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o meno improvvisati, ricercatori locali. I documenti<br />
emersi e le carte strappate all’oblio,<br />
se non dirimono la questione dell’origine,<br />
conservano il merito di essere stati in<br />
grado di restituire un’atmosfera del passato,<br />
quando una fiera come quella di Cavalcaselle<br />
non era soltanto luogo di svago, ma<br />
anche di scambi e commerci, di devozione<br />
popolare, di incontri, convivialità, giochi e<br />
“bivacchi”, e in grado di trasmettere pure<br />
l’idea di una continuità con il presente.<br />
| Giovanna Battiston |<br />
<br />
LUIGI FRIGO (BETTINADO), Tradizioni dei Sette<br />
Comuni. De Gamoàn bon Siben Komeün,<br />
Venezia, Regione Veneto - Asiago (VI), Edizione<br />
Tipografia Moderna Asiago, s.a., 8°,<br />
pp. 184, ill., s.i.p.<br />
<strong>Il</strong> libro di Luigi Frigo è un singolare viaggio<br />
tra le usanze e le tradizioni dei Sette Comuni,<br />
un itinerario particolare compiuto nell’Altopiano<br />
di Asiago, pazientemente ricostruito<br />
da un giovane giornalista locale con<br />
l’intento di far conoscere meglio e più da vicino<br />
i riti e i passaggi della vita collettiva di<br />
questa isola linguistica cimbra, come pure<br />
testimonia il doppio titolo riportato nella copertina.<br />
Un ambiente naturale di indiscutibile<br />
bellezza, da molti ammirata e conosciuta,<br />
ma anche un territorio, quello dei<br />
Sette Comuni (Asiago, Roana, Rotzo, Gallio,<br />
Enego, Foza, Lusiana, Conco), abituato<br />
a custodire e a tramandare la propria cultura<br />
e il proprio folklore, oltre quelle che sono<br />
le cicliche evoluzioni e le tempeste della storia,<br />
guerre, dominazioni, cambiamenti politici<br />
ecc., che hanno inevitabilmente segnato<br />
la realtà di una zona di confine, seppur fiera<br />
della propria autonomia e della propria<br />
identità.<br />
<strong>Il</strong> libro di Frigo è anche, si potrebbe aggiungere,<br />
un tentativo di strappare certe tradizioni<br />
all’oblio, di andare oltre l’effimero<br />
turistico e di offrire un repertorio esaustivo<br />
delle principali tracce di vita comunitaria, di<br />
ciò che si rischia di perdere o in taluni casi<br />
si è già perduto. Abbondano in queste pagine<br />
le sagre, le celebrazioni e le funzioni religiose,<br />
le benedizioni, le “rogazioni”, i pellegrinaggi,<br />
e ancora feste dal sapore più laico<br />
come quella dei “coscritti”, che salutava i<br />
giovani destinati al servizio di leva, o antiche<br />
usanze come il Palio e la Rassegna delle<br />
Milizie, eventi legati alla vita contadina e<br />
all’alternarsi delle stagioni o alla tradizione<br />
“democratica” della Reggenza dei Sette Comuni.<br />
Riti che affondano quasi nella notte<br />
dei tempi e invenzioni recenti. La volontà di<br />
favorire un approccio il più possibile agevo-<br />
recensioni e segnalazioni<br />
le al lettore ha portato l’autore a suddividere<br />
l’opera in quattro parti distinte, che sono<br />
dedicate rispettivamente a: tradizioni antiche<br />
o passate ancora in uso; tradizioni scomparse<br />
e non più in uso; tradizioni recenti;<br />
tradizioni minori. | Giovanna Battiston |<br />
arte<br />
ARIANNA ANTONIUTTI, I Bregno a Venezia:<br />
Antonio e Paolo Bregno e la scultura a Venezia<br />
nel primo Quattrocento, prefaz. di Giancarlo<br />
Galan, introd. di Claudio Strinati, Roma, Comitato<br />
Nazionale Andrea Bregno - Erreciemme,<br />
2007, 8°, pp. 138, ill., e 30,00.<br />
<strong>Il</strong> volume I Bregno a Venezia propone un’indagine<br />
sulla scultura del XV secolo a Venezia<br />
e nello specifico sul contributo in area<br />
veneziana dei due fratelli comaschi Antonio<br />
e Paolo Bregno. L’autrice, Arianna Antoniutti,<br />
concentra il suo lavoro di ricerca sui<br />
due artisti lombardi, le cui vicende biografiche<br />
sono tuttora ancora in ombra. <strong>Il</strong> nome<br />
di Antonio Bregno appare per la prima volta<br />
nel 1581, in Venetia città nobilissima di<br />
Francesco Sansovino, dove l’autore assegna<br />
erroneamente a questi la realizzazione della<br />
Scala dei Giganti di Palazzo Ducale, in<br />
realtà opera di Antonio Rizzo. Da allora, generando<br />
la confusione fra Antonio Bregno e<br />
Antonio Rizzo, false piste di ricerca ed errori<br />
storiografici condizionano negativamente<br />
la corretta interpretazione delle vicende biografiche<br />
ed artistiche dei Bregno.<br />
Nel testo della Antoniutti si pone in esame<br />
il contesto d’inserimento in cui probabilmente<br />
hanno operato i Bregno, analizzando<br />
dettagliatamente la produzione artistica del<br />
Quattrocento nella città lagunare e il lavoro<br />
delle maestranze lombarde nei cantieri di<br />
Palazzo Ducale e della Ca’ d’Oro. All’interno<br />
di tale ricostruzione storico-critica emergono,<br />
così, i nomi del veneziano Bartolomeo<br />
Bon, ma anche quello del milanese<br />
Matteo Raverti, a cui, secondo Paoletti<br />
(1893), andrebbe assegnato un ruolo di primo<br />
piano nella realizzazione della Ca’ d’Oro.<br />
Dallo studio di Beltrami (1900) si evidenzia,<br />
però, anche il rilevante contributo della<br />
famiglia Bon nella costruzione dell’abitazione<br />
nobiliare dei Contarini, tanto che si è<br />
potuta successivamente proporre una scansione<br />
dei lavori della Ca’ d’Oro fra maestranze<br />
veneziane e lombarde. È inoltre riferita<br />
alla bottega dei Bon l’architettura della<br />
Porta della Carta di Palazzo Ducale, mentre<br />
è ancora aperta la ricerca sulla realizza-<br />
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