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Fiore Brustolin Zaccarian (1901-1995), nata a Piove di Sacco, frequentò l’Accademia di Venezia senza una compagna, né in classe né tra gli insegnanti. Fu allieva prediletta di Ettore Tito, di cui derivò alcuni caratteri e rimase nell’alveo della tradizione veneziana, figurativa e un po’ eclettica, estranea alle correnti d’avanguardia europee. Nel primo dopoguerra a Venezia ferveva un’intensa vita culturale con forti tensioni e contrapposizioni tra gli artisti innovatori che nel 1919 avevano ripreso le esposizioni a Ca’ Pesaro e quelli più tradizionali che facevano riferimento al Circolo Artistico. Nel 1920 si tenne la Mostra Nazionale d’Arte Sacra, evento determinante per la giovane Fiore Brustolin, che individuò nella pittura religiosa uno dei temi fondamentali della sua attività artistica. Fin dalle prime prove è però evidente che la pittrice recepì piuttosto le direttive ecclesiastiche di inviare un messaggio chiaro ed efficace al popolo cristiano, e trascurò l’originalità e l’indipendenza di artisti come Adolfo Wildt, Gino Rossi, Arturo Martini, Medardo Rosso, Gaetano Previati. Di ritorno da un viaggio a Parigi, Fiore Brustolin nel 1926 inaugurò la prima mostra personale alla Fondazione Bevilacqua La Masa con paesaggi, nature morte, ritratti e soggetti sacri di ispirazione sei-settecentesca che furono giudicati “d’un gusto ormai sorpassato” da un critico che pure le riconosceva “notevoli qualità che potranno certo portarla lontano”. Nel 1927 espose alla Biennale “La vendemmia”, un grande quadro che esprime al meglio le capacità ormai mature dell’artista: eccellenti doti pittoriche, una larga vena narrativa, un approccio realistico e simbolico al tema edificante del lavoro e della famiglia. Nel 1929 Fiore Brustolin lasciò Venezia e, dopo brevi soggiorni a Genova e a Milano, nel 1933 si trasferì a Roma dove trascorse il resto della lunga vita. Restò estranea ai fermenti innovativi della Scuola Romana e delle Esposizioni Quadriennali, ma coltivò i temi a lei familiari, solo rinnovati dalle luci e dai colori della città, consapevole del suo anacronismo, ma tenace nel conservarlo. Nell’introduzione al secondo volume Mario Guderzo sottolinea l’importanza dei disegni, considerati in genere solo come un momento preparatorio al risultato finale e quindi “opere minori”. Essi hanno invece un valore autonomo e prezioso per la comprensione dell’artista perché colgono l’affiorare del suo pensiero che verrà in seguito approfondito e realizzato. “Grazie all’immediatezza della visione o dell’idea, i disegni ci permettono di accostarsi all’artista più di qualsiasi altra opera”, scrive l’autore. Di grande interesse è quindi la produzione grafica di Fiore Brustolin Zaccarian, circa seicento disegni a matita, a carboncino, a inchiostro, a pastelli, ad acquerelli di particolare espressività, pieni di luce e di colore che accompagnano la produzione pittorica. Tra le due tecniche non vi è alcun rapporto di subordinazione, ma il disegno vi svolge una funzione autonoma per cui possono valere le parole di Henri Matisse: “il mio disegno al tratto è la traduzione diretta e più pura della mia emozione”. Ciò vale in particolare per molti ritratti, paesaggi e alcuni scorci di Venezia, vibranti di riflessi che attestano la fedeltà dell’autrice alle proprie radici venete. | Marilia Ciampi Righetti | Balkani. Antiche civiltà tra il Danubio e l’Adriatico, catalogo della mostra (Adria, Museo Archeologico Nazionale, 8 luglio 2007 - 13 gennaio 2008), a cura di Tatjana Cvjeticanin, Giovanni Gentili e Vera Krstic, Milano, Silvana Editoriale, 2007, 8°, pp. 263, ill., e 30,00. Per la prima volta in Italia, e per la prima volta usciti dai depositi del Museo nazionale di Belgrado dopo la guerra che ha coinvolto gli stati dell’ex Jugoslavia, 230 reperti archeologici, tra i più significativi del periodo compreso tra l’VIII secolo a.C. e il II d.C., sono stati di recente ospitati presso il rinnovato Museo archeologico nazionale di Adria, offrendo ai cultori della materia una visione di base del periodo tra l’Età del ferro e la prima occupazione romana del territorio dei Balcani centrali. <strong>Il</strong> catalogo che l’ha accompagnata permette oggi di godere ulteriormente della magnificenza del repertorio di queste culture, così vicine in molti aspetti a quelle della sponda italica dell’Adriatico. “L’esposizione è espressione della sorprendente dinamica dei Balcani, testimonianza di connessioni continue, di mescolanze e di influenze di culture diverse e anche documentazione delle espressioni culturali autoctone sviluppatesi tra e in mezzo a due grandi complessi culturali, quello greco e quello romano”, spiega la direttrice del Museo di Belgrado, Tatjana Cvjeticanin. Nel momento del passaggio dalla facies di Hallstatt a quelle celtiche sono infatti rappresentate popolazioni di cultura orientale di tipo Scitico, come i Triballi poi sottomessi dai Macedoni; si contano presenze dei Geti lungo il basso corso del Danubio e, in epoca più tarda e sulla riva dello stesso fiume, degli Iazygi. Ma il territorio fu anche abitato, nelle basse valli della Sava e della Drava, dagli Stordisci, e negli ultimi anni del II secolo a.C. giunsero sull’alto corso del Danubio le popolazioni germaniche dei Cimbri e dei Teutoni, ul- immagini tratte da Fiore Brustolin Zaccarian... cataloghi di mostre e musei notiziariobibliografico55 49
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