Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM
Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM
passava intere giornate, talvolta senza mangiare. Ecco perché Pio XI, canonizzandolo, lo presentava come modello del vero sacerdote apostolo: « Da una parte, vita seraficamente, intimamente, segretamente francescana, tutta assorta nella meditazione e nella contemplazione; dall’altra, tutta ed unicamente consacrata all’azione ». Né meno fattivo fu il suo zelo in convento per la perfetta vita comune e l’osservanza regolare. Un giorno fece fare la disciplina ad un religioso che si era portato a refettorio uno spicchio d’aglio. « Sappiate - egli disse - che uno spicchio d’aglio congiunto a questa penitenza non è un gran male, ma senza la penitenza, a poco a poco diventerebbe una noce, una mela, e via via sempre una cosa maggiore da divenire gravissima inosservanza». Fu severissimo nel fare osservare le cerimonie in chiesa e in coro. Rimproverava chi era frettoloso o strapazzava la s. Messa, o chi non faceva le dovute pause nel salmodiare. Nella fondazione dei Ritiri aboliva le questue generali del grano e del mosto, rinunziava alle cappellanie e alle elemosine delle s. Messe. E a chi lo tacciava di imprudenza rispondeva che «dove c'è l'osservanza, c'è sempre abbondanza ». Tutelò gelosamente il sacro silenzio. Volle che fosse rigorosamente e inviolabilmente osservato da tutti. In nessuna maniera tollerava che venisse violato e dai frati e dagli estranei. Chi avesse mancato, lo puniva rigorosamente, facendogli tracciare un segno di croce con la lingua per terra. Egli stesso, nelle ore di silenzio, si serviva di segni e di gesti. Ad alcuni ospiti, che ridevano smodatamente in foresteria: « Vi prego - disse loro - di non fare baccano; ricordatevi che siete in una casa di Ritiro, ove vige rigoroso silenzio». Ai muratori fece sospendere il lavoro, perché disturbavano molto la preghiera e il silenzio claustrale. Una volta era corso in portineria per dare il benvenuto al p. Visitatore. Non appena gli fu vicino, avendo sentito il segnale del silenzio, s’inchinò profondamente e si ritirò senza dirgli una parola. Nel Ritiro di Zùani, in Corsica, avendo il frate cuoco fatto un po' di rumore coi piatti, colse l’occasione per chiamarlo in mezzo al refettorio e fare a tutta la comunità un lungo discorso sulla necessità del silenzio. Né meno zelante per la vita raccolta e silenziosa fu il suo amico e maestro, il b. Tommaso da Cori. Entrambi, con la fondazione dei sacri Ritiri, contribuirono potentemente ad un rifiorimento più intenso dell’Ordine. Alla loro scuola fu formata ed educata una grande generazione di santi. . I cavalieri dell’umiltà Sono i nostri fratelli laici, questi eroi del Francescanesimo. Umili per la loro condizione, grandi per i loro servizi. Non aspirano al Sacerdozio; ma quanto meritoria è la loro vita semplice e nascosta. Il loro stato li mette in una privilegiata condizione di essere immunizzati dal veleno dell’orgoglio: per lo meno non sono intaccati dalla pericolosa aspirazione alle alte cariche. Nella storia dell’Ordine essi occupano un posto di primaria importanza: sono i cooperatori del sacerdote. Lavorano in cucina, nell’orto e in sagrestia; vanno alla questua, fanno la pulizia ed altri lavori manuali, per dare agio e possibilità al sacerdote di dedicarsi completamente al ministero apostolico. Quanti santi e beati tra i nostri fratelli laici! I compagni di san Francesco furono quasi tutti laici: S. Adiuto, s. Ottone, protomartiri del Marocco, e s. Donno, martire in 92
Ceuta, erano fratelli laici. San Diego d’Alcalà (sec. XV), s. Salvatore da Orta, s. Felice da Cantalice, s. Benedetto da S. Fratello, s. Pasquale Baylon, s. Serafino da Montegranaro (tutti del sec. XVI) e s. Corrado da Parzham (sec. XIX) sono sette gloriose e fulgide figure dello stato laicale. Ciascuno ebbe una propria caratteristica; ma tutti vissero la regola francescana; si mortificarono con asprissime penitenze; furono favoriti di estasi e visioni. S. Diego d’Alcalà fu l’apostolo delle Isole Canarie, ove convertì e battezzò numerosi infedeli. Con suprema abnegazione e con squisita carità esercitò anche il delicato ufficio d’infermiere nel convento di Aracoeli, nel 1450. In quell’anno, veniva canonizzato s. Bernardino da Siena. Dei numerosi religiosi (tra cui il nostro Santo), che convennero a Roma in tale circostanza, molti caddero gravemente ammalati. Ricoverati urgentemente nella grande infermeria di Aracoeli, ne fu affidata la cura a s. Diego. Li assisteva di giorno e di notte, pronto sempre ai loro richiami senza mai infastidirsi; li confortava con amabili parole; li curava con dolcezza e soavità materna. Arrivò perfino a succhiar le loro piaghe incancrenite, guarendole il più delle volte miracolosamente. S. Salvatore da Orta fu il grande taumaturgo del sec. XVI. I suoi strepitosi miracoli si fanno risalire a circa un milione. Con un solo segno di croce guariva migliaia di ammalati, raddrizzava gli storpi, dava la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la favella ai muti. Eppure, veniva sinistramente giudicato: anche gli stessi superiori, per divina disposizione, lo trattarono da fanatico ed ingannatore della gente, trasferendolo da un convento all’altro e cambiandogli nome, perché non si avesse più di lui alcuna traccia e fosse dimenticato. Ma il popolo lo cerca: più egli si allontana e si nasconde, e più lo si vuole vedere. La folla si accalca attorno ai conventi, grida e schiamazza: « Dov’è fra Salvatore ? ... « Fateci vedere fra Salvatore ... Lo vogliamo ». E allora lo si fa uscire del suo nascondiglio. Egli tutto confuso si fa vedere e dice loro: « Sentite, i miracoli non sono io che li faccio, li fa Iddio; io non sono che un miserabile peccatore... Credete in Dio, pentitevi dei vostri peccati ». Così dicendo, traccia un segno di croce su quei poveri sventurati. Ed ecco moltiplicarsi i prodigi e i miracoli. E’ un grido di gioia, è un delirio; è un gettare per terra e grucce e apparecchi ortopedici e fasce e bende. E’ una vera frenesia; si acclama e si grida da tutti: E’ un santo ! ... E’ un santo ... S. Felice da Cantalice si autodefinì l’Asino del convento dei cappuccini. Per quarant’anni esercitò l’umile ufficio di questuante, compiendo nello stesso tempo un fecondo apostolato di bene. Curvo sotto il peso della sua cara bisaccia, questo umile fraticello, lo si vedeva ogni giorno girare per le vie di Roma con la corona in mano e con gli occhi a terra. Tutti gli volevano bene. I fanciulli, specialmente, gli si erano molto affezionati: al solo vederlo sgusciare dalle vie, gli correvano incontro festanti, rispondendo al suo abituale saluto: Deo gratias! Ed egli li carezzava, giocava e saltellava con loro, cantando il ritornello:m“ Gesù... Gesù... Gesù... Prendetevi il mio cuore e non datemelo più ". Al Cardinale protettore, che gli aveva promesso che si sarebbe interessato presso i superiori, per farlo esonerare dalla questua, perché era ormai vecchio e si trascinava a stento: « Eminenza - rispose - mi lasci morire con la mia bisaccia. Essa mi soddisfa più che non potrebbero soddisfare lei, le magnificenze del suo palazzo. Quando porto la mia bisaccia sulle spalle, piena dell’elemosina dei fedeli, io penso alla croce del mio 93
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Ceuta, erano fratelli laici. San Diego d’Alcalà (sec. XV), s. Salvatore da Orta, s. Felice<br />
da Cantalice, s. Benedetto da S. Fratello, s. Pasquale Baylon, s. Serafino da Montegranaro<br />
(tutti del sec. XVI) e s. Corrado da Parzham (sec. XIX) sono sette gloriose e<br />
fulgide figure dello stato laicale.<br />
Ciascuno ebbe una propria caratteristica; ma tutti vissero la regola francescana; si<br />
mortificarono con asprissime penitenze; furono favoriti di estasi e visioni.<br />
S. Diego d’Alcalà fu l’apostolo delle Isole Canarie, ove convertì e battezzò<br />
numerosi infedeli. Con suprema abnegazione e con squisita carità esercitò anche il<br />
delicato ufficio d’infermiere nel convento di Aracoeli, nel 1450. In quell’anno, veniva<br />
canonizzato s. Bernardino da Siena. Dei numerosi religiosi (tra cui il nostro Santo), che<br />
convennero a Roma in tale circostanza, molti caddero gravemente ammalati. Ricoverati<br />
urgentemente nella grande infermeria di Aracoeli, ne fu affidata la cura a s. Diego. Li<br />
assisteva di giorno e di notte, pronto sempre ai loro richiami senza mai infastidirsi; li<br />
confortava con amabili parole; li curava con dolcezza e soavità materna. Arrivò perfino<br />
a succhiar le loro piaghe incancrenite, guarendole il più delle volte miracolosamente.<br />
S. Salvatore da Orta fu il grande taumaturgo del sec. XVI. I suoi strepitosi miracoli<br />
si fanno risalire a circa un milione. Con un solo segno di croce guariva migliaia di<br />
ammalati, raddrizzava gli storpi, dava la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la favella ai<br />
muti. Eppure, veniva sinistramente giudicato: anche gli stessi superiori, per divina<br />
disposizione, lo trattarono da fanatico ed ingannatore <strong>della</strong> gente, trasferendolo da un<br />
convento all’altro e cambiandogli nome, perché non si avesse più di lui alcuna traccia e<br />
fosse dimenticato.<br />
Ma il popolo lo cerca: più egli si allontana e si nasconde, e più lo si vuole vedere.<br />
La folla si accalca attorno ai conventi, grida e schiamazza: « Dov’è fra Salvatore ? ... «<br />
Fateci vedere fra Salvatore ... Lo vogliamo ». E allora lo si fa uscire del suo<br />
nascondiglio. Egli tutto confuso si fa vedere e dice loro: « Sentite, i miracoli non sono<br />
io che li faccio, li fa Iddio; io non sono che un miserabile peccatore... Credete in Dio,<br />
pentitevi dei vostri peccati ». Così dicendo, traccia un segno di croce su quei poveri<br />
sventurati. Ed ecco moltiplicarsi i prodigi e i miracoli. E’ un grido di gioia, è un delirio;<br />
è un gettare per terra e grucce e apparecchi ortopedici e fasce e bende. E’ una vera<br />
frenesia; si acclama e si grida da tutti: E’ un santo ! ... E’ un santo ...<br />
S. Felice da Cantalice si autodefinì l’Asino del convento dei cappuccini. Per<br />
quarant’anni esercitò l’umile ufficio di questuante, compiendo nello stesso tempo un<br />
fecondo apostolato di bene. Curvo sotto il peso <strong>della</strong> sua cara bisaccia, questo umile<br />
fraticello, lo si vedeva ogni giorno girare per le vie di Roma con la corona in mano e<br />
con gli occhi a terra. Tutti gli volevano bene. I fanciulli, specialmente, gli si erano molto<br />
affezionati: al solo vederlo sgusciare dalle vie, gli correvano incontro festanti,<br />
rispondendo al suo abituale saluto: Deo gratias! Ed egli li carezzava, giocava e<br />
saltellava con loro, cantando il ritornello:m“ Gesù... Gesù... Gesù... Prendetevi il mio<br />
cuore e non datemelo più ".<br />
Al Cardinale protettore, che gli aveva promesso che si sarebbe interessato presso i<br />
superiori, per farlo esonerare dalla questua, perché era ormai vecchio e si trascinava a<br />
stento: « Eminenza - rispose - mi lasci morire con la mia bisaccia. Essa mi soddisfa più<br />
che non potrebbero soddisfare lei, le magnificenze del suo palazzo. Quando porto la mia<br />
bisaccia sulle spalle, piena dell’elemosina dei fedeli, io penso alla croce del mio<br />
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