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Storia dell'obelisco e dell'orologio solare di ... - Nicola Severino

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<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong><br />

<strong>Storia</strong> <strong>dell'obelisco</strong> e<br />

<strong>dell'orologio</strong> <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto<br />

in Campo Marzio<br />

Prima e<strong>di</strong>zione<br />

Copyright - Roccasecca, 1997


Prefazione<br />

Sotto l'imperatore Cesare Augusto, figlio <strong>di</strong> Giulio, Roma fu abbellita con<br />

l'innalzamento <strong>di</strong> decine <strong>di</strong> obelischi trafugati nelle molte città egizie<br />

assoggettate dagli eserciti romani. Nulla, meglio <strong>di</strong> questi antichissimi<br />

monumenti innalzati dai potenti faraoni egizi, poteva rendere gloria alla sete<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>vismo degli imperatori romani. Nonostante gli enormi sacrifici richiesti<br />

per imbarcarli su enormi navi, i Romani riuscirono a trasportare 42 obelischi<br />

a Roma. Uno <strong>di</strong> questi, in particolare, ha stimolato la curiosità <strong>di</strong> letterati<br />

e scienziati <strong>di</strong> ogni tempo perchè la sua funzione non era destinata,<br />

come in genere lo era, solo a rendere omaggio alla <strong>di</strong>vinità <strong>solare</strong>, ma a quella<br />

più ambiziosa <strong>di</strong> fungere da gnomone per un gigantesco orologio <strong>solare</strong><br />

che rientra in un ben più complesso progetto <strong>di</strong> sistemazione urbanistica <strong>di</strong><br />

tutta l'area del Campo Marzio. Tale era l'idea e la pretesa del <strong>di</strong>vo Augusto<br />

per il quale il sogno fu ben presto realtà.<br />

Per questo motivo, l'obelisco del Campo Marzio ha suscitato l'interesse <strong>di</strong><br />

una ragguardevole mole <strong>di</strong> illustri personaggi che si sono avvicendati, in<br />

ogni tempo, nel cercare <strong>di</strong> ricostruirne la storia e <strong>di</strong> spiegare scientificamente<br />

l'ambizioso progetto dell'antico imperatore. Negli ultimi tempi, due archeologi<br />

tedeschi hanno affrontato seriamente, soprattutto dal punto <strong>di</strong> vista<br />

scientifico, questa ricerca che per le generalità e la storia appartiene<br />

all'archeologia e per l'aspetto tecnico appartiene puramente alla gnomonica.<br />

Il loro prezioso lavoro ha portato alla luce una parte dell'antica linea meri<strong>di</strong>ana<br />

dell'intero orologio <strong>solare</strong>, confermando il pensiero <strong>di</strong> quanti in precedenza<br />

hanno fermamente creduto che l'obelisco fosse un'enorme gnomone <strong>di</strong><br />

un gigantesco orologio <strong>solare</strong> e non <strong>di</strong> una sola linea meri<strong>di</strong>ana. Ma prima<br />

che fossero intrapresi questi scavi archeologici quali erano gli stu<strong>di</strong> relativi<br />

all'obelisco <strong>di</strong> Campo Marzio?<br />

E' principalmente a questa domanda che il presente scritto vuole tentare <strong>di</strong><br />

dare una risposta, sebbene parziale e sommaria. Infatti, il campo <strong>di</strong> ricerca<br />

storica relativo a questo argomento è sconfinato e le possibilità <strong>di</strong> sondarlo<br />

sono molto limitate, almeno per chi scrive che per mestiere non appartiene<br />

alla schiera dei ricercatori professionisti.


Tuttavia, sarà interessante scoprire cosa scrivevano antichi eru<strong>di</strong>ti a tal<br />

proposito, prima che Champollion arrivasse a decifrare correttamente i<br />

geroglifici. Prima, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> avere una lettura corretta dei geroglifici scolpiti<br />

sull'obelisco; sarà ancora interessante rimaneggiare il testo <strong>di</strong> Plinio<br />

attraverso le Disquisizioni Pliniane <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi come Clau<strong>di</strong>o Salmasio<br />

(XVII secolo) e La Turre Rezzonici (XVIII secolo), <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> gnomonica<br />

come Athanasius Kircher e Francesco Jaquier. Non manca, inoltre, un<br />

buon ren<strong>di</strong>conto storico circa il primo ritrovamento archeologico <strong>dell'obelisco</strong>,<br />

attraverso le numerose citazioni in antichi co<strong>di</strong>ci, topografie e libri dal<br />

Rinascimento fino al nostro secolo.<br />

In Campo Marzio si è scavato, si sta scavando. Forse un giorno tornerà alla<br />

luce un altro piccolo tratto <strong>dell'orologio</strong> <strong>di</strong> Augusto. Ma siamo ancora ben<br />

lontani dalla utopistica proposta del celebre ammiraglio gnomonista<br />

Girolamo Fantoni il quale, nel suo eccellente articolo sulla meri<strong>di</strong>ana <strong>di</strong><br />

Augusto, accarezzava un'idea ambiziosa almeno quanto quella dell'imperatore<br />

romano più vecchio <strong>di</strong> duemila anni: costruire una galleria sotto le case<br />

romane del Campo Marzio perchè tutti potessero ammirare la bellezza del<br />

più grande orologio <strong>solare</strong> che il mondo abbia mai conosciuto.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong><br />

Si ringraziano i proff. Rakob e Buchner dell'Istituto Archeologico<br />

Germanico, l'ing. Gianni Ferrari <strong>di</strong> Modena, Edmondo Marianeschi <strong>di</strong><br />

Terni, Fabrizio Vedelago <strong>di</strong> Treviso, Charles K. Aked della British Sun<strong>di</strong>al<br />

Society, la Biblioteca dell'Abbazia <strong>di</strong> Montecassino e Casamari. Tutti i calcoli<br />

gnomonici relativi alle <strong>di</strong>mensioni <strong>dell'orologio</strong> <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto in<br />

Campo Marzio, sono stati effettuati con il programma "Meri<strong>di</strong>ane" <strong>di</strong><br />

Gianni Ferrari.<br />

De<strong>di</strong>co questo volume all'amico Gianni Ferrari


In<strong>di</strong>ce:<br />

Naturalmente Internet 1<br />

I Romani e la misura del tempo 2<br />

Naturalmente Plinio 5<br />

Il primo orologio <strong>solare</strong> romano 7<br />

<strong>Storia</strong>, significato, etimologia degli obelischi 12<br />

Il Campo Marzio 17<br />

L'orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto 18<br />

Le scoperte <strong>di</strong> Rakob e Buchner 20<br />

Il Rinascimento egizio nella Roma barocca 26<br />

Raccolta <strong>di</strong> citazioni sulla scoperta <strong>dell'obelisco</strong> <strong>di</strong> Campo Marzio 28<br />

Ricostruzione della storia degli scavi <strong>dell'obelisco</strong> 36<br />

Il cartiglio <strong>di</strong> Psammetico II 52<br />

Documenti : il testo <strong>di</strong> Plinio 54<br />

Chi era Fecondo Novo ? 56<br />

Interpretazione della versione <strong>di</strong> La Turre Rezzonici 58<br />

L'obelisco-gnomone <strong>di</strong> Augusto (<strong>di</strong> P.G Boffito) 63<br />

L'altezza <strong>dell'obelisco</strong> 65<br />

Bibliografia 69


NATURALMENTE INTERNET<br />

La storia <strong>dell'orologio</strong> <strong>solare</strong> che Cesare Augusto<br />

fece installare nel Campo Marzio circa duemila<br />

anni fa, comincia - guarda caso - su Internet. Non<br />

nel senso che nella grande rete telematica vi si<br />

trovi rappresentata sotto forma <strong>di</strong>gitale la storia<br />

del più grande orologio <strong>solare</strong> che un uomo abbia<br />

mai costruito. Ma un semplice in<strong>di</strong>zio, o meglio<br />

una data che, secondo l'autore della pagina Web in<br />

cui la notizia compare, dovrebbe considerarsi<br />

come la "scoperta" archeologica da cui ebbe inizio<br />

l'eterno ed ancora incompiuto compito <strong>di</strong> riportare<br />

alla luce il "solarium" <strong>di</strong> Augusto in Campo<br />

Martio.<br />

Ma Internet è un ragnatela in cui è davvero impossibile<br />

sperare <strong>di</strong> trovare il classico "ago nel pagliaio":<br />

da dove può esser saltata fuori una notizia del<br />

genere? Da una "sun<strong>di</strong>al link" presente nelle<br />

pagine Web de<strong>di</strong>cate alla Gnomonica che appassionati<br />

come Daniel Roth si impegnano a <strong>di</strong>vulgare<br />

attraverso Internet. In particolare, la notizia è<br />

stata a sua volta presa da una pagina sulle antichità<br />

romane intitolata "Other Romes" scritta probabilmente<br />

nei primi mesi del 1996.<br />

Peraltro l'autore <strong>di</strong>chiara anche la fonte che risulta<br />

essere il Co<strong>di</strong>ce Vaticano Latino 8492 fol. 21 recto.<br />

Dopo una notizia sul Borromini e sul progetto <strong>di</strong><br />

Piazza Navona, si legge:<br />

"A. Laelius Podager, Record of Discovery of<br />

Augustu's Sun<strong>di</strong>al"<br />

Iacopo Mazzocchi, 1521<br />

"Iacopo Mazzocchi's first printed collection of Roman<br />

inscriptions was re-used by many scholars as a field<br />

notebook. In this copy a Roman scholar gives a firsthand<br />

account of how the remains of Augustus's huge sun<strong>di</strong>al<br />

were <strong>di</strong>scovered early in the sixteenth century, by a<br />

baker <strong>di</strong>gging a latrine. As Pope Julius II had no funds<br />

to spare, it was rebuired, not to be unearthed until the<br />

twentieth century."<br />

L'autore, probabilmente americano, <strong>di</strong> questa pagina<br />

ci regala quin<strong>di</strong> la "registrazione della scoperta<br />

<strong>dell'orologio</strong> <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto", avvenuta sotto<br />

Papa Giulio II e pubblicata nella collezione <strong>di</strong> antichità<br />

romane <strong>di</strong> Jacopo Mazzocchi nel 1521.<br />

Ma in Italia, e specialmente a Roma, non c'è bisogno<br />

<strong>di</strong> "navigare" in Internet per conoscere la data<br />

della "scoperta", e a <strong>di</strong>r bene della scoperta archeologica,<br />

<strong>dell'orologio</strong> <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto.<br />

Innanzitutto è possibile <strong>di</strong>mostrare, come<br />

vedremo e documenti alla mano, che la scoperta<br />

dei resti <strong>dell'obelisco</strong> <strong>solare</strong> che Augusto fece<br />

installare nel Campo Marzio come gigantesco gnomone<br />

<strong>di</strong> un orologio <strong>solare</strong> orizzontale, è anteriore<br />

alla data riportata dall'autore della "postilla internettiana".<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

1


I ROMANI E LA MISURA DEL TEMPO<br />

Come è noto, la scienza dei romani è in gran parte<br />

<strong>di</strong> origine greca. Essi la ere<strong>di</strong>tarono attraverso la<br />

loro egemonia imperiale e quin<strong>di</strong> a seguito dei loro<br />

contatti con i filosofi greci che avvennero anche<br />

grazie alla me<strong>di</strong>azione del popolo etrusco. In particolare<br />

i Romani ere<strong>di</strong>tarono dagli Etruschi quella<br />

che poi <strong>di</strong>venne la più romana delle <strong>di</strong>scipline: l'agrimensura.<br />

E' questa una scienza che consiste<br />

principalmente nella misurazione <strong>di</strong> limiti e confini.<br />

Una pratica quin<strong>di</strong> che stava molto a cuore ai<br />

Romani dal momento che se ne dovevano spesso<br />

servire per stabilire i limiti delle proprietà e dei<br />

confini delle terre conquistate. Dall'agrimensura,<br />

pertanto, deriva il termine groma da cui il popolare<br />

appellativo <strong>di</strong> gromatico. Il termine groma, si<br />

riferisce al particolare strumento usato per l'agrimensura<br />

e, letteralmente dovrebbe equivalere alla<br />

parola greca gnwmwn (gnomon). Attraverso lo<br />

gnomone, quin<strong>di</strong>, i Romani arrivarono al concetto<br />

<strong>di</strong> Templum, cioè l'Universo quadripartito, simile<br />

ad un immenso cerchio (o sfera), nel cui centro si<br />

trova l'uomo. Lo gnomone servì a ritrovare i quattro<br />

punti car<strong>di</strong>nali <strong>di</strong> questo Universo, cioè il<br />

Decumanus, che <strong>di</strong>vide il cerchio in due metà, una<br />

settentrionale e l'altra meri<strong>di</strong>onale (linea Est-<br />

Ovest); il cardo, rappresentato dalla linea Nord-<br />

Sud, <strong>di</strong>vide a metà le prime due parti.<br />

All'inizio della loro storia, i Romani scan<strong>di</strong>vano il<br />

tempo della loro giornata lavorativa, religiosa e<br />

sociale solo sulla base dei due momenti principali<br />

del giorno-chiaro: l'alba e il tramonto. Essi<br />

denominavano <strong>di</strong>es il giorno e nox la notte e l'indomani<br />

era detto postri<strong>di</strong>e e il giorno successivo post<br />

<strong>di</strong>em tertium eius <strong>di</strong>ei (il terzo giorno dopo quel<br />

giorno). Allo stesso modo la vigilia era detta pri<strong>di</strong>e<br />

e il giorno precedente ante <strong>di</strong>em tertium 1 . Questo<br />

avvenne fino a circa 460 anni dalla fondazione<br />

dell'Urbe. Infatti, il punto <strong>di</strong> riferimento principale<br />

dell'intera giornata, cioè il mezzogiorno (meri<strong>di</strong>es),<br />

venne ufficializzato solo nel 338 a.C.<br />

Intorno al 274 a.C. i Romani adottarono finalmente<br />

la sud<strong>di</strong>visione del giorno e della notte in 24 parti<br />

uguali con sud<strong>di</strong>visione duodenaria del giornochiaro.<br />

E' il sistema delle ore cosiddette "temporarie"<br />

o "ineguali", <strong>di</strong> durata variabile a seconda<br />

delle stagioni. Al tempo in cui Gerusalemme fu<br />

espugnata da Pompeo, cioè 63 anni a. C., era in uso<br />

il sistema del "Quadripartito" per cui sia il giorno<br />

che la notte erano sud<strong>di</strong>visi in quattro parti uguali<br />

della durata <strong>di</strong> tre ore ciascuna, ma facendo in<br />

modo che in ogni periodo dell'anno, sia la notte<br />

che il giorno venisse <strong>di</strong>viso sempre in do<strong>di</strong>ci ore.<br />

Ognuna <strong>di</strong> queste quattro parti furo chiamata<br />

"Vigilia". Una notte era formata da quattro vigilie<br />

<strong>di</strong> tre ore ciascuna che cominciavano al tramonto e<br />

terminavano col sorgere del Sole.<br />

La prima era chiamata "Vespera", la seconda<br />

"Me<strong>di</strong>a-nox", la fine della terza era detta<br />

"Galicinium", dal canto del gallo, e l'ultima<br />

"Conticinium", contata dal tempo del silenzio,<br />

ossia dal tacere del gallo. La descrizione <strong>di</strong><br />

Macrobio sulla <strong>di</strong>visione duodenaria del giorno<br />

presso i Romani, è alquanto chiara e completa:<br />

"Il primo tempo del giorno è chiamato inclinazione<br />

della mezzanotte; poi viene Gallicinio e quin<strong>di</strong><br />

Conticinio, quando i galli tacciono e anche gli<br />

uomini allora riposano. Poi viene <strong>di</strong>luculo, cioè<br />

quando si comincia a <strong>di</strong>stinguere il giorno; poi<br />

mattino quando il giorno è chiaro. Dal mattino si<br />

arriva al mezzogiorno dal quale nasce il "tempus<br />

occiduum" cioè il tempo che va fino al tramonto;<br />

quin<strong>di</strong> arriva il supremo momento, "suprema tempestas",<br />

cioè l'ultimo tempo del giorno che viene<br />

così espresso nelle do<strong>di</strong>ci Tavole: "Il tramonto del<br />

sole sarà il momento supremo"; quin<strong>di</strong> vi sono i<br />

Vespri, il cui nome è tratto dai Greci che furono<br />

ispirati dalla stella Hespero, da cui l'Italia è chiamata<br />

Hesperia poichè era vicina al tramonto. Da<br />

questo momento si <strong>di</strong>ce "prima fax" , cioè prima<br />

parte della notte in quanto si accendono le prime<br />

1 A. Dosi-F. Schnell, Vita e costumi dei Romani antichi, in Museo della Civiltà Romana,, Spazio e Tempo, vol.14, pag. 65, ed.<br />

Quasar, Roma, 1992.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

2


fiaccole. Poi viene notte "Concubia", cioè notte<br />

fonda e quin<strong>di</strong> "Intempesta", poichè non è favorevole<br />

allo svolgersi delle azioni".<br />

Tavola 1<br />

Anni quidem<br />

vertentis initium<br />

capiunt aliia<br />

Sic <strong>di</strong>em incipiunt<br />

alii ab<br />

Continet<br />

autem hic<br />

<strong>di</strong>es<br />

2 Joannes Polenii, Historiae Fori Romani, Romae, 1737<br />

Nella tavola 1 è rappresentata la sud<strong>di</strong>visione del<br />

giorno e della notte dei Romani, secondo l'interpretazione<br />

<strong>di</strong> Giovanni Poleno 2 .<br />

Solstitiis Hyberno ut Romani<br />

Aestivo ut Athenienses<br />

Aequinoctis Autumnali ut Asiani<br />

Verno ut Arabes, Damasceni<br />

Ortu, ut Babilonii.<br />

Meri<strong>di</strong>e, ut Umbri, Hetrusci.<br />

Occasu, ut Athenienses, Judaei.<br />

Me<strong>di</strong>a nocte, ut Romani, Aegyptii, Hyparchi.<br />

Lucem, cujus<br />

partes sunt<br />

Diluculum<br />

Crepusculum<br />

Tenebras, seu<br />

noctem, cujus<br />

partes sunt<br />

Mane.<br />

Meri<strong>di</strong>es<br />

Occiduum sive serenum tempus.<br />

Solis iccasus sive suprema tempestas<br />

Vesper<br />

Prima fax<br />

Concubium<br />

Nox intempesta<br />

Me<strong>di</strong>a nox<br />

Me<strong>di</strong>a noctis inclinatio<br />

Gallicinium<br />

Conticinium<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

3


L'ora temporaria, che fino ad oggi ha ricevuto<br />

<strong>di</strong>versi nomi, è caratterizzata da una durata variabile<br />

per tutto l'anno a seconda della durata del<br />

giorno (e della notte), per il fatto che essa deve<br />

essere in ogni caso sempre pari alla do<strong>di</strong>cesima<br />

parte del giorno o della notte. E' evidente che essa<br />

cresce a partire dal solstizio d'inverno, ha una<br />

durata uguale alle ore notturne solo nei giorni <strong>di</strong><br />

equinozio (perché la durata del giorno è uguale a<br />

quella della notte), raggiunge la sua durata massima<br />

nel giorno del solstizio d'estate e quin<strong>di</strong> comincia<br />

a decrescere in modo inverso fino al solstizio<br />

d'inverno. Se ne deduce che quando le ore <strong>di</strong>urne<br />

sono più lunghe, quelle della notte sono più corte<br />

e viceversa.<br />

La prima ora temporaria, comincia alla latitu<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> Roma, intorno alle 4 e 27 minuti del nostro<br />

orologio nel solstizio estivo e alle 7 e 33 del solstizio<br />

invernale. Quin<strong>di</strong>, d'estate, a Roma, l'ora<br />

temporaria varia tra 1 ora e 15 minuti delle nostre<br />

ore normali e si riduce a circa 45 minuti (sempre<br />

rispetto alle nostre ore) nel solstizio invernale.<br />

Marziale rileva il fenomeno con le parole: "Hora<br />

nec aestiva est nec tibi tota perit" 3 . Così, in altre<br />

parti si legge "hiberna ad<strong>di</strong>to", per in<strong>di</strong>care un<br />

tempo molto breve. S. Agostino è più chiaro <strong>di</strong><br />

tutti scrivendo: "Hora brumalis aestiva comparata<br />

minor est" 4 .<br />

Durata delle ore temporarie alla latitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

Roma:<br />

Durata delle ore <strong>di</strong>urne temporarie al solstizio<br />

d'inverno<br />

I ora prima 7.33 - 8.17<br />

II hora secunda 8.17 - 9.2<br />

III hora tertia 9.2 - 9.46<br />

IV hora quarta 9.46 - 10.31<br />

V hora quinta 10.31 - 11.15<br />

VI hora sexta 11.15 - mezzogiorno<br />

VII hora septima mezzogiorno-12.44<br />

VIII hora octava 12.44 - 1.29<br />

IX hora nona 1.29 - 2.13<br />

X hora decima 2.13 - 2.58<br />

XI hora undecima 2.58 - 3.42<br />

XII hora duodecima 3.42 - 4.27<br />

3 Mart. Lib. XII. Epigr. 1<br />

4 De vera Relig. LXXX.<br />

Durata delle ore <strong>di</strong>urne temporarie al solstizio<br />

estivo<br />

I hora prima 4.27 - 5.42<br />

II hora secunda 5.42 - 6.58<br />

III hora tertia 6.58 - 8.13<br />

IV hora quarta 8.13 - 9.29<br />

V hora quinta 9.29 - 10.44<br />

VI hora sexta 10.44 - mezzogiorno<br />

VII hora septima mezzogiorno-1.15<br />

VIII hora octava 1.15 - 2.31<br />

IX hora nona 2.31 - 3.46<br />

X hora decima 3.46 - 5.2<br />

XI hora undecima 5.2 - 6.17<br />

XII hora duodecima 6.17 - 7.33<br />

I Romani usavano specificare se l' ora era estiva<br />

(hora aestiva) o invernale (hora brumalis). Inoltre,<br />

essi tenevano particolarmente all'organizzazione<br />

della giornata quoti<strong>di</strong>ana seguendo un preciso<br />

itinerario in funzione delle ore. Tracce <strong>di</strong> questa<br />

organizzazione la possiamo trovare in un famoso<br />

epigramma <strong>di</strong> Marziale :<br />

Prima salutantes atque continet hora;<br />

Exercet raucos tertia causi<strong>di</strong>cos:<br />

In quintam varios exten<strong>di</strong>t Roma labores;<br />

Sexta quies lassis, septima finis erit:<br />

Sufficit in nonam niti<strong>di</strong>s octava palaestris,<br />

Imperat excelsos frangere nona toros.<br />

Hora libellorum decima est, Eupheme, meorum,<br />

Temperat ambrosias cum tua cura dapes;<br />

Et bonus aetherio laxatur nectare Caesar,<br />

Ingentique tenet pocula parca manu.<br />

Tunc admitte jocos: gressu timet ire licenti<br />

Ad matutinum nostra Thalia Jovem.<br />

Erano inoltre assegnate delle ore fisse per i "balnea",<br />

in genere la ottava in estate e la nona in inverno,<br />

detta anche "hora lavan<strong>di</strong>", ed altre ancora.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

4


NATURALMENTE PLINIO<br />

La gran parte delle cose che sappiamo sulla scienza<br />

antica, greca e romana, provengono da opere a<br />

carattere enciclope<strong>di</strong>co, redatte perlopiù attorno<br />

all'inizio dell'era Cristiana. Gli autori <strong>di</strong> queste<br />

monumentali opere, rivolte a raccogliere cognizioni<br />

relative su tutto il sapere dell'epoca, o solo<br />

per alcune <strong>di</strong>scipline, non erano scienziati come lo<br />

erano Archimede, Tolomeo o Galeno.<br />

Ne è un classico esempio Cicerone il quale, pur<br />

avendo elaborato una versione dei Phaenomena <strong>di</strong><br />

Arato, non era certo un astronomo. Ma forse il<br />

maggiore autore <strong>di</strong> questo caratteristico enciclope<strong>di</strong>smo<br />

romano fu Caio Plinio Secondo Maggiore,<br />

vissuto dal 23 al 79 d.C. Pare che per redarre la sua<br />

opera "Naturalis Historia", de<strong>di</strong>cata all'imperatore<br />

Tito, e rivolta ai lettori desiderosi <strong>di</strong> conoscere in<br />

modo facile tutta la scienza della sua epoca, abbia<br />

letto e compen<strong>di</strong>ato più <strong>di</strong> duemila opere scientifiche.<br />

Nei suoi trentasette libri, Plinio raccoglie informazioni<br />

circa la cosmologia, la geografia,<br />

l'antropologia, la fisiologia dell'uomo, la zoologia,<br />

la botanica e la mineralogia. Anche se l'opera <strong>di</strong><br />

Plinio è molto lontana dai risultati ottenuti dagli<br />

scienziati greci, si deve prendere atto che mai<br />

prima <strong>di</strong> lui fu tentata un'impresa tanto audace. E,<br />

soprattutto, bisogna tener conto che senza questa<br />

grande enciclope<strong>di</strong>a antica, gran parte delle<br />

conoscenze <strong>di</strong> allora ci sarebbero oggi ignote.<br />

E, in effetti, l'argomento oggetto <strong>di</strong> questo scritto e<br />

molte informazioni sulla gnomonica <strong>di</strong> quel tempo<br />

ci sono pervenute solo grazie a Plinio. E' anche<br />

vero che alcune notizie fanno rimanere perplessi<br />

gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> gnomonica. Per esempio, non si è<br />

mai capito per quale motivo Plinio abbia citato<br />

Anassimene e non Anassimandro (come è più<br />

probabile che sia) quale inventore a Sparta <strong>dell'orologio</strong><br />

<strong>solare</strong>. Oppure, come mai non abbia<br />

fatto cenno degli innumerevoli orologi solari che<br />

erano in uso ai suoi tempi, dal momento che sappiamo<br />

dell'esistenza degli orologi citati da<br />

Vitruvio.<br />

A parte Varrone e Censorino, le uniche citazioni<br />

sui primi orologi solari che ebbe Roma, come<br />

vedremo, sono <strong>di</strong> Plinio, come sua è l'unica menzione<br />

<strong>dell'orologio</strong> <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto in Campo<br />

Marzio.<br />

La Historia Naturalis ci è giunta attraverso una<br />

processione infinita <strong>di</strong> ignoti amanuensi che si<br />

sono pro<strong>di</strong>gati nel trascrivere, compen<strong>di</strong>are, interpretare,<br />

arricchire e ...purtroppo, mo<strong>di</strong>ficare a proprio<br />

piacimento il testo originale che risulta, oggi,<br />

irrime<strong>di</strong>abilmente e profondamente corrotto in<br />

moltissime parti.<br />

Questo stato <strong>di</strong> cose ha portato, soprattutto nei secoli<br />

XVII e XVIII, alcuni autori eru<strong>di</strong>ti alla stesura <strong>di</strong><br />

opere destinate ad emendare, nel possibile e sulla<br />

scorta <strong>di</strong> tutti i co<strong>di</strong>ci e documenti antichi allora a<br />

<strong>di</strong>sposizione nelle più celebri biblioteche cristiane,<br />

i passi che risultavano profondamente mo<strong>di</strong>ficati<br />

dell'opera <strong>di</strong> Plinio. Tra questi autori, si <strong>di</strong>stinsero<br />

particolarmente il francese Clau<strong>di</strong>o Salmasio<br />

prima, e Antonio Giuseppe Comite a Turre<br />

Rezzonici dopo, con le loro opere "Disquisitiones<br />

Plinianae".<br />

Ai nostri tempi si sono scomodati ad<strong>di</strong>rittura un'esercito<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi, <strong>di</strong>retti da Jean Soubiran, le cui<br />

ricerche, condotte sulla scorta <strong>di</strong> molti co<strong>di</strong>ci e<br />

pubblicate dalle e<strong>di</strong>zioni francesi Belle Lettres,<br />

hanno portato alla redazione <strong>di</strong> quella che<br />

dovrebbe essere la versione "definitiva" del testo<br />

pliniano. Ma come è ovvio supporre, esistono solo<br />

correzioni su correzioni. Il vano tentativo non è<br />

solo un sogno degli autori moderni. Insomma, il<br />

povero Plinio quando scrisse la sua opera, non<br />

sapeva affatto che sarebbe stato perseguitato da<br />

tutti questi stu<strong>di</strong>osi per più <strong>di</strong> duemila anni!<br />

Ma pare che, soprattutto in <strong>di</strong>versi passi letterari<br />

del testo <strong>di</strong> Plinio che più ci interessano dal punto<br />

<strong>di</strong> vista della gnomonica, le frasi emendate risultino<br />

ad<strong>di</strong>rittura più oscure <strong>di</strong> quelle tramandateci<br />

dall'antichità. E' il caso, per fare un esempio, del<br />

"costruttore" <strong>dell'orologio</strong> <strong>di</strong> Augusto. Laddove in<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

5


molti testi rinascimentali, e anche fino al nostro<br />

secolo, veniva in<strong>di</strong>cato Manlio Matematico (<strong>di</strong> cui<br />

sappiamo almeno qualcosa), oggi risulterebbe un<br />

certo "Facon<strong>di</strong>o Novo" <strong>di</strong> cui non si può supporre<br />

nemmeno l'esistenza! Ma <strong>di</strong> questo parleremo più<br />

approfon<strong>di</strong>tamente nelle pagine seguenti.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

6


IL PRIMO OROLOGIO SOLARE<br />

ROMANO<br />

Come si è detto, le notizie relative all'uso degli<br />

orologi solari in Roma sono quelle tramandateci da<br />

Plinio nella famosa "<strong>Storia</strong> Naturale". Il capitolo 60<br />

del libro secondo <strong>di</strong> tale opera riassume tutto quello<br />

che sappiamo a tal proposito. Noi lo riproponiamo<br />

in una moderna traduzione in quanto il testo<br />

pliniano è più semplice e chiaro <strong>di</strong> quanto hanno<br />

scritto finora gli gnomonisti nei loro trattati 5 .<br />

"Il terzo accordo riguardò la <strong>di</strong>visione del tempo in<br />

ore...(...). Anche questa innovazione giunse con<br />

ritardo in Roma. Nelle leggi delle do<strong>di</strong>ci tavole 6 si<br />

parla solo <strong>di</strong> alba e <strong>di</strong> tramonto; alcuni anni dopo<br />

fu aggiunto il mezzogiorno, che era annunciato dal<br />

messo dei consoli quando scorgeva il sole fra i<br />

Rostri e la Grecostasi 7 . Quando poi il sole si era<br />

inclinato dalla colonna Menia verso il carcere, il<br />

messo annunziava l'ultima ora del giorno; ma<br />

questo soltanto nei giorni sereni. Tale uso durò<br />

fino alla prima guerra punica. Fabio Vestale 8 racconta<br />

che, un<strong>di</strong>ci anni prima della guerra contro<br />

Pirro 9 , Lucio Papirio Cursore collocò il primo<br />

orologio <strong>solare</strong> presso il tempio <strong>di</strong> Quirino, nel<br />

momento in cui consacrava tale tempio sciogliendo<br />

il voto fatto da suo padre. Ma Fabio Vestale non<br />

descrive il funzionamento <strong>di</strong> questo orologio, non<br />

<strong>di</strong>ce il nome del suo costruttore, nè il luogo dove<br />

fu costruito; e tace anche il nome della fonte da lui<br />

tenuta presente. Marco Varrone 10 afferma che il<br />

primo orologio collocato in un luogo pubblico fu<br />

quello fatto sistemare su una colonna presso i<br />

Rostri durante la prima guerra punica dal console<br />

Mario Valerio Messalla dopo la presa <strong>di</strong> Catania in<br />

Sicilia; questo orologio fu trasportato da Catania<br />

30 anni dopo la data a cui la tra<strong>di</strong>zione attribuisce<br />

l'orologio <strong>di</strong> Papirio, cioè nell'anno 491 <strong>di</strong> Roma<br />

(263 a.C.). Le linee <strong>di</strong> questo orologio non corrispondevano<br />

con precisione alle ore; tuttavia esso<br />

rimase la massima autorità per novantanove anni,<br />

finchè Quinto Marcio Filippo, che fu censore<br />

insieme a Lucio Paolo 11 , fece installare accanto a<br />

quello antico un nuovo orologio <strong>di</strong>viso con maggiore<br />

precisione; e questo dono risultò fra gli atti<br />

più gra<strong>di</strong>ti della sua censura...".<br />

Ritornando al capitolo 60 del Libro II <strong>di</strong> Plinio,<br />

come si vede, nelle versioni moderne si riporta che<br />

Roma ebbe il suo primo orologio <strong>solare</strong> "un<strong>di</strong>ci<br />

anni prima della guerra contro Pirro", mentre in<br />

<strong>di</strong>verse versioni precedenti è scritto "do<strong>di</strong>ci anni<br />

prima..." (ante duodecim annos...), e Clau<strong>di</strong>o<br />

Salmasio (XVII secolo) in<strong>di</strong>ca altri co<strong>di</strong>ci che riportano<br />

"ante III decim annos", cioè 30 anni prima della<br />

guerra contro Pirro e quin<strong>di</strong> il primo orologio<br />

<strong>solare</strong> dei Romani potrebbe datarsi al 311 a.C, ma è<br />

un'ipotesi da scartare, in quanto la de<strong>di</strong>ca del tempio<br />

<strong>di</strong> Quirino avvenne nel 293 a.C., e quin<strong>di</strong> è<br />

questa la data in cui Roma ebbe il suo primo<br />

orologio <strong>solare</strong>.<br />

5 Plinio II il Giovane, <strong>Storia</strong> Naturale, C. 60, 212 p. 131, lib. II. E<strong>di</strong>zione Einau<strong>di</strong>, Torino, 1982.<br />

6 composte secondo la tra<strong>di</strong>zione, tra il 451 e il 450 a.C.<br />

7 I Rostri erano la tribuna da cui parlavano gli oratori; la Grecostasi era il luogo dove gli ambasciatori attendevano prima <strong>di</strong><br />

essere introdotti in Senato.<br />

8 Di Fabio Vestale, antico scrittore romano, non si sa quasi nulla.<br />

9 Dunque nel 293 a.C. Il Commentaire <strong>di</strong> Jean Soubiran al testo <strong>di</strong> Plinio delle "Belles Lettres", riporta: "Le primier cadran solaire<br />

aurait été installé en 293 avaint J.-C., onze ans avant la guerre de Pyrrhus. Seloc la juste observation du P. Hardouin, le chiffre "onze",<br />

donné par la plupart del ms., est à maintenir. En effet la guerre de Pyrrhus est datée par Pline lui-meme (8, 16) de l'an de Rome<br />

CCCLXXII (=282 avant J.-C.) et la dé<strong>di</strong>cace du temple de Quirinus a eu lieu en 293 avant J.-C. (Tite-Live, 10 46, 7). L'événement aurait<br />

donc eu lieu onze ans avant cette guerre...".<br />

10 Antiquitates rerum humanarum XV, fr. 3 Mirsch.<br />

11 nel 164 a.C.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

7


A <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> come sia stato corrotto il testo<br />

<strong>di</strong> Plinio e <strong>di</strong> come sia possibile anche per<br />

autorevoli stu<strong>di</strong>osi cadere in errore quando gli<br />

avvenimenti sono incerti, è interessante notare che<br />

Clau<strong>di</strong>o Pasini, autore <strong>di</strong> uno dei più popolari ed<br />

accre<strong>di</strong>tati libri sulla gnomonica <strong>di</strong> questo secolo<br />

(almeno in Italia) Orologi Solari, 1900, riporta (e con<br />

lui anche <strong>di</strong>versi altri scrittori) la data del 263 a.C. 12<br />

per il primo orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Roma, ma egli si<br />

confonde forse con la frase <strong>di</strong> Varrone (citato da<br />

Plinio subito dopo) che menziona quello che<br />

dovrebbe essere il primo orologio <strong>solare</strong> installato<br />

nel Foro <strong>di</strong> Roma, ma il secondo che ebbe Roma.<br />

Infatti, anche Censorino scrive: "Illud satis constat<br />

nullum in foro prius fuisse quam id quod M. Valerius<br />

ex Sicilia advectum ad Rostra in columna posuit", supponendo<br />

che si tratti del primo orologio <strong>solare</strong><br />

posto nel foro <strong>di</strong> Roma.<br />

Si tratta <strong>di</strong> un orologio trafugato dai Romani molto<br />

tempo dopo aver sconfitto l'esercito <strong>di</strong> Pirro e<br />

dopo aver assoggettato la città <strong>di</strong> Catania.<br />

Ma come è ovvio, l'orologio, costruito per la latitu<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> Catania, non poteva funzionare bene per la<br />

latitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Roma e quin<strong>di</strong>, secondo quanto è<br />

sempre stato scritto nei libri, in<strong>di</strong>cò ai Romani le<br />

ore inesatte per 99 anni (nec congruebat ad horas ejus<br />

linea: patuerunt tamen ei annos undecentum). Fu solo<br />

nel 164 a.C. che M. Filippo censore ne fece costruire<br />

uno più preciso per la latitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Roma.<br />

Anche a questo proposito gli autori, soprattutto<br />

storici non esperti <strong>di</strong> gnomonica, non si sono <strong>di</strong>spensati<br />

dal fare osservazioni eccessive e fuori<br />

luogo. Jérome Carcopino, nel suo libro La vita quoti<strong>di</strong>ana<br />

a Roma, e<strong>di</strong>to dalla Universale Laterza nel<br />

1967, scrive: "...M. Valerio Messalla aveva riportato<br />

tra il suo bottino <strong>di</strong> Sicilia il quadrante <strong>solare</strong> <strong>di</strong><br />

Catania, e lo fece rimontare tal quale sul comitium, dove<br />

per più <strong>di</strong> tre generazioni, le linee tracciate sul polos per<br />

un'altra latitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>spensarono ai romani ore senza<br />

rapporto alcuno con la realtà...(...) ci è lecito credere che<br />

durante questo lungo periodo (99 anni), rimasero con<br />

ostinazione più che nel loro errore, nella loro ignoranza...".<br />

Innanzitutto, è molto probabile che l'orologio<br />

trafugato a Catania fosse del tipo "hemyciclum ad<br />

enclima succisum", che pochi decenni prima aveva<br />

inventato Beroso Caldeo in Grecia, e non il "polos"<br />

che è invece il vecchio "hemisphaerium". Inoltre,<br />

stando alle parole <strong>di</strong> Plinio, l'hemicyclium è forse<br />

l'orologio antico più adatto ad essere installato su<br />

una colonna, come quello che si vede nell'antica<br />

Pompei, non certo l'hemisphaerium nel quale,<br />

essendo a calotta emisferica, <strong>di</strong>venta <strong>di</strong>fficile leggere<br />

le ore se posto troppo in alto come su una<br />

colonna da piazza.<br />

E' probabile che Messalla sia stato anche attirato<br />

dalla novità <strong>di</strong> un orologio <strong>solare</strong> nuovo, mai visto<br />

prima.<br />

Comunque, l'orologio <strong>di</strong> Catania avrebbe si in<strong>di</strong>cato<br />

a Roma ore inesatte, ma con un'approssimazione<br />

non maggiore <strong>di</strong> 5-10 minuti che all'epoca<br />

non poteva essere tanto evidente da fare scalpore,<br />

se si considera che anche oggi, nonostante gli innumerevoli<br />

impegni della vita quoti<strong>di</strong>ana, 5-10 minuti<br />

rientrano nelle approssimazioni "umane". E'<br />

sbagliato quin<strong>di</strong> asserire, solo sulla base <strong>di</strong> questo<br />

fatto citato da Plinio, che i Romani furono poco<br />

accorti nelle scienze.<br />

Il modo <strong>di</strong> fare storia della gnomonica è stato sempre<br />

caratterizzato, dal Rinascimento ad oggi, da<br />

una ingiustificabile negligenza da parte <strong>di</strong> molti<br />

autori, nel raccogliere citazioni e fonti senza mai<br />

verificarne la veri<strong>di</strong>cità. E' per questo che i libri <strong>di</strong><br />

gnomonica contengono moltissimi "luoghi comuni"<br />

storiografici i quali non fanno altro che ripetere<br />

le approssimazioni e gli errori <strong>di</strong> autori poco accorti,<br />

o <strong>di</strong> quanti hanno inteso la storia degli orologi<br />

solari materia "bistrattata" adatta solo a formare<br />

una breve introduzione ai trattati tecnici sull'argomento.<br />

Per curiosità si riporta il breve passo che riguarda<br />

i primi orologi solari <strong>di</strong> Roma, nelle versioni <strong>di</strong> due<br />

12 Pirro attaccò per la prima volta i Romani nel 281 a.C., quando accorse in aiuto dei Tarentini che si ribellavano a Roma, ma<br />

con l'ambito <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> annettere al suo regno anche la Magna Grecia. Il Commentario <strong>di</strong> J. Soubiran riporta: " M'. Valerius<br />

Maximus Messala obtint, en meme temps que son collègue M'. Otacilius Crassus, dès 263 avant J.-C. - c'est-à<strong>di</strong>re, la seconde année de la<br />

I° guerre punique - le consulat et la conduite de la guerre en Sicile. La meme année 263 (= an de Rome 491) marque la prise de Catane. Ce<br />

chiffre - an de Rome 491 - correspond à l'intervalle de temps - trente ans - qui, seloc Pline, s'est écoulè depuis l'installation en 293 avant<br />

J.-C. (= an de Rome 461) du cadran solaire de Papirius".<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

8


celebri autori <strong>di</strong> gnomonica, Od<strong>di</strong> Muzio da<br />

Urbino, in "Orologi Solari", del 1614 e <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o<br />

Pasini, in "Orologi Solari" del 1900. Il lettore noterà<br />

senz'altro la ripetizione, quasi letterale, delle<br />

informazioni fornite da Muzio circa trecento anni<br />

prima e date ormai per scontate.<br />

Od<strong>di</strong> Muzio : "...E perciò fu molto stimato l'horologio,<br />

che doppo la presa <strong>di</strong> Catania vi trasportò M. Val.<br />

Messala, e l'altro che trent'anni dopo, vi fu condotto da<br />

L. Papirio Cursore per adempiere il voto fatto da Papirio<br />

suo Padre ; che sebbene né l'uno, né l'altro mostrava<br />

l'hore puntualmente giuste, per essere fabbricati al<br />

Clima <strong>di</strong> Sicilia, se ne servirono non<strong>di</strong>meno per lo spatio<br />

quasi <strong>di</strong> cento anni, finche da Q. Marcio Filippo<br />

Censore, ne fu posto un'altro vicino a questi due, fabbricato<br />

dalla propria latitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Roma....".<br />

Clau<strong>di</strong>o Pasini : "La prima meri<strong>di</strong>ana fu portata a<br />

Roma da Catania al tempo della prima guerra punica<br />

(263 a.C.) da Marco Valerio Messala e fu posta, come<br />

narrano Varrone e Plinio, fra le colonne (rostra vetera)<br />

della tribuna del Foro. Trent'anni dopo un altro ne fu<br />

condotto da L. Papiro Cursore, e sebbene né l'uno né<br />

l'altro in<strong>di</strong>cassero esattamente le ore, essendo fatti per la<br />

latitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> Sicilia, i Romani se ne servirono per circa<br />

cent'anni, finchè da Q. Mario Filippo Censore ne fu<br />

posto un terzo vicino a questi due, costruito per la latitu<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> Roma...".<br />

In seguito furono costruiti molti altri orologi solari<br />

sparsi per tutta la città, tanto da far <strong>di</strong>sperare il<br />

parassita della Boeotica <strong>di</strong> Plauto che si lamenta<br />

<strong>di</strong>cendo:<br />

Ut illum Di perdant, primus qui horas repperit,<br />

Quique adeo primus statuit hic solarium,<br />

Qui mihi comminuit misero articulatim <strong>di</strong>em.<br />

Nam me puero venter hic erat solarium<br />

Multum omnium istorum optumum ac verissumum.<br />

Ibi iste monebat esse, nisi cum nihil erat,<br />

Nunc etiam quod est, non estur nisi soli lubet.<br />

Itaque jam oppletum est oppidum solariis<br />

Major pars populi ari<strong>di</strong> reptant fame.<br />

Il cui significato è: "Possano gli Dei perdere colui<br />

che è stato il primo a portar quest'orologio; un<br />

tempo la fame era per me la migliore e la più certa<br />

ora che mi avvertiva; ma oggi non posso che mangiare<br />

quando piace al sole: bisogna consultarne il<br />

corso e tutta la città è piena <strong>di</strong> orologi" 13 .<br />

Il termine "solarium" per in<strong>di</strong>care un orologio<br />

<strong>solare</strong>, era molto <strong>di</strong>ffuso presso i Romani. Leo<br />

Allazio, nel De mensura Temporum, del 1645 (cap.<br />

VI), scrive che "i Romani chiamavano Solario non solo<br />

il luogo costruito sulla sommità delle case (solaio), nel<br />

quale ci si riscalda, ma anche un luogo frequentato e<br />

celebre perchè qui, come ipotizza Pietro Vittorio, c'era<br />

<strong>di</strong>segnato in qualche parete una "ratio horarum",<br />

ovvero un orologio <strong>solare</strong>.<br />

E' certo che al tempo <strong>di</strong> Vitruvio i Romani dovevano<br />

servirsi abitualmente sia degli orologi solari<br />

che delle clessidre a sabbia o ad acqua, ne è una<br />

prova il capitolo IX dell'Architettura, de<strong>di</strong>cato alla<br />

gnomonica e alle <strong>di</strong>verse specie <strong>di</strong> orologi solari.<br />

Sicuramente il famoso architetto dovette avere sott'occhi<br />

tutti gli orologi elencati <strong>di</strong> cui Roma e le<br />

Province ne dovevano essere piene. A noi sono<br />

pervenuti un buon numero <strong>di</strong> esemplari e, oltre ai<br />

già citati ritrovamenti <strong>di</strong> orologi solari, possiamo<br />

aggiungere un interessante elenco che fece P.<br />

Romano 14 :<br />

"Nella tenuta <strong>di</strong> Grotta perfetta, in occasione <strong>di</strong><br />

scavi, si rinvenne un orologio <strong>solare</strong> marmoreo con<br />

lo stilo <strong>di</strong> ferro. A Tor Paterno, negli ultimi anni del<br />

1700 se ne trovò uno <strong>di</strong> grande interesse.<br />

Purtroppo, però, fu portato in Inghilterra e solo<br />

una copia in gesso se ne riservò il Museo Vaticano.<br />

Il Settele rilevò che le linee orarie che negli altri<br />

orologi sono delimitate dai circoli dei tropici, in<br />

questo erano prolungate fin quasi alla base dello<br />

stilo. Lorenzo Re, professore all'Università La<br />

Sapienza <strong>di</strong> Roma, possedeva nel 1815 un orologio<br />

<strong>solare</strong> trovato presso il Circo <strong>di</strong> Caracalla.<br />

L'Antonini (1790), riprodusse in incisione ben<br />

<strong>di</strong>ciotto altri orologi solari rinvenuti in Roma e<br />

13 Il testo latino l'ho trascritto dall'opera <strong>di</strong> Salmasio e sono evidenti alcune parole non uguali alle altre versioni, d'altra parte<br />

lui assegna a queste dei <strong>di</strong>versi significati.<br />

14 P. Romano, Orologi <strong>di</strong> Roma, Anonima Romana Stampa, Roma, 1944. p. 6. Esemplare e<strong>di</strong>to in sole trecento copie.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

9


nella Provincia. Il cosiddetto orologio <strong>solare</strong> "capitolino"<br />

fu trovato presso Castelnuovo <strong>di</strong> Porto.<br />

Benedetto XIV (1751) lo fece restaurare, mettervi lo<br />

stilo e collocare su una finestra del Museo<br />

Capitolino affinchè anche oggi - secondo quanto<br />

<strong>di</strong>ce l'iscrizione incisa sopra - ci potesse mostrare le<br />

ore ineguali degli antichi".<br />

A queste citazioni vorrei aggiungere, per non<br />

<strong>di</strong>menticarmene, un interessante orologio ritrovato<br />

nel vecchio Porto <strong>di</strong> Anzio. Senz'altro non se ne<br />

sono visti altri uguali. Sembrerebbe appartenere<br />

alla famiglia degli Scaphen perchè si tratta <strong>di</strong> un<br />

orologio descritto in uno scafio e poggiato su un<br />

pie<strong>di</strong>stallo.<br />

fig. 1 Emicyclum romano trovato nel territorio <strong>di</strong> Velletri. Immagine tratta da “Manuale <strong>di</strong> vari ornamenti...<br />

che contiene la serie de’ Candelabri Antichi”, <strong>di</strong> Carlo Antonini, Roma, 1790 (per gentile<br />

concessione <strong>di</strong> Mario Arnal<strong>di</strong> <strong>di</strong> Ravenna). Si noti la pregevole fattura artistica e l’accorgimento<br />

tecnico <strong>di</strong> rappresentare le linee orarie temporarie non come delle linee <strong>di</strong>ritte, ma come porzioni<br />

<strong>di</strong> curve racchiuse tra i semicerchi corrispondenti alle linee del solstizio estivo ed invernale (si<br />

veda a tal proposito N. <strong>Severino</strong>, <strong>Storia</strong> della Gnomonica, 1994)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 2 Ricostruzione <strong>di</strong> una meri<strong>di</strong>ana bizantina, risalente al 500 d.C. circa, il cui<br />

originale si trova a Londra nello Science Museum, inv. 1983, n. 1393. Si tratta <strong>di</strong><br />

una versione migliorata della meri<strong>di</strong>ana romana del III secolo d.C. ultimamente<br />

identificata con l’orologio <strong>solare</strong> citato da Vitruvio col nome “Pros Pan Clima” che<br />

significa “per tutte le latitu<strong>di</strong>ni”. Infatti, si tratta <strong>di</strong> una meri<strong>di</strong>ana portatile universale.<br />

(immagine tratta da Enciclope<strong>di</strong>a <strong>Storia</strong> delle Scienze, G. Einau<strong>di</strong> Ed., 1991)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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STORIA, SIGNIFICATO,<br />

ETIMOLOGIA DEGLI OBELISCHI<br />

C'era una volta l'Egitto...<br />

Quando i Greci cominciarono ad interessarsi ai<br />

monumenti degli antichi Egizi, rivolsero particolare<br />

attenzione agli obelischi e alle pirami<strong>di</strong>.<br />

Attorno al 3000 a.C. sembra che qualcosa <strong>di</strong><br />

somigliante ad un blocco <strong>di</strong> pietra, o forse proprio<br />

un monolito a quattro facce, e modellato sul vertice<br />

a forma <strong>di</strong> cuspide piramidale (detto alla greca<br />

pyrami<strong>di</strong>on), fosse consacrato al <strong>di</strong>o sole primor<strong>di</strong>ale:<br />

e Re, o He-Harakhti o Khepri (il sole all'alba),<br />

Ra (il sole allo zenit) e Atum (il sole al tramonto).<br />

Tali pietre erano denominate ben, o benben<br />

le quali, secondo la tra<strong>di</strong>zione, erano da tempo<br />

immemorabile esistite a Junu (significa "pilastro"),<br />

luogo denominato successivamente dai Greci<br />

"Heliopolis", la città consacrata al <strong>di</strong>o sole. Anche<br />

Plinio testimonia che gli obelischi simboleggiavano<br />

i raggi del sole, e perchè questa funzione<br />

fosse più evidente, gli egiziani ricoprirono d'oro e<br />

<strong>di</strong> altro metallo riflettente le cuspi<strong>di</strong> <strong>di</strong> questi<br />

monoliti.<br />

Gli Egiziani, chiamavano anticamente gli obelischi<br />

col nome man e, successivamente, tekhen, o tekhenu,<br />

la cui etimologia è incerta. Essi erano considerati<br />

l'espressione più antica ed astratta della luce<br />

<strong>solare</strong>. Il vertice figurava il punto <strong>di</strong> partenza del<br />

raggio, il centro stesso del potere <strong>solare</strong>; la base<br />

invece la materia informe che la luce <strong>solare</strong>, simbolo<br />

<strong>di</strong> quella <strong>di</strong>vinità, trasformava in cosmo 15 .<br />

Athanasius Kircher così definisce gli obelischi:<br />

"Columnae hieroglyphiacae quadrilaterae sensim versus<br />

apicem gracilescentes et, deinde in parvam pyramidem<br />

truncatae" 16 . Una iscrizione dovuta all'imperatore<br />

Teodosio (347-395 d.C) sulla base dell' obelisco<br />

da questi eretto nell'ippodromo <strong>di</strong><br />

Costantinopoli (originario <strong>di</strong> Karnak e fatto costruire<br />

da Tutmosis III), riporta: "KIO' NA<br />

15 Simboli, miti e misteri <strong>di</strong> Roma, Newton Compton, p. 49<br />

16 A. Kircher, Obeliscus Phamphilius, Romae, 1650<br />

TETRAPLEURON , etc.", in latino "Columnam<br />

quadrilateram simper terrae incubans onus Solus<br />

erigere Theodosius Imperator Ausus est, etc.".<br />

I primi gran<strong>di</strong> ed importanti obelischi furono<br />

innalzati proprio ad Eliopolis, città che doveva poi<br />

essere tormentata dalla furia degli eserciti romani,<br />

tanto che un solo obelisco, quello <strong>di</strong> Sesostri I<br />

(1971-1928 a.C.) sembra sia rimasto in pie<strong>di</strong> in<br />

quell'antica città. Ma anche a Tebe, pilastro meri<strong>di</strong>onale<br />

<strong>di</strong> Eliopolis, furono eretto molti obelischi,<br />

ed anche qui ne sono rimasti in pie<strong>di</strong> solo tre!<br />

Infine, Pi-Ramesse, la città del più megalomane<br />

faraone dell'Egitto, Ramsete II, fu riempita <strong>di</strong><br />

questi "spie<strong>di</strong>" calcarei, anche a costo <strong>di</strong> usurpare il<br />

suolo delle altre antiche città, trafugando blocchi<br />

interi degli obelischi innalzati dai faraoni precedenti<br />

.<br />

I Greci, coniarono per il termine tekhen la nuova<br />

parola obelìskos che significa "spie<strong>di</strong>no" dalla sua<br />

caratteristica forma sottile e allungata. Mentre gli<br />

arabi lo denominarono messalah, con riferimento<br />

ad un grosso ago.<br />

Le occasioni per costruire ed erigere gli obelischi<br />

certo non mancavano ai faraoni egizi. Oltre che a<br />

consacrarli al <strong>di</strong>o sole, venivano eretti anche accanto<br />

ai templi nei giorni in cui veniva festeggiato il<br />

giubileo del sovrano che, in genere, si rinnovava al<br />

trentesimo anno <strong>di</strong> regno e successivamente ogni<br />

tre anni. Altra occasione era data dalle vittorie<br />

delle battaglie militari. Di conseguenza, su quasi<br />

tutti gli obelischi si trovano raffigurate le iscrizioni<br />

in geroglifico che attestano il significato della loro<br />

erezione. Ma raramente i fatti narrati rispecchiano<br />

la storia vera. Particolarmente sospette, per esempio,<br />

sembrano le vanterie riportate sugli obelischi<br />

innalzati da Ramsete II, mentre più veritiere sembrano<br />

quelle <strong>di</strong> Tutmosis III.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

12


La maggior parte degli obelischi sono <strong>di</strong> granito,<br />

ma ne esistono anche altri <strong>di</strong> quarzite e basalto.<br />

Gran<strong>di</strong> cave <strong>di</strong> granito rosso si trovano in Egitto<br />

presso l'area <strong>di</strong> Aswan, soprattutto dall'isola<br />

Elefantina e <strong>di</strong> Seheil. Non si conoscono testi egizi<br />

che attestino le procedure <strong>di</strong> costruzione degli<br />

obelischi, ma ci resta una importante testimonianza<br />

dalla quale è stato possibile dedurre quasi ogni<br />

particolare sul proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> fabbricazione<br />

usato dagli Egiziani: un obelisco incompiuto che è<br />

rimasto nell'originario sito <strong>di</strong> Aswan (fig.3).<br />

Questo obelisco è un monumento mancato a causa<br />

fig. 3 Obelisco incompiuto <strong>di</strong> Aswan<br />

17 Habachi L., I segreti degli obelischi, Newton Compton, Roma, 1978, p.11 e segg.<br />

18 Ibid. pag.33<br />

<strong>di</strong> una spaccatura verificatasi nel banco <strong>di</strong> roccia.<br />

Dopo i necessari sondaggi per accertare la natura<br />

della roccia e la sua compattezza, si procedeva al<br />

<strong>di</strong>stacco delle fiancate del monolito. Tale <strong>di</strong>stacco<br />

poteva avvenire, presumibilmente, me<strong>di</strong>ante colpi<br />

<strong>di</strong> percussori realizzando una trincea attorno al<br />

monolito. Dopo che era stato staccato dalla roccia<br />

madre, doveva essere trasportato fino al pianoro e<br />

quin<strong>di</strong> fino al Nilo per essere poi imbarcato e<br />

trasportato nella città <strong>di</strong> destinazione. Per l'innalzamento<br />

dello stesso, il lettore può farsi un'idea<br />

osservando la fig. 4 18 .<br />

fig. 4 Innalzamento <strong>di</strong> un obelisco secondo<br />

l’antico metodo egizio (da Habachi, I segreti<br />

degli Obelischi)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

13


fig. 5a Trasporto <strong>di</strong> obelischi per via fluviale e marittima (illustrazione tratta da G. Cipriani, Gli<br />

obelischi egizi. Politica e cultura nella Roma barocca, Olschki ed. 1993)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 5b Trasporto <strong>di</strong> obelischi per via fluviale, da J. Comes a Turre Rezzonici,<br />

Disquisitione Plinianae, 1767.<br />

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fig. 6 Pianta degli obelischi <strong>di</strong> Roma (da C. D’Onofrio, Obelischi <strong>di</strong> Roma, Roma, 1965.<br />

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16


IL CAMPO MARZIO<br />

Prima <strong>di</strong> parlare dell'Obelisco <strong>di</strong> Augusto, sarà<br />

utile qualche informazione storica sul luogo per il<br />

quale l'imperatore aveva deciso <strong>di</strong> effettuare la sua<br />

bonifica e i suoi progetti <strong>di</strong> sistemazione architettonica.<br />

Il termine Campo Marzio in<strong>di</strong>ca, generalmente, la<br />

pianura compresa tra il Campidoglio e il Tevere<br />

che si estende fino alle pen<strong>di</strong>ci del Quirinale e del<br />

Pincio. Tuttavia, la zona orientale della Via Lata, fu<br />

esclusa dal Campo Marzio attorno al 221 a.C.,<br />

dopo che fu costruita la via Flaminia.<br />

Ma Campo Marzio, poteva anche significare una<br />

grande zona sgombra <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici pubblici e destinata<br />

a zona militare, oppure, in senso più ristretto, la<br />

zona destinata ai comizi centuriati e poi a quelli<br />

elettorali.<br />

La leggenda sulle origini <strong>di</strong> Campo Marzio lo<br />

ricollega ai Tarquini che ne dovevano essere i pro-<br />

prietari in qualità <strong>di</strong> agro regio. Quando invece i<br />

Tarquini furono espulsi da Roma, l'area del Campo<br />

Marzio <strong>di</strong>venne pubblica. Nella zona centrale<br />

sorgeva un santuario molto antico, l'Ara <strong>di</strong> Marte,<br />

che assumeva evidentemente un significato più<br />

propriamente militare. Al centro erano i "Saepta",<br />

una grande piazza rettangolare dove si riunivano<br />

in età repubblicana i comizi centuriati e quelli elettorali.<br />

Della prima fase repubblicana, restano solo<br />

alcuni santuari quale testimonianza e<strong>di</strong>lizia. Nel II<br />

secolo a.C. comincia a svilupparsi un tipo <strong>di</strong><br />

urbanistica monumentale, soprattutto nell'area circostante<br />

il Circo Flaminio.<br />

Nel periodo augusteo il Campo Marzio fu oggetto<br />

<strong>di</strong> opere <strong>di</strong> bonifica da parte dell'imperatore il<br />

quale rivolse la sua attenzione all'urbanizzazione<br />

della parte centrale della pianura ed al rifacimento<br />

integrale del complesso <strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici circostante il<br />

Circo Flaminio.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

17


L’OROLOGIO SOLARE DI AUGUSTO<br />

L'Imperatore, a decorazione del Campo Marzio,<br />

pensò <strong>di</strong> far erigere un orologio <strong>solare</strong> gran<strong>di</strong>oso<br />

che fosse a un tempo calendario e in<strong>di</strong>catore delle<br />

ore, e fra l'Ara Pacis e i portici <strong>di</strong> Agrippa, nel<br />

mezzo <strong>di</strong> un gran parco innalzò un obelisco, destinato<br />

a proiettare l'ombra sopra un gran pavimento<br />

<strong>di</strong> travertino. L'obelisco-gnomone, fu rimosso<br />

dalla sua sede originaria ad Eliopolis, in Egitto,<br />

nell'anno 12 a.C.; esso fu eretto dal faraone<br />

Psammetico II, seicento anni prima della<br />

rimozione. Fu trasportato con una grossa chiatta<br />

fino al porto <strong>di</strong> Pozzuoli e trasferito su un'altra<br />

imbarcazione con la quale raggiunse la foce del<br />

Tevere. La descrizione <strong>dell'orologio</strong> ci è stata lasciata,<br />

come al solito, dal naturalista Plinio il Vecchio<br />

nel seguente passo della sua Historia Naturalis<br />

tratto dalla traduzione <strong>di</strong> Antonio Corso, Rossana<br />

Mugellesi e Giampiero Rosati, recentemente pubblicato<br />

dalla Einau<strong>di</strong> (vol. V, Libro XXXVI, .15,pag.<br />

627):<br />

All'obelisco che è nel Campo Marzio il <strong>di</strong>vino Augusto<br />

attribuì la mirabile funzione <strong>di</strong> segnare le ombre proiettate<br />

dal sole, determinando così la lunghezza dei giorni<br />

e delle notti: fece collocare una lastra <strong>di</strong> pietra che<br />

rispetto all'altezza <strong>dell'obelisco</strong> era proporzionata in<br />

modo che, nell'ora sesta del giorno del solstizio d'inverno<br />

l'ombra <strong>di</strong> esso fosse lunga quanto la lastra, e<br />

decrescesse lentamente giorno dopo giorno per poi<br />

ricrescere <strong>di</strong> nuovo, seguendo i righelli <strong>di</strong> bronzo inseriti<br />

nella pietra: un congegno che vale la pena conoscere,<br />

e che si deve al matematico Facondo Novio. Questi<br />

aggiunse sul pinnacolo una palla dorata, la cui estremità<br />

proiettava un'ombra raccolta in sé, perchè altrimenti<br />

la punta <strong>dell'obelisco</strong> avrebbe determinato un'ombra<br />

irregolare - a dargli l'idea fu, <strong>di</strong>cono, la testa umana.<br />

Questa registrazione del tempo da circa trent'anni non<br />

è più conforme al vero, forse perchè il corso del sole non<br />

è rimasto invariato, ma è mutato per qualche motivo<br />

astronomico, oppure perchè tutta la terra nel suo complesso<br />

si è spostata in rapporto al suo centro (un fatto che<br />

- sento <strong>di</strong>re - si avverte anche in altri luoghi), oppure<br />

semplicemente perchè lo gnomone si è smosso in seguito<br />

a scosse telluriche, ovvero le alluvioni del Tevere<br />

hanno provocato un abbassamento <strong>dell'obelisco</strong>, anche<br />

se si <strong>di</strong>ce che se ne siano gettate sottoterra fondamenta<br />

profonde tanto quanto è alto il carico che vi si appoggia.<br />

Quin<strong>di</strong> Plinio ci fa sapere che la lettura dell'ora<br />

"dopo trent'anni non corrispondeva più, sia che il sole<br />

stesso avesse mutato il suo corso per qualche rivolgimento<br />

celeste, sia che tutta la Terra si fosse spostata dal<br />

suo centro, -come riferiscono essere stato osservato<br />

anche in altri luoghi- sia che lo gnomone si sia inchinato<br />

sul posto a causa dei terremoti, sia infine che il terreno<br />

abbia ceduto in seguito alle inondazioni del<br />

Tevere". Ma il commento <strong>di</strong> Plinio fa sorridere<br />

alcuni archeologi i quali non ammettono che un<br />

matematico romano potesse sbagliarsi nei suoi calcoli,<br />

e ancor meno che un architetto facesse delle<br />

cattive fondazioni, anche con tutti i terremoti ed<br />

alluvioni possibili. Ma è evidente che le cause sono<br />

da ricercare, molto probabilmente, in un semplice<br />

<strong>di</strong>ssesto del suolo a causa <strong>di</strong> qualche terremoto,<br />

con un conseguente spostamento <strong>dell'obelisco</strong> che,<br />

sebbene all'apparenza non risulti, si rende evidente<br />

nella lettura dei punti d'ombra. Ma per<br />

questo aspetto, si veda più avanti il paragrafo relativo<br />

al testo <strong>di</strong> Plinio commentato dal Rezzonici.<br />

L'orologio fu inaugurato il 9 a.C., per integrare un<br />

progetto architettonico ed urbanistico speciale : " Il<br />

gigantesco "solarium" venne finito e inaugurato nel<br />

gennaio del 9 a.c., insieme con un altro elemento del<br />

grande progetto, la famosa "ara pacis". Il complesso<br />

risultava composto dal "solarium", dall'"ara pacis", dal<br />

"mausoleo" (tomba imperiale) e dall'"ustrino"<br />

(inceneritore), elementi tutti collegati tra loro geometricamente,<br />

topograficamente e simbolicamente, raccolti in<br />

una tematica unitaria dominata dall'esaltazione della<br />

<strong>di</strong>vinità imperiale" 19 . In effetti, è molto probabile che la<br />

<strong>di</strong>sposizione <strong>dell'orologio</strong> <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto fosse tale<br />

che "l'ombra della boccia collocata sulla cima <strong>dell'obelisco</strong>,<br />

che simboleggiava Augusto, il sole Apollo, toc-<br />

19 G. Fantoni, La meri<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> Augusto, Orologi. Le misure del tempo, ed. Technime<strong>di</strong>a, Roma, n° 10, 1988, p. 107.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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cava l'Ara Pacis (l'altare della pace) in un dato momento<br />

a confermare che Augusto era nato per la pace.<br />

Infatti, quest'altare segnala la linea equinoziale che<br />

coincideva con la data <strong>di</strong> nascita dell'imperatore (23 settembre).<br />

Inoltre, l'asse tracciato dall'obelisco all'altare<br />

della pace formava un angolo retto con quello <strong>dell'obelisco</strong><br />

del Mausoleo <strong>di</strong> Augusto" 20 .<br />

Il testo <strong>di</strong> Plinio, già fortemente <strong>di</strong>scusso dagli eru<strong>di</strong>ti<br />

<strong>di</strong> tre-quattro secoli fa, dà delle in<strong>di</strong>cazioni<br />

piuttosto precise sulla natura calendariale del<br />

monumento, ma non sulla funzione <strong>di</strong> orologio. Il<br />

Ban<strong>di</strong>ni, nel secolo XVIII, per meglio chiarire la<br />

descrizione <strong>di</strong> Plinio, suppose che "verso tramontana<br />

si formasse un lastricato <strong>di</strong> pietre quadrate, <strong>di</strong><br />

lunghezza proporzionata all'altezza <strong>dell'obelisco</strong>,<br />

cioè <strong>di</strong> tale lunghezza, che potesse da tutta l'altezza<br />

del monolito ricevere l'ombra meri<strong>di</strong>ana nel<br />

giorno del solstizio d'inverno, la quale ombra è la<br />

più lunga fra quelle meri<strong>di</strong>ane, che sieno gettate<br />

dal sole in tutto l'anno e quin<strong>di</strong> che si facesse segnare<br />

in questo strato per lungo con delle lamine o<br />

regole <strong>di</strong> bronzo indorato le lunghezze delle<br />

ombre meri<strong>di</strong>ane in <strong>di</strong>versi tempi dell'anno, e che,<br />

finalmente, si volesse che si denotassero ancora le<br />

grandezze o quantità dei giorni e delle notti parimente<br />

con delle righe <strong>di</strong> bronzo indorate e incastrate<br />

nel detto pavimento. Queste linee dovevano<br />

giacere perpen<strong>di</strong>colarmente a traverso della<br />

meri<strong>di</strong>ana e dovevano essere <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

grandezze, corrispondendo da una parte alla<br />

lunghezza dei giorni e dall'altra a quelle delle<br />

notti. Onde, battendo l'ombra della palla, posta in<br />

cima all'obelisco, in una <strong>di</strong> esse o vicino ad alcuna<br />

delle medesime, doveva mostrare il rapporto che<br />

la lunghezza <strong>di</strong> tutto quel giorno aveva con tutta<br />

quella notte, o con qualunque altro giorno e l'altra<br />

notte dell'anno, col mostrare il rapporto <strong>di</strong> quelle<br />

righe alle altre righe <strong>di</strong> bronzo" 21 . Probabilmente la<br />

linea meri<strong>di</strong>ana calendariale venne realizzata<br />

dopo che fu innalzato l'obelisco, e non si conosce<br />

come fosse stata posata la sfera sulla sua cima. Si<br />

crede che il globo fosse inserito in maniera che non<br />

superasse l'altezza della guglia, o dopo aver recisa<br />

tanta parte della guglia stessa, quanta era la<br />

grandezza della sfera; oppure poteva, questa,<br />

essere incastrata nella cuspide in modo che l'uno e<br />

l'altro avessero uguale altezza 22 .<br />

Il Fantoni ha calcolato gli intervalli tra i regoli delle<br />

date che avrebbe dovuto <strong>di</strong>sporre il costruttore<br />

Facon<strong>di</strong>o Novo, o Manilio matematico, <strong>di</strong>sposti<br />

perpen<strong>di</strong>colarmente alla linea meri<strong>di</strong>ana. Egli ha<br />

trovato che lo spazio tra ogni regolo è nullo ai solstizi,<br />

quando anche la variazione della lunghezza<br />

d'ombra è praticamente nulla, e raggiunge un massimo<br />

<strong>di</strong> 56 cm nei perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> febbraio e novembre.<br />

Inoltre egli ha calcolato che per un'altezza <strong>dell'obelisco</strong><br />

pari a 29.42 metri, l'eventuale orologio<br />

<strong>solare</strong> avrebbe avuto i suoi punti orari estremi (ore<br />

1 e 11 temporarie) lontani 260 metri dallo stesso<br />

obelisco-gnomone. In un orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> tali<br />

<strong>di</strong>mensioni è <strong>di</strong>fficile pensare che vi siano state<br />

inserite tutte e sette le linee <strong>di</strong> declinazione <strong>solare</strong>.<br />

Sicuramente vi era riportata la linea equinoziale<br />

perché, come detto, rientrava nel progetto urbanistico<br />

dell'imperatore 23 .<br />

Plinio pare facesse riferimento anche ad una eventuale<br />

in<strong>di</strong>cazione sullo strumento della durata dei<br />

giorni e delle notti. Ciò si ottiene me<strong>di</strong>ante due<br />

segmenti compresi tra il punto estremo della linea<br />

meri<strong>di</strong>ana e i punti me<strong>di</strong>ani degli spazi orari tra le<br />

3-4- e 8-9 sulla curva del solstizio estivo. Ma pare<br />

che non siano state ancora ritrovate tracce <strong>di</strong><br />

queste linee.<br />

20 A. Dosi-F. Schnell, Spazio e tempo, in Vita e costumi dei Romani antichi - Museo della civiltà romana, e<strong>di</strong>zioni Quasar, Roma,<br />

1992, p.75.<br />

21 P. Romano, op. cit. pag. 10<br />

22 Idem, p. 10<br />

23 G. Fantoni, op. cit., pag. 110<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

19


LE SCOPERTE DI<br />

BUCHNER E RAKOB<br />

Nel 1976, l'archeologo tedesco Buchner, insieme<br />

poi al suo collega Rakob, dell'Istituto Archeologico<br />

Germanico <strong>di</strong> Roma, intrapresero le ricerche dell'antico<br />

"solarium" <strong>di</strong> Augusto, sulla scorta <strong>di</strong> tutte<br />

le possibili informazioni <strong>di</strong>sponibili. Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

Buchner rappresenta soprattutto una sintesi dell'immenso<br />

progetto augusteo <strong>di</strong> urbanizzazione<br />

del Campo Marzio, e perciò le notizie sull'orologio<br />

<strong>solare</strong> si fondono insieme ad una marea <strong>di</strong> altre<br />

considerazioni archeologiche sui monumenti del<br />

luogo.<br />

Anche se lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Buchner si presenta oggi<br />

come la soluzione al <strong>di</strong>lemma se l'obelisco campense<br />

fosse un gigantesco gnomone per la sola linea<br />

meri<strong>di</strong>ana o per un intero orologio <strong>solare</strong>, è tuttavia<br />

doveroso precisare che già nel XVI secolo il<br />

Masi, e nel XVII secolo, il Kircher, sostennero che<br />

dovesse trattarsi <strong>di</strong> un intero orologio <strong>solare</strong> ad ore<br />

temporarie. Ad<strong>di</strong>rittura Kircher, nel suo volume<br />

Obeliscus Pamphilius, del 1650, ci regala un <strong>di</strong>segno<br />

<strong>di</strong> come doveva essere l'orologio <strong>di</strong> Augusto.<br />

Ed è assolutamente sorprendente vedere, oggi,<br />

come quel <strong>di</strong>segno combaci perfettamente con i<br />

moderni progetti dell'antico tracciato (fig. 32).<br />

Nel XVIII secolo, il noto Francisco Jaquiero, scriveva<br />

una eru<strong>di</strong>ta nota al testo <strong>di</strong> Antonio Giuseppe<br />

Comes Turre Rezzonici, "Disquisitiones Plinianae"<br />

(che riprenderemo tra breve) in cui è molto esplicito<br />

a tal riguardo :<br />

"Insignem Campi Martii Obeliscum, non unicè ad<br />

meri<strong>di</strong>anum tempus in<strong>di</strong>candum (ut Mathematicis<br />

videtur) ab Augustus positum, sed integras Sciotherici<br />

horologii vices praestisse, ostendere confido ex verbis".<br />

Inoltre, la scoperta <strong>di</strong> Buchner del tracciato originale<br />

è solo una "riscoperta", in quanto, come si<br />

vedrà meglio nelle citazioni storiche, esso fu<br />

ritrovato nel 1463.<br />

La ricostruzione dell'intero orologio <strong>solare</strong>, secondo<br />

Buchner, rispetto alla moderna topografia <strong>di</strong><br />

Roma, è visibile nella fig. 8, in cui si vede pure che<br />

non sono comprese le linee orarie 1 e 11, perché<br />

troppo <strong>di</strong>stanti dalla base <strong>dell'obelisco</strong> e perché<br />

comunque con questa soluzione si rispettava l'intera<br />

lunghezza della linea meri<strong>di</strong>ana, in accordo<br />

con le parole <strong>di</strong> Plinio "...in modo che l'ombra fosse<br />

pari alla larghezza del selciato all'ora sesta del solstizio<br />

invernale...".<br />

Nel 1979 Buchner mette mano ai picconi e comincia<br />

a scavare, insieme a Rakob, nella Via <strong>di</strong> Campo<br />

Marzio, ma senza successo. Lo scavo successivo,<br />

invece, effettuato nella cantina dell'e<strong>di</strong>ficio che<br />

porta il numero civico 48, della stessa strada, portò<br />

insperatamente alla luce un tratto del pavimento<br />

con il tracciato antico, per una lunghezza <strong>di</strong> circa<br />

20 metri quadri che comprende la linea meri<strong>di</strong>ana<br />

con i regoli <strong>di</strong>sposti in questo punto a una <strong>di</strong>stanza<br />

<strong>di</strong> circa 26 cm l'uno dall'altro, e una tratta <strong>di</strong><br />

linea <strong>di</strong>urna (la quale è <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re se sia intera o<br />

solo la parte che si vede) relativa ala fine dei segni<br />

dell'Ariete e del Leone e l'inizio della Vergine e del<br />

Toro.<br />

Pare che ci sia qualche perplessità sul fatto che<br />

l'antico selciato è stato ritrovato ad una profon<strong>di</strong>tà<br />

<strong>di</strong> scavo <strong>di</strong> circa 6,30 metri sotto il livello stradale,<br />

in quanto gli archeologi si aspettavano <strong>di</strong> trovarlo<br />

ad almeno 8 metri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà. Ciò ha fatto ipotizzare<br />

che l'originario complesso gnomonico,<br />

messo fuori "servizio" - come scrive Plinio - a causa<br />

delle inondazioni, o dei terremoti, o da un colossale<br />

incen<strong>di</strong>o, fosse stato ripristinato da qualche<br />

successore <strong>di</strong> Augusto che lo avrebbe ricostruito<br />

ad una quota più elevata. La datazione degli archeologi,<br />

per questa nuova ristrutturazione dell'impianto,<br />

è all'incirca l'epoca <strong>di</strong> Domiziano. Ma, a<br />

questo punto, ci viene da pensare se fu mai più<br />

possibile ricostruire, e con precisione, un tale<br />

gigantesco orologio <strong>solare</strong> dopo che fu quasi completamente<br />

<strong>di</strong>strutto dalle calamità naturali e perché<br />

mai, un imperatore romano come Domiziano<br />

non si sia degnato <strong>di</strong> lasciare memoria <strong>di</strong> un così<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

20


importante "restauro" come, per esempio, una<br />

semplice frase scolpita sulla base <strong>dell'obelisco</strong><br />

originario. Proprio come aveva fatto Augusto a<br />

memoria del suo mega progetto.<br />

Altri dettagli degli scavi si leggono ancora in<br />

Fantoni 24 : "Ai lati della meri<strong>di</strong>ana, con stupende lettere<br />

in bronzo <strong>di</strong> 25 cm, sono in<strong>di</strong>cati i nomi greci dei<br />

segni zo<strong>di</strong>acali...si leggono le ultime due lettere <strong>di</strong> Leon<br />

(...WN) e le prime quattro lettere <strong>di</strong> Parthenos, la<br />

Vergine (PARQ...); dall'altra parte <strong>di</strong> trovano le<br />

ultime due lettere <strong>di</strong> Krios, l'Ariete (...OS) e le prime<br />

quattro <strong>di</strong> Tauros, il Toro (TAUR...). Sulla striscia<br />

bronzea che <strong>di</strong>vide i segni zo<strong>di</strong>acali, dove finisce il Leone<br />

e comincia la Vergine, vi è un'in<strong>di</strong>cazione meteorologica<br />

stagionale: CESSANO I VENTI ETESI (ETHSI-<br />

AI PAUONTAI); si tratta <strong>di</strong> quei venti perio<strong>di</strong>ci<br />

settentrionali che soffiano in Egeo d'estate e cessano<br />

all'avvicinarsi dell'autunno...(...)...All'estremo sud<br />

24 G. Fantoni, op. cit. p. 114.<br />

dello scavo è stata messa in luce la scritta INIZIO<br />

ESTATE (QEROUS ARCH) sistemata presso i regoli<br />

dei primi giorni <strong>di</strong> maggio...".<br />

Sembra che in tempi recenti Buchner e Rakob siano<br />

riusciti a trovare il punto esatto dove era installato<br />

l'obelisco-gnomone, ma nel frattempo gli scavi e le<br />

ricerche sul solarium <strong>di</strong> Augusto sono stati congelati.<br />

Così, in attesa <strong>di</strong> buone novelle, o che in occasione<br />

del futuro Giubileo si faccia strada l'utopistica<br />

proposta <strong>di</strong> Fantoni, cioè <strong>di</strong> realizzare una galleria<br />

turistica sotterranea per poter ammirare da<br />

vicino l'antica meraviglia gnomonica, dobbiamo<br />

accontentarci <strong>di</strong> ciò che è possibile estrapolare<br />

dalle fonti storiche, ormai quasi completamente<br />

esaurite e sviscerate da quanti sono stati attratti,<br />

nel corso <strong>di</strong> secoli, da questa leggenda gnomonica.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 7 Orologio <strong>di</strong> Augusto come <strong>di</strong>segnato da G. Fantoni (da La meri<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> Augusto, in<br />

Orologi, Le misure del tempo, Technime<strong>di</strong>a, 1988)<br />

fig. 8 Orologio <strong>di</strong> Augusto come <strong>di</strong>segnato da Buchner nella topografia romana (da <strong>di</strong>e Soinnenuhr<br />

des Augustus, PhVz, Mainz, 1980)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

22


fig. 10 (sopra) Particolare della linea meri<strong>di</strong>ana con la scritta<br />

“Cessano i vento Etesi” (<strong>di</strong>segno dell’autore)<br />

fig. 9 (a destra) Schizzo della porzione <strong>di</strong> linea meri<strong>di</strong>ana<br />

trovata da Buchner (<strong>di</strong>segno Fantoni)<br />

fig. 11 (sotto) Itinerario <strong>di</strong> Einsedeln. (da Lanciani)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 12 Pianta <strong>di</strong> Roma <strong>di</strong> A. Strozzi come si vede<br />

nel Cod. Laur. Red. 77-1474 (da Lanciani)<br />

fig. 13 Disegno del Solarium <strong>di</strong> Augusto<br />

nella topografia <strong>di</strong> Roma (Lanciani)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

24


fig. 14 Particolare della fig. 13. E’ evidente l’errore effettuato nel <strong>di</strong>segnare la <strong>di</strong>sposizione dell’orologio <strong>di</strong><br />

Augusto (si confronti con la fig. 8). L’obelisco è nel posto giusto, ma l’orologio (tutto il tracciato orario)<br />

deve essere capovolto. Inoltre, si nota nel <strong>di</strong>segno approssimativo delle linee <strong>di</strong>urne, certamente non calcolate,<br />

come nel caso Buchner-Fantoni. L’errore è grave, perchè è altresì evidente che non è tipografico.<br />

Infatti, l’autore ha voluto far combaciare la fascia che chiude l’estremità destra delle linee <strong>di</strong> declinazione<br />

con la navata principale della Chiesa <strong>di</strong> S. Lorenzo in Lucina, mentre nel <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Buchner si vede tutt’altra<br />

cosa. (da Lanciani R., <strong>Storia</strong> degli scavi <strong>di</strong> Roma)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

25


IL RINASCIMENTO EGIZIO<br />

NELLA ROMA BAROCCA<br />

Possiamo solo cercare <strong>di</strong> immaginare quale fu lo<br />

stupore dei Romani quando videro arrivare nelle<br />

piazze <strong>di</strong> Roma i giganteschi monoliti trafugati in<br />

Egitto. Fu proprio Cesare Augusto che cominciò<br />

ad innalzare i primi obelischi in Roma, e ne adottò<br />

anche il simbolismo <strong>solare</strong>.Il primo, proveniente<br />

da Eliopolis (XIV-XIII secolo a.C.), si trova oggi a<br />

Piazza del Popolo. Il secondo, stessa provenienza<br />

con iscrizioni <strong>di</strong> Psammetico II (VI secolo a.C.)<br />

volle destinarlo a gigantesco gnomone <strong>di</strong> un monumentale<br />

orologio <strong>solare</strong>, ed è quello che più ci<br />

interessa. Oggi si trova in Piazza Montecitorio. Ne<br />

seguirono parecchi altri, non sappiamo quanti,<br />

forse una trentina, ma sicuramente erano molti <strong>di</strong><br />

più dei tre<strong>di</strong>ci che sono stati ritrovati fino ad oggi<br />

25 . Ma dei tanti obelischi che adornavano le piazze<br />

della Roma imperiale solo uno non fu abbattuto<br />

dalla furia pagana dell'Alto Me<strong>di</strong>oevo: quello eretto<br />

nel circo Vaticano.<br />

Non bisogna <strong>di</strong>menticare che da quando l'Egitto<br />

entrò a far parte dell'Impero romano, il culto <strong>di</strong><br />

Iside si <strong>di</strong>ffuse in tutta l'Europa. Già il De mirabilis<br />

urbis Romae, <strong>di</strong> Magistro Gregorio, sul finire del XII<br />

secolo, testimoniava che l'interesse per la cultura<br />

egizia era vivo nel me<strong>di</strong>oevo.<br />

Il "mistero del paganesimo" e i "misteri egizi",<br />

come erano definite le iscrizioni geroglifiche sulle<br />

facciate degli obelischi, furono oggetto <strong>di</strong> rinnovato<br />

interesse a cominciare dal XV secolo con il<br />

domenicano Nanni da Viterbo che pubblicava una<br />

raccolta <strong>di</strong> apocrifi con il culto <strong>di</strong> Osiride e influenzando<br />

il Papa Alessandro VI. Nacquero così gli<br />

affreschi del Pinturicchio negli appartamenti dei<br />

Borgia e il romanzo Hypnerotomachia Poliphili, <strong>di</strong><br />

Francesco Colonna, illustrato con <strong>di</strong>segni <strong>di</strong><br />

geroglifici..Ma il primo documento da cui scaturì<br />

questo clima <strong>di</strong> rinascimento egizio a Roma,<br />

provocando un vero sincretismo religioso fra<br />

paganesimo e cristianesimo, fu forse una versione<br />

greca del co<strong>di</strong>ce Hieroglyphica <strong>di</strong> Orapollo (un<br />

autore egiziano del IV secolo d.C.), acquistata nel<br />

1419 dal sacerdote fiorentino Cristoforo de'<br />

Buondelmonti 26 che arrivò a Firenze nel 1422. Così<br />

anche il Corpus Hermeticum <strong>di</strong> Ermete Trismegisto,<br />

il De Iside et Osiride <strong>di</strong> Plutarco e il De misteriis <strong>di</strong><br />

Giamblico, tradotti dal greco e <strong>di</strong>vulgati da<br />

Marsilio Ficino, ebbero molta eco fra gli eru<strong>di</strong>ti.<br />

La fame <strong>di</strong> geroglifici e <strong>di</strong> reperti egizi, dunque,<br />

muoveva gli stu<strong>di</strong>osi alla ricerca <strong>di</strong> questi antichi<br />

monumenti e, nonostante fosse nota l'ubicazione<br />

esatta <strong>di</strong> alcuni degli obelischi sparsi per le piazze<br />

<strong>di</strong> Roma, si dovette attendere l'operato <strong>di</strong> Sisto V<br />

perchè alcuni <strong>di</strong> essi venissero <strong>di</strong> nuovo innalzati<br />

al cielo e riacquistare così l'antico splendore.<br />

Ma Sisto V, nel suo pur nobile intento, non fu mai<br />

mosso da alcuna passione per gli Egizi, considerati<br />

piuttosto idolatri, dall'ambizione <strong>di</strong> elevarsi all'altezza<br />

dei faraoni e degli imperatori. A questo<br />

proposito scrive Giovanni Cipriani 27 :<br />

Sisto V, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> numerosi suoi predecessori, non<br />

amò mai in podo particolare le testimonianze del mondo<br />

antico. Deciso avversario <strong>di</strong> ogni forma <strong>di</strong> paganesimo<br />

vide nelle opere della classicità la tangibile sopravvivenza<br />

della passata idolatria e non esitò a <strong>di</strong>struggerle per<br />

far trionfare l'immagine <strong>di</strong> una nuova Roma, una Roma<br />

cristiana ancor più doviziosa e superba <strong>di</strong> quella dei<br />

Cesari. La sua instancabile attività e<strong>di</strong>lizia e <strong>di</strong> pianificazione<br />

urbana è strettamente connessa a questo ideale...destinato<br />

a trasformare in un breve volger d'anni<br />

una città pigra e sonnolenta in un vasto cantiere pul-<br />

25 Secondo Pubblio Vittore e Michele Mercati, furono trasportati a Roma 48 obelischi. C. Tempesti, <strong>Storia</strong> della vita e geste <strong>di</strong> Sisto<br />

V, Roma, 1754 tomo I, p. 22, riporta: "Quarantadue obelischi, tra gran<strong>di</strong> e piccoli, furon da' Cesari innalzati in <strong>di</strong>versi luoghi per ornamento<br />

della città, capitale <strong>di</strong> tutto il mondo". In un manoscritto <strong>di</strong> Andrea Asulano Al<strong>di</strong> del 1518 è scritto "Obelisci parvi XLII", mentre<br />

in un'altra e<strong>di</strong>zione della stessa opera: "Obelisci parvi quadraginta duo".<br />

26 A. Cattabiani, op. cit., p.54<br />

27 G. Cipriani, Gli obelischi egizi. Politica e cultura nella Roma barocca., Leo Olschki E<strong>di</strong>tore, Firenze, 1993, p. 9<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

26


sante <strong>di</strong> vita. Solo in pochi casi Sisto V non solo ebbe<br />

rispetto ma vera e propria ammirazione per il frutto del<br />

lavoro e dell'ingegno degli antichi. L'esempio degli<br />

obelischi egizi è forse il più significativo...".<br />

Durante tutto il XVI secolo, il fascino esercitato da<br />

questi "misteri egizi", conquistò l'animo dei più<br />

gran<strong>di</strong> artisti e l'ingegno delle menti più feconde.<br />

Giovanni Pierio Valeriano scriveva la sua sintesi<br />

sull'argomento, dal titolo Hieroglyphica; Vincenzo<br />

Cartari evocava gli dei egizi nel suo Imagini de i dei<br />

de gli antichi, Marsilio Ficino e Giordano Bruno<br />

pubblicavano i loro stu<strong>di</strong> sull'ermetismo, mentre il<br />

grande architetto Domenico Fontana escogitava i<br />

più incre<strong>di</strong>bili meto<strong>di</strong> per trasportare gli obelischi<br />

da una piazza ad un'altra e per innalzarli.<br />

Nacquero ad<strong>di</strong>rittura specifici trattati sul modo <strong>di</strong><br />

trasportare obelischi, come quello mitico <strong>di</strong><br />

Camillo Agrippa, Trattato <strong>di</strong> trasportar la guglia, e<br />

quelli più generici sugli obelischi <strong>di</strong> Roma (uno<br />

per tutto quello <strong>di</strong> Michele Mercati del 1589).<br />

L'unico obelisco rimasto in pie<strong>di</strong> dal me<strong>di</strong>oevo,<br />

quello Vaticano che giaceva presso l'antico Circo <strong>di</strong><br />

Nerone, fu eretto nel Vaticano, sotto Sisto V, il 27<br />

settembre 1586.<br />

Una nuova era cominciava, e due anni dopo altri<br />

obelischi furono eretti, in Piazza Santa Maria<br />

Maggiore, in Piazza del Popolo e in S. Giovanni in<br />

Laterano. E nei versi del fiammingo Filippo<br />

Poelarius "non si scorgeva alcun accento critico nei<br />

confronti del passato paganesimo, emergeva solo<br />

la sacralità del monumento (obelisco Vaticano),<br />

una sacralità che non sarebbe venuta meno con il<br />

trascorrere dei secoli e che sarebbe giunta fino a<br />

noi", scrive Cirpiani nell'opera citata.<br />

Era questa la strada che portò paradossalmente ad<br />

una interpretazione cristiana dei favolosi monumenti<br />

egizi, ulteriormente rafforzata nel secolo<br />

successivo dal gesuita Athanasius Kircher e la sua<br />

fantastica interpretazione dei geroglifici associando<br />

il simbolismo delle steli egizie con la Trinità<br />

cristiana.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

27


RACCOLTA DI CITAZIONI SULLA<br />

SCOPERTA DELL’OBELISCO<br />

DI CAMPO MARZIO<br />

La documentazione principale relativa al ritrovamento<br />

archeologico <strong>dell'obelisco</strong> "campense",<br />

come viene anche denominato l'obelisco <strong>di</strong><br />

Augusto in Campo Marzio, e la documentazione<br />

relativa ai primi tentativi <strong>di</strong> recupero, è sintetizzata<br />

nell'eccellente ed insostituibile opera <strong>di</strong> Rodolfo<br />

Lanciani, <strong>Storia</strong> degli scavi <strong>di</strong> Roma. Si tratta soprattutto<br />

<strong>di</strong> citazioni tratte da opere generiche sull'antica<br />

topografia romana, da avvisi urbani e da opere<br />

archeologiche sulle antichità <strong>di</strong> Roma. Gran parte<br />

<strong>di</strong> questa documentazione può essere qui riassunta<br />

come segue :<br />

1)<br />

"Nel 1484, poco dopo la morte <strong>di</strong> Papa Sisto IV,<br />

avvenuta il 13 agosto, furono composte da un <strong>di</strong>scepolo<br />

<strong>di</strong> Pomponio Leto (morto nel 1498), le<br />

"excerpta a Pomponio dum inter ambulandum<br />

cuidam dominio ultramontano reliquias ac ruinas<br />

urbis ostenderet". Queste note <strong>di</strong> topografia<br />

romana furono inserite nella raccolta "de Roma<br />

prisca et nova varii auctores" dell'Albertini, e<strong>di</strong>zione<br />

del Mazzocchi 1510 (poi del 1515 e 1522)<br />

sotto il titolo "Pomponius Laetus de vetustate<br />

urbis". Il De Rossi ne ha ritrovato il testo genuino<br />

nel co<strong>di</strong>ce Marciano latino X, n. 195 e l'ha <strong>di</strong>vulgato<br />

negli Stu<strong>di</strong>i e documenti <strong>di</strong> <strong>Storia</strong> e Diritto, anno<br />

III, 1882, p. 49 e sgg."<br />

Come si capisce da questo breve stralcio dell'opera<br />

del Lanciani, la notizia <strong>di</strong>vulgata su Internet, <strong>di</strong> cui<br />

abbiamo detto all'inizio, si riferisce all'e<strong>di</strong>zione del<br />

Mazzocchi del 1522 (e non 1521) da cui l'autore ne<br />

ricava che la data della scoperta <strong>dell'obelisco</strong> è il<br />

1521, senza peraltro tenere conto delle precedenti<br />

e<strong>di</strong>zioni del 1515 e la prima del 1510. E' evidente<br />

che la vera scoperta dovrebbe essere retrodatata <strong>di</strong><br />

almeno 25 anni circa, attorno al 1484 anno in cui<br />

furono redatte le "note <strong>di</strong> topografia romana"<br />

stampate poi dal Mazzocchi. Ma è ancora più<br />

probabile che i resti <strong>dell'obelisco</strong> siano stati<br />

ritrovati prima della pubblicazione delle note <strong>di</strong><br />

topografia romana, attorno al 1463 quando furono<br />

effettuati i primi scavi della cappella del Car<strong>di</strong>nal<br />

Calandrino nella chiesa <strong>di</strong> S. Lorenzo in Lucina,<br />

come <strong>di</strong>ce appunto la prossima citazione.<br />

2)<br />

Il co<strong>di</strong>ce originale, rintracciato dal De Rossi, riporta<br />

al foglio 27 "Ubi est domus nova facta, quae est<br />

cappellanorum cuiusdam cappellae s. Laurentii<br />

(e<strong>di</strong>ficata dal card. Calandrino circa il 1463), fuit<br />

basis orologii nominatissimi" - cioè il pie<strong>di</strong>stallo<br />

<strong>dell'obelisco</strong> <strong>di</strong> Augusto - "ubi est ephm<br />

(ephebeum?) capellanorum, ibi fuit efossum<br />

horologium: quod habebat VII gradus circum, et<br />

lineas <strong>di</strong>stinctas metallo inaurato. Et solum campi<br />

erat ex lapide amplo quadrato, et habebat lineas<br />

easdem: et in angulis quatuor venti ex opere musivo<br />

cum inscriptione ut BOREAS SPIRAT etc".<br />

Quin<strong>di</strong>, insieme al ritrovamento del pie<strong>di</strong>stallo<br />

28 E' parere dell'autore che gli orologi orizzontali del tipo rinvenuto ad Aquileia e a Pompei, nonchè il famoso orizzontale trovato<br />

negli scavi <strong>di</strong> Sante Amendola nel 1814 presso la Vigna Cassini, a destra dell'Appia Antica, a Roma, ed illustrato da Francesco<br />

Peter negli Atti dell'Accademia Romana <strong>di</strong> Archeologia del 1823, siano da identificare con il "Discum un planitia" <strong>di</strong> Vitruvio e<br />

non con il "Pelecinum", come in voga attualmente, perchè quest'ultimo è stato finalmente identificato dal vostro autore con il<br />

"Pelignum" descritto da Cezio Faventino nel XXXVII libro della sua opera De <strong>di</strong>versis Fabricis Architectonicae, del IV secolo d.C.,<br />

<strong>di</strong> cui un esemplare è visibile nel Calendario <strong>di</strong> Lambecio, sempre del IV secolo d.C., su un sarcofaco cristiano a vasca del III<br />

secolo e soprattutto nel noto mosaico romano (I-II secolo) <strong>di</strong> Treviri, ora conservato nel Landesmuseum <strong>di</strong> Trier. A tale proposito<br />

si veda N. <strong>Severino</strong>, "<strong>Storia</strong> della Gnomonica" e "Pelecinum, o Pelignum?" in Bulletin n° 97.2, 1997, della British Sun<strong>di</strong>al Society.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

28


<strong>dell'obelisco</strong>, fu rinvenuto anche un orologio<br />

<strong>solare</strong> <strong>di</strong> marmo, sicuramente del tipo "<strong>di</strong>scum in<br />

planitia", cioè un orologio orizzontale ad ore temporarie<br />

con le curve dei solstizi e la linea<br />

equinoziale del tutto simile all'orologio impropriamente<br />

denominato "pelecinum" <strong>di</strong> Aquileia 28 .<br />

3)<br />

Il testo del Lanciani offre anche una nota molto<br />

interessante in cui <strong>di</strong>ce che il de Rossi ha fatto<br />

notare come tutti gli scrittori che pendono dal testo<br />

pomponiano ripetano in coro l'errore dell'ut<br />

facente parte della iscrizione VT BOREAS SPIRAT.<br />

Solo Iacopo Lauro nella sua "Origin. Urb. Rom.",<br />

e<strong>di</strong>zione del 1612, scrive correttamente "ad<strong>di</strong>tis his<br />

verbis BOREAS SPIRAT".<br />

Nel 1512, Antonio Lelio, ovvero il Lilius Podager<br />

della notizia comparsa su Internet, scrive una postilla<br />

al foglio n.12 del co<strong>di</strong>ce vaticano 1108, contenente<br />

la silloge epigrafica stampata in Roma da<br />

Jacopo Mazzocchi nel 1521 29 :<br />

4)<br />

"Sub Julio II pont. max. in regione Campi Martii<br />

post aedem D. Laurentii in Lucina, et prope<br />

domum car<strong>di</strong>nalis Crassi, in domunculae cujusdam<br />

tonsoris horticulo, dum in eo pro conficienda<br />

latrina foderetur, detecta est basis obelisci omnium,<br />

qui in urbe extent, ut conspicari erat maximi.<br />

Obeliscus jacebat, nec videri poterat an totus integer<br />

esset, quippe cuius ima tantum pars videbatur.<br />

In basi erat inscriptio, quam ego legi, sed non recte<br />

de ea memini (CIL, VI, 702)... In hoc obelisco gnomon<br />

olim ille erat percelebris de quo Plinius meminit.<br />

Quin vicini, qui circa illum insulas habent,<br />

asseverabant omnes pene se ipsos, dum pro conficien<strong>di</strong>s<br />

cellis vinariis alias fo<strong>di</strong>ssent, invenisse<br />

varia signa caelestia ex aere, artificio mirabili, quae<br />

in pavimento circa gnomonem hunc erant. Iulio<br />

principi in bellis tunc, ut semper, implicitissimo, ut<br />

obeliscum hunc iterum erigi...facere, suasere quidem<br />

permulti, persuasit autem nemo. Ideo tantum<br />

antiquitatis miraculum a tonsore illo iterum sepultum<br />

est".<br />

Sono le stesse cose descritte nel co<strong>di</strong>ce 11400, già <strong>di</strong><br />

Gio. Battista Ban<strong>di</strong>ni, postillato da Antonio<br />

Agostini, e da quest'ultimo offerto in dono a<br />

Giovanni Metello.<br />

L'iscrizione del pie<strong>di</strong>stallo fu copiata anche da<br />

Giuliano Sangallo nei pugillari Sanesi 8. VI. 5<br />

(obelisco <strong>di</strong> champo marzio).<br />

5)<br />

Ligorio (Bodl. 76) descrive l'obelisco "in casa <strong>di</strong><br />

Spandocchi"; forse si tratta <strong>di</strong> un nuovo ritrovamento,<br />

al quale sembra anche accennare Panvinio<br />

in "Descr. Urbe Romae", Libro I, c. XX de lu<strong>di</strong>s<br />

Circensibus. Nel co<strong>di</strong>ce vaticano 3439 f. 2', sono<br />

segnati geroglifici "in obelisci sub ae<strong>di</strong>bus Campi<br />

Martij jacentis parte".<br />

6)<br />

Dall'Opusculum de mirabilibus novae et veteris<br />

Urbis Romae..." <strong>di</strong> Andrea Fulvio, con le stampe<br />

del Mazochio del 1510, si ricava:<br />

"in loco ubi nunc est domus nova Capellae apostolorum<br />

Philippi et Jacobi in ecclesia S. Laur. in<br />

Lucina fuit Basis nominatissima Urbis: non longe a<br />

qua est obeliscus semisepultus: ubi effossum fuit<br />

Horologium cum lineis et gra<strong>di</strong>bus deauratis: in<br />

angulis vero. iiii. venti ex opere musivo" f. 29', 30.<br />

7)<br />

Da un'altra fonte, questa volta più tarda, del 1526,<br />

si ha:<br />

"l'obelisco <strong>solare</strong> si vede oggi spezzato in molte<br />

parti et ricoperto <strong>di</strong> terra à pie del monte<br />

Accettorio che da noi poco fa è stato veduto scoperto<br />

con la sua base, ove sono intagliate le infrascritte<br />

lettere".<br />

8)<br />

"Superioribus <strong>di</strong>ebus 1587 detectus fuit celebris<br />

obeliscus qui pro gnomone steterat in campo martio,<br />

igne ferroque excisus". Da Bargaei, Epist. De<br />

Urbis eversoribus, apud Ban<strong>di</strong>ni, p. 102.<br />

29 Il Lanciani inserisce ancora una nota importante per le ricerche bibliografiche. Pare che Antonio Lelio mandò a regalare questo<br />

libro con le sue note "marginalia" manoscritte a Felice Trofimo, vescovo <strong>di</strong> Chieti. Dopo <strong>di</strong> lui, sembra sia venuto in possesso <strong>di</strong><br />

Antonio Colozio.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

29


9)<br />

Al tempo parimente <strong>di</strong> Sisto V, presso s. Lorenzo in<br />

Lucina, dalla parte verso Campo Marzo il cavaliere<br />

Fontana vi trovò una gran guglia <strong>di</strong> granito<br />

Egiziano... maltrattata dal fuoco... Fu risoluto <strong>di</strong><br />

lasciarla stare". Da Vacca, mem. 45.<br />

10)<br />

Nel Campo Martio ancora hoggi<strong>di</strong> si passa sopra<br />

l'obelisco <strong>di</strong>etro la chiesa <strong>di</strong> San Lorenzo in Lucina<br />

per quella strada che và all'arco <strong>di</strong> Domitiano...<br />

Questo obelisco si vede oggi spezzato in molte<br />

parti et ricoperto <strong>di</strong> terra a piè del monte Acetorio<br />

verso il Tevere, che da noi poco fa è stato veduto<br />

scoperto, con la sua base, ove sono intagliate<br />

le...lettere". Da Fulvio-Ferrucci, p. 138<br />

11)<br />

1587, 14 marzo "s'è cominciato a dare un taglio in<br />

Campo Martio per <strong>di</strong>ssotterrare un'altro obelisco,<br />

et forza sarà <strong>di</strong> mandare a terra alcune case in quei<br />

contorni per questo... (21 marzo). I manuali rendono<br />

in Campo Marzo il terreno alla fossa fatta da<br />

loro per <strong>di</strong>sotterrare l'obelisco... tutto in pezzi et<br />

cotto dal fuoco". Da Avvisi Urb. 1055, c. 101 e 113.<br />

12)<br />

"... l'Obelisco del Sole, il quale collocato da<br />

Augusto nel Campo Marzo, e <strong>di</strong>ssotterrato dal<br />

Regnante Sommo Pontefice Benedetto XIV amatissimo<br />

delle Antichità, giace al presente nel sito<br />

detto la Vignaccia, non lungi dal luogo, da cui fu<br />

cavato. Si legge in esso:<br />

....ESAR. I..IVI.<br />

..VGVSTVS.<br />

.....NTIFEX.M......MVS<br />

PXII. COS. XI TRIB. POT. XIV<br />

..EGVPTO. IN POTESTATEM<br />

...OPVLI. ROMANI. REDACTA<br />

SOLI. DONUM. DEDIT<br />

(da <strong>Storia</strong> Romana,<br />

del padre G. Granara, Roma, 1744).<br />

Una prima osservazione da fare riguarda la data<br />

della scoperta archeologica <strong>dell'obelisco</strong>. Alcuni<br />

autori riportano il 1463 che è l'anno in cui il card.<br />

30 P. Romano, Orologi <strong>di</strong> Roma, ed. Anonima Romana Stampa, 1944.<br />

Calandrino e<strong>di</strong>ficò la cappella <strong>di</strong> S. Lorenzo in<br />

Lucina. Ma non sappiamo se l'obelisco fu ritrovato<br />

durante o dopo la costruzione della chiesa. Le note<br />

<strong>di</strong> topografia romana dell'allievo <strong>di</strong> Pomponio<br />

Leto furono composte ventun anni dopo, sicchè<br />

non è dato sapere se per tutto questo tempo fu taciuta<br />

la scoperta <strong>dell'obelisco</strong> o se questo fu trovato<br />

appunto verso il 1484.<br />

Una seconda osservazione ci permette <strong>di</strong> abolire<br />

un luogo comune : quello della seconda scoperta<br />

archeologica <strong>dell'obelisco</strong> che si fa risalire al 1502.<br />

Come è evidente, invece, il Lanciani stesso ritiene<br />

opportuno precisare che "la notizia relativa al<br />

Solarium <strong>di</strong> Augusto - riportata al n° 4 - ed al pontificato<br />

<strong>di</strong> Giulio II deve riferirsi all'anno 1512 e non al<br />

1502".<br />

Mentre l'opera del Granara ci conferma che l'obelisco<br />

era ancora sotto terra nel 1744, cioè appena<br />

quattro anni prima degli scavi <strong>di</strong> Pio VI Braschi.<br />

I fatti relativi alle scoperte e agli eventi successivi<br />

<strong>di</strong> riparazione ed innalzamento <strong>dell'obelisco</strong> sono<br />

ben rievocati e narrati con dovizia <strong>di</strong> particolari da<br />

Pietro Romano in un libro ormai introvabile, dal<br />

titolo "Orologi <strong>di</strong> Roma" 30 .<br />

dall'opera <strong>di</strong> P. Romano:<br />

Risulta che l'obelisco nel terzo secolo era racchiuso<br />

fra le sontuose fabbriche che in quel tempo decoravano<br />

il Campo Marzio, dopo cioè che Aureliano<br />

tirò le mura dalla porta Collina sino al sottoposto<br />

piano. Sembra però che venisse trascurato, perchè<br />

<strong>di</strong> esso nè Publio Vittore, nè Ammiano Marcellino<br />

fanno menzione. Dall'"Anonimo" dell'artista<br />

Einsiedeln (fig.11), sappiamo che era ancora in<br />

pie<strong>di</strong> nell'ottavo secolo e si ritiene che sia caduto<br />

allorchè nel 1084 ( sotto Gregorio VII) le truppe <strong>di</strong><br />

Roberto il Guiscardo appiccarono il fuoco nella<br />

zona del Campo Marzio.<br />

In una iscrizione si leggeva che avendo Augusto,<br />

pontefice massimo, imperatore, ridotto l'Egitto in<br />

signoria del Popolo Romano, de<strong>di</strong>cò tale obelisco<br />

al <strong>di</strong>o Sole (Soli donum de<strong>di</strong>t). Quanto alle epigrafi<br />

ritrovate nelle vestigia <strong>dell'obelisco</strong>, il De Rossi<br />

giustamente osserva: "Se quattro soli venti erano<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

30


effigiati ed in<strong>di</strong>cati con lettere ai quattro angoli, è<br />

<strong>di</strong>fficile intendere come nella escavazione che mise<br />

in luce uno solo dei quattro punti car<strong>di</strong>nali e precisamente<br />

il lato boreale, poterono essere vedute le<br />

vestigia delle simili epigrafi <strong>di</strong> lati rimanenti. Il<br />

bellissimo orologio <strong>solare</strong> scoperto nel 1879 in<br />

Aquileia ci mostra otto venti segnati in cerchi. In<br />

altri orologi solari ed anemoscopi con epigrafi<br />

greche-latine i venti sono do<strong>di</strong>ci. Cosiffatto probabilmente<br />

fu quello <strong>di</strong> Augusto nel Campo Marzio,<br />

cioè non quattro soli, ma otto o do<strong>di</strong>ci quivi furono<br />

i venti designati da epigrafi latine".<br />

Caduto l'obelisco, questo rimase a poco a poco<br />

sepolto sotto le rovine delle fabbriche del Campo<br />

Marzio. Tuttavia, Pomponio Leto ne potè vedere<br />

qualche resto, perchè così l'in<strong>di</strong>cò "dove è la chiesa<br />

<strong>di</strong> S. Lorenzo in Lucina con gli orti, ivi fu il Campo<br />

Marzio nel quale si tenevano i comizi, e dove è<br />

stata fabbricata la nuova casa che è dei Cappellani<br />

<strong>di</strong> S. Lorenzo, ivi fu la base <strong>dell'orologio</strong>...(..)..Nel<br />

Campo Marzio, dove è l'Epitaffio de' Cappellani,<br />

ivi fu scavato un orologio che aveva sette gra<strong>di</strong><br />

nell'intorno e le linee listate <strong>di</strong> metallo indorato; il<br />

suolo del terreno era <strong>di</strong> grosse pietre quadre e<br />

aveva le medesime linee e negli angoli i quattro<br />

venti colla iscrizione: Ut boreas spirat.<br />

Nel Cinquecento si occuparono <strong>dell'orologio</strong><br />

anche il Volterrano, il Fulvio (che però fece molta<br />

confusione), il Marliano e il Gamucci, non dando<br />

però maggiori particolari. Solo Lucio Fauno rileva:<br />

"Un trar <strong>di</strong> mano da questo tempio (<strong>di</strong> S. Lorenzo<br />

in Lucina), si vede oggi rotto in molti pezzi quel<br />

obelisco <strong>di</strong> CX pie<strong>di</strong> che Augusto collocò nel<br />

Campo Marzio, nel quale <strong>di</strong>ce Plinio che era scritta<br />

l'interpretazione della Filosofia degli Egizi... In<br />

uno dei lati <strong>di</strong> quest'obelisco era questo titolo che<br />

anco si legge: Caesar etc. Qui presso è stato in<br />

questa età, cavandosi, trovato un orologio da sole,<br />

antico, colle sue linee e gra<strong>di</strong> <strong>di</strong>stinti, <strong>di</strong> metallo<br />

indorato, e negli angoli erano quattro immagini <strong>di</strong><br />

venti, lavorati <strong>di</strong> mosaico, con queste parole: Ut<br />

Boreas spirat" 31 .<br />

Antonio Lelio, quasi dello stesso tempo, in una sua<br />

nota, riferisce che "Imperando Giulio II P.M. nelle<br />

vicinanze della chiesa <strong>di</strong> S. Lorenzo in Lucina,<br />

presso la casa del Card. Grassi, nell'orto <strong>di</strong> una<br />

casuccia <strong>di</strong> un certo barbiere, mentre si scavava<br />

per fare una fogna, si scoperse la base del più<br />

31 ibid. pag. 10 e segg.<br />

grande obelisco...Era in questo obelisco quel celebre<br />

gnomone insigne per l'autorità <strong>di</strong> Plinio. Che<br />

anzi i vicini che avevano delle corti all'intorno,<br />

affermavano che nello scavar le cantine avevano<br />

trovato vari segni celesti <strong>di</strong> bronzo <strong>di</strong> un artificio<br />

mirabile, <strong>di</strong>sposti nel pavimento all'intorno dello<br />

gnomone. Giulio, benchè ne fosse avvertito,<br />

impe<strong>di</strong>to dalla guerra, nè eresse, nè accordò<br />

quest'obelisco, laonde quel barbiere lo ricoprì <strong>di</strong><br />

terra sì come stava poco avanti".<br />

L'obelisco fu scoperto la seconda volta al tempo <strong>di</strong><br />

Sisto V e precisamente nel 1587, come riferisce<br />

pure Pietro Angelico da Barga, nell'Epistola de privatorum<br />

Urbis eversoribus. Conferma il Vacca nelle<br />

sue Memorie (si veda Fea, in Miscellanee): "Al<br />

tempo <strong>di</strong> Sisto V, presso S. Lorenzo in Lucina, dalla<br />

parte verso Campo Marzio, il cav. Fontana vi trovò<br />

una gran guglia <strong>di</strong> granito egiziaco e pervenuto<br />

alle orecchie <strong>di</strong> S.S. commise che si scoprisse, con<br />

intenzione <strong>di</strong> drizzarla in qualche luogo, ma il suddetto<br />

cavaliere, trovandola maltrattata dal fuoco e<br />

datane ragguaglio a S.S. fu risoluto <strong>di</strong> lasciarla<br />

stare".<br />

Il Mercati, dal canto suo, assicura che "fu ritrovata<br />

alquanto scantonata e qualche poco corrosa dal<br />

fuoco", e Jacopo Lauro aggiunge "che non si potè<br />

scavare per certi impe<strong>di</strong>menti, come fu fatto negli<br />

altri, dei quali il Pontefice aveva comandato che se<br />

ne facesse ricerca".<br />

Sembra che anche Alessandro VII avesse in animo<br />

<strong>di</strong> far <strong>di</strong>ssotterrare l'obelisco, incaricando dei relativi<br />

stu<strong>di</strong> il Gesuita Athanasius Kircher, il quale<br />

risulta aver fatto degli scandagli, e sconsigliata<br />

l'opera. Risulta, però, da una lettera <strong>di</strong> Kircher ad<br />

Alessandro VII, pubblicata nel Tomo I della<br />

Miscellanea Filologico-critica antiquaria del Fea (sec.<br />

XVIII), che consigliò <strong>di</strong> innalzare l'obelisco nelle<br />

Terme Diocleziane, davanti alla basilica <strong>di</strong> S. Maria<br />

degli Angeli.<br />

Nel 1744 vide la luce il libro "Le vestigia e rarità <strong>di</strong><br />

Roma Antica ricercate e spiegate da Francesco <strong>di</strong><br />

Ficoroni", aggregato alla Reale Accademia <strong>di</strong> Francia.<br />

Libro Primo de<strong>di</strong>cato alla santità <strong>di</strong> nostro signore<br />

Benedetto XIV, Nella stamperia <strong>di</strong> Girolamo Mainar<strong>di</strong>,<br />

in Roma MDCCXLIV, dove in un breve passo si<br />

legge: "Il grande obelisco <strong>solare</strong> ripieno <strong>di</strong> Geroglifici<br />

Egizi riman sepolto, e serve per materiale <strong>di</strong> fabbrica in<br />

una piazzetta <strong>di</strong>etro il convento <strong>di</strong> S. Lorenzo in Lucina,<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

31


vedendosene una porzione della maggior grossezza sotto<br />

d'una bottega; e questo è il più vasto obelisco <strong>di</strong> granito<br />

Tebaide de i portati in Roma da Augusto".<br />

Il merito <strong>di</strong> aver fatto tornare alla luce gli avanzi<br />

<strong>dell'obelisco</strong> spetta a Benedetto XIV, che nel 1748,<br />

quin<strong>di</strong> solo quattro anni dopo, incaricò della<br />

bisogna il romano <strong>Nicola</strong> Zabaglia, capo dei<br />

Sampietrini. La felice operazione compiuta dallo<br />

Zabaglia gli aumentò la popolarità al punto che si<br />

cantò per le strade <strong>di</strong> Roma, in quella circostanza:<br />

"Passai per Campo Marzio e vid<strong>di</strong> buglia.<br />

E <strong>di</strong>ssi che robb'è tanta canaglia?<br />

Me fu risposto ch'era per la guglia<br />

Che facea mette su mastro Zabaglia" 32<br />

Dalle relazioni del tempo si legge:<br />

"Principiato lo scavo del terreno nel cortile della<br />

casa, si scoperse la cima del pie<strong>di</strong>stallo che esisteva<br />

in pie<strong>di</strong> senza esser niente mosso dalla sua<br />

prima fissazione, sopra la <strong>di</strong> cui estremità restava<br />

ancora appoggiata la parte inferiore della guglia,<br />

caduta verso l'aspetto <strong>di</strong> mezzogiorno. Questa<br />

giaceva infranta in cinque pezzi, colla parte inferiore<br />

più elevata e posava al principio sopra del<br />

pie<strong>di</strong>stallo; il rimanente poi declinava, ma più<br />

immerso nel suolo, essendo la cuspide più sprofondata<br />

del rimanente <strong>di</strong> esso. La superficie <strong>di</strong><br />

questo obelisco, che in parte restava occupata nel<br />

muro <strong>di</strong>visorio delle cantine dello stabile e in parte<br />

restava sotto la strada pubblica, scoperta che fu, si<br />

trovò tutta scortecciata e spogliata <strong>di</strong> geroglifici, la<br />

quale scortecciatura si estendeva anche dai due<br />

lati, per la metà incirca della loro lunghezza, e il<br />

lato che riposava sopra il terreno con la metà incirca<br />

degli altri due lati, poco o niente era danneggiato<br />

nella superficie, conservando impressi i geroglifici.<br />

Continuatosi a sprofondare lo scavo nel luogo<br />

del pie<strong>di</strong>stallo, cominciò a scoprirsi in quella parte<br />

che riguardava ponente, l'iscrizione scolpita in bellissimi<br />

caratteri e consecutivamente l'altra in caratteri<br />

egualmente gran<strong>di</strong> nel lato opposto e rispettivamente<br />

all'aspetto <strong>di</strong> levante, le quali iscrizioni<br />

sono del tutto uniformi. Gli altri due lati, poi non<br />

avevano iscrizioni.<br />

Trovato lo zoccolo in travertino <strong>dell'obelisco</strong>, si<br />

rinvenne il pavimento della stessa pietra, il quale<br />

restava sott'acqua talmente, che per poter estrarre<br />

i suddetti marmi e il suo pie<strong>di</strong>stallo, si abbisognò<br />

giorno e notte l'opera <strong>di</strong> molti uomini ad asciuttare<br />

l'acqua per mezzo delle trombe. Sotto il pavimento<br />

fu ritrovata altra platea <strong>di</strong> sassi <strong>di</strong> peperino <strong>di</strong><br />

più pezzi, che nella superficie mostravano la stessa<br />

grandezza <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> travertino. Questi poi<br />

erano ben connessi tra <strong>di</strong> loro e murati sopra il<br />

masso del fondamento, quali vi sono rimasti, non<br />

mettendo conto scavarli" 33 .<br />

Perchè non si perdesse la memoria del sito presso<br />

cui giaceva l'obelisco, fu murata una lapide sulla<br />

casa segnata con il numero civico 3 al Largo<br />

dell'Impresa (oggi Piazza Gabriele D'Annunzio 34 ).<br />

La lapide, <strong>di</strong>ce: "Bene<strong>di</strong>ctus XIV Pont. Max -<br />

Obeliscum hieroglyphicis notis eleganter insculptum<br />

Aegypto in potestatem Populi Romani redacta<br />

- Ab imp. Caesare Augusto Roman advectum -<br />

Et strato lapide regulisque ex aere inclusis - Ad<br />

deprehendendos solis umbras - Dierumque ac noctium<br />

magnitu<strong>di</strong>nem - In Campo Martio erectum et<br />

soli <strong>di</strong>catum - Temporis et barb. injuria confractum<br />

jacentemque - Terra ac ae<strong>di</strong>ficiis obrutum - Magna<br />

impensa ac artificio eruit - Publicoq. rei literariae<br />

bono propinquu. in locu transtulit - Et ne antiquae<br />

se<strong>di</strong>s obelisci memoria - Vetustate exolesceret -<br />

Monumentum poni iussit - Anno rep. sal. MDC-<br />

CXLVIII pont. IX" 35 .<br />

Tuttavia, soltanto quarantasei anni dopo che era<br />

stato rimesso alla luce, l'obelisco <strong>solare</strong> veniva<br />

32 Il Cancellieri, nella "Lettera sopra lo scoprimento e la traslazione della colonna <strong>di</strong> Antonino Pio e con varie notizie intorno all'obelisco<br />

<strong>solare</strong>...", in Roma, 1821, riporta un'altra frase che era stata trovata scritta su un cartello presso la colonna Antonina che<br />

doveva esser trasportata: "Levatemi dal cul tanta canaglia; Chi vuol, ch'io vada al destinato luogo, Faccia venir da me Mastro Zabaglia".<br />

33 Idem, pag. 16, 17<br />

34 Ai tempi <strong>di</strong> P. Romano, cioè al 1946.<br />

35 L'obelisco elegantemente inciso con geroglifici, portato dall'Imperatore Cesare Augusto in Roma, dopo che l'Egitto era stato<br />

ridotto in potestà del Popolo Romano, eretto nel Campo Marzio e de<strong>di</strong>cato al sole su un pavimento marmoreo con in<strong>di</strong>cazioni<br />

in bronzo per segnare le ombre che fa il sole e la durata dei giorni e delle notti, spezzato e giacente per le ingiurie de tempo e de'<br />

barbari, ricoperto <strong>di</strong> terra e da e<strong>di</strong>fici, Benedetto XIV, Pont. Mass., con grave spesa e maestria lo <strong>di</strong>sseppellì e a pubblico vantaggio<br />

della cultura, lo trasportò in un luogo vicino e or<strong>di</strong>nò che venisse posta questa lapide, affinchè la memoria dell'antica sede<br />

<strong>dell'obelisco</strong> non venisse a cadere per il trascorrere del tempo.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

32


estaurato dall'Architetto Antinori (per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

Pio VI), me<strong>di</strong>ante alcune lastre ricavate dai blocchi<br />

del fusto della colonna Antonina, e collocato sulla<br />

piazza <strong>di</strong> Montecitorio".<br />

Verso la metà del XVIII secolo, molti tra i più eru<strong>di</strong>ti<br />

letterati si pronunciarono sulla questione se<br />

l'obelisco fosse lo gnomone della sola linea meri<strong>di</strong>ana<br />

o <strong>di</strong> un intero orologio <strong>solare</strong>. Innanzitutto è<br />

necessario premettere che non abbiamo oggi nessuna<br />

testimonianza dell'uso nell'antichità <strong>di</strong> strumenti<br />

solari che utilizzavano solo la linea meri<strong>di</strong>ana<br />

quale unica in<strong>di</strong>cazione del mezzogiorno. E',<br />

anzi, <strong>di</strong>fficile convincersi che in quell'epoca fossero<br />

costruiti orologi solari a tale scopo, perché non se<br />

ne conosce un motivo preciso. Contrariamente a<br />

quanto, invece, accadeva dal Rinascimento in poi,<br />

quando si comincio a sentire la necessità, sia dal<br />

punto <strong>di</strong> vista astronomico che gnomonico, <strong>di</strong><br />

costruire le gran<strong>di</strong> linee meri<strong>di</strong>ane con gnomoni<br />

altissimi il cui scopo, però, era sostanzialmente<br />

quello <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are e migliorare il calendario e le<br />

osservazioni astronomiche relative al calcolo dell'obliquità<br />

dell'eclittica e varie altre cose.<br />

Ma senza tener conto <strong>di</strong> queste semplici osservazioni,<br />

Scipione Maffei scriveva: "Il fine <strong>dell'obelisco</strong><br />

adunque era per conoscere e per contrassegnare<br />

ogni giorno le ombre del sole, e con ciò la lunghezza dei<br />

giorni e delle notti. Di ad<strong>di</strong>tar le ore (nel testo <strong>di</strong><br />

Plinio) non si parla. Una meri<strong>di</strong>ana con segni che si<br />

facciano a luogo nel campo, può servire facilmente<br />

anche <strong>di</strong> orologio <strong>solare</strong> in parte : ma che a ciò servisse<br />

quella <strong>di</strong> cui parliamo, Plinio non in<strong>di</strong>ca".<br />

L'enciclope<strong>di</strong>co Ludovico Antonio Muratori, al<br />

contrario, sosteneva che: "era destinato <strong>dell'obelisco</strong><br />

ad insegnare quant'ore in ciaschedun giorno lucesse il<br />

sole sopra terra, e le righe <strong>di</strong> bronzo ad<strong>di</strong>tavano, non<br />

solo queste, ma o chiaramente o per illazione quelle<br />

ancora della notte".<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

33


fig. 15 Orologio <strong>di</strong> Augusto con linee orarie astronomiche in una topografia romana del ‘700.<br />

fig. 16 Orologio <strong>di</strong> Augusto ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>segnato con linee orarie italiche (!) da<br />

F. Nar<strong>di</strong>ni, Roma Antica 1666. L’immagine <strong>di</strong>mostra come nel XVII secolo il<br />

sistema orario detto “all’italiana” <strong>di</strong>lagava in tutte le città<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

34


fig. 17 Straor<strong>di</strong>naria immagine dell’obelisco <strong>di</strong><br />

Campo Marzio (sulla destra) come <strong>di</strong>segnato nel<br />

Co<strong>di</strong>ce Coner del Soane Museum <strong>di</strong> Londra. Si<br />

vede l’iscrizione de<strong>di</strong>catoria sulla base. Nel<br />

co<strong>di</strong>ce è scritto: “reperto fuit anno 1512”<br />

fig. 18 un’altra rara immagine <strong>di</strong> un frammento<br />

dell’obelisco <strong>di</strong> Campo marzio in un <strong>di</strong>segno del<br />

Codeice Vaticano Latino 3439 del XVI secolo.<br />

Entrambe queste immagini sono tratte dalla<br />

insostituibile opera <strong>di</strong> Rodolfo Lanciani “<strong>Storia</strong><br />

degli Scavi <strong>di</strong> Roma”.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

35


RICOSTRUZIONE DELLA STORIA<br />

DEGLI SCAVI DELL’OBELISCO<br />

Avvertenza: la ricostruzione qui proposta della<br />

storia degli scavi relativi all'obelisco <strong>di</strong> Augusto in<br />

Campo Marzio, prende in considerazione la raccolta<br />

precedente <strong>di</strong> citazioni, derivanti dalle opere<br />

<strong>di</strong> Rodolfo Lanciani, alcuni spunti del libro <strong>di</strong> P.<br />

Romano, <strong>di</strong> cui si è comunque riportato tutto<br />

l'essenziale sull'argomento. I paragrafi che<br />

seguono, invece, sono riassunti, o trascritti per<br />

intero dall'opera <strong>di</strong> Cesare D'Onofrio, "Obelischi <strong>di</strong><br />

Roma", libro ormai consultabile solo in qualche<br />

grande biblioteca.<br />

Dall'opera <strong>di</strong> D'Onofrio<br />

Seguendo le citazioni che abbiamo tratto dalle<br />

fonti originali, dopo l'unica informazione relativa<br />

all'Alto Me<strong>di</strong>oevo, e cioè che l'obelisco era ancora<br />

in pie<strong>di</strong> nell'VIII secolo come testimonia l'Itinerario<br />

<strong>di</strong> Einsiedeln, troviamo le note <strong>di</strong> topografia<br />

romana <strong>di</strong> Pomponio Leto che scrisse forse attorno<br />

al 1475. Ma è bene specificare che le note <strong>di</strong> Leto,<br />

furono riprese da un suo <strong>di</strong>scepolo, come ci<br />

avverte Lanciani, e come è stato detto prima.<br />

Pomponio Leto era un colto umanista che vestiva<br />

ancora da vero romano antico ed abitava in una<br />

casa sul Quirinale.<br />

Il passo che ci interessa è il seguente:<br />

"Dove è la chiesa <strong>di</strong> S. Lorenzo in Lucina con gli horti,<br />

ivi fu il Campo Marzo... E dove è stata fabbricata la<br />

nuova casa che è dei Cappellani <strong>di</strong> S. Lorenzo, ivi fu la<br />

base <strong>dell'orologio</strong> rinomatissimo...(...)...Nel Campo<br />

Marzo, dove è l'epitaffio dei Cappellani, ivi fu scavato<br />

un orologio...". Questa notizia riguarda il ritrovamento<br />

<strong>di</strong> un normale orologio <strong>solare</strong> orizzontale<br />

con la scritta Borea Spirat, <strong>di</strong> cui abbiamo già detto<br />

prima.<br />

L'altra interessante notizia, è tratta da Antonio<br />

Lelio Podager (a cui si riferisce la notizia in<br />

Internet). Proponiamo ora la versione tradotta in<br />

italiana del testo originale presentato prima nella<br />

raccolta <strong>di</strong> citazioni al n° 4):<br />

Al tempo <strong>di</strong> Giulio II (1503-1513) nella regione del<br />

Campo Marzo, poco lontano dalla chiesa <strong>di</strong> S. Lorenzo<br />

in Lucina, e vicino alla casa del car<strong>di</strong>nal Grassi, in un<br />

orticello <strong>di</strong> una casetta <strong>di</strong> un certo barbiere, mentre vi si<br />

scavava per fare una fogna, è stata scoperta la base d'un<br />

obelisco, il più grande <strong>di</strong> tutti quelli che si ritrovano a<br />

Roma come possiamo capire. L'obelisco stava giacente,<br />

né si poteva conoscere se era tutto intero, perché <strong>di</strong> esso<br />

<strong>di</strong> vedeva solo la parte inferiore. Nella base era una<br />

iscrizione, che io lessi, ma non me ne ricordo bene,<br />

benchè benissimo mi sovviene il nome <strong>di</strong> D. Augusto, e<br />

le parole "Aegypto in potestatem populi romani redacta<br />

Soli donum de<strong>di</strong>t". In questo obelisco era una volta quel<br />

celebre gnomone, <strong>di</strong> cui fa menzione Plinio. Perché anzi<br />

i vicini che posseggono del terreno all'intorno <strong>di</strong> esso,<br />

quasi tutti asseveravano che nello scavare altrove per<br />

farvi delle cantine avevano trovato varj segni celesti <strong>di</strong><br />

bronzo <strong>di</strong> un artifizio mirabile, che erano nel pavimento<br />

all'intorno <strong>di</strong> questo gnomone. Molti persuasero il<br />

Principe Giulio, allora intrigatissimo, come lo fu sempre,<br />

nelle guerre, <strong>di</strong> alzare nuovamente questo obelisco,<br />

e <strong>di</strong> ridurlo all'antica sua forma, insieme con lo gnomone<br />

; ma nissuno lo poté <strong>di</strong> ciò persuadere. Per la qual<br />

cosa un si gran miracolo dell'antichità fu <strong>di</strong> nuovo da<br />

quel barbiere sepolto" 36 .<br />

Per quanto riguarda la citazione al n° 11), "si trattava<br />

degli operai <strong>di</strong> Sisto V che, Domenico Fontana alla<br />

testa, erano andati con picconi e ba<strong>di</strong>li in Campomarzio<br />

nell'abitazione <strong>di</strong> quell'antico barbiere (ora passata a un<br />

"tessitore"), e lì avevano cominciato a mettere in luce i<br />

resti <strong>di</strong> quell'obelisco per vedere esattamente <strong>di</strong> cosa si<br />

trattava" 37 . Dopo uno scavo molto superficiale, e<br />

forse scoraggiato dalle cattive con<strong>di</strong>zioni in cui era<br />

l'obelisco ed in previsione dei troppi lavori <strong>di</strong><br />

restauro che sarebbero occorsi, nonché della possi-<br />

36 Il testo latino è del co<strong>di</strong>ce vaticano 1108 la cui traduzione è quella data dal Ban<strong>di</strong>ni, L'obelisco <strong>di</strong> Cesare Augusto nel Campo Marzo,<br />

Roma, 1750, riportata anche da Cesare D'Onofrio, Gli obelischi <strong>di</strong> Roma, Bulzoni, Roma.<br />

37 Cesare D'Onofrio, op. cit., p. 283.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

36


ilità <strong>di</strong> far crollare alcune case nei <strong>di</strong>ntorni, e<br />

fors'anche per le enormi spese da sostenere, "fu<br />

coperta <strong>di</strong> nuovo <strong>di</strong> terreno la guglia che ivi <strong>di</strong>rizzò<br />

Augusto, stata scoperta quattro dì prima per cavarla;<br />

ma vedendo che per il fuoco come per il tempo era consumata<br />

assai et le littere jeroglifice tutte spente la lasciarono<br />

stare, et era in detta piazza dove vi era la punta<br />

sottoterra da otto palmi et il culo <strong>di</strong> detta guglia sta nel<br />

cortile <strong>di</strong> una casetta <strong>di</strong> un tessitore sopra terra un terzo<br />

et è grossa più assai <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> san Pietro". Così,<br />

recita il co<strong>di</strong>ce Chigi G. IV, 108, c. 179v, in data 18<br />

marzo 1587.<br />

Lo stesso scavo e la stessa rinuncia ad estrarre l'obelisco<br />

è narrata dal Vacca nelle sue Memorie del<br />

1594 (per il testo si confronti il capitolo sul libro <strong>di</strong><br />

P. Romano).<br />

"Una mattina del luglio 1666 l'obelisco ricevette una<br />

visita illustre : si trattava del gesuita Atanasio Kircher,<br />

il quale era andato - certamente per incarico <strong>di</strong><br />

Alessandro VII - a rendersi conto <strong>di</strong> persona <strong>di</strong> quella<br />

famosa reliquia, spinto a ciò anche dalla sua fame <strong>di</strong><br />

geroglifici 38 ...(...)...La sua relazione al pontefice terminava<br />

così: "Essendo dunque la presente guglia spartita<br />

in più frammenti, sarà più facile il cavarla fuori, e <strong>di</strong><br />

meno spesa, come anche ad alzarla ; nel resto io mi<br />

rimetto al parere degli Architetti" 39 . Tre anni dopo il<br />

medesimo Kircher tornava sull'argomento e in un'altra<br />

lettera suggeriva al pontefice <strong>di</strong> innalzare l'obelisco<br />

nella piazza delle Terme <strong>di</strong> Diocleziano <strong>di</strong>nanzi a S.<br />

Maria degli Angeli e <strong>di</strong> de<strong>di</strong>carlo alla Immacolata<br />

Concezione 40 . Alessandro VII, tuttavia, pur interessandosi<br />

l'anno seguente <strong>dell'obelisco</strong> venuto in luce alla<br />

Minerva, <strong>di</strong> questo non volle o non ebbe il tempo <strong>di</strong><br />

occuparsi (egli morì nel maggio del 1667) 41 .<br />

Sempre dal D'Onofrio si ricavano ulteriori<br />

preziose informazioni, anche da vari Diari dell'epoca<br />

:<br />

"In un libro pubblicato nel 1685 col titolo "L'arte <strong>di</strong><br />

restituire a Roma la tralasciata navigazione del suo<br />

Tevere", ma che finiva col trattare un po' <strong>di</strong> tutto,<br />

l'olandese Cornelio Mayer, curiosa figura <strong>di</strong> 'inventore',<br />

dopo aver suggerito <strong>di</strong> adattare a meri<strong>di</strong>ane gli<br />

obelischi <strong>di</strong> Roma, per quella ancora giacente nel<br />

Campomarzio ne proponeva il recupero (ivi compreso<br />

anche il sistema <strong>di</strong> estrazione con certe sue infallibili<br />

"viti" per cavarlo fuori) e l'innalzamento <strong>di</strong>nanzi al<br />

Quirinale fra i Dioscuri. Quin<strong>di</strong>, aggiungeva (p. 85):<br />

"Mi venne desio d'insinuare che volendo far<br />

servire la medesima guglia al primevo suo uso si<br />

potrebbe lasciare nella sommità sotto la Croce una<br />

apertura à foggia d'un piccolo cerchio per il quale<br />

traguardando la stessa della Tramontana potrebbesi<br />

formare sopra il piano opposto ad essa guglia un<br />

horologgio da sapere l'hore notturne". Ma la proposta<br />

del Mayer non fu presa in considerazione, sicchè<br />

l'obelisco continuò i suoi sonni ; come pure i Romani, i<br />

quali non furono spinti dalla curiosità <strong>di</strong> alzarsi <strong>di</strong> notte<br />

per andare lassù a Montecavallo a vedere l'ora.<br />

Finalmente arrivò l'ora decisiva: nel 1748 Benedetto<br />

XIV, il simpatico bolognese papa Lambertini, ne or<strong>di</strong>nò<br />

l'estrazione. In data 6 aprile <strong>di</strong> quell'anno scriveva un<br />

giornale 42 : "In congiontura <strong>di</strong> essere stato demolito<br />

per farvi nuova Fabrica un sito spettante alli P.P.<br />

Agostiniani della Congregazione <strong>di</strong> Lombar<strong>di</strong>a in<br />

S. Maria del Popolo, esistente al portone del<br />

Palazzo dell'E.mo Tanari in Campo Marzo, vi si<br />

vede sotterraneamente una Guglia, la quale, per<br />

quanto se ne scopre fin'ora, che è meno della metà<br />

della <strong>di</strong> lei lunghezza, è lunga palmi 50, in circa,<br />

occupando lo spazio <strong>di</strong> due cantine, nelle quali si è<br />

sempre veduta, e vi era fabbricato sopra il muro<br />

<strong>di</strong>visorio fra una Casa, e l'altra <strong>di</strong> quelle, che già si<br />

sono demolite. La <strong>di</strong> lei larghezza nel piede è <strong>di</strong><br />

palmi 9 per ogni verso, e dal rimanente <strong>di</strong> essa, siccome<br />

si estende sotto la Piazzetta avanti il portone<br />

del Palazzo dell'Impresa del Loto, non se ne può<br />

sapere la precisa lunghezza, ma per quanto può<br />

congetturarsi sempre si accosterà in tutto alli palmi<br />

150".<br />

Benchè nota la sua esistenza forse da sempre, l'improvvisa<br />

rimessa in luce <strong>dell'obelisco</strong> suscitò una certa<br />

38 Infatti Kircher fu il pioniere dell'Egittologia e il suo interesse, che varcava ogni confine del sapere, per i geroglifici in un periodo<br />

in cui era proprio intento a ricercarne il più recon<strong>di</strong>to significato per la tanto attesa decifrazione, lo spinse sicuramente ad<br />

effettuare dei sopralluoghi nel sito dell'antico obelisco.<br />

39 La lettera in latino fu pubblicata dal Ban<strong>di</strong>ni nell'opera citata (p. 102). Qui la citazione è tratta da Cesare D'Onofrio, op. cit., p.<br />

284.<br />

40 Lettera del 27 ottobre 1666, pubblicata dal Fea in Miscellanea, I, pp. 22, e CCCXXI. Cit. tratta da Cesare D'Onofrio, op. cit. pag.<br />

284.<br />

41 Cesare D'Onofrio, op. cit., p. 284.<br />

42 "Diario or<strong>di</strong>nario", n. 4791.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

37


emozione : tanto che lo stesso pontefice un mese dopo<br />

quel fortuito riscoprimento volle degnarsi <strong>di</strong> andarlo a<br />

vedere coi propri occhi.<br />

"Nostro Signore il giorno volle portarsi ad osservare<br />

l'antica Guglia...ultimamente riscoperta... si<br />

condusse il Santo Padre a <strong>di</strong>rittura al Palazzo<br />

dell'E.mo Lercari, e quivi smontato, e salito in<br />

quell'appartamento, dove erasi fatta aprire preventivamente<br />

per comodo <strong>di</strong> Sua Santità una porta<br />

corrispondente all'appartamento dell'altro contiguo<br />

Palazzo dell'E.mo Tanari, per questa passò<br />

Sua Beatitu<strong>di</strong>ne, e da quelle finestre, come più<br />

vicine a detto sito, osservò la medesima Guglia,<br />

sempre servito dalli due Portatori, oltre la sua<br />

Corte Nobile" 43<br />

Il Papa Benedetto XIV - contrario <strong>di</strong> Sisto V - era<br />

determinato nel tirar fuori la guglia e "per questa<br />

impresa - scrive il Ban<strong>di</strong>ni 44 - venne prescelto tra tutti<br />

gli altri quel rinomatissimo Niccolò Zabaglia 45 , che<br />

morto ultimamente 46 , benchè in un'estrema vecchiezza,<br />

fu generalmente compianto in Roma da tutti quelli che<br />

hanno qualche impegno per lo pubblico bene. Questi era<br />

estremamente rozzo, giacchè non solo non aveva tintura<br />

alcuna <strong>di</strong> lettere...(...)...Ma pur dotato essendo dalla<br />

natura <strong>di</strong> una incre<strong>di</strong>bile acutezza <strong>di</strong> mente, era nell'inventare<br />

delle macchine semplicissime per sollevare, e<br />

trasportare de' gran pesi, talmente ingegnoso, e nell'adoperar<br />

le medesime così assiduamente esercitato, che<br />

avea eccitata l'ammirazione <strong>di</strong> tutta Roma. Chiamato<br />

pertanto dal Pontefice, si addossò l'incumbenza<br />

commessagli, promise <strong>di</strong> so<strong>di</strong>sfare al suo impegno in<br />

breve tempo, e con pochissima spesa, e per se non<br />

richiese altra mercede, che quella sola de' semplici volgari<br />

operai, a' quali viene pagato il travaglio delle lor<br />

braccia, e non l'industria della lor mente".<br />

Ed ecco come dalle parole del Renazzi 47 :<br />

"dopo un certo spazio <strong>di</strong> tempo comincia dallo<br />

scavo a spuntar fuori uno de' cinque gran pezzi<br />

della guglia ; ecco che s'appoggia sul labro del terreno,<br />

e finalmente vi resta collocato. L'aria risuonò<br />

allora <strong>di</strong> evviva, tutto il popolo giulivo e festoso,<br />

battendo palma a palma fece eco agli elogi, de'<br />

quali gli spettatori più intelligenti e più culti a gara<br />

ricolmavano l'ingegnoso Inventore <strong>di</strong> una macchina<br />

sì semplice e sì operante".<br />

Dalla metà <strong>di</strong> maggio ai primi <strong>di</strong> agosto 1748, mastro<br />

Zabaglia aveva estratto "con una facilità maravigliosa"<br />

i pezzi <strong>dell'obelisco</strong>, per accantonarli<br />

provvisoriamente "nel cortile contiguo al Palazzo<br />

dell'Impresa del Lotto" 48 , nell'orto detto della<br />

Vignaccia, corrispondente all'incirca all'attuale<br />

area compresa dalla piazza del Parlamento. Nello<br />

stesso giorno (3 agosto) in cui fu estratta la base<br />

con l'iscrizione e che fu esposta nel medesimo cortile,<br />

la Santità Sua "si compiacque portarsi prima ad<br />

osservare non solo quella, ma anche tutti gl'altri pezzi<br />

ivi collocati, il che fece <strong>di</strong>smontato dalla sua carrozza, e<br />

con molta sua sod<strong>di</strong>sfazione, per veder terminata con<br />

tanto buon or<strong>di</strong>ne un opera si <strong>di</strong>fficile, commendandone<br />

benignamente l'Autore ivi presente" 49 .<br />

A perpetua memoria dell'impresa "sopra una delle<br />

porte del nuovo casamento nella strada <strong>di</strong> Campo<br />

Marzo spettante ai PP. Agostiniani... ultimamente<br />

rifabricato, nel sito appunto dove giaceva l'antica<br />

Guglia d'Augusto" fu murata una epigrafe nella<br />

quale (tutt'ora al suo posto) prima viene riassunto<br />

il brano <strong>di</strong> Plinio, quin<strong>di</strong> si <strong>di</strong>ce che Benedetto XIV<br />

tale obelisco "trasferì nelle a<strong>di</strong>acenze a pubblico<br />

go<strong>di</strong>mento delle belle arti" 50 .<br />

Stando a questa espressione si <strong>di</strong>rebbe, quin<strong>di</strong>, che<br />

tutta la fatica e i progetti <strong>di</strong> papa Lambertini consistessero<br />

nella estrazione del monumento augusteo<br />

per renderlo, così steso a terra, <strong>di</strong> pubblica<br />

ragione. Ed infatti, <strong>di</strong> innalzamento vero e proprio,<br />

al tempo <strong>di</strong> Benedetto XIV, non si parlò mai.<br />

Dovranno trascorrere - continua D'Onofrio - all'incirca<br />

altri 40 anni perché finalmente l'antico obelisco<br />

eliopolitano, dai geroglifici osannanti alle glorie<br />

del faraone Psammetico II (594-589 a.C.), potesse<br />

nuovamente sorgere in pie<strong>di</strong>; non solo, ma ad<strong>di</strong>rittura<br />

con l'ambizione <strong>di</strong> tornare alle augustee fun-<br />

43 "Diario or<strong>di</strong>nario" n. 4803, in data 4 maggio 1748.<br />

44 Op. cit. p. 103<br />

45 <strong>di</strong> cui si è già detto nella parte de<strong>di</strong>cata al libro <strong>di</strong> P. Romano<br />

46 Morì il 27 gennaio 1750, quando aveva 86 anni<br />

47 Renazzi, Castelli e ponti, 1824, p. 26 (si noti che la stesura del libro <strong>di</strong> Renazzi era già pronta nel 1739).<br />

48 "Diario or<strong>di</strong>nario", n. 4809 in data 18 maggio 1748<br />

49 ibid. n. 4842, del 3 agosto 1748<br />

50 "Publicoque rei literariae bono propinquum in locum transtulit".<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

38


zioni <strong>di</strong> gigantesco "horiuolo".<br />

Ma prima dell'innalzamento, ci si doveva mettere<br />

d'accordo come e dove impiantarlo <strong>di</strong> nuovo e<br />

questo costituiva certo un problema <strong>di</strong> non poco<br />

conto, almeno dal punto <strong>di</strong> vista topografico e<br />

dunque dell'urbanistica della città.<br />

L'architetto che al tempo <strong>di</strong> Pio VI Braschi si stava<br />

specializzando proprio negli innalzamenti degli<br />

obelischi era Giovanni Antinori. Egli si trovò in<br />

polemica col cavaliere <strong>Nicola</strong> d'Azara, Ministro <strong>di</strong><br />

S.M. Cattolica, in quanto sosteneva, nel 1787,<br />

"doversi ritrovare un punto (in cui si doveva<br />

erigere l'obelisco) in cui veggasi il Salustiano, il<br />

Flaminio, e il Marzio. Questo punto lo veggo nella<br />

piazza <strong>di</strong> Spagna, ove posato il piè nell'imbocco <strong>di</strong><br />

Strada Condotti, girando intorno lo sguardo<br />

vedremo l'obelisco Flaminio, il Pincio e il Marzio,<br />

situato che questo sia verso il Collegio <strong>di</strong><br />

Propaganda più lontano dalla Barcaccia che si può,<br />

perché l'occhio abbia in ogni linea conducente a<br />

questi oggetti una conveniente <strong>di</strong>stanza" 51 .<br />

E' evidente l'intenzione <strong>di</strong> Antinori <strong>di</strong> sistemare gli<br />

obelischi come fondali <strong>di</strong> rettifili in modo che essi<br />

apparissero in un <strong>di</strong>scorso urbanistico coor<strong>di</strong>nato.<br />

In risposta al progetto <strong>di</strong> Antinori, così scriveva<br />

qualcuno ispirato dalle opposte ragioni del cavalier<br />

d'Azara :<br />

"Santo Padre, la lodevole smania antiquaria d'inalzare<br />

l'obelisco <strong>solare</strong> e la vituperosa idea <strong>di</strong> condannarlo colà<br />

ai due Macelli ad una posizione <strong>di</strong>ametralmente opposta<br />

alla sua natura, <strong>di</strong>ede luogo ad un lungo ragionamento<br />

fra il valoroso Cavaliere D. Niccolò Azara, e<br />

l'Antinori...Piacque al medesimo (cavaliere) umiliare in<br />

voce queste proposizioni alla S. Vostra, la quale...<br />

approvò benignamente il pensiero dell'Architetto, fuori<br />

che il luogo ove innalzare quest'obelisco. Il sito proposto<br />

dall'Antinori era soltanto per secondare l'impegno <strong>di</strong><br />

"situare le guglie su linee terminabili" in un punto<br />

quasi concentrico, perché lo spettatore <strong>di</strong> là ne vedesse<br />

più d'una, come oggi veggonsi alle Quattro Fontane,<br />

unico vantaggio nel progetto miserabile de' due Macelli.<br />

La deliberazione della S.V. <strong>di</strong> alzare questo <strong>solare</strong> obelisco<br />

innanzi alla Curia Innocenziana è la più convenevole<br />

e la più nobile, si perché lo restituisce al Campo Marzio<br />

poco <strong>di</strong>stante dal sito dove giacque...". Dopo <strong>di</strong> che,<br />

l'anonimo autore della lettera proponeva il trasferimento<br />

della base istoriata della colonna Antonina<br />

che si trovava giacente nella piazza dal 1704, e<br />

purtroppo consigliava <strong>di</strong> restaurare l'erigendo<br />

obelisco <strong>di</strong> Augusto proprio con la stessa colonna<br />

Antonina, sulla quale del resto erano già stati<br />

messi gli occhi addosso per segarne i pezzi necessari<br />

a rattoppare l'obelisco sallustiano che in quei<br />

mesi lo stesso Antinori stava erigendo.<br />

A questo proposito si ha la testimonianza <strong>di</strong><br />

Francesco Cancellieri 52 sia sul destino della colonna<br />

Antonina, <strong>di</strong> cui ne traccia liberamente la storia<br />

affinchè ne resti almeno qualche memoria, sia del<br />

progetto <strong>di</strong> erigere l'obelisco:<br />

"Ivi è rimasta giacente per terra (la colonna<br />

Antonina), quasi del tutto inosservata, e senza onore,<br />

finchè Pio VI, mosso da improvvi<strong>di</strong> Consiglieri, che glie<br />

la fecero credere inservibile ad ogni altro uso, non si<br />

determinò <strong>di</strong> far tassellare, e riattare con le sue lastre<br />

l'Obelisco Solare, col proprio suo Pie<strong>di</strong>stallo, avendo<br />

però avuto l'avvertenza <strong>di</strong> far segare a parte le due<br />

Iscrizioni Greche dell'imo, e del sommo scapo della stessa<br />

Colonna, che furono trasportate al Museo Vaticano,<br />

come si <strong>di</strong>chiara nel Diario del Chracas n. 1664, 11 Dic.<br />

1790...";<br />

e ancora:<br />

"Io ebbi la sorte <strong>di</strong> essere il principal Promotore, non<br />

solo dell'erezione dell'Obelisco Solare, ma ezian<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

altri due, con la Supplica da me presentata a quel gran<br />

Pontefice, a nome del Sallustiano, per farlo erigere fra i<br />

due Colossi sul Quirinale, coll'Augusteo sul Colle<br />

Pincio, gemello dell'altro innalzato da Sisto V<br />

sull'Esquilino, e col Barberino sul Torrione <strong>di</strong> Porta<br />

Pia, a fine <strong>di</strong> nobilitare, con la vista <strong>di</strong> quattro<br />

Obelischi, il Quadrivio delle quattro Fontane. La<br />

medesima Supplica fu da me stampata a parte per<br />

51 A. St., Camerale II, Ant. E B. Arti, busta 6, fasc. 150 : la lettera (in copia) non ha data, ma si può da altri elementi dedurre che<br />

sia degli inizi del 1787. Anche l'architetto Giovanni Antonio Antolini propose a Pio VI "tre <strong>di</strong>versi siti" con altrettanti modelli :<br />

cfr. "Diario or<strong>di</strong>nario" n. 1272, del 10 marzo 1787. Cfr anche il <strong>di</strong>spaccio dell'agente lucchese Bottini del 4 agosto : "Si parla seriamente<br />

<strong>di</strong> far inalzare avanti il palazzo <strong>di</strong> Montecitorio l'obelisco Solare... e sotto la <strong>di</strong>rezione del noto arch. Sig. Antinori...", in<br />

"Arch. St. Ital.", serie IV, vol. XX, 1887, p. 425.<br />

52 Lettera <strong>di</strong> F. Cancellieri "... sopra lo scoprimento e la traslazione....", op. cit., p. 21.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

39


Saggio della Carta, e de' nuovi Caratteri, coì quali doveva<br />

stamparsi in 4 Volumi in 4. la mia Opera de<br />

Secretariis Ethnicorum, Christianorum, ac veteris, et<br />

novae Basilicae Vaticanae, e presentata a quell'immortale<br />

Pontefice, che si degno <strong>di</strong> adottarne il progetto, con<br />

la sola <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> aver eretto al Quirinale l'Augusteo,<br />

in vece del Sallustiano, innalzato alla Trinità dei<br />

Monti".<br />

E per fortuna che andò così. Perchè spodestare lo<br />

gnomone <strong>di</strong> Augusto della sua principale funzione<br />

era un'operazione errata almeno quanto quella <strong>di</strong><br />

restaurare lo stesso obelisco con la Colonna<br />

Antonina!<br />

Il consiglio dell'Azara quin<strong>di</strong> prevalse, e la Piazza<br />

Montecitorio fu prescelta per il nuovo innalzamento.<br />

Nell'agosto del 1788 veniva steso un contratto privato<br />

tra l'Antinori e la Reverenda Camera, <strong>di</strong> cui<br />

ecco i brani più importanti:<br />

"Inoltratasi la magnificenza del Nostro Sovrano<br />

nel pensiero nobilissimo <strong>di</strong> rendere a Roma il più<br />

superbo antico decoro col ristaurare, ed erigere i<br />

giacenti e guasti obelischi, de' quali sola può coronarsi<br />

la Città Regina : è piaciuto al Santo Padre <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>nare il <strong>di</strong>fficile risarcimento <strong>dell'obelisco</strong><br />

<strong>solare</strong> abbandonato finora, come incapace <strong>di</strong> più<br />

reggersi, e <strong>di</strong> determinarne il nuovo collocamento<br />

nel centro della piazza si Monte Citorio, ove presentemente<br />

si stà il pie<strong>di</strong>stallo istoriato Antonino,<br />

e questo trasportare nel Vaticano, come degnissimo<br />

<strong>di</strong> gelosa custo<strong>di</strong>a nel Pio Museo.<br />

Per tale gloriosa impresa degnatasi Santità Sua <strong>di</strong><br />

richiamare la mano del suo sud<strong>di</strong>to Giovanni<br />

Antinori già clementemente esperimentata in simili<br />

opere, il medesimo Architetto si obbliga per la<br />

somma <strong>di</strong> scu<strong>di</strong> 24 mila a quanto <strong>di</strong>stingue qui<br />

appresso.<br />

I. Di trasportare il pie<strong>di</strong>stallo <strong>di</strong> Monte Citorio al<br />

Museo Pio nel Vaticano...<br />

IV. Trasportare il pie<strong>di</strong>stallo <strong>di</strong> granito, su cui<br />

posar dee l'obelisco dalla vignaccia al Montecitorio<br />

; tassellarlo e collocarlo al luogo destinato.<br />

V. Risarcire ad uso d'arte tutto l'obelisco, lasciando<br />

intatti i geroglifici, com'essi sono: aggiungendovi<br />

le facce mancanti, senza però richiamare su d'esse<br />

per mezzo della impostura i non intesi egiziani<br />

misteri ; sostituirvi il primo pezzo <strong>di</strong> nuovo...<br />

VI. ...Finalmente dare perfetta e compita l'opera<br />

nel termine <strong>di</strong> 3 anni, incominciandola il mese <strong>di</strong><br />

agosto dell'anno corrente 1788" 53<br />

Tolto dalla piazza <strong>di</strong> Montecitorio il basamento<br />

istoriato che per circa 80 anni aveva invano sperato<br />

<strong>di</strong> funzionar nuovamente da sostegno alla<br />

colonna Antonina, l'Antinori nel gennaio 1790 ci<br />

pose la base <strong>dell'obelisco</strong> con la duplice iscrizione<br />

<strong>di</strong> Augusto 54 .<br />

Ci vollero tuttavia due anni e mezzo perché l'opera<br />

arrivasse a compimento, anche a causa dei<br />

numerosi e <strong>di</strong>fficili restauri all'assai danneggiato<br />

obelisco.<br />

Finalmente: "Marte<strong>di</strong> mattina (15 giugno 1792) alla<br />

presenza <strong>di</strong> un'infinità <strong>di</strong> popolo, fu innalzato grosso<br />

pezzo <strong>dell'obelisco</strong> <strong>solare</strong> innanzi alla Curia<br />

Innocenziana, la quale operazione, <strong>di</strong>retta<br />

dall'Architetto Antinori, riuscì felicemente, e fu con<br />

piacere osservata dalle Madame <strong>di</strong> Francia, dall'appartamento<br />

<strong>di</strong> Monsig. Albani, U<strong>di</strong>tore della Camera che le<br />

fece servire <strong>di</strong> scelti gelati" 55 . Stando ad alcuni documenti<br />

56 , sembra che il Tesoriere car<strong>di</strong>nal Ruffo<br />

avesse avuto a cuore non solo l'erezione <strong>dell'obelisco</strong>,<br />

ma che ne avesse propugnato anche il<br />

ripristino ad orologio <strong>solare</strong>. Il capo scalpellino che<br />

nel 1793 aveva steso sulla piazza una serie <strong>di</strong> selciguida<br />

sui quali sarebbero andati progressivamente<br />

a cadere i raggi solari raccolti e convogliati nel foro<br />

della grande palla <strong>di</strong> bronzo fissata sull'obelisco,<br />

scriveva che il card. Ruffo aveva "bastanti lumi<br />

nella gnomonica, non solo per farla eseguire a<br />

qualunque vivente, quasi oserei <strong>di</strong>re ad un<br />

automa".<br />

Del resto, benchè ormai la palla <strong>di</strong> bronzo ornata<br />

con i bellissimi Eoli che soffiano vento con le gote<br />

gonfie (emblema aral<strong>di</strong>co <strong>di</strong> papa Braschi 57 ), fosse<br />

stata fissata lassù, i più accre<strong>di</strong>tati "professori" si<br />

erano pronunciati contro il vano <strong>di</strong>segno che l'obelisco<br />

potesse funzionare da orologio <strong>solare</strong>. Ecco<br />

due brani (1794) <strong>di</strong> illustri personaggi:<br />

53 Nel contratto notarile, che fu rogato il 5 settembre, si stabilì che i lavori cominciassero col gennaio seguente.<br />

54 Dispacci del Bottini, pp. 427, 432, 434 e 435<br />

55 Ibid. p. 440, in data 19 giugno 1792.<br />

56 Nello stesso fascicolo citato alle note precedenti. Un frammento <strong>di</strong> questo obelisco, col cartello del faraone Psammetico, fu <strong>di</strong><br />

proprietà del conte Camillo Orlando-Castellano <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>remo alle pagine seguenti.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

40


Gioacchino Pessuti si opponeva "per ragioni...ovvie<br />

per chiunque abbia non leggiera tintura <strong>di</strong> ottica ed<br />

astronomia... la destinazione, ch'ebbe anticamente il<br />

nostro obelisco <strong>di</strong> servir <strong>di</strong> pubblico orologio, fu dettata<br />

dalla mancanza degli orologi a ruota che abbiamo<br />

noi...", e opponendo a quello degli antichi Romani<br />

l'intenso traffico stradale della fine del Settecento<br />

riteneva assurdo pensare ad una stabilità assoluta<br />

<strong>dell'obelisco</strong> appunto "per il continuo passaggio <strong>di</strong><br />

gente e carrozze" in quella piazza.<br />

L'abate Giuseppe Calandrelli a sua volta sosteneva,<br />

ironizzando, che quell'adattamento "non potrà<br />

non dare un ri<strong>di</strong>colo al paese, come se fosse privo<br />

de' lumi dell'astronomia" e che volersi proprio<br />

ridurre a conoscere il mezzodì "coll'uso <strong>di</strong> uno<br />

gnomone sia impresa non che da Sovrano, ma<br />

bensì riservata al povero laico cappuccino il quale<br />

nel suo egualmente povero orticello con un chiodo<br />

fitto nel muro... in<strong>di</strong>ca ai suoi confratelli il prossimo<br />

punto <strong>di</strong> mezzogiorno".<br />

Come risulta evidente, questi ampi passi testimoniano<br />

che l'opera <strong>di</strong> D'Onofrio sugli obelischi <strong>di</strong><br />

Roma, è tra le più ricche <strong>di</strong> citazioni e riferimenti<br />

che sia stata pubblicata in epoca relativamente<br />

moderna ed è una fonte preziosa soprattutto per il<br />

periodo relativo allo scavo <strong>di</strong> benedetto XIV e<br />

all'innalzamento <strong>dell'obelisco</strong> sotto Pio VI Braschi.<br />

Per questo motivo, e per l'ottimo lavoro <strong>di</strong> sintesi<br />

svolto dal D'Onofrio, abbiamo scelto <strong>di</strong> trascrivere<br />

i passi più importanti come sopra riportati.<br />

57 Dal volume "Gli Orologi", Fabbri, 1966-1984, p. 15, si legge: "L'architetto fece un modello (della cuspide) con le stelle, l'arbusto e il<br />

cherubino sbuffante - lo stemma <strong>di</strong> papa Braschi - e il Papa lo approvò. Ma gli astronomi del Collegio Romano mo<strong>di</strong>ficarono il progetto : allungarono<br />

il collo della cuspide e abbassarono la finestrella oblunga per permettere ai raggi del sole <strong>di</strong> segnare anche durante i mesi estivi il mezzogiorno<br />

sul lastrico della piazza. E' possibile, nelle belle e assolate giornate, vedere il raggio del sole che segna il mezzogiorno esatto dell'ora<br />

<strong>solare</strong>. Ma è molto <strong>di</strong>fficile, senza le opportune tabelle recanti le in<strong>di</strong>cazioni circa la <strong>di</strong>fferenza con l'ora me<strong>di</strong>a, sapere l'ora esatta. Così, la<br />

più vecchia meri<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> Roma, e forse anche dell'Europa intera, dà il segno del mezzogiorno - che come tutti i Romani ben sanno - non serve<br />

a nessuno".<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 19 Mastro <strong>Nicola</strong> Zabaglia (da D’Onofrio)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 20 Estrazione dell’obelisco a cura <strong>di</strong> <strong>Nicola</strong> Zabaglia in una <strong>di</strong>versa prospettiva.<br />

fig. 21 Estrazione dell’obelisco a cura <strong>di</strong> Zabaglia. Nell’immagine originale è scritto che la guglia fu<br />

trovata a 14 palmi sotto terra. (da D’Onofrio)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 22 Dipinto in cui si vede Antinori che presenta al papa Pio VI Braschi il modellino dell’obelisco<br />

da erigere (da D’Onofrio)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig 23 L’obelisco <strong>di</strong> Campo Martio come appare dopo il<br />

restauro. Sono ben visibili i numerosi “scantonamenti”<br />

che nettono in mostra le parti mancanti riempite con i<br />

resti dell’antica Colonna Antonina (da D’Onofrio).<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 24 Un modellino della guglia effettuato<br />

dall’Antinori e presentata per il restauro<br />

(Amsterdam, collezione Morpurgo - Da “Gli<br />

Orologi”, Fabbri)<br />

fig. 25 Frammento dell’obelisco <strong>di</strong><br />

Montecitorio appartenuto al conte don<br />

Camillo Orlando Castellano. (da l’Urbe)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 27 L’obelisco <strong>di</strong> Montecitorio dopo l’innalzamento<br />

in una incisione <strong>di</strong> Domenico Amici.<br />

fig.26 L’obelisco innalzato in una incisione <strong>di</strong> G. Vasi.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 28 Il progetto <strong>di</strong> far funzionare l’obelisco, nel 1972, come gnomone <strong>di</strong> una<br />

linea meri<strong>di</strong>ana in un acquarello <strong>di</strong> Fer<strong>di</strong>nando Bonsignori (da D’Onofrio)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 29 Immagine ottocentesca dell’obelisco.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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fig. 30 L’ultimo restauro dell’obelisco nel 1964 (da D’Onofrio)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

50


fig. 31 La guglia <strong>di</strong> Antinori ingabbiata nell’impalcatura (da D’Onofrio)<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

51


IL CARTIGLIO DI PSAMMETICO II<br />

Come si è visto, i "misteri egizi" erano ancora tali<br />

all'epoca in cui fu innalzato l'obelisco. Infatti, l'illuminante<br />

e tanto attesa decifrazione dei geroglifici<br />

avvenne per merito <strong>di</strong> Champollion solo nei primi<br />

decenni dell'Ottocento e confermata universalmente<br />

solo mezzo secolo dopo. Quin<strong>di</strong>, all'epoca<br />

<strong>di</strong> Benedetto XIV e <strong>di</strong> Pio VI si credeva ancora,<br />

seguendo anche le errate in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Plinio,<br />

che l'obelisco fosse appartenuto in Egitto, al<br />

faraone Ramsete il Grande, ovvero Sesostri (come<br />

pure arbitrariamente l'attribuisce l'iscrizione alla<br />

base <strong>dell'obelisco</strong>) della XII Dinastia egizia. Mentre<br />

nell'eru<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>ssertazione <strong>di</strong> Rezzonici, nelle sue<br />

"Disquisizioni Pliniane", ritiene <strong>di</strong> dover attribuire<br />

l'obelisco non a Sesostri ma a Sochide 58 .<br />

Ora invece che sono stati letti correttamente tutti i<br />

geroglifici che si sono salvati sull'obelisco, siamo<br />

sicuri <strong>di</strong> aver trovato il suo vero antico padrone in<br />

Psammetico II. A tal riguardo, mi sembra interessante<br />

riportare un'altro prezioso documento che<br />

ho rintracciato nell'articolo Frammenti <strong>dell'obelisco</strong> <strong>di</strong><br />

Montecitorio, scritto dal conte Camillo Orlando-<br />

Castellano, il quale conservava in casa un pezzo<br />

sicuramente appartenente alla guglia <strong>di</strong> Augusto,<br />

sfuggita quin<strong>di</strong> al rimescolamento <strong>di</strong> pezzi effettuato<br />

durante il restauro e l'innalzamento.<br />

L'articolo fu pubblicato nella rivista "L'Urbe", n° 5,<br />

XXVII, Roma, 1964 :<br />

...Per buona fortuna dell'insigne monumento e per<br />

buona pace <strong>di</strong> quanti amano Roma sopravvenne, il 16<br />

giugno 1964 la notizia che l'obelisco - a seguito degli<br />

esami e delle ispezioni effettuate in ogni parte <strong>di</strong> esso -<br />

presenta qualche sconnessione dei pezzi <strong>di</strong> sienite 59 per<br />

sfaldatura delle grappe in ferro (poste nel 1792), consunte<br />

dal tempo, e taluni più notevoli danni al globo <strong>di</strong><br />

bronzo e alla cuspide. E tali opere sono state subito<br />

affrontate; l'obelisco ingabbiato durante i lavori; la circolazione<br />

nella piazza parzialmente ripristinata con<br />

cautele sagge ed opportune; il portone <strong>di</strong> Palazzo<br />

Montecitorio, peraltro, venne per un certo tempo chiuso<br />

per ridurre il traffico...<br />

V'è da <strong>di</strong>re che l'allarme è sorto durante l'esame <strong>dell'obelisco</strong><br />

nelle perio<strong>di</strong>che indagini tecniche e statiche,<br />

assai opportune, degli antichi monumenti ...<br />

Probabilmente è meno noto che un frammento <strong>di</strong><br />

quest'obelisco, andato <strong>di</strong>sperso, non fu incluso all'epoca<br />

della ricostruzione del 1792. Esso fece parte della<br />

collezione del veliterno car<strong>di</strong>nale Stefano Borgia - piccola<br />

ma importante raccolta <strong>di</strong> antichità egizie - che, nel<br />

1817, si aggiunse al Museo Nazionale <strong>di</strong> Napoli...Ed è<br />

ben strano che il Marucchi, nella sua tanto pregevole<br />

opera sugli obelischi egiziani <strong>di</strong> Roma, <strong>di</strong> tale frammento<br />

non faccia cenno. Quel pezzo si trova ora nel Museo<br />

Nazionale <strong>di</strong> Napoli, "Collezione Egizia", sala XVII, n.<br />

999, ove è ben visibile.<br />

La notizia che precede, nota agli stu<strong>di</strong>osi ed agli egittologi<br />

ancor più, va completata con la seguente meno<br />

conosciuta: che nelle collezioni della mia Casa vi è altro<br />

cimelio (lungh. 0,24, alt. 0,44, profond. 0,20 - misure<br />

del cartiglio : alt. 0,26, largh. 0,13), del medesimo<br />

obelisco.<br />

Fu nel febbraio del 1957 che, avendo avuto la fortuna <strong>di</strong><br />

conoscere il valoroso giovane egittologo prof. Sergio<br />

Bosticco, gli segnalai un frammento che egli, con interesse,<br />

esaminò e stu<strong>di</strong>ò...<br />

Il frammento è in granito rosso (sienite), presenta una<br />

faccia levigata con resti <strong>di</strong> iscrizione geroglifica monumentale<br />

accuratamente incisa, il cui breve testo...é,<br />

come lo ha letto il Bosticco:<br />

"...(am)ato, Psammetico, v(ivente) co(me) R(e)..."<br />

...le anzidette <strong>di</strong>mensioni del cartiglio concordano perfettamente<br />

con quelle ricorrenti nell'altro frammento<br />

che proviene con sicurezza dalla fascia ornamentale che<br />

stava alla base <strong>dell'obelisco</strong> <strong>di</strong> Montecitorio.<br />

L'autore conclude il suo articolo chiedendosi se<br />

58 La Turre Rezzonici, Disquisitiones Plinianae", 1767 (ve<strong>di</strong> oltre), p. 288: "sed decantatum Campi Martii Obeliscum non a Sesostre,<br />

sed a Sochide excisum indubiis ostendam argumentationibus". E ancora: "Adde Riccar<strong>di</strong>anum co<strong>di</strong>cem, qui infra Campi Martii Obeliscum<br />

a Sochide excisum testatur". Ne parla anche il Ban<strong>di</strong>ni nell'op. cit., praefat. Pag. XVIII.<br />

59 Plinio aveva così denominato la pietra <strong>di</strong> cui era fatto il monolite e perché essa era originaria <strong>di</strong> Siene in Egitto.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

52


questi due pezzi siano i soli "cimeli vaganti" del<br />

secolare obelisco, quasi ad esortare a chi per caso<br />

conservasse in casa qualche pezzo dello stesso, <strong>di</strong><br />

portarlo alla luce della conoscenza.<br />

Questo frammento offre l'occasione per ricordare<br />

uno dei quesiti non ancora risolti riguardo il<br />

faraone che volle l'estrazione <strong>dell'obelisco</strong>. Sopra<br />

ciascun lato della cuspide si nota in alto uno<br />

scarabeo alato che regge un <strong>di</strong>sco <strong>solare</strong> e in basso<br />

scene in cui il re compare sotto l'aspetto <strong>di</strong> una<br />

sfinge sdraiata. Date le cattive con<strong>di</strong>zioni del monumento,<br />

come si è potuto capire dalla precedente<br />

ricostruzione storica, una gran parte del testo originale<br />

è andata perduta. Ciò che rimane contiene<br />

epiteti convenzionali e la menzione dei nomi del re<br />

60 : "L'Horus d'oro, colui che abbellisce le Due Terre,<br />

60 L. Habachi, I segreti degli obelischi, Newton Compton, Roma, 1978, p.104.<br />

amato da Atum, signore <strong>di</strong> Eliopoli ; il re dell'Alto<br />

e Basso Egitto, Neferibre, amato da Re-Harakhti,<br />

figlio del suo stesso corpo, colui che prende la<br />

Corona Bianca e che unisce la Doppia Corona,<br />

Psammetico, amato dalle Anime <strong>di</strong> Eliopoli. Nel<br />

primo (giubileo). L'ultimo elemento dell'iscrizione<br />

risulta il più importante, in quanto contiene un<br />

riferimento al primo giubileo. Può sembrare strano<br />

che Psammetico II, il cui regno durò soltanto sei<br />

anni, abbia celebrato un giubileo, ma risulta altresì<br />

attestato un altro sovrano che lo celebrò dopo un<br />

regno <strong>di</strong> soli tre anni. Una spiegazione possibile è<br />

che tali sovrani abbiano computato i loro giubilei<br />

da una data precedente nel regno dei predecessori".<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

53


DOCUMENTI: IL TESTO DI PLINIO<br />

L'unica descrizione antica che abbiamo del solarium<br />

<strong>di</strong> Augusto ci è stata lasciata da Plinio nella sua<br />

<strong>Storia</strong> Naturale. Ma, come si è detto prima, il testo<br />

pliniano risulta oggi profondamente corrotto. Per<br />

questo ci pare interessante mettere a confronto<br />

alcune delle versioni più importanti redatte dal<br />

me<strong>di</strong>oevo ad oggi.<br />

1) versione <strong>di</strong> Arduino , Paris, 1685 (da La Turre<br />

Rezzonici)<br />

"Ei, qui est in Campo, Divus Augustus ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t<br />

mirabilem usum, ad deprehendendas Solis<br />

umbras, <strong>di</strong>erumque ac noctium ita magnitu<strong>di</strong>nes,<br />

strato lapide ad magnitu<strong>di</strong>nem Obelisci, cui par<br />

fieret umbra, brumae confectae <strong>di</strong>e, sextam hora,<br />

paulatimque per regulas (quae sunt ex aere<br />

inclusae) singulis <strong>di</strong>ebus decresceret, ac rursus<br />

augesceret: <strong>di</strong>gna cognitu res ingenio foecundo<br />

Manlius Mathematici. Apici auratam pilam ad<strong>di</strong>tit,<br />

cujus umbra vertice colligeretur in se ipsa, alias<br />

enormiter jaculante apice, ratione (ut ferunt) a<br />

capite hominis intellecta".<br />

2) versione <strong>di</strong> Cristoforo Heilbronner (Historia<br />

Matheseos Universae, 1742)<br />

"De illo (obelisco) qui est in Campo Martio pro<br />

gnomone. Ei qui est in Campo, Divus Augustus<br />

ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t mirabilem usum, ad deprehendendas Solis<br />

umbras, <strong>di</strong>erumque et noctium magnitu<strong>di</strong>nes,<br />

strato lapide, ad Obelisci magnitu<strong>di</strong>nem, cui par<br />

fieret umbra Romae, confecto <strong>di</strong>ei, hora sexta, paulatimque<br />

per regulas, quae sunt ex aere inclusae,<br />

singulis <strong>di</strong>ebus decresceret et rursus augesceret,<br />

<strong>di</strong>gna cognitu res et ingenio foecundo. Manlius<br />

Mathematicus, apici auratam pilam ad<strong>di</strong>tit, cujus<br />

vertice umbra colligeretur in semetipsam, alia<br />

atque alia incrementa jaculantem, ratione, ut ferunt,<br />

a capite hominis intellecta".<br />

3) versione <strong>di</strong> La Turre Rezzonici (Plinianae<br />

Exercitationes, 1767):<br />

Ei, qui est in Campo Divus Augustus ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t<br />

mirabilem usum ad deprehendendas Solis<br />

umbras, <strong>di</strong>erumque ac noctium horas, magnitu-<br />

<strong>di</strong>ne strato lapide ad magnitu<strong>di</strong>nem Obelisci, cui<br />

par fieret umbra brumae confectae <strong>di</strong>e, sextam<br />

hora; paulatimque per regulas, quae sunt ex aere<br />

inclusae, singulis <strong>di</strong>ebus decresceret, ac rursus<br />

augesceret. Digna cognitu res et ingenio foecundo<br />

Manlii Mathematici. Is apici auratam pilam ad<strong>di</strong>tit,<br />

cujus vertice umbra colligeretur in se ipsam,<br />

alia enormiter incrementa jaculante apice: ratione,<br />

ut ferunt, a capite hominis intellectam".<br />

4) versione del co<strong>di</strong>ce fiorentino Riccar<strong>di</strong>anus<br />

del secolo X-XI<br />

"Ei, qui est in Campo, D. Augustus ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t<br />

mirabilem usum ad deprehendendas Solis umbras<br />

<strong>di</strong>erumque annotium ita magnitu<strong>di</strong>nes strato lapide<br />

ad magnitu<strong>di</strong>nem Obelisci cui par fieret<br />

umbrarum et confectae <strong>di</strong>e sextam hora, paulatimque<br />

per regulas quae sunt ex aere inclusae singulis<br />

<strong>di</strong>ebus decresceret, ac rursus augesceret.<br />

Digna cognitu res ingenio Facun<strong>di</strong>n' L.<br />

Mathematicus apici auratam pilam ad<strong>di</strong>tit, cujus<br />

umbra vertice colligeretur in se ipsa alias enormiter<br />

jaculante apice ratione ut ferunt a capite<br />

hominis intellecta".<br />

5) versione del Co<strong>di</strong>ce ambrosiano I.<br />

"Ei qui in Campo Divus Augustus ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t<br />

mirabilem usum ad deprehendendas Solis umbras<br />

<strong>di</strong>erumque ac noctium horas magnitu. strato lapide<br />

ad magnitu<strong>di</strong>nem Obelisci cui par fieret<br />

umbrarum effectus <strong>di</strong>es et hora paulatimque per<br />

regulas quae sunt ex ere incluse singulis <strong>di</strong>ebus<br />

decrescere ac rursus augescere. Digna cognitu res<br />

et ingenio Facundo. Manlius Mathematicus apicis<br />

auratam pallam ad<strong>di</strong>tit, cujus vertice umbra colligeretur<br />

in se ipsa aliam Solem imitari jaculante<br />

apice ratione ut ferunt a capite hominis intellecta".<br />

6) versione del Co<strong>di</strong>ce ambrosiano II.<br />

"Ei qui est in Campo Divus Augustus ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t<br />

mirabilem usum ad deprehendendas Solis umbras<br />

<strong>di</strong>erumque ac noctium horas magnitu<strong>di</strong>ne strato<br />

lapide ad magnitu<strong>di</strong>nem Obelisci, cui par fieret<br />

umbrarum effectus <strong>di</strong>es et horas, paulatimque per<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

54


egulas quae sunt ex aere inclusae singulis <strong>di</strong>ebus<br />

decrescere ac rursus augescere. Digna cognitu res<br />

et ingenio facundo. Manilius Mathematicus apici<br />

auratam pilam ad<strong>di</strong>tit cujus vertice umbra colligeretur<br />

in semetipsam, alias incrementa jaculante<br />

apice, ratione, ut ferunt a capite hominis intellecta".<br />

7) versione delle "Belles Lettres" a cura <strong>di</strong> Jean<br />

Soubiran.<br />

"Ei qui est in Campo Divus Augustus ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t<br />

mirabilem usum ad deprehendendas Solis umbras<br />

<strong>di</strong>erumque ac noctium ita magnitu<strong>di</strong>nes, strato<br />

lapide ad longitu<strong>di</strong>nem Obelisci, cui par fieret<br />

umbra brumae confectae <strong>di</strong>e sexta hora paulatimque<br />

per regulas, quae sunt ex aere inclusae, singulis<br />

<strong>di</strong>ebus decresceret ac rursus augesceret,<br />

<strong>di</strong>gna cognitu res, ingenio Facun<strong>di</strong> Novi mathematici.<br />

Is apici auratam pilam ad<strong>di</strong>tit, cujus vertice<br />

umbra colligeretur in se ipsam, alias enormiter jaculante<br />

apice, ratione, ut ferunt, a capite hominis<br />

intellecta. Haec observatio XXX iam fere annis non<br />

congruit, sive solis ipsius <strong>di</strong>ssono cursus et caeli<br />

aliqua ratione mutato sive universa tellure a centro<br />

suo aliquid emota (ut deprehen<strong>di</strong> et aliis in locis<br />

accipio) sive urbis tremoribus ibi tantum gnomone<br />

intorto sive inundationibus Tiberis se<strong>di</strong>mento<br />

molis facto, quanquam ad altitu<strong>di</strong>nem inpositi<br />

oneris in terram quoque <strong>di</strong>cuntur acta fundamenta".<br />

La corrispondente traduzione in francese è:<br />

"Le <strong>di</strong>vin Auguste donna à celui qui est au Champ<br />

de Mars la fonction remarquable de marquer les<br />

ombres projetées par le soleil et de déterminer<br />

ainsi la longueur des jours et des nuoits. Il fit exécuter<br />

un dallage proportionnel à la longueur de<br />

l'obélisque de facon que l'ombre, à la siexième<br />

heure du solstice, d'hiver égalàt la longueur du<br />

dallage, ensuite, peu à peu, décrùt, puis augmentàt<br />

jour après jour en passant par des réglettes de<br />

bronze incrustées, système qui mérite d'étre connu<br />

et qui est dù au génie inventif du mathématicien<br />

Facundus Novius. Celui-ci fin encore placer sur la<br />

pointe de l'obélisque une boule dorée dont l'ombre<br />

du sommet se ramassàt sur elle-mème, autrement<br />

la point proietait une ombre démesurée. Il avait<br />

pris' <strong>di</strong>t-on, pour principe la tète humaine...".<br />

Il commento delle "Belles Lettres" al passo <strong>di</strong><br />

Plinio:<br />

"En 10 av. J.-C., Auguste dé<strong>di</strong>a cet obélisque au<br />

soleil et en fit l'aiguille d'un cadran solaire constitué<br />

par un pavement de marbre <strong>di</strong>sposé au pied de<br />

l'obélisque. Des lignes dorées, incrustées dans le<br />

marbre, in<strong>di</strong>quaient mi<strong>di</strong> aux <strong>di</strong>fférentes saisons<br />

de l'année. Des fragments du pavement avec les<br />

lignes dorées, ainsi que des fugures exécutées en<br />

mosaique et rapreésentant les vents et les corps<br />

célestes, furent mis au jour à la fin du XV° siècle et<br />

au cours du XVI° siécle. Ils ont été recouverts par<br />

la suite. L'bélisque lui-mème fut dégagé et redressé<br />

au XVIII° siécle; il se trouve aujourd'hui Piazza<br />

Montecitorio", e dopo alcuni riferimenti bibliografici<br />

aggiunge Soubiran "On ne sait rien sur<br />

Facundus Novius, en dehors de la notice de Pline".<br />

Notificando che nulla si sa su questo ignoto<br />

Facondo Novio all'infuori della notizia <strong>di</strong> Plinio.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

55


CHI ERA FECONDO NUOVO ?<br />

Ma forse sarebbe meglio <strong>di</strong>re che nulla si sa <strong>di</strong><br />

questo ignoto matematico all'infuori del suo nome<br />

arbitrariamente o volutamente introdotto nelle<br />

traduzioni. Ma c'è <strong>di</strong> più: nella "<strong>Storia</strong> Naturale" <strong>di</strong><br />

Plinio pubblicata da Einau<strong>di</strong>, da cui abbiamo tratto<br />

la versione italiana del passo che ci interessa,<br />

riportata precedentemente in questo testo,<br />

Facondo Novio viene ad<strong>di</strong>rittura presentato come<br />

se fosse un personaggio a tutti ben noto:<br />

"Matematico ideatore <strong>dell'orologio</strong> <strong>solare</strong> in Campo<br />

Marzio promosso da Augusto intorno al 10 a.C.: probabilmente<br />

a lui si deve la reinterpretazione dello gnomone<br />

in chiave urbanistica e l'idea <strong>di</strong> adottare un<br />

obelisco a un tempo come asta dello gnomone e perno<br />

spaziale della piazza a<strong>di</strong>bita a orologio <strong>solare</strong>". E per<br />

fortuna che in una nota al testo venga detto che<br />

"Facondo Novio è altrimenti sconosciuto", se no<br />

per questo scritto <strong>di</strong> Plinio.<br />

Se tra cinquecento anni andassero perduti tutti i<br />

co<strong>di</strong>ci della "<strong>Storia</strong> Naturale" <strong>di</strong> Plinio e si salvasse<br />

solo questa traduzione della Einau<strong>di</strong>, probabilmente<br />

Facondo Novio, da illustre personaggio<br />

sconosciuto, godrebbe tra i futuri stu<strong>di</strong>osi, <strong>di</strong> una<br />

fama (gratuita) al pari degli enciclope<strong>di</strong>sti romani.<br />

E' anche da annotare che se nelle note al testo ufficiale<br />

delle "Belles Lettres" sono state riportate con<br />

zelante precisione le corrispondenti parole trovate<br />

nei co<strong>di</strong>ci antichi consultati, nessun riferimento,<br />

invece, è stato dato sul termine Facundus Novius.<br />

Infatti, ecco le annotazioni al testo delle Belles<br />

Lettres, relative al capitolo 10 che abbiamo trascritto<br />

dall'originale:<br />

"ac noctium; ac noetium; anno etium; longitu<strong>di</strong>nem;<br />

magnitu-; fieret; -re; umbra brumae;<br />

umbrarumae; -rum romae; decresceret; -scere;<br />

novi; non; mathematici is; ticis; thici; in se; ipse; in;<br />

ipsam; ipsa".<br />

61 In Orologi le Misure del tempo, n. 12, ottobre 1988, Ed. Technime<strong>di</strong>a, Roma.<br />

62 Dell'obelisco <strong>di</strong> Cesare Augusto, Roma 1750<br />

Si tratta naturalmente <strong>di</strong> parole ricavate da <strong>di</strong>verse<br />

versioni antiche dei co<strong>di</strong>ci dell'opera <strong>di</strong> Plinio. Ma,<br />

come si vede, nulla si ricava sulla giustificazione<br />

dell'adozione del termine "Facun<strong>di</strong> Novi".<br />

Come si può vedere dai testi trascritti prima, nel<br />

co<strong>di</strong>ce fiorentino Riccar<strong>di</strong>ano (X-XI secolo) è riportato<br />

il nome "Facun<strong>di</strong>n' L.", dove L. potrebbe significare<br />

"Liberti", ma nulla <strong>di</strong>ce l'autore, e il commentatore,<br />

su questo ignoto personaggio; mentre<br />

nei due Ambrosiani (e in un altro detto Principe<br />

e<strong>di</strong>tione), peraltro non citati nelle Belles Lettres, è<br />

<strong>di</strong>stintamente riportato "Manilius Mathematicus".<br />

Nei co<strong>di</strong>ci Vaticani 1951. 1952, 1957, citati da<br />

Rezzonici, si legge "foecundo ingenio", mentre<br />

Harduino cita altri co<strong>di</strong>ci che riportano "ingenii<br />

majestate, ingenii magnitu<strong>di</strong>ne, ingenii non importuni,<br />

sagacis ingenii, ingenio audaci", e via <strong>di</strong>cendo.<br />

D'altra parte anche autorevoli stu<strong>di</strong>osi moderni <strong>di</strong><br />

gnomonica si fanno meraviglia chiedendosi chi<br />

possa essere questo eterno sconosciuto, denominato<br />

Facondo Novio, così come giustamente fa<br />

l'Ammiraglio Fantoni nel suo eccellente articolo La<br />

meri<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> Augusto 61 . Egli ipotizza, inoltre, che<br />

possa trattarsi <strong>di</strong> un autore greco sconosciuto e<br />

latinizzato con questo nome per esaltare la <strong>di</strong>vinizzazione<br />

imperiale.<br />

Più propenso sarei per l'identificazione con il celebre<br />

romano Manilio, visse proprio al tempo <strong>di</strong><br />

Augusto, autore del "Poema Astronomicon". Dello<br />

stesso parere furono il Vossio e Albertus Fabricius.<br />

Anche il Ban<strong>di</strong>ni 62 riporta il nome <strong>di</strong> Manlio<br />

matematico, come è in<strong>di</strong>cato nell'Enciclope<strong>di</strong>a<br />

Popolare, alla voce gnomone, del 1846. Ma,<br />

purtroppo, è <strong>di</strong>fficile oggi stabilire con precisione<br />

quale doveva essere il passo originale, dopo tutte<br />

le mo<strong>di</strong>fiche apportate dagli amanuensi nei co<strong>di</strong>ci<br />

antichi.<br />

In ultimo, non è da tenere a conto anche un certo<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

56


Epigene <strong>di</strong> Bisante che, secondo Seneca 63 , si <strong>di</strong>stinse<br />

proprio al tempo <strong>di</strong> Augusto come un affermato<br />

stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> Gnomonica dopo essersi formato<br />

presso la scuola caldea, per cui fu soprannominato<br />

63 Questioni naturali, Lib. VII, cap. 3<br />

Epigene Gnomonico. Ciò potrebbe, inoltre, spiegare<br />

anche il perchè furono adottati i nomi greci<br />

per abbellire le in<strong>di</strong>cazioni della linea meri<strong>di</strong>ana <strong>di</strong><br />

bronzo ricavata nell'antico pavimento.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

57


INTERPRETAZIONE DELLA<br />

VERSIONE DI LA TURRE REZZONICI<br />

(VERS. 4)<br />

Cercheremo ora <strong>di</strong> rendere alcune osservazioni<br />

fatte da La Turre Rezzonici nella sua opera relativamente<br />

ad alcuni importanti passi da lui stesso<br />

emendati.<br />

Ei, qui est in Campo(1) Divus Augustus(2) ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t<br />

mirabilem usum(3) ad deprehendendas Solis<br />

umbras, <strong>di</strong>erumque ac noctium horas(4), magnitu<strong>di</strong>ne<br />

strato lapide ad magnitu<strong>di</strong>nem Obelisci(5),<br />

cui par fieret(6) umbra brumae confectae <strong>di</strong>e, sextam<br />

hora(7); paulatimque per regulas, quae sunt<br />

ex aere inclusae, singulis <strong>di</strong>ebus decresceret, ac<br />

rursus augesceret(8). Digna cognitu res et ingenio<br />

foecundo Manlii Mathematici(9). Is apici(10)<br />

auratam pilam ad<strong>di</strong>tit, cujus vertice umbra(11) colligeretur<br />

in se ipsam(12), alia enormiter incrementa<br />

jaculante apice: ratione, ut ferunt, a capite<br />

hominis intellectam(13)".<br />

1) Si tratta del Campo Martio, citato poco prima<br />

dallo stesso Plinio.<br />

2) Nel co<strong>di</strong>ce Riccar<strong>di</strong>ano appare D. nel modo in<br />

cui i Romani usavano scrivere il prenome e quin<strong>di</strong><br />

"Divus" in questo caso.<br />

3) L'uso mirabile <strong>dell'obelisco</strong> deve essere quello<br />

<strong>di</strong> destinarlo non solo a gnomone <strong>di</strong> una linea<br />

meri<strong>di</strong>ana, ma <strong>di</strong> un gigantesco orologio <strong>solare</strong> e<br />

calendario gnomonico: "Quod velim adnotares, est<br />

usus mirabilis deprehenden<strong>di</strong>s Solis umbris,<br />

<strong>di</strong>erum, et noctium horis adjectum, ut omnibus<br />

perpensis emergat sciothericum horologium a<br />

Plinio describi, non unice lineam illam, quam<br />

Neoterici meri<strong>di</strong>anam vocant..." D'altra parte già il<br />

Masi e il Kircher, erano dell'opinione che l'obelisco<br />

gnomone era destinato per un intero orologio<br />

<strong>solare</strong>-calendario e ciò è ben visibile nell'eccellente<br />

<strong>di</strong>segno effettuato da Kircher nel suo libro<br />

"Obeliscus Pamphilius" (fig.32).<br />

4) <strong>di</strong>erumque ac noctium horas.<br />

Si trova nei co<strong>di</strong>ci Ambrosiani, in tutti i co<strong>di</strong>ci<br />

Politiani, nei Vaticani nn° 1951 e 1953, e presso<br />

Aleriensis Episcopi, Beroal<strong>di</strong>, Dalecampii ed altri<br />

co<strong>di</strong>ci. "Dierum ac noctium" si trova invece nei<br />

co<strong>di</strong>ci Vaticani 1950. 1952. 1954. 1955. e lo stesso si<br />

legge in Flavus Blondus (Rom. instaurat. lib. II,<br />

num. LXXV - Ban<strong>di</strong>ni. Praefat. pag. XVIII).<br />

Aleriensis Episcopus scrive: "<strong>di</strong>erumque ac noctium<br />

magnitu<strong>di</strong>nes: strato lapide ad Obelisci magnitu<strong>di</strong>nem";<br />

mentre Dalencampius emenda in:<br />

"<strong>di</strong>erum que ac noctium magnitu<strong>di</strong>nes etiam, ac horas<br />

strato lapide ad Obelisci magnitu<strong>di</strong>nem, cui par fieret<br />

umbrarum ejectus, paulatimque, etc." (e<strong>di</strong>zione Hack,<br />

sec. XVIII, tomo III, p. 650). Weidler infine riporta:<br />

"strato lapide ad umbrae Obelisci magnitu<strong>di</strong>nem,<br />

cui par fieret umbra, bruma confecta fere hora sexta"<br />

(Consul. epistol. Weidler. ad Marinon. apud<br />

Ban<strong>di</strong>nium num X fol. LX).<br />

5) Obelisci.<br />

Qui nasce la questione se Plinio intendesse un<br />

orologio <strong>solare</strong> completo <strong>di</strong> linee orarie o se l'obelisco<br />

fosse lo gnomone per la sola linea meri<strong>di</strong>ana<br />

del mezzogiorno. Per Harduino, Plinio non<br />

scrive "horarum" (nullam horarum mentionem fecisse<br />

Plinium praeter unicam horam sextam) per in<strong>di</strong>care<br />

un orologio. Ma per Marinonius, Maffejus,<br />

Muratore, Bosium, Wolfium, Heinsiumque, ed<br />

altri, Plinio intendeva con "horam", od "horarum"<br />

proprio un orologio <strong>solare</strong> completo. D'altra parte,<br />

se con "<strong>di</strong>erumque ac noctium ita magnitu<strong>di</strong>nes",<br />

Plinio intendeva parlare <strong>di</strong> una costruzione che<br />

in<strong>di</strong>casse in senso calendariale la durata dei giorni<br />

e delle notti in tutto l'anno, ciò poteva farsi solo<br />

attraverso le linee ipotizzate da Buchner nel suo<br />

stu<strong>di</strong>o, <strong>di</strong>sposte trasversalmente sulle rette orarie.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

58


6) Par fieret.<br />

Tutti d'accordo su questo passo in cui si <strong>di</strong>ce che il<br />

pavimento doveva essere grande per l'equivalente<br />

lunghezza dell'ombra dello gnomone nel giorno<br />

del solstizio invernale, all'ora Sesta. Zieglero e<br />

Dalecampio si presero lo scomodo <strong>di</strong> calcolare<br />

questa grandezza, considerando alla latitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

Roma e nel giorno del solstizio estivo, nell'ora<br />

Sesta, un obelisco <strong>di</strong> cubiti 48 e 3/4 gettava un'ombra<br />

pari alla nona parte della sua altezza, cioè pari<br />

a 43 cubiti, 1/4 e 10/12.<br />

7) Sexta hora.<br />

In Episcopus Aleriensis, manoscritti del 1470 e<br />

1472, si legge "cui par fieret umbrarum Romae confecto<br />

<strong>di</strong>e sexta hora", ma il Hermolai Barbari, in<br />

Castigationes Plinianae, nel 1473, corregge in<br />

umbra, alla quale segue decresceret et augesceret.<br />

Il co<strong>di</strong>ce Riccar<strong>di</strong>ano riporta: "umbrarum et confecte<br />

<strong>di</strong>e hora sexta";<br />

l'Ambrosiano I.: "cui par fieri umbrarum effectus <strong>di</strong>es<br />

et horas";<br />

il Laurentianus e Vaticanus 1951: "Umbrarum<br />

Romae confecto <strong>di</strong>e".<br />

Il Vaticanus 1559, e il Palatino: "Romae umbrarum<br />

confecto <strong>di</strong>e".<br />

Il Co<strong>di</strong>ce A, o I. Politianus: "Umbra Romae confecto<br />

<strong>di</strong>e".<br />

Il Co<strong>di</strong>ce B, o II. : "umbra tum Romae".<br />

In Rezzonici ed in Salmasio, vi è una notevole <strong>di</strong>ssertazione<br />

eru<strong>di</strong>ta su questo passo <strong>di</strong> Plinio.<br />

Trattandosi <strong>di</strong> un orologio <strong>solare</strong> e riferendosi<br />

Plinio alla lunghezza dell'ombra <strong>dell'obelisco</strong> al<br />

mezzogiorno del solstizio invernale, gli autori<br />

hanno pensato bene <strong>di</strong> emendare il passo riportato<br />

degli antichi co<strong>di</strong>ci, come "Umbra Romae confecto<br />

<strong>di</strong>e", che non ha senso, nel modo in cui suggerisce<br />

anche Salmasio e Scaligero:<br />

"ad deprehendendas solis umbras, Brumae<br />

confecta <strong>di</strong>ei, hora sexta".<br />

Salmasio fa notare che anche Manilio, nel terzo<br />

libro (sicuramente parla del Poema Astronomicon)<br />

usa il termine "Brumae sidus". Infatti, è facile<br />

credere che il termine "Brumae" sia stato trasformato<br />

in "Romae".<br />

La frase "Brumae confecta <strong>di</strong>e", però non corrisponde<br />

al modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re degli scrittori antichi<br />

quando parlavano del solstizio invernale. Infatti,<br />

in Vitruvio si legge "<strong>di</strong>es brumalis", e non "<strong>di</strong>es<br />

Brumae confectae"; Manilio scrive: "Ternis fuerit si<br />

longior horis Brumali nox forte <strong>di</strong>e...". Ed anche qui si<br />

legge "brumali <strong>di</strong>e", e non "brumae confectae".<br />

Nell'antichissimo co<strong>di</strong>ce Politiani, si legge "rume",<br />

che appartiene senz'altro alla parola "brume".<br />

Volendo proprio mescolare le varie citazioni, si<br />

potrebbe anche scrivere, come suggerisce<br />

Scipionis Maffei (Cit. epist. ad Ban<strong>di</strong>n. fol. XLV): "cui<br />

par fieret umbra Romae brumali <strong>di</strong>e sexta hora", riferendosi<br />

più precisamente al giorno del solstizio<br />

invernale <strong>di</strong> Roma. Ma siccome Plinio parla già<br />

<strong>dell'obelisco</strong> situato nel Campo marzio, è evidente<br />

che sarebbe stato superfluo scrivere anche<br />

"Romae".<br />

8) Ac rursus augesceret.<br />

Per questa frase le <strong>di</strong>fferenze fra i vari co<strong>di</strong>ci sono<br />

molto contenute. Essa comunque si riferisce all'andamento<br />

della durata dei giorni la quale cresce e<br />

decresce nel corso dell'anno.<br />

9) Ingenio foecundo Manilii Mathematici.<br />

Si veda il paragrafo "Chi era Fecondo Novo?".<br />

10) - 11) - 12) -13) Is apici... Cuius vertice umbra...colligeretur<br />

in se ipsa...intellecta.<br />

Nei co<strong>di</strong>ci vaticani citati da Rezzonici con i numeri<br />

1950. 1952. 1955. 1957, si legge "cujus vertice cum<br />

umbra".<br />

Il Pigafetta descrive il globo che sarebbe stato<br />

posto sulla sommità <strong>dell'obelisco</strong>: "E questo pomo <strong>di</strong><br />

rame finissimo, e coperto <strong>di</strong> fogli d'oro... non è mescolato<br />

l'oro col metallo, ma sopraposto, ed il rame è dorato<br />

con molte coperte e lame d'oro". Sembra che anche<br />

Ammiano Marcellino parlasse <strong>di</strong> sfere sovrapposte<br />

ad obelischi, come riporta Rezzonici: "...quanquam<br />

non ignorem Ammiani Marcellini verba, ex quibus colligunt<br />

Eru<strong>di</strong>ti aliorum etiam Obeliscorum vertici pilam<br />

fuisse impositam, eamquae aeneam, auro circumductam:<br />

"Sphaera superimponitur ahenea, aureis laminis<br />

nitens" (Lib. XVII.4.)<br />

Anche Montucla si esprime a tal riguardo scrivendo,<br />

ma evidenziando che il matematico Manlio<br />

aveva <strong>di</strong>sposto il globo sull'obelisco non per la rassomiglianza<br />

alla testa umana, ma per meglio convogliare<br />

sull'orologio il punto gnomonico <strong>di</strong><br />

proiezione: "Le mathematicien Manlius qui <strong>di</strong>rigea cet<br />

ouvrage, termina l'obeliscque par un globe, non pour<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

59


lui donner de la ressemblance avec la figure humaine,<br />

come le <strong>di</strong>t Pline souvent peu heurex dans ses coniectures,<br />

mais asin que le sommet de l'obélisque étant censé<br />

au centre de ce globe, le milieu, de l'ombre, qu' il projetteroit,<br />

designàt la hauteur du centre du Soleil".<br />

Il co<strong>di</strong>ce Dalecampii (e<strong>di</strong>zione Hack, tomo III, p.<br />

650), riporta: "an pilam sic imposuerit, ut extaret tota<br />

humani capitis similitu<strong>di</strong>ne", che è quanto riportato<br />

anche nelle versioni moderne. Si sbagliava, quin<strong>di</strong>,<br />

Montucla nel suggerire la "ressemblance avec la figure<br />

humaine", in quanto il globo sull'obelisco doveva<br />

rassomigliare proprio ad una testa umana<br />

(intellecta).<br />

Dopo la descrizione <strong>dell'orologio</strong>, Plinio, scrive<br />

che le in<strong>di</strong>cazioni orarie non sono più atten<strong>di</strong>bili e<br />

per spiegarne le ragioni ricorre a varie cause naturali,<br />

tra cui un presunto errore del cammino del<br />

sole, uno spostamento dell'asse terrestre (!), inondazioni<br />

e terremoti. Il passo ufficiale è quello delle<br />

"Belles Lettres":<br />

Haec observatio XXX iam fere annis non congruit, sive<br />

solis ipsius <strong>di</strong>ssono cursu et caeli aliqua ratione mutato<br />

sive universa tellure a centro suo aliquid emota (ut deprehen<strong>di</strong><br />

et aliis in locis accipio) sive urbis tremoribus ibi<br />

tantum gnomone intorto sive inundationibus Tiberis<br />

se<strong>di</strong>mento molis facto, quamquam ad altitu<strong>di</strong>nem<br />

inpositi oneris in terram quoque <strong>di</strong>cuntur acta fundamenta.<br />

La cui traduzione francese è:<br />

Les données de l'observation initiale ne sont plus valables<br />

depuis environ trente ans; c'est que ou bien la<br />

course du soleil lui-meme est <strong>di</strong>fferente et a changé pour<br />

quelque raison due à l'économie céleste; ou bien la terre<br />

entièere s'est un peu dèplacée par rapport à son propre<br />

centre (et j'apprends qu'en d'autres lieux aussi on l'a<br />

observé); ou bien les secousses particuliérs ressentier à<br />

Rome ont tordu le gnomon; ou bien enfin les inondations<br />

du Tibre ont produit un affaissement de la masse,<br />

bien que, <strong>di</strong>t-on, l'on ait poussé aussi les fondations en<br />

terre à proportion de la hauteur de la charge imposée.<br />

Il Co<strong>di</strong>ce Riccar<strong>di</strong>ano recita:<br />

Haec deservatio XXX iam fere annis non congruit sive<br />

solis ipsius <strong>di</strong>ssono cursu, et caeli aliqua ratione mutato,<br />

sive universa tellure a centro suo aliquid emota (ut<br />

deprehen<strong>di</strong> et aliis in locis accipio) sive urbis tremoribus<br />

ibi tantum gnomone intorto, sive inundationibus<br />

Tiberis se<strong>di</strong>mento molis facto quamquam ad actitu<strong>di</strong>nem<br />

impositione res in terram quoque <strong>di</strong>cuntur<br />

acta fundamenta<br />

Co<strong>di</strong>ce I. Ambrosiano:<br />

Haec <strong>di</strong>es XXX. iam fere annis non congruit, sive solis<br />

ipsius <strong>di</strong>ssono cursu et caeli aliqua ratione mutato sive<br />

universa tellure a centro suo emota (ut deprehen<strong>di</strong> et<br />

aliis in locis accipio) sive urbis tremoribus ibi tantum<br />

gnomone intorto sive inundationibus Tiberis et imenso<br />

facto mol' q q,aptitu<strong>di</strong>nem inpositione intraris quoque<br />

<strong>di</strong>cuntur iacta fundamenta.<br />

Co<strong>di</strong>ce II. Ambrosiano:<br />

Haec observatio XXX. iam fere annis non congruit,<br />

sive solis ipsius <strong>di</strong>ssono cursu et caeli aliqua ratione<br />

mutato sive universa tellure a centro suo emota (ut deprehen<strong>di</strong><br />

et aliis in locis accipio) sive urbis tremoribus ibi<br />

tantum gnomone intorto sive inundationibus Tiberis<br />

se<strong>di</strong>mento facto molis qq. aptitu<strong>di</strong>nem inpositione<br />

interra quoque <strong>di</strong>cuntur iacta fundamenta.<br />

Il termine <strong>di</strong>erum observatio, compare in molti co<strong>di</strong>ci<br />

antichi e nn si capisce per quale ragione la parola<br />

<strong>di</strong>erum sia stata abolita. In ogni caso essa vuole<br />

in<strong>di</strong>care.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

60


fig. 32 L’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto come immaginato da Kircher (da Obeliscus<br />

Phamphilius, 1650)<br />

fig. 33 L’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Augusto come immaginato da Padre Giovanni Boffito e <strong>di</strong>segnato<br />

da Padre Giovanni De Bernard barnabita in “La Bibliofilia”, <strong>di</strong>cembre 1937 p. 465<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

61


fig. 34 Il frontespizio del più ampio e importante trattato sulla storia dell’obelisco <strong>di</strong> Cesare<br />

Augusto in Campo Marzio, scritto da Angelo Maria Ban<strong>di</strong>ni e pubblicato nel 1750, due anni<br />

dopo l’innalzamento del monolito.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

62


L’OBELISCO-GNOMONE<br />

DI AUGUSTO<br />

<strong>di</strong> Padre Giuseppe Boffito 64<br />

Molta importanza avrebbe potuto avere nella storia<br />

dell'astronomia e della cronografia l'obeliscognomone<br />

<strong>di</strong> Augusto, se fosse durato più a lungo<br />

nell'uffizio a cui era stato principalmente destinato.<br />

Con l'esatta determinazione infatti degli<br />

equinozi e dei solstizi avrebbe potuto servire <strong>di</strong><br />

perpetuo controllo al calendario <strong>di</strong> recente riformato,<br />

risparmiando il <strong>di</strong>ssesto secolare che doveva<br />

rendere necessaria nel Cinquecento la riforma<br />

Gregoriana. L'obelisco rimane, ed è quello <strong>di</strong><br />

Montecitorio, uno dei due obelischi per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

Augusto asportati dall'Egitto, ma lo scopo, per cui<br />

era stato collocato nel Campo Marzio, venne meno<br />

non molto tempo dopo, quando forse non era<br />

ancora trascorso il mezzo secolo dal suo innalzamento.<br />

Plinio è degli scrittori antichi quello che meglio ci<br />

informa nella sua Historia, XXXVI, 10 (15), <strong>di</strong> questa<br />

degna opera <strong>di</strong> Augusto, ma presentando il<br />

passo qualche <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> lettura e d'interpretazione,<br />

ho creduto bene <strong>di</strong> ricorrere al vetusto<br />

co<strong>di</strong>ce pliniano della Biblioteca Riccar<strong>di</strong>ana (sec.<br />

X.XI) 65 , trascrivendovelo esattamente e aggiungendo<br />

quella che secondo me dovrebbe essere<br />

fedele traduzione.<br />

"Ei (obelisco) qui est in campo, Augustus ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t<br />

mirabilem usum ad deprehendendas solis imbras<br />

<strong>di</strong>erumque ac (testo: an) noctium ita magnitu<strong>di</strong>nes<br />

strato lapide ad magnitu<strong>di</strong>nem obelisci, cui par<br />

fieret (t.: fiere) umbrarum et confectae <strong>di</strong>e (al:<br />

umbra brumae confectae <strong>di</strong>e) sexta hora paulatimque<br />

per regulas quae sunt ex aere inclusae sin-<br />

gulis <strong>di</strong>ebus decresceret (t.: decrescere) ac rursus<br />

augesceret. Digna cognitu res ingenio Facun<strong>di</strong>ni<br />

(t.: facun<strong>di</strong>n; al. Facun<strong>di</strong>, Facun<strong>di</strong> Novi; Facien<strong>di</strong><br />

non cod Laurenziano; foecundo Manlius; & c). L.<br />

(Liberti) mathematici (t.: mathematic). Is apici<br />

auratam pilam ad<strong>di</strong><strong>di</strong>t, cuius vertice umbra colligeretur<br />

in se ipsa; alias enormiter iaculante apice,<br />

ratione, ut ferunt, a capite hominis intellecta. Haec<br />

deservatio (al. observatio) XXX iam fere annis non<br />

congruit, sive solis opsius <strong>di</strong>ssono cursu et coeli<br />

aliqua ratione mutato (t.: relato) sive universa tellure<br />

a centro suo aliquid emota, ut deprehen<strong>di</strong> et<br />

aliis (t.: alis) in locis accipio, sive urbis tremoribus<br />

ibi tantum gnomone intorto sive inundationibus<br />

Tyberis se<strong>di</strong>mento molis facto, quamquam ad altitu<strong>di</strong>nem<br />

(t.: actitu<strong>di</strong>ne) impositione res (al. ad altitu<strong>di</strong>nem<br />

impositi oneris) in terra quoque <strong>di</strong>cuntur<br />

acta fundamenta".<br />

Segue la traduzione in italiano che pochissimo si<br />

<strong>di</strong>scosta da quelle già riportate. Il commento <strong>di</strong><br />

Boffito al testo pliniano è il seguente:<br />

"Il passo è irrime<strong>di</strong>abilmente corrotto qua e là, ma<br />

non sì da nascondere del tutto il significato.<br />

Esaminiamolo particolarmente, cominciando dall'autore<br />

dell'impresa. Che sia stato Augusto a volerla<br />

è fuor <strong>di</strong> dubbio. Alcunchè <strong>di</strong> simile aveva<br />

potuto forse vedere a Sira, o ad Atene o altrove. La<br />

conoscenza dell'astronomia era abituale nella<br />

famiglia Cesarea: Giulio Cesare aveva scritto un<br />

trattato De astris, citato da astronomi <strong>di</strong> professione,<br />

come Tolomeo e Germanico tradusse Arato.<br />

Augusto a sua volta ci teneva ad ornare le sue<br />

64 Questo articolo venne pubblicato nella rivista "La Bibliofilia" del <strong>di</strong>cembre 1937. Come è evidente, il padre Boffito era convinto<br />

che l'obelisco fosse lo gnomone per la sola linea meri<strong>di</strong>ana calendariale e non per un intero orologio <strong>solare</strong>. Noi abbiamo<br />

deciso <strong>di</strong> trascrivere le parti più importanti <strong>di</strong> questo articolo perchè in linea con il tipo <strong>di</strong> ricerche e considerazioni storiche proposte<br />

in questo volume, e anche perchè la rivista è ormai consultabile solo nelle gran<strong>di</strong> biblioteche.<br />

65 Si tratta dello stesso co<strong>di</strong>ce Riccar<strong>di</strong>ano citato da Rezzonici e del quale abbiamo riportato numerosi stralci.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

63


monete e gemme del segno <strong>di</strong> Capricorno, sotto il<br />

quale, se non nato, era stato concepito. Un collaboratore<br />

peraltro aveva avuto nell'impresa: un certo<br />

Facon<strong>di</strong>no o Facondo Novo, forse liberto (se l'abbreviazione<br />

"L." va interpretata così). Come Cesare<br />

nella riforma del calendario s'era associato il greco<br />

Sosigene, così Augusto aveva preposto ai lavori<br />

questo matematico: fosse greco o latino non importa<br />

qui definire, sebbene il nome sembri rivelarlo<br />

per romano. Ma quele era l'uso, che Plinio esalta<br />

come "mirabile", a cui l'obelisco era stato adattato?<br />

Forse quello d'un volgare orologio <strong>solare</strong>? Gli<br />

orologi solari erano <strong>di</strong>venuti comunissimi in<br />

Roma....(...)....Doveva essere quin<strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong><br />

più e <strong>di</strong> meglio per venir detto "mirabile". Già, l'accenno<br />

iniziale al solstizio d'inverno, quando l'ombra<br />

meri<strong>di</strong>ana doveva essere due volte e un quinto<br />

più lunga dell'altezza <strong>dell'obelisco</strong>, farebbe escludere<br />

per sè che si trattasse d'un comune quadrante<br />

<strong>solare</strong>. Si aggiunge poi la descrizione del lastrico <strong>di</strong><br />

marmo intersecato da regoli <strong>di</strong> bronzo, lastrico che<br />

si prolungava solo in un senso o <strong>di</strong>rezione e non<br />

tutto all'intorno, come sarebbe stato necessario se<br />

l'obelisco avesse dovuto far da gnomone o stilo<br />

d'orologio <strong>solare</strong>. Per l'esattezza poi dell'osservazione<br />

scientifica si noti l'accorgimento adoperato<br />

dal matematico augusteo, la sostituzione cioè<br />

alla cuspide, che con la sua penombra avrebbe<br />

potuto facilmente trarre in inganno, d'un globo<br />

aureo il cui centro d'ombra o linea centrale doveva<br />

coincidere col punto preciso della linea meri<strong>di</strong>ana<br />

dov'erano segnati i solstizi e gli equinozi.<br />

La ricostruzione che io ne ho tentata......"<br />

L'autore informa che ha adottato, per il suo <strong>di</strong>segno<br />

effettuato dal padre Giovanni De Bernard barnabita,<br />

le misure fornite dal testo <strong>di</strong> Giacomo Stuart<br />

e O. Marucchi ed è quello visibile nella fig. 33.<br />

Inoltre, in una nota riporta le sue considerazioni<br />

contro le teorie <strong>di</strong> Kircher e Masi:<br />

" Volendo farsi ragione dell'interpretazione<br />

erronea data al testo <strong>di</strong> Plinio da Atanasio Kircher<br />

(Obeliscus Pamphilius, pag. 80, Roma, L. Grignani,<br />

1650) da Giacomo Masi (e forse da qualche altro) i<br />

quali ci vedono un comune orologio <strong>solare</strong>,<br />

sebbene più gigantesco, converrà ricordare che <strong>di</strong><br />

fatto in alcuni scavi fatti sul principio del<br />

Cinquecento in Campo Marzio vennero alla luce<br />

alcuni avanzi <strong>di</strong> un quadrante <strong>solare</strong>, non appartenenti<br />

però al gnomone augusteo. Accanto a questo,<br />

o più o meno <strong>di</strong>scosto da questo, che non dava<br />

l'ora che a mezzogiorno, era una necessità ci fossero<br />

dei veri orologi in quella località così frequentata...".<br />

Naturalmente, si tratta della scoperta riportata<br />

nella nostra citazione n° 2, cioè i frammenti <strong>dell'orologio</strong><br />

<strong>solare</strong> orizzontale con la scritta "Boreas<br />

Spirat".<br />

Come già si è detto, nell'antichità, soprattutto nell'ambito<br />

<strong>di</strong> un progetto topografico, sebbene <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni imperiali quale quello che Augusto riservò<br />

al Campo Marzio, non vi era necessità <strong>di</strong><br />

avere a <strong>di</strong>sposizione orologi precisissimi adatti a<br />

verificare i solstizi e gli equinozi e l'obliquità dell'eclittica,<br />

come invece fu fatto nel Rinascimento.<br />

L'ambizioso progetto <strong>di</strong> realizzare un enorme<br />

orologio <strong>solare</strong>, completo almeno delle sue parti<br />

essenziali, può benissimo rientrare nel desiderio<br />

dell'imperatore <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care al Sole, come già avevano<br />

fatto gli Egiziani, la piazza del Campo<br />

Marzio e l'obelisco.<br />

E' inverosimile quin<strong>di</strong> che l'imperatore abbia<br />

approvato <strong>di</strong> far realizzare solo una linea meri<strong>di</strong>ana,<br />

sebbene questa sia la principale in un orologio<br />

<strong>solare</strong> sulla quale è possibile ricavare dati calendariali,<br />

e non i un progetto più gran<strong>di</strong>oso, come<br />

appunto quello <strong>di</strong> realizzare ciò che sembra impossibile:<br />

ovvero un intero orologio <strong>solare</strong> dalle<br />

<strong>di</strong>mensioni eccezionali. E' pur vero che se si considerano<br />

anche le linee orarie estremme, la 1 e la 11<br />

temporaria, si dovette ricorrere ad un pavimento<br />

largo circa mezzo chilometro (!), sul quale è<br />

alquanto <strong>di</strong>fficile andare (proprio nel senso del<br />

movimento) a leggere l'ora verificando la<br />

posizione del vertice d'ombra <strong>dell'obelisco</strong>.<br />

L'ipotesi però <strong>di</strong> Buchner che prevede un orologio<br />

senza le suddette linee orarie, riduce <strong>di</strong> molto<br />

questo inconveniente. Ma, come si è visto, a<br />

Kircher, al Masi e agli altri che perseguirono l'idea<br />

<strong>di</strong> un intero orologio <strong>solare</strong>, è stata resa giustizia<br />

dagli stessi scavi archeologici.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

64


L’ALTEZZA DELL’OBELISCO<br />

L'altezza <strong>dell'obelisco</strong> <strong>di</strong> Psammetico II è un altro<br />

rebus sul quale sono stati scritti paragrafi rompicapo<br />

sulla base <strong>di</strong> varie interpretazioni non solo<br />

del testo pliniano, ma anche <strong>di</strong> vari altri riferimenti.<br />

Ve<strong>di</strong>amo gli autori moderni cosa propongono in<br />

merito :<br />

FONTE misure altezza obelisco<br />

Fantoni G.: La meri<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> Augusto, Orologi. Le misure del tempo,<br />

Technime<strong>di</strong>a, Roma, 1988 29.42 metri<br />

Habachi L., I segreti degli obelischi, newton compton, Roma, 1978 metri 21,79 - pie<strong>di</strong> 71,50<br />

Ravaglioli A., Questa è Roma, TEN, Roma, 1994 metri 21,791 - con basamento e<br />

puntale : metri 33,272<br />

Orlando-Castellano C.,Frammenti <strong>dell'obelisco</strong> <strong>di</strong> Montecitorio, L'Urbe, n.5, 1964 metri 21.80 - con il pie<strong>di</strong>stallo e<br />

il globo e la cuspide : metri 29.<br />

Buchner E. Altezza originale : mt.29,42 - pie<strong>di</strong><br />

romani 100<br />

Come si vede già da questa breve lista, le misure<br />

sono in alcuni autori piuttosto approssimative.<br />

Come è evidente, il problema vero e proprio non è<br />

l'altezza attuale del monolito la quale dovrebbe<br />

essere, tra le più precise, quella in<strong>di</strong>cata da<br />

Ravaglio, cioè 21,791 metri e con la base e puntale,<br />

33,272 metri. Ma è l'altezza che esso aveva quando<br />

svolgeva le sue funzioni <strong>di</strong> gnomone alla meri<strong>di</strong>ana<br />

<strong>di</strong> Augusto?<br />

Dalla tabella precedente si legge che il prof.<br />

Buchner ha calcolato essere, questo valore, pari a<br />

100 pie<strong>di</strong> romani (assumendo il piede romano<br />

antico pari a 0,2942 metri), cioè 29, 42 metri, che è<br />

l'altezza ideale assunta dal Fantoni per il calcolo<br />

del tracciato orario della meri<strong>di</strong>ana. Ma siamo<br />

sicuri che è l'altezza giusta ?<br />

Ve<strong>di</strong>amo cosa ne pensavano gli stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> qualche<br />

secolo fa.<br />

Innanzitutto, partiamo dalla fonte principale,<br />

Plinio, il quale nella <strong>Storia</strong> Naturale ci lascia il<br />

seguente passo:<br />

"Is autem quem <strong>di</strong>vus Augustus in Circo Magno statu-<br />

it excisum est a rege Psemetnepserphreo, quo regnante<br />

Pythagoras in Aegypto fuit, LXXXV pedum et dodrantis<br />

praeter basim eiusdem lapi<strong>di</strong>s ; is vero quem in<br />

campo Martio, novem pe<strong>di</strong>bus minor, a sesothide" 66 .<br />

E già le note dell'e<strong>di</strong>zione "Les Belles Lettres", da<br />

cui è tratta la citazione, mettono in evidenza che in<br />

altri co<strong>di</strong>ci antichi sono riportate <strong>di</strong>verse misure<br />

pari a pie<strong>di</strong> romani LXXXV ; XXCV ; CXXV.<br />

Il Buchner ha adottato la lunghezza del piede<br />

romano pari a metri 0,2942. Tenendo conto che<br />

Plinio in<strong>di</strong>ca 9 pie<strong>di</strong> in meno rispetto alla misura<br />

da lui in<strong>di</strong>cata per l'obelisco del Circo Massimo, le<br />

precedenti altre misure, in<strong>di</strong>cate negli altri co<strong>di</strong>ci,<br />

<strong>di</strong>ventano:<br />

LXXXV. 3/4 - IX= 76. 3/4 pie<strong>di</strong> romani x 0,2942 =<br />

22, 49 metri (senza base)<br />

XXCV. 3/4 è pari sempre a 85. 3/4 e dà lo stesso<br />

risultato ;<br />

CXXV. 3/4 - IX = 116. 3/4 pie<strong>di</strong> romani x 0,2942 =<br />

34, 51 metri<br />

66 Plinio il Vecchio, <strong>Storia</strong> Naturale, lib. XXXVI, cap. 9, 71. E<strong>di</strong>zione "Les Belles Lettres", Paris, 1969<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

65


E' strano che in un co<strong>di</strong>ce sia saltato fuori questo<br />

valore <strong>di</strong> CXXV pie<strong>di</strong>, che sembra piuttosto il contrario<br />

<strong>di</strong> XXCV. Forse il copista avrà voluto in<strong>di</strong>care<br />

il valore compresa la base <strong>dell'obelisco</strong>.<br />

La versione delle "Disquisizioni Pliniane" <strong>di</strong><br />

Rezzonici, riporta: "Is autem Obeliscus, quem Divus<br />

Augustus in Circo Magno posuit, excisum est a Rege<br />

Semetempferteo, quo regnante Pythagoras in Aegypto<br />

fuit, XXCII. Pedum, et dodrantis praeter basim ejusdem<br />

lapi<strong>di</strong>s. Is vero, quem in Campo Martio, IX. Pedum<br />

minor a Sochide".<br />

Rezzonici fa notare che in alcuni manoscritti è<br />

riportato il numero XXCV e in altri LXXXV, e<br />

avverte che essi in<strong>di</strong>cano lo stesso numero, 85, in<br />

due maniere <strong>di</strong>verse <strong>di</strong> scrittura.<br />

Il Ban<strong>di</strong>ni, dal canto suo, si esprime in questo<br />

modo:<br />

"At hic jam statim innotescit, quam facile hic numerus<br />

in illum 125. Sit a librariis commutatus. Si in vetustis<br />

co<strong>di</strong>cibus scriptum fuit XXCII. Admodum facile in<br />

primis transposita notula C pro XXC. Scribi potuit<br />

CXX. Et quidem huius transpositionis habemus nonnullos<br />

Florentinos Riccar<strong>di</strong>anae, ac Laurentianae<br />

Bibliothecae co<strong>di</strong>ces ; in quibus, ut ex amici litteris ad<br />

me Florentia datis nuper accepi, habetur XXCV. Licet<br />

e<strong>di</strong>tiones omnes passim habeant CXXV. Deinde binae<br />

litterae II nonnihil inclinatae admodum facile abire<br />

potuerunt in V. Hoc autem pacto salva Plinii fide,<br />

ejusque loco consentiente cum re ipsa, jam habebitur<br />

XXCII, cum dodrante, pro quo suum illud CXXV.<br />

Cum dodrante corrupti co<strong>di</strong>ces, atque e<strong>di</strong>tiones e corruptis<br />

co<strong>di</strong>cibus derivatae, nobis obtrudunt".<br />

In un esemplare membranaceo <strong>di</strong> Andrea Asulano<br />

Al<strong>di</strong>, in Venezia, anno 1518, si legge :<br />

"Obelisci magni VI. II. In circo maximo, major est<br />

pedum. CXXXII. Minor pedum LXXXVIII. Semis.<br />

unus in Vaticano pedum. LXXII. Unus in campo martio<br />

ped. LXXII. Due in Mausoleo Augusti pares singuli<br />

ped. XLII. Semis. OBELISCI parvi XLII. In plerisque<br />

sunt notae Aegyptiorum."<br />

In una e<strong>di</strong>zione postuma, pubblicata anche da<br />

Graevio e Ban<strong>di</strong>ni, si legge :<br />

"Obelisci magni sex. Duo in Circo Maximo, major est<br />

pedum CXXXII. Minor pedum LXXXVIII. Semis:<br />

unus in Vaticano pedum LXXII : unus in Campo<br />

Martio ped. LXXII. Duo in Mausoleo Augusti pares<br />

singuli pedes XLII. Semis. In Insula Tyberis unus.<br />

Obelisci parvi quadraginta duo. In plerisque sunt notae<br />

Aegyptiorum".<br />

Rezzonici riporta altri due esempi tratti da manoscritti<br />

antichi, in cui si riporta :<br />

...In Campo Martio unus, altus pedes octoginta duos<br />

semis" e l'altro<br />

...In Campo Martio unus, altus pedes LXXII.-S.-.<br />

dove la S. significa "semis".<br />

Nel primo caso si ha 82 pie<strong>di</strong> e mezzo. Nel secondo<br />

72 pie<strong>di</strong> e mezzo.<br />

Rodulfino Venuto, in una sua opera sulle antichità<br />

romane del secolo XVII, scrive:<br />

"Augusto fece collocare nel Campo Marzio il maggiore<br />

<strong>di</strong> quegli obelischi alto cento un<strong>di</strong>ci pie<strong>di</strong> senza contare<br />

il pie<strong>di</strong>stallo..." e in una nota si legge: "l'obelisco è<br />

lungo XCV. Palmi Romani, la base era il pezzo più conservato,<br />

ed in pie<strong>di</strong> alto palmi XIX....In tutto quest'obelisco<br />

era alto palmi CXII" dove è evidente l'errore<br />

commesso, in quanto l'altezza compresa la base<br />

non è <strong>di</strong> CXII. Ma <strong>di</strong> CXIV palmi.<br />

La base, secondo l'in<strong>di</strong>cazione del Venuto, sarebbe<br />

alta metri 4,21 (mentre il Fantoni riporta 6 metri).<br />

Non meno confusa è la situazione relativa alla<br />

frase "IX. Pedum minor" <strong>di</strong> Plinio.<br />

Nei co<strong>di</strong>ci Ambrosiani I., Riccar<strong>di</strong>anus,<br />

Me<strong>di</strong>caeus, Academicus e Gu<strong>di</strong>anus, si legge IX.<br />

Pedum; in altri è annotato VIIII. Pedum che è lo<br />

stesso., ma almeno sembrano tutti in<strong>di</strong>care la cifra<br />

IX.<br />

Secondo il gesuita Athanasius Kircher (sec. XVII),<br />

l'obelisco era alto pie<strong>di</strong> 125. 3/4, meno i 9 pie<strong>di</strong><br />

come in<strong>di</strong>cato da Plinio, si arrivava a pie<strong>di</strong> 116.<br />

3/4. Francesco Jacquier, commentando questo<br />

passo 67 fa notare che un orologio <strong>solare</strong> con un<br />

obelisco <strong>di</strong> tale altezza, pari a 34.46 metri, necessita<br />

<strong>di</strong> un lastricato <strong>di</strong> palmi 1702, pari a circa 450<br />

metri. Infatti, la coor<strong>di</strong>nata oraria orizzontale,<br />

ovvero l'ascissa del punto orario della Prima ora<br />

temporaria per tale orologio (considerando una<br />

latitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 42° 15' prossima a quella <strong>di</strong> Campo<br />

Marzio e l'altezza <strong>dell'obelisco</strong> come anzidetto),<br />

67 Francisco Jaquerio ad Antonius Joseph Comes a Turre Rezzonici S.P.D., epistola pubblicata in A.J. Comes a Turre Rezzonici,<br />

Disquisitiones Plinianae, 1767, Tomo II, pag. 393: Kircherus vulgatae adhaerens lectioni, quae Semetempfertei Obelisco pedes 125. 3/4<br />

attribuit: necessario debeat Sciotherico, novem pedum minori, adscribere pedes 116. 3/4; unde cum Masooani horologii figuram exhibet, cogebatur<br />

strati lapi<strong>di</strong>s longitu<strong>di</strong>nem proferre palmorum 1702. Verum si Campi Obeliscus vix attingebat pedes 73. 3/4: strato lapi<strong>di</strong> sufficient<br />

pedes 1071. uncia 1. puncti 5. atomi 2.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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<strong>di</strong>sta dalla base <strong>dell'obelisco</strong> metri 226. Se si considera<br />

la stessa estensione dalla parte opposta, cioè<br />

l'ascissa dell'ora 11 pari ancora a 226 metri, si ha<br />

che il lastricato deve essere largo almeno 452 metri.<br />

Mentre, osserva Jacquier, per un obelisco <strong>di</strong> pie<strong>di</strong><br />

73. 3/4, pari a 21,74 metri, la precedente coor<strong>di</strong>nata<br />

<strong>di</strong>venta <strong>di</strong> metri 142.6 ed occorre quin<strong>di</strong> un lastricato<br />

<strong>di</strong> 285 metri <strong>di</strong> lunghezza.<br />

Tirando le somme, sembra un'impresa impossibile<br />

quella <strong>di</strong> stabilire sulla base dei documenti storici,<br />

la vera altezza <strong>dell'obelisco</strong>, con o senza base.<br />

Assumendo il palmo romano pari a mt. 0,264 68 , le<br />

misure date da Rudolfino Venuto danno per l'obelisco<br />

una lunghezza (compresa la base) pari a<br />

metri 30,09, in buono accordo anche con la<br />

lunghezza prevista da Buchner.<br />

Ma se adottiamo per esempio le misure romane<br />

come specificato nel libro "Spazio e Tempo. Vita e<br />

costumi dei Romani antichi", <strong>di</strong> A. Dosi-F. Schnell,<br />

ed. Quasar, già citato nel testo, si ha che il Palmus<br />

maior, usato nel tardo Impero, equivaleva a 12 <strong>di</strong>g-<br />

68 da Dizionario UTET, voce "palmo".<br />

iti, pari a 0,222 metri, mentre 1 pes = 4 palmi =<br />

metri 0,296 ; 1 decempedes o pertica = 10 pie<strong>di</strong> =<br />

2,960 metri e quin<strong>di</strong> 1 piede = 0.296 metri.<br />

Quin<strong>di</strong>, le misure <strong>di</strong> Venuto, <strong>di</strong>ventano 114 palmi<br />

x 0,222 metri = 25,30 metri che sommata alla base<br />

<strong>di</strong> 4,21 metri dà una'ltezza <strong>dell'obelisco</strong> pari a<br />

29,51 che ci sembra tra le più verosimili, in accordo<br />

con quanto scrive Plinio.<br />

Prendendo l'in<strong>di</strong>cazione data in alcuni co<strong>di</strong>ci pari<br />

a 95 pie<strong>di</strong> (XXCV), e sottraendo 9 pie<strong>di</strong> come <strong>di</strong>ce<br />

Plinio, si ha 86 pie<strong>di</strong>, pari a metri 25,456 che sommati<br />

alla base <strong>di</strong> 4,21 metri dà un'altezza totale <strong>di</strong><br />

29,66 metri, anche questa in ottimo accordo con le<br />

misure probanti.<br />

L'in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Buchner, <strong>di</strong> 100 pie<strong>di</strong> romani,<br />

<strong>di</strong>venta : 29,63 metri.<br />

Per una latitu<strong>di</strong>ne prossima a quella del Campo<br />

Marzio , <strong>di</strong> circa 41° 51' e adottando tre <strong>di</strong>verse<br />

misure per l'obelisco gnomone, si ottengono i<br />

seguenti dati: (i calcoli sono effettuati col programma<br />

"Meri<strong>di</strong>ane" dell'ing. Gianni Ferrari <strong>di</strong><br />

Modena)<br />

Altezza obelisco: 100 pie<strong>di</strong> romani secondo Buchner = 29.42 metri<br />

Lunghezza linea meri<strong>di</strong>ana (compresa tra le due curve dei solstizi invernale ed estivo): 53.9 metri<br />

Punto estremo dell'ora temporaria 1 dall'obelisco: 249.3 metri<br />

Distanza linea equinoziale dall'obelisco (sull'intersezione con la linea meri<strong>di</strong>ana): 26.7 metri<br />

Altezza obelisco adottando 1 palmo romano antico pari a 0.296 metri = 29.63 metri<br />

Lunghezza linea meri<strong>di</strong>ana: 54.4 metri<br />

Punto estremo dell'ora temporaria 1 dall'obelisco: 251 metri<br />

Distanza linea equinoziale dall'obelisco: 27 metri<br />

Altezza obelisco secondo il testo <strong>di</strong> Plinio<br />

85.3/4 pie<strong>di</strong> - 9 pie<strong>di</strong> = 76.3/4 pie<strong>di</strong> x 0,296 = 22.62 + 4,21 (base) = 26.84 metri<br />

Lunghezza linea meri<strong>di</strong>ana: 48.3 metri<br />

Punto estremo dell'ora temporaria 1 dall'obelisco: 227.4 metri<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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Distanza linea equinoziale dall'obelisco: 24.4 metri<br />

Le prime due misure concordano abbastanza bene<br />

con il piano topografico e la sovraapposizione <strong>dell'orologio</strong><br />

come proposto da Buchner. La terza<br />

misura avvicina la linea equinoziale all'obelisco <strong>di</strong><br />

circa 3 metri. Troppo pochi per ipotizzare una <strong>di</strong>sconnessione<br />

del piano urbanistico <strong>di</strong> Augusto se<br />

rivolto all'esaltazione e <strong>di</strong>vinizzazione della propria<br />

immagine. Infatti, se egli in qualche modo<br />

volle paragonarsi agli antichi faraoni, e verosimilmente<br />

al grande Ramsete II, imitando l'effetto del<br />

tempio <strong>di</strong> Abu-Simbel, (in determinati giorni dell'anno<br />

il sole illumina le statue del faraone ricavate<br />

dentro una lunga caverna all'interno <strong>di</strong> una montagna)<br />

non lo possiamo sapere. Il sole, nei giorni <strong>di</strong><br />

equinozio, sorge esattamente ad est, cioè in<br />

<strong>di</strong>rezione della linea equinoziale la quale, essendo<br />

rivolta perfettamente verso l'Ara Pacis, è ovvio<br />

concludere che i raggi del sole nascente vadano ad<br />

illuminare il monumento augusteo. Ed è ancora<br />

più invitante supporre che l'imperatore avesse pre<strong>di</strong>sposto<br />

un qualche altare, o qualcosa <strong>di</strong> simile, su<br />

cui i raggi del sole, all'alba del suo compleanno,<br />

risplendessero della sua gloria. Tre metri, quin<strong>di</strong>,<br />

non sono molti per sviare una ipotesi del genere,<br />

per cui anche un obelisco <strong>di</strong> 26 metri <strong>di</strong> altezza,<br />

come in<strong>di</strong>cato da Plinio, potrebbe rientrare nelle<br />

supposizioni.<br />

Per finire, l'unica cosa che resta da fare per scoprire<br />

esattamente quanto era alto l'originario gnomone,<br />

sarebbe quella <strong>di</strong> riuscire a determinare la<br />

lunghezza della linea meri<strong>di</strong>ana, me<strong>di</strong>ante altri<br />

scavi, conosciuta la quale si ha imme<strong>di</strong>atamente<br />

l'altezza <strong>dell'obelisco</strong> come fatto realizzare da<br />

Augusto.<br />

<strong>Nicola</strong> <strong>Severino</strong> <strong>Storia</strong> dell’obelisco e dell’orologio <strong>solare</strong> <strong>di</strong> Cesare Augusto in Campio Marzio<br />

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