Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM
Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM
la sua infuocata parola, il « martello degli eretici » . Dalla Sicilia passò ad Assisi; assistette al grande Capitolo generale di quell’anno (1221), e andò poi a nascondersi nel silenzio e nella solitudine dell’eremo di Monte Paolo, presso Forlì. Qui maturò la sua vocazione; qui raffinò la sua virtù; qui si preparò all’apostolato. Cercava l'oscurità, la dimenticanza, il silenzio, l’umiltà, la semplicità. Sentiva il bisogno di immergersi nella solitudine, sconosciuto e dimenticato da tutti. Fu messo in cucina; lavava le stoviglie e talvolta, con le bisacce sulle spalle, andava a questuare per le campagne. Ignoto a tutti: era felice così. Ma non durò a lungo questa sua felicità; svaniva ben presto, come era svanito l’ardente sogno del martirio. Dopo circa dieci mesi di vita oscura e nascosta, Iddio si degnò di glorificarlo. Un giorno nella cattedrale di Forlì, dovette improvvisare, per ordine del superiore, una predica per gli Ordinandi. Suscitò allora tale impressione con l’ardore del suo dire e la profondità della sua dottrina, che i superiori credettero più opportuno farlo uscire da quella solitudine e mandarlo a predicare per paesi e città. Lasciò, quindi, il suo prediletto Ritiro di Monte Paolo e partì per andare a combattere le eresie pullulanti, per ravvivare la fede e far rifiorire la virtù. Operò dappertutto così portentosi miracoli e strepitose conversioni da essere chiamato il « Taumaturgo » per antonomasia. Ecco qualcuno dei suoi tanti prodigi. Mentre predicava in chiesa, gli fu portato un giorno il cadavere di un giovane. Parenti ed amici piangevano inconsolabilmente. Antonio interrompe la predica e, rivoltosi al morto, gli comanda: « In nome di Gesù, alzati! » E il morto si alzò e ritornò a vivere. Una volta, predicando all’aperto, scoppiò un forte temporale: « Fermatevi — disse alla gente che fuggiva — non vi bagnerete ». La pioggia, infatti, allagò la terra tutt’intorno, senza bagnare alcuno di coloro che gli erano restati accanto. Un'altra volta faceva il discorso funebre ad un usuraio, commentando quelle parole del Vangelo: « Dov'è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore ». Si rivolse ai parenti del morto: « Andate, disse, cercate nei suoi forzieri e vi troverete il cuore tra le monete d’oro e d’argento ». Andarono, cercarono, e vi trovarono realmente il cuore dell’usuraio. I1 padre di s. Antonio, accusato di omicidio, era stato messo in prigione. Corre subito a difenderlo. Da Venezia si reca a Lisbona, trasportato da un angelo; si avvicina al morto trucidato e gli ordina di alzarsi e di dire pubblicamente chi fosse l’autore del suo assassinio. E il morto si alzò, parlò, affermò l’innocenza del padre di Antonio e si rimise nel sepolcro. A Tolosa convertì un eretico, facendo inginocchiare davanti al santissimo Sacramento la mula digiuna da tre giorni. A Rimini predicò in riva al mare ad una moltitudine di pesci, che lo ascoltavano con la testa fuori dell’acqua e con la bocca aperta. Passa così di città in città, di castello in castello, preceduto sempre dalla fama della sua santità e dei suoi miracoli, riconciliando i peccatori, convertendo gli eretici, estinguendo gli odi e le discordie, portando la pace e infiammando i cuori con l’ardore della sua taumaturgica Parola. Morì nel convento di Arcella (Padova), mormorando queste soavi parole: «Vedo il mio Signore ». 80
Il terzo della triade serafica è s. Bonaventura. Egli è la luce. Si distinse per il suo prodigioso ingegno, per la sua elevata dottrina e per la sua seraficità. Era di una così squisita bontà e purezza angelica, di una così profonda umiltà e colombina semplicità che Alessandro d'Ales ebbe a dire di lui: « Sembra che Adamo non abbia peccato in Bonaventura ». Entrò nell’Ordine nel fior della giovinezza: contava appena ventidue anni. La mamma sua glielo aveva votato, ancora tenero pargoletto, quando, colpito da grave malattia, fu strappato dalle fauci della morte, per intercessione di s. Francesco. Prima di entrare nell’Ordine aveva studiato a Parigi; vi ritornò, dopo l’anno di noviziato, per riprendere e completare brillantemente i suoi studi filosofici e teologici. Ordinato sacerdote e conseguiti i gradi accademici, insegnò teologia ai frati nello Studio generale dell’Ordine che aveva sede in Parigi. Nel 1248 gli fu affidata una cattedra d’insegnamento nella celebre e rinomata università della Sorbona. Quanto luminosi i suoi insegnamenti, altrettanto improntati di pietà. « Donde hai appreso tanta sapienza ? » — gli chiese un giorno s. Tommaso d'Aquino, suo amico. E l'umile frate, indicandogli il devoto Crocifisso che teneva sul tavolo: «Ecco - rispose - l’unica sorgente della mia dottrina: da queste piaghe sacratissime assorbo tutta quanta la mia luce ». Se profonda era dunque la sua dottrina, altrettanto ardente e devota, la sua pietà. Come scriveva, così operava. Nei suoi profondi studi non perdé mai di vista il suo Dio a cui teneva costantemente rivolto lo sguardo e il pensiero. Nel 1587, Sisto V, dichiarandolo «Dottore serafico» con la bolla «Triumphantis Ecclesiae», così lo elogiava: « Bonaventura non solo risplendeva per la sottigliezza delle sue argomentazioni, per il suo modo facile di porgere le cose, per l’abilità delle sue dichiarazioni, ma anche per il dono particolare che possedeva di commuovere gli animi con una forza quasi divina. Ad un grande sapere univa 1’ardore di un’altrettanta grande pietà. Egli istruisce i suoi lettori e li entusiasma; egli penetra nelle più intime pieghe dell’anima, trafigge il cuore col pungiglione del serafico amore e lo riempie di una devozione mirabilmente soave». Anche s. Bonaventura amava ritirarsi di quando in quando in luoghi solitari, come alla Verna e a Greccio. Eletto ministro generale di tutto l’Ordine a trentasei anni, cardinale e vescovo di Albano a cinquantun anni, pur nell’altezza delle cariche, continuò a vivere da vero frate minore: povero, umile, austero, devoto. Quando gli fu mandato dal Papa il cappello cardinalizio, lo trovarono nel solitario convento del Bosco, in Mugello (Toscana), mentre lavava le stoviglie della cucina. All’arrivo dei due legati, che glielo avevano portato, non interruppe il suo umile lavoro; ma, avendoli pregati di aspettare, fece appendere il cappello ai rami di un albero e continuò a lavare i piatti. A lavoro finito, così disse ai religiosi presenti: « Dopo avere adempiuto gli uffici del frate minore, andiamo a provarne altri più difficili. Credetemi, fratelli miei, questi sono più salutari e più sicuri, quelli al contrario, che vanno congiunti a grandi dignità, sono pesanti e pieni di pericoli ». Morì a 52 anni, durante la celebrazione del Concilio di Lione, a cui egli aveva preso tanta parte attiva. Gli atti del Concilio così lo elogiano: « S. Bonaventura è unico per santità, per scienza e per eloquenza, per condotta esemplare, per carità, per finezza di tratto, cortese, affabile, pio, caritatevole, ricco di virtù, caro a Dio e agli uomini ». 81
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la sua infuocata parola, il « martello degli eretici » .<br />
Dalla Sicilia passò ad <strong>Assisi</strong>; assistette al grande Capitolo generale di quell’anno<br />
(1221), e andò poi a nascondersi nel silenzio e nella solitudine dell’eremo di Monte<br />
Paolo, presso Forlì. Qui maturò la sua vocazione; qui raffinò la sua virtù; qui si preparò<br />
all’apostolato. Cercava l'oscurità, la dimenticanza, il silenzio, l’umiltà, la semplicità.<br />
Sentiva il bisogno di immergersi nella solitudine, sconosciuto e dimenticato da tutti. Fu<br />
messo in cucina; lavava le stoviglie e talvolta, con le bisacce sulle spalle, andava a<br />
questuare per le campagne.<br />
Ignoto a tutti: era felice così. Ma non durò a lungo questa sua felicità; svaniva ben<br />
presto, come era svanito l’ardente sogno del martirio.<br />
Dopo circa dieci mesi di vita oscura e nascosta, Iddio si degnò di glorificarlo.<br />
Un giorno nella cattedrale di Forlì, dovette improvvisare, per ordine del superiore,<br />
una predica per gli Ordinandi. Suscitò allora tale impressione con l’ardore del suo dire e<br />
la profondità <strong>della</strong> sua dottrina, che i superiori credettero più opportuno farlo uscire da<br />
quella solitudine e mandarlo a predicare per paesi e città.<br />
Lasciò, quindi, il suo prediletto Ritiro di Monte Paolo e partì per andare a<br />
combattere le eresie pullulanti, per ravvivare la fede e far rifiorire la virtù. Operò<br />
dappertutto così portentosi miracoli e strepitose conversioni da essere chiamato il «<br />
Taumaturgo » per antonomasia. Ecco qualcuno dei suoi tanti prodigi.<br />
Mentre predicava in chiesa, gli fu portato un giorno il cadavere di un giovane.<br />
Parenti ed amici piangevano inconsolabilmente. Antonio interrompe la predica e,<br />
rivoltosi al morto, gli comanda: « In nome di Gesù, alzati! » E il morto si alzò e ritornò<br />
a vivere.<br />
Una volta, predicando all’aperto, scoppiò un forte temporale: « Fermatevi — disse<br />
alla gente che fuggiva — non vi bagnerete ». La pioggia, infatti, allagò la terra<br />
tutt’intorno, senza bagnare alcuno di coloro che gli erano restati accanto.<br />
Un'altra volta faceva il discorso funebre ad un usuraio, commentando quelle parole<br />
del Vangelo: « Dov'è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore ». Si rivolse ai parenti del morto: «<br />
Andate, disse, cercate nei suoi forzieri e vi troverete il cuore tra le monete d’oro e<br />
d’argento ». Andarono, cercarono, e vi trovarono realmente il cuore dell’usuraio.<br />
I1 padre di s. Antonio, accusato di omicidio, era stato messo in prigione. Corre<br />
subito a difenderlo. Da Venezia si reca a Lisbona, trasportato da un angelo; si avvicina<br />
al morto trucidato e gli ordina di alzarsi e di dire pubblicamente chi fosse l’autore del<br />
suo assassinio. E il morto si alzò, parlò, affermò l’innocenza del padre di Antonio e si<br />
rimise nel sepolcro.<br />
A Tolosa convertì un eretico, facendo inginocchiare davanti al santissimo<br />
Sacramento la mula digiuna da tre giorni. A Rimini predicò in riva al mare ad una<br />
moltitudine di pesci, che lo ascoltavano con la testa fuori dell’acqua e con la bocca<br />
aperta.<br />
Passa così di città in città, di castello in castello, preceduto sempre dalla fama <strong>della</strong><br />
sua santità e dei suoi miracoli, riconciliando i peccatori, convertendo gli eretici,<br />
estinguendo gli odi e le discordie, portando la pace e infiammando i cuori con l’ardore<br />
<strong>della</strong> sua taumaturgica Parola.<br />
Morì nel convento di Arcella (Padova), mormorando queste soavi parole: «Vedo il<br />
mio Signore ».<br />
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