroi, abulici, nevrotici, malati; si pensi ai<br />

<strong>per</strong>sonaggi di Una vita (1892) e di Senilità (1899), contemporanei<br />

ai temi di una “vita inimitabile”: Il trionfo della morte (1894), La città<br />

morta (1899). La Coscienza di Zeno è la concezione della vita come<br />

malattia, il contrario del mito dell’eroe. Il romanzo termina con un<br />

cataclisma. In Zeno, mio padre esprimeva l’impotenza e l’ambiguità<br />

borghese, egli stesso borghese in contraddizione costante. Mi<br />

diceva: “Questa borghesia dovrà finire un giorno”. Ostile a una<br />

società triestina dedita al danaro e al mercantilismo, <strong>per</strong> gusto di<br />

un socialismo utopico e, forse, controverso. Non dico le critiche,<br />

lui vivente, di certi fascisti: nel ’42 il busto di papà fu gettato in<br />

terra con la motivazione “bronzo alla patria” lasciata sul marmo.<br />

Nel 1927, venne la sco<strong>per</strong>ta di Kafka, che seguiva la stagione dei<br />

mitteleuropei: Musil, Rilke, Roth, Walser. Quella letteratura era<br />

essenzialmente critica dell’io, così uno dei temi di papà era la crisi<br />

dell’individualità. Diceva: “Ricordo tutto, ma non intendo niente”,<br />

era lo sfaldamento della memoria che <strong>per</strong>deva ogni significato,<br />

l’impotenza della parola e dei segni. Gli restava l’ironia e l’autoironia<br />

quotidiana, una consapevolezza attraverso cui filtrava ogni cosa.<br />

Kafka era più esagerato di papà, portava all’estremo la propria<br />

dis<strong>per</strong>azione, ebreo in un paese cattolico, tedesco in un mondo<br />

slavo. Mio padre, che era di origine israelitica, si ritrovava in<br />

quella psicologia anche se spinta fino al parossismo. Mi regalò<br />

La metamorfosi, Il castello, Il processo, o<strong>per</strong>e postume edite in quegli<br />

anni (1924-1926). Altri ancora erano gli autori congeniali: Ibsen,<br />

la cui o<strong>per</strong>a mi regalò <strong>per</strong> il mio matrimonio; tutto Strindberg, che<br />

annotava ai margini, e che andò <strong>per</strong>duto nel ’45 nella distruzione<br />

di villa Veneziani; Gogol, che mi regalò in lingua tedesca; l’amato<br />

Jean-Paul. Mio padre è morto in tempo <strong>per</strong> non assistere alla<br />

distruzione della nostra casa, alla morte dei miei tre figli, poi di<br />

quello adottivo. Il movimento psicoanalitico aveva in Trieste il<br />

primo centro di diffusione: Edoardo Weiss, allievo di Freud, è il


30) Il referto di<br />

morte con l’aggiunta<br />

del primario<br />

Cardazzo.<br />

42<br />

31) Ambulanza dell’ospedale di <strong>Motta</strong> degli anni ’20.


primo psicanalista italiano. Trieste faceva da “ponte” tra diverse<br />

culture: città di tensioni, contraddizioni, propizia allo sviluppo<br />

di caratteri introversi, nevrastenici, a tendenze autopunitive (vedi<br />

Slata<strong>per</strong>, Umberto Saba). Quel che lo interessava nella psicoanalisi<br />

era l’indagine del sogno e degli atti mancati. Nella commedia La<br />

rigenerazione evidenzia l’importanza dei sogni. Ma Freud era<br />

più prezioso <strong>per</strong> il romanziere che <strong>per</strong> il malato. Scriveva: “…<br />

amavo tanto la mia malattia (se c’è) da preservarla con spirito di<br />

autodifesa…” e, ancora: “grande uomo quel Freud ma più <strong>per</strong> i<br />

romanzieri che <strong>per</strong> gli ammalati”. Frequenti i suggerimenti desunti<br />

da Freud; ad esempio, la figura del padre in Zeno, e la scena dello<br />

schiaffo che è il ricordo bruciante in mio padre di uno schiaffo<br />

dato all’amico Veruda dalla madre. Ma già in Corto viaggio<br />

sentimentale (uscito postumo), il freudismo è un ricordo; semmai,<br />

l’ultimo Svevo pensava a Proust, a Joyce, alla memoria involontaria<br />

del primo, al monologo interiore e flusso di coscienza del secondo.<br />

La “sco<strong>per</strong>ta” di Freud oscilla tra il 1910 e il 1912 circa, ma non ne<br />

sono certa. Nel 1918, un mio cugino medico pregava mio padre di<br />

aiutarlo a tradurre Die Traumdeutung di Freud. Suo cognato Bruno<br />

Veneziani, afflitto da paranoia, introverso, psicopatico, genialoide,<br />

era stato in cura da Freud senza trarre giovamento dalla terapia.<br />

Un suo amico nevrotico era tornato dalla cura a Vienna distrutto<br />

e abulico più di prima. Mio padre diceva: “… Dopo anni di cure<br />

e di spese, il dottore dichiarava che il soggetto era incurabile,…<br />

ad ogni modo una diagnosi che costava troppo…”. A Jahier, che<br />

gli confidava di aver già fatto sessanta sedute di psicoanalisi, mio<br />

padre chiedeva ironico: “E sei ancora vivo?”. Aveva conosciuto<br />

Weiss che era amico di suo cognato e che frequentava villa<br />

Veneziani; l’impatto forse era stato sgradevole <strong>per</strong> entrambi: Weiss<br />

si chiedeva se il medico psicoanalista di Trieste di cui si burlava<br />

nella Coscienza di Zeno fosse proprio lui. Mio padre, invece, da<br />

quegli incontri derivava una seconda malattia (la prima, sempre<br />

ricorrente, come lui stesso affermava, quella di non sa<strong>per</strong>e la lingua<br />

italiana), a cui si aggiungeva l’accusa di Weiss di scarsa conoscenza<br />

del metodo della psicoanalisi. Mio padre preferiva la cura nella<br />

43<br />

solitudine senza medico, in contrasto con la stessa teoria di Freud;<br />

una sorta di suggestione e autosuggestione”.<br />

Questo fu il grande artista che trovò casualmente la morte<br />

all’ospedale di <strong>Motta</strong> nel 1928, mentre stava scrivendo il suo<br />

quarto romanzo, Il vecchione, rimasto incompiuto. A ottant’anni<br />

dall’avvenimento i primari dell’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta<br />

Specializzazione e il responsabile dell’unità o<strong>per</strong>ativa di Ortopedia<br />

e Traumatologia dell’<strong>Ospedale</strong> di Oderzo hanno cercato di<br />

ricostruire, alla luce delle odierne conoscenze scientifiche, le cause<br />

di quella morte, giungendo alla conclusione che lo scrittore, oggi,<br />

sarebbe stato quasi sicuramente salvato, e, forse, avrebbe potuto<br />

esserlo anche allora. In appendice i loro referti (doc. 5).<br />

L’ALLUVIONE DEL 1966<br />

Nei primi giorni di novembre del 1966 l’Italia centro-settentrionale<br />

fu flagellata da piogge torrenziali. Un “vortice depressionario” (così<br />

i climatologi 29 ) sul Mediterraneo centrale, originato da un flusso di<br />

aria fredda di origine atlantica, aveva richiamato un intenso flusso<br />

di masse d’aria caldo-umide sulla penisola italiana. Ne derivò una<br />

serie di precipitazioni di straordinaria intensità che non potevano<br />

essere mitigate, causa la presenza di un anticiclone, dalla naturale<br />

“via d’uscita” dei Balcani. Come si ricorderà, Firenze, Venezia e<br />

molte altre località finirono sott’acqua, con incalcolabili <strong>per</strong>dite<br />

di vite umane e di o<strong>per</strong>e d’arte. <strong>Motta</strong> e il suo territorio furono<br />

duramente colpiti: 680 abitazioni civili furono allagate, 1500 i<br />

senzatetto su una popolazione di 8000 anime. Il medico-scrittore<br />

Piero Sanchetti, allora responsabile del laboratorio di analisi<br />

dell’ospedale, rende una efficace testimonianza 30 :<br />

“…tutto cominciò la notte del 4 novembre. L’anno prima ne<br />

avevamo avuta un’altra di alluvione, ma l’argine rotto fu del<br />

Monticano, a neppure un chilometro dal suo sbocco nel Livenza,<br />

e rimase interessato soltanto l’apice dell’ampio triangolo di<br />

confluenza. Ora minacciava l’altro fiume…stava piovendo da<br />

quattro giorni. …La mattina del 4 la pioggia diventò fortissima,<br />

29 Cfr. in ibimet.cnr.it, portale dell’Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche: G. Maracchi, I cambiamenti del clima ed il bacino<br />

dell’Arno, www.ibimet.cnr.it/Staff/maracchi/arnocamcompubblicazione.doc.<br />

30 P. Sanchetti, Cronache dell’alluvione, in: 1966-1996. <strong>Motta</strong> e la Livenza, 1996, p. 53 e segg.


sembrò invadere il luogo dell’aria. Ora dilagava sui vetri e correva<br />

a onde sui lastricati, poi era la terra a ributtarla fuori, che non<br />

la riceveva più; getti fissi e potenti rombavano dalle grondaie<br />

facendo somigliar le case a navi sotto pressione, questo fragore<br />

soverchiava quello del diluvio”. Sanchetti fa qualche telefonata e<br />

viene rassicurato, <strong>per</strong>ciò saluta le sue collaboratrici del laboratorio<br />

di analisi e va a casa. In piena notte viene svegliato e corre in<br />

ospedale preoccupandosi di innalzare una barriera di sacchi di<br />

sabbia e sassi sulla soglia delle porte del laboratorio, l’esterna e<br />

l’interna. “Alle sei del mattino” racconta “capitò uno a ordinare<br />

di sospendere il lavori e a me diede questo consiglio: ma è inutile,<br />

dottore, che faccia tutto questo lavoro, non c’è più <strong>per</strong>icolo…Alle<br />

sei e quarantacinque spuntò un sole incredibile tra i rami nitidi del<br />

giardino, il cielo era come lavato dall’acqua del giorno prima…<br />

Ebbi un’idea, che in seguito ci fece sorridere a lungo: <strong>per</strong>ché non<br />

alzare piuttosto tutto, mettendo qualcosa sotto le zampe delle<br />

scrivanie, tavoli e armadi? Prima la scrivania del microscopio<br />

grande, attenzione, e poi la libreria, se ci riuscite”. Sanchetti torna<br />

a casa <strong>per</strong> poco tempo ma poi rientra in ospedale in bicicletta “con<br />

l’acqua ai mozzi delle ruote”. “Il laboratorio non era ancora invaso,<br />

ci chiudemmo subito le due porte al di qua delle nostre dighe<br />

notturne di sacchi, trovai tutto alzato di tredici centimetri, spostati<br />

gli apparecchi il più alto possibile…Feci in tempo a vedere dalla<br />

finestra la potente figura di Gino Someda arrancante nell’acqua<br />

con l’ultimo vecchio sulle spalle, se li era portati quasi tutti lui,<br />

masticando silenzio e maledizioni, di lì a poco si sarebbe buttato<br />

in acqua <strong>per</strong> raggiungere le infermiere che gridavano appollaiate<br />

sui davanzali del cronicario…”. L’illusione di isolare il laboratorio,<br />

dura poco: l’acqua irrompe con violenza e il medico, nonostante<br />

cerchi istintivamente di mettere in salvo il microscopio grande,<br />

viene spinto in salvo su <strong>per</strong> le scale dal primario Carlo Ronzoni<br />

“ultimo suo anno d’ospedale, io mai sospettai tanta forza in quelle<br />

mani, che erano lunghe ed esili”. Riesce a salvare un colorimetro e<br />

“…La giornata che seguì fu la più lunga e gelida di quel <strong>per</strong>iodo.<br />

Entrò dovunque il silenzio e con esso un freddo intenso e umido,<br />

dovuti, come capimmo poi, all’ovattamento acqueo di ogni rumore,<br />

all’evaporazione di tutta quell’acqua…Eravamo isolati, e isolati<br />

rimanemmo dagli altri padiglioni, se non con qualche passaggio<br />

di voce spiegata, fino al giorno dopo. I due piano sovrastanti il<br />

44<br />

laboratorio, ove l’acqua adesso riprendeva a crescere, ma noi ormai<br />

la vedevamo solo sulle scale e non potevamo calcolare quale fosse<br />

il livello in esso, erano intasati di malati la più parte vecchi, cui<br />

erano aggiunti tutti i vecchi del basso cronicario, quelli salvati da<br />

Gino Someda…Nella stessa giornata uno dei vecchi morì. La cosa<br />

fu seria, il suo piccolo fagotto riempì di sé una stanza intera. Gli<br />

altri, <strong>per</strong> fortuna intontiti cessarono a poco a poco di lamentarsi”.<br />

L’acqua saliva inesorabilmente, e raggiunse gli ultimi scalini del<br />

primo piano: “Lasciammo una candela accesa sull’ultimo gradino,<br />

a segnare il livello; il primario Ronzoni distribuì i turni di guardia<br />

e ordinò di dormire”. Il giorno dopo, 6 novembre, arrivarono<br />

i primi mezzi di soccorso, ma, insieme ad essi, altra gente in<br />

cerca di rifugio e ammalati <strong>per</strong> il ricovero, fino a raddoppiare<br />

la popolazione accampata in ospedale. “Il vero sgombero degli<br />

ammalati fu possibile finalmente il giorno 7. Artifici di equilibrio<br />

richiese la calata dei barellati da sopra la ringhiera delle terrazze<br />

ai barconi che attendevano quasi due metri più sotto, osservai<br />

il rispetto impacciato arcaico dei militari siciliani, l’antico “voi”<br />

rivolto ai vecchi, il terrore che gli prese al ragazzo quando seppe<br />

che tra quegli involtati fino al viso ce n’era uno morto da due<br />

giorni. I barconi si allontanavano con tutta lentezza, con i militari<br />

ficcati nel fondo a mantener l’equilibrio e le orizzontali barelle<br />

precariamente stese da un bordo all’altro, quasi a parere che fossero<br />

esse sole a passare sull’acqua”. La sera anche medici e infermieri<br />

riescono a lasciare il reparto: “Il piano inferiore, il laboratorio non<br />

esistevano più; il bel padiglione rimase un troncone impotente<br />

e peggio che distrutto…ultimo a calarsi sulla barca a staccare<br />

le mani dalla ringhiera, dando l’ordine di partire, volle essere il<br />

primario Ronzoni, il capitano della nave ferita…Ci trasferimmo<br />

in un altro padiglione, ove s’erano concentrati i rimasti, i soccorsi,<br />

i collegamenti, i militari e il ponte radio, ove una pensilina del<br />

secondo piano cominciò a servire da imbarcadero”. I rimasti si<br />

rifugiano nella stanza del cappellano, don Nazareno, che mette a<br />

disposizione sigarette e alcol “…ci teneva bordone dall’alto della<br />

sua pipa, im<strong>per</strong>turbabile, l’unico a non bere, Piero Zanolli, quasi lo<br />

avessero a chiamare da un momento all’altro in sala o<strong>per</strong>atoria”.<br />

Mentre arrivano notizie sul disastro e sulla strage di animali di<br />

ogni genere in città e nei dintorni “a qualcuno gli venne in testa<br />

che nella cella mortuaria ci stava un morto, vecchio anche lui,


Masutti Giovanni di anni 79 da Cessalto, andatosene nella notte<br />

prima dell’acqua. Nel trambusto nessuno ci aveva pensato. Ora,<br />

visto che non c’era nulla da fare, il meglio era che non se ne<br />

spargesse la voce. La casa dei morti era sepolta nell’acqua con<br />

porta e finestre, visibile da tutti i padiglioni, e il morto dentro<br />

poteva galleggiare urtando il soffitto, o giacere rovesciato sul<br />

pavimento, o anche ondulare a mezza via nel suo acquario,<br />

questo non lo sapevamo risolvere, ma certamente adagiato sul<br />

suo tavolo di pietra non ci stava più”. Con l’aiuto di Roberto<br />

Zampieri, titolare di un’impresa di pompe funebri, si riesce infine<br />

a recu<strong>per</strong>are la salma e, conclude Sanchetti, “il vecchio morto<br />

ebbe la sua asciutta pace”. Quando finalmente l’acqua si ritira, il<br />

medico corre al “suo” laboratorio: “Mi è impossibile descrivere lo<br />

stato del laboratorio, forse una fotografia a colori, ma cercai di un<br />

fotografo ed erano occupati in giro: era un incubo nero e pieno,<br />

lo squarcio di un interno bombardato ma senza il cielo sopra e<br />

l’aria attorno…”. L’8 novembre il Gazzettino di Treviso informa<br />

che l’ospedale è stato completamente circondato da oltre 4 metri<br />

d’acqua e che, grazie ai barconi militari, settanta ammalati sono già<br />

stati trasferiti negli ospedali di Oderzo e Treviso. Ma nulla è più<br />

eloquente delle immagini dell’epoca (FOTO n. 32-33-34-35). Tra i<br />

soccorritori, si distinse anche il professor Angelo Burlina (foto n.36<br />

). Nato a <strong>Motta</strong> nel 1929, era stato <strong>per</strong> molti anni responsabile<br />

del Laboratorio di analisi chimico-cliniche e di microbiologia<br />

dell’<strong>Ospedale</strong> di Oderzo, divenendo poi specialista e quindi libero<br />

docente in anatomia patologica, istochimica normale e patologica<br />

ed in chimica e microscopia clinica nelle Facoltà mediche di<br />

Trieste, Pavia, Milano, Verona e Padova. Autore di importanti<br />

trattati, fondò la Società italiana di Medicina di laboratorio, e<br />

conseguì vari riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui<br />

il Premio Cultura della Presidenza del Consiglio dei ministri.<br />

Burlina, mancato prematuramente nel 1993, si inserisce –insieme<br />

al professor Ugo Lippi, anch’egli presidente della Società italiana<br />

di Medicina di laboratorio e a molti altri, che in questa sede non<br />

è possibile ricordare singolarmente- nel filone della serie di clinici<br />

illustri originari di <strong>Motta</strong> che, a partire da Antonio Scarpa, hanno<br />

illustrato e illustrano la Città liventina, tanto in patria che nelle<br />

31 G. Lago, Riflessioni, in 1966-1996. <strong>Motta</strong> e la Livenza cit., p.193.<br />

45<br />

sedi accademiche e nelle strutture ospedaliere del resto d’Italia e<br />

all’estero.<br />

<strong>Motta</strong> di Livenza si risolleverà dal disastro in breve tempo,<br />

divenendo, grazie alla solidarietà di istituzioni e privati, ma anche<br />

e soprattutto <strong>per</strong> all’innata o<strong>per</strong>osità dei suoi abitanti - l’allora<br />

direttore del Gazzettino Giorgio Lago sottolineava nel 1996 un<br />

record di <strong>Motta</strong>: 921 imprese <strong>per</strong> 8913 abitanti 31 -, un importante<br />

polo economico-produttivo del Veneto. Ricordiamo tuttavia, a<br />

dimostrazione di come l’assetto idrogeologico del territorio lasci<br />

ancora a desiderare, che ancora nel novembre 2002 la crescita<br />

del Livenza conseguente a forti piogge provocò l’evacuazione<br />

precauzionale dell’ospedale.<br />

N A S C E L ’ O S P E D A L E<br />

R I A B I L I T A T I V O D I A L T A<br />

SPECIALIZZAZIONE<br />

La seconda guerra mondiale risparmiò, fortunatamente, gravi<br />

distruzioni urbanistiche ed edilizie alla città di <strong>Motta</strong>, anche se il<br />

territorio fu purtroppo teatro di sanguinosi “regolamenti di conti”<br />

da guerra civile tra fascisti e partigiani, con rappresaglie ed episodi<br />

di violenza gratuita commessi da ambo le parti. L’amministrazione<br />

ospedaliera proseguì nei rapporti di “buon vicinato” con il convento<br />

dei frati Minori: nel 1948 questi concessero che una cabina elettrica<br />

di trasformazione <strong>per</strong> le necessità dell’ospedale sorgesse su un loro<br />

fondo, e in tempi più recenti l’ultimo padiglione fu edificato grazie<br />

a una <strong>per</strong>muta di terreni tra nosocomio e convento. L’ospedale<br />

rimase in gestione autonoma, con Consiglio di Amministrazione<br />

eletto dal Comune di <strong>Motta</strong> di Livenza, fino all’avvento delle<br />

ULSS.<br />

Gli anni ’80 portarono al trasferimento di Pediatria e Maternità<br />

a <strong>Motta</strong> di Livenza e all’istituzione di una divisione geriatrica,<br />

nella prospettiva di concentrare il polo chirurgico e l’urgenza ad<br />

Oderzo. Il 01.01.1995 gli Ospedali di Oderzo e di <strong>Motta</strong> di Livenza<br />

diventarono parte dell’Unità Locale Socio-Sanitaria n. 9.


32)<br />

46<br />

34)<br />

33)


36) Il dottor Burlina tra<br />

i soccorritori a bordo di una<br />

barca di salvataggio.<br />

47<br />

35)


Domenico Stellini, primo Presidente del C.d.a.<br />

dell’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo<br />

Testimone diretto della ripresa post-alluvione e più avanti della<br />

riconversione del presidio ospedaliero è Arnaldo Brunetto, exparlamentare<br />

e sindaco di <strong>Motta</strong> negli anni 1975-80 e 1987-90.<br />

“L’alluvione” afferma “fu certamente un episodio drammatico,<br />

ma, fortunatamente, non tragico, innanzitutto <strong>per</strong>ché non ci<br />

furono vittime e poi <strong>per</strong>ché proprio da lì scaturì un nuovo impulso<br />

tanto <strong>per</strong> lo sviluppo economico del territorio che <strong>per</strong> il rilancio<br />

del nostro ospedale. In poche settimane esso riprese a funzionare,<br />

grazie all’efficienza di quello che all’epoca era ancora un “Ente<br />

di assistenza e beneficenza”, presieduto dal cav. Vincenzo<br />

Abate e diretto dal segretario (oggi diremmo direttore generale)<br />

Rodolfo Bortolotto, e consentiva una gestione autonoma senza<br />

troppi vincoli burocratici”. “Insomma” continua Brunetto “ex<br />

malo bonum, e si procedette in una strategia che, grazie alla<br />

validità delle risorse umane e alla costante ricerca della qualità, ci<br />

poneva su un piano decisamente su<strong>per</strong>iore rispetto ad altre realtà<br />

ospedaliere circonvicine. Qualche problema nacque allorché, in<br />

seguito alla riforma e alla creazione delle unità sanitarie locali<br />

48<br />

28 Settembre 2008,<br />

si inaugura il nuovo Desk polifunzionale.<br />

Da sinistra: Paolo S<strong>per</strong>anzon, sindaco di <strong>Motta</strong>,<br />

Franco Manzato, vicepresidente Giunta Regionale,<br />

Carlo Valfrè, attuale Presidente C.d.a.<br />

(Legge 833 del 1978), ci si dovette confrontare necessariamente<br />

con altri. Ancora una volta, come più volte nel corso della sua<br />

storia, <strong>Motta</strong> si interrogò sulla propria realtà di terra di confine.<br />

Due furono i principi portanti di un’intuizione e di un’azione che<br />

poi si rivelarono la scelta giusta: la libera opzione da parte dei<br />

cittadini di accedere ai luoghi di cura e la diversificazione dei due<br />

ospedali di Oderzo e <strong>Motta</strong>. Fu il Consiglio comunale a delineare<br />

nel concreto la nuova strategia, approvando nel gennaio 1993 lo<br />

Studio SOGES, fortemente voluto dal sindaco Alberto Vidi e<br />

dall’assessore Mario Po”. “Appariva chiaro fin da allora” conclude<br />

Brunetto “che è necessaria una ottimizzazione e concentrazione<br />

degli ospedali <strong>per</strong> acuti, affidando agli ospedali territoriali un ruolo<br />

di specializzazione. L’attuale <strong>Ospedale</strong> Riabilitativo è il prodotto<br />

di questo <strong>per</strong>corso e dell’azione condivisa della comunità e di<br />

uomini che hanno creduto e lavorato <strong>per</strong> il nostro progetto –cito<br />

<strong>per</strong> tutti Domenico Stellini-, e dimostra nei fatti, nonché con gli<br />

ottimi risultati della sua s<strong>per</strong>imentazione gestionale, che avevamo<br />

visto giusto”.


A partire dal 2001 si è proceduto, con capitale misto pubblico<br />

e privato, alla costituzione dell’<strong>Ospedale</strong> di Alta Specializzazione<br />

di <strong>Motta</strong> di Livenza, destinato prevalentemente a funzioni di<br />

recu<strong>per</strong>o e di rieducazione funzionale. “… I costi <strong>per</strong> le strutture<br />

preaccreditate sono influenzati dalla determinazione da parte della<br />

Regione di un tetto del volume di attività a loro disposizione e dal<br />

meccanismo della regressione tariffaria che consente di su<strong>per</strong>are<br />

tale limite riducendo <strong>per</strong>ò progressivamente il corrispettivo loro<br />

dovuto fino all’azzeramento oltre una certa soglia.Va precisato che<br />

dall’esercizio 2004 ha preso avvio la s<strong>per</strong>imentazione gestionale<br />

dell’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione di <strong>Motta</strong><br />

di Livenza (Spa controllata dall’Azienda Ulss 9) che, nascendo<br />

come struttura preaccreditata, sconta il meccanismo suddetto<br />

<strong>per</strong> l’attività di ricovero e specialistica. Per converso si è ottenuta<br />

la riduzione dei costi legati alla gestione dell’<strong>Ospedale</strong> di <strong>Motta</strong>,<br />

non più a carico di questa Azienda, ed un progressivo aumento<br />

della mobilità attiva, intra ed extraregionale, data la collocazione<br />

geografica della struttura stessa.” 32 Bisogna dire che sin dal 1980 il<br />

cardiologo Antonio Neri, con notevole lungimiranza, proponeva<br />

al presidente del Consiglio di amministrazione dell’ospedale<br />

l’istituzione di una struttura cardiologica specializzata in<br />

riabilitazione e prevenzione (FOTO n.37).<br />

Approfondiamo, in conclusione, la genesi dell’<strong>Ospedale</strong><br />

Riabilitativo di Alta Specializzazione, iniziata alla fine degli<br />

anni novanta, allorché emerse, nel quadro regionale dell’offerta<br />

riabilitativa, che il Veneto orientale necessitava di una struttura<br />

riabilitativa di II livello. Con il DGR 740/99 si decideva la<br />

trasformazione del presidio ospedaliero di <strong>Motta</strong> di Livenza in<br />

ospedale <strong>riabilitativo</strong>, con trasferimento di tutte le funzioni <strong>per</strong><br />

acuti all’<strong>Ospedale</strong> di Oderzo. Il Progetto della ULSS9 Treviso<br />

intitolato “Riconversione del presidio ospedaliero di <strong>Motta</strong><br />

di Livenza in <strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione<br />

mediante partnership pubblico-privato” fu approvato dalla Giunta<br />

regionale il 17 maggio 2001. Nacque così una Società mista che<br />

prevedeva la partecipazione maggioritaria dell’Unità locale sociosanitaria<br />

e, in quote minoritarie, quella di una società privata<br />

32 2003-2007, Cinque anni di sanità trevigiana , ULSS9 Treviso, Bilancio di Mandato 2003-2007.<br />

49<br />

o<strong>per</strong>ante nel settore sanitario e del Comune di <strong>Motta</strong> di Livenza.<br />

E’ del 2003 il varo formale dell’<strong>Ospedale</strong> <strong>riabilitativo</strong> di alta<br />

specializzazione Spa. A tutt’oggi, l’assetto societario attribuisce<br />

il 75% della partecipazione al socio pubblico, il 23,19 al socio<br />

privato e l’1,81% al socio, diremmo così, semi-privato, il Comune<br />

di <strong>Motta</strong> di Livenza. Quanto ai conferimenti, la UlSS9 trasferiva<br />

alla nuova società gli immobili del vecchio ospedale e il know-how<br />

professionale costituito dal <strong>per</strong>sonale ospedaliero, richiedendo agli<br />

altri soci conferimenti di natura finanziaria adeguati alla propria<br />

quota di partecipazione.<br />

Due i principi base che sin dall’inizio caratterizzarono la nuova<br />

s<strong>per</strong>imentazione. “L’efficiente gestione privata” intesa come<br />

ricerca di uno strumento organizzativo e gestionale flessibile,<br />

in grado di rispondere velocemente ai fabbisogni assistenziali<br />

secondo regole che istituzionalmente appartengono al settore<br />

privato. Il “controllo pubblico strategico del sistema” inteso<br />

come strumento finalizzato a garantire fondamentalmente<br />

due obiettivi: da un lato il fatto che l’azione della struttura<br />

dovesse essere fortemente integrata nelle strategie assistenziali<br />

complessive della ULSS di riferimento; dall’altro lato il fatto che<br />

tale o<strong>per</strong>atività si traducesse nell’erogazione di livelli di assistenza<br />

appropriata secondo la destinazione funzionale e strategica del<br />

Presidio ospedaliero. Lo sviluppo di relazioni funzionali stabili<br />

tra il Dipartimento di riabilitazione dell’ULSS9 e le attività della<br />

s<strong>per</strong>imentazione di <strong>Motta</strong> di Livenza, nonché la stretta sinergia<br />

tra la cardiochirurgia trevigiana e il nuovo soggetto ospedaliero<br />

<strong>per</strong> l’assistenza ai cardio-o<strong>per</strong>ati, fecero sì che si configurasse<br />

ben presto una connotazione interaziendale del Dipartimento<br />

trevigiano, con l’acquisizione di professionalità di alto profilo<br />

ad esso <strong>per</strong>tinenti, le quali contribuirono in modo considerevole<br />

all’elevato livello quali-quantitativo dei servizi offerti dal nuovo<br />

Presidio. Per questo ed altri motivi, legati alla positiva gestione<br />

finanziaria, la Giunta regionale del Veneto in data 29 maggio 2007<br />

ha prorogato <strong>per</strong> un ulteriore triennio la s<strong>per</strong>imentazione gestionale<br />

dell’<strong>Ospedale</strong> di <strong>Motta</strong>. Ma proprio i risultati economicofinanziari<br />

e le loro ricadute favorevoli sul territorio consentono


37)<br />

50


Il direttore generale dell’ORAS<br />

Alberto Prandin.<br />

51<br />

Il direttore generale dell’ULSS9 Treviso Claudio<br />

Dario con Alberto Prandin.<br />

Il padiglione oggi intitolato a<br />

Giovanni Cardazzo.


Nuove stanze di degenza. Tecnologie avanzate <strong>per</strong> la riabilitazione.<br />

oggi all’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di <strong>Motta</strong> di presentarsi come un<br />

esempio paradigmatico della funzionalità e delle potenzialità dello<br />

strumento della s<strong>per</strong>imentazione gestionale pubblico-privata.<br />

Nella fattispecie, la s<strong>per</strong>imentazione di <strong>Motta</strong> si è rivelata positiva<br />

tanto <strong>per</strong> il socio pubblico che <strong>per</strong> i soci privati. Il socio “semiprivato”,<br />

il Comune di <strong>Motta</strong> di Livenza, è rientrato in un<br />

triennio del proprio conferimento finanziario in virtù del solo<br />

gettito ICI prodotto dal nosocomio –cui va sommato il gettito<br />

TARSU (Tariffa ambiente rifiuti solidi urbani)-, e ne ha acquisito<br />

un utile attraverso il quale può essere in grado di ampliare la<br />

propria partecipazione. Quanto al soggetto pubblico, esso può<br />

vantare oggi una rivalutazione del 26% circa degli immobili e dei<br />

terreni conferiti all’atto della costituzione sociale (2003). Altro<br />

beneficio <strong>per</strong> il pubblico in senso lato, cioè <strong>per</strong> l’Ente regionale, è<br />

rappresentato dal gettito IRAP, versato dall’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo<br />

nella misura del 4,25% in quanto Società <strong>per</strong> azioni e dell’8,50%<br />

in quanto ente pubblico. Tutti i soci, pubblici o privati, non<br />

possono che essere soddisfatti del risultato d’esercizio, che al 31<br />

dicembre 2007 presentava un utile netto di oltre 831.000 Euro.<br />

La cosiddetta Commissione 4P (Public-Private Partnership Programs)<br />

inglese, istituita <strong>per</strong> monitorare i risultati delle s<strong>per</strong>imentazioni<br />

52<br />

outsourcing, paventava alcuni anni orsono una possibile generale<br />

riduzione della qualità dei servizi, ed anche di una diminuzione<br />

dei posti letto e dei posti di lavoro, a vantaggio dei profitti dei<br />

privati. Per quanto attiene alla qualità, i dati clinici, le analisi di<br />

customer satisfaction e recenti riconoscimenti come quello del GICR<br />

(Gruppo italiano di cardiologia riabilitativa e preventiva), che<br />

assegna alla struttura mottense il primo posto in Italia <strong>per</strong> numero<br />

di pazienti che hanno concluso il <strong>per</strong>iodo <strong>riabilitativo</strong> in un <strong>per</strong>iodo<br />

significativo, testimoniano un costante incremento, di pari passo<br />

con l’aumento progressivo delle prestazioni erogate (oltre 14.000<br />

nel 2007). Anche <strong>per</strong> questo motivo, la Regione ha deliberato la<br />

creazione di 25 ulteriori posti-letto, destinati in particolare al dayhospital,<br />

che vanno ad aggiungersi ai 120 già esistenti e occupati<br />

a pieno regime. Sul piano socio-sanitario, se si considera che l’età<br />

media delle vittime di incidenti stradali nel territorio trevigiano<br />

è di 20-40 anni, si comprende quanto sia importante l’impegno<br />

non soltanto nel campo della riabilitazione intensiva in ambiente<br />

ospedaliero, ma anche nel campo del recu<strong>per</strong>o fisico-mentale atto a<br />

reinserire i pazienti nella scuola e nel lavoro. Per questo l’<strong>Ospedale</strong><br />

Riabilitativo di <strong>Motta</strong>, con l’ausilio di associazioni onlus di volontari,<br />

sensibilizza sin dal primo momento post-trauma familiari, amici,<br />

insegnanti e datori di lavoro. Provengono attualmente da fuori<br />

ULSS circa il 50% dei ricoverati, con punte del 70-75% nella


iabilitazione cardiologica. Nel 2007 si è praticamente azzerata<br />

la “mobilità passiva”, vale a dire si è assorbito tutto il bacino di<br />

utenza della riabilitazione della ULSS 9. La cifra globale è di circa<br />

3500 ricoveri annui.<br />

Le liste d’attesa, che pure rappresentano un notevole problema<br />

in molte strutture sanitarie del Nord Italia, sono molto brevi,<br />

grazie alle caratteristiche del CUP (Centro unico di prenotazione),<br />

che conta 6 addetti ed è in grado di provvedere a prenotazioni<br />

e ricoveri <strong>per</strong> qualsiasi tipo di esigenza sanitaria (anche <strong>per</strong><br />

richieste di visite in libera professione) in tutte le strutture della<br />

ULSS 9. Ogni richiesta è registrata da un sistema centrale, che<br />

alimenta un database costantemente monitorato dalla ULSS 9 e<br />

dalla Regione Veneto. Attraverso il Centro unico di prenotazione<br />

si ottem<strong>per</strong>a altresì ad un altro punto qualificante del progetto<br />

di s<strong>per</strong>imentazione, quello che prevede, comunque, di fornire<br />

risposte immediate alla domanda sanitaria del territorio. Ulteriori<br />

investimenti sono destinati nell’anno in corso alla ristrutturazione<br />

edilizia dei padiglioni ospedalieri, <strong>per</strong> la quale sono stati investiti<br />

4 mln. di Euro nel 2007. Altri 700.000 Euro sono stati spesi<br />

nell’ultimo esercizio <strong>per</strong> le tecnologie cliniche. Primo ospedale<br />

in Italia, l’ospedale di <strong>Motta</strong> diverrà un “Free Pa<strong>per</strong> Hospital”,<br />

attraverso un software che, grazie a schermi tattili disposti in<br />

tutti i <strong>per</strong>corsi ospedalieri, eliminerà i supporti cartacei rendendo<br />

disponibili in tempo reale tutte le informazioni sul paziente, a<br />

cominciare dalle cartelle cliniche (naturalmente nel rispetto della<br />

privacy e dei diritti del malato). Un ulteriore salto di qualità è<br />

rappresentato dall’adozione di un collegamento in fibra ottica con<br />

l’Ulss 9, che <strong>per</strong>mette l’interconnessione dei sistemi informativi e<br />

lo scambio delle immagini radiologiche, agevolando così il paziente<br />

negli spostamenti, ma, contemporaneamente, garantendo gli<br />

standard qualitativi di Treviso con l’ausilio di radiologi che sono<br />

in grado di refertare direttamente dalla Radiologia del Presidio<br />

ospedaliero di Treviso.<br />

Anche <strong>per</strong> quanto concerne il dato occupazionale, la <strong>per</strong>centuale<br />

di incremento dagli inizi della s<strong>per</strong>imentazione è del 50% circa:<br />

il <strong>per</strong>sonale dipendente e comandato ammonta oggi a 224 unità,<br />

senza tener conto dei non pochi soggetti medici che hanno in essere<br />

con la Società un rapporto libero professionale, in buona parte<br />

“strutturato”. Non soltanto si sono così sviluppate competenze<br />

53<br />

di lavoro in team multiprofessionale, con l’adozione di modelli<br />

di riferimento e modalità o<strong>per</strong>ative conformi alle concezioni<br />

più accreditate ed avanzate in materia di riabilitazione, ma si è<br />

anche predisposto un modello organizzativo del <strong>per</strong>sonale atto<br />

ad integrare il trattamento economico e normativo del <strong>per</strong>sonale<br />

comandato della ULSS9 con quello dell’ospedale.<br />

L’<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione si pone così<br />

come realtà fortemente propositiva, che, mediante la filosofia<br />

del miglioramento delle prestazioni cliniche e, nel contempo,<br />

delle infrastrutture ad esse afferenti, ed in un’ottica di “work in<br />

progress”, si appresta a diventare un organismo di tutto rilievo nel<br />

quadro della Sanità regionale e nazionale.<br />

APPENDICE<br />

Doc. 1<br />

Divagazioni e trattenimenti sopra hospitali, malati e<br />

testamenti.<br />

di Luigi Zanin<br />

1. Sul pons liquentae, ma non necessariamente all’altezza della<br />

<strong>Motta</strong>, si combattè nel 776 una battaglia dagli echi letterari illustri<br />

tra Rotcauso - appoggiato dal suo illustre parentado veneto - e<br />

l’armata franca. Il fatto divise aedi e cronisti, ma alla fine dei giochi<br />

non portò nulla di bene <strong>per</strong> i longobardi, oramai italici d’elezione.<br />

Un vero peccato <strong>per</strong>ché Carlo Magno era entrato in questa parte<br />

d’Italia in punta di piedi, certo che qui più che altrove fosse<br />

necessario mirare ad un accordo con i duchi locali. Andata male<br />

la sortita sul Livenza, non restò ai veneto-longobardi molto su cui<br />

s<strong>per</strong>are. Rotcauso diventa nelle carte inimico nostro (<strong>per</strong> Carlo), e<br />

parte così la stagione delle confische <strong>per</strong> lui e <strong>per</strong> i suoi sostenitori.<br />

Ma siccome nel medioevo si passa dalle reprimende peggiori, alle<br />

vendette più crudeli ed inumane, ad improponibili <strong>per</strong>donanze<br />

e connessi baci della pace, così anche i longobardi traditori<br />

torneranno nel giro di pochi decenni a sedere nelle mense dei<br />

nuovi dominatori. Anzi, profittando dell’insondabile mutare delle<br />

cose, ne scalzarono pure - su base locale - le terga da molteplici<br />

scranni. C’est la vie, anzi… c’est la guerre.


Nonostante ciò gli storici continuano ad interrogarsi sull’esito di<br />

quello scontro tra cavallerie pesanti: si domandano in convegni ed<br />

interventi dove si trovava quel pons, ma in pochi hanno pensato<br />

che questa possa esser stata la medesima struttura nominata<br />

nella «novella» del Codice Teodosiano (XI, 10, 2), dove si parla<br />

appunto del restauro del ponte sulla Livenza sotto gli im<strong>per</strong>atori<br />

Valentiniano e Valente. Certo, fare un ponte in epoca altomedievale<br />

doveva essere un po’ come costruire un’autostrada ai tempi<br />

d’oggi. L’uso della pietra, nei quali eccellevano i romani, era stato<br />

sostituito vieppiù dal legno, anche se non bisogna esagerare con il<br />

fascino della regressione, nemmeno quando si parla di medioevo<br />

barbarico! Pare che il nostro ponte fosse gettato molto più a nord<br />

della <strong>Motta</strong>, tra Cavolano e Sacile: e c’è da crederci visto che<br />

proprio la via pedemontana era il principale asse di collegamento<br />

est/ovest dell’altomedioevo veneto e friulano, e che <strong>per</strong> la sua<br />

importanza venne punto abbattuto dai patriarchi di Aquileia<br />

nel Trecento, <strong>per</strong>iodo in cui erano sempre più difficilmente<br />

contenibili le intem<strong>per</strong>anze dei Trevigiani. Ma cosa centrano questi<br />

ragionamenti con la storia dell’ospedale di <strong>Motta</strong>? Poco, <strong>per</strong> non<br />

dir nulla, almeno dopo la piacevole lettura dei medaglioni istoriati<br />

dall’amico Bruno Stefanat. Eppure il nostro corso d’acqua, tanto<br />

gentile da essere declinato al femminile a partire dal D’Annunzio<br />

(e così continua ad esserlo nella voce del popolo, contrapposto<br />

alla virilità del Piave, reso ancor più maschio dalla Leggenda<br />

musicale del 1918), ha avuto molto a che fare con le o<strong>per</strong>e di<br />

assistenza durante i secoli passati. Il Livenza era elemento naturale<br />

di confine tra domìni differenti, prima tra ducati, poi tra comitati,<br />

ma era destino che non potesse mai risultare una barriera naturale<br />

convincente: lo capirà oltre un millennio d’anni più tardi anche il<br />

general Cadorna, che - umiliato da tanta storiografia - aveva invece<br />

avuto chiara contezza che le sinuose curve del suo scorrere non<br />

avrebbero potuto resistere alla spedizione punitiva di Konrad e<br />

degli altri generali di Sua maestà im<strong>per</strong>ial cattolica, l’im<strong>per</strong>atore<br />

d’Asburgo.<br />

Ma a noi qui interessano le questioni ben più vecchie e ci interessa<br />

tornare indietro al primo medioevo, un <strong>per</strong>iodo che la retorica di<br />

fine Ottocento ha reso troppo fascinose. E proprio partendo da<br />

esse, la Livenza accresce l’immagine di una frontiera «colabrodo»,<br />

54<br />

sempre più costellata da una serie di punti d’attraversamento,<br />

il che - sempre con la scusa dei collegamenti - <strong>per</strong>mette pure<br />

l’incontro tra mondi diversi, scambi di vedute, di es<strong>per</strong>ienze e,<br />

soprattutto, di racconti e suggestioni. Sui margini dei fiumi, o<br />

delle loro diramazioni principali, nascevano dunque gli hospitali -<br />

hospitalia, in origine strutture di assistenza <strong>per</strong> quei viaggiatori che<br />

non potevano più contare da secoli sull’efficienza delle mansiones<br />

romane, sorte su impulso dello stato tra I e III secolo nell’ambito<br />

dell’organizzazione di un grande sistema viabilistico. Il termine<br />

mansiones, da cui deriva quello di magione, si diffonde poi in<br />

particolare grazie ai Templari e agli Ospitalieri di San Giovanni, che<br />

proprio delle “politiche” di assistenza al viandante - specie verso<br />

quello diretto in Terrasanta - fanno la loro principale missione.<br />

Magione (maison) è proprio l’organizzazione di base, la cellula,<br />

l’azienda più minuta, del grande patrimonio templare. Localmente<br />

questo ruolo di servizio viene interpretato invece dagli xenodochia,<br />

vere e proprie strutture di servizio in cui possono alloggiare e<br />

rifocillarsi gratuitamente i viaggiatori.<br />

2. Ammalarsi nel medioevo poteva voler dire morire due volte.<br />

Non bastava la partenza da questo mondo, magari fra stenti e<br />

patimenti. La produzione letteraria che scaturiva senza sosta dagli<br />

ambienti monastici dei primi secoli del medioevo ci metteva il suo,<br />

e così era nata l’idea – anche questa lunga a morire – che l’ammalato<br />

scontasse in questa terra i peccati già commessi da se stesso, o dai<br />

suoi padri. Si sa che l’”invenzione” - o meglio la definizione in<br />

chiave teologica - del purgatorio data gli inizi del Duecento, e<br />

dunque l’affinamento delle anime nel fuoco transitorio si scontava<br />

sulla Terra: le condizioni di vita si adattavano abbastanza al<br />

presupposto teorico.<br />

Da questi presupposti nasce l’idea dell’impurità dell’infermo,<br />

accentuate da alcune malattie più d’altre, e comunque concetto<br />

che veniva esteso in generale alla donna. Il nesso tra peccato e<br />

malattia è manifesto nel caso della lebbra, la malattia più temuta<br />

del medioevo, che il legislatore franco e longobardo avevano già<br />

deciso di estirpare dalla comune convivenza restringendo la sfera<br />

dell’agire degli ammalati. I quali non si potevano sposare, muoversi<br />

liberamente o frequentare luoghi di culto. Il discorso potrebbe<br />

continuare a lungo, ma ci porterebbe ad una variante antica degli


ospedali: i lebbrosari che nascono proprio nell’VIII secolo grazie<br />

alla pensata di Nicolas di Corbis e del tedesco Othmar, entrambi<br />

santi e credo pure taumaturghi. Fu una delle trovate più durature<br />

dell’occidente: fin dai tempi della prima guerra mondiale ne<br />

esistevano praticamente in ogni paese: anche in questo è solo con<br />

la grande guerra - come teorizza Jacques Le Goff - che finisce il<br />

medioevo!<br />

La fondazione degli ospedali in epoca antica ha dunque a che vedere<br />

con la diversa concezione del male e della malattia. Nella cultura<br />

classica il male non occupa quel ruolo centrale che invece finirà<br />

col ricoprire con l’avvento degli ordini mendicanti (francescani<br />

in particolare) dal XII secolo in poi. Nella fase di transizione<br />

dell’alto medioevo l’iniziativa rientra quasi sempre tra le facoltà<br />

dei più ricchi, dopo di che - grossomodo dal Millecento in poi<br />

- prendono il sopravvento sulla fondazione dei nuovi ospedali gli<br />

ordini monastici (anche templari, giovanniti e ospitalieri) e quindi<br />

quelli minori (francescani in primis, quindi i domenicani). La fase<br />

di fondazione laica di xenodochia e hospitales interessa soprattutto<br />

i longobardi e le famiglie dell’antico ordine vassallatico italico,<br />

grandi convertiti al cristianesimo, spesso con propositi realmente<br />

sinceri. Le attestazioni si ricavano dalle donazioni pro anima e<br />

dai testamenti, una trentina in tutto nell’Italia settentrionale <strong>per</strong><br />

quel <strong>per</strong>iodo. Nel 745, ad esempio Rot<strong>per</strong>to di Agrate, un grande<br />

possessore di area lombarda, dona tutti i suoi beni <strong>per</strong> fondarne<br />

uno ed aiutare in questo senso i poveri e i pellegrini, con unica<br />

eccezione la propria cintura da guerriero che doveva andare al figlio.<br />

In molti casi queste donazioni nascondono o<strong>per</strong>azioni mirate a<br />

sottrarre beni privati dalla sfera della conquista dei nuovi invasori,<br />

considerata imminente nel caso dei Franchi: ma la legislazione<br />

longobarda, in particolare le leggi di Liutprando erano abbastanza<br />

severe su commistioni di questo genere. In altri casi sono dettati<br />

dal reale spirito di una conversione sincera, come appunto questa<br />

dell’importante aristocratico lombardo che riguarda esplicitamente<br />

poveri e pellegrini. In altri casi l’affrancamento della servitù, sempre<br />

presente nelle fonti del <strong>per</strong>iodo, va ad interessare proprio i servi<br />

o<strong>per</strong>anti all’interno di queste strutture di assistenza, ma gli oneri<br />

<strong>per</strong> il loro riscatto sono talmente importanti che è difficile che si<br />

concretizzino nella realtà. I testamenti sono i documenti privilegiati<br />

<strong>per</strong> questo genere di donazioni, che molto spesso si fermano al<br />

55<br />

trasferimento, in alcuni <strong>per</strong>iodo dell’anno, di ingenti quantità di<br />

preziosissimo olio destinato alle spese di illuminazione delle chiese<br />

e dei xenodochio: si parla in questo caso di luminaria, un apporto<br />

preziosissimo che col tempo diventa un censo vero e proprio<br />

che si applica ai confratelli quale quota-parte al funzionamento<br />

di queste istituzioni. Nelle antiche scuole veneziane, i confratelli<br />

pagano ancora la loro iscrizione annuale sottoforma di luminaria!<br />

Anche l’im<strong>per</strong>o carolingio incoraggia i grandi monasteri a creare<br />

ospizi e ospedali; l’im<strong>per</strong>atrice Angilberga fonda un hospitale<br />

(presente nell’853) presso il monastero di S.Sisto “<strong>per</strong> servizio dei<br />

poveri infermi et pellegrini”. Tra X e XI secolo si registrano nuove<br />

fondazioni di strutture ricettive lungo le vie di pellegrinaggio e<br />

nel XIII secolo si diffondono altre fondazioni ospedaliere e di<br />

ricovero tenute da ordini religiosi nati durante le crociate.<br />

3. Tra i fondatori di ospedali e xenodochia in ambito trevigiano,<br />

meritano una menzione di assoluto rilievo i conti di Treviso, oggi<br />

principi di Collalto e San Salvatore. La fondazione del monasteroxenodochium<br />

di Sant’Eustachio, sul colle sopra Nervesa (dove dal<br />

994 la famiglia disponeva di un cospicuo patrimonio) risponde<br />

a quelle che sappiamo essere le consolidate linee di azione delle<br />

famiglie dei grandi proprietari nei secoli dell’alto medioevo: necessità<br />

di porre sotto la protezione di un ente ecclesiastico strettamente<br />

controllato dalla famiglia una parte del patrimonio <strong>per</strong> sottrarlo<br />

alla fiscalità ordinaria, volontà di creare isole immunitarie, presidio<br />

ancora maggiore del territorio, creazione di una istituzione in cui<br />

possano confluire i figli non avviati alla gestione dei patrimonio,<br />

e naturalmente - posti ad ultimo, ma certamente non ultimi - gli<br />

aneliti spirituali dei fondatori che riguardano sia la volontà di<br />

acquisire i meriti della vita eterna come la garanzia di un servizio<br />

religioso più efficiente nel territorio.<br />

Fondare una chiesa significava certamente tutto questo, ma anche,<br />

come hanno messo in luce Aldo Settia e Cinzio Violante partendo<br />

da punti di vista diversi tra loro, calare sul territorio uno strumento<br />

di inquadramento, un «centro di orientamento e controllo» <strong>per</strong><br />

ampie fasce della società locale. L’abbazia di Sant’Eustachio viene<br />

fondata prima del 1062 da Rambaldo III, terzo esponente noto<br />

della famiglia, e dalla madre Gisla, nei pressi di un castello già<br />

esistente su quel colle. Il documento di fondazione della chiesa e


la donazione del patrimonio non ci è <strong>per</strong>venuto, mentre nel 1791<br />

Filippo Avanzini ha trascritto la bolla - la cui versione originale<br />

si <strong>per</strong>se negli incendi dell’archivio familiare e nei saccheggi<br />

dell’abbazia del 1918 - con la quale papa Alessandro II accoglie<br />

sotto la tutela della Sede Apostolica il monastero. La prima parte<br />

del documento riguarda la donazione e la pensionem:<br />

[…] Unde quia tu, Gidulphe abbas, postulasti a Nobis, ut Monasterium<br />

sancti Eustachii, cui preesse dignosceris, quod vide licet Rambaldus comes<br />

et ejus mater Gisla, zelo religionis fervente, spe future remunerationis, in<br />

possessione sua, prope castellum, quod nominatur Narvisia, in Comitatu<br />

tarvisino, construxerunt atque Apostolice Sedi donaverunt, ac pro eo<br />

pensionem sex soldorum denariorum venetorum annuatim eidem Sedi esse<br />

redenta constituerunt, inclinati precibus tuis ipsum monasterium sub tutela et<br />

defensione sancte Sedis apostolice suscipimus, et quid quid nunc juste providet<br />

vel deinceps providebitur, apostolica auctoritate confirmamus.<br />

La bolla continua con il riconoscimento ai monaci del diritto<br />

di eleggere l’abate senza alcuna interferenza esterna, e le stesse<br />

indipendenze ed autonomie sono rimarcate verso il vescovo di<br />

Treviso, cui viene prescritto l’obbligo di astenersi dall’esercizio di<br />

qualsiasi potestà sui monaci e sulle chiese battesimali che da essi<br />

dipendono (interdicentes omnino Episcopo tarvisiensi, in cuio parochia<br />

videlicet esse sopradictum monasterium constructum etc.). La pensione di sei<br />

soldi di denari veneti che viene stabilita tra il monastero e la Sede<br />

Apostolica non è molto rilevante, equivale circa al livello di un<br />

manso di medie dimensioni (rapportato agli stessi anni). Nel 1055,<br />

quindi pochi anni prima del documento, a Padova, un censo dovuto<br />

al vescovo dagli arimanni della pieve di Sacco viene stabilito in 7<br />

lire di denari veneziani, cioè 1640 denari veneti: è fuor di dubbio<br />

che le dimensioni della grossa corte di Sacco, oggetto di contesa<br />

tra il vescovo di Padova e lo stesso patriarca di Aquileia, siano ben<br />

più ragguardevoli rispetto alle <strong>per</strong>tinenze dell’abbazia di Nervesa.<br />

Maggiore, in rapporto, il censo annuale che viene registrato nel<br />

Liber censuum della Santa Sede in relazione al monastero a partire<br />

dall’anno 1192, che equivale in quella data a 3 soldi veronesi.<br />

La speciale protezione romana all’abbazia consente, assieme alla<br />

munificenza dei conti di Treviso, una immediata espansione delle<br />

<strong>per</strong>tinenze della chiesa. Tra la fine del XI secolo e gli inizi del XII<br />

prede infatti sempre più ordine la riorganizzazione del patrimonio<br />

56<br />

familiare. Attorno al patrimonio originario, la corte di Lovadina ed<br />

il Montello, si struttura la parte più organica della futura signoria<br />

territoriale: probabilmente agli inizi del XII viene costruito anche<br />

il castello di Collalto, il primo dei due importanti manufatti da<br />

cui nel corso del Trecento la famiglia, oramai decaduto il titolo<br />

comitale, prenderà nome trasformandosi in conti di Collalto e San<br />

Salvatore. Ai margini di questo nucleo particolarmente compatto<br />

prende progressivamente forma anche quello dell’abbazia di<br />

Sant’Eustachio. Nel 1091 è Rambaldo IV, a dimostrare di essere<br />

il titolare dell’ufficio di conte di Treviso (singolare il processo di<br />

trasmissione agnatizia del titolo ai maschi che portano lo stesso<br />

nome: probabilmente si tratta dei primogeniti), e che dona in<br />

questa veste assieme alla moglie Magtilda/Matilda ulteriori beni,<br />

massaritias, cappella sed ecclesias posti oltre che nelle vicinanze di<br />

Nervesa anche nei più distanti villaggi di Arcade, Spresiano,<br />

Maserada, S<strong>per</strong>cenigo, Mestre e Vedelago.<br />

Questa dislocazione a maglie tanto ampie consente alla chiesa<br />

di Sant’Eustachio di allargare l’ambito della sua organizzazione<br />

ecclesiastica in modo organico oltre ai luoghi tradizionali del potere<br />

dei conti di Treviso, e di estendersi in particolare, anche nell’area<br />

meridionale del comitato trevigiano, fin quasi a sovrapporsi<br />

all’organizzazione diocesana del vescovo. Viene a porsi in pratica,<br />

in questo modo, la strategia in base a cui il monastero di famiglia<br />

diviene un vero e proprio centro di coordinamento territoriale.<br />

Grazie a questo ruolo il monastero controlla le parrocchie, ed<br />

estende l’influenza dei suoi protettori anche in ambiti territoriali<br />

molto distanti dal centro del potere <strong>per</strong>sonale dei conti di Treviso<br />

utilizzando strumenti del tutto nuovi e certamente efficaci. Si<br />

rafforza mediante questo <strong>per</strong>corso il ruolo istituzionale della<br />

famiglia all’interno del comitato, anche se questo significa entrare<br />

in una prospettiva di scontro con la sfera delle potestà vescovili.<br />

In altri termini, preso atto che l’uso delle dignità pubbliche<br />

non sembra restituire nell’ambito della circoscrizione comitale<br />

particolari riscontri, l’estensione della chiesa privata su territori<br />

così distanti dal centro del potere privato e d’ufficio (un’ambiguità<br />

anche in questo caso molto difficile da risolversi), può essere<br />

stato di una qualche utilità nel riassetto di un potere familiare,<br />

certamente <strong>per</strong>cepito pesantemente, ma comunque sempre alla<br />

ricerca di nuove di più efficaci forme gestione.


L’istromento del 1091 ha <strong>per</strong>ò una rilevanza anche dal punto di vista<br />

prosopografico, in quanto dalle professioni di legge apprendiamo<br />

che l’italico Rambaldo (ex professum lege longobarda) aveva sposato<br />

Matilda ex natione mea lege vivere videor salica, figlia di un marchese<br />

di nome Burgundo, evidentemente di provenienza oltralpina. E’<br />

una notizia indicativa, certamente non isolata come testimonia il<br />

caso cenedese sottoriportato, di rapporti matrimoniali tra nobiltà<br />

e in generale ceto di possessori italici ed immigrati nordici più<br />

generalmente definibili teutisci. Purtroppo non è possibile risalire<br />

con precisione all’identificazione del marchese Burgundo, non<br />

contemplato dal re<strong>per</strong>torio dello storico Edouard Hlawitscka,<br />

tanto più che i beni donati sembrano appartenere esclusivamente<br />

alla sfera patrimoniale trevigiana.<br />

E’ proprio attraverso i numerosi documenti di dotazione<br />

patrimoniale di monasteri ed enti ecclesiastici che riusciamo ad<br />

intravvedere i stretti legami di affinità tra i membri più importanti<br />

del territorio trevigiano e friulano di questi anni. L’ospitalecertosa<br />

di Santa Maria presso il Piave in loco Talponus, fondato<br />

in precedente epoca imprecisata, è beneficato nel 1120 da una<br />

donazione congiunta di tre aristocratici, i conti Rambaldo di<br />

Treviso, Valfredo di Colfosco ed Ermano di Ceneda, e da una<br />

figura di crescente – ma ancora non completamente palesata –<br />

influenza: Gabriele di Guecello da Montanara, che di li a poco<br />

troveremo come Gabriele da Camino. I donatari sono tutti<br />

italici (professimus ex natione nostra lege vivere Longobarda), e questo<br />

assieme alla comunanza nel possesso dei beni in Talpone ha spinto<br />

soprattutto gli autori antichi ad ipotizzare che i da Camino, i conti<br />

di Treviso e quelli di Ceneda appartenessero ad una unica famiglia.<br />

Questo può valere probabilmente <strong>per</strong> il rapporto tra Rambaldo di<br />

Treviso e Valfredo di Colfosco. Essi compaiono in coppia (ideoque<br />

nos Rambaldus et Valfredus […] donamus et offerimus a presenti die in<br />

eadem ecclesiaet hospitali <strong>per</strong> animarum nostrarum mercede nominatim omnes<br />

res et proprietastes, seu et <strong>per</strong>tinentias illas juris nostri etc.), e documenti<br />

posteriori di un decennio hanno indotto alcuni storici a confermare<br />

la loro stretta parentela in virtù di una clausola ereditaria che<br />

garantisce la trasmissione di proprietà tra le due famiglie. La prima<br />

ipotesi sorta da metodo scientifico sul rapporto tra queste famiglie<br />

risale agli inizi del secolo scorso: ne fu propugnatore Luigi Bailo,<br />

fondatore del museo civico comunale. Ma già prima di lui questa<br />

57<br />

profonda suggestione influenzava cronisti e storici già da alcuni<br />

secoli.<br />

4. Come detto dal Duecento queste fondazioni diventano sempre<br />

più appannaggio dei grandi ordini. I casi sono molti: nel territorio<br />

liventino esiste l’ospedale di Camolli, presso Sacile, che si sviluppa<br />

durante il XIII secolo <strong>per</strong> assicurare la manutenzione dei ponti,<br />

controllare le piene dei due fiumi e i guadi soprattutto <strong>per</strong> fornire<br />

assistenza ai viandanti. In questo <strong>per</strong>iodo gli xenodochia (il termine<br />

dal XII secolo è sostituito dai vocaboli hospitale e hospitium) sono<br />

quindi principalmente luoghi di assistenza e di sosta <strong>per</strong> i pellegrini.<br />

In questo senso è documentato nel Trecento l’ospedale di San<br />

Giovanni dei Cavalieri a Prata, promosso assieme al monastero<br />

camaldolese di Rivarotta come una fondazione di familiare dei<br />

conti di Prata. E anche in questo caso un ruolo importante ce<br />

l’aveva evidentemente la vicinanza al fiume Livenza, che oggi<br />

lambisce l’antico monastero trasformatosi in villa col mutare delle<br />

epoche. Presso Sacile tra il Due ed il Trecento prende consistenza<br />

inoltre la fondazione di San Giovanni del Tempio: insomma un<br />

fermento in grande stile con protettori ad hoc come testimoniano i<br />

grandi affreschi dei santi protettori del guado e della buona morte,<br />

san Cristoforo in testa. Secondo la tradizione era un martire in<br />

Licia nel 250, durante la <strong>per</strong>secuzione dell’im<strong>per</strong>atore Decio. Fu<br />

uno dei «quattordici santi ausiliatori», colui che avrebbe portato<br />

sulle spalle un bambino, che poi si rivelò Gesù. Il testo più antico<br />

dei suoi Atti risale all’VIII secolo. In un’iscrizione del 452 si cita<br />

una basilica dedicata a Cristoforo in Bitinia. Cristoforo fu tra i<br />

santi più venerati nel Medioevo; il suo culto fu diffuso soprattutto<br />

in Austria, in Dalmazia e in Spagna. Chiese e monasteri si<br />

costruirono in suo onore sia in Oriente che in Occidente, ma nelle<br />

nostre terre lo si trovava raffigurato sulle facciate delle chiese e nei<br />

pressi dei ponti, invocato <strong>per</strong> l’assistenza nei momenti di <strong>per</strong>icolo,<br />

ed invocati la mattina dai viandanti e dai contadini che andavano ai<br />

campi <strong>per</strong> chiedere il dono della Buona Morte, ovvero della morte<br />

in grazia di Dio.<br />

Doc. 2<br />

La morte dell’arcivescovo di Udine Bartolomeo<br />

Gradenigo


3 novembre 1765<br />

“Comparve avanti l’ill.mo ed eccell.mo signor Francesco Corner<br />

Podestà ed Ufficiale di Sanità il nobile signor Dott. Gio. Maria<br />

Bottoglia Armellini, medico fisico condotto di questo Castello,<br />

<strong>per</strong> parte e nome della N.D. Maddaluzza Contarini vedova del<br />

fu N.H. sig. Carlo Gradenigo, commissaria testamentaria del fu<br />

N.H. S.E. Ill.ma Rev.ma Bartolomeo Gradenigo, Arcivescovo di<br />

Udine, ed espose come che, desiderando di far il trasporto di quel<br />

cadavere alla cattedrale di Udine, <strong>per</strong> esser colà fatto seppellire, e<br />

rendendosi necessario farlo imbalsamare, <strong>per</strong>ché non infracidisca<br />

nel viaggio, <strong>per</strong>ciò instà <strong>per</strong> nome, come sopra, che da quest’Ufficio<br />

sia rilasciato decreto <strong>per</strong> la <strong>per</strong>missione di aprirlo con tutte quelle<br />

formalità che dall’Ufficio medesimo saranno credute salutari”. Il<br />

Podestà e i provveditori alla sanità Gio. Batta Ortica e Domenico<br />

Lippi accolsero l’istanza, decretando e ordinando “l’a<strong>per</strong>tura<br />

del detto cadavere <strong>per</strong> essere curato, ed imbalsamato <strong>per</strong> mano<br />

dell’ordinario Chirurgo, e con l’assistenza di detto sig. Bottiglia<br />

Medico, dovendo subito curato far seppellire gli interiori tutti,<br />

che saranno levati, e ciò con l’assistenza del cancelliere dell’ufficio<br />

medesimo”. Contemporaneamente fu inviata una lettera a Udine<br />

al Luogotenente della Patria del Friuli: “Capitato il dì 28 prossimo<br />

scaduto alle ore 18 qui in questo Castello alla casa del Rev.mo sig.<br />

D. Pasquale Cestelli Arciprete il q.m. Ecc.mo Rev.mo Bartolomeo<br />

Gradenigo, Arcivescovo di codesta Città, fu colto da Cardiaglia<br />

Biliosa fatale, così da medici rilevata, da quali assistito fino al giorno<br />

di ieri, finalmente, munito dei Santissimi Sacramenti, alle ore 22<br />

circa, rese l’anima a Dio. Faccia <strong>per</strong>ciò l’istanza a questo ufficio<br />

di sanità dalla N.D. Maddaluzza Contarini, vedova del fu N.H. sig.<br />

Carlo Gradenigo, Cognata del suddetto, <strong>per</strong> la <strong>per</strong>missione di farlo<br />

aprire, e curare, indi imbalsamare, a fine di farlo tradurre costà<br />

senza <strong>per</strong>icolo d’infracidimento, e dall’ufficio medesimo accordata<br />

l’o<strong>per</strong>azione, che fu fatta da due Chirurghi con l’assistenza del<br />

sig. Dott. Bottoglia medico fisico condotto, e del cancelliere<br />

dell’ufficio, fatti seppellire gl’interiori tutti dal cadavere levati, ed<br />

imbalsamato il cadavere medesimo, fu fatto riporre in cassa bene<br />

otturata con pegola <strong>per</strong> il suo trasporto. In iscorta <strong>per</strong>tanto di<br />

questo cadavere fu destinata la <strong>per</strong>sona di Zuanne Mattiuzzi, fante<br />

dell’Ufficio, <strong>per</strong>ché di vista abbia ad accompagnarlo fino alle porte<br />

di codesta Città, dove arrivato, sia dal medesimo consegnato al<br />

58<br />

fante dell’Ufficio ill.mo di sanità di codesto Luoco, non restandomi<br />

intanto che l’onore di baciare all’Eccellenza V. divotamente le<br />

mani.<br />

Noi Francesco Corner, <strong>per</strong> la Serenissima Repubblica di Venezia ,<br />

Podestà della <strong>Motta</strong>”.<br />

Doc. 3<br />

Consulto (ambiente mottense, sec. XVII-XVIII)<br />

Il manoscritto non riporta indicazioni di data, ma si accenna a un forte<br />

terremoto che avrebbe spaventato la paziente. Forse si riferisce al terremoto<br />

che colpì il Friuli il 28 luglio del 1700, o, più probabilmente, a quello che<br />

ebbe come epicentro Asolo il 25 febbraio 1695, segnalato con la massima<br />

intensità epicentrale nella tabella della “storia sismica di <strong>Motta</strong> di Livenza”<br />

consultabile nel Database Macrosismico Italiano (www.emidius.mi.ingv.<br />

it/DBMI04/) (v. anche Quaderni di Geofisica dell’Istituto Nazionale<br />

di Geofisica e Vulcanologia, n.49/2007) . Altri terremoti che ebbero<br />

probabilmente ri<strong>per</strong>cussioni sul territorio mottense furono quelli della Slovenia<br />

nel 1622, nel 1689 e nel 1691, e forse quello di Treviso del 1756, oltre ad<br />

un altro sisma che <strong>per</strong>ò produsse danni solo nell’alto Friuli nel 1786. Nel<br />

consulto la paziente viene qualificata “Nobil Donna Vergine Vestale”, il<br />

che fa pensare ad una adolescente, e “Nobile Patrona”, ciò che la fa ritenere di<br />

alto lignaggio: era forse la figlia di un Podestà veneziano della <strong>Motta</strong>? Nobil<br />

Homo e Nobil Donna erano titoli peculiari della nobiltà patrizia veneziana.<br />

Da rimarcarsi, poi, l’uso terapeutico del “radichio”.<br />

Gl’incomodi, che da lungo tempo tengono vessata la Nob.<br />

Donna Vergine Vestale N.N. sono tutti fenomeni, che ben chiara<br />

dimostrano un’affezione ipocondriaca; da questo unico fonte<br />

diramano tutti gl’accidenti, che assieme aggropati formano la<br />

piena della di lei <strong>per</strong>tinace, e molesta indisposizione. Un succo<br />

acido concentrato nel viscido da vizio della prima digestione,<br />

concretatosi in sostanza di sale tartareo nelle viscere naturali,<br />

e specialmente nell’hipocondrio sinistro, ove s’inalza qualche<br />

tumefazione, ne fu la causa prossima, e tuttavia n’è il fomite del<br />

male; questi, <strong>per</strong>vertendo la chiosi, depravando l’hematosi, e<br />

viziando la linfa ha potuto render li fluidi più fissi, e mancanti<br />

della necessaria volatilazione, da che nacquero sul bel principio<br />

le diminute, e poscia dolorose separazioni delle mensuali<br />

espurgationi, che in progresso passarono in total sopressione; indi


La prima e l’ultima pagina del “consulto”<br />

59


arenandosi le parti più grosse, e viscide risultarono l’ostruzioni<br />

nelle glandole dell’abdome con la degenerazione di quel latice<br />

alcalino urinoso destinato alla volatilizazione del sangue, non meno<br />

che quelle ne vasi sanguiferi più angusti dell’hipocondrio sinistro,<br />

e specialmente qualche concrescenza tartarea nel ramo dell’arteria<br />

celiaca, ove risente la molesta pulsatione, si <strong>per</strong> l’angustiato<br />

passaggio nel diametro di quel canale, come <strong>per</strong> l’impressione fasi<br />

dal sangue nell’incontrata concrescenza, dalla cui resistenza ne<br />

risulta la pulsatoria sensazione; o sia pure molto probabilmente<br />

dalla pressione dell’ostruzioni de corpi glandulosi, o nervi contigui<br />

a quel vase; porzione poi risoluta nel succo alimentitio nella parte<br />

sinistra puotte cagionar li gravi dolori, e lancinazioni della coscia,<br />

ed avvanzandosi a contaminare la purità del succo nerveo con<br />

le sue spicole velicando li nervi propagati alla coscia, e piede,<br />

cagionarne le spasmodiche contrazioni, li semistupori, le debolezze,<br />

e depravazione del moto <strong>per</strong> la crispazione delle fibre nervee, e<br />

difettuoso passaggio de spiriti animali con quella turgescenza,<br />

che vaglia col suo elatere a renderli tumidi, ed in conseguenza<br />

robusti al moto, che restò con im<strong>per</strong>fezione in quella parte. Alli<br />

pungimenti pure di tali spicole nel plesso mesenterico, o prima nel<br />

ramo splenico insorti, si può ascrivere la palpitazione del cuore, da<br />

quali partecipata la spasmodica sensazione al surculo del Parvago,<br />

et indi al tronco del medesimo movente il cuore, risultarne può il<br />

moto palpitante di quel muscolo, che, da qualunque irritamento<br />

facilmente eccitate le nervee fibrile a quella violenta mozione<br />

costrittoria, impressagli da panico timore la prima volta <strong>per</strong> la<br />

sorpresa d’orrendo terremoto, rendersi può palpitante; se pure<br />

non fosse più accertato crederla proveniente, o almeno coadiuvata<br />

nel nostro caso dalla viziosa e preternaturale fermentazione del<br />

sangue, tanto più, che si fa sentire più valida nell’invasione, e<br />

durazione febbrile, e con la remissione e consumazione rimette,<br />

e cessa lasciando in quiete, e riposo la Nob. Pat., come ridotto<br />

il moto intestino delle particole del latice sanguineo allo stato<br />

naturale, e tranquillo, assotigliato quanto di succo crasso, dopo<br />

tre ore dal cibo preso se n’era introdotto nel suo seno col chilo<br />

saturato nell’impure miniere dell’abdome d’acido estraneo, o pure<br />

precipitatosi ne vasi escretorij, così che, cessando la preternaturale<br />

effervescenza, e con essa la maggior rarefazione del sangue in<br />

un fluido quanto più compatto, tanto più disposto, e capace di<br />

60<br />

maggior estensione, ed in conseguenza necessitata ad un’irritativa<br />

contrazione la diastole del cuore: resti ancora il detto sintoma con<br />

respiro della Nob. Pat. sedato. Ogn’altro accidente, che circonvalla<br />

il male, si di melanconia, dolore di capo, inappetenza, difficoltà<br />

di respiro e debolezza nell’ore prossime all’accesso febbrile può<br />

bastantemente emanare dalle stesse cagioni; dalla fissazione de<br />

spiriti, la melancholia; da pungimenti dell’acido stesso impegnato<br />

nelle porosità delle meningi, il dolore di capo, od ancora, quando<br />

nell’insulto febbrile accadesse, dalla turgescenza del fluido ne<br />

vasi sanguiferi e maggiore distensione delle medesime; che se in<br />

altre ore, o dall’infarcimento d’acida mucilagine nello stomaco,<br />

cui riferirsi deve l’inappetenza; o dall’utero ancora nell’uno, e<br />

nell’altro caso solo <strong>per</strong> spasmodica sensazione delle membrane,<br />

che tutte comunicano con quelle del cerebro, col mezo della<br />

corrispondenza de nervi, nel succo incrassato da quali è riposta la<br />

debolezza ne destinati al moto, come ne pneumonici la difficoltà<br />

di respiro, ambi forieri dell’insulto febbrile.<br />

Potevo veramente dispensarmi da tale tediosa patologia, quando<br />

la singolar virtù dell’Ecc.mo suo Fisico nella sua pontuale<br />

informazione ne ha con dotta ipotesi versato sopra la produzione,<br />

e concatenazione de sintomi tutti, e con esata etiologia ancora<br />

rintracciatene le cause antecedenti dagl’errori nel vitto, come anco<br />

le prossime stabilite nell’acido silvestre: ho dovuto nulla di meno<br />

formalizarne una tale theoria, da cui, convenendo nell’essenza del<br />

male, e nella causa prossima dell’acido ostile, ne risultasse ancora<br />

la causa congionta d’una fissazione ne fluidi tutti, e deficiente<br />

volatilizatione delle parti spiritose de medesimi <strong>per</strong> derivarne le più<br />

fondate indicationi manuduttrici alla cura, quali saranno l’infringer<br />

l’acido morboso, scioglier il viscido, ed il coagulo, e volatilizar il fisso,<br />

tanto quello de fluidi crassi, quanto il stagnante dell’ostruzioni. A<br />

tali indicanti dovranno tendere gl’attentati dell’arte, e li sforzi tutti<br />

della cura, a quali adeguatamente adempito, non mi resta dubbio<br />

d’una <strong>per</strong>fetta recu<strong>per</strong>a della Nob. Pat.<br />

Mi accresce motivo di così stabilire a maggiore fondamento<br />

dell’indicationi dedotte, e mi somministra lume di così credere<br />

l’uso infrutuoso del febrifugo di China, scortando il mio riflesso<br />

due Canoni del divino Maestro di Coo, fondamentali dell’arte: a<br />

iuvantibus et ledentibus indicationes summuntur, l’uno, contraria contrariis<br />

curantur l’altro. Se esso cortice <strong>per</strong>uviano dunque tanto efficace,


specialmente nelle febri croniche, restò schernito e disarmato, giova<br />

credere che la causa della febre, nella remotione di cui è fondata<br />

sempre la cura, o nell’alterazione almeno, ed in conseguenza<br />

quella del male tutto, non esigesse un rimedio di natura fisso, e<br />

fissante, qual è la China, <strong>per</strong> suo contrario; ma, se non giovò,<br />

dunque non era di sua natura contrario, anzi simile, che secondo<br />

il Filosofo non agit in sibi simile; se dunque simile, <strong>per</strong>ché non oprò,<br />

dunque di natura fisso; dunque la causa oppugnabile è fissazione,<br />

e l’illazione vuole ch’il rimedio, dovendo esser contrario, o<strong>per</strong>i<br />

<strong>per</strong> volatilizatione, e <strong>per</strong> conseguenza finale il febrifugo nel caso<br />

nostro deve essere del genere d’alcalini volatili, non de fissi. Tanto<br />

pare insinui il gran Filosofo Hermete nella sua Tavola Smaradina<br />

in materia filosofochimica: fac volatile fixum, et fixum volatile: da che<br />

evidentemente resta dedotto dover tender la cura alla volatilizatione<br />

fra l’altre cose indicate.<br />

Posti tali fondamenti, sarà ora facile la decisione del punto essenziale<br />

a cui si restringe particolarmente l’informazione osservata. Se<br />

dovendo nuovamente intraprendersi la cura debba darsi di mano<br />

alli medicamenti altre volte praticati, o pure variarne la cura.<br />

Chiamato dall’ingenuità, ch’io professo, posso bene commendarne<br />

l’uso di molti praticati, ed amirarne la virtuosa e saggia condotta<br />

d’un celebre Professore in una cura tanto più spinosa, et ardua,<br />

quanto complicata di tanti accidenti, in cui, se non gli è sortito di<br />

ripportarne un’intiera vittoria, ha almeno <strong>per</strong> molto tempo tenuto<br />

a freno il nemico, ed impeditogli ulteriori progressi. Presentemente<br />

<strong>per</strong>ò, meditandosi d’attentarne la totale eradicatione del male, io<br />

crederei insufficienti ed inefficaci li già usati a tal fine, poiché,<br />

se altre volte praticati con lunga insistenza, e replicata, non<br />

arrivarono a svellerne le radici, da quali, se bene indebolito,<br />

ripullulò, e prese nuovo vigore il male, così meno presentemente<br />

haver possono quella facoltà ch’allora non ebbero, e che si richiede<br />

<strong>per</strong> l’estirpazione del male, suffragandomi l’assioma filosofico<br />

idem manens idem, sem<strong>per</strong> natum est facere idem; ma <strong>per</strong>ché la ragione<br />

è astratta, quelle d’una filosofia più sensata haveranno maggiore<br />

<strong>per</strong>suasiva <strong>per</strong> l’elettione de medicamenti più accomodati alla<br />

natura de fermenti morbosi, che devono essere alterati e ridotti a<br />

nuova tem<strong>per</strong>atura, non con le prime qualità, ma con la mistione<br />

d’altri corpuscoli, che vagliano a mutarne la figura, e tessitura; e<br />

con l’equilibrio delle particole tutte ridotti alla maturità dello stato<br />

61<br />

naturale, come habbiamo l’insegnamento d’Hippocrate De Natura<br />

humida: Tunc enim humores acres crudos dictos ex <strong>per</strong>mixtione et tem<strong>per</strong>atura<br />

mutua, non calidi, aut frigidi, simpliciter additione, et subtractione blandiores<br />

redditos, coctos et denuo naturale fieri; debbono <strong>per</strong>ciò esser scielti quelli<br />

che avranno maggior proporzione con le loro particole, e con le<br />

porosità de suoi corpuscoli alle figure cospicue de succhi crudi,<br />

rigidi et acri, come bene l’abbiamo dall’enchirisi dell’acque stigie<br />

sopra metalli: mentre quella solve l’argento, non tocca l’oro <strong>per</strong> la<br />

sproporzione della figura de sali acidi alli meati angusti e compatti<br />

di questo, che richiede quella reggia <strong>per</strong> la proporzione de spiriti<br />

acidi dell’armoniaco. Così nel caso nostro ogni alcalino de fissi<br />

specialmente non haverà egual forza <strong>per</strong> invaginar le punte d’un<br />

acido di particolare e distinto sapore, come l’osserviamo dalli<br />

occhi di contro, <strong>per</strong>dere bensì del suo acre l’aceto, ma dal saturno<br />

farsi dolce; dovranno <strong>per</strong>tanto esser scielti in genere d’assorbenti e<br />

precipitanti quelli ch’avranno maggior facoltà, come sarebbero certe<br />

terre dannate de sali naturali, che <strong>per</strong> esser state dalla Pirothecnia<br />

spogliate dell’acido, cui dalla natura furono una volta maritate, usate<br />

nella medicina con esurina appetenza l’abbracciano, <strong>per</strong> riunirsi<br />

a nuovo connubio; dovendosi, con quanto studio si procurerà<br />

l’uso di quelli materiali si troveranno più adattati, con altrettanto<br />

evitarne quelli che, o non havessero <strong>per</strong> loro costituzione l’intiera<br />

facoltà, o fossero sospetti di partecipazione d’acido, cosicché li<br />

sciroppi preparanti altre volte praticati <strong>per</strong> l’acido del zuccaro, ed<br />

alcuni usati <strong>per</strong> quello dell’aceto, sarà bene proscriverli dalla cura;<br />

ammonendolo Ippocrate de victiis aceti: Aciditates ex aceto amara bile<br />

abundantibus magis conferunt quam atrabilariis: nigre vero fermentantur<br />

et atolluntur ac multiplicantur: acetum enim nigra sursum ducit, come<br />

nascerebbe nel caso nostro; dirigendo questa con li suaccennati<br />

riguardi e con le massime sempre tute et iucunde, giacché celeriter<br />

non è tanto facile in un male antiquato; il tute è già sicuro dalla<br />

consumata es<strong>per</strong>ienza dell’Ecc.mo suo Fisico; il iucunde lo s<strong>per</strong>o da<br />

medicamenti soavi e facili all’uso che sono <strong>per</strong> proporre, e di niuna<br />

soggetione alla Nob. Pat.; quali, se bene saranno diversi dagl’usati,<br />

non s’intenderà <strong>per</strong>ò variata la cura, restando sempre le medesime<br />

l’intentioni curative cui diretti.<br />

Sentirei <strong>per</strong>tanto che si dasse principio alla cura con un blando<br />

emetico, cui voglio credere <strong>per</strong> la consuetudine de vomiti causati<br />

dal vino non repugnarà la Nob. Pat., quale absentendo io potrò


somministrarlo <strong>per</strong> smuovere dal ventricolo il viscido tenacemente<br />

infisso alla tunica interna, essendo questo viscere lerne kakòn, la lerna<br />

de mali; rimosso questo primo obice all’incontaminato passaggio<br />

de medicamenti, <strong>per</strong> quattro giorni susseguenti si conciliarà alli<br />

succhi la fluidità <strong>per</strong> adempirne il precetto d’Ippocrate, corporatum<br />

con una scutella di brodo alterato la mattina con acrimonia,<br />

radichio, boragine e melissa, e si prenderà con lo stesso una<br />

cartolina di polvere assorbente e dolcificante, che da me potrà esser<br />

somministrata. Passati questi si prenderà la sera del quarto giorno<br />

ante coenam mezza dramma di pilole tartaree schroderi ridotte in tre<br />

o quattro pilolete; dopo un giorno di riposo si pigliarà la mattina<br />

una carafina da tavola delle ordinarie di sciroppo composto, che si<br />

farà <strong>per</strong> uso d’otto giorni con succo depurato di fumaria, radice di<br />

polipodio quercino contuse, mirobolani citrini, et indi uva passa e<br />

mezza dramma di sal di tartaro, potendo esser dosato dalla virtù<br />

dell’Ecc.mo suo Fisico, in cui nell’atto di beverlo s’instillaranno<br />

XX gocce d’una tintura anthipocondriaca volatile ed a<strong>per</strong>iente<br />

da me manipolata; e quattr’ore dopo circa si pransarà; l’uso sarà<br />

<strong>per</strong> sette mattine, o otto ancora, quando qualche evacuazione di<br />

ventre più copiosa non dasse qualche fiachezza che obbligasse<br />

sospenderlo qualche giorno, o alternarne l’uso; che non nascendo<br />

sarà meglio quotidianamente continuarlo <strong>per</strong> render più breve<br />

la purga e più presto il giovamento; la sera poi all’ultimo giorno<br />

di dette prese antecedente si aggiungerà ad una carafina di detto<br />

sciroppo tre dramme di semina monda Riobarbaro, et agarico<br />

bianco scrups, uno <strong>per</strong> sorte; sal di tartaro scrups mezo; canella<br />

contusa dramma meza, ed un pugillo di passule, e lasciato senza<br />

bollire in digestione sopra le ceneri calde la notte, la mattina<br />

colato e spremuto; bevendolo servirà di blando catartico, con un<br />

giorno poi d’intermittenza e riposo, si riassumerà l’uso del detto<br />

sciroppo primo <strong>per</strong> altri otto giorni col medesimo tenore, e colle<br />

solite goccie come sopra; nel nono o decimo giorno, quando<br />

si ritrovasse lassa la Nob. Pat., ripigliarà il sudetto coll’aggionta<br />

delli materiali infusi; in tempo dell’uso de sette primi, come pure<br />

degli otto secondi giorni la sera un’ora, o poco più ante coenam si<br />

pigliaranno tre pilolette composte d’una panacea martiale di mia<br />

particolar manipolatione, e saranno deostruenti ed assorbenti<br />

valide dell’acido. Si avvanzarà dopo di ciò la purga passando ad un<br />

decotto vi<strong>per</strong>ato, fatto di salsa, visco pomerino, sassafras, ed una<br />

62<br />

vi<strong>per</strong>a femina preparata secondo l’arte, fatto di giorno in giorno<br />

la sera antecedente nel bagnomaria in acqua di peonia oncie tre<br />

in quattro, ed un pugillo di fiori di lillà, in un matraccio con vaso<br />

di vetro d’incontro alla bocca, e ben sigillato <strong>per</strong>ché non esalino<br />

li fumi e vadino circolando, bollindo <strong>per</strong> quattr’ore almeno; e la<br />

mattina estraendone l’umido sarà aromatizzato con poca acqua<br />

di tutto cedro o melissa, e si beverà di buon mattino nel letto,<br />

riposandovi dietro qualche ora; la continuazione d’esso dovrebbe<br />

essere <strong>per</strong> quaranta giorni, se sarà possibile, o almeno <strong>per</strong> trenta;<br />

ogni dieci giorni nell’uso dello stesso pigliarà la sera ante coenam una<br />

presa di pilole tartaree schroderi come sopra; si accompagnerà pure<br />

allo stesso decotto un’ora prima uno o due bocconcini formati<br />

di succino bianco preparato, lumbrici terrestri preparati, cinabro<br />

d’antimonio e castoreo impastati con poco diascordio Fracastori,<br />

o rob di sambuco; il che riguardarà pure il carattere maligno qui<br />

suspicatur geniturae impressus; ciò eseguito, si potrà senza soggezione<br />

veruna continuare la matina in brodo tepideto alterato con melissa,<br />

o in acqua della stessa fatta di recente, XX gocce di liquor di corno<br />

di cervo succinato, soluzione di terra foliata di tartaro, e spirito di<br />

coclearia, mescolati alla proporzione che giudicherà la virtù dell’Ecc.<br />

mo suo Fisico. Potrà pure ogni quindici giorni <strong>per</strong> qualche tempo<br />

valersi d’una presa delle dette pillole tartaree schroderi. Con tali<br />

medicamenti s’adempirà intieramente alle suaccennate indicazioni<br />

non solo, ma alle urgenze ancora maggiori della febre contumace<br />

e palpitazione; e voglio s<strong>per</strong>are resterà intieramente espugnata<br />

la lunga e molesta indisposizione. Ma <strong>per</strong>ché ho pure annotato<br />

nella relazione speditami l’avversione nelli mesi estivi al vino, che<br />

costringe la Nob. Pat. all’uso dell’acqua di fonte solamente, stimo<br />

bene molto vantaggioso alla stessa convertir una tale necessità in<br />

profitto, riducendo l’acqua stessa in una birra piacevole e delicata,<br />

che si farà quando v’inclini a suo tempo col metodo che verrà da<br />

me comunicato. Nel fonte chirurgico non vi pongo mano, non<br />

conoscendo, se non pregiudiciale, la flebotomia; quando non<br />

conoscesse l’attenzione dell’Ecc.mo suo Fisico pletora, che dentro<br />

la purga la richiedesse, s<strong>per</strong>ando <strong>per</strong>altro resti dall’uso de rimedii<br />

la naturale emorragia facilmente promossa, e nuovamente <strong>per</strong> li<br />

suoi vasi destinati restituita; <strong>per</strong> quello che poi riguardasse il moto<br />

depravato rimanesse del piede, e coscia, cui poco vi pensa <strong>per</strong> ora<br />

la Nob. Pat., si meditarà a suo tempo qualche congruo locale che


ne risarcisca l’offesa. La regola infine delle cose non naturali la<br />

riporto alla disposizione dell’Ecc.mo suo Fisico, da cui saranno<br />

ridotte alla più giusta moderazione.<br />

Tanto può suggerire una fiacca Minerva, che rassegna li propri<br />

sentimenti alla consumata es<strong>per</strong>ienza, e sommo talento d’un<br />

provetto Professore, da cui n’avranno un benigno compatimento<br />

le mie debolezze; unindo alli stessi li voti d’un cuore divoto, <strong>per</strong> il<br />

felice evvento alla Nob. Donna Vergine Vestale.<br />

Pietro Gregolini Medico Fisico Levantino<br />

LE INTERPRETAZIONI DEGLI SPECIALISTI DI<br />

OGGI…<br />

Consulto medico (ambiente mottense, SEC. XVII-XVIII) ad o<strong>per</strong>a di<br />

Pietro Gregolini “Medico Fisico Levantino”.<br />

Interpretazione ed analisi del testo<br />

Da quanto scritto la storia clinica della Nobildonna Vergine può<br />

essere così interpretata. La sintomatologia polimorfa, caratterizzata<br />

da cardiopalmo, dispepsia, vomito, febbre, stipsi ed amenorrea<br />

potrebbe essere compatibile in prima ipotesi con una patologia<br />

neoplastica dell’apparato gastro-intestinale. Una seconda ipotesi<br />

deporrebbe <strong>per</strong> una forma di anoressia con infezione sovrapposta<br />

a partenza imprecisata, che spiegherebbe la febbre. Una terza<br />

ipotesi potrebbe essere quella di una forma di i<strong>per</strong>tiroidismo,<br />

anche se la stipsi non rientra nel quadro clinico.<br />

Una considerazione che merita attenzione è che “il consulto”<br />

del tempo è incentrato sull’autorità del medico/filosofo/fisico/<br />

empirico, non essendo ancora presente lo spirito razionale/<br />

scientifico della medicina che caratterizza l’epoca moderna.<br />

A dimostrazione di quanto scritto numerosi sono i riferimenti<br />

della medicina ippocratica, fisica, empirica e filosofica nel consulto,<br />

come <strong>per</strong> esempio:<br />

1) “idem manens idem, sem<strong>per</strong> natum est facere idem” (“se una<br />

cosa resta tale e quale significa che è programmata <strong>per</strong> dare sempre<br />

lo stesso risultato”);<br />

2) nell’o<strong>per</strong>a “De natura humida” di Ippocrate: “Tunc enim<br />

humores acres crudos dictos ex <strong>per</strong>mixtione et tem<strong>per</strong>atura<br />

mutua, non calidi aut frigidi, sempliciter additione, et subtractione<br />

blandiores redditos, coctos et denuo naturale fieri” che significa<br />

63<br />

“Sulla natura dei fluidi”: “Ora si sostiene infatti che gli umori<br />

acri crudi trovino un equilibrio dalla mescolanza e dal reciproco<br />

scambio della tem<strong>per</strong>atura, non dall’intervento del caldo e del<br />

freddo, ma resi più blandi dalla semplice addizione e sottrazione,<br />

mentre i cotti ritornano all’equilibrio naturale”;<br />

3) “a iuvantibus et ledentibus indicationes summuntur” di<br />

Ippocrate ovvero “si fa es<strong>per</strong>ienza da ciò che va bene e da ciò che<br />

fa male”;<br />

4) “contraria contrariis curantur”, “non agit in sibi simile” di<br />

Ippocrate e “fac volatile fixum, et fixum volatile” del filosofo<br />

Ermete , queste tre assiomi indicano che la cura deve essere<br />

<strong>per</strong>seguita con sostanze opposte (di natura contraria) <strong>per</strong> essere<br />

efficace e che <strong>per</strong>tanto la cura (la terapia) deve o<strong>per</strong>are <strong>per</strong><br />

volatilizzazione.<br />

In conclusione è da sottolineare la diversa condotta medica attuale,<br />

basata sulla evidenza scientifica e sulle conoscenze farmacologiche,<br />

dati essenziali assieme all’umanizzazione delle cure, elemento<br />

fondamentale nella concezione olistica del paziente.<br />

Quirino Messina e Lucia Sosi.<br />

U.O. Medicina Generale O.R.A.S.<br />

La descrizione della sintomatologia accusata della giovinetta è<br />

molto confusa ed imprecisa <strong>per</strong> cui non è semplice esprimere un<br />

giudizio circostanziato sulla vera causa della malattia, se di malattia<br />

si tratta veramente. All’epoca del consulto gran parte della malattie<br />

venivano diagnosticate ricorrendo alla teoria dei fluidi malsani,<br />

che circolando nel corpo ne producevano l’alterazione della sua<br />

funzionalità. Quindi è più che scontato che il medico diagnosta del<br />

tempo sia ricorso ad una complicatissima teoria dei fluidi corporei<br />

<strong>per</strong> spiegare tutti i mali che affliggevano la giovinetta. Per quanto<br />

riguarda la terapia viene descritta la classica terapia del tempo<br />

che non poteva essere che di due tipi. Da un lato la depurazione<br />

del corpo dai fluidi mediante l’uso di emetici e di tisane dalla<br />

composizione e posologia complicatissime e dall’altra mediante<br />

la exanguino trasfusione, <strong>per</strong> la quale tuttavia, non essendo il<br />

diagnosta dell’epoca un es<strong>per</strong>to, non sa dare una prescrizione<br />

certa.<br />

Marco Cadamuro Morgante<br />

Direttore sanitario ORAS


Doc. 4<br />

Lettera di richiesta del sindaco di Castelfranco della<br />

pianta del nuovo padiglione degli infettivi.<br />

“20 agosto 1923<br />

Egr. Sindaco<br />

<strong>Motta</strong> di Livenza<br />

Quest’Amministrazione sta studiando il modo di costruire un<br />

padiglione di isolamento <strong>per</strong> malati contagiosi in consorzio coi<br />

Comuni del Mandamento. Avendo saputo che in codesta Città vi<br />

è un padiglione che risponde a tutti i bisogni, prego la S.V.I. di<br />

favorirmi una copia della pianta edilizia e sezione <strong>per</strong> prenderne<br />

cognizione, ovvero l’originale che sarà tosto restituito. Prego<br />

inviarmi anche lo statuto <strong>per</strong> la gestione e i carichi annui. Ringrazio<br />

del favore e la ossequio.”<br />

Doc. 5<br />

LA MORTE DI ITALO SVEVO: SPECIALISTI DI MOTTA<br />

E ODERZO RISCRIVONO IL REFERTO.<br />

POSSIBILI CAUSE DI MORTE DI ITALO SVEVO<br />

Non è facile stabilire con certezza quali siano state le possibili<br />

cause della morte di Italo Svevo anche <strong>per</strong> la scarsezza di dati<br />

contenuti nella cartella clinica redatta dai medici che lo hanno<br />

accolto e seguito nell’<strong>Ospedale</strong> di <strong>Motta</strong> di Livenza dove giunse<br />

poco dopo l’incidente stradale in cui rimase coinvolto insieme con<br />

la moglie e un nipote.<br />

In particolare non risultano chiare le condizioni cliniche presentate<br />

dal paziente al momento del suo arrivo all’ospedale di <strong>Motta</strong> di<br />

Livenza in quel primo pomeriggio del 12 settembre 1928.<br />

Aveva certamente una frattura a carico del femore sinistro ed<br />

è possibile che vi sia stata nelle ore successive all’incidente una<br />

emorragia interna, lieve ma continua, nella coscia sinistra. In<br />

questo caso una progressiva anemizzazione potrebbe aver causato<br />

un peggioramento delle condizioni di un cuore che probabilmente<br />

era già compromesso. Si parla infatti di una non meglio precisata<br />

cardiopatia clinicamente probabile in un uomo di 67 anni che<br />

fumava da sempre 60 sigarette al giorno.<br />

Nel giro di 24 ore potrebbe essersi così avuta la morte <strong>per</strong> shock<br />

64<br />

cardiogeno con arresto cardiaco da asistolia.<br />

L’altra ipotesi è che la morte sia avvenuta in seguito ad un’embolia<br />

polmonare.<br />

In questo caso è possibile ipotizzare sia una forma embolica<br />

grassosa (o adiposa) cioè grumi di cellule di grasso che dal femore<br />

si sono portate nei rami arteriosi polmonari sia una più classica<br />

tromboembolia polmonare a partenza da una trombosi formatasi<br />

a livello delle vene profonde della coscia in seguito alla frattura del<br />

femore e all’allettamento. In entrambi i casi l’embolia polmonare<br />

sarebbe stata la causa di un arresto cardiaco terminale che avrebbe<br />

causato la morte del paziente.<br />

Non vi sono elementi nella cartella clinica che facciano propendere<br />

<strong>per</strong> una o l’altra ipotesi ma molto probabilmente una di queste 2 è<br />

stata la causa della morte di Italo Svevo.<br />

Ai giorni nostri quasi certamente la possibilità di una diagnosi<br />

precisa e rapida delle complicanze post traumatiche avrebbe<br />

<strong>per</strong>messo un intervento terapeutico in grado di evitare un così<br />

rapido e tragico epilogo.<br />

Dr. Giuseppe Favretto<br />

Responsabile UO di Cardiologia Riabilitativa e Preventiva<br />

<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione<br />

<strong>Motta</strong> di Livenza (TV)<br />

CONSIDERAZIONI SULLE CAUSE DELLA MORTE DI<br />

ITALO SVEVO<br />

Dalla disamina degli atti riportati nella documentazione inviatami<br />

in visione si può, con ragionevole attendibilità, rispondere alla<br />

domanda se Italo Svevo “ avrebbe potuto essere salvato , oggi,<br />

dopo un incidente stradale simile a quello occorsogli nei pressi del<br />

ponte sul Malgher lungo la Postumia “.<br />

Nella “ rilettura “ del referto sulla morte dello scrittore , alla<br />

luce delle conoscenze odierne , si può ipotizzare con elevate<br />

probabilità,che la morte si avvenuta a seguito di un episodio di<br />

embolia polmonare conseguente alla frattura del femore<br />

sinistro. Dai dati anamnestici si rileva che Italo Svevo di 67 anni era<br />

affetto da cardiopatia di grado medio , da probabile iniziale BPCO<br />

in fumatore ( 60 sigarette al giorno ). Tali patologie in presenza


di frattura di femore sinistro possono aver influito negativamente<br />

nella insorgenza di un episodio tromboembolico.<br />

Del resto nella cronaca dell’epoca e nel referto del medico dott.<br />

Cardazzo, si rileva che al momento del ricovero alle ore 15 del 12<br />

settembre il paziente “ presentava dispnea intensa , sudore profuso,<br />

polso piccolo e frequente con raffreddamento alle estremità ,<br />

apiretico, piena coscienza e lucidità mentale. La sofferenza cranica<br />

che tormentava il paziente era da forte ambascia di respiro, dalla<br />

quale diceva essere stato colpito subito dopo il trauma “.<br />

Anche “ la richiesta di fumare obnubilata ma continua” fanno<br />

deporre <strong>per</strong> un quadro neurologico tipico in corso di embolia<br />

polmonare non massiva ma certamente importante in quanto<br />

mortale in 24 ore.<br />

Tutte queste notizie anamnestiche e documentali portano alla<br />

conclusione che sia sopravvenuta una embolia polmonare quale<br />

complicanza della frattura di femore sin in paziente affetto da<br />

broncopneumopatia e cardiopatia cronica.<br />

Alla domanda se potesse oggi essere salvato alla luce delle<br />

conoscenze attuali ,si può rispondere che probabilmente una<br />

diagnosi precoce di embolia polmonare ( ECG, Equilibrio acido<br />

base, scintigrafia polmonare, RX torace … ) , una adeguata profilassi<br />

anti-tromboembolica , una adeguata assistenza rianimatoria ,<br />

avrebbero con buona probabilità evitare la morte di ItaloSvevo.<br />

Dott. Fernando Giusto<br />

Specialista in Ortopedia e Traumatologia<br />

Specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni<br />

Direttore Unità O<strong>per</strong>ativa Complessa di<br />

Ortopedia e Traumatologia<br />

Presidio Ospedaliero di Oderzo<br />

Azienda U.L.S.S.n°9 -Regione Veneto<br />

LA MORTE DI ARON HECTOR SCHMITZ - ASPETTI<br />

CLINICI -<br />

I dati documentali:<br />

Sig. Aron Hector Schmitz (noto con lo pseudonimo di Italo Svevo)<br />

nato a Trieste nel 1861 ed ivi residente.<br />

Professione: industriale.<br />

65<br />

Incidente stradale del 12 settembre 1928 alle ore 15.00.<br />

In località Tre Ponti di <strong>Motta</strong> di Livenza (Treviso) lungo la strada<br />

Adriatica Su<strong>per</strong>iore.<br />

I FATTI IN SINTESI<br />

Il signor Schmitz viaggiava da trasportato nell’auto in compagnia<br />

della moglie e del nipotino sulla strada da Treviso a Trieste. L’autista,<br />

attraversando ad andatura normale il ponte in cemento armato<br />

a<strong>per</strong>to al traffico appena ultimato, sebbene il manto stradale non<br />

fosse ancora in ordine, reso inoltre sdrucciolevole a causa della<br />

pioggia, <strong>per</strong>deva il controllo dell’autovettura che andava a sbattere<br />

contro un albero. A seguito dell’incidente l’interessato riportava<br />

un trauma contusivo all’arto inferiore sinistro.<br />

Per tale motivo veniva trasportato all’<strong>Ospedale</strong> di <strong>Motta</strong> di<br />

Livenza, dove il medico constatava quanto segue “alla fronte due<br />

escoriazioni ed una escoriazione alla faccia esterna della gamba<br />

destra al terzo su<strong>per</strong>iore, frattura del femore sinistro al terzo<br />

medio” Per tale motivo fu disposto il ricovero e giudicato guaribile<br />

in 40 giorni.<br />

Il giorno successivo, 12 settembre 1928 alle ore 14.30, il paziente<br />

decedeva. Nella cartella clinica N°876-1928 il medico curante,<br />

il chirurgo Cardazzo scrisse: “Morto alle ore 14,30 <strong>per</strong> uremia<br />

e insufficienza cardiaca”. Poi, su un foglio a parte, scrisse in<br />

lapis così:”Alla fronte due escoriazioni ed una contusione alla<br />

regione parietale sinistra, una escoriazione alla faccia esterna della<br />

gamba destra al terzo su<strong>per</strong>iore, frattura del femore sinistro al<br />

terzo mediale. Premesso che il paziente fu ricoverato in questo<br />

ospedale alle ore 15 del 12 settembre e presentava dispnea intensa,<br />

sudore profuso, polso piccolo e frequente con raffreddamento<br />

alle estremità, apiretico, piena conoscenza e lucidità mentale.<br />

La sofferenza cranica che tormentava il paziente era da forte<br />

ambascia di respiro, dalla quale diceva di essere stato colpito<br />

subito dopo il trauma. Stette senza orinare sino alle 22.30, nella<br />

quale ora spontaneamente emise 200 cm.3 di orina con intensa<br />

albuminuria. Si lagnava anche di pesantezza allo stomaco e verso<br />

le cinque antimeridiane del giorno 13 ebbe vomito con emissione<br />

di resti alimentari. Malgrado le cure le condizioni generali del<br />

paziente andarono aggravandosi. La dispnea si fece sempre più<br />

accentuata, il polso man mano si faceva meno <strong>per</strong>cettibile e verso


le 14.30 del giorno 13 spirò. Faccio rilevare che orinò una sola<br />

volta come sopra detto.” Si ricorda inoltre la tem<strong>per</strong>atura del<br />

mattino del giorno 13 settembre: 36,2°.<br />

PARERE CLINICO<br />

Dalla documentazione risulta che, sebbene all’atto del ricovero<br />

il paziente “era un po’agitato <strong>per</strong> via del colpo, ma non aveva<br />

febbre né destava preoccupazioni” nelle ore successive, a causa<br />

dell’aggravarsi delle condizioni cliniche, (respiro, polso, vista) i<br />

medici riservavano la prognosi.<br />

Inoltre non risulta dalla cartella clinica quali esami strumentali<br />

siano stai eseguiti <strong>per</strong> arrivare alla diagnosi, quali provvedimenti<br />

terapeutici erano stati adottati a seguito della frattura, né emerge<br />

alcun dato clinico in ordine al tipo della frattura di femore<br />

(composta o scomposta) né tantomeno sul trattamento ortopedico<br />

intrapreso.<br />

In considerazione del fatto che non esistono agli atti dei dati clinici<br />

circostanziati <strong>per</strong> formulare una diagnosi certa di morte, é possibile<br />

comunque avanzare alcune ipotesi che analizzeremo.<br />

Una considerazione iniziale che merita di essere fatta riguarda<br />

l’età dello scrittore, ovvero i 67 anni di Italo Svevo nel 1928,<br />

allorché l’età media era sotto i 60 anni, equiparano lo scrittore<br />

come un “grande anziano” di oggi, in termini concreti come un<br />

ultraottantacinqenne.<br />

Ciò premesso consideriamo anche che lo scrittore, dai dati<br />

anamnestici risultava essere un forte fumatore (60 sigarette al dì),<br />

affetto da bronchite cronica, enfisema polmonare, i<strong>per</strong>tensione<br />

arteriosa e da cardiopatia imprecisata.<br />

La prima ipotesi è che la morte possa riconoscere come primum<br />

movens una genesi cardiaca, come <strong>per</strong> esempio uno scompenso<br />

acuto cardiaco evoluto in shock cardiogeno, ciò spiegherebbe<br />

l’uremia (oggi si userebbe il termine di insufficienza renale acuta<br />

pre-renale) ed il vomito alimentare(gastrite uremica).<br />

Il dott. Piero Sanchetti, nella rivista letteraria LA CASTELLA<br />

(MAGGIO 1994) a pag.131, nel capitolo da lui scritto, intitolato<br />

“La morte di un industriale triestino a <strong>Motta</strong> di Livenza (breve<br />

antefatto)” riporta un articolo scritto subito dopo la morte di Italo<br />

Svevo da un giornalista della Gazzetta di Trieste, ne evidenzio<br />

66<br />

alcune frasi significative: “Egli aveva riportato la frattura del<br />

femore sinistro e alcune contusioni. Ma da parecchi anni egli<br />

era già sofferente di una malattia cardiaca che quantunque<br />

combattuta con tutte le cure, doveva considerarsi in uno stadio<br />

molto avanzato. Fu evidente fin dal primo momento che difficile<br />

gli sarebbe stato resistere alle conseguenze del grave urto e della<br />

violenta commozione”.<br />

La malattia cardiaca suddetta potrebbe configurarsi nel “cuore<br />

polmonare cronico”, che è causato da un ingrandimento del<br />

ventricolo destro secondario ad una patologia polmonare che<br />

produce i<strong>per</strong>tensione arteriosa polmonare; da quanto scritto il<br />

signor Schmitz era affetto da una patologia polmonare (bronchite<br />

cronica ed enfisema) ed era inoltre un accanito fumatore, elementi<br />

probativi <strong>per</strong> cuore polmonare cronico.<br />

Esiste poi la sintomatologia clinica che depone <strong>per</strong> tale ipotesi<br />

(polso piccolo, tachicardico, sudorazione profusa), e la dinamica<br />

con cui si è verificato l’evento (frattura del femore sinistro con<br />

escoriazioni multiple) che è presumibile abbia agito sulla malattia<br />

cardiaca di base favorendone un’evoluzione peggiorativa, dapprima<br />

in scompenso acuto e successivamente in shock cardiogeno<br />

irreversibile. Da prendere in considerazione anche tra le ipotesi di<br />

origine cardiaca l’infarto miocardico acuto, anche se lo scrittore,<br />

da quanto scritto nella cartella clinica e nel referto di morte del<br />

Dott. Cardazzo, non avesse accusato alcun dolore toracico in sede<br />

precordiale o retro-sternale, tipico della suddetta patologia.<br />

La seconda ipotesi é che la morte possa esser stata causata da<br />

embolia polmonare <strong>per</strong> distacco di uno o più trombi a partenza<br />

dal distretto venoso profondo del femore sinistro sede di frattura<br />

con secondaria insufficienza renale acuta da ipovolemia e shock<br />

cardiogeno terminale. Infatti il paziente presentava i sintomi tipici<br />

di questa patologia; dispnea intensa, agitazione, sudore profuso,<br />

polso piccolo e frequente con raffreddamento alle estremità. A<br />

sostegno di tali ipotesi viene inoltre riferito che la “sofferenza<br />

cranica” (cefalea e stato confusionale verosimilmente secondari a<br />

embolia cerebrale) che tormentava il paziente era causata da forte<br />

difficoltà di respiro, della quale il paziente diceva di soffrire da<br />

subito dopo il trauma, sintomo indicativo <strong>per</strong> una insufficienza<br />

respiratoria da verosimile embolia polmonare.


Un altro elemento aggiuntivo, comunque non noto, potrebbe<br />

essere che la malattia cardiaca, qualunque essa fosse, potesse<br />

essere stata complicata da un aritmia cardiaca, come ad esempio la<br />

fibrillazione atriale, che rafforzerebbe l’ipotesi trombo-embolica.<br />

La terza ipotesi è che la morte possa stata causata da un shock<br />

ipovolemico dovuto ad un’emorragia. Questa ipotesi avrebbe<br />

giustificato anche l’insufficienza renale acuta, ma sebbene possibile,<br />

la ritengo meno probabile delle altre due <strong>per</strong> i seguenti motivi:<br />

1) la sede della frattura del femore al terzo medio avrebbe potuto<br />

certamente favorire una emorragia anche importante da lesione di<br />

un vaso, ma sicuramente l’insorgenza sarebbe stata più drammatica<br />

e più acuta;<br />

2) manca all’esame obiettivo la segnalazione di una tumefazione,<br />

spesso accompagnata dal dolore, a livello della coscia sinistra sede<br />

della frattura e dell’ipotetico ematoma (raccolta di sangue) causato<br />

dall’emorragia;<br />

3) non sono menzionati altri traumi importanti (toracico o<br />

addominale), che potrebbero essere stata la causa di altri eventuali<br />

sanguinamenti.<br />

CONCLUSIONI<br />

Da quanto sopraesposto si desume che tutte le tre ipotesi<br />

confluiscono nello shock terminale (insufficienza cardiaca)<br />

associato ad una insufficienza renale acuta (uremia), scarterei <strong>per</strong>ò<br />

la terza ipotesi (shock emorragico) <strong>per</strong> le ragioni suddette.<br />

E’ verosimile <strong>per</strong>tanto, secondo le prime due ipotesi combinate,<br />

che lo shock possa esser stato causato dall’embolia polmonare<br />

secondaria alla frattura del femore sinistro in un soggetto ad alto<br />

rischio in quanto affetto da cardiopatia severa (cuore polmonare<br />

cronico? Miocardiopatia dilatativa? Entrambe potenzialmente<br />

complicate da una aritmia cardica, quale la fibrillazione striale<br />

cronica), che in conseguenza alla frattura si è scompensata, evoluta<br />

<strong>per</strong>tanto rapidamente verso lo shock cardiogeno irreversibile.<br />

Oggi nelle stesse condizioni lo scrittore avrebbe potuto essere<br />

salvato? La risposta è verosimilmente positiva, <strong>per</strong>ché esistono<br />

indagini diagnostiche di laboratorio (emocromo, parametri<br />

renali, emogasanalisi arteriosa, enzimi cardiaci, etc.), di radiologia<br />

(radiografia del torace, TAC spirale multistrato con m.d.c.,<br />

angiografia polmonare) e di medicina nucleare (scintigrafia<br />

67<br />

polmonare) che ci consentono di arrivare tempestivamente ad<br />

una diagnosi di sicurezza e terapie efficaci (eparine, trombolisi,<br />

dopamina, trasfusioni di sangue, etc.) valide in ogni ipotesi<br />

diagnostica che hanno ridotto sensibilmente la mortalità e che<br />

all’epoca della morte di Aron Hector Schmitz (Italo Svevo) non<br />

esistevano.<br />

In conclusione se da una parte l’avanzata tecnologia odierna avesse<br />

consentito una soluzione medica del problema, dall’altra parte<br />

<strong>per</strong>ò l’uomo ormai ”vecchio e malato” avrebbe avuto la forza di<br />

sopravvivere?<br />

Questo non possiamo affermarlo con certezza, <strong>per</strong>tanto chiuderei<br />

con la vecchia, ma sempre attuale massima popolare, che così<br />

recita :”medicus curat, natura sanat” (“il medico cura, la natura gu<br />

arisce”.<br />

Dott. Quirino Messina<br />

Responsabile U.O. di Medicina Generale<br />

<strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione di <strong>Motta</strong> di Livenza (TV)<br />

LA MORTE DI HECTOR SCHMITZ - ASPETTI MEDICO<br />

LEGALI -<br />

I dati documentali:<br />

Sig. Hector Schmitz nato a Trieste nel 1861 ed ivi residente<br />

Professione: industriale<br />

Incidente stradale del 12 settembre 1928 alle ore 15.00<br />

In località Tre Ponti di <strong>Motta</strong> di Livenza (Treviso) lungo la strada<br />

adriatica su<strong>per</strong>iore<br />

Breve descrizione dei fatti.<br />

Mentre viaggiava da trasportato nell’auto in compagnia della<br />

moglie e del nipotino in direzione Treviso Trieste, a causa delle<br />

condizioni del manto stradale reso sdrucciolevole dalla pioggia,<br />

il conducente <strong>per</strong>deva il controllo dell’autovettura che andava a<br />

cozzare contro un albero.<br />

A seguito dell’incidente l’interessato riportava un trauma contusivo<br />

all’arto inferiore sinistro.<br />

Per tale motivo veniva trasportato all’<strong>Ospedale</strong> di <strong>Motta</strong> di<br />

Livenza, dove il medico constatava quanto segue “alla fronte due


escoriazioni ed una escoriazione alla faccia esterna della gamba<br />

destra al terzo su<strong>per</strong>iore, frattura del femore sinistro al terzo<br />

medio” Per tale motivo fu disposto il ricovero e giudicato guaribile<br />

in 40 giorni.<br />

Il giorno successivo, 12 settembre 1928 alle ore 14.30, il paziente<br />

decedeva. In cartella clinica è stato registrato quanto segue.<br />

“Morte <strong>per</strong> uremia ed insufficienza cardiaca. Premesso che<br />

il paziente fu ricoverato in questo ospedale alle ore 15 del 12<br />

settembre e presentava dispnea intensa, sudore profuso, polso<br />

piccolo e frequente con raffreddamento alle estremità, apiretico,<br />

piena conoscenza e lucidità mentale. La sofferenza cranica che<br />

tormentava il paziente era da forte ambascia di respiro, dalla quale<br />

diceva di essere stato colpito subito dopo il trauma. Stette senza<br />

orinare sino alle 22.30, nella quale ora spontaneamente emise 200<br />

cc di orina con intensa albuminuria. Si lagnava anche di pesantezza<br />

allo stomaco e verso le cinque antimeridiane del giorno 13 ebbe<br />

vomito con emissione di resti alimentari. Malgrado le cure le<br />

condizioni generali del paziente andarono aggravandosi. La<br />

dispnea si fece sempre più accentuata, il polso man mano si faceva<br />

meno <strong>per</strong>cettibile e verso le 14.30 del giorno 13 spirò. Faccio<br />

rilevare che orinò una sola volta come sopra detto. Tem<strong>per</strong>atura<br />

del mattino del giorno 13 settembre: 36,2° ”.<br />

PARERE MEDICO LEGALE<br />

Dalla disamina della documentazione risulta che, sebbene all’atto<br />

del ricovero il paziente “era un po’agitato <strong>per</strong> via del colpo, ma<br />

non aveva febbre né destava preoccupazioni” nelle ore successive,<br />

a causa dell’aggravarsi delle condizioni cliniche, (respiro, polso,<br />

vista) i medici riservavano la prognosi.<br />

Inoltre non si evincono dati certi relativi all’anamnesi patologica<br />

prossima o remota del paziente, ma semplicemente che il<br />

paziente era tabagista (60 sigarette al dì) e da parecchi anni era già<br />

sofferente di una malattia cardiaca. Inoltre non risulta dalla cartella<br />

clinica quali esami strumentali siano stai eseguiti <strong>per</strong> addivenire<br />

alla diagnosi, quali provvedimenti terapeutici erano stati adottati<br />

a seguito del trauma fratturativo, né emerge alcun dato clinico in<br />

ordine alla tipologia della frattura di femore (composta, esposta)<br />

né tantomeno sul trattamento ortopedico intrapreso.<br />

Tutto ciò premesso, poiché non esistono agli atti dei dati clinici<br />

68<br />

circostanziati <strong>per</strong> formulare un giudizio medico legale certo, non<br />

è semplice esprimere una valutazione sicura in ordine alla causa<br />

di morte del Sig. Schmitz. Comunque è possibile avanzare alcune<br />

ipotesi che di seguito si andranno ad analizzare.<br />

La prima ipotesi è che la morte sia riconducibile ad arresto cardiaco,<br />

come descritto in cartella clinica.<br />

A sostegno di tale ipotesi vi sono la storia di una malattia cardiaca,<br />

ancorché non ben precisata, la condizione di fumatore quale<br />

fattore predisponente e l’età 67 anni.<br />

Esiste poi la sintomatologia clinica che depone <strong>per</strong> tale ipotesi<br />

(polso piccolo, tachicardico, sudorazione profusa), e la dinamica<br />

con cui si è verificato l’evento (trauma fratturativo del femore<br />

sinistro con escoriazioni multiple) che è presumibile abbia<br />

agito sulla malattia cardiaca di base favorendone un’evoluzione<br />

peggiorativa in shock cardiogeno ed infarto miocardio.<br />

La seconda ipotesi è che la morte sia stata causata da embolia<br />

polmonare <strong>per</strong> distacco di uno o più trombi a partenza dal<br />

distretto venoso profondo del femore destro sede di frattura.<br />

Infatti il paziente presentava i sintomi tipici di questa patologia;<br />

dispnea intensa, agitazione, sudore profuso, polso piccolo e<br />

frequente con raffreddamento alle estremità, in piena conoscenza<br />

e lucidità mentale. A sostegno di tali ipotesi viene inoltre riferito<br />

che la sofferenza cranica che tormentava il paziente era causata da<br />

forte difficoltà di respiro, della quale il paziente diceva di soffrire<br />

da subito dopo il trauma, sintomo indicativo <strong>per</strong> una sofferenza<br />

respiratoria da verosimile embolia polmonare.<br />

Ricordiamo che l’embolia polmonare, cioè la presenza di un<br />

trombo a livello dei vasi sanguigni del polmone è una condizione<br />

potenzialmente letale che, se non trattata precocemente, rappresenta<br />

la più frequente causa di morte nei pazienti ospedalizzati. La<br />

mortalità globale dei pazienti con embolia polmonare è infatti<br />

del 30%. Un appropriato trattamento, iniziato tempestivamente,<br />

riduce la mortalità del 2-8%. L’embolo polmonare è costituito da<br />

un coagulo ematico che in oltre il 95% dei casi si stacca da un<br />

trombo rosso a su<strong>per</strong>ficie liscia di una trombosi venosa profonda<br />

delle vene al di sopra del ginocchio (poplitee, femorali, iliache). Si<br />

elencano qui di seguito alcuni fattori di rischio <strong>per</strong> l’insorgenza della


embolia polmonare ed i principali provvedimenti terapeutici.<br />

FATTORI DI RISCHIO ACQUISITI PER LA TROMBOSI<br />

VENOSA PROFONDA E LA TROMBOEMBOLIA<br />

POLMONARE<br />

Età su<strong>per</strong>iore a 40 anni<br />

Obesità<br />

Fumo<br />

Fratture o traumi degli arti inferiori<br />

Diabete mellito<br />

Immobilizzazioni prolungate<br />

Chirurgia ortopedica e generale dell’addome<br />

Collagenopatie<br />

Pregressa trombosi venosa profonda<br />

Malattie mieloproliferative<br />

PREVALENZA DI FATTORI PREDISPONENTI A TVP<br />

ED EMBOLIA POLMONARE IN PAZIENTI DI ETÀ<br />

SUPERIORE A 65 ANNI.<br />

TVP (n 8.923)<br />

EMBOLIA POLMONARE<br />

Neoplasie 19%<br />

17%<br />

Scompenso cardiaco 14%<br />

26%<br />

Stroke 6%<br />

8%<br />

Fratture 4%<br />

6%<br />

Infarto miocardio 2%<br />

8%<br />

Chirurgia 12%<br />

22%<br />

PARERE MEDICO LEGALE<br />

Dalla disamina della documentazione risulta che, sebbene all’atto<br />

del ricovero il paziente “era un po’agitato <strong>per</strong> via del colpo, ma<br />

non aveva febbre né destava preoccupazioni” nelle ore successive,<br />

69<br />

a causa dell’aggravarsi delle condizioni cliniche, (respiro, polso,<br />

vista) i medici riservavano la prognosi.<br />

Inoltre non si evincono dati certi relativi all’anamnesi patologica<br />

prossima o remota del paziente, ma semplicemente che il<br />

paziente era tabagista (60 sigarette al dì) e da parecchi anni era già<br />

sofferente di una malattia cardiaca. Inoltre non risulta dalla cartella<br />

clinica quali esami strumentali siano stai eseguiti <strong>per</strong> addivenire<br />

alla diagnosi, quali provvedimenti terapeutici erano stati adottati<br />

a seguito del trauma fratturativo, né emerge alcun dato clinico in<br />

ordine alla tipologia della frattura di femore (composta, esposta)<br />

né tantomeno sul trattamento ortopedico intrapreso.<br />

Tutto ciò premesso, poiché non esistono agli atti dei dati clinici<br />

circostanziati <strong>per</strong> formulare un giudizio medico legale certo, non<br />

è semplice esprimere una valutazione sicura in ordine alla causa<br />

di morte del Sig. Schmitz. Comunque è possibile avanzare alcune<br />

ipotesi che di seguito si andranno ad analizzare.<br />

La prima ipotesi è che la morte sia riconducibile ad arresto cardiaco,<br />

come descritto in cartella clinica.<br />

A sostegno di tale ipotesi vi sono la storia di una malattia cardiaca,<br />

ancorché non ben precisata, la condizione di fumatore quale<br />

fattore predisponente e l’età 67 anni.<br />

Esiste poi la sintomatologia clinica che depone <strong>per</strong> tale ipotesi<br />

(polso piccolo, tachicardico, sudorazione profusa), e la dinamica<br />

con cui si è verificato l’evento (trauma fratturativo del femore<br />

sinistro con escoriazioni multiple) che è presumibile abbia<br />

agito sulla malattia cardiaca di base favorendone un’evoluzione<br />

peggiorativa in shock cardiogeno ed infarto miocardio.<br />

La seconda ipotesi è che la morte sia stata causata da embolia<br />

polmonare <strong>per</strong> distacco di uno o più trombi a partenza dal<br />

distretto venoso profondo del femore destro sede di frattura.<br />

TRATTAMENTO DELLA TROMBOEMBOLIA POLMONARE<br />

POLMONARE<br />

-Maschera facciale <strong>per</strong> erogare alte frazioni di ossigeno<br />

-Morfina <strong>per</strong> alleviare dispnea, la grave apprensione del paziente<br />

i dolori toracici<br />

-Bicarbonati nell’acidosi metabolica grave (Ph inferiore di 7,10)


-Antibiotici come profilassi di una possibile infezione dell’infarto<br />

polmonare<br />

-Eparina nel sospetto di embolia polmonare somministrata<br />

precocemente 5.000 U.I. (forma sub massiva) o 10.000 U.I.<br />

(forma massiva) in attesa della conferma diagnostica <strong>per</strong><br />

prevenire l’estensione dei trombi e proteggere il paziente seguite<br />

dall’infusione di 1.000-1500 U.I./ora<br />

-A conferma diagnostica trattamento con anticoagulanti orali<br />

dicumarolici (warfarin 10 mg <strong>per</strong> os <strong>per</strong> 2-4 giorni) <strong>per</strong> 3-6 mesi<br />

<strong>per</strong> ridurre il rischio di recidiva tromboembolica.<br />

TROMBOLISI (EMBOLECTOMIA MEDICA)<br />

-A conferma diagnostica certa<br />

-Nei pazienti con embolia polmonare massiva e compromissione<br />

emodinamica (ipotensione arteriosa sistemica <strong>per</strong>sistente, shock<br />

circolatorio)<br />

-Pazienti con TVP estesa dell’asse venoso femoro-iliaco<br />

70<br />

In conclusione da quanto sovraesposto emerge che l’embolia<br />

polmonare è gravata da un’alta mortalità. La gravità del quadro<br />

clinico è inoltre determinante nella scelta dell’approccio<br />

terapeutico. Nel caso specifico dall’anamnesi patologica remota<br />

(cardiopatia sofferta da parecchi anni), dai fattori di rischio<br />

(fumo, sedentarietà, età) dalla sintomatologia obiettiva presentata<br />

dal paziente (dispnea ingravescente, tachicardia, sudorazione,<br />

estremità degli arti fredde) si ritiene verosimile che la morte del<br />

sig. Ettore Schmitz sopravvenuta il 13 settembre 1928 a distanza<br />

di circa 24 ore dall’incidente stradale avvenuto lungo la strada<br />

adriatica su<strong>per</strong>iore, poiché risultano soddisfatti il criterio del nesso<br />

di causalità lesiva, il criterio cronologico, di efficienza lesiva e di<br />

esclusione di altre cause, sia riconducibile ad embolia polmonare<br />

conseguita alla frattura del femore sinistro.<br />

Dott. Marco Cadamuro Morgante<br />

Direttore sanitario <strong>Ospedale</strong> Riabilitativo di Alta Specializzazione di <strong>Motta</strong><br />

di Livenza


BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE<br />

G. BONIFACCIO, Istoria di Trivigi, Venezia, MDCCXLIV.<br />

E. DEGANI, Le nostre fraterne dei Battuti, Portogruaro, 1906.<br />

B. GEREMEK, Il pau<strong>per</strong>ismo nell’età preindustriale (secoli XIV-XVIII), in “Storia d’Italia. I documenti. 16. Gente d’Italia:<br />

costumi e vita quotidiana”, Torino, 1973.<br />

G. GHEDINA O.F.M., Francesco Giorgi Architetto, Venezia 1879. Estratto dal Bullettino d’arti Industrie e Curiosità<br />

Veneziane, anno II, n. 3-9.<br />

G. LEONARDI, Profilo storico dell’ospedale di Portogruaro sulla scorta dei documenti esistenti dall’epoca della sua fondazione nell’anno<br />

1203, Portogruaro, 1960.<br />

D. MEDA, La Madonna dei Miracoli in <strong>Motta</strong> di Livenza, <strong>Motta</strong> di Livenza, 1985.<br />

F. METZ, L’ospedale di S. Maria dei Battuti dalle origini fino al XX secolo, Pordenone, 1993.<br />

A. MONTICO, L’antico ospedale di Santa Maria dei Battuti a San Vito al Tagliamento alla luce di nuove testimonianze storchedocumentarie,<br />

in “Ce fastu?”, LXXIX (2003) 1, 51-65.<br />

D. OLIVIERI., Toponomastica veneta, Venezia 1962.<br />

L. ROCCO, <strong>Motta</strong> di Livenza e i suoi dintorni, Treviso, 1897.<br />

G. RORATO, A. BELLEMO, <strong>Motta</strong> di Livenza in epoca veneziana, <strong>Motta</strong> di Livenza, 1988.<br />

G. TONETTO, A. BELLIENI, Treviso in campagna, Treviso, 1995<br />

G. TASCA, Storia dell’ospedale di S. Maria dei Battuti di S. Vito al Tagliamento, in San Vît al Tilimint, Udine, 1973, 45-54.<br />

U. VICENTINI, P. Francesco Zorzi OFM, teologo cabalista, in Le Venezie Francescane, 21 (1954) 174-226.<br />

Relazione amministrativa sull’ospedale civile comunale di <strong>Motta</strong> di Livenza, MCMXXIV, <strong>Motta</strong> di Livenza, 1925.<br />

L’<strong>Ospedale</strong> Comunale di <strong>Motta</strong> di Livenza nel primo decennio della sua fondazione, Oderzo, 1891.<br />

2003-2007, Cinque anni di sanità trevigiana , ULSS9 Treviso, Bilancio di Mandato 2003-2007.<br />

Statuto Comunale di <strong>Motta</strong> di Livenza (1991).<br />

71


RINGRAZIAMENTI<br />

Si ringraziano innanzitutto i medici e il <strong>per</strong>sonale, sanitario ed amministrativo, che hanno o<strong>per</strong>ato ed o<strong>per</strong>ano con grande professionalità<br />

e abnegazione nelle strutture ospedaliere di <strong>Motta</strong> di Livenza, e che non è stato possibile citare <strong>per</strong>sonalmente.<br />

Un particolare ringraziamento a:<br />

Mons. Lino Bruseghin, arciprete di <strong>Motta</strong><br />

Giampiero Rorato, giornalista e storico<br />

Angelo Momesso, storico<br />

Sergio Momesso, storico dell’arte<br />

Dott. Franco Rossi, direttore Archivio di Stato di Treviso<br />

Dott.ssa Francesca Girardi, archivista Curia diocesana di Vittorio Veneto<br />

Padre Alfonso Cracco, rettore Santuario Madonna dei Miracoli<br />

Paolo S<strong>per</strong>anzon, sindaco di <strong>Motta</strong> di Livenza<br />

Sabrina Matteazzi, assessore alla Cultura Comune di <strong>Motta</strong> di Livenza<br />

Ing. Paolo Longhetto, responsabile Uffivio tecnico Comune di <strong>Motta</strong><br />

Dott. Giacinto Cecchetto, direttore Biblioteca Comunale di Castelfranco Veneto<br />

Dott. Lazzaro Marini, presidente Biblioteca civica <strong>Motta</strong> di Livenza<br />

Enrico Flora<br />

Gioiella e Graziana Ovio - Rambaldo<br />

Finito di stampare nel mese di Novembre 2008<br />

presso la Tipografia Grafiche 2 Effe di Portogruaro<br />

72


Rina Ravenna, La Madonna di <strong>Motta</strong>,<br />

olio su tela (coll. privata).<br />

73

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!