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Dom André Poisson - San Bruno ei certosini

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<strong>Dom</strong> <strong>André</strong> <strong>Poisson</strong><br />

Etienne <strong>Poisson</strong> nacque nel 1923 presso Angers in<br />

Francia. Dopo gli studi superiori in cui si rivelò la sua<br />

grande intelligenza, egli passò per la celebre “Ecole<br />

Polytechnique” di Parigi. Durante questi anni maturò la sua<br />

vocazione monastica, ed Etienne entrò alla Gran Certosa nel<br />

1946. Ricevette il nome di <strong>André</strong> e fece la professione il 2<br />

febbraio 1948. Fu ordinato sacerdote il 13 marzo del 1954.<br />

Qualche anno dopo fu incaricato dell’amministrazione del<br />

monastero, nonché della realizzazione del museo della<br />

Correrie, concepito per proteggere il silenzio attorno alla<br />

Certosa e comunicare un messaggio spirituale ai numerosi<br />

visitatori.<br />

<strong>Dom</strong> <strong>André</strong> fu eletto priore della Gran Certosa e<br />

ministro generale dell’ordine certosino nel maggio 1967.<br />

Svolse questa duplice funzione per trenta anni. L’inizio di<br />

questo servizio pastorale avviene quindi nel periodo<br />

immediatamente successivo al Concilio del Vaticano II. La<br />

Chiesa aveva chiesto a tutti i religiosi un rinnovamento<br />

ispirato sia dal ritorno alle fonti e allo spirito primitivo di<br />

ogni istituto, sia dall’adattamento alle condizioni d<strong>ei</strong> tempi<br />

odierni. Si parlava di “aggiornamento”. <strong>Dom</strong> <strong>André</strong><br />

s’impegnò in questo lavoro con la collaborazione di tutti i<br />

membri dell’ordine; tutte le osservanze monastiche furono<br />

oggetto di studio e di scambio. Ne risultarono per tutto<br />

l’ordine d<strong>ei</strong> nuovi statuti (è il nome che i <strong>certosini</strong> danno<br />

alla loro regola): gli Statuti Rinnovati del 1971, i quali<br />

furono revisionati qualche anno dopo per tener conto delle<br />

norme del Codice di diritto canonico del 1983. In occasione<br />

del Capitolo Generale di aggiornamento del 1971, il Papa


Paolo VI rivolse un’importante lettera a <strong>Dom</strong> <strong>André</strong><br />

<strong>Poisson</strong>, la lettera Optimam partem.<br />

Da parte sua, <strong>Dom</strong> <strong>André</strong> scrisse, tra 1974 e 1982, diverse<br />

lettere circolari ai membri dell’ordine, nelle quali presentò<br />

gli aspetti essenziali della vita certosina alla luce d<strong>ei</strong> nuovi<br />

Statuti.<br />

Durante il priorato di <strong>Dom</strong> <strong>André</strong>, l’ordine certosino<br />

conobbe un’espansione geografica notevole. Prima di<br />

diventare ministro generale, egli è stato incaricato di<br />

preparare la fondazione di una Certosa nel Vermont (Statuti<br />

Uniti), ciò che avvenne nel 1971. Due anni prima, fu<br />

riaperta in Francia la Certosa di Portes, una delle più<br />

antiche dell’ordine. Nel 1983 fu decisa la fondazione di una<br />

comunità certosina nel Brasile, nello stato del Rio Grande<br />

do Sul. Infine, <strong>Dom</strong> <strong>André</strong>, prima di lasciare la carica,<br />

intraprese lo studio per portare il carisma di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> sia<br />

in Argentina (la futura Certosa sarà fondata presso<br />

Cordoba) sia in Corea del Sud (la fondazione avverrà nella<br />

diocesi di Andong).<br />

Conviene evidenziare l’importante contributo dato da<br />

<strong>Dom</strong> <strong>André</strong> all’evoluzione del ramo femminile dell’ordine<br />

certosino. Egli ha permesso alle monache di accedere a una<br />

vita più solitaria grazie a delle vere celle, come si può<br />

verificare n<strong>ei</strong> monasteri di Benifaçà (Spagna), e soprattutto<br />

n<strong>ei</strong> nuove Certose di Notre-Dame di R<strong>ei</strong>llanne (Francia) e<br />

di Dego (Italia). Inoltre, grazie a lui, le monache hanno<br />

avuto i loro Statuti propri.<br />

Nel 1984 si celebrò il nono centenario dell’arrivo di san<br />

<strong>Bruno</strong> nel deserto di Chartreuse. Questo anniversario fu<br />

l’occasione di ricordare alla Chiesa e alla società il valore<br />

attuale della vocazione certosina. <strong>Dom</strong> <strong>André</strong> lo fece, tra


l’altro, con le sue omelie di quell’anno in cui disegnò il<br />

ritratto di san <strong>Bruno</strong> e commentò le lettere scritte da lui.<br />

Questi sono i testi che sono proposti adesso in questo sito.<br />

Il Papa Giovanni Paolo II, nel 1984, scrisse una lettera<br />

a <strong>Dom</strong> <strong>André</strong> <strong>Poisson</strong>, ciò che fece di nuovo nel 2001 in<br />

occasione del nono centenario della morte di san <strong>Bruno</strong>.<br />

Queste lettere mettono in rilievo la stima che il Papa porta<br />

per l’ordine certosino, e ribadiscono l’importanza di questa<br />

vocazione per la Chiesa e per l’umanità di oggi. A un altro<br />

livello, importa evidenziare i rapporti stretti che <strong>Dom</strong><br />

<strong>André</strong> ha stabilito con il vescovo di Grenoble, Mons.<br />

Gabriel Matagrin; tra loro due, così diversi per la loro<br />

missione ecclesiale, ci fu una profonda e feconda<br />

comunione. Pur vivendo nel deserto della Chartreuse, dal<br />

quale non è mai uscito per trenta anni secondo la regola<br />

certosina, <strong>Dom</strong> <strong>André</strong> aveva legami con varie personalità.<br />

Per fare un solo esempio, si può ricordare la visita che il<br />

Dalai-Lama fece alla Gran Certosa nel 1995.<br />

<strong>Dom</strong> <strong>André</strong> si è dimesso della sua funzione di ministro<br />

generale dell’ordine nel 1997. Per due anni fu priore della<br />

Certosa della Trasfigurazione negli Stati Uniti, poi per altri<br />

due anni svolse il compito di cappellano presso le monache<br />

di Vedana, presso Belluno. Nel 2001 si ritirò<br />

definitivamente alla Gran Certosa, fino alla sua morte,<br />

avvenuta il 20 aprile del 2005.<br />

Se si vuole definire quale era la spiritualità di <strong>Dom</strong><br />

<strong>André</strong>, si può ricorrere a d<strong>ei</strong> testi brevi, come quelli che<br />

sono presenti su questo sito: Il mio cuore cerca il tuo volto,<br />

oppure La carne e il sangue del Figlio. <strong>Dom</strong> <strong>André</strong><br />

privilegiava sempre la semplicità e la sobrietà, perfino nella<br />

preghiera, fatta di poche parole e di molto silenzio. La sua


via era quella di un abbandono fiducioso e filiale nelle<br />

braccia del Padre. Non si stancava mai di contemplare la<br />

tenerezza del Padre, che accoglie il figlio più disgraziato,<br />

purché ci sia questo abbandono nella fede. <strong>Dom</strong> <strong>André</strong><br />

aveva penetrato talmente nel mistero della paternità divina,<br />

che il suo modo di trattare con le persone, soprattutto con i<br />

monaci e le monache era tutto impregnato di bontà, di<br />

misericordia, di tenerezza. En lui si rifletteva l’immagine di<br />

san <strong>Bruno</strong>, il santo della “Bonitas”.


I<br />

Sermoni del Reverendo Padre<br />

13 Maggio 1983<br />

Al Capitolo Generale<br />

SAN BRUNO, CANALE DI GRAZIA<br />

Eccoci una volta di più al termine di un Capitolo Generale.<br />

Che cosa ci ha lasciato? E’ senza dubbio troppo presto, forse<br />

anche inutile, voler fare un bilancio sintetico di ciò che lo<br />

Spirito <strong>San</strong>to ci ha donato durante questi giorni di<br />

intrattenimento fraterno in cui abbiamo condiviso non solo la<br />

ricerca, ma anche le esitazioni e i tentennamenti.<br />

Per contro, mi sembra importante fermarci su ciò che mi<br />

sembra essere il polo luminoso della Carta del Capitolo:<br />

l’invito a celebrare, fin d’ora, n<strong>ei</strong> nostri cuori il nono centenario<br />

dell’arrivo del Maestro <strong>Bruno</strong> nel deserto della Certosa.<br />

* * *<br />

Ci viene richiesto di guardare al nostro Beato Padre non<br />

come al modello di tale o tal altra virtù, ma piuttosto come al<br />

canale attraverso il quale arriva a noi la grazia incomparabile<br />

della nostra vocazione, grazia che, secondo la Carta, noi<br />

acquisiamo attraverso la mediazione della Beata Vergine<br />

Maria.<br />

<strong>Bruno</strong> assunse n<strong>ei</strong> nostri riguardi l’umilissimo ruolo, ma<br />

tuttavia insostituibile, di essere l’uomo attraverso il quale a<br />

noi, oggi, perviene l’influsso divino. Grazie ad esso noi<br />

possiamo, in solitudine, essere all’ascolto dell’unico Bene e


desiderare di apparire alla presenza del Dio vivente. <strong>Bruno</strong> è<br />

per noi tale intermediario di via, in questo stesso momento<br />

poiché lui è, nel Cristo risuscitato, vivente, presente a noi suoi<br />

figli. Contemporaneamente egli è fonte del divino poiché per<br />

primo ha ricevuto il richiamo dello Spirito e si è messo alla<br />

scuola della Saggezza, in queste montagne dove noi viviamo<br />

ancora.<br />

E’ sufficiente aver conosciuto il sito circostante la Cappella<br />

<strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>, nel cuore dell’inverno, quando tutto è sepolto sotto<br />

uno spesso manto di neve, per prendere coscienza che la<br />

fecondità soprannaturale del nostro Beato Padre non è il frutto<br />

di sublimi speculazioni. Essa è piuttosto il risultato di<br />

un’esistenza modellata dalla realtà molto dura che<br />

conducevano i primi eremiti della Certosa, nel silenzio del<br />

cuore, attraverso spoliazioni e semplificazioni radicali.<br />

Nostro Padre <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>: questo appellativo non evoca in<br />

noi una lunga dottrina, degli insegnamenti raffinati, ma<br />

innanzitutto l’esistenza di un maestro ispirato che si lascia<br />

sedurre dalla Bontà di Dio, abbandonando tutto per essa e<br />

non avendo a cuore altro che la propria vita nel deserto, nel<br />

silenzio, nelle veglie, nello sguardo terso che trafigge d’amore<br />

il Benamato.<br />

* * *<br />

Riprendiamo la formula della Carta: tutto ciò che è bello<br />

nella nostra vita ci arriva attraverso il ministero di <strong>Bruno</strong>.<br />

Senza dubbio egli è un esempio unico per noi, ma non in<br />

questo consiste il suo ruolo essenziale, piuttosto<br />

nell’attingere in Dio stesso, attraverso l’intercessione di Maria,<br />

la sete d’incontrare l’Altissimo, il Bellissimo e di<br />

trasmettercela continuamente affinché attraversi il nostro<br />

proprio cuore e ci spinga instancabilmente più avanti verso<br />

l’incontro con il Volto divino.


Essere certosino significa ricevere da <strong>Bruno</strong> questo<br />

movimento dello Spirito <strong>San</strong>to che ci identifica con il Cristo<br />

pasquale, attirato verso il Padre fino all’unione. Fin dall’inizio<br />

del Capitolo noi siamo stati invitati, con convinzione, a<br />

ravvivare il nostro senso di Dio. Richiamo giustificato presso<br />

tutti gli uomini, ma tanto di più presso gli eredi di <strong>Bruno</strong>!<br />

Come non sentirsi a volte presi da vertigini al pensiero d<strong>ei</strong><br />

moniti degli Statuti: più la via che percorriamo è elevata, più<br />

noi rischiamo per il semplice peso della natura di scivolare e<br />

di ritrovarci infinitamente più in basso!<br />

Lasciati a noi stessi non riusciremmo mai ad evitare quest’<br />

ineluttabile caduta. Vivere alla presenza di Dio, nel silenzio<br />

della solitudine, è una grazia che defluisce direttamente dal<br />

cuore di Dio in quello di <strong>Bruno</strong>, per raggiungere il nostro. La<br />

constatazione, quotidianamente rinnovata, d<strong>ei</strong> nostri limiti,<br />

fronte alle aspre spigolature della nostra vocazione, ci ricorda<br />

continuamente che dobbiamo metterci alle dipendenze del<br />

canale di via rappresentato da <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>.<br />

* * *<br />

La dolcezza così avvincente che stilla dalle sue lettere,<br />

quando lascia che il suo cuore si apra a coloro che lo amano,<br />

ci lascia presentire che questa vocazione non è un’opera di<br />

forza o di violenza, ma, raggiunta la sua fonte, il frutto della<br />

confidenza pacifica in Colui che si è donato a noi una volta per<br />

tutte. Il sigillo della verità della nostra dipendenza da <strong>San</strong><br />

<strong>Bruno</strong> mi sembra essere, precisamente, la qualità dell’amore<br />

che ci lega ai nostri fratelli, nella confidenza e nella pace.<br />

Dio, ci dice ancora la Carta, ha fatto di noi una sola famiglia<br />

legata al sigillo dell’unità delle persone divine, attraverso <strong>San</strong><br />

<strong>Bruno</strong>. Egli è divenuto, diciamo quasi per essenza, un<br />

fermento d’unità tra noi. Ancora una volta sottolin<strong>ei</strong>amo che è


la sua stessa persona che gioca questo ruolo e non il suo<br />

insegnamento così discreto. Poiché quest’uomo, nel<br />

profondo del suo cuore, si pose definitivamente in faccia a<br />

Dio, in intimità apparentemente esclusiva con lui, noi<br />

godremo per sempre della sua tenerezza traboccante, la<br />

quale si riverserà su di noi e ci porrà al nostro turno nell’unità<br />

della famiglia certosina, divenuta come un centro trasparente<br />

nel seno del quale possiamo sperare di contemplare Dio.<br />

* * *<br />

Maestro <strong>Bruno</strong>, innamorato dell’Unico, libero da tutto ciò<br />

che passa, uomo dal viso sereno e felice, così<br />

profondamente desideroso di ritrovare i tuoi lontani fratelli del<br />

deserto della Certosa, all’inizio di questo anno che noi<br />

consacriamo al desiderio di lasciarci trasformare da te,<br />

guarda questa piccola famiglia certosina, di cui noi<br />

simboleggiamo l’unità nelle nostre origini così diverse e<br />

guarda nello stesso tempo al Dio vivente davanti al quale tu ti<br />

poni e dal quale tu s<strong>ei</strong> incaricato di trasmetterci una passione<br />

sempre più ardente.<br />

Noi ci offriamo alla luce di cui tu s<strong>ei</strong> il messaggero e<br />

benediciamo il Signore che ti ha donato a noi come Padre,<br />

grazie all’intercessione di Maria sempre Vergine. Amen.


<strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> 1983<br />

I I<br />

Il RITRATTO DI BRUNO<br />

“Il mio spirito esulta nel Signore”<br />

Il Capitolo Generale ci presenta <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> come il canale<br />

attraverso il quale, ancora oggi, ci arriva la grazia della nostra<br />

vocazione. Questa immagine ci porta a scorgere<br />

l’irraggiamento diretto che emana dalla sua persona, il quale<br />

ci trasmette il dono di Dio e nello stesso tempo ci rievoca una<br />

questione nella quale noi incappiamo ogni tanto: perché lo<br />

Spirito <strong>San</strong>to non ha ispirato il nostro Padre, nella vita nel<br />

deserto, a donarci un insegnamento al quale noi potremmo<br />

ricorrere per guidare il nostro cammino?<br />

Il vecchio teologo di R<strong>ei</strong>ms, l’uomo che per anni ha<br />

commentato la parola di Dio, quest’uomo di cui la grazia<br />

prima fu d’insegnare, non ha lasciato ai suoi figli che una<br />

corta lettera. Questo è tutto. Dobbiamo constatarlo con<br />

disappunto o non sarebbe forse meglio, per il nostro cuore,<br />

cercare in questo una volontà di Dio ricca di luce per meglio<br />

comprendere e vivere la nostra vocazione?<br />

Cerchiamo, dunque, di vedere se la lettera di <strong>Bruno</strong>, ai suoi<br />

figli della Certosa, ci aiuta a comprendere perché non aveva<br />

insegnamenti da donarci sulla via contemplativa.<br />

* * *<br />

La prima constatazione sulla quale vorr<strong>ei</strong> soffermarmi è che<br />

questa lettera s’indirizza proprio a noi. Se la confrontiamo con


la lettera a Raoul le Verd, che appare più seducente in<br />

ragione della densità del pensiero che in essa ci si trova,<br />

come non essere colpiti dalla differenza di tono che implica<br />

un coinvolgimento totalmente differente del cuore di <strong>Bruno</strong>, in<br />

uno e nell’altro caso.<br />

Il messaggio a Raoul è l’espressione di un’amicizia<br />

profonda, di lunga data, provata. La lettera ai suoi fratelli è la<br />

scottatura diretta di un amore scaturito dal fondo del cuore di<br />

<strong>Bruno</strong>. La differenza di tono salta agli occhi: per parlare a<br />

Raoul occorre essere formale, evitare di offenderlo se ci sono<br />

cose dure a dirsi, lo stile è accurato, la composizione è<br />

elaborata. Con i suoi fratelli - anche se probabilmente non li<br />

conosce tutti - è sufficiente comprendersi a mezze parole. Il<br />

cuore parla liberamente, poiché sa di essere in accordo con<br />

quello d<strong>ei</strong> suoi corrispondenti.<br />

La lettera a Raoul lascia trasparire una nota d’inquietudine,<br />

se non di angoscia, al pensiero che l’amico d<strong>ei</strong> giorni antichi<br />

potrebbe, per la sua infedeltà, perdersi definitivamente. Per<br />

<strong>Bruno</strong> è un dovere di coscienza ricordarglielo. Con i suoi<br />

fratelli, al contrario, anche se ogni tanto deve raddrizzare<br />

qualche deviazione, non è che un’esplosione di gioia,<br />

d’allegria: con loro è in famiglia. Egli parla di ciò che vive in<br />

comunione con loro.<br />

In breve, <strong>Bruno</strong>, pur lasciandoci percepire che egli pensa<br />

agli uomini molto concreti che vivevano allora nel deserto<br />

della Certosa, ci consegna il suo cuore in ciò che ha d’eterno,<br />

potremmo dire nel rispetto di chiunque conduce l’esistenza di<br />

cui ha gettato il primo seme qualche anno prima sotto l’egida<br />

di <strong>San</strong>t’Ugo. La sua lettera è dunque proprio destinata a noi.<br />

* * *


Quale aspetto di <strong>Bruno</strong> essa ci mostra in primo luogo? Egli<br />

è un uomo all’ascolto. In qualche modo egli scompare per<br />

divenire nient’altro che disponibilità, accoglienza profonda n<strong>ei</strong><br />

confronti d<strong>ei</strong> suoi figli. Tutto ciò che scrive è espressione di<br />

questa attenzione intensa agli altri e della reazione immediata<br />

di gioia o d’amore che essa risveglia in lui.<br />

<strong>Bruno</strong> si lascia informare da Landuino: non solamente<br />

riceve da lui qualche notizia d<strong>ei</strong> monaci che ha lasciato nelle<br />

montagne della Certosa, ma più ancora egli è impressionato<br />

dai sentimenti di fierezza, di felicità, d’affetto che il suo<br />

successore prova n<strong>ei</strong> confronti d<strong>ei</strong> suoi fratelli. Dal primo<br />

momento egli ha percepito il tono di confidenza che regna alla<br />

Certosa ed egli comunica in maniera del tutto naturale, poiché<br />

è in perfetta sintonia con i suoi fratelli.<br />

Egli si mette dunque all’ascolto di ciò che vivono gli uni,<br />

nella loro solitudine stretta, gli altri, nella semplicità della loro<br />

obbedienza. Egli li vede, con gioia, restar fedeli al loro ideale,<br />

il medesimo ideale che lui stesso aveva fatto loro scoprire.<br />

“Ho appreso, - egli dice -; ho inteso Landuino dirmi; odo<br />

parlar di voi dal vostro priore e padre amorevolissimo”. (1.1 e<br />

2.1). <strong>Bruno</strong> si lascia invadere dalla presenza d<strong>ei</strong> suoi figli.<br />

E immediatamente lo si sente all’ascolto di ciò che Dio ha<br />

fatto in loro: con più lucidità, senza dubbio, d<strong>ei</strong> suoi stessi figli<br />

egli coglie quanto le loro opere buone o degne d’elogio<br />

vengono finalmente dal Signore che le ha compiute in loro. E<br />

<strong>Bruno</strong> insegna ai loro figli a mettersi, al proprio turno,<br />

all’ascolto dell’Onnipotente, al fine di scoprirlo nelle loro vie.<br />

Essi sono amati da Lui: è questa la loro vera ricchezza e non<br />

l’inflessibile rigore della loro osservanza, poiché questa viene<br />

dalla loro sola buona volontà. “Rallegratevi ... della vostra<br />

beata sorte e dell’abbondanza di grazie che Dio vi ha<br />

prodigato” (1.3).


<strong>Bruno</strong>, pervenuto alla piena maturità della sua via<br />

contemplativa, è un uomo all’ascolto d<strong>ei</strong> suoi fratelli e di Dio,<br />

al fine di entrare nel movimento dell’amore.<br />

* * *<br />

L’altro versante di questa piena disponibilità di cuore di<br />

<strong>Bruno</strong> è una tendenza spontanea all’azione di grazia.<br />

Scoprendo n<strong>ei</strong> suoi fratelli le meraviglie di Dio egli esulta e, in<br />

due riprese, sono le parole del Magnificat che egli prende a<br />

prestito per esprimere i trasporti d’allegria da cui è ghermito.<br />

Solo l’umiliazione, che egli prova constatando la sua propria<br />

miseria, sembra inaridire il suo slancio trionfatore per lodare<br />

il Signore.<br />

Perciò egli non può impedirsi d’invitare i suoi figli a<br />

rallegrarsi, a proprio turno, davanti alla loro beata sorte. E’ una<br />

vera litania di “Rallegratevi” che a loro indirizza. Poi egli<br />

compara la loro situazione privilegiata, puro dono gratuito del<br />

Cielo, a quella di numerose anime di buona volontà che<br />

hanno tentato in tutte le maniere di raggiungere lo stesso<br />

“porto nascosto”, senza successo, poiché ciò non era stato<br />

loro accordato dall’alto (cf. 1.3).<br />

Il modo in cui egli addestra i suoi benamati fratelli laici a<br />

riconoscersi come d<strong>ei</strong> privilegiati del Padre d<strong>ei</strong> Cieli è ancora<br />

più delicato e persuasivo. Per coloro “che non sanno né<br />

leggere né scrivere, il dito potente di Dio scrive n<strong>ei</strong> loro cuori,<br />

non solo l’amore, ma anche la conoscenza della sua legge”<br />

(2.2). L’obbedienza autentica che essi praticano con una<br />

piena generosità costituisce il frutto di questa divina scrittura<br />

deposta sulla loro anima ed essa ne garantisce la verità.<br />

Come non si sentirebbero portati anche loro a rendere grazie<br />

all’autore di tali doni?<br />

* * *


Una constatazione s’impone davanti a queste reazioni di<br />

<strong>Bruno</strong>. Il suo cuore, che non cessa di volgersi verso Dio per<br />

ogni cosa, non sembra che pensare ai suoi fratelli. Il<br />

passaggio più impressionante della lettera, a questo<br />

riguardo, è la conclusione. Ci si aspetterebbe una sorta di<br />

esortazione all’interno della quale egli inviterebbe i suoi<br />

fratelli a volgersi verso Dio con più fervore. Niente di tutto<br />

questo. <strong>Bruno</strong> si accontenta di insistere con delicatezza, ma<br />

con forza, sulla carità che i fratelli della Certosa debbano<br />

manifestare, negli atti, al loro priore malato (cf.3.2-4).<br />

Veramente il cuore di <strong>Bruno</strong> è tanto infiammato dell’amore<br />

di Dio quanto dell’amore per i suoi fratelli. Egli non si sente<br />

distratto da uno di questi amori a spese dell’altro. E’ chiaro<br />

che il primo e il secondo comandamento non sono che uno in<br />

<strong>Bruno</strong>.<br />

E questo amore non è solamente un sentimento interiore:<br />

esso sente l’urgente bisogno di incarnarsi nel concreto della<br />

vita. Sia a livello della solitudine che a quello dell’obbedienza,<br />

egli riconduce i suoi fratelli all’essenziale della loro vita. E<br />

quando si tratta di manifestare amore a Landuino malato, i<br />

dettagli pratici non fanno difetto.<br />

<strong>Bruno</strong> ha incontrato Dio una volta per tutte e la sua relazione<br />

d’amore con Lui s’incarna nel vissuto reale. Non si ha<br />

assolutamente l’impressione di un uomo che si dispera in un<br />

agire esteriore a se stesso. Egli dimora in una comunione<br />

d’amore con l’unica sorgente di tutto il bene, fino n<strong>ei</strong> dettagli<br />

concreti.<br />

* * *


All’inizio di queste riflessioni ci domandavamo se la lettera<br />

di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> ai suoi fratelli della Certosa, nella sua brevità,<br />

fosse sufficiente a trasmetterci il solo insegnamento esplicito<br />

che da lui potessimo avere. Ora cosa possiamo dire in<br />

proposito?<br />

Questa lettera ci è indirizzata. Essa colloca davanti a noi una<br />

figura di monaco dai tratti possenti e dal cuore immenso. Egli<br />

è innamorato di Dio e d<strong>ei</strong> suoi fratelli senza limite, al punto di<br />

dimenticarsi di sé stesso. Il suo amore per il Signore lo rinvia<br />

ai suoi fratelli. La sua tenerezza per i fratelli gli fa scoprire, in<br />

essi, un altro viso del Signore.<br />

La sua via contemplativa - puramente contemplativa - non si<br />

sente appesantita dalla presenza viva e vivace d<strong>ei</strong> suoi fratelli<br />

nel suo cuore. Egli non si accontenta di dire che gli è<br />

sufficiente amare Dio e che in Lui egli ama il mondo intero. I<br />

suoi fratelli sono degli esseri concreti che hanno un posto<br />

nella sua interiorità senza disturbare l’attenzione all’Altissimo.<br />

Al contrario, essi sono rivelatori del grande Amore di Dio per il<br />

solitario: tutta la sua vita contemplativa è fondata sull’armonia<br />

interiore ed esteriore, tra solitudine e vita fraterna.<br />

In un secondo tempo, la stessa lettera ci manifesta la<br />

convinzione intimamente ancorata al cuore di <strong>Bruno</strong>: la via che<br />

egli ha tracciato nel cuore d<strong>ei</strong> suoi fratelli associa in maniera<br />

radicale il dono puramente gratuito che il Signore loro<br />

elargisce di una vita di notevole pace, di silenzio e<br />

d’obbedienza e, nello stesso tempo, un’osservanza che deve<br />

essere austera, fedele, perseverante, stabile contro tutte le<br />

seduzioni esteriori.<br />

<strong>Bruno</strong> non domanda niente di più ai suoi discepoli. Tutto il<br />

resto è questione di vocazione personale, chiamata a<br />

svilupparsi all’interno di un quadro saldo e ampio che egli<br />

stesso ha disegnato.


Senza dubbio la descrizione di questo quadro richiede un<br />

po' di parole. Era necessario che <strong>Bruno</strong> ne dicesse di più?<br />

Non credo. Egli lascia a Dio la sua libertà e all’obbedienza il<br />

compito di far fronte alle necessità contingenti. Tutto il resto ci<br />

verrà da <strong>Bruno</strong> attraverso il canale segreto della sua santità.<br />

Nostro Padre <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>, insegnaci nel segreto a<br />

rallegrarci sempre più della nostra beata sorte e<br />

dell’abbondanza d<strong>ei</strong> benefici che Dio ci prodiga grazie a te.<br />

Amen.


Ognissanti 1983<br />

(<strong>Bruno</strong> a Raoul)<br />

I I I<br />

LA SANTITA’ DI BRUNO<br />

“Che sete nella mia anima<br />

per il<br />

Dio forte e vivente!”<br />

In questa festa di Ognissanti, in un anno più specialmente<br />

consacrato a metterci alla scuola di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>, mi è parsa<br />

interessante l’idea di cercare ciò che il nostro stesso Beato<br />

Padre lascia cogliere della sua santità, soprattutto nella<br />

lettera a Raoul le Verd. Perché preferibilmente in questa<br />

lettera? Perché <strong>Bruno</strong>, desideroso di toccare il cuore del suo<br />

vecchio amico, vi lascia parlare il suo cuore. La lettera è<br />

composta sotto il segno di una sottile alternanza tra il<br />

richiamo alle esigenze spietate della giustizia<br />

dell’Onnipotente e l’esposizione di ciò che vi è di seducente,<br />

in una vita tutta consacrata a Dio. Quando si lancia su questo<br />

secondo tema è evidente che <strong>Bruno</strong> non fa della retorica: in<br />

termini appena velati egli dice ciò che ha vissuto, ciò che vive<br />

ancora nell’istante in cui scrive.<br />

Anche se il desiderare di convincere Raoul può indurire<br />

alcune affermazioni di <strong>Bruno</strong>, non sembra imprudente cercare<br />

di ritrovare il movimento profondo e sincero della sua anima<br />

in ciò che dice con tanto ardore di fiamma, per la bellezza<br />

della vita che conduce.<br />

* * *


E’ facile ascoltare, così, <strong>Bruno</strong> confidarci il segreto della sua<br />

santità, poiché ciò è contenuto in tre paragrafi di una<br />

rimarchevole unità, ciascuno secondo una propria linea.<br />

Il primo forma ciò che si può chiamare l’inno alla solitudine.<br />

<strong>Bruno</strong>, in termini non equivoci, ci racconta ciò che vive nel suo<br />

deserto della Calabria; a quattro riprese egli comincia la sua<br />

frase: Qui gli uomini ardenti ... Qui si ricerca quest’occhio<br />

puro... Non è un’esposizione astratta che egli ci dona sui<br />

frutti spirituali della vita nel deserto. Sono considerazioni<br />

concrete, poi evocazioni rapide, quasi folgoranti, delle figure<br />

bibliche che sono per lui le illustrazioni più convincenti della<br />

luce che lo abita (cf. A Raoul 6).<br />

Il secondo paragrafo - il più apertamente autobiografico - è il<br />

racconto della conversione di <strong>Bruno</strong>, nel giardino della casa<br />

d’Adam, in compagnia di Raoul e di Foulcoie le Borgne. I fatti<br />

sono ancora vivi nel cuore di <strong>Bruno</strong> come se li avesse appena<br />

vissuti. Egli ha ricevuto là un’impronta di Dio stesso che mai<br />

scomparirà (cf. 13).<br />

Il terzo passaggio chiave, a nostro proposito, è quello in cui<br />

<strong>Bruno</strong> lascia intravedere la scottatura del suo cuore, fronte<br />

all’unico bene: “ Esiste un bene comparabile a Dio? Esiste un<br />

altro bene all’infuori di Dio?... Davanti allo splendore<br />

incomparabile di questo bene l’anima è accesa d’amore”<br />

(16). Come dubitare che <strong>Bruno</strong>, scrivendo queste parole, ci<br />

confidi qualche cosa del suo segreto?<br />

* * *<br />

La prima impressione che si prova, leggendo questi testi, è<br />

quella di trovarsi alla presenza di un’anima ardente e<br />

traboccante di sensibilità spirituale. Già l’insieme della lettera<br />

ce lo mostra animato di una tenerezza inesauribile per l’amico<br />

d<strong>ei</strong> vecchi tempi, a dispetto degli anni e delle distanze.


Ma quando incomincia a parlare delle cose di Dio, egli non<br />

può contenere la sua emozione.<br />

Si è anche colpiti di vedere il vecchio monaco, formato dalla<br />

rude disciplina del deserto, utilizzare liberamente il<br />

vocabolario dell’amore umano: quando vuole dire “quanto la<br />

solitudine e il silenzio del deserto donano ai loro innamorati<br />

utilità e godimento divino “, “Qui, continua, si ricerca<br />

quest’occhio puro e limpido di cui il chiarore guarda ferito<br />

d’amore lo sposo.” (6).<br />

E non sono che delle figure femminili piene di tenerezza che<br />

egli evoca per illustrare, dalla Bibbia, il suo entusiasmo:<br />

Rachele la preferita, anche se ha poco dell’innocenza<br />

infantile; Maria di Betania, appassionatamente silenziosa ai<br />

piedi di Gesù; la bella Sunammita, che ha saputo riaccendere<br />

il cuore di Davide. Sole queste immagini sembrano, a <strong>Bruno</strong>,<br />

capaci d’esprimere la profondità dell’incontro con il Signore<br />

che egli esperimenta in solitudine.<br />

E’ lo stesso uomo che si ritrova nel giardino d’Adam. La<br />

grazia lo colpisce all’improvviso nel corso di una<br />

conversazione sulla futilità dell’esistenza mondana ed eccolo,<br />

in un sol colpo, stravolto per sempre. Egli si dona totalmente<br />

e mai tornerà indietro, a differenza d<strong>ei</strong> suoi compagni.<br />

* * *<br />

Pertanto <strong>Bruno</strong> non è un sentimentale che si lascia guidare<br />

da impressioni a fior di pelle. Altri hanno già notato quanto per<br />

lui la nozione di utilità sia importante. Non certo nel senso di<br />

un rendimento umano da conquistare, ma nel senso di una<br />

vita che deve portare autentici frutti divini.<br />

<strong>Bruno</strong> è un uomo pratico. Per lui la via contemplativa non<br />

consiste nel nutrire flutti d’idee sublimi: si tratta di prendere i


mezzi efficaci per giungere a Dio. Egli è perfettamente<br />

cosciente che la sua solitudine è il luogo dove “si abbandona<br />

ad un ozio assai occupato e ad una attività completamente<br />

rilassata. Qui, egli dice, in premio dello sforzo nella battaglia,<br />

Dio dona ai suoi valorosi la ricompensa attesa: la pace che il<br />

mondo ignora e la gioia nello Spirito <strong>San</strong>to.”<br />

Allo stesso modo, dall’istante in cui la grazia della<br />

conversione ha trafitto la sua anima, egli non tergiversa. Le<br />

decisioni concrete seguono immediatamente: lasciare il<br />

mondo, prendere l’abito monastico, mettersi alla ricerca delle<br />

verità eterne. La scelta è fatta: egli si lega con un voto.<br />

Non è un eco di questo movimento radicale verso l’assoluto<br />

che si trova nel crescendo così rapido del suo esposto sul<br />

desiderio dell’unico bene? Presentarsi davanti al volto di Dio,<br />

non vi è che quello di veramente utile (cf.16).<br />

* * *<br />

Un’altra dominante del movimento interiore di <strong>Bruno</strong> è<br />

l’evidenza che lo abita della vanità di tutte le ricchezze terrestri,<br />

di tutti gli effetti in cui il successo umano fronteggia la<br />

pienezza traboccante che si trova in Dio. La sua vocazione,<br />

egli dice, consiste nel “ lasciare il secolo fugace per mettersi<br />

alla ricerca delle realtà eterne” (13).<br />

Tutta la lettera indirizzata a Raoul è costruita secondo<br />

questo schema di pensiero. Spontaneamente <strong>Bruno</strong> vi è<br />

ritornato, non solamente poiché considera l’argomento adatto<br />

a convincere il suo interlocutore, ma molto più, forse, poiché<br />

egli non vive che di ciò, dal giorno in cui egli stesso ha<br />

ricevuto la chiamata. Questo stesso itinerario è da lui descritto<br />

quando evoca le sue occupazioni in solitudine: “Qui agli<br />

uomini ardenti è permesso, tanto quanto desiderino, di<br />

rientrare in sé stessi, di dimorarvi, di coltivare senza riposo i


germogli delle virtù e di nutrirsi con gioia d<strong>ei</strong> frutti del<br />

paradiso” (6).<br />

<strong>Bruno</strong> è stato definitivamente sedotto dalla bellezza, dalla<br />

bontà divina nella quale egli trova grande pace e non può<br />

comprendere la situazione di lacerazione interiore del suo<br />

amico: “Non è una pena orribile e inutile essere tormentati dai<br />

propri desideri, straziarsi d’affanni e d’angoscia senza posa,<br />

nel timore e nel dolore che generano questi desideri?...Fuggi<br />

dunque, o mio fratello, fuggi tutti questi turbamenti e queste<br />

inquietudini e passa dalla tempesta di questo mondo al<br />

riposo e alla sicurezza del porto” (9). Anche tenuto conto<br />

dell’esagerazione letteraria di queste affermazioni, è certo che<br />

<strong>Bruno</strong> si considera come privilegiato d’aver trovato il suo<br />

riposo nel segreto del volto do Dio.<br />

* * *<br />

Fermiamoci, infine, ad un ultimo aspetto dell’attitudine<br />

interiore di <strong>Bruno</strong>. Di fronte alla realtà incomparabile di Dio<br />

egli non pensa più a se stesso. Per tutto il corso della sua<br />

lettera, egli rimane preoccupato per i pericoli spirituali incorsi<br />

dal suo amico, ma lascia sgorgare il suo entusiasmo di fronte<br />

alla pienezza infinita dell’Onnipotente. Ad eccezione di una<br />

corta frase per deplorare le sue miserie interiori, sembra che<br />

<strong>Bruno</strong> si sia totalmente dimenticato (cf.3). Egli non è più in<br />

nulla centrato su sé stesso.<br />

La contemplazione di <strong>Bruno</strong> è pura; essa è rivolta verso la<br />

realtà di Dio e non sulle opere, pur le più meravigliose che<br />

egli potrebbe compiere nella sua anima. Troppo sovente, in<br />

noi goffi debuttanti, la preghiera è un modo distratto di<br />

occuparci di noi stessi: sotto il pretesto di essere attenti a<br />

progredire verso la perfezione, Dio rischia di essere<br />

soprattutto il benefico fattore che plasmerà la nostra santità<br />

personale. Non vi è traccia di questa debolezza in <strong>Bruno</strong>.


Per lui non vi è niente di così giusto e di così utile che d’amar<br />

il bene, l’unico Bene (cf.16).<br />

* * *<br />

Possiamo, al termine di questa breve lettura della lettera a<br />

Raoul, farci un’idea della fisionomia di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>? E’ un<br />

uomo “afferrato dall’Unico”, come dirà uno d<strong>ei</strong> suoi amici<br />

dopo la sua morte. Con tutta la fiamma del suo cuore egli<br />

vuole fare opera utile, vale a dire cercare il volto di Dio,<br />

acquisire lo sguardo puro e semplice al quale si rivela<br />

l’Altissimo. Egli lo fa in un movimento di grande amore per i<br />

suoi fratelli, ma nel desiderio vigoroso di liberarsi di tutte le<br />

costrizioni di questa terra che non sono ordinate a questo<br />

scopo.<br />

Anche se questi tratti ci permettono di abbozzare un volto<br />

molto caratteristico del nostro Padre, riconosciamo pure che<br />

grandi zone della sua fisionomia restano evanescenti. Che<br />

sappiamo, per esempio, del posto di Cristo, della sua morte e<br />

della sua Pasqua nella preghiera di <strong>Bruno</strong>?<br />

Molte altre questioni analoghe potrebbero sorgere, alle<br />

quali, gli scritti lasciati da <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> stesso, non recano<br />

risposta.<br />

E’ dunque una sorta d’icona stilizzata del nostro Beato<br />

Padre che la Provvidenza ha voluto esporre al nostro amore e<br />

alla nostra devozione. Tutto il resto lo si attinge nel patrimonio<br />

generale e non costituisce parte essenziale dell’apporto di<br />

<strong>Bruno</strong>, figlio obbedientissimo della Chiesa. Lasciamoci,<br />

dunque, semplicemente modellare da questa icona che è<br />

portatrice del senso perpetuo del nostro posto nel Corpo di<br />

Cristo. Amen.


I V<br />

LA SOLITUDINE SECONDO BRUNO<br />

Immacolata Concezione 1983<br />

“Il rigore della clausura<br />

diventerebbe un’osservanza farisaica<br />

se non fosse il segno di questa<br />

purezza di cuore a chi solo è<br />

promesso di vedere Dio”.<br />

(SR6.4)<br />

Maria immacolata, puro specchio dell’Altissimo, accoglienza<br />

perfettamente limpida del Verbo di Dio, permane per l’eternità<br />

il modello mai eguagliato di tutta la via contemplativa. In l<strong>ei</strong> si<br />

adempie, per sempre, la beatitudine d<strong>ei</strong> cuori puri e, di l<strong>ei</strong>, i<br />

nostri Statuti dicono che è la sola fiamma segreta che dona<br />

senso alla nostra solitudine. In questa luce verginale della<br />

Madre di Dio io vorr<strong>ei</strong>, ancora oggi, che ci mettessimo<br />

all’ascolto di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>. Lasciamo che egli ci parli e che ci<br />

dica ciò che era per lui la solitudine, di cui lo Spirito <strong>San</strong>to gli<br />

aveva insegnato la profondità.<br />

* * *<br />

Innanzitutto, sottolin<strong>ei</strong>amo che <strong>Bruno</strong>, nelle sue lettere, non<br />

sembra fermarsi per nulla alla solitudine materiale, anche se<br />

è evidente che essa costituisce le fondamenta di tutto ciò che<br />

scrive. Parlando a Raoul della vita che egli conduce in<br />

Calabria, si accontenta di dire: “Io abito in un deserto<br />

separato, in ogni suo lato, da tutte le abitazioni” (4), senza<br />

insistere di più sulla lontananza dal mondo.


Scrivendo ai suoi figli della Certosa, non gli viene in mente<br />

di affrontare il tema della solitudine del luogo della Certosa,<br />

tanto la cosa è chiara. Egli ci ha vissuto. Ha sperimentato il<br />

taglio radicale che vi si effettua n<strong>ei</strong> confronti delle regioni<br />

abitate circostanti. Cosa potrebbe egli aggiungere che non<br />

conoscano e non vivano già i suoi fratelli? Forse vi è un<br />

richiamo discreto di tutto ciò, quando egli dice ai: “suoi figli<br />

amatissimi in Cristo... : Io ho imparato l’inflessibile rigore<br />

della vostra osservanza saggia e veramente degna di elogi”<br />

(1.1).<br />

Ma alla fine sentiamo bene che il cuore di <strong>Bruno</strong> pensa ad<br />

altro e non a parlare della salvaguardia del deserto.<br />

Per contro, noi lo sentiamo molto vicino al testo degli Statuti<br />

col quale abbiamo incominciato, quando prosegue nella<br />

medesima lettera: “Io ho sentito il nostro felicissimo fratello<br />

Landuino dirmi il vostro santo amore e il vostro zelo<br />

instancabile per la purezza del cuore e della virtù” (id.).<br />

<strong>Bruno</strong> è un maestro in materia di solitudine, ma la sua<br />

inclinazione è di scrutarne la dimensione spirituale, senza<br />

indugiare nell’osservanza esteriore che essa implica, con<br />

evidenza, ai suoi occhi.<br />

Il primo sentimento che sgorga sotto la penna di <strong>Bruno</strong> è<br />

che la solitudine vera, la solitudine stabile e profonda è un<br />

dono totalmente gratuito di Dio: “Rallegratevi, mi<strong>ei</strong> cari fratelli,<br />

della vostra beata sorte e dell’abbondanza delle grazie che<br />

Dio vi ha prodigato... Rallegratevi di essere entrati in<br />

possesso del riposo e della sicurezza, avendo potuto gettare<br />

l’ancora nel porto più nascosto” (1.3).<br />

La solitudine è una grazia da ricevere con riconoscenza.<br />

Essa non è l’opera della nostra volontà, per perseverante che<br />

sia. Essa non è il frutto d’una tecnica umana. Come non avere


desta attenzione per l’insistenza con la quale <strong>Bruno</strong><br />

rammenta questa verità che noi corriamo il rischio di<br />

dimenticare in eterno?<br />

“Molti vorrebbero arrivarci; molti vi si sforzano senza mai<br />

riuscirci; molti infine, dopo esserci giunti, non vi sono<br />

ammessi, poiché ad ognuno di loro il cielo non l’ha accordato<br />

“ (1.4).<br />

E <strong>Bruno</strong> non esita a concludere: temiamo di “perdere questa<br />

beatitudine così desiderabile per una ragione o per l’altra” se<br />

non vogliamo “provare pena continua” (id.). La solitudine,<br />

soprattutto la solitudine interiore, quella in cui si gioisce nella<br />

pace del riposo e della sicurezza, questa solitudine si può<br />

perdere. Che il Signore ci conservi un cuore riconoscente alla<br />

sua grazia.<br />

* * *<br />

Fermiamoci su di un altro aspetto della vita solitaria, tale la<br />

si percepisce sotto la penna di <strong>Bruno</strong>. Essa è austera, aspra,<br />

esigente. Senza dubbio egli non ha sviluppi speciali<br />

consacrati a questo tema, ma lo si percepisce in filigrana<br />

lungo tutto il corso delle lettere. E’ una realtà normalissima<br />

agli occhi di <strong>Bruno</strong> e lui ne parla soprattutto a proposito delle<br />

conseguenze pratiche di questo “inflessibile rigore”<br />

dell’osservanza solitaria. Egli menziona a Raoul, per<br />

esempio, “le fatiche dello spirito troppo fragile” che gli sono<br />

imposte dal “rigore della disciplina regolare e dagli esercizi<br />

spirituali “ (3).<br />

Più significativo ancora è il piccolo incidente sopravvenuto<br />

nella comunità della Certosa, il quale obbliga <strong>Bruno</strong> ad aprire<br />

gli occhi d<strong>ei</strong> monaci sul loro dovere di fronte alla santità<br />

vacillante del loro padre e priore. Certo, essi lo amano molto<br />

profondamente, ma per fedeltà al rigore della loro vita essi<br />

non osano intervenire e procurargli addolcimento, di cui è


tuttavia evidente che egli abbisogna. (cf.3.2).<br />

Da parte sua, Landuino, temendo di correre il rischio<br />

d’incitare al rilassamento l’uno o l’altro d<strong>ei</strong> suoi fratelli, forse<br />

“preferisce mettere la sua vita in pericolo piuttosto che<br />

mancare in qualche cosa al rigore dell’osservanza” (3.3).<br />

Di fronte a questo eccesso, <strong>Bruno</strong> reagisce con prontezza.<br />

“Ciò è inaccettabile!” (id.), poiché è sicuro che non vi è alcuna<br />

possibilità di trascuratezza fra i compagni di Landuino.<br />

Eccoci dunque immersi in un mondo monastico in cui è di<br />

rigore una grande austerità. <strong>Bruno</strong>, tuttavia, non teme di dire<br />

che essa è “saggia e degna di elogi” (1.1). E la migliore prova<br />

è l’atmosfera di gioia che essa irradia. Bisognerebbe<br />

moltiplicare le citazioni che fanno percepire la gioia<br />

permanente di <strong>Bruno</strong>, quella alla quale egli invita i suoi fratelli,<br />

quella che egli promette a Raoul se, a suo turno, verrà nel<br />

deserto. Poiché si tratta veramente di una grazia del cielo che<br />

fiorisce in solitudine: “Qui, in premio dello sforzo del<br />

combattimento, Dio dona ai suoi valorosi la ricompensa<br />

attesa: la pace che il mondo ignora e la gioia nello Spirito<br />

<strong>San</strong>to” (6).<br />

* * *<br />

Diciamo una parola, infine, della straordinaria tenerezza che<br />

irradia dalle parole di <strong>Bruno</strong>, poiché si tratta della sua propria<br />

confessione, di una dimensione essenziale della vita<br />

solitaria, tale egli la vive e tale egli la desidera condividere con<br />

coloro che ama. Tenerezza per Dio, ma ugualmente tenerezza<br />

per gli uomini. Cominciamo da quest’ultima.<br />

L’abbiamo già notato: nulla ci porta a credere che per <strong>Bruno</strong><br />

la solitudine sia un rifiuto degli altri, un muro alzato tra lui e i<br />

suoi fratelli. Al contrario, lo si sente attento a tutte le


dimensioni di un’autentica carità. La sola parola un po’ dura<br />

riguarda i “laici oziosi e girovaghi “ che, in prossimità della<br />

Certosa, rischierebbero di contaminare i fratelli conversi se<br />

essi non “li fuggissero come la peste” (2.4).<br />

Per esser brevi, fermiamoci ad un solo passaggio poiché è<br />

senza dubbio il più significativo: quello in cui <strong>Bruno</strong> domanda<br />

ai suoi fratelli della Certosa di meglio vigilare sulla santità di<br />

Landuino. In termini appena velati, <strong>Bruno</strong> fa sentire loro che<br />

essi sono prigionieri di un’osservanza troppo materiale, così<br />

come il loro priore senza dubbio (cf. 3.2-3). E tuttavia che<br />

testimonianza di tenerezza fraterna <strong>Bruno</strong> offre agli uni e agli<br />

altri!: “Ho voluto custodire vicino a me il fratello Landuino a<br />

causa delle sue gravi e numerose malattie. Ma per lui è fuori<br />

questione di ritrovare lontano da voi la santità, la gioia, la vita,<br />

né altro che valga ed ha opposto un rifiuto. Le sue lacrime<br />

abbondanti per voi, i suoi sospiri ripetuti testimoniano<br />

apertamente quanto voi contate per lui e di quale amore<br />

senza macchia egli vi ami tutti. Io, pure, non ho voluto forzarlo<br />

al fine di non ferire alcuno: né lui, né voi che mi siete così cari<br />

in ragione delle vostre virtù” (3.1).<br />

Il cuore di <strong>Bruno</strong> si lascia vincere senza resistenza<br />

dall’amore di Landuino per i suoi fratelli. Non è indifferente, in<br />

effetti, al priore della Certosa di essere in cella a mille miglia<br />

dai suoi fratelli o vicinissimo a loro. La sua solitudine, per<br />

essere autentica, deve essere una comunione d’amore<br />

vissuta ogni giorno con loro, in mezzo a loro.<br />

* * *<br />

La tenerezza divina che dischiude nel cuore di <strong>Bruno</strong> la vita<br />

nel deserto, si trova soprattutto cantata in ciò che io chiamavo<br />

l’Inno alla solitudine (A Raoul, 6 e 7). Al di fuori di tutte le<br />

teorie, <strong>Bruno</strong> lascia semplicemente parlare l’esperienza che<br />

sta vivendo. Si esita a cominciare o a parafrasare questo


acconto dell’incontro segreto tra Dio e il nostro beato Padre.<br />

Non sarebbe meglio dire che noi dobbiamo soprattutto<br />

sforzarci di seguirlo?<br />

Noi siamo veramente vicino alla sorgente nascosta che<br />

scaturisce dal fondo del deserto. Che noi sappiamo<br />

percorrere tutte le tappe necessarie per giungervi e attingervi<br />

sull’esempio di <strong>Bruno</strong>. Egli ci ha confidato il suo segreto.<br />

Egli ci dice, così, che cosa sia la solitudine per lui. Egli non<br />

la vede come un luogo di orrore e di spoliazione inumano, ma<br />

gli dona i tratti di queste donne della Bibbia, di cui la tenerezza<br />

misteriosa e nascosta gli è sembrata più significativa. La<br />

solitudine è la bella Rachele poco feconda, è la bella<br />

Sunammita che deve infuocare il nostro cuore, è la migliore<br />

parte attribuita da Gesù a Maria di Betania.<br />

Che la Vergine Immacolata ci aiuti a scoprire questa<br />

solitudine, luogo d’incontro con Dio. Maria, madre di Gesù:<br />

non è l<strong>ei</strong>, più di chiunque altro, questa solitudine benedetta e<br />

piena di grazia dello Spirito <strong>San</strong>to? Amen.


Natale 1983<br />

V<br />

LA TENEREZZA DI DIO<br />

“La tenerezza di Dio<br />

nostro Salvatore<br />

si è manifestata per noi uomini”<br />

(cf. Tit 3,4-6)<br />

La liturgia d<strong>ei</strong> giorni di Natale ci porta a leggere, a più<br />

riprese, queste parole in cui <strong>San</strong> Paolo lascia trasparire la<br />

sua meraviglia davanti ad una realtà che oltrepassa sempre<br />

la nostra attenzione, ogni volta che noi la contempliamo:<br />

l’amore infinito dell’Altissimo per le sue creature, nascosto ai<br />

secoli eterni, è divenuto la tenerezza di Dio nostro Salvatore.<br />

Essa si è manifestata. Essa è ora vicina a noi. Essa ha<br />

aderito al reale di ciò che noi viviamo. Questa tenerezza del<br />

Padre è il piccolo bambino che ci è donato; ma essa è opera<br />

di salvezza ed è per questo che fin dal primo istante il neonato<br />

si trova sfidato dalla durezza dell’umanità concreta. Non vi è<br />

posto per accogliere i poveri viaggiatori che sono i suoi<br />

genitori. La sola culla disponibile è una mangiatoia degli<br />

animali. Il re ha paura di perdere il suo trono e reagisce di<br />

conseguenza. In breve, Gesù non ha nemmeno il tempo di<br />

apparire quaggiù che il peccato dell’uomo, nostra debolezza<br />

congenita, si getta su di Lui. E’ quella la vera tenerezza di Dio:<br />

una bontà che va a ricongiungersi con coloro che lo amano,<br />

laddove essi sono realmente.<br />

* * *


Amer<strong>ei</strong> meditare un po’, in questa prospettiva, sulla nostra<br />

vita monastica ispirandomi a d<strong>ei</strong> passaggi della lettera a<br />

Raoul le Verd, n<strong>ei</strong> quali <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> lascia al suo cuore tutta la<br />

libertà di esprimersi per scuotere il suo vecchio amico ed<br />

aiutarlo a prendere, infine, la decisione di essere fedele al<br />

suo voto.<br />

A dire il vero, le avventure di Raoul non ci toccherebbero<br />

affatto se questo personaggio non fosse stato così prossimo<br />

a <strong>Bruno</strong>, in circostanze così eccezionali. Ciò che ci interessa<br />

in lui è che egli è stato, in qualche modo, lo specchio nel<br />

quale si sono riflessi i sentimenti profondi del nostro primo<br />

Padre di fronte alla decisione, che tutti a qualsiasi età siamo<br />

chiamati a prendere, di consacrare la vita interamente al<br />

Signore: perché siamo così lenti, così reticenti, così fiacchi a<br />

donarci per qualcosa di buono?<br />

<strong>Bruno</strong>, il santo Maestro <strong>Bruno</strong> stesso, nelle sue due lettere<br />

si lascia sfuggire d<strong>ei</strong> gemiti quando pensa a tutto ciò che gli<br />

fa difetto, in confronto a ciò che egli vorrebbe donare a Dio:<br />

”Veramente io attendo in preghiera un gesto della divina<br />

misericordia affinché guarisca tutte le mie miserie interiori e<br />

appaghi il mio desiderio” (3).<br />

Forse lo dimentichiamo troppo facilmente: la vita monastica<br />

è una via di perpetua conversione, vale a dire un incontro<br />

continuamente rinnovato tra “la tenerezza di Dio nostro<br />

Salvatore che si manifesta per noi”, poveri monaci, e le<br />

condizioni così difettose di accoglienza che noi gli offriamo. La<br />

grazia di Natale, così come noi ora cerchiamo di considerarla,<br />

s’identifica realmente con il nostro voto di conversione d<strong>ei</strong><br />

costumi.<br />

* * *


Veniamo dunque alla lettera di <strong>Bruno</strong> a Raoul. Un ultimo<br />

dubbio deve essere affrontato, prima di poterci mettere senza<br />

reticenze alla sua scuola. E’ legittimo prendere come guida di<br />

vita monastica un testo di circostanza, indirizzato ad un uomo<br />

vivente nel mondo? Quale ispirazione ha guidato <strong>Bruno</strong> nello<br />

scriverlo?<br />

La sua intenzione non crea dubbi. Egli s’indirizza ad un<br />

uomo che, contemporaneamente a lui, si è impegnato davanti<br />

a Dio. “Tu ti ricordi che io ti amo. Noi eravamo un giorno<br />

entrambi in compagnia di Fulcoie le Borgne... Infiammati di<br />

divino amore noi abbiamo deciso di lasciare senza indugio il<br />

secolo fugace per metterci alla ricerca delle realtà eterne e di<br />

ricevere l’abito monastico” (13). Agli occhi di <strong>Bruno</strong>, Raoul è<br />

già legato davanti a Dio dalla sua decisione. E’ già vincolato<br />

alla vita monastica.<br />

Raoul è sottomesso alla tentazione, una tentazione da<br />

principiante. Ma c’è una differenza essenziale tra la prova di<br />

un esordiente e quella che d<strong>ei</strong> vecchi monaci conoscono<br />

molti anni dopo? Si tratta sempre, anche se le modalità di<br />

dettaglio evolvono, di scelte fondamentali di cui le<br />

conseguenze vanno dispiegandosi fino al fondo dell’intimo<br />

del nostro cuore: amare Dio o amare il mondo. Tale è la<br />

questione posta da <strong>Bruno</strong>, senza equivoci e che ciascuno di<br />

noi deve affrontare ogni volta che una nuova manifestazione di<br />

“Dio nostro Salvatore” gli mostra che il mondo regna ancora<br />

sovrano in un angolo del suo cuore. <strong>Bruno</strong>, d’altronde, non<br />

lascia posto ad alcun dubbio; anche i servizi esteriori<br />

legittimamente esercitati per l’utilità della Chiesa<br />

impallidiscono davanti alla suprema utilità e alla suprema<br />

giustizia: amare esclusivamente l’unico bene (16). Noi siamo<br />

veramente in presenza della scelta monastica in tutta la sua<br />

purezza.<br />

* * *


Cominciamo a ritrovare, brevemente, il filo del pensiero di<br />

<strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> mentre espone al suo amico la lotta d<strong>ei</strong> due amori<br />

di cui il suo cuore è in balìa e che dovrebbe risolversi in una<br />

sete esclusiva per il Dio forte e vivente.<br />

Dopo aver cantato “quanto la solitudine e il silenzio del<br />

deserto apportino agli innamorati utilità e piacere divino” (6),<br />

<strong>Bruno</strong> viene alla bella Sunammita, la vergine che simboleggia<br />

per lui tutta la forza d’attrazione dell’incontro con Dio nel<br />

deserto e scrive: “Se mai la tenerezza per l<strong>ei</strong> nascesse nel tuo<br />

animo, allo stesso modo la seducente e carezzevole<br />

ingannatrice, che è la gloria del mondo, tu disgusteresti” (7).<br />

Ecco posto il dilemma. Ma ahimé oggi Raoul è amico del<br />

mondo e dunque si è fatto nemico di Dio. Eccolo coinvolto nel<br />

peggiore d<strong>ei</strong> disordini, calato in una situazione contro ogni<br />

ragione (8).<br />

Che cosa gli resta da fare, se non ascoltare il richiamo della<br />

Verità: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi ed io<br />

vi ristorerò”. E’ l’unica via che si apre a Raoul per uscire “dalla<br />

tempesta di questo mondo e passare al riposo e alla<br />

sicurezza del porto” (9). Allora egli potrà divenire il discepolo<br />

della divina Saggezza, restare alla sua scuola e lì apprendervi<br />

la filosofia di Dio che sola rende veramente felici (10).<br />

Bruscamente il tono cambia e <strong>Bruno</strong> pone il suo amico in<br />

faccia a Dio, di fronte alla santità di Dio, o piuttosto di fronte<br />

alla gloria dell’Altissimo che non può accettare di essere<br />

oltraggiato dal rifiuto di Raoul di adempiere al suo voto (13<br />

e14); poi di fronte alla bellezza, allo splendore del solo vero<br />

bene, Dio stesso, che attira con il suo infinito potere di<br />

seduzione, qualsiasi siano i servizi umani che Raoul potrebbe<br />

rendere nella sua carica di prevosto della chiesa di R<strong>ei</strong>ms (15<br />

e 16).


E per finire, ecco un ultimo argomento, chiaro rivelatore del<br />

cuore di <strong>Bruno</strong>. Dopo tutti i grandi motivi teologici, pensa a<br />

me, egli dice al suo amico, pensa al mio amore per te: “che<br />

cessi nella mia anima il tormento delle inquietudini, delle<br />

preoccupazioni e della paura che essa prova per te” (17).<br />

* * *<br />

Eccoci ora a piè d’opera per scoprire la pedagogia di <strong>Bruno</strong><br />

di fronte al lavoro, incessantemente rinnovato, della<br />

conversione monastica.<br />

Chiunque, un giorno, ha seriosamente scelto di divenire<br />

monaco ha dapprima incontrato una misteriosa Sunammita.<br />

Essa ha infiammato il suo cuore d’amore divino e tutte le<br />

seduzioni del mondo si sono “trovate senza sforzo rigettate”<br />

(7). L’ideale verso il quale tende il monaco è divenuto molto<br />

chiaro ai suoi occhi e con fermezza vi si è vincolato. Ma quanto<br />

lontana, nello scorrere d<strong>ei</strong> giorni, diviene la bella Sunammita<br />

di fronte alla realtà concreta del quotidiano. L’amore del<br />

mondo, che si era rifugiato n<strong>ei</strong> recessi segreti del cuore,<br />

compare di nuovo e un segno ben chiaro manifesta la sua<br />

presenza: il disordine che esso mantiene nell’animo.<br />

Inquietudini, tenebre, disgusto, tutto ciò riflette che “l’amore<br />

del Padre non regna in lui” esclusivamente (8). Sovente non è<br />

la volontà cosciente che provoca ciò che <strong>Bruno</strong> chiama<br />

“impareggiabile manifestazione di uno spirito sregolato e<br />

decaduto” (id.), ma delle tensioni scaturite dalla zona oscura<br />

del cuore dove regnano ancora gli amori per la creatura che<br />

non sono stati purificati. Situazione dolorosa e che a volte<br />

sembrerebbe senza uscita, poiché non si arriva ad individuare<br />

la radice del male.<br />

“Cosa fare allora, o amatissimo, dice <strong>Bruno</strong>, cosa fare se


non credere ai consigli divini, credere alla Verità che non può<br />

sbagliare? Essa dona in effetti questo avvertimento a tutti:<br />

“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi ed io vi<br />

ristorerò” (9). Tale è la grande risposta quando l’opera di<br />

conversione supera le nostre forze: non cercare, in primo<br />

luogo, di purificarsi, ma cominciare ad andare a Gesù poiché<br />

Egli ha promesso di ristorarci. Venire a Lui, caricati del suo<br />

pesante fardello e depositarlo semplicemente tra le sue<br />

mani.<br />

Noi vediamo qui all’opera la tenerezza di Dio nostro<br />

Salvatore. Che noi siamo giovani novizi o anziani veterani,<br />

non abbiamo altra salvezza a nostra disposizione che Colui<br />

che viene in questa Tenerezza incarnata, Colui il quale ha<br />

portato e continua a portare, fino alla fine d<strong>ei</strong> tempi, tutte le<br />

nostre infermità. Così, grazie a Lui, lasciamo la regione<br />

pericolosa delle tempeste e degli uragani per penetrare nel<br />

“riposo e sicurezza del porto” (9).<br />

Ma occorre, malgrado tutto, fare il passo grazie al quale noi<br />

supereremo l’ostacolo sul quale abbiamo inciampato, questo<br />

amore segreto per il mondo che si opponeva nel nostro cuore<br />

all’amore leale del Padre. <strong>Bruno</strong> parla allora di rinunciare a<br />

tutto ciò che si ha per divenire il discepolo della Saggezza<br />

(10). La lotta che abbiamo conosciuto veniva dal fatto che noi<br />

contavamo sui nostri propri beni, le nostre piccole luci, la<br />

sicurezza tutta umana di ciò che noi immaginavamo aver ben<br />

compreso. Con tutto questo, di cui noi eravamo divenuti<br />

proprietari, noi speravamo volare con le nostre proprie ali<br />

verso il Signore.<br />

E la Saggezza eterna, attraverso la voce di <strong>Bruno</strong>, ci dice<br />

tutto il contrario. “Ti conviene rinunciare a ciò che tu credi<br />

avere, restare alla scuola di questa Saggezza divina, sotto la<br />

guida del <strong>San</strong>to Spirito e apprendervi la filosofia di Dio” (10).<br />

Occorre che il tuo sia un cuore di discepolo, un cuore che


apprende. “Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui,<br />

viene a me” (Gv 6,43), dice Gesù stesso nel Vangelo di<br />

Giovanni. Utile e bell’insegnamento, dice <strong>Bruno</strong>, che è il frutto<br />

della sofferenza portata e finalmente affidata alla tenerezza di<br />

Dio.<br />

* * *<br />

<strong>Bruno</strong> cambia, allora, bruscamente di registro. Ci sono<br />

giorni, sembra egli dire, in cui la situazione si presenta<br />

completamente diversa. Sono le scelte fondamentali di fronte<br />

a Dio che bisogna saper riassumere, un po’ come se<br />

ripartissimo da zero. Alla fin fine, il cammino percorso fino<br />

allora non era che una tappa preparatoria a questo nuovo<br />

incontro con la Gloria e la Bellezza di Dio. Lo stato di dialogo<br />

profondo tra Dio e il monaco si trova messo a nudo, in piena<br />

luce. Io mi sono impegnato di fronte all’Altissimo: Egli si è<br />

impegnato di fronte a me (cf.12). Dove sono io n<strong>ei</strong> confronti di<br />

questa scelta? Il mio cuore ha seguito il dritto cammino<br />

implicato nel dono primo che Egli ha fatto di sé stesso?<br />

<strong>Bruno</strong> impiega, allora, un vocabolario che ci urta, forse nella<br />

misura in cui egli sembra consegnarci senza difese alla<br />

vendetta di Dio (14). In realtà, sotto queste parole vigorose è<br />

evocata la distanza infinita che si è formata tra ciò che noi<br />

avremmo dovuto donare, di noi stessi, a Dio e ciò che,<br />

parsimoniosamente, per leggerezza o inconseguenza, ci<br />

siamo accontentati di donare.<br />

Viene il momento in cui è bene rendersi conto che essere<br />

amati da Dio e aver da rispondere al suo amore non è un<br />

gioco o una sorta di contrattazione dalla quale ci si può ritirare<br />

a buon mercato. Agli occhi di Dio il nostro amore ha grande<br />

valore, ha valore infinito, poiché è la risposta al suo proprio<br />

amore. Come potrebbe Egli non aprirci gli occhi, un giorno, su<br />

ciò che noi rappresentiamo per Lui? Forse ci ritroveremo


utalmente scrollati dalla scoperta che ci è così imposta. Ma<br />

non è l’unica via di salvezza per noi, quella di rimetterci sul<br />

giusto cammino?<br />

* * *<br />

<strong>Bruno</strong> segnala, allora, a Raoul un’ultima maniera di cercare<br />

di crearsi d<strong>ei</strong> falsi pretesti per evitare di donarsi puramente e<br />

semplicemente all’amore di Dio (16). Ci siamo esposti,<br />

anche noi, nel silenzio della nostra cella o proprio nel segreto<br />

del nostro cuore: non ci sono tutte le buone ragioni di pensare<br />

che si potrebbe mostrare utile e generoso rendere d<strong>ei</strong> servizi<br />

che non ci sono richiesti, intraprendendo d<strong>ei</strong> lavori che non<br />

nascono dall’obbedienza?<br />

La risposta di <strong>Bruno</strong> è appassionata e tanto più tagliente<br />

quanto più è appassionata (16): “Niente di più giusto e di più<br />

utile che amare il bene, l’unico Bene”, egli dice. Là è il nostro<br />

posto e non altrove. La giustizia o l’utilità di tutto l’agire<br />

impallidisce di fronte a quest’abbandono totale in Dio. <strong>Bruno</strong><br />

ci riporta così alla fonte ultima di tutto l’amore di Dio. Lui solo<br />

è buono, interamente, senza riserva, senza equivoco. Lui ci ha<br />

creati per trovarlo e mai il nostro cuore si quieterà fintanto che<br />

non l’avrà pienamente incontrato.<br />

* * *<br />

L’ultimo paragrafo (17) della lettera, in cui <strong>Bruno</strong> termina di<br />

perorare la causa di Raoul, abbiamo notato che è pieno d’una<br />

dolcezza e di un calore umano che si dovrebbe ritrovare<br />

presso tutti coloro che camminano sulle tracce del nostro<br />

beato Padre. Tutto ciò che <strong>Bruno</strong> ha potuto dire fino allora,<br />

delle vie previste da Dio per attenderlo nel silenzio della<br />

solitudine, è bello, ma vi è un’altra via semplice, modesta,<br />

quanto vera ed efficace: quella di camminare verso Dio a


fianco d<strong>ei</strong> nostri fratelli di cui l’amore ci sostiene, ci<br />

accompagna, ci incoraggia. Aver la certezza che le nostre lotte<br />

sono supportate dalla loro preghiera e dalla loro amicizia, che<br />

le nostre prove pesano sul loro proprio cuore e che le nostre<br />

gioie li illuminano tanto quanto noi, tutto ciò e già un incontro<br />

con la tenerezza di Dio nostro Signore.<br />

Veramente è buono e dolce per d<strong>ei</strong> fratelli restare nell’unità,<br />

quella dell’amore che viene dal Padre. Amen.


V I<br />

L’OBBEDIENZA DEI PRIMI CONVERSI<br />

Presentazione del Signore 1984<br />

“Voi manifestate negli atti<br />

ciò che ama e ciò che conosce il vostro cuore,<br />

quando voi praticate la vera obbedienza.”<br />

(<strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> ai suoi ben amati fratelli laici)<br />

La presentazione di Gesù al tempio e la purificazione della<br />

Vergine Madre di Dio sono d<strong>ei</strong> misteri che ci rivelano quanto<br />

tutta l’Incarnazione del Figlio è fondata su di una relazione<br />

d’obbedienza al Padre, obbedienza che si esprime in gesti<br />

semplici e pratici, ma che manifesta nel linguaggio di quaggiù<br />

la dipendenza d’amore che unisce Dio e il suo Unico per tutta<br />

l’eternità.<br />

Tutta la nostra esistenza di cristiani e, più ancora, la nostra<br />

vocazione di monaci sono edificate su questa obbedienza di<br />

Gesù e devono, a loro turno, incarnarsi in atti d’obbedienza<br />

ispirati da Lui. Noi abbiamo proprio la grazia di possedere,<br />

dalla stessa mano di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>, un piccolo trattato<br />

dell’obbedienza in alcuni paragrafi che egli scrive ai fratelli<br />

conversi della Certosa. Ciò che egli dice è breve, ma si pone<br />

in maniera purissima nella linea della nostra propria vita.<br />

Tentiamo dunque, per meglio metterci alla scuola del Cristo<br />

obbediente, di lasciarci insegnare da <strong>Bruno</strong>, esultante di<br />

gioia, davanti all’opera di Dio: Dio stesso educa<br />

all’obbedienza i suoi benamati fratelli laici.


Tale è, in effetti, l’ottica fondamentale di <strong>Bruno</strong>: ciò che fa<br />

traboccare d’allegria il suo cuore, mentre Landuino gli parla<br />

dell’obbedienza d<strong>ei</strong> suoi fratelli, è di veder all’opera, in essi, la<br />

misericordia senza misura del Signore. La loro obbedienza è<br />

dono meraviglioso di Dio l’onnipotente. Il loro “priore e padre<br />

amorosissimo” può, a giusto titolo, essere fiero e felice d<strong>ei</strong><br />

suoi fratelli (cf.2.1), poiché la loro condotta è ammirabile, ma<br />

essa è il frutto della grazia di Dio che tocca il loro cuore.<br />

E’ a partire da questa prima luce che va sviluppandosi il<br />

pensiero di <strong>Bruno</strong>, facendo scoprire ai suoi fratelli la bellezza<br />

del lavoro divino in essi e incitandoli ad essere fedeli. Questo<br />

pensiero si articola secondo tre temi successivi: l’opera di<br />

Dio, l’opera d<strong>ei</strong> suoi fratelli e la caricatura dell’obbedienza<br />

donata dagli erranti.<br />

* * *<br />

Innanzitutto, <strong>Bruno</strong> spiega ai suoi fratelli il lavoro segreto di<br />

Dio n<strong>ei</strong> loro cuori: “Per voi, che non sapete né leggere né<br />

scrivere, Dio Onnipotente scrive con il suo dito n<strong>ei</strong> vostri cuori<br />

l’amore e la conoscenza della sua legge santa. Sì: voi<br />

dimostrate con gli atti ciò che voi amate o ciò che voi<br />

conoscete quando praticate in tutta prudenza e generosità la<br />

vera obbedienza. E’ evidente allora che voi sapete raccogliere<br />

il frutto infinitamente dolce e pieno di vita di ciò che Dio scrive<br />

in voi” (2.2).<br />

<strong>Bruno</strong> scopre n<strong>ei</strong> suoi fratelli ciò che, al dire di Geremia e<br />

della Lettera agli Ebr<strong>ei</strong>, è una caratteristica fondamentale<br />

della nuova Alleanza: “Io porrò la mia legge nel loro animo, la<br />

scriverò sul loro cuore”. (Ger 31,33; Eb 8,10 e 10,16). Ma<br />

<strong>Bruno</strong> la esprime in termini più concreti, più realisti, parlando<br />

non solamente della legge, ma “dell’amore e della<br />

conoscenza della legge santa” scritta dal dito di Dio, il <strong>San</strong>to<br />

Spirito, n<strong>ei</strong> cuori d<strong>ei</strong> suoi fratelli.


Questa precisione è illuminante poiché mostra che per <strong>Bruno</strong><br />

la vera obbedienza è la manifestazione, a livello delle opere,<br />

di uno slancio del cuore già infiammato dall’amore e dalla<br />

conoscenza che Dio stesso vi ha inciso in tratti di fuoco. La<br />

conclusione che <strong>Bruno</strong> trae dall’obbedienza d<strong>ei</strong> suoi fratelli è<br />

allora evidente ai suoi occhi: essi non devono far altro che<br />

“raccogliere il frutto infinitamente dolce e vivificante” di questa<br />

scrittura divina incisa nel loro cuore.<br />

Lo stesso testo di <strong>Bruno</strong> comporta un gioco di parole<br />

intraducibile. Egli evoca in effetti l’idea che obbedendo essi<br />

leggono, essi decifrano il testo divino inscritto sui loro cuori.<br />

Essi ignorano le lettere umane, ma è Dio stesso che scrive al<br />

loro posto, nel profondo del loro animo ed è lo Spirito <strong>San</strong>to<br />

che decifra questo testo traendoli all’obbedienza più<br />

autentica.<br />

* * *<br />

Il secondo risvolto del pensiero di <strong>Bruno</strong> è una descrizione<br />

dell’obbedienza vera, tale la praticano i suoi fratelli della<br />

Certosa. “Essa è, egli dice, il compimento della volontà di Dio;<br />

nello stesso tempo essa dona accesso alla sottomissione<br />

completa secondo lo Spirito, di cui essa è il segno distintivo.<br />

Essa non può esistere senza molta umiltà e un eccezionale<br />

abnegazione. Sempre l’accompagnano un amore puro per il<br />

Signore e un’autentica carità per gli altri” (2.3).<br />

L’obbedienza è dunque, agli occhi di <strong>Bruno</strong>, in priorità, una<br />

maniera di comportarsi n<strong>ei</strong> confronti del Signore: essa è, egli<br />

dice “il compimento della volontà di Dio... Sempre<br />

l’accompagna un purissimo amore del Signore”.


In un secondo tempo essa comporta una maniera di vivere<br />

davanti agli uomini. Parola per parola, <strong>Bruno</strong> dice che essa è<br />

“la chiave e il sigillo della sottomissione completa secondo lo<br />

Spirito”. L’idea della “sottomissione” implica tanto l’attitudine<br />

a lasciarsi insegnare che ad accettare tutti gli ordini ricevuti.<br />

Leggendo questa descrizione dell’obbedienza si vede che, a<br />

<strong>Bruno</strong>, parlare di Dio che inscrive la sua legge nel segreto del<br />

cuore, non fa perdere di vista le conseguenze facilmente<br />

controllabili che questo comporta: molta umiltà e<br />

un’eccezionale abnegazione. Allo stesso modo che<br />

l’obbedienza di Gesù l’ha portato fino alla morte e alla morte<br />

di croce, così l’obbedienza del monaco, che affonda le sue<br />

radici nello stesso amore del Padre, lo accompagnerà a tutti<br />

gli abbassamenti e a tutte le spoliazioni.<br />

Fuori dubbio che Landuino, parlando della qualità<br />

dell’obbedienza d<strong>ei</strong> suoi fratelli, sia disceso fino ai dettagli<br />

concreti che hanno provocato l’entusiasmo di <strong>Bruno</strong>.<br />

* * *<br />

Il terzo aspetto affrontato dalla lettera di <strong>Bruno</strong> fa un po’ da<br />

contrasto a ciò che ha appena detto delle bellezze<br />

dell’obbedienza. Egli continua dicendo: “Fuggite, fuggite come<br />

la peste...” queste genti che fanno esattamente il contrario di<br />

ciò che voi vivete e che rischierebbero di farvi decadere (cf.<br />

2.4).<br />

Essi sanno leggere, ma solamente d<strong>ei</strong> pezzi di carta e<br />

nemmeno li comprendono e non amano ciò che decifrano, al<br />

posto di comprendere e d’amare le divine scritture incise sui<br />

loro cuori.


Essi contraddicono n<strong>ei</strong> loro atti ciò che dicono, in luogo di fare<br />

della loro vita come un segno visibile di ciò che essi<br />

comprendono e amano.<br />

Essi non hanno che odio o disprezzo per l’obbedienza e<br />

tutte le forme di sottomissione, come per coloro che le<br />

praticano.<br />

In breve, la realtà storica di questi erranti, anche se è<br />

provata, non ha che un interiore mediocre per noi, in confronto<br />

al valore del segno che essi assumono di fronte alla santità<br />

luminosa d<strong>ei</strong> fratelli della Certosa. Essi ne sono la negazione<br />

completa, punto per punto. Così, essi appaiono come il<br />

simbolo della tentazione alla quale l’obbedienza resta<br />

sempre esposta.<br />

* * *<br />

Dopo aver tentato d’analizzare la maniera in cui <strong>Bruno</strong><br />

concepisce l’obbedienza, cerchiamo ora di raggruppare tutto<br />

ciò che egli dice in qualche prospettiva pratica.<br />

L’obbedienza non è una costrizione impostaci dall’esterno.<br />

Essa è una forza scaturita dalla sorgente profonda scavata da<br />

Dio stesso nel più intimo del nostro cuore, quando ci ha<br />

segnati con il sigillo del suo Figlio nello Spirito <strong>San</strong>to.<br />

Poiché per lungo tempo abbiamo percepito l’obbedienza<br />

come una violenza che ci è stata fatta, siamo certi che<br />

dobbiamo progredire molto per poterci stabilire in una<br />

dipendenza autentica n<strong>ei</strong> confronti dello Spirito <strong>San</strong>to. La vera<br />

obbedienza non può mettere radici che in un essere che si è<br />

deciso per un cammino di conversione che mira a far regnare<br />

in lui la nuova ed eterna Alleanza, in un essere che sta per<br />

perdere il suo cuore di pietra per ricevere da Dio stesso un<br />

cuore di carne, sul quale Egli inscriverà, in tratti indelebili,


l’amore e la conoscenza della sua legge santa.<br />

L’obbedienza è infine un’attitudine contemplativa. Essa<br />

esprime, quando mira alla sua perfezione, un’armonia totale<br />

tra lo Spirito di Dio e il nostro agire, una comunione con Dio,<br />

non solo nelle parole o n<strong>ei</strong> sentimenti, ma nel dono reale di<br />

noi stessi.<br />

Si degnino la Vergine purissima e il suo Figlio umilissimo<br />

essere per noi il modello e la fonte di un’obbedienza che ci<br />

renderà, così, graditi al Padre.


V I I<br />

LE TAPPE DELL’INCONTRO CON DIO<br />

1° <strong>Dom</strong>enica di Quaresima<br />

“Tutto ciò che la solitudine<br />

e il silenzio del deserto<br />

apportano ai loro innamorati<br />

in utilità e piacere divino,<br />

solo lo sanno coloro che l’hanno gustato”.<br />

(A Raoul 6)<br />

La liturgia della prima <strong>Dom</strong>enica di Quaresima costituisce<br />

una celebrazione della sosta di Gesù in solitudine, alla quale<br />

tutta la <strong>San</strong>ta Quarantena ci fa comunicare nel silenzio, nel<br />

raccoglimento, nella povertà. Cerchiamo così, quest’anno,<br />

d’entrare con Cristo nel deserto prendendo per guida gli<br />

insegnamenti di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>. Nella sua lettera a Raoul, egli ci<br />

confida l’esperienza tutta infiammata del suo cuore, alle prese<br />

con la solitudine e il silenzio. Non sono delle belle teorie che<br />

egli sviluppa, ma la condivisione di ciò che egli vive con i suoi<br />

fratelli, in questo deserto situato nel paese di Calabria.<br />

Lasciamoci, dunque, modellare dal cuore di <strong>Bruno</strong> che così si<br />

apre davanti a noi.<br />

* * *<br />

<strong>Bruno</strong> comincia la sua lettera a Raoul donandogli delle<br />

notizie. E’ così che viene a parlare del deserto che egli abita,<br />

in Calabria, con qualche compagno. Egli s’attarda a vantare il<br />

fascino del paesaggio e poi avvia una transizione: “Per il<br />

saggio altri sono i piaceri, ben più dolci e più utili, poiché<br />

divini” (5). Tuttavia, <strong>Bruno</strong> non vuole sotto stimare il merito d<strong>ei</strong><br />

b<strong>ei</strong> spettacoli della natura stessa, a guadagno di coloro che si


donano alla vita spirituale: “Se l’arco resta teso<br />

costantemente, si allenta e non può più adempiere la sua<br />

funzione” (id.). E’ bene che vi siano d<strong>ei</strong> tempi di riposo, se si<br />

vuole rimanere disponibili alla preghiera.<br />

Poi <strong>Bruno</strong> torna seriamente al tema che gli sta a cuore:<br />

“Tutto ciò che la solitudine e il silenzio del deserto apportano<br />

ai loro innamorati in utilità e piacere divino, solo lo sanno<br />

coloro che l’hanno gustato” (6).<br />

Dopo qualche riga d’intervallo, <strong>Bruno</strong> riprende le stesse<br />

idee, quasi le stesse parole. Si tratta di un punto che gli sta a<br />

cuore: il deserto genera, in colui che gli si affida, piacere e<br />

utilità, ma d’una qualità tutta particolare poiché sono divini. Il<br />

solo vero piacere, la sola utilità degna di questi nomi, agli<br />

occhi di <strong>Bruno</strong>, è d’incontrare Dio, di lasciarsi trasformare da<br />

Lui. In termini appena velati <strong>Bruno</strong> ha già confidato il suo<br />

segreto. Tutto il resto non farà che precisare la maniera in cui<br />

il deserto compie la sua opera di trasfigurazione dell’uomo ad<br />

immagine di Dio.<br />

Ma <strong>Bruno</strong> sembra porre una condizione preliminare per<br />

essere compreso: possono cogliere i suoi pensieri solo<br />

coloro che hanno sperimentato la realtà di cui si va parlando.<br />

Non si tratta di forzare il senso delle sue parole, ma di<br />

comprendere il suo pensiero: per osare parlare della<br />

solitudine e del silenzio del deserto, bisogna averle affrontate<br />

ed essersene innamorati; per evocare l’utilità e il piacere<br />

divino, che essi generano, bisogna averli gustati. Se hai<br />

vissuto ciò di cui ti parlo, mi comprenderai a mezze parole, se<br />

invece non l’hai ancora vissuto sul serio, mettiti all’opera e un<br />

giorno potremo parlarci.<br />

* * *


<strong>Bruno</strong> comincia allora ad enumerare, in una serie di frasi<br />

estremamente semplici, i profitti e le gioie divine del suo<br />

deserto: “Qui gli uomini ardenti possono tanto quanto<br />

vogliono rientrare in se stessi e lì rimanervi, praticare<br />

vigorosamente le virtù e nutrirsi con delizia d<strong>ei</strong> frutti del<br />

Paradiso.<br />

Qui si cerca attivamente l’occhio, il cui il terso sguardo<br />

ferisce d’amore lo sposo, l’amore puro e trasparente che<br />

vede Dio.<br />

Qui ci preme un ozio occupato e ci immobilizziamo in una<br />

tranquilla attività.<br />

Qui per la pena del combattimento, Dio dona ai suoi valorosi<br />

la ricompensa attesa: la pace che il mondo ignora e la gioia<br />

nello Spirito <strong>San</strong>to” (6).<br />

Questa corta enumerazione non è una semplice<br />

nomenclatura, essa è l’esposto di una progressione: essa<br />

rivela delle tappe che non seguono in disordine, ma portano<br />

dritti ad uno scopo. Rileggiamola più attentamente.<br />

“Qui gli uomini ardenti possono tanto quanto vogliono”. Il<br />

deserto pienamente assunto è il luogo della libertà. <strong>Bruno</strong><br />

non si ferma a parlare della separazione degli uomini o delle<br />

regole concrete della solitudine in comunità. Tutto questo<br />

porta ad una meta: liberare gli uomini decisi a superare tutto<br />

ciò che potrebbe paralizzarli nel loro slancio. La solitudine<br />

esteriore non ha altro motivo, né criterio di perfezione.<br />

E immediatamente egli parla della prima tappa, quella che<br />

introduce nella sola vera solitudine che interessa a <strong>Bruno</strong>:<br />

“Rientrare in sé stessi e dimorarvi”. I muri della cella non<br />

hanno altra ragion d’essere che di farci rientrare in noi stessi<br />

per stabilirvi la nostra residenza stabile. Non facciamoci<br />

tuttavia delle illusioni: questa tappa, come ciascuna delle<br />

seguenti, è descritta in quattro o cinque parole, ma quello non


vuol dire che il solitario la supererà con la stessa rapidità.<br />

Rientrare in sé stessi e dimorarvi rappresenta una<br />

conversione radicale della nostra intelligenza e del nostro<br />

cuore, che non può che effettuarsi lentamente al prezzo di un<br />

lavoro lungo e perseverante.<br />

Poi, in misura che lo si stabilisce in questa solitudine<br />

interiore, un altro lavoro s’impone: coltivare e praticare<br />

vigorosamente le virtù. Ascesi, mortificazione, educazione d<strong>ei</strong><br />

sensi e dello spirito: è tutta una metamorfosi divina delle<br />

nostre facoltà che bisogna operare con l’aiuto della grazia. E,<br />

nella misura in cui queste virtù si sviluppano e arrivano a<br />

maturazione, ci è permesso di nutrirci con delizia d<strong>ei</strong> frutti del<br />

Paradiso. Il deserto interiore diviene fecondo e ci fa scoprire<br />

qualche cosa di Dio.<br />

Bisogna, tuttavia, andare più lontano e acquistare una<br />

maniera d’essere contemplativi al prezzo di un’educazione più<br />

profonda del nostro cuore. <strong>Bruno</strong> si abbandona, allora, ad una<br />

descrizione a prima vista sconcertante: “Qui si cerca<br />

attivamente l’occhio il cui terso sguardo ferisce d’amore lo<br />

sposo: l’amore puro e trasparente che vede Dio”. L’occhio<br />

interiore, di cui parla <strong>Bruno</strong>, non è destinato a veder Dio: è<br />

solamente capace di causare una ferita d’amore. L’occhio, la<br />

capacità di vedere, di cogliere, ci porta ad amare lo sposo, ma<br />

la Parola di Dio lo ripete molte volte: Dio non è visibile ai nostri<br />

occhi. Le Beatitudini lo ridicono in maniera velata quando<br />

esse annunciano: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.<br />

Solo il cuore, solo l’amore possono veder Dio. Tale è il<br />

pensiero di <strong>Bruno</strong>. Occorre rendere pacifico e sereno lo<br />

sguardo dello spirito, lungo il corso di una ricerca vigorosa,<br />

per renderlo atto all’amore dello sposo. E’ nella purezza e<br />

nella trasparenza di questo amore che Dio si donerà a<br />

contemplare.


Questa tappa ci introduce in una forma più radicale di silenzio<br />

e di solitudine. Lo spirito è chiamato a liberarsi di tutte le<br />

impurità che lo turbano e che perturbano la sua limpidezza.<br />

Non è invano che <strong>Bruno</strong> parla di un lavoro attivo di ricerca di<br />

quest’occhio dallo sguardo trasparente. Al di là delle virtù<br />

ricche di frutto, vi è , secondo l’insegnamento tradizionale d<strong>ei</strong><br />

padri del deserto, la purezza del cuore. Essa è il luogo<br />

nascosto nel fondo della solitudine interiore, verso il quale<br />

bisogna senza posa affrettarsi lentamente per vedere Dio.<br />

Ma non siamo ancora giunti al termine del pellegrinaggio.<br />

<strong>Bruno</strong>, a nuovo, lascia presentire che la ricerca attiva di cui ha<br />

parlato non è ancora un’attitudine contemplativa stabile: essa<br />

pone, al contrario, il solitario in una situazione di dissenso e<br />

di contraddizione: “Qui ci preme un ozio occupato e noi ci<br />

immobilizziamo in una tranquilla attività”. Non è per il gusto<br />

del paradosso che egli associa in una maniera così stretta<br />

delle parole dai significati diversi, se non contraddittori. Le<br />

gioie del riposo sono là. Le soddisfazioni dell’ardente attività<br />

che conduce a Dio si fanno ancora sentire. Esse sono<br />

giustapposte e si rinviano lo spirito dall’una all’altra. L’attività<br />

conduce al riposo. Il riposo si dimostra occupatissimo, ci<br />

scompiglia e ci rinvia ad una nuova attività.<br />

Ci sono alcune gioie e profitti spirituali in questa tappa, ma<br />

essa non risveglia granché l’idea della stabilità. E’ un tempo<br />

di crescita e di metamorfosi interiore. Non si tratta più per il<br />

monaco di peregrinare in un deserto che gli sia in qualche<br />

modo esteriore. E’ la sua propria sostanza che è in gioco. Più<br />

ancora: è la sua iniziativa personale che deve rinunciare ad<br />

imporsi.<br />

L’ultima tappa di cui ci parla <strong>Bruno</strong> è quella del riposo,<br />

ricevuto come un dono puramente gratuito di Dio. Al termine di<br />

un duro combattimento, il Signore accorda ciò che Lui solo<br />

può infondere nel cuore divenuto disponibile: “la pace che


ignora il mondo e la gioia nello Spirito <strong>San</strong>to”. Tutti gli sforzi<br />

sono allora superati, tutte le fragilità e le instabilità delle tappe<br />

precedenti sono dimenticate. Dio stesso, nel suo amore<br />

senza misura, si fa garante di ciò che dona: la vera pace,<br />

quella che Gesù resuscitato offriva ai discepoli e la gioia dello<br />

Spirito, il giubilo di colui che si sa amato da Dio e<br />

definitivamente avvolto nel riparo di questo amore divino, nel<br />

cuore del solo deserto definitivamente degno di questo nome.<br />

* * *<br />

Era necessario fermarsi così nel dettaglio sulle tappe<br />

descritte da <strong>Bruno</strong>, ma per terminare gettiamo uno sguardo<br />

globale sull’insieme dell’itinerario, per tentare di ritrovarne<br />

l’unità d’intenzione nel cuore di Dio. E’ sicuro che agli occhi di<br />

<strong>Bruno</strong> la cosa è molto semplice: si tratta di andare, con i<br />

mezzi più diretti, incontro al volto di Dio. Egli dice<br />

semplicemente, un po' più in là, nella lettera a Raoul. Egli lo<br />

lascia indovinare qui, insistendo sulla gioia e il profitto divini<br />

che gli apportano il silenzio e la solitudine del deserto. Ma<br />

qual’è la molla segreta di questo cammino?<br />

Io mi domando se noi non ritroviamo qui l’intenzione<br />

profonda che, da molti secoli, precisamente in questa prima<br />

<strong>Dom</strong>enica di Quaresima, fa sì che ci interroghiamo sulla<br />

purezza e la qualità della nostra povertà monastica. Il punto<br />

comune a tutte le tappe, che ci descrive <strong>Bruno</strong> sul cammino<br />

che conduce alla pace e alla gioia nello Spirito <strong>San</strong>to, è quello<br />

della povertà sempre più vera, fino a colpirci n<strong>ei</strong> nostri<br />

trinceramenti più segreti.<br />

Io non riprenderò qui in dettaglio tutte le tappe. Ciascuno di<br />

noi potrà farlo per suo proprio conto. La continuità è luminosa:<br />

per entrare nel silenzio del cuore e gustarne la profondità<br />

divina, bisogna spogliarsi e poi lasciarsi spogliare di tutte le<br />

sicurezze, gli appoggi a nostra misura, sui quali noi contiamo


spontaneamente. Bisogna apprendere a non più avere altro<br />

appoggio solido che Dio stesso.<br />

Quest’ attitudine manifesta i suoi segni più esteriori quando<br />

noi sgomberiamo la nostra cella dagli oggetti superflui. Essa<br />

deve andare approfondendosi sotto l’effetto della grazia, fino<br />

a purificare, con il tempo, il nostro cuore da tutte le passioni<br />

rispetto alle creature e rispetto a Dio.<br />

Che Gesù, nel deserto, per intercessione di <strong>Bruno</strong>, ci doni di<br />

seguirlo fino al luogo del nostro cuore dove lo Spirito <strong>San</strong>to<br />

costituisce il nostro solo sostegno. Amen.


Annunciazione 1984<br />

V I I I<br />

LA TENEREZZA VERSO DIO<br />

“La tenerezza verso Dio,<br />

più è giusta, più è utile”.<br />

(A Raoul 16)<br />

Il racconto dell’Annunciazione del Signore non ci sorprende<br />

più, senza dubbio, perché l’abbiamo troppo sentito, letto<br />

,meditato. L’abitudine ci ha fatto perdere il riflesso<br />

d’ammirazione e di adorazione che noi dovremmo avere in<br />

presenza di Dio, il quale, con un solo movimento, ci svela la<br />

profondità della sua tenerezza e ci confida tutta l’intimità della<br />

sua vita divina, fino ad inserirla nel tessuto della razza umana.<br />

La fraternità, così stabilita, tra il Figlio dell’Altissimo e<br />

ciascuno di noi è un mistero infinito, ma noi non siamo<br />

esposti, nello stesso tempo, a fare il punto di partenza di una<br />

familiarità con Dio che dimentichi la rottura totale, la distanza<br />

infinita che intercorre tra noi e il <strong>San</strong>tissimo?<br />

<strong>Dom</strong>andiamo a <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> di aiutarci a risvegliare in noi<br />

l’attitudine del suo cuore, fatta d’ammirazione senza limite, di<br />

rispetto e, nello stesso tempo, di sete bruciante di un incontro<br />

beatificante, attitudine che deve accendere n<strong>ei</strong> nostri cuori la<br />

possibilità d’intimità con Dio che ci è donata nel suo Figlio<br />

divenuto nostro fratello. <strong>Bruno</strong> ci confida tutti questi sentimenti<br />

quando, al termine di un lungo sviluppo in cui ha tentato di<br />

convincere il suo amico Raoul d’essere fedele ai suoi<br />

impegni, egli non può più contenere lo slancio del suo cuore<br />

e si lascia sfuggire qualche fiamma di fuoco che lo divora di<br />

fronte al Bene senza eguali che è il suo Dio tanto amato.


Cerchiamo di ritrovare lo svolgersi del pensiero di <strong>Bruno</strong>, poi<br />

vi vedremo un modello d’adorazione e finalmente scopriremo,<br />

per riprendere la parola stessa di <strong>Bruno</strong>, l’utilità di questa via<br />

per gli altri.<br />

* * *<br />

<strong>Bruno</strong> moltiplica le dimostrazioni per convincere Raoul che il<br />

Signore desidera vederlo entrare nella via monastica, come si<br />

è un giorno solennemente impegnato a fare. Ed ecco che<br />

<strong>Bruno</strong> si lancia in un ultimo argomento:<br />

“Amer<strong>ei</strong> vedere il tuo amore convinto di una cosa, egli dice a<br />

Raoul. Monsignore l’arcivescovo ha grande fiducia n<strong>ei</strong> tuoi<br />

consigli e volentieri si appoggia ad essi. E’ facile dar d<strong>ei</strong><br />

consigli che non sempre sono giusti o utili e il pensiero d<strong>ei</strong><br />

servizi che tu gli rendi non deve impedirti di donare a Dio la<br />

tenerezza che tu gli devi. Questa tenerezza, più è giusta, più è<br />

utile” (16).<br />

Come non accorgersi che, scrivendo queste righe, <strong>Bruno</strong><br />

parla per esperienza? Lui stesso, dopo aver solennemente<br />

promesso di rivestire l’abito monastico, si è visto alle prese<br />

con una scelta temibile: egli era legittimamente eletto<br />

arcivescovo di R<strong>ei</strong>ms e, conoscendo perfettamente questa<br />

chiesa, egli sapeva che poteva apportare molto alle anime di<br />

cui facevano parte. Non era un servizio giustissimo e<br />

utilissimo al Signore quello di salire sulla sedia episcopale di<br />

R<strong>ei</strong>ms? Egli non è certo alla leggera che ha rifiutato e le<br />

tracce della lotta interiore, impegnata nel suo cuore, vi sono<br />

impresse per sempre.<br />

L’argomento che ha convinto <strong>Bruno</strong> è chiaro. Da una parte un<br />

servizio autentico, ma esposto al rischio, quasi inevitabile, di<br />

non essere sempre perfettamente giusto o utile. Dall’altra, la


fedeltà ad un appello di puro amore ricevuto e accettato, di cui<br />

è certo che, nel suo slancio profondo, non può essere che<br />

giusto e utile.<br />

Noi siamo un po’ sconcertati di veder <strong>Bruno</strong> insistere molto<br />

su queste nozioni di giustizia e di utilità. Possiamo noi, in<br />

poche parole, circuire ciò che questo rappresentava per lui?<br />

Anche se è un po’ rischioso trattare troppo brevemente un<br />

soggetto tanto delicato, diciamo che, forse, per <strong>Bruno</strong> è giusto<br />

ciò che è conforme alla natura profonda dell’essere<br />

considerato. Un consiglio è giusto se risponde onestamente<br />

al senso vero della questione posta. Un po’ più in là egli dirà<br />

che è giusto amare il bene poiché ciò è inscritto nella natura<br />

dell’uomo.<br />

Allo stesso modo, è utile ciò che è proficuo, ciò che fa<br />

portare un frutto autentico all’opera considerata. Un consiglio<br />

è utile se orienta verso un agire benefico per coloro che ne<br />

riceveranno gli effetti. Amare il bene, per l’essere umano, è<br />

utile poiché è l’unica vera felicità consona alla sua natura più<br />

profonda.<br />

Queste due nozioni, soprattutto quella d’utilità, sono<br />

fondamentali per <strong>Bruno</strong>. Egli, dunque, non esita; una sola<br />

scelta è possibile, per lui come per Raoul: il massimo del<br />

giusto e dell’utile, il dono completo d’amore a Dio.<br />

Egli continua: “Sì: cosa c’è di così utile, o in altre parole cosa<br />

c’è nella natura umana di così profondamente radicato e di<br />

così profondamente consono che d’amare il bene? Ed esiste<br />

un essere, oltre a Dio, di una bontà paragonabile alla sua?<br />

Cosa dico: esiste altro bene al di fuori di Dio?” (16).<br />

<strong>Bruno</strong> dà così una giustificazione serrata della sua scelta. Il<br />

cuore dell’uomo è, per natura, destinato ad amare il bene.<br />

Questo è la sua giustizia fondamentale e la sua utilità


massima. <strong>Bruno</strong> parte da questa affermazione, della quale sa<br />

che non può che essere accettata dal suo corrispondente,<br />

senza che sia necessario appellarsi alla Parola di Dio o ai<br />

filosofi.<br />

Bisogna, d’altra parte, concepire il bene di cui parla <strong>Bruno</strong><br />

come una realtà metafisica astratta? Ciò non sembrerebbe<br />

per niente conforme al genio eminentemente pratico e<br />

concreto del nostro Beato Padre. I termini che egli impiega,<br />

qualche istante più tardi, mostrano che bisognerebbe, senza<br />

dubbio, per essere fedele al suo pensiero, considerare<br />

maggiormente la bellezza piuttosto che la bontà di Dio. Egli<br />

parla in effetti di “l’ineguagliabile fulgore, lo splendore e la<br />

bellezza...di questo bene”.<br />

E <strong>Bruno</strong>, in qualche riga, brucia tutte le tappe. Bisogna<br />

amare questa bellezza sovrana del bene. Nessun essere può<br />

reggere il confronto con Dio, in questo campo. Andiamo fino<br />

alla fine: solo Dio è il Bene. Solo Dio è la bellezza.<br />

Arrivati a questo punto, la dimostrazione cambia<br />

all’improvviso: o piuttosto diviene incandescente poiché non è<br />

più che uno slancio del cuore. Le parole di <strong>Bruno</strong> sono<br />

trasparenti. Egli confida: “Davanti a questo bene di cui<br />

l’incomparabile fulgore, lo splendore e la bellezza si lasciano<br />

presentire, l’anima santa è bruciata dal fuoco dell’amore.<br />

? “ (16).<br />

* * *<br />

Quale messaggio ci indirizza, così, <strong>Bruno</strong>? Ciò che egli<br />

espone, con tale convinzione, a Raoul non è, in fondo,<br />

l’itinerario proposto a chiunque è chiamato a vivere per Dio<br />

solo?


All’inizio vi è la possibilità di consacrarsi ad una attività, per<br />

buona che sia, esposta di certo per natura a delle<br />

imperfezioni, ma finalmente legittima. Questa può essere<br />

un’attività esteriore, ma allo stesso modo può anche essere<br />

un’attività interiore, un orientamento, per esempio, della vita di<br />

preghiera verso fini diversi da quelli di rimettersi totalmente<br />

all’amore di Dio solo, l’unico Bene; allora un’attrazione<br />

profonda del cuore verso quest’ ultima via, manifesta un<br />

richiamo non equivoco dello Spirito <strong>San</strong>to.<br />

Scegliere questo cammino radicale implica, dunque, di<br />

rinunciare a tutto ciò che vi è di positivo, di benefico per sé o<br />

per gli altri in tutte le cose. Non è presunzione voler volare così<br />

alto? Non è tradire i bisogni degli altri rinunciando ad aiutarli<br />

per rifugiarsi nel silenzio della pura adorazione? Tale è la<br />

questione bruciante posta da <strong>Bruno</strong>. Egli stesso ha dovuto<br />

affrontarla e la risposta non è stata dubbiosa nel suo cuore.<br />

La sua scelta - “la più giusta e la più utile,” egli dice - è di<br />

lasciarsi sedurre, tanto quanto possibile, da Dio.<br />

E, tuttavia, quanto è paradossale la maniera in cui <strong>Bruno</strong><br />

formula la sua risposta! Alla fine in cosa sbocca “l’anima<br />

santa” di cui ci parla? Non in un incontro con il Bene<br />

folgorante di cui l’incomparabile fulgore brucia l’anima di<br />

fuoco d’amore, ma in una domanda. “Quando verrò e vedrò il<br />

suo volto?” La sola meta che egli propone non è un possesso<br />

felice, ma una sete intensa, una brama di fronte ad un Bene<br />

che la supera infinitamente, un vuoto che, alla fin fine, scava<br />

sempre più in profondità colui che lancia il suo appello nel<br />

fondo del cuore. Per usare le parole di <strong>Bruno</strong>, Dio non attira<br />

colui che ha sedotto verso ciò che, in termini puramente<br />

umani, noi potremmo considerare come la più grande<br />

inutilità, un’ingiustizia completa di fronte agli altri e, forse,<br />

anche di fronte a noi stessi?<br />

* * *


Non è la stessa maniera di vedere di <strong>Bruno</strong>. Ricordiamoci le<br />

sue parole: “Questa tenerezza che tu devi a Dio, più è giusta<br />

più è utile” e, qualche istante più tardi: “Cosa c’è di così utile e<br />

di così giusto che amare il bene?”<br />

E’ chiaro che, per <strong>Bruno</strong>, tutto è questione d’Amore: la<br />

tenerezza verso Dio, amare il Bene. E anche questione<br />

d’amore reciproco, d’amore condiviso, poiché egli precisa un<br />

po’ più in là che si tratta di anelare al Dio vivente, questo Dio<br />

di cui il proprio Amore risveglia nel cuore il richiamo che lo<br />

mette in movimento. La sete, la brama di cui noi parlavamo<br />

sono, dunque, veramente reali, ma sono l’impressione di un<br />

amore che si dilata.<br />

Inoltre, tutto il contesto di giusto ed utile, nel quale si situano<br />

i propositi di <strong>Bruno</strong>, ci mostra che si tratta di una relazione<br />

d’amore che ingloba gli altri. E’ certo che per lui essere<br />

bruciato dal fuoco dell’amore del solo Bene è ciò che vi è di<br />

più profittevole per coloro di cui noi ci sappiamo responsabili.<br />

La preghiera d’intercessione più efficace, ovvero la maniera<br />

più utile di sovvenire ai bisogni degli altri, è di abbandonarsi in<br />

tutta verità alla sete di Dio, se si è ricevuto questo appello.<br />

Questo significa, per <strong>Bruno</strong>, che noi dobbiamo puramente e<br />

semplicemente dimenticare coloro per i quali preghiamo, al<br />

fine di essere loro utili? Non penso. Tutto il contesto delle sue<br />

lettere ci dice il contrario: lo si sente attento a coloro che ama,<br />

nella misura in cui è tutto donato a Dio. Ciò raggiunge<br />

l’intenzione profonda del nostro testo di oggi: non sarebbe<br />

certamente giusto, per <strong>Bruno</strong>, pensare che possa essere<br />

intermediario tra Dio e i suoi fratelli, scacciando dal suo cuore<br />

il ricordo di questi ultimi. Per lui amare implica una presenza<br />

vivente, sia essa la tenerezza verso il solo Bene o il servizio<br />

affettuoso a coloro che gli sono affidati. Amen.


Pasqua 1984<br />

(Per un rinnovo d<strong>ei</strong> voti)<br />

I X<br />

CONFIDARE IN DIO<br />

“Se uno è inCristo,<br />

è una creatura nuova;<br />

le cose vecchie sono passate,<br />

ecco, ne sono nate di nuove.<br />

Tutto questo però viene da Dio,...<br />

E’ stato Dio infatti a riconciliare a sé<br />

il mondo in Cristo”<br />

(2Cor 5,17-19)<br />

Era n<strong>ei</strong> vostri desideri che il rinnovamento d<strong>ei</strong> voti avesse<br />

luogo lo stesso giorno di Pasqua, come era già accaduto al<br />

tempo della vostra prima professione. Così, volete<br />

sottolineare quanto il vostro impegno, nella vita monastica,<br />

sia una maniera d’assumere, nella vostra esistenza, il<br />

mistero pasquale il più pienamente possibile.<br />

Il testo che ho appena citato, mostra che per <strong>San</strong> Paolo,<br />

come per tutta la tradizione, la Pasqua del Signore è<br />

innanzitutto un dono di Dio: dono ricevuto attraverso Gesù<br />

dalle mani del Padre; dono che, a sua volta, ci trasforma nella<br />

misura in cui noi ci rendiamo disponibili ad accoglierlo. Io<br />

vorr<strong>ei</strong> riflettere con voi su questi temi.<br />

* * *


Le poche parole raccolte dalla bocca di Gesù, durante la<br />

Passione, dopo il Getsemani fino al suo ultimo sospiro, ci<br />

forniscono d<strong>ei</strong> punti di riferimento sicuri grazie ai quali noi<br />

possiamo ritrovare il movimento profondo del suo cuore,<br />

mentre Egli si offre in sacrificio.<br />

La preghiera nel giardino degli ulivi ci mostra il Signore<br />

annientato dalla prospettiva del calice che gli è offerto. La sua<br />

prima reazione è quella di domandare di esserne liberato. E’<br />

veramente troppo! Poi, in un secondo tempo si riprende e<br />

accetta la volontà del Padre. Niente di stoico o di rigido in<br />

questo atteggiamento: si tratta esclusivamente di fiducia nel<br />

Padre e di amore per Lui. Nessun dubbio: è il Padre che dona<br />

al suo Figlio amato il calice da bere. E’ il Padre che ha inviato<br />

il suo Unico sulla terra a bere il calice.<br />

Ritroviamo una successione di sentimenti analoghi in Gesù,<br />

negli ultimi istanti che precedono la sua morte, ma essi<br />

s’esprimono allora con un’intensità spaventosa: “Mio Dio, mio<br />

Dio perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Poi, al termine di<br />

un silenzio drammatico, spirando, Egli gridò a gran voce:<br />

“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.” (Lc 23,46).<br />

Non siamo noi là, al centro di questo dramma d’amore che<br />

è il mistero Pasquale? Gesù è l’Agnello caricato del peccato<br />

del mondo: Egli è il Servitore trafitto per i nostri delitti,<br />

schiacciato per le nostre iniquità, poiché Egli si è caricato<br />

delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori (cf. Is<br />

53,5 e 4). Ancor di più, per riprendere le parole di <strong>San</strong> Paolo:”<br />

Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da<br />

peccato in nostro favore” (2Cor 5,21).<br />

Il Figlio dell’Uomo è identificato con il peccato: ciò significa<br />

che Egli è stato stabilito nemico di Dio. Osiamo appena dire<br />

“il nemico totale di Dio”, poiché la pienezza del peccato del<br />

mondo è sopra di Lui. Ma, tuttavia, non è ciò che spiega il


grido di angoscia quando si é sentito abbandonato dal<br />

Padre? Il Verbo fatto carne é andato fino alla fine della sua<br />

corsa: “per mezzo di Lui sono state create tutte le cose, quelle<br />

n<strong>ei</strong> cieli e quelle sulla terra”, (Col 1,16) tutto ciò fa totalmente<br />

corpo con Lui.<br />

E nel silenzio schiacciante, che segue l’appello disperato<br />

del Crocifisso, si compie il mistero della salvezza, nel cuore<br />

stesso di Dio. Al di là di tutte le iniquità e di tutti i peccati, il<br />

Padre ama il Figlio, con la stessa dilezione che era prima<br />

della creazione del mondo. Gesù riceve la sicurezza invincibile<br />

di potersi abbandonare, in tutta fiducia, nelle braccia del<br />

Padre. E in questa certezza Egli spira: Egli consegna il suo<br />

Spirito. Tutto si trova ormai “riconciliato da Lui e per mezzo di<br />

Lui, sulla terra e n<strong>ei</strong> cieli, poiché Egli ha stabilito la pace con il<br />

sangue della sua croce” (Col 1,20).<br />

Visto in questa prospettiva, il mistero pasquale è la<br />

manifestazione della tenerezza infinita del Padre che si piega<br />

spontaneamente verso il suo Figlio Prediletto, oppresso dal<br />

peso della morte, che è il peccato del mondo, ma un Figlio di<br />

cui il cuore è sempre rimasto trasparente alla Volontà divina.<br />

Gesù ha ricevuto, come dono perfettamente gratuito, questa<br />

tenerezza eterna, accordata dal Padre in eredità a suo Figlio<br />

fatto carne e a tutti coloro che fino alla fine d<strong>ei</strong> tempi<br />

erediteranno la pienezza della sua vita.<br />

* * *<br />

Noi tutti qui presenti facciamo parte di coloro che, in maniera<br />

ben esplicita, hanno ricevuto l’appello ad ereditare, ogni<br />

giorno della loro esistenza terrestre, il mistero della Pasqua<br />

del Signore, del suo Passaggio al Padre, ricevuto come un<br />

dono della sua tenerezza. Noi dobbiamo viverlo come<br />

battezzati, ma ad un titolo più preciso e più completo, come<br />

consacrati a Dio attraverso la professione monastica.


Ancora oggi voglio ricorrere a <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> affinché ci aiuti a<br />

comprendere l’appello che ci indirizza lo Spirito <strong>San</strong>to e ci aiuti<br />

a lasciarci trasformare da Lui. Il pensiero del nostro beato<br />

Padre si modella, in effetti, meravigliosamente sulla maniera<br />

in cui noi abbiamo contemplato il mistero della Pasqua: è<br />

questo mistero che costituisce l’essenziale della nostra<br />

vocazione, l’accoglienza dell’Amore del Signore nel silenzio e<br />

nella solitudine.<br />

I due cantici di rendimento di grazie di <strong>Bruno</strong>, il quale scrive<br />

ai suoi fratelli della Certosa, hanno precisamente per oggetto<br />

la proclamazione della sua allegrezza davanti alla bontà del<br />

Signore n<strong>ei</strong> loro confronti. “Rallegratevi, mi<strong>ei</strong> carissimi fratelli,<br />

della vostra beata sorte e dell’abbondanza di grazie che Dio vi<br />

ha prodigato” (1.3). E continua spiegando loro che questa<br />

beata sorte consiste “nell’essere entrati in possesso del<br />

riposo e della sicurezza, poiché essi hanno potuto gettare<br />

l’ancora nel porto più nascosto” (id.). E questo appare come<br />

un dono puramente gratuito dell’Altissimo, dal momento che<br />

tutti coloro che moltiplicano gli sforzi per giungere al<br />

medesimo fine “non vi sono ammessi poiché ad ognuno di<br />

loro il cielo non l’ha accordato” (1.4).<br />

Essere ammessi ad impegnarsi in maniera definitiva a<br />

seguire <strong>Bruno</strong> nel deserto è veramente una generosità<br />

gratuita del Signore. E’ allo stesso modo, in un senso<br />

rigoroso, un dono pasquale, un passaggio dalla morte alla<br />

vita, una liberazione dal peccato per incontrare la tenerezza<br />

del Padre.<br />

E’ sorprendente, in effetti, veder <strong>Bruno</strong> riprendere, nella sua<br />

lettera a Raoul, i termini che egli impiegava scrivendo ai suoi<br />

fratelli: “sfuggire ai flutti agitati del mondo per passare al<br />

riposo e alla sicurezza del porto” (cf.1.3 e A Raoul 9). Ciò che<br />

egli presenta ai suoi fratelli come l’ideale della loro solitudine


è, allo stesso tempo, se si crede alla lettera a Raoul, la<br />

liberazione da tutti i pesi del peccato, quando si viene al<br />

Signore dolce e umile, affinché ci sollevi da tutti i fardelli.<br />

Entrare nella beata solitudine di cui parla <strong>Bruno</strong> è una<br />

conversione del cuore ricevuta da Dio, in maniera tutta<br />

gratuita, che ci stabilisce nella pace del suo amore.<br />

Sono pressappoco le stesse prospettive che si manifestano<br />

quando <strong>Bruno</strong> dice ai suoi benamati fratelli laici “la sua gioia<br />

di veder per essi, che non sanno né leggere né scrivere, Dio<br />

l’Onnipotente scrivere n<strong>ei</strong> loro cuori l’amore e la conoscenza<br />

della sua legge santa” (cf. 2.2). Ancora si tratta di un dono<br />

della tenerezza del Padre che mette per pura bontà, i conversi<br />

della Certosa, al riparo dalle molteplici tentazioni alle quali<br />

essi potrebbero vedersi esposti e che loro dona la grazia di<br />

lasciarsi guidare da Lui in tutta confidenza.<br />

Se, dunque, noi vogliamo essere fedeli alla grazia della<br />

nostra vocazione, gettiamo innanzitutto gli occhi su Gesù<br />

risuscitato, che è il vero modello di ciò che noi dobbiamo<br />

essere: al di là di tutta la cattiva semenza gettata n<strong>ei</strong> nostri<br />

cuori, accogliamo la tenerezza di Dio grazie alla quale noi<br />

lasceremo morire in Lui tutti i nostri desideri troppo umani.<br />

* * *<br />

Voi vi domandate forse: perché insistere su queste verità<br />

che non sono poi tanto nuove per noi? Perché? Perché, anche<br />

se le conosciamo con la nostra intelligenza, sappiamo quanto<br />

ci costa trasferirle nella realtà della nostra vita.<br />

Senza dubbio noi non ci troviamo, in generale, nelle<br />

circostanze così drammatiche della passione di Gesù, ma<br />

tuttavia il nostro cuore ha talvolta l’impressione di dover subire<br />

una sorta d’agonia quando gli è domandato di rinunciare a


tutta la sicurezza che gli viene da sé stesso o a d<strong>ei</strong> piccoli<br />

mezzi, che egli controlla, di abbandono cieco e senza difesa<br />

all’amore di un altro, anche se quest’altro è Dio in persona.<br />

Lanciarsi senza riserve in questo atteggiamento di fiducia<br />

implica, da parte nostra, una conversione talmente radicale,<br />

che esitiamo a fare il passo.<br />

Nonostante tutte le luci della fede, che noi accettiamo<br />

volentieri, il nostro cuore, per esempio, non riesce a<br />

consegnarsi senza riserve a Dio, lasciandosi attrarre dal<br />

sentimento intimo d’essere amato senza misura. Le<br />

esperienze umane ci hanno insegnato così bene la prudenza,<br />

una certa diffidenza, il timore d<strong>ei</strong> rischi incontrollati, da non<br />

riuscire a liberarci da queste abitudini ormai radicate n<strong>ei</strong><br />

nostri cuori quando ci rivolgiamo al Padre d<strong>ei</strong> cieli. E finiamo,<br />

così, con il consegnargli la nostra fiducia col contagocce.<br />

Come potrebbe Egli, di ritorno, farci dono totale di Sé stesso,<br />

vedendoci incapaci di accoglierlo?<br />

Un altro esempio delle deformazioni che ci paralizzano è<br />

l’immensa difficoltà che incontriamo di fronte alla prospettiva<br />

di dover rinunciare a costruire da soli la nostra vita, con la<br />

nostra sola industria e il nostro solo sforzo, per riceverla<br />

invece come il Dono di un Amore che implica un impegno<br />

totale da parte nostra. Noi tremiamo all’idea di prendere come<br />

modello Gesù e di non essere più nient’altro che un<br />

accoglimento senza limite di una trasfigurazione in cui tutte le<br />

nostre tenebre diventerebbero luce. Sarebbe così bello... ma<br />

bisognerebbe donare tutto.<br />

* * *


Per concludere, facciamo un piccolo sforzo di lealtà. Non<br />

crediamo di esserci sdebitati con Dio accontentandoci di<br />

ammirare gli splendori della sua gloria, nel mistero pasquale.<br />

Questa sarebbe una contemplazione puramente sterile se noi<br />

non vi scorgessimo un appello a seguir Gesù, sul cammino<br />

che Lui ci ha tracciato quando è passato da questo mondo al<br />

Padre. Che il dono ricevuto da Lui, in questo giorno, porti frutto<br />

nella nostra vita, in modo da poter imparare, anche noi, a dire<br />

in tutta verità: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito.<br />

Amen.


Ascensione 1984<br />

X<br />

COLLETTA PROPRIA DI SAN BRUNO<br />

“Quando sarò andato<br />

e vi avrò preparato un posto<br />

ritornerò e vi prenderò con me”<br />

(Gv 14,3)<br />

La promessa di Gesù, che annuncia ai discepoli che Lui<br />

stesso s’impegna a preparare il posto che essi occuperanno<br />

vicino a Lui n<strong>ei</strong> secoli a venire, trova eco nella nostra orazione<br />

propria di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>. Rileggiamola attentamente, poiché<br />

essa apre delle prospettive molto ricche sullo svolgimento<br />

della nostra vita monastica, in piena consonanza con le<br />

proposte di <strong>Bruno</strong> stesso nelle sue lettere. Ecco questa<br />

orazione:<br />

Dio onnipotente ed eterno, Tu prepari nel cielo un posto per<br />

coloro che rinunciano al mondo; nel tuo immenso amore<br />

accogli la nostra umile preghiera: per l’intercessione del<br />

nostro padre <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> donaci di essere fedeli ai nostri<br />

impegni e di raggiungere attraverso una via sicura il termine<br />

che hai promesso a coloro che ti saranno restati uniti fino alla<br />

fine. Per il nostro Signore Gesù Cristo.<br />

* * *<br />

Ciò che più colpisce in questa preghiera è il modo<br />

accentuato in cui essa è rivolta all’avvenire. Essa considera la<br />

nostra vocazione non sotto l’aspetto di una pienezza<br />

appagante del momento presente, ma nella prospettiva della


durata, in cui il senso profondo non si manifesta che una volta<br />

ultimata la corsa. Ciò è vero per ogni vita cristiana, ma in<br />

modo assoluto nel caso di una vita monastica nel deserto:<br />

non riconoscere ad essa altra giustificazione soddisfacente<br />

che il termine che la disorienta.<br />

Sotto questa prospettiva diciamo che la nostra vocazione è<br />

innanzitutto escatologica: il mondo presente è una via che ci<br />

conduce al di là di esso. Viviamo senza aver da costruire nulla<br />

di stabile quaggiù. Ma, alla stessa maniera d<strong>ei</strong> compagni di<br />

cui ci parla <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> in Calabria, noi dobbiamo prendere<br />

alla lettera la consegna donata da Gesù stesso: vivere in stato<br />

di veglia continuo, nell’attesa ininterrotta del ritorno delle<br />

nozze del nostro Maestro (A Raoul 4). Qualunque sia la<br />

solidità d<strong>ei</strong> monasteri di pietra n<strong>ei</strong> quali viviamo, alla fine “ non<br />

abbiamo quaggiù una città stabile, ma andiamo in cerca di<br />

quella futura” (Eb 13,14).<br />

Non è il senso primo della vocazione di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>, quando<br />

nel giardino della casa d’Adam egli fu travolto dallo Spirito<br />

<strong>San</strong>to? “Infiammato di divino amore, scrive egli molto tempo<br />

dopo,... abbiamo deciso di lasciare senza indugio il secolo<br />

fugace per metterci alla ricerca delle verità eterne” (A Raoul<br />

13). Una ferita si è formata nel cuore del Maestro di Università<br />

di R<strong>ei</strong>ms, improvvisamente divenuto ardente d’amore per Dio.<br />

Eccolo scavalcare tutte le tappe transitorie di questo mondo<br />

mutevole, per partire alla ricerca dell’eternità, il solo dono che<br />

potrà fargli il Signore, divenuto ormai l’Unico che conta ai suoi<br />

occhi. Tale è la logica alla quale non si può sfuggire se ci si<br />

mette alla scuola di <strong>Bruno</strong>: desiderare d’incontrare Dio è<br />

lasciarsi divorare dalla sete d’eternità.<br />

Gli Statuti Rinnovati, al seguito del Concilio, sviluppano fino<br />

alla fine la portata di questa dimensione escatologica della<br />

nostra vocazione: “La nostra vita, essi dicono, mostra che i<br />

beni del cielo sono già presenti quaggiù; essa è un segno


precursore della resurrezione e come un’anticipazione<br />

dell’universo rinnovato” (SR 34.3). Noi abbiamo fatto la scelta,<br />

in maniera irrevocabile, d’orientare la nostra vita verso la<br />

resurrezione, là dove noi saremo appagati dalla sola pienezza<br />

che valga: la contemplazione di Dio stesso. Tutta la nostra<br />

esistenza terrestre si trova, così, segnata dal sigillo della<br />

contemplazione diretta dal solo Bene e a causa di ciò noi<br />

diveniamo testimoni per il mondo a venire, portatori nella<br />

nostra esistenza di una realtà che è già un pregustare lo stato<br />

di resurrezione. Dio voglia che la testimonianza che ci chiede<br />

di dare al mondo, trasformi innanzitutto i nostri propri cuori!<br />

* * *<br />

L’orazione di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> mette in evidenza una seconda<br />

dominante della nostra vita: la fedeltà. E’ una grazia che noi<br />

imploriamo umilmente, perfettamente coscienti del fatto di<br />

non potervi far fronte con le sole nostre forze.<br />

Il testo dell’orazione parla di “fedeltà ai nostri impegni”.<br />

Bisognerebbe dare a queste parole un significato giuridico<br />

rigoroso e vedervi il pensiero stretto di non mancare alla<br />

lettera alla nostra formula di professione o di donazione? Ciò<br />

sarebbe, mi sembra, restringere in maniera indebita il senso<br />

di una preghiera di cui l’orientamento è tutto spirituale.<br />

L’impegno fondamentale che abbiamo preso è quello di<br />

seguire <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> nella sua scelta di “lasciare il secolo<br />

fugace” e di “mettersi alla ricerca delle realtà eterne” ( A Raoul<br />

13).<br />

<strong>Bruno</strong> stesso ci orienta in questa direzione nella lettera ai<br />

suoi fratelli della Certosa. Anche se non bisogna forzare il<br />

senso d<strong>ei</strong> consigli che a loro dona, mi sembra che egli attiri<br />

chiaramente la loro attenzione sulla sollecitudine con la quale<br />

essi devono vegliare, al fine di non far decadere la qualità<br />

della loro vita religiosa, raggiunta per grazia di Dio e per la


loro generosità.<br />

La sua intenzione è assai chiara quando egli s’indirizza ai<br />

conversi. Egli conclude il paragrafo che è loro destinato con<br />

questo avvertimento: “Restate, mi<strong>ei</strong> fratelli, là dove siete<br />

pervenuti e fuggite come la peste la schiera malsana d<strong>ei</strong> laici<br />

incostanti” (Ai suoi figli della Certosa 2.4), i quali potrebbero<br />

nuocervi molto se voi vi lasciaste influenzare dai loro esempi.<br />

Questi sono, punto per punto, la negazione di ciò che fa la<br />

qualità eccezionale dell’obbedienza contemplativa d<strong>ei</strong><br />

conversi della Certosa: un’obbedienza ammirabile, ma<br />

portatrice di vero frutto solamente se si renderà capace di<br />

essere fedele a sé stessa nel corso degli anni.<br />

Diversamente, essa non condurrà i fratelli al luogo che Dio ha<br />

loro preparato nel cielo.<br />

Si scopre un orientamento analogo alla fine del canto<br />

d’azione di grazie indirizzato da <strong>Bruno</strong> ai suoi figli, avendo<br />

raggiunto la tranquillità del porto più nascosto. Che bisogno<br />

ha lui di ricordare loro che “nessuno che abbia goduto di<br />

questa buona sorte così desiderabile e l’abbia persa... non ne<br />

abbia provata una pena continua...” (id.1.4) se non perché li<br />

vede esposti al pericolo?<br />

La nostra vita nel deserto è bella, è attraente, ma mette a<br />

nudo le fragilità del nostro cuore, nella misura in cui mette alla<br />

prova le inclinazioni legittime della nostra natura. Gli Statuti lo<br />

ricordano: “La santa vocazione che ci hanno trasmesso i<br />

nostri Padri ci impegna su una via molto alta: il rischio di<br />

mancare è tanto più grande per noi, non tanto forse per errori<br />

manifesti, quanto per l’inclinazione naturale dell’abitudine”<br />

(SR 33.1).<br />

Riconoscere che noi siamo continuamente esposti è una<br />

forma di saggezza. Senza di essa ci mancherebbe una<br />

visione realista della vita nella quale ci siamo impegnati. Non


per crearci delle vane inquietudini, ma per ricevere da Dio,<br />

nella fiducia, la fedeltà di cui noi abbiamo bisogno. E perché<br />

non considerare questo dono, ininterrottamente rinnovato dal<br />

Padre d<strong>ei</strong> cieli, come un anticipo di ciò che ci donerà in cielo?<br />

* * *<br />

Rimane, da considerare, un’ultima dimensione della nostra<br />

vita. L’orazione di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> la evoca in maniera abbastanza<br />

discreta, ma mi sembra utile soffermarci, poiché essa<br />

rappresenta una componente importante del nostro equilibrio.<br />

L’orazione termina con questa richiesta: “Donaci di<br />

raggiungere il premio che Tu hai promesso a coloro che ti<br />

saranno rimasti fedeli fino alla fine”. La realtà evocata qui è<br />

vicina alla fedeltà di cui abbiamo appena parlato, ma<br />

differisce da essa : è la perseveranza, in altre parole, la<br />

capacità d’assumere un ritmo di vita umanamente<br />

abbastanza piatto, per lunghi periodi, in cui la monotonia della<br />

cella e del deserto non è spezzata da nulla d’importante.<br />

Generalmente, la vita certosina si dispiega con una cadenza<br />

lenta nel corso degli anni, i quali si accumulano senza fare<br />

rumore. E’ questa durata che diviene strumento d’incontro con<br />

Dio. Il testo latino dell’orazione impiega una formula quasi<br />

intraducibile, ma tuttavia eloquente: “perseverantibus in te”:<br />

“coloro che restano in te”. Rimanere in Dio senza fare rumore,<br />

“rientrare in sé stessi e lì dimorarvi”, dice <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>, “la pace<br />

che ignora il mondo”, egli riprende un po’ più in là (A Raoul 6).<br />

Percepiamo una dimensione preziosa della nostra esistenza<br />

e, tuttavia, ci fa male parlarne.<br />

Le permanenze nel deserto degli amici che Dio si riserva e<br />

di cui la Bibbia ci parla sono solitamente contraddistinte dal<br />

numero simbolico 40. Israele dimora 40 anni nel deserto;<br />

Mosè 40 giorni nella nuvola sul Sinai; la marcia di Elia nel<br />

deserto verso l’Oreb dura 40 giorni. Allo stesso modo Gesù,


prima di essere tentato, rimane 40 giorni in preghiera nel<br />

deserto. Ciò rappresenta sempre l’idea di una permanenza<br />

molto lunga, utile, in cui Dio è l’unico sostegno di colui che<br />

egli attira a Sé. Queste lunghe permanenze sono<br />

apparentemente vuote. La durata si giustifica da sé stessa:<br />

non è importante ciò che si fa, ma ciò che si diviene, la<br />

disponibilità che si acquisisce ad incontrare l’Altissimo.<br />

Quest’interminabile durata non è, in fondo, la maniera più<br />

vera, più radicale di mettere in pratica il progetto di <strong>Bruno</strong>:<br />

“lasciare il secolo fugace”? Lasciarlo, non solamente n<strong>ei</strong> suoi<br />

segni esteriori, ma là dove è più solidamente radicato, cioè in<br />

noi stessi? Lasciarlo, passando al vaglio del tempo, senza<br />

pietà, tutta la sostanza del nostro cuore che, alla fine, si trova<br />

sradicata fin nella sua più intima profondità.<br />

Potrebbe essere diverso per d<strong>ei</strong> servitori che attendono il<br />

ritorno del loro Maestro senza saper né il giorno né l’ora? Essi<br />

divengono, poco a poco, pura attesa: essi non son più che<br />

“ricerca delle realtà eterne”, ricerca ardente e, tuttavia, certa di<br />

non approdar mai a nulla di veramente valido quaggiù, ma<br />

sicura d’essere appagata un giorno dall’unico raggio di luce<br />

che risplenderà nell’istante in cui il Maestro svelerà il suo<br />

volto. Amen.


<strong>San</strong> Giovanni Battista 1984<br />

X I<br />

IL DESIDERIO DI DIO<br />

(Per due vestizioni e due professioni)<br />

“Il tuo volto Signore io cerco”<br />

(Introito della Messa di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>)<br />

Voi tutti siete, a differenti livelli, sul punto di superare una<br />

tappa che vi metterà, nel vostro impegno, faccia a faccia con<br />

l’Ordine. Molto di più, voi avete domandato, nell’anno del nono<br />

centenario dell’arrivo di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> nel deserto della Certosa,<br />

di poter compiere questo passo nel momento stesso in cui<br />

noi celebriamo quest’anniversario solenne. Così intendete<br />

manifestare il vostro desiderio di camminare sulle tracce del<br />

nostro Beato Padre nella fedeltà allo Spirito che, 900 anni or<br />

sono, lo spingeva nelle nostre montagne, sotto la guida di<br />

<strong>San</strong>t’Ugo, per fuggire nel silenzio all’ascolto di ciò che Dio<br />

diceva al suo cuore.<br />

Cosa posso fare, dunque, se non voltarmi verso <strong>Bruno</strong><br />

stesso e domandargli, attraverso qualche pagina a noi<br />

pervenuta da lui, di dire una parola adeguata al dono di voi<br />

stessi che vi siete decisi a compiere? Precisamente, nella<br />

lettera a Raoul, egli ci racconta in poche parole, ma in<br />

maniera molto espressiva, come egli fece, un giorno, il passo<br />

decisivo che doveva condurlo a divenire il Padre di una<br />

moltitudine di monaci. Egli conversava con due amici. “I<br />

piaceri ingannatori, egli dice, le ricchezze periture di questo<br />

mondo e le gioie della gloria senza fine, mi sembrava


occupassero in quel momento la conversazione. Allora,<br />

infiammati di divino amore, noi abbiamo promesso, abbiamo<br />

fatto voto e abbiamo deciso di lasciare, senza ritardo, il<br />

secolo fugace per metterci alla ricerca delle realtà eterne e<br />

ricevere l’abito monastico” (A Raoul 13).<br />

Poiché si tratta di rammentare d<strong>ei</strong> ricordi comuni ad uno d<strong>ei</strong><br />

partecipanti di questa conversazione, <strong>Bruno</strong> non si preoccupa<br />

d<strong>ei</strong> dettagli. Egli cerca piuttosto di far rivivere l’emozione che<br />

sollevava i tre amici, mentre lo Spirito <strong>San</strong>to li infiammava di<br />

divino amore. L’apice di questi istanti così ricchi della<br />

presenza di Dio è il momento in cui, di comune accordo, essi<br />

si impegnano a “mettersi alla ricerca delle verità eterne”.<br />

L’espressione, sotto una forma forse troppo convenzionale,<br />

vuole evocare una realtà talmente profonda che le parole<br />

sono incapaci ad esprimerla in maniera soddisfacente.<br />

Inoltre, come non percepire un certo pudore presso <strong>Bruno</strong><br />

quando affronta un soggetto che lo tocca nel più intimo di sé<br />

stesso? Mettersi alla ricerca delle realtà eterne non è lanciarsi<br />

in conversazioni speculative molto elevate, è rispondere con<br />

tutte le proprie forze, con tutto il proprio impeto all’appello di<br />

qualcuno.<br />

Tutta la lettera rivolta a Raoul non è una sorta di commento<br />

vivente all’anelito che sempre solleva <strong>Bruno</strong> e che egli<br />

vorrebbe comunicare all’amico d<strong>ei</strong> vecchi tempi che sta per<br />

divenire infedele alla sua promessa? Con tutta la convinzione<br />

del suo amore indefettibile per colui che condivise con lui il<br />

richiamo divino, <strong>Bruno</strong> si sforza di rianimare, nel suo cuore, la<br />

fiamma spenta e vi cerca della brace ancora accesa del<br />

grande fuoco che l’aveva incendiata. E alla fine, avendo<br />

esaurito tutti gli argomenti logici, <strong>Bruno</strong> si lascia sfuggire<br />

chiaramente ciò che significa per lui essere alla ricerca delle<br />

verità eterne: “Con tutto il mio essere, egli dice, ho sete del<br />

Dio forte, del Dio vivente” (A Raoul 16). <strong>Bruno</strong> è divorato dal<br />

desiderio di Dio. Ecco ciò che ha trasformato tutta la sua


esistenza nel giardino d’Adam: il desiderio di Dio. E’ questa la<br />

forza ultima della sua vocazione monastica.<br />

* * *<br />

Questa luce così penetrante che ha sconvolto il cuore di<br />

<strong>Bruno</strong> continua a brillare sui suoi figli e ciò dal giorno in cui si<br />

sono decisi, anch’essi, a lasciare il secolo fugace per seguire<br />

<strong>Bruno</strong> nel deserto. Cosa dicono, per esempio, i nostri Statuti a<br />

proposito dell’attitudine da adottare n<strong>ei</strong> confronti di un giovane<br />

che domanda di divenire Certosino? “Quando un candidato si<br />

presenta..., lo si interroga, innanzitutto, in particolare sui suoi<br />

motivi e le sue intenzioni. Se sembra veramente cercar Dio<br />

solo, si esaminano allora gli altri punti” (SR 8.6). Ecco dunque<br />

la prima questione che si sottopone al soggetto prima di<br />

qualsiasi altra indagine: “Il desiderio di Dio illumina il suo<br />

cuore?” (cf.7.1; 16.1) per riprendere una formula utilizzata<br />

altrove n<strong>ei</strong> nostri Statuti.<br />

La consegna donata a colui che accoglie l’aspirante alla<br />

Certosa non ci appartiene del tutto. Essa viene dalle più<br />

antiche tradizioni monastiche del deserto. La maniera stessa<br />

in cui i nostri Statuti si esprimono, dopo secoli, è testualmente<br />

improntata alla Regola di <strong>San</strong> Benedetto (c.58). Siamo<br />

veramente nel punto centrale di ciò che manifesta in voi<br />

l’autenticità dell’appello del cielo: “Cercate Dio?” Questo<br />

desiderio è predominante, esclusivo, al punto di divenire il<br />

motore di tutta la vostra esistenza? Siete disposti a fare vostro<br />

il programma tracciato dagli Statuti: “nell’uomo interiore,<br />

cercare Dio stesso con sempre più ardore per prima trovarlo<br />

e possederlo con più perfezione”? (SR 1.4).<br />

La vostra presenza qui testimonia che vi siete posti la<br />

domanda: essa vi è stata posta e, con umiltà, ma anche con<br />

fermezza voi avete acconsentito. Ed è allora vostro il turno di<br />

interrogarci: “A proposito di questo desiderio di Dio, quale


cammino seguire per donargli la risposta ardente che Egli<br />

richiede?”<br />

* * *<br />

Riprendiamo il racconto della vocazione di <strong>Bruno</strong> e<br />

facciamone una seconda lettura più attenta. E’ là senza<br />

dubbio che troveremo la risposta. In cosa consiste la<br />

decisione presa da <strong>Bruno</strong> e dai suoi compagni? Essa<br />

s’articola secondo tre tappe successive.<br />

Innanzitutto lasciare senza indugio il secolo fugace: vale a<br />

dire non solamente rifiutare tutte le attività fittizie del mondo<br />

che ci circonda, ma veramente lasciarlo, andare nel deserto.<br />

E’ il cammino che avete percorso quando siete venuti qui.<br />

Esso si presenta come una rottura radicale con uno stile di<br />

vita che non si vuole più.<br />

La seconda tappa, che abbiamo già riconosciuto come<br />

centrale, è quella di lasciarsi attrarre dal desiderio di Dio.<br />

Essa ci pone una domanda: come realizzare concretamente<br />

tutto ciò che esso implica?<br />

Noi potremmo legittimamente sperare che la terza tappa ci<br />

doni la risposta. Dopo aver seguito la progressione rapida di<br />

lasciare il mondo e poi di lasciarsi prendere dal desiderio di<br />

Dio, si attende, nell’anelito così donato, qualche cosa di più<br />

elevato, di più vicino allo scopo. E si cade su di una tappa che<br />

sembrerebbe molto prosaica: “ricevere l’abito monastico”.<br />

Con un po’ di senso umoristico saremmo tentati di<br />

domandarci: per trovare Dio è sufficiente cambiare d’abito?<br />

Cerchiamo dunque di avvicinarci maggiormente a ciò che<br />

contiene la realtà dell’abito monastico, poiché è certo che per<br />

<strong>Bruno</strong> è stato un elemento decisivo del suo itinerario verso<br />

Dio. Non è per il piacere di avere un vestito di un colore<br />

diverso che egli è venuto fino al fondo del Delfinato per


supplicare Ugo di Grenoble ad accoglierlo in queste<br />

montagne.<br />

* * *<br />

Precisiamo, innanzitutto, ciò che secondo la tradizione<br />

s’intende per “rivestire il giovane monaco dell’abito<br />

monastico”. Non si tratta di donargli la veste bianca, o di<br />

conferirgli la cocolla di novizio. La prova è che nelle riunioni<br />

conventuali, soprattutto durante la liturgia, il novizio nasconde<br />

completamente questa tenuta sotto una cappa nera. In senso<br />

stretto il novizio non è ancora monaco, ma apprende i<br />

rudimenti che gli permetteranno un po’ più tardi, se è<br />

accettato dai fratelli, di ricevere il vero abito monastico, segno<br />

che è divenuto totalmente parte della comunità.<br />

E’ ciò che accade a due di voi durante la cerimonia della<br />

vostra prima professione; nell’istante preciso in cui voi<br />

diventerete veramente monaci pronunciando i vostri voti, io<br />

benedirò la cocolla per rivestirvene. La cocolla è, nel senso<br />

proprio, il nostro vestimento monastico, assunto di tutto un<br />

simbolismo di cui, ora, non posso intrattenermi nel<br />

discorrere. Ritorniamo alla nostra questione: in cosa può<br />

sbocciare il nostro desiderio di Dio, a partire da questa svolta<br />

nella nostra vita rappresentata dal porto dell’abito monastico?<br />

Di quale cambiamento si tratta?<br />

* * *<br />

Restiamo alla scuola di <strong>Bruno</strong>. Quale è l’impronta<br />

immediata prodotta in lui e n<strong>ei</strong> suoi compagni dalla<br />

promessa che essi fanno, insieme, di donarsi a Dio? Essi<br />

sono divenuti solidali gli uni gli altri. Dal fatto che Foulcoie<br />

deve partire per Roma, gli altri due si trovano bloccati: bisogna<br />

attendere il suo ritorno per mettere il progetto in esecuzione.


Ai suoi fratelli della Certosa <strong>Bruno</strong> si sente unito da legami<br />

ancora più stretti. Essi, come lui, hanno preso lo stesso abito<br />

monastico: essi sono ormai membri di uno stesso corpo,<br />

membri gli uni gli altri, nella comunità, dello stesso ideale e<br />

dello stesso amore, di cui la lettera di <strong>Bruno</strong> è la più luminosa<br />

fotografia.<br />

Anche se <strong>Bruno</strong> non l’ha mai affermato in termini espliciti, è<br />

chiaro che, per lui, essere monaco è, in primo luogo, aver d<strong>ei</strong><br />

fratelli che ama in Cristo fino all’ultima fibra del suo cuore.<br />

L’unico punto che precisa a Raoul, per esprimere che vive da<br />

monaco in Calabria, è il fatto che lui vi è in compagnia d<strong>ei</strong><br />

fratelli, i quali attendono il ritorno del Maestro per aprirgli<br />

quando busserà (4).<br />

Rivestire l’abito monastico, divenire monaco, per <strong>Bruno</strong> è<br />

innanzitutto entrare in un reticolo di carità effettiva con i fratelli.<br />

E’ ugualmente aver un Padre, il priore. E’ intrattenere con loro<br />

tutta una dipendenza d’affetto, d’attenzione, di fedeltà. E tutto<br />

questo costituisce già un risultato vivo del desiderio di Dio.<br />

Per tutto il corso della lettera ai fratelli della Certosa si legge,<br />

in trasparenza, la teologia della prima Lettera di <strong>San</strong> Giovanni:<br />

“Dio è amore: chi resta nell’amore dimora in Dio e Dio in lui”.<br />

In secondo luogo, l’avere d<strong>ei</strong> fratelli vi mette in un quadro<br />

benedetto in cui voi potete, al prezzo di un’ascesi austera,<br />

tendere alla purezza del cuore e, più ancora, al porto sicuro e<br />

segreto della vera solitudine. Questa solitudine non è<br />

un’impresa individuale che ciascuno persegue all’interno<br />

delle quattro mura della sua cella: essa è il frutto del reticolo<br />

d’amore che unisce i fratelli tra di loro in un comune desiderio<br />

di Dio. Questo desiderio li spinge verso una solitudine<br />

sempre più autentica e, a sua volta, il silenzio della solitudine<br />

li immerge nell’intimità di questo Dio tanto desiderato.


Alla fine la via fraterna è il luogo di un’obbedienza così<br />

semplice, così trasparente, che è Dio stesso che inscrive con<br />

il suo dito nell’anima d<strong>ei</strong> fratelli l’amore e la conoscenza della<br />

sua legge santa. Divenuti figli benamati dal Padre celeste,<br />

essi ricevono in sé stessi la sua impronta: il loro agire, sotto<br />

la luce dell’obbedienza, diviene risultato del desiderio di Dio.<br />

Essi stessi divengono fecondi; essi portano come frutto la<br />

scoperta di Dio.<br />

* * *<br />

Ecco, mi<strong>ei</strong> cari amici, le strade che ci apre <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> nelle<br />

sue lettere e che voi potrete esplorare, lasciandovi guidare da<br />

lui. Che egli imprima in voi un desiderio di Dio<br />

sufficientemente ardente, sufficientemente forte per<br />

permettervi di donarvi, senza reticenze, ai fratelli che Dio vi<br />

propone come luogo d’incontro con Lui, per mezzo<br />

dell’amore, della solitudine e dell’obbedienza.<br />

Che l’umile Vergine Maria, che ha vissuto tutto ciò alla<br />

perfezione, ve l’ottenga l<strong>ei</strong> stessa da suo Figlio. Amen.


I N D I C E<br />

CAP 1 <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong>, canale di grazia<br />

(Capitolo Generale 1983)<br />

CAP 2 Il ritratto di <strong>Bruno</strong><br />

(<strong>San</strong> <strong>Bruno</strong> 1983)<br />

CAP 3 La santità di <strong>Bruno</strong><br />

(Ognissanti 1983)<br />

CAP 4 La solitudine secondo <strong>Bruno</strong><br />

(Immacolata concezione 1983)<br />

CAP 5 La tenerezza di Dio<br />

(Natale 1983)<br />

CAP 6 L’obbedienza d<strong>ei</strong> primi conversi<br />

(Presentazione del Signore 1984)<br />

CAP 7 Le tappe dell’incontro con Dio<br />

(1° <strong>Dom</strong>enica di Quaresima 1984)<br />

CAP 8 La tenerezza verso Dio<br />

(Annunciazione 1984)<br />

CAP 9 Aver fiducia nel dono di Dio<br />

(Pasqua 1984)<br />

CAP 10 Colletta propria di <strong>San</strong> <strong>Bruno</strong><br />

(Ascensione 1984)<br />

CAP 11 Il desiderio di Dio<br />

(<strong>San</strong> Giovanni Battista 1984)

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