Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM
Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM Storia della Famiglia Francescana - Assisi OFM
CAP. I La santità francescana Triade serafica – Un principe sotto il saio – Le aureole dei martiri – Gli araldi del gran Re – I penitenti e contemplativi – I silenziosi – I cavalieri dell’umiltà SOMMARIO: Imponente ed immensa, l’eletta schiera dei santi francescani! Sono essi le glorie più pure dell’Ordine serafico. Come l’albero si conosce e si apprezza dai frutti, così la vera spiritualità francescana, si apprende meglio dalla vita eroicamente vissuta dei nostri santi. Essi testimoniano la perenne vitalità della vita francescana; su di loro soprattutto si poggia la nostra gloriosa storia di otto secoli: senza la loro santità l’Ordine sarebbe stato un membro secco della Chiesa, un ramo infecondo, destinato a perire. Secondo le statistiche dell’ottavo centenario della Regola francescana (1209-2009), l’Ordine francescano ha dato alla Chiesa 197 santi e 353 beati, ufficialmente canonizzati e beatificati dalla Sede Apostolica. Sono così divisi. * Frati del I Ordine: - prima della divisione del 1517 abbiamo 34 Santi e 53 beati; dopo la divisione abbiamo: - dell’Osservanza: 74 santi 128 beati; - degli gli Scalzi o Alcantarini 9 santi e 20 beati; - dei Riformati 4 santi e 4 beati; - 1 santo dei Recolletti; - dei Conventuali 3 santi e 7 beati; - tra i Cappuccini 14 santi e 35 beati; * Del II Ordine o Clarisse: 12 sante e 21 beate; * Del III Ordine - del Terz’Ordine Regolare una santa e 12 beati; - del Terz’Ordine Secolare: 44 santi e 71 beati; - 2 santi e 2 beati della Confraternita dei Cordigeri di S. Francesco. Da così ricca fioritura serafica scegliamo fior da fiore per far sentire la soavità del profumo delle loro virtù. Non è possibile trattare di tutti, pur brevemente; abbiamo preferito presentare quelli a cui la Chiesa ha tributato gli onori supremi degli altari e qualche altro beato o servo di Dio, specie recente, di spiccata ed eccezionale virtù. In questo capitolo mettiamo in rilievo i tratti caratteristici dei campioni migliori della santità del Primo Ordine. Non sono disposti cronologicamente, ma raggruppati secondo dei punti in comune. 78 Triade serafica S. Francesco, s. Antonio, s. Bonaventura, ecco la serafica triade del secolo XIII. S. Francesco è il fuoco; s. Antonio, l’ardore; s. Bonaventura, la luce. Di s. Francesco abbiamo parlato, per quanto sommariamente, nella prima parte.
Qui riportiamo una pagina di Tommaso da Celano, uno tra i più antichi e più grandi suoi biografi. Egli definisce il serafico Padre: « Totus non orans quam oratio factus »: Francesco non tanto pregava, ma era lui stesso la stessa orazione. C’è tutto s. Francesco in questa definizione. Più che un uomo orante, egli era una preghiera vivente: un Serafino. « La sua maggiore preoccupazione era di tenersi libero da ogni cura mondana, in modo che neppure un istante potesse venire offuscata la serenità della sua mente da alcuna macchia di polvere terrena. Sapeva rendersi insensibile ad ogni rumore esteriore, custodendo con tutta premura i sensi esterni e trattenendo i moti dell’animo, per vivere assorto soltanto in Dio. Con santa devozione cercava luoghi solitari, per rimanere a lungo in fiducioso abbandono nelle ferite del Salvatore. Sceglieva sempre la solitudine, per potere rivolgere completamente la sua anima a Dio, non disdegnando tuttavia di interessarsi volentieri del bene delle anime, qualora l’avesse richiesto il bisogno. Suo porto sicuro era la preghiera: non la preghiera di pochi minuti, o vuota o presuntuosa, ma lunga, piena di devozione e di placida umiltà. Pregava sempre: camminando e riposando, mangiando o bevendo. L’anima sua era tutta assetata di Cristo; tutto a Lui dedicava: non solo il cuore, ma anche il corpo... Cercava luoghi nascosti, ove potesse congiungersi al suo Dio non solo con lo spirito, ma quasi anche col corpo. Se, trovandosi in compagnia, si sentiva improvvisamente visitato dalla grazia del Signore, per non essere privo della cella, ne formava una col mantello; se mancava di questo, si copriva la faccia con la manica dell’abito, per non lasciar trasparire al di fuori il segreto della manna nascosta. Sempre frapponeva qualche cosa tra sé e i presenti, perché questi non si avvedessero del contatto dello Sposo, così che, in un luogo stretto, pur stando in mezzo a molti, pregava non visto. Se non poteva fare nulla di tutto ciò, faceva del suo petto un tempio. Nell’estasi dimenticava fin di lacrimare e gemere, e, tutto assorto in Dio, non sospirava e non dava segni esteriori. Così tra gli uomini. Quando pregava invece nelle selve e nelle solitudini, riempiva allora i boschi di gemiti, bagnava il suolo di lacrime, si batteva il petto con la mano, e là, come se avesse trovato un luogo più recondito, conversava spesso ad alta voce col suo Signore. Ivi gli rispondeva come a Giudice, lo supplicava come Padre; discorreva con Lui come con un amico; si dilettava con lo Sposo suo. Sotto aspetti molteplici riguardava così Colui che è essenzialmente Uno. Spesso non muovendo le labbra, parlava entro di sé, e, concentrando interiormente tutti i sensi esteriori, faceva salire lo spirito fino al cielo. Così rivolgeva tutta l’intelligenza e il cuore su ciò che domandava al Signore. In verità non più un uomo che pregava, ma una vera preghiera era egli stesso: « Totus non orans, quam oratio factus » (FF 444-445; 681-682). Dopo s. Francesco, s. Antonio di Padova. Egli è l'ardore: è il martire di desiderio. Abbracciò la vita francescana per questo: per morire martire. A venticinque anni lasciava il monastero agostiniano di Coimbra, e si faceva francescano. Anelante al martirio, fu attratto dall’eroismo dei Protomartiri francescani del Marocco. E partì anche lui per l’Africa; ma non vi morì martire, come era suo ardente desiderio. Colpito da grave malattia, dovette ripiegare, con suo grande rammarico, sulle coste della Sicilia. Non era in Marocco che il Signore lo voleva, ma in Italia, per essere, con 79
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Qui riportiamo una pagina di Tommaso da Celano, uno tra i più antichi e più grandi suoi<br />
biografi.<br />
Egli definisce il serafico Padre: « Totus non orans quam oratio factus »: Francesco<br />
non tanto pregava, ma era lui stesso la stessa orazione. C’è tutto s. Francesco in questa<br />
definizione. Più che un uomo orante, egli era una preghiera vivente: un Serafino.<br />
« La sua maggiore preoccupazione era di tenersi libero da ogni cura mondana, in<br />
modo che neppure un istante potesse venire offuscata la serenità <strong>della</strong> sua mente da<br />
alcuna macchia di polvere terrena. Sapeva rendersi insensibile ad ogni rumore esteriore,<br />
custodendo con tutta premura i sensi esterni e trattenendo i moti dell’animo, per vivere<br />
assorto soltanto in Dio.<br />
Con santa devozione cercava luoghi solitari, per rimanere a lungo in fiducioso<br />
abbandono nelle ferite del Salvatore. Sceglieva sempre la solitudine, per potere<br />
rivolgere completamente la sua anima a Dio, non disdegnando tuttavia di interessarsi<br />
volentieri del bene delle anime, qualora l’avesse richiesto il bisogno.<br />
Suo porto sicuro era la preghiera: non la preghiera di pochi minuti, o vuota o<br />
presuntuosa, ma lunga, piena di devozione e di placida umiltà.<br />
Pregava sempre: camminando e riposando, mangiando o bevendo. L’anima sua era tutta<br />
assetata di Cristo; tutto a Lui dedicava: non solo il cuore, ma anche il corpo... Cercava<br />
luoghi nascosti, ove potesse congiungersi al suo Dio non solo con lo spirito, ma quasi<br />
anche col corpo. Se, trovandosi in compagnia, si sentiva improvvisamente visitato dalla<br />
grazia del Signore, per non essere privo <strong>della</strong> cella, ne formava una col mantello; se<br />
mancava di questo, si copriva la faccia con la manica dell’abito, per non lasciar<br />
trasparire al di fuori il segreto <strong>della</strong> manna nascosta. Sempre frapponeva qualche cosa<br />
tra sé e i presenti, perché questi non si avvedessero del contatto dello Sposo, così che, in<br />
un luogo stretto, pur stando in mezzo a molti, pregava non visto. Se non poteva fare<br />
nulla di tutto ciò, faceva del suo petto un tempio. Nell’estasi dimenticava fin di<br />
lacrimare e gemere, e, tutto assorto in Dio, non sospirava e non dava segni esteriori.<br />
Così tra gli uomini.<br />
Quando pregava invece nelle selve e nelle solitudini, riempiva allora i boschi di<br />
gemiti, bagnava il suolo di lacrime, si batteva il petto con la mano, e là, come se avesse<br />
trovato un luogo più recondito, conversava spesso ad alta voce col suo Signore.<br />
Ivi gli rispondeva come a Giudice, lo supplicava come Padre; discorreva con Lui<br />
come con un amico; si dilettava con lo Sposo suo. Sotto aspetti molteplici riguardava<br />
così Colui che è essenzialmente Uno. Spesso non muovendo le labbra, parlava entro di<br />
sé, e, concentrando interiormente tutti i sensi esteriori, faceva salire lo spirito fino al<br />
cielo. Così rivolgeva tutta l’intelligenza e il cuore su ciò che domandava al Signore. In<br />
verità non più un uomo che pregava, ma una vera preghiera era egli stesso: « Totus non<br />
orans, quam oratio factus » (FF 444-445; 681-682).<br />
Dopo s. Francesco, s. Antonio di Padova. Egli è l'ardore: è il martire di desiderio.<br />
Abbracciò la vita francescana per questo: per morire martire. A venticinque anni<br />
lasciava il monastero agostiniano di Coimbra, e si faceva francescano. Anelante al<br />
martirio, fu attratto dall’eroismo dei Protomartiri francescani del Marocco. E partì anche<br />
lui per l’Africa; ma non vi morì martire, come era suo ardente desiderio.<br />
Colpito da grave malattia, dovette ripiegare, con suo grande rammarico, sulle coste<br />
<strong>della</strong> Sicilia. Non era in Marocco che il Signore lo voleva, ma in Italia, per essere, con<br />
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