Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM

Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM

31.05.2013 Views

82 Un principe sotto il saio E' s. Ludovico d'Angiò stella fulgente di santità del secolo XIII: di sangue reale e di famiglia di santi. Figlio di Carlo II, re di Napoli e di Gerusalemme, ebbe dei vincoli di parentela con s. Ludovico IX, re di Francia, con s. Ferdinando, re di Castiglia, con s. Edvige, duchessa di Slesia, con s. Elisabetta d'Ungheria, con s. Elisabetta regina di Portogallo e con s. Agnese di Boemia e le beate Isabella di Francia, Cunegonda e Iolanda, duchesse di Polonia, e Salomea regina di Galizia. Educato dai Francescani fin da giovanetto, solo a ventidue anni potè avere la gioia di vestire il loro abito. Tutta la sua vita fu un mirabile intreccio di carità, di purezza, di umiltà e di abnegazione. Piccolino, appena settenne, soleva mortificare il suo delicato corpo, facendolo riposare sui tappeti della sua camera. Un giorno il babbo lo sorprese, mentre portava nascostamente un arrosto ai suoi poverelli: « Fammi vedere - gli disse - cosa porti qui sotto il mantello ». Scopre e guarda; ma al posto del pollo arrostito, vi trovò, con sua grande maraviglia, un fresco ed olezzante mazzo di fiori. A quattordici anni fu mandato come ostaggio in Spagna con altri due suoi fratelli, in cambio del Re, suo padre, che era stato fatto prigioniero durante i famosi «Vespri siciliani ». Sopportò quella prova con suprema rassegnazione e fortezza d’animo. Sette anni durò la sua prigionia. Sette anni di sacrifici, di privazioni, ma anche di profonda formazione religiosa, sotto la guida dei padri francescani di Barcellona, a cui era stato affidato. Recitava con loro l’Ufficio notturno, ascoltava la s. Messa tutte le mattine, si comunicava frequentemente. Gelosissimamente custodì il candido giglio della sua purezza, circondandolo di ogni cura e precauzione: pregava, digiunava, si disciplinava, si mortificava negli occhi per non macchiare l’illibatezza dell’anima sua. Ad un giovane, che l’istigava a commettere un peccato turpe, rispose con sommo orrore: «Dio mi liberi dal precipitare il mio corpo e l’anima mia nell’inferno». Durante la sua prigionia, essendo stato colpito da improvvisa tisi polmonare, aveva fatto voto di farsi francescano, se si fosse guarito. Riacquistò la salute, riebbe la libertà; ma non poté attuare subito il tanto accarezzato ideale. Ritornato in Italia, veniva ordinato sacerdote a Napoli. Dopo di che abbracciava e professava la Regola di s. Francesco nella chiesa di S. Maria d’Aracoeli a Roma. Contava ventidue anni appena. Sei giorni dopo la sua professione religiosa, veniva consacrato vescovo di Tolosa, nonostante la sua riluttanza e i suoi ripetuti rifiuti. Da vescovo visse poveramente: non sfoggiò di addobbi nel suo appartamento episcopale, ma semplicità e povertà. Portò sempre l’abito francescano; qualche volta fu visto anche mendicare a piedi scalzi. Recandosi in Francia, per andare a pigliare possesso della sua diocesi, si fermò a Firenze. I frati di S. Croce gli avevano preparato una cella molto abbellita; ma non volle entrarvi, se prima non ne avessero tolto gli ornamenti: «perché – diceva - questa non è la cella di un frate minore, ma l’abitazione di un principe del mondo ». Si fermò anche a Siena, ove pigliò parte a tutti gli esercizi della comunità, anche a quello più umile di andare a lavare i piatti in cucina. Fu zelantissimo pastore di anime: visitava personalmente gli ammalati e i poveri; spesso li ammetteva alla sua stessa mensa, e li serviva. Un giorno, dopo aver confessato

una vecchietta nel suo povero tugurio, si trovò l’abito pieno di pidocchi: « Non temete - disse ai confratelli che glielo avevano fatto osservare - queste sono le perle dei poveri ». Morì a 23 anni nel castello paterno di Brignoles, mentre si recava a Roma, per reiterare la sua rinunzia all’Episcopato. Nel momento in cui spirò, si vide uscire dalla sua bocca una rosa di meravigliosa bellezza, e si udirono delle voci angeliche cantare: « Così sono onorati quelli che hanno servito Dio nell’innocenza e nella purezza ». La Chiesa nella sua liturgia l’invoca con questi bellissimi titoli: « Rosa primaverile di carità, giglio di verginità, stella splendente, vaso di santità ». 83 Le aureole dei martiri La gloriosa schiera dei martiri francescani inizia con i Protomartiri del Marocco: santi Berardo, Pietro, Ottone, Accursio, Adiuto. Sono essi le primizie di quel sangue serafico, che sarà spesso sparso in testimonianza per Cristo. Partirono dalla Porziuncola dopo il Capitolo generale del 1219, incoraggiati dalle parole e dalla benedizione del loro padre s. Francesco. « Partite, figli miei - disse loro - abbandonatevi nelle mani di Dio. Egli vi fortifichi, vi conduca e vi consoli nelle prove... Non abbiate alcun timore » Ricevettero in ginocchio la sua benedizione e, preso il solo breviario e la sola Regola, si diressero verso il Marocco. Erano sei in partenza; ma in Spagna, frate Vitale, loro superiore, dovette fermarsi, perchè cadde gravemente ammalato. Dalla Spagna passano a Coimbra (in Portogallo), accolti con grande onorificenza dalla regina Urraca; passano poi in Siviglia, occupata dai Musulmani. Qui iniziarono il loro apostolato. Davanti ad una moschea mussulmana essi ebbero l'ardire di predicare la religione cristiana. Arrestati, furono dapprima rinchiusi in una torre e, dopo inauditi insulti e maltrattamenti, furono inviati al Miramolino, residente in Marocco, perchè decidesse lui della loro sorte. Rimessi in libertà, continuarono a predicare nelle piazze e per le vie con grande coraggio e fermezza. Minacciati di morte, non desistettero: internati, cacciati ai confini e rimessi in prigione, essi ritornavano impavidi ad annunziare il regno di Dio, finché il Miramolino, irritatosi per la loro costanza, ordinò che fossero imprigionati e torturati. Più volte furono frustati, e con tale crudeltà, che apparvero le loro viscere. Denudati, furono voltolati, per una notte intera, sopra uno strato di schegge; sulle loro ferite aperte e sanguinanti fu poi versato olio ed aceto bollente. Dopo così spaventevoli tormenti il sovrano ritentò, con promesse e con doni, di farli apostatare. Ma vista la loro audacia ed intrepida fermezza, li decapitò con la propria scimitarra. All’annunzio del loro martirio, il serafico Padre, pieno di gioia, esclamò: «Ora, in verità, posso dire di avere cinque veri frati Minori ». Nel 1227, sette anni dopo la testimonianza di questo primo sangue francescano, venivano martirizzati a Ceuta altri sette intrepidi apostoli con a capo s. Daniele. Erano partiti per il Marocco, come missionari fra i Saraceni. Colà giunti, cominciarono a predicare coraggiosamente contro la legge maomettana. Attiratasi la più atroce persecuzione, furono incarcerati e sottoposti ad ogni sorta di insulti e di sevizie. Furono decapitati dopo otto giorni di crudele prigionia.

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Un principe sotto il saio<br />

E' s. Ludovico d'Angiò stella fulgente di santità del secolo XIII: di sangue reale e di<br />

famiglia di santi.<br />

Figlio di Carlo II, re di Napoli e di Gerusalemme, ebbe dei vincoli di parentela con<br />

s. Ludovico IX, re di Francia, con s. Ferdinando, re di Castiglia, con s. Edvige, duchessa<br />

di Slesia, con s. Elisabetta d'Ungheria, con s. Elisabetta regina di Portogallo e con s.<br />

Agnese di Boemia e le beate Isabella di Francia, Cunegonda e Iolanda, duchesse di<br />

Polonia, e Salomea regina di Galizia.<br />

Educato dai Francescani fin da giovanetto, solo a ventidue anni potè avere la gioia<br />

di vestire il loro abito. Tutta la sua vita fu un mirabile intreccio di carità, di purezza, di<br />

umiltà e di abnegazione.<br />

Piccolino, appena settenne, soleva mortificare il suo delicato corpo, facendolo<br />

riposare sui tappeti <strong>della</strong> sua camera. Un giorno il babbo lo sorprese, mentre portava<br />

nascostamente un arrosto ai suoi poverelli: « Fammi vedere - gli disse - cosa porti qui<br />

sotto il mantello ». Scopre e guarda; ma al posto del pollo arrostito, vi trovò, con sua<br />

grande maraviglia, un fresco ed olezzante mazzo di fiori.<br />

A quattordici anni fu mandato come ostaggio in Spagna con altri due suoi fratelli,<br />

in cambio del Re, suo padre, che era stato fatto prigioniero durante i famosi «Vespri<br />

siciliani ». Sopportò quella prova con suprema rassegnazione e fortezza d’animo.<br />

Sette anni durò la sua prigionia. Sette anni di sacrifici, di privazioni, ma anche di<br />

profonda formazione religiosa, sotto la guida dei padri francescani di Barcellona, a cui<br />

era stato affidato. Recitava con loro l’Ufficio notturno, ascoltava la s. Messa tutte le<br />

mattine, si comunicava frequentemente. Gelosissimamente custodì il candido giglio<br />

<strong>della</strong> sua purezza, circondandolo di ogni cura e precauzione: pregava, digiunava, si<br />

disciplinava, si mortificava negli occhi per non macchiare l’illibatezza dell’anima sua.<br />

Ad un giovane, che l’istigava a commettere un peccato turpe, rispose con sommo<br />

orrore: «Dio mi liberi dal precipitare il mio corpo e l’anima mia nell’inferno». Durante<br />

la sua prigionia, essendo stato colpito da improvvisa tisi polmonare, aveva fatto voto di<br />

farsi francescano, se si fosse guarito. Riacquistò la salute, riebbe la libertà; ma non poté<br />

attuare subito il tanto accarezzato ideale.<br />

Ritornato in Italia, veniva ordinato sacerdote a Napoli. Dopo di che abbracciava e<br />

professava la Regola di s. Francesco nella chiesa di S. Maria d’Aracoeli a Roma.<br />

Contava ventidue anni appena. Sei giorni dopo la sua professione religiosa, veniva<br />

consacrato vescovo di Tolosa, nonostante la sua riluttanza e i suoi ripetuti rifiuti.<br />

Da vescovo visse poveramente: non sfoggiò di addobbi nel suo appartamento<br />

episcopale, ma semplicità e povertà. Portò sempre l’abito francescano; qualche volta fu<br />

visto anche mendicare a piedi scalzi.<br />

Recandosi in Francia, per andare a pigliare possesso <strong>della</strong> sua diocesi, si fermò a<br />

Firenze. I frati di S. Croce gli avevano preparato una cella molto abbellita; ma non volle<br />

entrarvi, se prima non ne avessero tolto gli ornamenti: «perché – diceva - questa non è<br />

la cella di un frate minore, ma l’abitazione di un principe del mondo ». Si fermò anche a<br />

Siena, ove pigliò parte a tutti gli esercizi <strong>della</strong> comunità, anche a quello più umile di<br />

andare a lavare i piatti in cucina.<br />

Fu zelantissimo pastore di anime: visitava personalmente gli ammalati e i poveri;<br />

spesso li ammetteva alla sua stessa mensa, e li serviva. Un giorno, dopo aver confessato

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