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13 - Sardegna Turismo

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LA NATURA, I PAESAGGI<br />

SARDEGNA<br />

Dove le pietre<br />

sono parole<br />

AGOSTO 2001 SUPPLEMENTO ALLEGATO AL N. 244 di AIRONE<br />

Sped. in abb. post. - 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Milano<br />

EDITORIALE GIORGIO MONDADORI


LA NATURA, I PAESAGGI<br />

SARDEGNA<br />

SARDEGNA<br />

Direttore responsabile:<br />

ELIANA FERIOLI<br />

coordinamento redazionale:<br />

Cesare Della Pietà<br />

redazione:<br />

Antonella Colicchia,<br />

Antonio Lopez, Elisabetta Planca,<br />

Metello Venè<br />

dipartimento fotografico:<br />

Lello Piazza (photo editor)<br />

ufficio grafico:<br />

Claudia Pavesi (responsabile),<br />

Catia Quinterio<br />

segreteria di redazione:<br />

Laura Belloni<br />

A questo numero hanno contribuito,<br />

per i testi:<br />

Valerio Agnesi, Stefano Ardito,<br />

Antonella Colicchia, Dario Cossu,<br />

Antonio Lopez, Albano Marcarini,<br />

Nanni Marras, Domenico Ruiu,<br />

Egidio Trainito, Metello Venè<br />

per le fotografie:<br />

Stefano Ardito, Nevio Doz, Vittorio<br />

Giannella, Johanna Huber, Mastrolillo,<br />

Giorgio Marcoaldi, Gianmario Marras,<br />

Angelo Mereu, Daniele Pellegrini,<br />

Enrico Pinna, Guido Alberto Rossi,<br />

Domenico Ruiu, Egidio Trainito<br />

per le illustrazioni:<br />

Massimo Demma, Paolo Rondini,<br />

Franco Testa<br />

Hanno collaborato:<br />

Piero Bevilacqua, Carlo Felice Casula,<br />

Rosalba Mariani, Giampiero<br />

Pinna, Giovanni Sistu, la casa editrice<br />

AM & D edizioni di Cagliari<br />

Progetto grafico di Claudia Pavesi<br />

L’AIRONE DI GIORGIO MONDADORI<br />

E ASSOCIATI S.P.A.<br />

PRESIDENTE:<br />

URBANO CAIRO<br />

Consiglieri:<br />

Giuliano Cesari, Maurizio Dell’Arti,<br />

Roberto Cairo, Marco Pompignoli<br />

Indirizzo e-mail: airone@edgm.it<br />

Indirizzo postale:<br />

corso Magenta 55, 20123 Milano<br />

Supplemento al n. 244 di Airone © 2001,<br />

L’Airone di Giorgio Mondadori e Associati<br />

S.p.A. Tutti i diritti riservati. Testi e fotografie<br />

non possono essere riprodotti senza<br />

l’autorizzazione dell’Editore. Fotolito: Adda<br />

Officine Grafiche, via delle Industrie 18,<br />

Filago (BG). Stampa: Elcograf, via Nazionale<br />

14, Beverate di Brivio (LC). Airone:<br />

pubblicazione mensile registrata presso il<br />

Tribunale di Milano il 7/3/1981, n. 89.<br />

ilSOMMARIO<br />

LA FOTO<br />

DI COPERTINA<br />

Il nuraghe Santa Sabina, nei<br />

pressi di Silanus. Sono<br />

oltre 8.000 queste costruzioni<br />

censite finora in <strong>Sardegna</strong>:<br />

inevitabile che l’enigmatico<br />

monumento megalitico finisca<br />

con l’apparire quasi un logo<br />

dell’isola, un marchio che<br />

ne segna tutti i paesaggi, dalle<br />

coste ai monti, alle campagne,<br />

dove il tempo pare essersi<br />

fermato. E per diventare, esso<br />

stesso, paesaggio.<br />

Foto di Angelo Mereu<br />

GALLURA DOVE IL GRANITO DÀ SPETTACOLO<br />

6 di Albano Marcarini<br />

SUGHERA UN ALBERO, UNA TERRA<br />

16 di Albano Marcarini<br />

GESTURI LA GIARA DEI CAVALLINI<br />

24 di Antonio Lopez<br />

BARBAGIA DOVE IL PASTORE È RE<br />

32 di Antonella Colicchia<br />

NURAGHI LE RADICI<br />

40 di Stefano Ardito<br />

STAGNI COSTIERI LE PERLE CONTESE<br />

48 di Antonella Colicchia<br />

MINIERE CUORE DI TENEBRE<br />

56 di Metello Venè<br />

LA COSTA DOVE VOLANO I GRIFONI<br />

66 di Stefano Ardito<br />

TANCHE I MURI DELL’ARRAFFA-ARRAFFA<br />

74 di Albano Marcarini<br />

PISCINAS IL NOSTRO SAHARA<br />

80 di Metello Venè<br />

SUPRAMONTE L’ANIMA SELVAGGIA<br />

88 di Stefano Ardito<br />

SOMMARIO 5


DANIELE PELLEGRINI<br />

GALLURA<br />

dove il granito dà spettacolo


GALLURA dove<br />

il granito dà spettacolo<br />

DI ALBANO MARCARINI<br />

DOVE SI TROVA<br />

La maggiore area granitica<br />

sarda è la Gallura, la regione<br />

settentrionale dell’isola. Le<br />

principali vie d’accesso fanno<br />

capo a Olbia, porto per i<br />

collegamenti con il continente,<br />

e a Sassari. La strada statale<br />

127 che passa per Tempio<br />

Pausania attraversa in senso<br />

est-ovest tutta la regione.<br />

Pure interessante, sotto il<br />

profilo paesaggistico, la strada<br />

costiera che da Olbia<br />

raggiunge Palau, Santa Teresa<br />

Gallura e Castelsardo.<br />

Sicuramente insolito, infine,<br />

l'itinerario ferroviario, con<br />

locomotiva d’epoca, da Palau<br />

a Tempio. Il servizio<br />

si effettua giornalmente dal<br />

1° luglio al 31 agosto e<br />

offre il modo di apprezzare<br />

le bellezze del paesaggio della<br />

Gallura. (Informazioni:<br />

Ufficio Turistico Ferrovie<br />

della <strong>Sardegna</strong>,<br />

numero verde 800-460220).<br />

8 GALLURA<br />

✦<br />

PAOLO RONDINI<br />

Nel Medioevo i Visconti, che in <strong>Sardegna</strong> operavano da giudici<br />

per conto dei Pisani, avevano sulle loro insegne l’immagine<br />

di un gallo. Potrebbero derivare da qui il nome della Gallura<br />

e la sua identificazione geografica, che allora però doveva essere ben<br />

più vasta, comprendendo il Nuorese e ampi tratti delle Barbagie.<br />

La Gallura di oggi invece comincia dal Monte Limbara (1.359 m), a ridosso<br />

di Tempio Pausania. È la seconda montagna sarda per altezza,<br />

dopo il Gennargentu, e da essa si abbraccia tutta questa parte dell’isola.<br />

Non per nulla, il Lamarmora, redigendo la prima carta topografica<br />

della <strong>Sardegna</strong>, vi potè traguardare non solo i monti vicini ma anche<br />

Montecristo, e così collegarsi<br />

alla rete trigonometrica della Penisola.<br />

Da quassù si dirama un<br />

intricato disegno di valli, raggi<br />

SOPRA: UN DETTAGLIO DEL GRANITO<br />

DELLA GALLURA. A FRONTE: UN<br />

RICOVERO RICAVATO IN UN “TAFONE”.<br />

PAGINE PRECEDENTI: CAPO D’ORSO<br />

EL’ARCIPELAGO DELLA MADDALENA.<br />

VITTORIO GIANNELLA<br />

sinuosi che arrivano al frastagliato<br />

perimetro costiero immergendosi<br />

nel mare. Galleggianti<br />

nel Tirreno (ma da quest’altezza<br />

sembrano a mezz’aria) ci sono<br />

poi scogli, isole e isolotti.<br />

Ai turisti che di queste valli<br />

percorrono le tortuose strade, il<br />

paesaggio appare come un caleidoscopio<br />

multicolore: l’azzurro e la<br />

trasparenza del mare, il rosa dei<br />

graniti, il verde cupo delle sughere,<br />

scalfito dalle cortecce ros-<br />

sastre. Poche istantanee, ma sufficienti per dare l’idea di un territorio<br />

specialmente determinato nei suoi aspetti ambientali e paesaggistici.<br />

La geologia ci informa che tutta la Gallura appartiene alla vasta<br />

piattaforma granitica paleozoica della <strong>Sardegna</strong>. Modeste lingue<br />

alluvionali si estendono solo in prossimità del mare. Il granito la fa<br />

da padrone, risultato della imponente opera di disgregazione dell’originario<br />

manto di scisti cristallini, emersi dal mare circa 350 milioni<br />

di anni fa. Una disgregazione nient’affatto traumatica, ma<br />

quasi accarezzata dall’opera incessante degli agenti atmosferici.<br />

Gli sbalzi termici fratturano la roccia, le acque la dilavano, il vento,<br />

recando con sé infiniti granelli di sabbia, lavora di smeriglio. La<br />

forza della natura arriva a volte a forare le pareti di roccia: sono i<br />

ben noti “tafoni”. L’azione combinata della pioggia e del vento, del<br />

sole e del gelo, ha prodotto fantastici monoliti: orsi, elefanti, leoni,<br />

foche, rettili, bestiario favoloso di un giardino pietrificato.<br />

‘‘La<br />

‘‘<br />

Gallura è disseminata di massi, quasi bombardata attraverso i millenni dalle meteore.<br />

Tanti, e di forme così strane, che quando vi si è perduti nel mezzo sembrano animarsi<br />

e muoversi, quasi si assistesse ad una immensa migrazione di popoli pietrificati.<br />

(Guido Piovene, 1956)<br />

EGIDIO TRAINITO


COME È PROTETTA<br />

Lungo le coste della Gallura<br />

si trovano due importanti<br />

aree protette: il Parco<br />

nazionale dell’Arcipelago<br />

della Maddalena, istituito<br />

nel 1996, e l’Area naturale<br />

marina di Tavolara-Capo<br />

Cavallo, istituita nel 1997.<br />

Di notevole rilevanza<br />

la recente realizzazione,<br />

nell’entroterra gallurese, del<br />

Parco regionale<br />

del Monte Limbara, per una<br />

superficie di 19.833<br />

ettari. Vi sono state<br />

individuate 22 aree di<br />

grande interesse<br />

naturalistico fra cui<br />

sugherete, la stazione di<br />

pino marittimo di<br />

Carracanu, la stazione di<br />

pioppo tremolo<br />

di Monte Longheddu,<br />

i boschi di leccio, la<br />

macchia e la vegetazione<br />

di Monte Acuto, la<br />

vegetazione riparia del Rio<br />

Mannu e del corso<br />

superiore del Coghinas.<br />

IL CANDIDO FARO DI CAPO TESTA<br />

SPICCA SUL CAOS DEI MASSI LAVORATI<br />

DALL’EROSIONE. IN ALTO: “L’ORSO”,<br />

LA PIÙ FAMOSA TRA LE “SCULTURE<br />

NATURALI” DELLA COSTA GALLURESE.<br />

Questo gioco di forme si riflette anche nel profilo morfologico generale.<br />

Il rilievo è tormentato, si direbbe montagnoso se non fosse che<br />

nove decimi del territorio si trovano a meno di 500 metri sul livello<br />

del mare. All’estremità settentrionale, la lunga dorsale sarda si sfalda<br />

in una meravigliosa successione di penisole, anfratti, insenature, cale. Una<br />

morfologia figlia dell’abbassamento del litorale e dell’innalzamento<br />

del mare e che si completa con un corredo di scogli, isolotti o vere isole,<br />

di cui La Maddalena e Caprera<br />

sono le maggiori.<br />

Se il vento ha effetto sulle pietre,<br />

immaginiamoci sulla vegetazione.<br />

Il suo soffio e il sale che<br />

trasporta stremano gli alberi. I<br />

lentischi e gli olivastri sopportano<br />

la calura, ma non la spinta<br />

del vento (li si vede prostrati<br />

con la chioma sviluppata da un<br />

unico lato, come bandiere issate<br />

su aste deformi). Vicino alla<br />

QUANDO IL VENTO<br />

SI FA SCULTORE<br />

È l’erosione a plasmare i graniti<br />

della Gallura: piccoli e grandi<br />

blocchi arrotondati scavati<br />

e scolpiti dai tafoni (lu tavoni,<br />

in gallurese) disegnano gli<br />

scenari dell’interno e lungo le<br />

coste. I primi sono il risultato<br />

STEFANO ARDITO<br />

diffusione del granito in <strong>Sardegna</strong><br />

dell'erosione nel sottosuolo,<br />

che agisce sulla naturale<br />

fessurazione della roccia (1).<br />

L’acqua circola nelle fratture e<br />

dissolve e disgrega la roccia<br />

formando depositi di detriti (2).<br />

Quando i sedimenti vengono<br />

asportati dal dilavamento,<br />

rimangono solo i massi<br />

arrotondati, accatastati gli uni<br />

1 l’acqua penetra nelle fessure<br />

sugli altri (3) e spesso soggetti<br />

a ulteriore erosione con un<br />

processo di desquamazione, “a<br />

pelle di cipolla”. I tafoni si<br />

formano invece in ambiente<br />

aereo (4): è l’azione combinata<br />

del vento e dell’acqua salata<br />

a scavare la dura roccia. Il<br />

vento accelera l’evaporazione<br />

e quindi il deposito di<br />

cristalli di cloruro di sodio che,<br />

aumentando di volume,<br />

disgregano la roccia. Il processo<br />

inizia con l’asportazione di un<br />

primo cristallo: si crea così una<br />

piccolissima nicchia che<br />

progressivamente s’ingrandisce<br />

verso l’alto, per desquamazione<br />

della volta. (Egidio Trainito)<br />

2 la roccia più tenera si disgrega<br />

3 emergono isolate forme compatte<br />

4 l’erosione prosegue la sua opera<br />

PAOLO RONDINI<br />

GIANMARIO MARRAS


EGIDIO TRAINITO<br />

APPUNTI DI NATURA<br />

Guglie e massi della Gallura<br />

costituiscono l’habitat di una<br />

fauna e di una flora molto<br />

specializzate. I tafoni<br />

possono essere enormi, o avere<br />

l’aspetto delle celle di un<br />

alveare. E spesso sono proprio<br />

loro a offrire i rifugi migliori<br />

agli uccelli: dall’aquila reale<br />

che nidifica sulle guglie<br />

del Limbara al falco pellegrino<br />

che costruisce il nido sia<br />

sulle ripide pareti dell’interno<br />

sia sulle isole. Forse l’ospite<br />

più simpatico dei microtafoni è<br />

il minuscolo scricciolo, che<br />

sceglie sempre anfratti riparati<br />

e strapiombanti. Ma l’animale<br />

più caratteristico dei graniti<br />

galluresi, dal mare alle<br />

zone più elevate, è la lucertola<br />

di Bedriaga (Archaeolacerta<br />

bedriagae), endemica della<br />

Corsica e della <strong>Sardegna</strong><br />

nord-orientale. Ha dimensioni<br />

notevoli (arriva fino<br />

a 30 cm di lunghezza), corpo<br />

massiccio e punteggiato,<br />

e origini antichissime (risale a<br />

circa 30 milioni d’anni fa).<br />

Sul granito nelle nicchie<br />

di detrito, apparentemente<br />

BECCO DI GRU CORSO<br />

(ERODIUM CORSICUM)<br />

A FRONTE PAESAGGIO DELL’INTERNO<br />

DELLA GALLURA, LUNGO IL CORSO DEL<br />

FIUME LISCIA. IN ALTO: IL MONTE<br />

LIMBARA; I SUOI 1.359 METRI SONO LA<br />

MASSIMA QUOTA DI QUESTA REGIONE.<br />

(2) TESTA<br />

LUCERTOLA DI BEDRIAGA<br />

(ARCHAEOLACERTA BEDRIAGAE) FRANCO<br />

inospitale, cresce una grande<br />

varietà di piante: le più tipiche<br />

sono un piccolo geranio, il<br />

becco di gru corso (Erodium<br />

corsicum), endemico dei<br />

graniti di Corsica e <strong>Sardegna</strong><br />

nord-orientale, e la borragine<br />

azzurra (Sedum caeruleum),<br />

dai cui fusti carnosi e prostrati<br />

di colore rosso sbocciano<br />

in primavera delicati fiori<br />

celesti. (Egidio Trainito)<br />

costa, dov’è spesso impetuoso, la macchia non ha la forza di ergersi;<br />

solamente all’interno prende vigore e portanza, ma è nelle valli<br />

più recondite che diventa vera foresta. Vi predominano, in successione<br />

altimetrica, prima la sughera e poi il leccio.<br />

Ancora mezzo secolo fa questo paesaggio poteva considerarsi intatto. Tutto<br />

il tratto costiero occidentale della Gallura, da Castelsardo a Santa<br />

Teresa, era privo di strade e di abitati. Il giornalista Benito Spano che<br />

lo visitò nel 1960, per conto de Le Vie d’Italia, lo descrive come “un<br />

lembo di deserto autentico, fra i più spettacolari d’Italia”, per l’imponenza<br />

e l’estensione della cornice di dune mobili, in grado di spingersi<br />

nell’entroterra a ricoprire di sabbia le più alte colline.<br />

Dopo è venuta la stagione del turismo e delle grandi operazioni<br />

immobiliari. Costa Smeralda, Arzachena, Porto Rotondo si possono<br />

intendere come i più privilegiati luoghi di vacanza o come le più offensive contaminazioni<br />

di un ambiente naturale di eccezionale bellezza. Ciò che più disturba<br />

sono però le copie riduttive derivate da quei modelli. Buona<br />

parte della costa gallurese è punteggiata di lottizzazioni, vagamente<br />

mimetizzate nel paesaggio. Ma neppure la macchia, con la sua fitta<br />

GALLURA <strong>13</strong><br />

VITTORIO GIANNELLA


MASTROLILLO/SIMEPHOTO<br />

invito alla visita<br />

Granito rosa, rigogliosa macchia<br />

e mare limpidissimo: non a<br />

caso questo tratto del litorale<br />

gallurese è chiamato Costa Paradiso.<br />

Punto di partenza dell’itinerario<br />

è il termine della sterrata<br />

che dalla strada Castelsardo-Santa<br />

Teresa Gallura porta<br />

al Monte Tinnari (216 m). Lasciata<br />

l’auto presso un gruppo<br />

di villette (vista splendida sulla<br />

Costa Paradiso e il lontano Capo<br />

Testa), s’imbocca un sentiero<br />

che scende a ripidi tornanti. Alla<br />

fine della discesa si procede<br />

tra rigogliosi corbezzoli e annosi<br />

ginepri fenici sino alla foce<br />

del Rio Pirastru (laghetto retrodunale)<br />

e alla spiaggetta sassosa<br />

di Cala Tinnari. Risalendo le<br />

rocce al lato opposto dell’insenatura<br />

si ritrova il sentiero, che<br />

s’insinua in una fittissima<br />

macchia di corbezzoli<br />

e lentischi e, dopo<br />

qualche su e giù (vari<br />

tracciati parallele aperti<br />

nel tempo da turisti<br />

e pastori), sbuca su un<br />

pianoro disseminato di<br />

affioramenti di granito.<br />

Raggiunte le prime propaggini<br />

di dune fossili,<br />

si supera un muro a secco<br />

(casolare diroccato),<br />

PAOLO RONDINI<br />

JOHANNA HUBER/SIMEPHOTO<br />

si costeggia un’insenatura, si<br />

oltrepassa un cancello (richiuderlo!),<br />

si valica un ruscelletto<br />

e si sale a uno spiazzo (vi arriva<br />

una carrareccia dall’interno)<br />

circondato da dune fossili<br />

dove abbondano elicriso e Armeria<br />

pungens, che fiorisce a<br />

maggio. Poche centinaia di metri<br />

conducono alla spiaggia di<br />

li Cossi: un arco di sabbia dorata<br />

chiuso tra alte pareti di granito,<br />

con un ruscello che forma<br />

un laghetto trasparente prima<br />

d’incontrare il mare. Ritorno<br />

per la stessa via. L’itinerario si<br />

può percorrere in ogni stagione<br />

e richiede circa 4 ore (a/r).<br />

cortina, può cancellare la grottesca volgarità di certi villini neosardi,<br />

arabeggianti o spagnoleschi, i bizzarri mininuraghi, le terrazze pinnacolari,<br />

gli archivolti di granito grezzo e i serramenti in alluminio.<br />

Per ritrovare la vera Gallura bisogna lasciare il litorale e puntare verso<br />

l’interno. Ancora oggi ha la minore densità di abitanti per chilometro<br />

quadrato. Tutto ciò si spiega sulla base di precise ragioni storiche. La<br />

prima colonizzazione, di Còrsi e Toscani, fu sporadica e arrivò dal mare;<br />

poi avvenne un progressivo ripiegamento nell’entroterra sotto la<br />

minaccia delle scorrerie saracene; infine, a partire dal XVII secolo, si<br />

ebbe il ripopolamento secondo un insediamento polverizzato e strutturato<br />

sugli stazzi contadini. Alcuni centri, come Tempio, si sono sviluppati<br />

solo ai bordi meridionali della regione con giurisdizione su<br />

territori vastissimi che giungevano fino alla costa; altri, più marittimi,<br />

come Olbia, hanno una storia illustre che inizia dai Romani (o forse<br />

prima), ma si tratta di eccezioni rivolte al continente più che all’isola.<br />

Per cui il “vuoto” umano della Gallura si può intendere come un prezioso<br />

dono di natura da proteggere. Un ambiente e un paesaggio che hanno<br />

commosso personaggi insospettabili, come Gabriele d’Annunzio. In<br />

una lettera a un tasgiadore – termine che indica un cantante in un coro<br />

di cinque elementi – egli scrisse: “Se tu e gli altri quattro veramente<br />

mi amate, portatemi ad Aggius; e fatemi una capanna in un bosco di<br />

roveri là sul Tumoneusoza ch’io veda il golfo e tutto il lido insino alla<br />

Maddalena, e ch’io sia svegliato ogni alba dal Gallo di Gallura, che ieri<br />

mescolava le sue note al vostro coro antico quanto l’alba”.<br />

PER SAPERNE DI PIÙ<br />

Nei libri: M. Brigaglia, F. Fresi, Tempio e il suo volto, Sassari, 1995. D.<br />

Panedda, Il Giudicato di Gallura, Sassari, 1978. Nei siti: www.legambientegallura.com<br />

(ottimo, con molte informazioni sulla natura e il<br />

paesaggio); www.tempioweb.com (con dati sul Parco del Limbara).<br />

I CONTATTI<br />

Associazione escursionistica<br />

Camminalimbara,<br />

via Puchoz 22, 07029<br />

Tempio Pausania<br />

(SS), 079 670704;<br />

Wwf, sezione di<br />

Santa Teresa Gallura, via<br />

Calabria, 07028<br />

Santa Teresa Gallura (SS),<br />

0789 755788.<br />

IL TRAMONTO ACCENDE I GRANITI<br />

DI CAPO TESTA. A FRONTE, IN ALTO:<br />

LA SPIAGGETTA DI CALA LI COSSI<br />

(COSTA PARADISO), PUNTO D’ARRIVO<br />

DELL’ITINERARIO CHE PROPONIAMO.


SUGH ERA<br />

un albero, una terra


SUGHERA<br />

un albero, una terra<br />

TESTO DI ALBANO MARCARINI FOTO DI GIORGIO MARCOALDI/ PANDA PHOTO<br />

DOVE SI TROVA<br />

La distribuzione della quercia<br />

da sughero in <strong>Sardegna</strong><br />

non dipende soltanto da fattori<br />

edafici, ma anche da ragioni<br />

economiche che ne<br />

incentivano lo sviluppo<br />

in determinate aree. Se le zone<br />

d’impianto tradizionale<br />

risultano essere la Gallura e<br />

il Nuorese, oggi troviamo<br />

ampie sugherete pure nella<br />

Barbagia e nel Logudoro,<br />

e in certe parti del<br />

Sulcis e dell’Iglesiente.<br />

18 SUGHERETE<br />

✦ ✦<br />

✦<br />

Bande di ladri assaltano le sugherete. Questa la singolare notizia<br />

che arriva dalla Barbagia e dal Mandrolisai. Invece di depredare<br />

il bestiame, ora i malfattori si dedicano a scortecciare<br />

le querce. Segno inequivocabile che coltivare il sughero rende. Si dice, fino<br />

a 1 milione di lire al quintale. Molto di più che nel passato, quando<br />

tale attività tradizionale, come altre in <strong>Sardegna</strong>, sembrava destinata<br />

al declino o, al massimo, a sostenere piccole economie locali.<br />

Oggi la <strong>Sardegna</strong> copre l’80 per cento della produzione nazionale,<br />

pari a circa 120.000 quintali di sughero all’anno (erano la metà nel<br />

1953). A livello mondiale è invece il Portogallo a farla da padrone con<br />

circa 1.600.000 quintali all’anno. Le sugherete occupano<br />

nell’isola oltre 122 .000 ettari. Si estendono<br />

non solo nei territori d’origine, come la Gallura<br />

e il Nuorese, ma anche nella parte centro-meridionale:<br />

la Stazione sperimentale del sughero<br />

di Tempio Pausania, che dal secondo dopoguerra<br />

si preoccupa di difendere e valorizzare questo<br />

genere di coltivazione, ha individuato 16 aree di<br />

nuovo impianto. Vi figurano il Sulcis, le Giare e<br />

diverse altre zone dove inopportunamente, nel<br />

passato, erano state introdotte piantagioni estra-<br />

A LATO: IL DISTACCO<br />

DELLA CORTECCIA,<br />

ORMAI “MATURA”,<br />

DAL TRONCO.<br />

IN BASSO, A SINISTRA:<br />

LEMBI ACCATASTATI,<br />

PRONTI PER IL<br />

TRASPORTO. PAGINE<br />

PRECEDENTI: SUGHERE<br />

NELLA VALLE DELLA<br />

LUNA, IN GALLURA.<br />

nee all’ecosistema insulare. Nella Gallura sono circa 8.000 gli addetti<br />

impiegati nel settore e si calcola che 100 ettari di sughereta possano<br />

dare lavoro per cinque anni a dieci persone. Cifre modeste, ma che<br />

se moltiplicate su vasti territori danno un’idea delle ottime prospettive<br />

di quest’attività. Calangiànus, in Gallura, è riconosciuta come la<br />

capitale del sughero sardo, con più di <strong>13</strong>0 aziende che esportano in<br />

ogni parte del mondo.<br />

Quella del sughero è una lavora-<br />

COME È PROTETTA<br />

Non esiste ancora un’area di<br />

protezione specificamente<br />

riservata alla quercia da sughero.<br />

La tutela della pianta si opera<br />

con strumenti che ne sottolineano<br />

soprattutto la funzione economica:<br />

in particolare, la legge regionale 9 febbraio 1994,<br />

n. 4, che amplia i disposti di una precedente legge<br />

regionale emanata nel 1989. L’obiettivo di tali normative<br />

è di tutelare le piante da sughero e le sugherete<br />

quali componenti dell’ambiente, del paesaggio,<br />

dell’economia e del patrimonio culturale della <strong>Sardegna</strong><br />

promuovendone lo sviluppo e la valorizzazione.<br />

zione antica. La raccolta del prodotto<br />

non si è mai meccanizzata e, forse,<br />

non lo sarà mai. Accade una volta ogni<br />

dodici anni, su alberi che abbiano<br />

raggiunto almeno 15-18 anni di<br />

vita. Fra maggio e giugno, il bucadore<br />

– lo scorticatore – incide il fusto<br />

con un’accetta e stacca la corteccia. Il<br />

gesto deve avvenire con perizia, il<br />

taglio dev’essere delicato in modo<br />

da non danneggiare il fellogeno (da<br />

fellòs, il termine greco che designava<br />

il sughero), ovvero lo strato esterno


20 SUGHERETE<br />

SOPRA: SUGHERETA PRESSO<br />

CALANGIÀNUS. A LATO:<br />

IL VIVAIO FORESTALE DELLA<br />

STAZIONE SPERIMENTALE<br />

DI TEMPIO PAUSANIA.<br />

LA SUGHERA OGGI VIENE<br />

DIFFUSA FUORI DEL SUO<br />

AREALE ORIGINARIO, SIA<br />

PER COLTIVAZIONI DA<br />

REDDITO SIA PER LA LOTTA<br />

ALLA DESERTIFICAZIONE.<br />

del fusto che, conservando la capacità di<br />

generare sempre nuove cellule, è responsabile<br />

dell’accrescimento del tronco e darà<br />

il sughero degli anni a venire. Inciso anche<br />

per linee verticali, l’albero si spoglia così<br />

della sua veste.<br />

La materia raccolta la prima volta è detta<br />

“sughero maschio” e l’operazione si<br />

chiama “demaschiatura”. Quella estratta<br />

le volte successive si chiamerà “femmina”.<br />

Le lunghe plance di sughero si acca-<br />

tastano al suolo, prima di essere condotte nelle officine di trasformazione.<br />

Lì, dopo una prima selezione e almeno sei mesi di essiccatura<br />

al sole, il sughero viene posto in bollitura e quindi passato alla lavorazione.<br />

È così da anni, anzi da secoli: dai tempi dei Greci e dei Romani.<br />

Le vaste sugherete che si estendono sull’altopiano di Tempio Pausania,<br />

di Aggius, di Buddusò, che circondano Bitti, Orune, Sorgono e<br />

ammantano i rilievi del Sulcis sono dunque vere “industrie verdi” ad<br />

alto capitale produttivo. Il sughero è un prodotto ecologico di qualità.<br />

Oltre che per fare tappi di bottiglie (l’uso più noto), lo si impiega<br />

ovunque per ottenere materiali isolanti, termici, acustici. Architetti e<br />

designer ne apprezzano la leggerezza e la tattilità, quasi un respiro di<br />

natura quando se ne sfiora con le mani la superficie.<br />

Nello stesso tempo, però, la sughera è l’essenza stessa della <strong>Sardegna</strong> più<br />

antica. Che cosa sarebbero i nuraghi, le “domus de janas”, gli stazzi<br />

concave, che vengono bagnate per allargarsi e appianarsi, e infine legate a pacchi come lastre<br />

di gomma rossastra, preziosa quanto il marmo. (…) Gli alberi padri di tanta chiassosa ricchezza<br />

rimangono fermi sulle loro profonde radici, scorticati e sanguinanti come martiri; ma<br />

dei pastori senza il corredo di un’onusta e protettiva quercia? “Questo<br />

paesaggio”, ha scritto il grande botanico Valerio Giacomini, “è a<br />

un tempo fisico e biologico, perché si integra in modo sorprendente<br />

con le strutture rupestri granitiche, che dominano specialmente nella<br />

Gallura. Dal suolo, disseminato di blocchi levigati, emergono le chiome<br />

ostinatamente verdi, i tronchi grigi, nocchieruti, contorti di questo<br />

albero frugale, selvatico e domestico, così intimamente connaturato<br />

alla solenne austerità di queste terre”. Eppure, girando per la Gallura,<br />

la prima impressione è quasi di pietà. A vederle nelle campagne, fra i<br />

blocchi levigati dei graniti, sui pascoli alle pendici dei monti, queste<br />

querce sembrano gridare vendetta. Sono alberi nudi, decorticati fino<br />

alla divisione del tronco. Un denso rossore riveste il corpo vivo della<br />

pianta. Lo si potrebbe scambiare per sangue, o, meno drammaticamente,<br />

leggere come un pudico segno di timidezza. Ecco perché la<br />

quercia da sughero appare come un albero simbolo della <strong>Sardegna</strong>,<br />

rimarcando per certi versi il carattere schivo dei Sardi e la storia<br />

spesso tragica della loro civiltà.<br />

Il terreno derivato dalla disgregazione delle<br />

rocce granitiche, caratterizzato da un’elevata<br />

acidità, è il prediletto dalla sughera.<br />

Per questo vediamo alberi attecchire anche<br />

là dove le condizioni essenziali per la vita<br />

vegetale sembrano quasi nulle. La sua resistenza<br />

all’aridità è molto superiore a quella<br />

del leccio e perciò la sua diffusione può favorire<br />

la ricostituzione del paesaggio forestale<br />

mediterraneo, non soltanto in Italia<br />

ma anche nei vicini Paesi del Maghreb, in<br />

Grecia e in Spagna. La sughera ha dunque<br />

un valore aggiunto, propriamente forestale:<br />

proteggere i suoli dall’erosione, integrare<br />

gli ecosistemi naturali, conservare e ricostruire<br />

paesaggi degradati.<br />

Può rappresentare allora un’arma efficace<br />

contro la desertificazione e la degradazione degli<br />

orizzonti vegetali. Ma è anch’essa minacciata.<br />

Da una parte gli incendi, piaga costante<br />

delle nostre foreste; dall’altra l’invasione<br />

di piccoli insetti fitofagi, come Limantria dispar,<br />

Malacosoma neustria, Tortrix viridiana,<br />

che stanno portando alla defoliazione dei<br />

boschi. La riduzione della biomassa fotosintetica<br />

compromette la produzione di sughero,<br />

e pure quella di ghiande che sono la base<br />

per l’alimentazione del bestiame brado.<br />

Un’insidia conosciuta ma contro la quale si è<br />

lottato con il solito sistema degli antiparassi-<br />

LIMANTRIA DISPAR<br />

(IN BASSO: IL BRUCO)<br />

GHIANDAIA<br />

(GARRULUS GLANDARIUS)<br />

APPUNTI DI NATURA<br />

Poco esigente in fatto di suoli<br />

(eccezion fatta per il calcare), la<br />

sughera può colonizzare terre<br />

marginali e suoli poveri<br />

di origine silicea o vulcanica. Le sue ghiande sono<br />

ricercate da cinghiali, ghiandaie, topi quercini e<br />

dal bestiame domestico. Le cavità degli esemplari<br />

più vetusti offrono rifugio a martora, donnola, topo<br />

quercino, assiolo, ghiandaia marina, picchio rosso<br />

maggiore, cinciarella, cincia mora, cinciallegra,<br />

torcicollo, mentre i rami ospitano i nidi di tortora,<br />

colombaccio, ghiandaia, cornacchia grigia, sparviero,<br />

poiana, astore. Ciclicamente, a primavera inoltrata,<br />

le sughere vengono attaccate da milioni di larve<br />

di lepidotteri, in particolare di Limantria dispar,<br />

voracissimi bruchi pelosi e colorati capaci di<br />

defoliare totalmente una foresta. Ma la capacità<br />

di reazione della sughera è straordinaria: superata<br />

la fase più virulenta, ricomincia a germogliare e a<br />

produrre nuove foglie: in 30-40 giorni è come prima.<br />

Il danno subìto lo si può quantificare misurando<br />

l’anello di crescita della corteccia: quello relativo<br />

all’anno dell’invasione<br />

ha uno spessore ridotto‘‘Il<br />

anche del 20 per<br />

cento. (Nanni Marras)<br />

sughero viene estratto da lavoratori abili, in modo che si stacca a strisce larghe, alquanto<br />

a poco a poco l’aria balsamica li risana, la natura li riveste pietosa d’un primo velo poroso<br />

come la garza che avvolge le piaghe; i ciclamini e i funghi calpestati si risollevano ai loro<br />

piedi e la pernice d’oro svolazza fra i loro germogli. Un’altra èra deve passare prima che<br />

vengano di nuovo martirizzati. (Grazia Deledda, Novelle, 1912)<br />

FRANCO TESTA/COLL. NATTA<br />

SUGHERETE 21<br />

FRANCO TESTA (2)


PAOLO RONDINI<br />

invito alla visita<br />

Isolate, a formare macchie o estesi<br />

boschi, le sughere sono<br />

una presenza diffusa. Le indicazioni<br />

che seguono sono dunque<br />

solo alcune fra le tante possibili<br />

per incontrare questo paesaggio<br />

così affascinante.<br />

1. MONTI. Un’ampia sughereta,<br />

in parte tenuta a pascolo,<br />

che si estende lungo la statale<br />

199 Sassari-Olbia presso il paese<br />

di Monti e risale verso un altopiano<br />

a leccio e a macchia mediterranea.<br />

Nella valle del Rio<br />

Petra Iscotta, la sughereta conserva<br />

un sottobosco spontaneo<br />

con varie essenze erbacee, giovani<br />

querce e arbusti.<br />

NELLA PAGINA A FRONTE:<br />

UN’ANZIANA DONNA DI LURAS<br />

(SASSARI) SI DISSETA BEVENDO<br />

DA UN MESTOLO RICAVATO DALLA<br />

CORTECCIA DELLA SUGHERA.<br />

22 SUGHERETE<br />

2. MONTE LA ELTICA E SAN<br />

SALVATORE DI NULVARA. A<br />

sud della statale 127, nel tratto<br />

fra Calangiànus e Telti. Fra le<br />

più belle e folte sugherete del<br />

gruppo del Monte Limbara, impreziosite<br />

anche dalle forme contorte<br />

e bizzarre del granito.<br />

3. ALÀ DEI SARDI. La sughera<br />

domina il paesaggio che circonda<br />

il paese di Alà, lungo la statale<br />

389, da Buddusò in direzione<br />

di Olbia. La foresta più bella<br />

si trova a est dell’abitato: una<br />

successione di modesti rilievi,<br />

solcati dai rami sorgentizi del<br />

Rio Bolloro. La monotonia della<br />

sughereta è rotta qua e là da<br />

piccole radure erbose. A volte la<br />

chioma delle querce è così continua<br />

da impedire la crescita del<br />

sottobosco; in altri punti, invece,<br />

eriche e corbezzoli coprono<br />

il terreno periodicamente visitato<br />

dai cinghiali.<br />

4. L’ALTOPIANO DI BUDDUSÒ.<br />

Seguendo la statale 389 da Buddusò<br />

a Bitti, ci si addentra nel<br />

vasto altopiano dove sono le sorgenti<br />

del Tirso, il maggiore fiume<br />

della <strong>Sardegna</strong>. Fra isolati<br />

ammassi granitici si distendono<br />

ampie sugherete. Molto belle<br />

quelle poste nelle vicinanze del<br />

piccolo lago Sos Canales.<br />

5. SA SILVA MANNA. Lungo la<br />

valle del Temo. Vi si accede dal<br />

cimitero di Montresta, circa 15<br />

chilometri a nord di Bosa. Rivela<br />

l’alto grado di adattamento<br />

della sughera. A differenza che<br />

in Gallura, l’ambiente è più umido<br />

e il substrato trachitico.<br />

Nonostante ciò, vi allignano superbi<br />

esemplari secolari che si<br />

spingono fino al letto del fiume.<br />

6. TRA SORGONO E ORTUERI.<br />

Alle falde occidentali del Gennargentu.<br />

Una sequenza di valli<br />

e colli granitici, fra i 300 e i<br />

1.000 metri, coperti di fitte sugherete<br />

rotte da pascoli, campi<br />

di cereali e vigne che danno i<br />

robusti vini del Mandrolisai.<br />

tari, apportatori di danni più che<br />

di benefici. L’Università di Sassari<br />

invece sta ora approntando sofisticati<br />

modelli matematici per la<br />

protezione delle sugherete, mentre finalmente s’inizia a procedere<br />

con nuove forme di lotta microbiologica. Una presa di coscienza importante,<br />

sostenuta anche dalla Regione <strong>Sardegna</strong> che, fin dal 1989,<br />

ha promulgato leggi specifiche per la protezione della quercia da<br />

sughero: l’albero dallo spirito tenace e dall’anima dolce.<br />

PER SAPERNE DI PIÙ<br />

www.regione.sardegna.it/ital/sperimentale_sughero/index.html<br />

www.federlegno.it/associazioni/assolegno/gruppi/sughero<br />

I CONTATTI<br />

Gruppo azione locale Barbagia-<br />

Mandrolisai, 0784 60390.<br />

Stazione sperimentale del<br />

sughero, via Limbara 9, Tempio<br />

Pausania, 079 72200,<br />

e-mail: sperimentale-sughero<br />

@regione.sardegna.it


GESTURI<br />

la giara dei cavallini<br />

DOMENICO RUIU


GESTURI<br />

la giara dei cavallini<br />

DI ANTONIO LOPEZ<br />

✦<br />

DOVE SI TROVA<br />

Le giare, i caratteristici<br />

altipiani basaltici della<br />

<strong>Sardegna</strong>, sono situati nella<br />

parte centro-meridionale<br />

della regione (Marmilla,<br />

Trexenta, Sarcidano<br />

e Arborea). Tra queste, la più<br />

nota è la Giara di Gèsturi<br />

(i sardi la chiamano sa Jara),<br />

che dista una settantina<br />

di chilometri da Cagliari. Si<br />

raggiunge seguendo<br />

la statale <strong>13</strong>1 per Oristano e<br />

deviando, prima di Sanluri,<br />

per Gèsturi-Barùmini.<br />

A DESTRA: IN PRIMAVERA I<br />

PAÙLI SI COPRONO DI ANEMONI<br />

E RANUNCOLI. A FRONTE<br />

IN ALTO: PECORE AL PASCOLO<br />

NELLA SUGHERETA. NELLE<br />

PAGINE PRECEDENTI: STALLONE<br />

DELLA RAZZA DI GÈSTURI<br />

SORPRESO TRA LE BIANCHE<br />

FIORITURE DEGLI ASFODELI.<br />

26 GIARA DI GESTURI<br />

Gèsturi. Il vento caldo dell’estate muove appena l’intricata<br />

macchia di mirti, lentischi e cisti marini di questa piccola savana<br />

alberata, sospesa nel cielo, che è la giara. Il tramonto ci<br />

sorprende nel bosco di sughere di Paùli Maiori di Tuili, mentre le<br />

luci radenti dell’ultimo sole incendiano di rosso i tronchi scorticati e<br />

si riflettono nel rigagnolo della vicina sorgente. È una <strong>Sardegna</strong> dalla<br />

bellezza selvaggia quella che si profila davanti ai nostri occhi; sembra<br />

che non abbia orizzonte e il cielo ti avvolge al di là delle chiome di<br />

lecci, roverelle e sughere. Una sensazione primordiale, sottolineata<br />

da un possente nitrito in lontananza.<br />

“Stanno per arrivare”, mi sussurra Roberto Sanna, 25 anni, guida<br />

e responsabile del centro Jara di Villasanta, che organizza visite guidate<br />

in questo miniparadiso naturale. Sono i cavallini della Giara,<br />

forse gli ultimi cavalli selvaggi d’Europa. Eccoli in fila indiana, l’uno<br />

dietro l’altro. Saranno una ventina, con il manto baio o morello, bassi<br />

di statura, e vengono alla sorgente per dissetarsi. “Sono quasi dei<br />

pony e in media non superano 1 metro e 30 di altezza al garrese”,<br />

spiega Sanna, “hanno grandi occhi a mandorla e una fluente criniera.<br />

Nell’intera giara ne vivranno 700, dei quali poco più di 300 ap-<br />

partengono a privati dei comuni di Genoni, Tuili e Setzu, 180 all’Istituto<br />

per l’incremento ippico di Ozieri e il restante alla locale comunità<br />

montana. Pascolano liberamente, e sono ghiotti dei ranuncoli<br />

d’acqua che crescono abbondanti in primavera nei paùli, una sessantina<br />

di stagni che si formano sulla giara con le piogge invernali. Ma<br />

in estate la gran parte di essi si asciuga e ai cavallini non rimangono<br />

così che le sorgenti per abbeverarsi”.<br />

Quella dei cavallini della giara<br />

è una storia tormentata. Prima<br />

degli anni Trenta si utilizzavano<br />

come animali da lavoro per trebbiare<br />

il grano della Marmilla: una<br />

volta l’anno erano raccolti in<br />

branchi e portati giù per le scalas,<br />

i ripidi canaloni che rappresentano<br />

i soli accessi all’altopia-<br />

DOMENICO RUIU<br />

APPUNTI DI NATURA<br />

Un unico, continuo bosco di<br />

sughere, rigorosamente<br />

curve a bandiera in ossequio<br />

all’imperversante maestrale,<br />

copre l’altopiano di Gèsturi. Rare<br />

roverelle si accompagnano a<br />

corbezzoli, mirti e lentischi. In<br />

primavera è il tripudio del bianco,<br />

con la fioritura simultanea degli<br />

asfodeli, del biancospino, del cisto<br />

marino, del giglio pancrazio<br />

e l’invasione dei ranuncoli che<br />

ricoprono i paùli, avvallamenti<br />

allagati dall’acqua piovana.<br />

L’ALTERNANZA CON LA SICCITÀ<br />

ha fatto di questi stagni<br />

temporanei un ecosistema del<br />

tutto particolare, ricco di<br />

RAGANELLA COMUNE<br />

(HYLA ARBOREA)<br />

MAGNANINA SARDA<br />

(SYLVIA SARDA)<br />

EGIDIO TRAINITO<br />

FRANCO TESTA (2)<br />

specie singolari. Vi prosperano<br />

insaziabili sanguisughe, i ditischi,<br />

grandi e voraci coleotteri<br />

acquatici, raganelle e natrici. C’è<br />

anche l’unicum: un piccolo<br />

crostaceo lungo pochi centimetri e<br />

dipinto delicatamente di verde,<br />

Lepidurus apus lubbocki,<br />

vecchio di 200 milioni di anni,<br />

che si è adattato alla perfezione<br />

ai cambiamenti stagionali.<br />

QUANTO ALLA FAUNA maggiore,<br />

le presenze più significative sono<br />

il cinghiale, la volpe, la martora,<br />

il coniglio selvatico, la lepre e<br />

la pernice sarda, lo sparviero che<br />

caccia i fringillidi del bosco,<br />

il falco pellegrino, e un’infinità<br />

di migratori sia di terra (tordi<br />

vari, merli, colombacci, beccacce),<br />

sia legati alle zone umide (aironi,<br />

anatre, beccaccini, falco di<br />

palude). Tra gli uccelli nidificanti,<br />

si possono ricordare il frosone,<br />

la tordela, la tottavilla, e le<br />

specie di macchia, come l’averla<br />

capirossa, lo zigolo nero e la<br />

magnanina. (Domenico Ruiu)<br />

GIARA DI GESTURI 27


EGIDIO TRAINITO<br />

COME<br />

È PROTETTA<br />

28 GIARA DI GESTURI<br />

La sola salvaguardia<br />

operante<br />

sull’altopiano della<br />

Giara di Gèsturi<br />

è quella del divieto<br />

di caccia, perché<br />

l’area viene<br />

considerata dalla<br />

legge regionale<br />

sull’attività venatoria<br />

un’Oasi permanente<br />

di protezione<br />

faunistica: il divieto<br />

non vale però sui<br />

versanti. Resta invece<br />

ancora sulla carta la<br />

proposta d’istituire il<br />

Parco regionale della<br />

Giara di Gèsturi,<br />

come previsto dalla<br />

legge regionale<br />

sui parchi: la n. 31<br />

del 7 giugno 1989.<br />

no, sino ai paesi; a fine raccolto, gli esemplari sopravvissuti venivano<br />

liberati di nuovo sulla giara. Oggi corrono altri pericoli: l’ulteriore inquinamento<br />

della razza, definita Equus caballus giarae, causato da incroci<br />

con cavalli di taglia superiore; la macellazione; la caccia di frodo.<br />

Fortunatamente, ci sono pure progetti di salvaguardia: a Capo Caccia,<br />

dal 1976, l’Azienda regionale per le foreste, in 12 chilometri quadrati<br />

di natura incontaminata e protetta, ne tiene sotto osservazione una<br />

mandria del tutto rinselvatichita. E da sette anni, sulla giara, l’Istituto<br />

d’incremento ippico opera per<br />

difendere la purezza di questa razza<br />

rustica, utile in prospettiva<br />

per sistemi di allevamento brado<br />

in terre a clima arido abbandonate<br />

dall’agricoltura.<br />

A vederla da lontano, la Giara<br />

di Gèsturi colpisce per la curiosa<br />

forma di gigantesca piramide<br />

tronca, che ricorda i paesaggi<br />

africani delle ambe o quelli spagnoli<br />

delle mesas. Si tratta di un<br />

vasto altopiano, lungo 12 chilometri<br />

e largo 4, con una superficie<br />

di 45 chilometri quadrati,<br />

che si eleva sulla pianura circostante<br />

mediamente di 550 metri.<br />

“Non è l’unica giara della<br />

<strong>Sardegna</strong> centro-meridionale: vi<br />

si trovano anche le più piccole<br />

Giara di Serri e Giara di Simala<br />

o di Siddi”, rivela Luca Pinna,<br />

delegato regionale del Wwf.<br />

DOMENICO RUIU<br />

invito alla visita<br />

L’itinerario consente di scoprire<br />

la Giara di Gèsturi nel suo insieme.<br />

Si sviluppa ad anello e<br />

tocca i principali paùli (gli stagni<br />

creati dalle piogge), i boschi<br />

di leccio, roverella e sughera<br />

e gli ambienti mediterranei a<br />

macchia, gariga e prateria dell’altopiano.<br />

Ha uno sviluppo di<br />

una trentina di chilometri (per<br />

effettuarlo a piedi ci vogliono<br />

circa 10 ore, soste incluse), la<br />

metà in mountain bike. Cartografia:<br />

tavolette Igm, 1:25.000,<br />

218 III SO Barùmini e NO Genoni;<br />

217 II NE Gonnosnò e<br />

SE Ussaramanna. Equipaggiamento:<br />

buona riserva d’acqua<br />

e scarpe da trekking.<br />

Dal paese di Gèsturi si sale<br />

per la strada che va alla giara e<br />

dopo 4 chilometri si lascia l’auto<br />

al parcheggio di Scala Corte<br />

Brocci. S’imbocca la sterrata di<br />

fronte che, tra mirto e lentisco,<br />

ancora in salita porta all’altopiano.<br />

Si costeggia il Paùli Oromeo<br />

e, a circa 3 chilometri dal<br />

parcheggio, a un bivio si svolta<br />

a destra in direzione Paùli Bartili-Zeppara<br />

Manna. Superato<br />

un bosco di sughere (frecce verdi),<br />

si toccano Paùli ’e Fenu, tra<br />

i più grandi della giara, e quelli<br />

di Bartili e Arriscionis, fino ad<br />

PAOLO RONDINI<br />

arrivare alla sorgente s’Ala de<br />

Mangianu. Fatta una sosta, si<br />

riprende il cammino per raggiungere<br />

le pendici di Zeppara<br />

Manna e un gruppo di stagni<br />

chiamati Paùli Maiori. Poi si<br />

torna indietro, lungo il limite<br />

meridionale dell’altopiano, fino<br />

a Paùli Piccia, un altro Paùli<br />

Maiori e la vicina sorgente, dove<br />

al tramonto i cavallini si dissetano;<br />

e da qui, fino al bivio di<br />

partenza e il parcheggio.<br />

testimonianze archeologiche<br />

A SINISTRA: LA VEDUTA<br />

PANORAMICA DELLA GIARA DI<br />

GÈSTURI METTE IN EVIDENZA<br />

LA CARATTERISTICA STRUTTURA<br />

DI QUESTO ALTOPIANO DI<br />

ORIGINE VULCANICA. A FRONTE<br />

IN ALTO: UNA CAPANNA<br />

DI PASTORI IN PIETRA, CON UN<br />

CURIOSO ALTARINO SUL RETRO.<br />

GIARA DI GESTURI 29


‘‘Vi<br />

‘‘<br />

è un luogo in <strong>Sardegna</strong> – imprevisto e imprevedibile come il cratere<br />

di Ngorongoro – dove gli dèi hanno nascosto un campionario di natura<br />

mediterranea con l’apparente intenzione di sottrarla agli uomini: si<br />

chiama Giara di Gèsturi e perfino chi già la conosce prova sempre, invariato,<br />

quel senso di meraviglia che segue a ogni apparizione improvvisa,<br />

anche se ripetuta, anche se attesa. (Egidio Gavazzi, 1981)<br />

IL CONTATTO<br />

Per escursioni,<br />

visite guidate ed<br />

educazione<br />

ambientale: Centro<br />

servizi Jara, statale<br />

n. <strong>13</strong> km 40,250<br />

bivio Villasanta,<br />

Serrenti (Cagliari),<br />

070 9373022;<br />

Internet: www.jara.it<br />

Wwf <strong>Sardegna</strong>,<br />

Cagliari,<br />

070 670308.<br />

30 GIARA DI GESTURI<br />

NEVIO DOZ<br />

QUI A LATO: L’ALTURA DI<br />

LAS PLASSAS, PRESSO<br />

BARÙMINI, AI PIEDI DELLA GIARA<br />

DI GÈSTURI. IL COCUZZOLO<br />

BASALTICO SORMONTATO<br />

DAI RUDERI DI UN CASTELLO<br />

SVETTA DIETRO IL GIALLO<br />

TAPPETO DI CHRYSANTHEMUM<br />

CORONARIUM, IN PRIMO PIANO.<br />

“Sono il segno di passate eruzioni<br />

laviche, in cui il magma traboccò<br />

in diversi centri eruttivi dando<br />

origine a grandi campi di lava,<br />

con scarsa pendenza, che consolidarono<br />

sui sedimenti sottostanti.<br />

Poi l’azione millenaria<br />

dell’acqua e degli agenti atmosferici<br />

erose il suolo dove questo<br />

non era protetto dalla copertura<br />

lavica solidificata, lasciando<br />

tale strato basaltico a un’altezza<br />

superiore al suolo confinante,<br />

che si è abbassato per<br />

l’erosione”. In altre parole, l’altezza<br />

della giara corrisponde<br />

al livello del suolo di circa 3<br />

milioni di anni fa. E sul vasto<br />

tavoliere di Gèsturi si riconoscono<br />

ancora i conetti vulcanici<br />

di Monte Zepparedda (609 metri)<br />

e Zéppara Manna (580 metri),<br />

vette di oggi e madri di ieri.<br />

Preservata dal proprio isola-<br />

mento e dal lavoro di generazioni di pastori e mandriani, adesso la<br />

giara stupisce per la forza naturale. Boschi di querce, macchia mediterranea<br />

fittissima, gariga, praterie e stagni ne fanno il rifugio di una<br />

fauna ricca e varia (vedere il riquadro a pagina 27). E visitandola in quel<br />

meandro di sterrate che la percorrono, si possono pure apprezzare i<br />

resti di 24 nuraghi, lungo il suo perimetro, e antiche capanne in pietra<br />

di pastori. Ma nonostante questo patrimonio, manca di un’efficace protezione<br />

ambientale. “Non è ancora stato istituito il Parco regionale della<br />

Giara di Gèsturi”, accusa Pinna; “sono trascorsi più di dieci anni dalla<br />

proposta che prevedeva l’estensione su 12.102 ettari dell’altopiano<br />

e il coinvolgimento di 14 Comuni. Oggi valgono solo i vincoli idrogeologico<br />

e paesaggistico del 1992, e da qualche anno il divieto di<br />

caccia. È troppo poco per tutelare un’area così preziosa di natura e di<br />

storia dell’uomo”. E dove si può essere ancora sorpresi dal nitrito<br />

dei cavalli selvatici. L’ultimo branco d’Europa.


BARBA GIA<br />

dove il pastore è re


BARBAGIA<br />

DI ANTONELLA<br />

dove il pastore è re<br />

COLICCHIA<br />

DOVE SI TROVA<br />

✦<br />

La Barbagia, complesso di regioni nella parte centro-occidentale<br />

dell’isola, si estende lungo il massiccio del Gennargentu. È delimitata<br />

a est da Gennargentu e Ogliastra, a nord dal Supramonte<br />

e dalla Gallura, a sud dal Campidano, a ovest dalla valle del Tirso.<br />

“Occhi nuovi ci vogliono, per capire la Barbagia. Nuove ricerche<br />

che sgombrino il campo da stereotipi e pregiudizi”. È<br />

tagliente Benedetto Meloni, barbaricino di Austis e sociologo<br />

ambientale all’Università di Cagliari. La sua chiave di lettura del paesaggio<br />

è racchiusa in un corposo saggio, Famiglie di pastori (Rosenberg<br />

& Sellier, 280 pagine, lire 45.000). Si racconta di Siniele, un paese<br />

posto sulle pendici occidentali del Gennargentu, dove la <strong>Sardegna</strong> è<br />

pietra, sughere e pecore. Il nome, come quello dei personaggi intervistati,<br />

è immaginario, “perché i fatti narrati sono tratti da documenti<br />

personali e rischierebbero di ledere l’onore di persone viventi. Onore<br />

che, da queste parti, è sacro”. Storie e cifre riportate nel libro di Meloni<br />

però sono tutte rigorosamente<br />

EGIDIO TRAINITO<br />

vere, frutto d’interviste e di anni<br />

di ricerche negli archivi comunali.<br />

Capire Siniele significa perciò<br />

capire Isili, Austis, Orgosolo,<br />

Aritzo, Belvì. “Leggerne” il territorio<br />

aspro e roccioso, modellato<br />

dai venti, fatto di pascoli rudi,<br />

monotoni, inospitali. Dove l’unica<br />

traccia della presenza umana<br />

sono gli ovili di pietra e di ginepro,<br />

e i paesi restano ancora isolati e<br />

refrattari ad aprirsi a culture diverse<br />

dalla tradizione.<br />

“Il paesaggio risulta segnato<br />

dall’organizzazione pastorale estensiva”,<br />

spiega il sociologo.<br />

“Un modello ecologico-economico<br />

raro, che non prevede più l’originaria<br />

alternanza fra pascoli e colture<br />

di cereali”. L’agricoltura<br />

estensiva infatti è scomparsa negli<br />

anni Sessanta, in coincidenza<br />

con le grandi ondate migratorie<br />

che hanno letteralmente spopo-<br />

A LATO: PANORAMA DAL “TACCO”<br />

CHIAMATO SA CATTEDRALI, NEI DINTORNI<br />

DI LÀCONI. A FRONTE: IL MONTE<br />

ORTOBENE, SOPRA NUORO, AVVOLTO<br />

DALLE NUBI. NELLE PAGINE PRECEDENTI:<br />

MUNGITURA A BRUNCU SPINA.<br />

APPUNTI DI NATURA<br />

Il Gennargentu è il tetto della<br />

<strong>Sardegna</strong>. Qui in breve spazio si<br />

concentrano le uniche cinque<br />

cime che superano i 1.800 metri<br />

(la più alta, 1.834 m, è Punta<br />

La Marmora). Il profilo arrotondato<br />

della montagna si deve all’erosione<br />

omogenea che ha modellato gli<br />

scisti paleozoici che ne costituiscono<br />

l’ossatura. Solo alcuni nuclei<br />

di granito e spettacolari filoni di<br />

porfidi (formidabile quello<br />

di Su Susciu) interrompono la<br />

continuità del paesaggio.<br />

A MANO A MANO CHE SI SALE dal<br />

fondovalle, le residuali formazioni<br />

di lecceta cedono il passo al bosco<br />

rado di roverelle sino all’area<br />

sommitale, dove resistono<br />

all’imperversare del vento<br />

gli arbusti prostrati<br />

(ginepro nano, pruno<br />

prostrato, ginestra<br />

corsica) che fanno<br />

da felice corollario a<br />

una serie di preziosi<br />

endemismi (santolina<br />

insulare, ribes sardo, aquilegia),<br />

e pure a un cardo esclusivo<br />

(Lamyropsis microcephala)<br />

di cui si conoscono solo minuscole<br />

colonie. All’arrivo dell’estate,<br />

il Gennargentu si avvolge dei<br />

colori delle fioriture (la delicata<br />

viola corsa, l’endemica<br />

Armeria morisii, le sassifraghe,<br />

i vistosi tappeti di genziane)<br />

e della fragranza penetrante dei<br />

fiori violacei del timo.<br />

QUI VIVONO diverse coppie di<br />

aquila reale, che beneficiano<br />

dell’abbondanza di mufloni, lepri,<br />

piccoli mammiferi e serpenti.<br />

La pernice è presente anche alle<br />

quote più alte, dove nidificano<br />

MUFLONE<br />

(OVIS MUSIMON)<br />

il culbianco e, probabilmente, la<br />

monachella. Nei corsi d’acqua,<br />

ricoperti di gallerie di ontano nero,<br />

sopravvivono preziose popolazioni<br />

di trota sarda assieme all’euprotto<br />

(Euproctus platycephalus),<br />

la singolare salamandra locale.<br />

A NORD E A OVEST del massiccio,<br />

il granito prende il posto dello<br />

scisto. È un susseguirsi di monti<br />

accavallati, che un’erosione<br />

eccentrica ha scolpito in forme<br />

bizzarre, rivestite di boschi<br />

di querce. Il paesaggio rupestre<br />

suscita un’avvertibile sensazione<br />

d’isolamento. È la Barbagia,<br />

cuore segreto della <strong>Sardegna</strong>,<br />

terra antica di pastori,<br />

di cinghiali, di rapaci, di<br />

presenze elusive,<br />

di vecchie tradizioni<br />

tenacemente conservate.<br />

(Domenico Ruiu)<br />

FRANCO TESTA<br />

COME<br />

È PROTETTA<br />

La Barbagia rientra<br />

in parte nei confini del<br />

Parco nazionale del<br />

Gennargentu, istituito<br />

nel 1998 ma di fatto<br />

ancora inesistente.<br />

I tacchi di Perda Liana e<br />

Texile sono protetti<br />

come Monumenti<br />

naturali regionali; il<br />

Corpo Forestale<br />

gestisce<br />

la foresta demaniale<br />

di Montarbu.<br />

DOMENICO RUIU<br />

BARBAGIA 35


invito alla visita<br />

La visita ideale attraverso le terre di Barbagia e<br />

l’incanto della foresta di Montarbu comincia a<br />

bordo del Trenino Verde, pittoresco convoglio locale:<br />

si sale a Orroli e, dopo uno straordinario itinerario<br />

fra le terre dei pastori, che comprende anche<br />

il transito sul ponticello da capogiro che si affaccia<br />

sulla contorta valle del lago Flumendosa, si<br />

scende alla fermata San Girolamo. Per informazioni:<br />

Ferrovie di <strong>Sardegna</strong>, settore turistico, e<br />

fax 070 580246; prenotazioni: Direzione esercizio,<br />

Cagliari, 070 580075, fax 070 581765.<br />

Da San Girolamo si va a piedi: la meta è Perda<br />

’e Liana, imponente torrione calcareo che domina<br />

la foresta. Scesi dal treno, procedete lungo<br />

la ferrovia in direzione del tunnel da cui si è appena<br />

usciti. Sulla destra, prendete la mulattiera<br />

che sale ripida per circa 250 metri, fino a incrociare<br />

la carreggiabile forestale da imboccare ancora<br />

verso destra. Dopo 600 metri si arriva alla<br />

casermetta forestale di Montarbu; continuate sulla<br />

strada per s’Arcu e su Pirastu Trottu. Dopo 2<br />

chilometri e mezzo c’è un primo bivio, con strada<br />

che s’immette da destra; andate oltre. Percorsi altri<br />

200 metri, trovate un secondo bivio. Scegliete<br />

la strada di sinistra, che in circa 6 chilometri giunge<br />

a s’Arcu ’e su Pirastu Trottu. Da qui, risalite a<br />

destra sul crinale fino al sentiero anulare intorno a<br />

Perda ’e Liana. Si può tornare a San Girolamo sui<br />

propri passi, o scendere lungo un itinerario un<br />

po’ più complesso (tratteggiato sulla carta) che<br />

incrocia Rio sa Onna, costeggia Rio Sammuccu e<br />

torna al bivio iniziale aggirando Serra s’Ilixi.<br />

PAOLO RONDINI<br />

DOMENICO RUIU<br />

A LATO: IL “TACCO” DI TEXILE. IN BASSO:<br />

GINEPRI SECOLARI PRESSO ARCU CORREBOI.<br />

NELLA PAGINA A FRONTE: LA PARETE<br />

CALCAREA DI PILINCANIS NEL GENNARGENTU.<br />

lato i paesi della <strong>Sardegna</strong> centrale.<br />

Coltivazioni a parte, l’ambiente è<br />

rimasto immutato. Tra aprile e giugno,<br />

i pascoli sono in piena fase vegetativa<br />

e tale periodo coincide con<br />

la maggiore produttività delle greggi,<br />

quando le pecore hanno appena I tacchi sono costituiti da una<br />

figliato e vengono munte ogni gior- serie di altipiani calcarei incisi e<br />

no. In autunno invece, il ritardo separati da profonde vallate,<br />

delle piogge può arrivare a mettere alti qualche centinaio di metri,<br />

in crisi l’economia: pascoli gialli e che poggiano su un substrato di<br />

aridi, pecore sottoalimentate, morìa scisti grigi e porfidi rossastri.<br />

di agnelli. “A differenza che sulle Per spiegarne l’origine occorre<br />

Alpi, non vi sono malghe, stalle, né si- fare un viaggio indietro nel<br />

stemi d’irrigazione”, fa notare Meloni. tempo. Con tre fondamentali<br />

“I pastori delle montagne e delle al-<br />

tappe, l’ultima delle quali<br />

te colline della Barbagia compiono coincide con la chiusura della<br />

una transumanza a senso unico”. Tetide (l’oceano che divideva la<br />

Scendono lungo la media e bassa<br />

zolla eurasiatica da quella<br />

valle del Tirso fino ai pascoli<br />

non coltivati del<br />

Campidano settentrionale<br />

o fino ai monti di<br />

Pula e Teulada, dove abbonda<br />

la macchia. Pagano<br />

un canone ai commercianti<br />

caseari che<br />

spesso sono proprietari<br />

o affittuari terrieri.<br />

“L’aspetto più esclusivo<br />

di queste terre, retaggio<br />

dell’alternarsi tra pascolo e agricoltura, è però l’uso del Cumonale”,<br />

sottolinea Meloni. “Significa ‘terra di tutti’. Da sempre è utilizzata,<br />

a rotazione, dalle famiglie di pastori che vi spostavano le greggi in<br />

cerca di foraggio. È terra per la quale ogni Comune fissa ancora una<br />

percentuale da adibire a seminerio (coltivazioni di cereali), a ghiandatico,<br />

legnatico o pascolo, e stabilisce quali famiglie possano accedere<br />

alla raccolta (di grano, ghiande, legname) e quale canone debbano<br />

pagare. È soprattutto per l’uso di queste terre, inserite in un complesso<br />

e parcellizzato sistema di proprietà agraria unico della Barbagia,<br />

che si sono perpetuate antiche faide, vere e proprie guerre di paese,<br />

fenomeni di abigeato e incendi e, non ultima, la strenua opposizione<br />

alla creazione di un parco. Il suo funzionamento (vedere a pagina 94)<br />

prevedrebbe infatti chiarezza e trasparenza sull’utilizzo del suolo.<br />

Pratiche (o divieti) di semina e di pascolo, opere di manutenzione degli<br />

ovili, che fermino l’erosione e l’incuria. Oggi una cinquantina di<br />

gruppi pastorali piuttosto forti occupano queste terre quasi a loro piacimento<br />

e le amministrazioni non riescono a contrastarli”.<br />

I TACCHI CALCAREI? SONO NATI NEL MARE<br />

africana), la formazione del<br />

Mediterraneo e delle sue isole.<br />

240 MILIONI DI ANNI FA. Alla<br />

fine dell’era Paleozoica, quella<br />

porzione della crosta terrestre<br />

che successivamente<br />

sarebbe diventata la <strong>Sardegna</strong><br />

conobbe un periodo di<br />

tranquillità dal punto di vista<br />

tettonico. Per circa 70 milioni di<br />

anni, fino al Giurassico, gli<br />

agenti atmosferici erosero le<br />

rocce metamorfiche e cristalline<br />

di cui era fatta, creando<br />

un vasto altopiano ondulato.<br />

170 MILIONI DI ANNI FA<br />

(Giurassico). Movimenti<br />

verticali della crosta terrestre<br />

inabissarono la regione, che<br />

fu ricoperta da un mare poco<br />

profondo (epicontinentale,<br />

per i geologi). In queste acque<br />

calde e vitali sedimentarono<br />

le rocce calcaree, piene<br />

di fossili di molluschi, che<br />

costituiranno in seguito i tacchi.<br />

<strong>13</strong>0 MILIONI DI ANNI FA (fine<br />

del Giurassico). La regione<br />

riemerge definitivamente. Sul<br />

vasto altopiano calcareo si<br />

forma una rete idrografica che<br />

dà origine a profonde valli e<br />

rilievi calcarei isolati: appunto i<br />

tacchi. Negli ultimi 7 milioni di<br />

anni (Plio-pleistocene) l’erosione<br />

fluviale e carsica causa<br />

una drastica riduzione dei<br />

calcari e il riaffioramento<br />

delle rocce paleozoiche (570-<br />

240 milioni di anni fa). Un<br />

processo che continua sotto i<br />

nostri occhi. (Valerio Agnesi)<br />

BARBAGIA 37<br />

DANIELE PELLEGRINI (2)


DANIELE PELLEGRINI<br />

‘‘<br />

donna, nei periodi di as‘‘La<br />

senza del pastore, prende tutti<br />

i pesi sulle spalle. Un po’<br />

diventa il capo, un maschio<br />

a metà, va all’orto, innaffia,<br />

raccoglie le olive. Una sola<br />

divenne bandito, a Orgosolo,<br />

si chiamava Paska Devaddis.<br />

(Giuseppe Fiori, 1968)<br />

38 BARBAGIA<br />

IL CONTATTO<br />

Wwf, Nuoro, 0784<br />

288016-202953.<br />

Ad Aritzo: Proloco,<br />

0784 629808;<br />

Museo etnografico,<br />

0784 629223.<br />

A Dèsulo: Proloco,<br />

0784 619887.<br />

Su Internet: www.<br />

parcogennargentu.it:<br />

link sui singoli comuni,<br />

ambienti, itinerari.<br />

DONNE DI DÈSULO NEL TIPICO COSTUME<br />

BARBARICINO. IL PAESE SI TROVA NEL<br />

PARCO NAZIONALE DEL GENNARGENTU,<br />

ISTITUITO CON DECRETO MINISTERIALE<br />

NEL 1998 MA DURAMENTE OSTEGGIATO<br />

DALLA POPOLAZIONE LOCALE.<br />

Capito ciò, si può fare un passo<br />

ulteriore. Scoprire che le terre<br />

dei pastori non sono tutte uguali.<br />

Antropologi e geografi parlano<br />

in effetti, al plurale, di Barbagie.<br />

“Questo intarsio di orizzonti<br />

piatti, profondamente sconnesso<br />

e inciso, è composto da diversi<br />

cantoni, per molto tempo isolati l’uno<br />

dall’altro”, scrive Michel Le<br />

Lannou (1941). “È un sistema che<br />

va dal massiccio del Gennargentu,<br />

dai Supramonti interno e costiero,<br />

dalla Gallura meridionale<br />

fino al solco del Tirso”, spiega<br />

il geomorfologo Valerio Agnesi.<br />

“Semplificando, vi sono comprese:<br />

la Barbagia di Bitti, segnata<br />

dal bastione calcareo del Monte<br />

Albo; quelle di Orotelli, di Ollolai<br />

e di Belvì. Quest’ultima risulta<br />

caratterizzata dal sistema dei tacchi calcarei (vedere il riquadro nella<br />

pagina precedente) intervallati dalle valli scistose del più ricco bacino<br />

idrografico sardo: al centro c’è il rilievo di Perda ’e Liana, dal quale<br />

partono i tre corridoi dell’alto Flumendosa e dei rii Flumineddu e<br />

Pardu. Tra queste valli si estende, infine, la Barbagia Seulo”.<br />

Diverse Barbagie, stesso habitat e stesse architetture. Qui il lavoro contadino<br />

(campi di pochi ettari coltivati a grano, orzo, fagioli, fave, patate,<br />

qualche vigna, un po’ di ulivi e, sui pendii più elevati, mandorli) non<br />

ha lasciato tracce, a parte alcune capanne, rifugio provvisorio quando<br />

piove. Fanno eccezione, nella Barbagia centro-meridionale, Dèsulo e<br />

Fonni, dove il territorio consente la presenza di cereali, castagni, peri<br />

e ciliegi fino a 1.200-1.300 metri; gli orti arrivano a 1.600 e i coltivi recintati<br />

(detti “terre chiuse”) s’incastrano nei terreni da pascolo secondo<br />

una geometria della sussistenza in cui non si spreca neppure un<br />

palmo di terra. In prossimità dei villaggi, si trovano siepi e muri a<br />

secco. Gli animali vivono rigorosamente fuori dell’abitato. I cuìles<br />

(ovili) stanno in montagna e svolgono la doppia funzione di riparo<br />

per gli animali e per l’uomo. La zona per le pecore è a cielo aperto,<br />

contraddistinta da sa corte (dove vengono chiuse per la mungitura).<br />

Nei dintorni s’incontra spesso una chiesetta campestre. Nei paesi le<br />

case sono addossate l’una all’altra, sovrastate dal campanile o dalla<br />

sagoma di qualche palazzetto baronale. Colpisce la densità degli abitati,<br />

in confronto ai vasti spazi spopolati dove si pratica la pastorizia.<br />

E colpisce anche l’antica (bio)edilizia: le case in granito (di Olzai, Gavoi,<br />

Fonni), con travi e porte in castagno o ginepro, mattoni in terra cruda,<br />

battenti in ferro. Di estrema modernità, buon auspicio per il futuro.


NURA GHI<br />

le radici


NURAGHI le radici<br />

NURAGHI<br />

TESTO DI STEFANO ARDITO FOTO DI ANGELO MEREU<br />

nessuno<br />

o tracce<br />

≥ 0,1/km 2<br />

0,1- 0,35/km 2<br />

0,35- 0,6/km 2<br />

≤ 0,6/km 2<br />

DOVE SI TROVANO<br />

I nuraghi sono presenti in<br />

tutta la <strong>Sardegna</strong>, variamente<br />

distribuiti (sopra, le aree<br />

colorate indicano la densità<br />

per km 2 ). La concentrazione<br />

più alta è negli altipiani di<br />

Abbasanta, Campeda e della<br />

Valle dei Nuraghi: attraversati<br />

dalla statale <strong>13</strong>1 Carlo Felice,<br />

si raggiungono facilmente<br />

anche dalla superstrada che<br />

collega quest’ultima con Olbia.<br />

42 NURAGHI<br />

Senza i nuraghi, la <strong>Sardegna</strong> sarebbe un’altra cosa. Da un capo<br />

all’altro dell’isola, le fortezze di pietra sorvegliano le vie di comunicazione<br />

e i pascoli, occhieggiano sulle città e i paesi,<br />

sembrano ricordare ai frettolosi uomini e donne d’oggi la lunghezza e<br />

la complessità della loro storia.<br />

Alcuni di essi – i più noti – sorgono vicino alle strade, ma non hanno<br />

perso per questo in suggestione. Il nuraghe Santu Antine si alza<br />

accanto alla Carlo Felice (la strada più trafficata, che unisce Sassari a<br />

Cagliari) in territorio di Torralba. Il Palmavera, il più bello del nordovest,<br />

lo sfiorano i turisti diretti a Capo Caccia. Il Losa, imponente e famoso,<br />

è sullo svincolo tra la<br />

Carlo Felice e la superstrada<br />

per Olbia.<br />

Altri celebri siti – Su Nuraxi<br />

a Barùmini, il nuraghe<br />

Genna Maria di Villanovaforru,<br />

il Lughèrras dell’altopiano<br />

di Abbasanta – si trovano<br />

in angoli più tranquilli.<br />

Altri ancora, come lo straordinario<br />

nuraghe Mereu<br />

del Supramonte di Orgosolo,<br />

sorvegliano i luoghi più selvaggi<br />

della <strong>Sardegna</strong>.<br />

I nuraghi sono tanti, tantissimi.<br />

Le carte dell’Igm ne<br />

segnalano 3.117, gli archeologi<br />

SU NURAXI, IL GIGANTE<br />

Scavato tra 1949 e 1955, il nuraghe<br />

Su Nuraxi di Barùmini, 60 km da<br />

Cagliari, è il complesso megalitico<br />

più importante dell’isola. Gli studi<br />

stratigrafici hanno evidenziato<br />

4 fasi di costruzione (in colori<br />

diversi nella piantina). Alla più<br />

antica (fase A) risale la torre<br />

centrale, 10 metri di diametro, in<br />

origine completata in altezza da una<br />

terza camera (ora ne restano due) e<br />

da una ghiera in aggetto. La torre fu<br />

poi inglobata (fase B) in un bastione<br />

a 4 lobi che però si rovinò al<br />

punto da richiedere l’erezione<br />

di un muro di rifascio spesso 3<br />

metri (fase C). Dopo, Su<br />

Nuraxi decadde, assorbito<br />

nelle costruzioni del<br />

circostante villaggio (fase D):<br />

nel IX secolo a.C. l’aspetto era<br />

già più o meno quello attuale.<br />

PAOLO RONDINI (2)<br />

FASE A XVI-XIV secolo a.C.<br />

FASE B XIV-XII secolo a.C.<br />

FASE C XIII-X secolo a.C.<br />

FASE D X sec. a.C.- III sec. d.C.<br />

IL NURAGHE SU NURAXI,<br />

A BARÙMINI. PAGINE PRECEDENTI:<br />

IL NURAGHE SANTA SABINA,<br />

NELLE CAMPAGNE DI SILANUS.


invito alla visita<br />

Gli altipiani centrali della <strong>Sardegna</strong> danno la possibilità di fare<br />

molte escursioni a piedi, a cavallo o in mountain bike. Attenzione:<br />

spesso orientarsi è difficile perché i sentieri non risultano<br />

evidenti, e la segnaletica non c’è. Non è questo il caso, comunque,<br />

per l’itinerario da Torralba a Bonorva (a lato): tutto in terreno<br />

aperto, non presenta problemi di orientamento. Percorso a<br />

piedi, richiede 4-5 ore. Si parte dal centro di Torralba; imboccata<br />

la vecchia statale per Cagliari, dopo circa 1.500 metri si<br />

piega a sinistra, si passa sotto la superstrada, si sale alla chiesetta<br />

di San Giorgio e si scende a visitare il nuraghe Santu<br />

Antine, con quello di Barùmini il maggior esempio di architettura<br />

megalitica. Si riparte verso il ben visibile nuraghe Oes, si<br />

attraversa la ferrovia e si continua sull’altopiano, scavalcando i<br />

muri a secco delle tanche, fino al nuraghe Don Furadu. Superato<br />

un ponte si procede a sud senza via obbligata, aggirando a<br />

sinistra lo sperone roccioso che regge il nuraghe Feruledu.<br />

Una salita nel vallone di Campu de Olta porta a una strada<br />

sterrata, che a sua volta immette su quella asfaltata che proviene<br />

da Giave. Seguendo quest’ultima si passa accanto ai caratteristici<br />

Tres Nuraghes per salire infine a Bonorva. Il ritorno<br />

si può effettuare in treno (le corse utili sono però pochissime).<br />

PAOLO RONDINI<br />

ne hanno censiti oltre 8.000. I primi vennero costruiti quasi 4.000 anni fa,<br />

quando l’uomo aveva già eretto nell’isola luoghi di culto e le sepolture<br />

rupestri poi chiamate domus de janas (case delle fate). Altrettanto<br />

primordiali, e affascinanti, sono i santuari a pozzo: come quello presso<br />

Santa Cristina, sull’altopiano di Abbasanta, o Su Tempiesu presso<br />

Orune, nel Nuorese. Qui gli antichi Sardi praticavano il culto dell’acqua<br />

e celebravano sacrifici. Pozzi e scalinate, chiusi da coperture in<br />

pietra che li riparavano dalle intemperie, stupiscono per stato di conservazione<br />

ed eleganza.<br />

Da quello che sappiamo di loro, i Sardi del Paleolitico e del Neolitico<br />

erano dei pacifici agricoltori. Il quadro cambiò con l’arrivo delle<br />

nuove armi di bronzo. Diventati prevalentemente pastori (una caratteristica<br />

destinata a durare nei millenni), gli abitanti dell’isola si diedero a<br />

guerricciole e saccheggi su larga scala. “Da allora noi sardi siamo uniti<br />

nell’invidia, e divisi nella pace”, commenta Gavino Ledda, lo scrittore<br />

di Sìligo (Sassari) autore di Padre padrone.<br />

I costruttori dei nuraghi non erano dediti solo alla guerra. Per conoscerli<br />

meglio, è bene parlare con Giovanni Lilliu, il decano dell’archeologia<br />

sarda (è nato a Barùmini 87 anni fa) che, oltre a dirigere il<br />

memorabile scavo di Su Nuraxi, ha fornito un contributo decisivo alle<br />

ricerche sui primi abitanti dell’isola. “Prima delle invasioni fenicie,<br />

puniche e romane, la <strong>Sardegna</strong> era ricca, legata al resto del mondo mediterraneo”,<br />

rivela lo studioso. “La sua civiltà aveva molte affinità con<br />

quella della Grecia arcaica. Gli insediamenti nuragici ci hanno dato<br />

sculture di pietra e bronzo, vasi, armi raffinate che testimoniano di<br />

una cultura complessa ed evoluta”. Fiorente dal 1800 fino al 400 a.C.,<br />

la civiltà nuragica era di tipo pastorale, divisa in tribù analoghe a quelle<br />

dei popoli italici della Penisola: governate da capi eletti, vivevano in<br />

uno stato di conflittualità permanente. È il succedersi di attacchi e<br />

scorrerie a spiegare l’impressionante proliferazione dei nuraghi.<br />

Nonostante gli scontri, la <strong>Sardegna</strong> intorno al 1000 a.C. era aperta<br />

e prospera. “Gli scavi hanno dimostrato che i Sardi nuragici sapevano<br />

navigare, e commerciavano con le Baleari, la Grecia e il Me-<br />

IL NURAGHE LOSA, SULL’ALTOPIANO<br />

DI ABBASANTA: CON LA SUA<br />

STRUTTURA A TRE LOBI, È FRA I PIÙ<br />

BELLI E MEGLIO CONSERVATI.<br />

A FRONTE: IL NURAGHE MANNU<br />

NELL’ENTROTERRA DI CALA<br />

GONONE, DA POCO RESTAURATO.<br />

L’ARCHEOLOGIA<br />

Reperti e testimonianze della<br />

<strong>Sardegna</strong> nuragica sono<br />

custoditi nei musei archeologici<br />

di Torralba ( 079 847298),<br />

Ittireddu ( 079 767623),<br />

Dorgali ( 0784 961<strong>13</strong>),<br />

Sardara ( 070 9386<strong>13</strong>) e<br />

Villanovaforru ( 070<br />

9300050). In quest’ultimo<br />

centro merita una visita<br />

la bottega di Roberta Cabiddu<br />

( 070 9300001),<br />

artista che lavora riproducendo<br />

lo stile e le tecniche<br />

artigiane degli antichi. Da non<br />

perdere, ovviamente,<br />

i musei archeologici di Cagliari<br />

( 070 655911) e Sassari<br />

( 079 272203). L’elenco dei<br />

musei dell’isola è sul sito<br />

www.emmeti.it/Arte/<strong>Sardegna</strong>.<br />

NURAGHI 45


APPUNTI DI NATURA<br />

Nelle campagne di Esporlatu, nel Goceano,<br />

c’è un nuraghe dal nome strano: Erismanzanu.<br />

Significa ieri mattina e come mai abbia questo<br />

nome non si sa. La stranezza più evidente di quel<br />

nuraghe sono però i quattro lecci alti 3 metri che<br />

crescono rigogliosi sulla cima della torre. Proprio<br />

il leccio, assieme al lentisco, è uno dei problemi<br />

maggiori per gli studiosi che scavano i nuraghi<br />

perché le sue radici penetrano profondamente<br />

nella struttura in pietre<br />

della costruzione, spesso<br />

sconvolgendone le parti basse.<br />

ANCHE ROVERELLE e frassini a<br />

volte rendono arduo il lavoro<br />

degli archeologi; mai comunque<br />

come la salsapariglia (Smilax<br />

aspera), che avvolge i ruderi<br />

con le sue fronde intricate e<br />

spinose. Nemico degli<br />

archeologi, questo arbusto (che<br />

in Toscana chiamano<br />

stracciabrache) ha però doti<br />

officinali. Il decotto ottenuto<br />

dalle radici essiccate (altri<br />

adoperano le bacche) è usato<br />

in varie zone dell’isola come<br />

diuretico, per le infiammazioni<br />

di reni, fegato e prostata,<br />

per le dermatiti, e soprattutto<br />

contro il mal di pancia.<br />

SE CHIEDETE invece a<br />

un archeologo qual è l’animale<br />

che s’incontra più spesso<br />

nei nuraghi, la risposta<br />

arriverà immediata: il gongilo<br />

(Chalcides ocellatus).<br />

Tilicuccu, tiligugu, ziricuccu<br />

46 NURAGHI<br />

in sardo, è uno scinco dal corpo lucido e tozzo<br />

con piccole zampe. Quando il nuraghe ha ancora<br />

la camera interna gli ospiti più usuali sono<br />

i pipistrelli. Ma nel Supramonte, pure i mufloni<br />

cercano a volte riparo nei resti delle torri<br />

nuragiche. Sui terreni umidi sono invece i rospi<br />

a rintanarsi tra le grosse pietre, mentre la<br />

testuggine marginata (Testudo marginata) vi si<br />

ritira nelle ore notturne. (Egidio Trainito)<br />

CREDITO<br />

GONGILO<br />

(CHALCIDES<br />

OCELLATUS)<br />

FRANCO TESTA<br />

dio Oriente. Calcoliamo che allora<br />

l’isola desse da vivere a 200-250.000<br />

persone: un livello a cui si tornerà<br />

solo nel XV secolo”, prosegue Lilliu.<br />

“Come i Greci che si riunivano<br />

a Olimpia o a Delfi, i Sardi delle<br />

età del Bronzo e del Ferro s’incontravano<br />

in santuari che dovevano godere<br />

di qualche forma di extraterritorialità.<br />

La tendenza a vedere nel<br />

passato le radici di certi stereotipi<br />

di chiusura e arretratezza associati<br />

all’isola è un grave errore, in cui gli<br />

storici cadono periodicamente”,<br />

tutto un popolo a mostrarsi nelle statuine bronzee di <strong>Sardegna</strong>; dai capi, i re pastori, ai<br />

guerrieri, alle donne dolenti per la morte dei figli in combattimento; dagli umili popolani<br />

contadini e artigiani ai pastori di buoi; dagli eroi ai superstiti delle continue razzie e guerriglie.<br />

E inoltre animali, domestici e selvatici, modellini di nuraghi, faretrine votive, e tante,<br />

tantissime navicelle, segno tangibile di un’abitudine al mare. (Claudio Finzi, 1982) ‘‘È<br />

sottolinea il professore.<br />

A mettere termine a questa “età dell’oro” furono, alla fine, le occupazioni<br />

straniere. I Fenici, giunti intorno all’XI secolo a.C., si limitarono<br />

a fondare modesti empori costieri. Invece i Cartaginesi, sbarcati<br />

nel 535 a.C., cominciarono a conquistare l’interno. “La guerra, lunga e<br />

sanguinosa, spinse i Sardi a ritirarsi nelle zone più impervie e a isolarsi<br />

dal punto di vista economico e culturale. Una situazione che<br />

continuò sotto Roma e ancora nel Medioevo”, conclude Lilliu.<br />

Ma il racconto storico e la visita dei musei e dei nuraghi più noti –<br />

Santu Antine, Losa, Palmavera, Barùmini – non bastano per capire i<br />

Sardi di 3.000 anni fa. Il fascino di queste opere dell’uomo si esprime in<br />

pieno nel loro rapporto con gli spazi, i rilievi, la vegetazione dei paesaggi<br />

in cui si elevano. Chi non teme le scarpinate può andare nel Supramonte<br />

e incamminarsi verso il nuraghe Mereu o il villaggio di Tiscali,<br />

nascosto in una profonda dolina. Ben più comodo è percorrere gli altipiani<br />

del cuore dell’isola, dove il paesaggio è rimasto quasi immutato<br />

nei millenni. Tra la Valle dei Nuraghi e gli altipiani di Abbasanta e<br />

Campeda, le sughere, il basalto, gli esigui appezzamenti a pascolo<br />

permettono d’immaginare la <strong>Sardegna</strong> com’era al tempo dei pastori<br />

nuragici. Centinaia di piccoli e grandi ruderi si confondono con le<br />

rocce, spuntano all’improvviso tra asfodeli e ferule. Gli uomini dalle<br />

armi di bronzo sembrano potersi materializzare dal nulla.<br />

PER SAPERNE DI PIÙ Claudio Finzi, Le città sepolte della <strong>Sardegna</strong>, Newton<br />

Compton, 1982. Rainer Pauli, <strong>Sardegna</strong>, Idea Libri, 1990 (il capitolo<br />

sull’archeologia). Stefano Ardito, Sui sentieri della storia, De Agostini,<br />

1992, e A piedi in <strong>Sardegna</strong> I, Iter, 1993 (per le escursioni tra i nuraghi). ANCORA IL NURAGHE SANTA SABINA. NELL’AREA RESTANO ANCHE UN POZZO CULTUALE E UNA TOMBA.


STAGNI COSTIERI<br />

le perle contese<br />

DOMENICO RUIU


STAGNI STAGNI COSTIERI COSTIERI<br />

DI ANTONELLA COLICCHIA<br />

✦<br />

✦<br />

DOVE SI TROVANO<br />

Gli stagni costieri interessano<br />

soprattutto la provincia di<br />

Oristano (oltre 5.500 ettari,<br />

3.000 dei quali nella penisola<br />

del Sinis). Segue Cagliari,<br />

con 1.600 ettari nei dintorni<br />

della città. Zone umide<br />

minori sono disseminate<br />

nell’immediato entroterra di<br />

molti tratti di litorale.<br />

APPUNTI DI NATURA<br />

Gli stagni dell’Oristanese sono un<br />

grandioso mosaico naturale.<br />

Cabras, vasto e circondato da un<br />

fitto ed esteso canneto, oltre a<br />

ospitare migliaia di anatidi e di folaghe,<br />

è l’ambiente ideale per l’airone rosso, il<br />

tarabusino e lo schivo tarabuso, che vi nidificano<br />

regolarmente. Paùli Maiori, di modeste<br />

dimensioni e al centro di una piana intensamente<br />

coltivata e pascolata, è circondato dal più esteso<br />

canneto naturale della <strong>Sardegna</strong>, dove vive una<br />

delle più importanti popolazioni di pollo sultano<br />

dell’isola. Per facilità e abbondanza di specie è<br />

preferibile però s’Ena Arrubia. Durante il passo<br />

50 STAGNI COSTIERI<br />

le perle contese<br />

Assolti. Così, il 24 ottobre 1996, la pretura di Oristano ha mandato<br />

a casa Giuseppe ed Emiliano Sanna e Fabrizio Paddi. A<br />

trascinarli sul banco degli imputati era stata la famiglia Manca.<br />

Proprietaria dello stagno di Mistras, affidato in gestione alla Cooperativa<br />

Molluschicoltori, non tollerava che i ragazzi calassero la lenza e<br />

considerassero le acque lagunari possesso di tutti. “Sono demaniali”,<br />

ha invece ribadito il giudice. Un principio generale, introdotto con<br />

una legge regionale (la 39 del 1956), difeso dai tribunali in decine di<br />

processi e confermato dalla Corte Costituzionale. La legge, che abolisce<br />

i diritti feudali sugli stagni, non fu certo un regalo. La strapparono<br />

i poverissimi pescatori di Cabras a suon di scioperi, occupazioni,<br />

scontri con la polizia.<br />

Oggi le zone umide che circondano Oristano<br />

– 5.500 ettari di vasche e canali scavati<br />

per farvi confluire il pesce dal<br />

mare aperto, vederlo crescere e<br />

venderlo – sono nelle loro mani.<br />

POLLO SULTANO<br />

(PORPHYRIO PORPHYRIO)<br />

GOBBO RUGGINOSO<br />

(OXYURA LEUCOCEPHALA)<br />

autunnale la superficie dell’acqua appare<br />

spesso interamente ricoperta di uccelli:<br />

folaghe, moriglioni, mestoloni, alzavole,<br />

morette, rari fistioni turchi e, nelle zone<br />

prossime al mare, avocette e fenicotteri.<br />

Il complesso degli stagni di Marceddì e<br />

San Giovanni (divisi solo da uno sbarramento<br />

artificiale) è una grande laguna aperta a<br />

diretto contatto con il mare. D’inverno la<br />

popolano edredoni e beccacce di mare. Infine<br />

Sale ’e Porcus, nella penisola del Sinis: una<br />

laguna temporanea interdunale, priva di<br />

collegamenti al mare, alimentata esclusivamente<br />

dall’acqua piovana e salata per evaporazione.<br />

È un luogo incantato. A fine estate, quando i<br />

temporali ripristinano la laguna, si colora di rosa:<br />

sono i fenicotteri che ogni anno, puntualmente,<br />

ritornano dopo aver nidificato nelle acque<br />

francesi della Camargue. (Domenico Ruiu)<br />

FRANCO TESTA (2)<br />

VEDUTA AEREA DELLO STAGNO DI<br />

CABRAS, IL PIÙ ESTESO DELLA<br />

PROVINCIA DI ORISTANO. NELLA<br />

DOPPIA PAGINA PRECEDENTE: UN<br />

GRUPPO DI FENICOTTERI ROSA NELLO<br />

STAGNO DI SALE ’E PORCUS,<br />

NEL COMUNE DI SAN VERO MILIS.<br />

GUIDO ALBERTO ROSSI


COME SONO PROTETTI<br />

Come zone umide d’importanza<br />

internazionale, gli stagni sardi<br />

sono protetti dalla Convenzione di<br />

Ramsar. La legge Galasso inoltre li<br />

sottopone ai vincoli validi per le<br />

zone di grande interesse<br />

paesaggistico. La Regione si limita<br />

a definire gli stagni “oasi<br />

faunistiche” dov’è vietata la caccia<br />

e a stabilire, come avviene in<br />

mare, periodi di riposo biologico<br />

durante i quali è proibito pescare.<br />

Paùli ’e Sali è stato gestito dal<br />

Wwf assieme alla Cooperativa<br />

Pontis per due anni, nell’ambito di<br />

un progetto Life dell’Unione<br />

Europea. Ma l’amministrazione<br />

comunale non ha garantito la<br />

continuità, com’è accaduto anche<br />

a Paùli Maiori e a s’Ena Arrubia.<br />

Nel Cagliaritano, la zona<br />

di Molentargius-Saline-Poetto è<br />

inclusa, dal 1989, nelle aree<br />

protette regionali. (D. C.)<br />

IL FASSONE<br />

In sardo, su fassoi. È la tipica<br />

barca costruita con il fieno palustre,<br />

a parte gli scalmi di canna e i sostegni in tamerice,<br />

tradizionalmente utilizzata dai palamitai (pescatori<br />

di anguille) che vi trasportavano il palamito (corda<br />

lunga e fitta di ami) e una fiocina. La struttura<br />

è la stessa delle imbarcazioni in uso presso antiche<br />

civiltà: quelle egizie di papiro, quelle peruviane<br />

del lago Titicaca e di Dioca, sul Golfo Persico.<br />

Sotto: l’evoluzione nei secoli, in 4 fasi, di su fassoi.<br />

EGIDIO TRAINITO<br />

LA PESCHIERA PONTIS, A CABRAS. SULLA SPONDA, I RESTI DI UN RIPARO DI CANNE.<br />

O meglio, in quelle delle cooperative che gestiscono la pesca, e degli<br />

abitanti sui quali incombe una sfida: difendere il delicato ecosistema<br />

di terra e acqua da cui dipende l’economia locale e tramandare una<br />

cultura che è scolpita nel paesaggio.<br />

L’ambiente e la storia dello stagno di Cabras, e la gerarchia feudale<br />

della peschiera, sono stati raccontati con insuperata efficacia da Giuseppe<br />

Fiori nel suo Baroni in laguna (Edizioni del Bogino, Cagliari, 1961). A<br />

quarant’anni di distanza, lo scenario non è molto cambiato. Stessi canali,<br />

qualche bicicletta che li costeggia, le barche in fila nel porticciolo.<br />

I pescatori riposano sulle sedie impagliate, fuori delle case. È cambiata<br />

però l’economia. Nel 1600 le acque erano demaniali, cioè della<br />

Corona spagnola. Finché Filippo IV chiese ingenti prestiti a un genovese,<br />

Gerolamo Vivaldi, offrendo come garanzia stagni, peschiere e<br />

dipendenze di Cabras e Santa Giusta. Nel 1853, gli eredi di Vivaldi<br />

cedettero gli stagni a un barone di Oristano: don Salvatore Carta. Le<br />

36 famiglie di eredi (Carta-Boi-Corrias) sono quelle che si opposero<br />

per tutti gli anni Cinquanta all’abolizione dei diritti feudali (in soldoni,<br />

pretendere il pagamento di un canone e decidere a chi concedere<br />

il diritto di pesca). “Dal 1982, quando la Regione sottrasse la gestione<br />

ai baroni, pesca e manutenzione vengono affidate<br />

a cooperative di pescatori”, spiega France-<br />

sco Meli, detto Caboni (il gallo), presidente della<br />

Nuova Cooperativa Pontis. “Attualmente, a un<br />

consorzio di 11 società, che dà lavoro a 390 addetti.<br />

Le acque (40 milioni di metri cubi) forniscono<br />

3.000-4.000 quintali di pesce. Il novellame<br />

(muggini, spigole, orate, sogliole, anguille) entra<br />

dal mare, trova nutrimento e cresce senza alcun<br />

mangime. Può capitare (l’ultima volta è stato<br />

nel 1999) di vedere i pesci a galla, a pancia in<br />

su. Il caldo qui ha fatto evaporare l’acqua e<br />

marcire la materia organica. Risultato: 2.200 ettari<br />

di fango puzzolente da spalare dai fondali,<br />

invito alla visita<br />

Ogni stagno merita la visita, da<br />

affrontare binocolo alla mano,<br />

con due semplici accorgimenti:<br />

scarpe comode (stivali in autunno-inverno)<br />

e prodotti antizanzare<br />

(in primavera-estate).<br />

A chi ha poco tempo ne consigliamo<br />

tre, all’insegna della varietà.<br />

Piccoli e di acque salmastro-dolci<br />

Mar ’e Paùli e Paùli<br />

’e Sali; più grande e salato quello<br />

di Mistras. Prima di esplorarli,<br />

è bene osservarne i contorni<br />

dall’alto della Torre del<br />

porto di Cabras, da cui si domina<br />

l’incantevole puzzle di terra,<br />

acqua e mare dell’Oristanese.<br />

MAR ’E PAÙLI E PAÙLI ’E SALI.<br />

Sono entrambi sul lato nordorientale<br />

dello stagno di Cabras.<br />

Lasciato l’abitato si percorre<br />

l’asfaltata verso Riola per<br />

circa 1 chilometro e mezzo, si<br />

supera un maneggio e<br />

si devia a sinistra su una<br />

sterrata. Si prosegue,<br />

ancora per 1 chilometro<br />

e mezzo, fino ad arrivare<br />

alla riva settentrionale<br />

di Paùli ’e Sali. Da<br />

qui si avanza, a piedi o<br />

in bicicletta, costeggiando<br />

le rive dei due stagni,<br />

separati da una lunga e<br />

stretta lingua di terra e<br />

basse dune. L’habitat, la<br />

vegetazione e le numerose<br />

specie di uccelli rari<br />

(tra cui il pollo sultano) rendono<br />

la visita di estremo interesse.<br />

MISTRAS. Da Cabras, passato<br />

il canale scolmatore, s’imbocca<br />

sulla sinistra una strada bianca<br />

e, all’altezza dell’itticoltura Sa<br />

Còcciula Bogài, si svolta a destra.<br />

Giunti sulle rive, il primo<br />

1 2 3 4<br />

PAOLO RONDINI<br />

spettacolo è offerto dalla vegetazione<br />

di piante resistenti alla<br />

salsedine (salicornia, giunchi e<br />

tamerici), ideale per la nidificazione<br />

di molte specie di uccelli.<br />

Perfetta per fare birdwatching<br />

la parte nord-occidentale dello<br />

stagno. (Dario Cossu)<br />

LO STAGNO DI S’ENA<br />

ARRUBIA, DI FRONTE ALLA PINETA<br />

DI ARBOREA (ORISTANO).<br />

DOMENICO RUIU<br />

PAOLO RONDINI


54 STAGNI COSTIERI<br />

MOLENTARGIUS E LE SALINE futuro. “Diecimila anni fa Molentargius era già un<br />

Cagliari è circondata da una sequela di stagni.<br />

A nord-ovest, l’ampia laguna di Santa Gilla, ricca<br />

di pesce e meta abituale di folaghe, limicoli,<br />

aironi, soprattutto cormorani. Più a sud, le saline di<br />

Macchiareddu, separate dal mare da uno stretto<br />

cordone dunale, ideali per volpoche, avocette e<br />

fenicotteri. A est, a ridosso della periferia urbana,<br />

Molentargius e Quartu, tra i più importanti stagni<br />

del Mediterraneo. Qui sono state censite 180<br />

specie avicole e, nei giorni d’intenso movimento<br />

migratorio, sono state contate 20.000 presenze.<br />

“LO STAGNO DI MOLENTARGIUS, fino a non molti<br />

anni fa, veniva percepito come un buco di quella<br />

grande ciambella che è Cagliari: uno spazio<br />

dai confini incerti, dalla funzione dubbia, colpito<br />

dal degrado e dall’inquinamento. Un intralcio<br />

all’espansione della città”. Perciò, Vincenzo Tiana,<br />

Stefano Pira e altri studiosi e ambientalisti sardi<br />

hanno fatto due cose. Conoscere il passato di questi<br />

1.600 ettari di laguna e saline, e progettarne il<br />

‘‘<br />

‘‘...nuvole viventi adombrano<br />

il cielo, confondendosi<br />

roteanti<br />

nell’aria: è il carnevale<br />

degli acquatici...<br />

(Ettore Arrigoni degli<br />

Oddi, 1901)<br />

centro di produzione del sale, risorsa che è stata<br />

la ricchezza di Cagliari fino all’Ottocento, quando<br />

lo sviluppo della ‘catena del freddo’ ha ridotto<br />

l’importanza del sale come conservante per gli<br />

alimenti”, spiega Pira. “Nel Settecento, nel porto<br />

rimanevano stabilmente ancorate 50 navi svedesi<br />

(che trasportavano il sale in Scandinavia dove<br />

veniva usato per conservare aringhe e sardine)”.<br />

LA PRODUZIONE È CESSATA 17 anni fa e da tale<br />

cambiamento sono derivati svantaggi (perdita del<br />

lavoro), ma pure opportunità. “Chiusi gli impianti<br />

(motopompe comprese), il livello dell’acqua scende<br />

anche di decine di centimetri al giorno”, continua<br />

Pira. “Pioggia e scarichi urbani hanno aumentato<br />

la quota d’acqua dolce e materiale organico, che ha<br />

favorito l’arrivo dell’avifauna”. Oggi siamo a un<br />

passo dall’istituzione di un parco. Una legge<br />

trasferirà alla Regione il demanio delle saline. E, con<br />

esso, 120 miliardi per la bonifica. Una parte servirà<br />

all’area protetta per cui l’Associazione pro parco<br />

di Molentargius-Saline-Poetto si batte da anni.<br />

il ‘raccolto’ bruciato nei falò”. Una<br />

scena d’altri tempi, se non<br />

fosse per gli indennizzi pagati<br />

dalla Regione e per un discusso<br />

progetto del Consorzio di Bonifica.<br />

Obiettivi: immettere nello stagno<br />

acqua dolce (nella misura ideale<br />

per l’acquacoltura) prelevandola<br />

dal fiume Tirso, attraverso<br />

il canale Mar ’e Foghe. E praticare<br />

iniezioni di ossigeno liquido, in<br />

tre diverse zone, per evitare il fenomeno<br />

dell’eutrofizzazione.<br />

“Interventi da attuare con il pieno accordo tra comunità scientifica,<br />

pescatori e protezionisti”, avverte Mena Manca, che allo stagno<br />

ha dedicato il libro I pescatori di Cabras (S’Alvure Edizioni, Oristano,<br />

1990). Mentre gli stagni, con i pesci che vi ingrassavano, venivano<br />

tolti dalle mani dei baroni per essere affidati a coloro che ci lavoravano,<br />

prendeva sempre più corpo una nuova consapevolezza.<br />

Si è capito, insomma, che il valore complessivo di questi specchi<br />

d’acqua non si può limitare a puro fatturato: che è fatto anche di elementi<br />

naturali, flora e fauna, ed estetici. E che, in quanto tale, appartiene<br />

a tutta la collettività. “Ridurre il numero dei cormorani (oltre<br />

10.000 esemplari) che saccheggiano le peschiere (un problema irrisolto),<br />

proteggere i canneti, monitorare temperatura e salinità delle<br />

acque sono un impegno globale”, sottolinea Mena Manca. “Se un<br />

aspetto della vita degli stagni entra in crisi, s’incrina l’intero sistema<br />

economico-ecologico”. E allora, addio pesca, addio turismo, addio<br />

tutto. Tornerebbero i tempi dei baroni in laguna.<br />

DANIELE PELLEGRINI<br />

IL CONTATTO<br />

Molto attiva nella zona<br />

di Cagliari, dove ha una<br />

segreteria ( 070<br />

655230) e un sito Internet<br />

(www.apmolentargius.<br />

sardegna.it), è<br />

l’Associazione pro parco<br />

di Molentargius-<br />

Saline-Poetto, presieduta<br />

da Vincenzo Tiana.<br />

CAGLIARI VISTA DALLE SALINE<br />

DI SANTA GILLA DOVE, DAL 1993,<br />

NIDIFICANO I FENICOTTERI ROSA.<br />

NELLA PAGINA A FRONTE: UN AIRONE<br />

SOSTA NELLO STAGNO DI CABRAS.<br />

STAGNI COSTIERI 55<br />

ENRICO PINNA


DANIELE PELLEGRINI<br />

MINIERE<br />

cuore di tenebre


MINIERE<br />

cuore di tenebre<br />

TESTO DI M ETELLO V ENÈ FOTO DI V ITTORIO G IANNELLA<br />

✦<br />

DOVE SI TROVANO<br />

La stragrande maggioranza<br />

delle miniere sarde si trova<br />

nel Sulcis-Iglesiente, nella<br />

<strong>Sardegna</strong> sud-occidentale<br />

(provincia di Cagliari), in<br />

un’area che occupa circa<br />

2.500 chilometri quadrati da<br />

Fluminimaggiore, a nord,<br />

fino a Capo Teulada, a sud<br />

(il punto più meridionale<br />

dell’isola). I centri più<br />

importanti sono Iglesias<br />

(Iglesiente), Carbonia<br />

e Sant’Antioco (Sulcis).<br />

Manlio, che là dentro ha sputato l’anima, ha pianto e ha perso<br />

più di un amico, dice che la miniera è un’assurdità. “Un monumento<br />

al vuoto, un edificio a rovescio: invece di aggiungere<br />

mattoni li togli, invece di costruire disgreghi”. Il punto di partenza<br />

per un viaggio nelle cattedrali a testa in giù, che voltano le spalle al cielo<br />

per cercare il buio, può essere proprio un incontro con Manlio Massole,<br />

minatore per vocazione e poeta per natura, che un giorno di tanti<br />

anni fa mollò un comodo posto di maestro alle scuole elementari<br />

di Buggerru (Cagliari) per scendere a scavare sottoterra, “mettere<br />

le mani addosso alla vita e farci la lotta, dannazione”.<br />

È lui uno dei più appassionati cantori<br />

del Sulcis-Iglesiente, l’“altra” <strong>Sardegna</strong>:<br />

20.000 ettari di suolo e relativo sottosuolo,<br />

montagne e pianure plasmate e rimodellate<br />

da 40 miniere e 3.000 immobili minerari.<br />

Un’isola nell’isola, che sa di piombo,<br />

carbone, zinco e rame (la quasi totalità<br />

del prodotto nazionale) ed evoca sofferenza<br />

e disperate lotte sindacali; una real-<br />

A DESTRA: LA LAVERIA<br />

LAMARMORA (1897).<br />

SERVIVA A SEPARARE PIOMBO<br />

E ZINCO DALLE SCORIE.<br />

IN BASSO: LA MINIERA<br />

SECONDO IL PITTORE ALIGI<br />

SASSU (1950). NELLE<br />

PAGINE PRECEDENTI:<br />

LA MINIERA DI MONTEPONI.<br />

tà che negli anni di piena attività mineraria (tra il 1850 e i primi anni<br />

Sessanta) ti faceva “abbandonare ogni mattina il sole per<br />

sprofondare nell’umidità grigia” e oggi, in epoca di Internet e globalizzazione,<br />

offre le sue ferite, i suoi magnifici ruderi e i suoi uomini<br />

alla memoria. “Le pale meccaniche ormai tacciono, ma il nostro<br />

mondo non morirà”, ci disse Manlio nel 1995, quando chiuse<br />

l’ultima miniera. “Sogno un grande parco minerario, visite guidate ai<br />

vecchi impianti, ex minatori pronti a raccontarsi”.<br />

E il sogno, in effetti, si è realizzato. O quasi. Nel senso che in<br />

questi anni il parco è stato fatto, l’hanno chiamato Parco geominerario<br />

storico e ambientale della <strong>Sardegna</strong>, l’ha riconosciuto come<br />

sito d’interesse mondiale nientemeno che l’Unesco, nel 1997. Pec-<br />

‘‘<br />

‘‘“Bisogna scendere. Sottoterra. All’imbocco del pozzo si lasciano il sole e le nuvole.<br />

Si lasciano la moglie e i figli. Solo Dio, forse, ci si porta appresso nella parte più intima<br />

di noi se anch’Egli non ci abbandona laggiù fuggendo la materia più profonda.<br />

Nel terribile mondo della roccia e del buio sopravvivono solo uomini di roccia e di<br />

buio che hanno necessità di dimenticare la coscienza di essere uomini”.<br />

(Manlio Massole, minatore e poeta, 1993)<br />

58 MINIERE MINIERE 59


SOPRA: IL POZZO DI ESTRAZIONE SANTA<br />

BARBARA; È IL“GIOIELLO” DELLA<br />

MINIERA DI SAN GIORGIO. IN BASSO,<br />

A DESTRA: LE “MONTAGNE ROSSE”,<br />

DEPOSITI DI SCORIE PRESSO MONTEPONI.<br />

COME SONO PROTETTE<br />

60 MINIERE<br />

Dal 1997, le aree<br />

minerarie sarde sono<br />

sotto l’egida<br />

dell’Unesco, che<br />

nell’ambito della nuova<br />

rete mondiale dei<br />

geositi-geoparchi ha<br />

istituito il Parco<br />

geominerario storico e<br />

ambientale della<br />

<strong>Sardegna</strong>, promosso<br />

dalla Regione e<br />

dall’Emsa (Ente<br />

minerario sardo).<br />

Il territorio dell’isola è<br />

stato diviso in 8 aree; la<br />

principale (65 per cento<br />

del parco) è quella<br />

del Sulcis-Iglesiente-<br />

Guspinese. L’intento è<br />

di conservare e<br />

valorizzare il patrimonio<br />

architettonico delle<br />

miniere dismesse,<br />

aprendole al turismo e<br />

impiegando gli ex<br />

minatori e i loro familiari<br />

in attività “socialmente<br />

utili”. L’area comprende<br />

anche due parchi<br />

naturali: Monte Linas-<br />

Marganai (a nord-est<br />

di Iglesias, 22.000<br />

ettari) e Sulcis (tra<br />

Carbonia e Cagliari,<br />

68.868 ettari).<br />

cato che, tra cavilli burocratici e ritardi legislativi<br />

(ed è storia di questi giorni), tutto è ancora sulla<br />

carta. Compresa la “riconversione” di ex addetti<br />

al settore estrattivo in attività “socialmente utili”<br />

(turismo in loco, bonifica del territorio). Così, da<br />

un lato vedi gioielli di archeologia industriale in piedi<br />

per miracolo; dall’altro incontri uomini e donne<br />

che reclamano un futuro, e lo fanno nel classico<br />

stile del minatore disoccupato: occupando. Come<br />

Rosina Carta, di anni 88, che nel giugno scorso si<br />

è autoreclusa nei cunicoli di Porto Flavia, dove<br />

da piccola seguiva il padre cavatore, a capo di un<br />

gruppetto di donne. O come Giampiero Pinna, 50 anni, già presidente<br />

dell’Ente minerario sardo (adesso in liquidazione) e consigliere<br />

regionale diessino, paladino degli “uomini di pietra”: nel novembre<br />

2000 ha lasciato il suo ufficio di Cagliari per scendere nelle<br />

gallerie di Monteponi, a Iglesias, dove al momento in cui scriviamo<br />

è tuttora asserragliato con 400 fedelissimi.<br />

In attesa che il parco decolli, l’agenda dell’Igea (l’istituto di ripristino<br />

ambientale nato dalle costole dell’ente minerario) è fitta d’impegni.<br />

Occorrono molti soldi (circa 2.000 miliardi preventivati), e il<br />

tempo stringe. Dagli anni Cinquanta,<br />

quando cominciò il lento<br />

e graduale abbandono delle<br />

miniere perché era venuta meno<br />

la convenienza alla “coltivazione”,<br />

il degrado ha fatto passi da<br />

gigante. L’acqua è risalita dalle<br />

falde freatiche, allagando e danneggiando<br />

gli impianti. Ruggine<br />

e salinità hanno corroso i palazzi<br />

delle direzioni, le falegnamerie,<br />

i pozzi, gli eleganti archi<br />

ottocenteschi delle laverie.<br />

Per le strutture che rischiavano<br />

il crollo, come la straordinaria<br />

laveria Lamarmora di Nebida<br />

(foto a pagina 59) e il capolavoro<br />

d’ingegneria Porto Flavia<br />

(vedere il riquadro a pagina 62),<br />

sono già stati effettuati corposi<br />

lavori di restauro. Altre stanno<br />

aspettando il restyling. E presto<br />

partiranno dei veri e propri progetti<br />

di “destinazione archeologica”: a<br />

Montevecchio, vicino alla cittadina<br />

di Guspini, il sindaco Tarcisio<br />

Agus preannuncia la “messa<br />

a punto di un percorso sotterraneo<br />

completo, attraverso la<br />

miniera, lungo 800 metri”.<br />

Così, insomma, verrà valoriz-<br />

(segue a pagina 64)<br />

APPUNTI DI NATURA<br />

È una mattina di aprile del 1952.<br />

Francesco Salis, 25 anni,<br />

professione minatore, infila dei<br />

candelotti di esplosivo in un<br />

tratto di parete della miniera di<br />

San Giovanni, a 5 chilometri da<br />

Iglesias. L’attesa. Lo scoppio. E la<br />

meraviglia: quando il polverone<br />

si dirada, al di là del muro “si<br />

scorse il paradiso”. Fu scoperta<br />

così, per puro caso, durante il duro lavoro<br />

di un pugno di operai, una delle cavità carsiche<br />

più antiche e affascinanti della <strong>Sardegna</strong>: la<br />

grotta di Santa Barbara (qui sopra; vedere anche<br />

Airone <strong>Sardegna</strong>, maggio 1994).<br />

Costituita da un grande salone ovoidale (50 metri<br />

di larghezza, 70 di lunghezza e 25 di altezza;<br />

potrebbe contenere un palazzo di quattro piani) e da<br />

un canalone inferiore che finisce in un laghetto,<br />

questa cavità è considerata fra le<br />

più antiche del mondo: le<br />

dimensioni dei colonnati calcarei<br />

mineralizzati a piombo e zinco<br />

che la contraddistinguono, e<br />

soprattutto l’esclusiva presenza di<br />

cristalli di barite (solfato di bario)<br />

a nido d’ape, hanno permesso<br />

di datarne l’origine a oltre 500<br />

milioni di anni fa. Nel corso<br />

dell’esplorazione, il visitatore<br />

resta colpito dalle straordinarie<br />

forme di alcune concrezioni: le “canne d’organo”,<br />

incredibile cascata calcarea; le “orecchie d’elefante”,<br />

stalattiti che sembrano sfoglie; la cosiddetta<br />

“ballerina”, che il tempo ha modellato a forma di<br />

bambola. Per il momento, l’accesso a Santa Barbara<br />

avviene sempre attraverso il “buco” aperto<br />

dal minatore Salis, ed è quindi vietato ai turisti.<br />

Nel progetti del parco geominerario, tuttavia,<br />

rientra pure uno studio per una sua futura fruibilità.<br />

MINIERE 61


1 Piombo e zinco, in arrivo dalla<br />

vicina laveria, entrano nella<br />

galleria superiore trasportati da<br />

un convoglio a trazione elettrica.<br />

2 Il minerale viene scaricato in<br />

9 grandi silos, che a loro volta lo<br />

riversano sul nastro trasportatore<br />

della galleria inferiore. 3 Il nastro<br />

porta il minerale verso lo sbocco<br />

sul mare, dov’è montato un<br />

braccio mobile. 4 Piombo e zinco,<br />

attraverso il braccio orientato,<br />

finiscono nella stiva del mercantile.<br />

62 MINIERE<br />

4<br />

3<br />

PORTO FLAVIA, CAPOLAVORO DA SCOGLIERA<br />

Si apre sulla scogliera antistante<br />

il faraglione del Pan di Zucchero,<br />

e a vederlo pare un castello<br />

delle favole, con quel nome di<br />

donna inciso a caratteri cubitali e<br />

le finestrine buie che guardano<br />

nel vuoto. Invece, è una delle più<br />

straordinarie opere d’ingegneria<br />

mineraria al mondo.<br />

Realizzato nel 1924 dall’ingegner<br />

Cesare Vecelli, della società<br />

francese Vieille Montagne, che<br />

volle dedicarlo alla figlia morta<br />

prematuramente, Porto Flavia<br />

aveva lo scopo di facilitare il<br />

trasporto di piombo e zinco dai<br />

vicini impianti di Masua al mare,<br />

dove stavano in attesa apposite<br />

imbarcazioni. Fino ai primi anni<br />

Venti, le operazioni erano infatti<br />

affidate unicamente al sudore dei<br />

minatori, che portavano a spalle<br />

il minerale in recipienti da<br />

50 chili e lo caricavano sulle<br />

bilancelle, piccoli vascelli a vela.<br />

COME FUNZIONAVA. Con<br />

l’inaugurazione di Porto Flavia<br />

2<br />

1<br />

tutto cambiò. Nel ventre della<br />

montagna si scavarono due<br />

gallerie sovrapposte. In quella<br />

superiore entrava una sorta di<br />

trenino a trazione elettrica, con<br />

i vagoncini colmi di piombo<br />

e zinco in arrivo dalla laveria; il<br />

materiale veniva poi riversato<br />

in nove grandi silos, che<br />

lo passavano su un nastro<br />

trasportatore montato<br />

nella galleria inferiore (vedere<br />

il disegno). Quest’ultimo<br />

sbucava all’esterno, sul mare,<br />

attraverso un braccio mobile<br />

che scaricava direttamente<br />

i minerali su grossi mercantili, che<br />

da allora in avanti sostituirono<br />

le piccole e inadeguate bilancelle.<br />

La resa di Porto Flavia era di<br />

circa 500 tonnellate di piombo e<br />

zinco all’ora: otto volte in più<br />

rispetto ai metodi tradizionali.<br />

L’impianto venne abbandonato<br />

negli anni Sessanta.<br />

IL “GIOIELLO” OGGI. Potrebbe<br />

ormai essere questione di giorni:<br />

dopo un’accurata sistemazione<br />

dei percorsi interni, Porto Flavia<br />

è praticamente pronto per le<br />

visite guidate. In attesa<br />

dell’apertura, la struttura può<br />

essere ammirata in tutta la sua<br />

maestosità anche dal mare. Info:<br />

Il faro di Masua, 0781.47125,<br />

e-mail: masua@iglesiente.com<br />

PAOLO RONDINI<br />

A SINISTRA: LA MINIERA DI MASUA.<br />

DA QUI IL MINERALE VENIVA PORTATO AL<br />

VICINO IMPIANTO DI PORTO FLAVIA<br />

(A FRONTE E IN ALTO), CHE LO RIVERSAVA<br />

DIRETTAMENTE NELLE STIVE DELLE NAVI.<br />

MINIERE 63


64 MINIERE<br />

invito alla visita<br />

L’“anello” Iglesias-Fluminimaggiore-Iglesias<br />

(circa 100 chilometri)<br />

è sicuramente la via più<br />

indicata per esplorare il parco<br />

geominerario. Gran parte del<br />

percorso è asfaltata e si può effettuare<br />

in auto; una mountain<br />

bike a bordo è comunque auspicabile,<br />

per affrontare gli sterrati<br />

più stretti nei pressi degli impianti.<br />

Prima di lasciare Iglesias,<br />

vale la pena fare una visita<br />

ai reperti intorno alla città: il<br />

villaggio abbandonato di Seddas<br />

Moddizzis (strada per Carbonia,<br />

grande sterrata a sinistra<br />

all’altezza del cavalcavia<br />

della statale 126); nei pressi, il<br />

pozzo Santa Barbara della miniera<br />

San Giorgio, le miniere<br />

di San Giovanni e di<br />

Monteponi. Seguendo poi<br />

le indicazioni per il mare,<br />

strade asfaltate<br />

strade sterrate<br />

miniere<br />

I CONTATTI<br />

Su Iglesias e dintorni:<br />

Biblioteca comunale<br />

di Iglesias (Cagliari), <br />

0781 41795. Per visite<br />

al bacino minerario:<br />

Cooperativa La<br />

Gherardesca, Iglesias<br />

(CA), 0781 33850.<br />

Museo etnografico e<br />

Tempio di Antas:<br />

0781 580990.<br />

dopo circa 8 chilometri si arriva<br />

alla miniera di Nebida, nel<br />

cuore del golfo di Gonnesa: da<br />

non perdere la discesa (400 scalini)<br />

alla splendida laveria Lamarmora,<br />

costruita nel 1897 e<br />

ristrutturata. Procedendo sull’asfalto<br />

si giunge alla miniera<br />

di Masua: ne fa parte l’impianto<br />

di Porto Flavia (vedere il riquadro<br />

a pagina 62). Proprio<br />

di fronte alla costa, si staglia<br />

il caratteristico scoglio calcareo<br />

chiamato Pan di Zucchero<br />

PAOLO RONDINI<br />

(<strong>13</strong>3 metri). All’altezza delle ultime<br />

case di Masua ha inizio uno<br />

stradone in salita che porta<br />

al villaggio minerario di Montecani.<br />

Continuando ancora, si<br />

ridiscende verso la costa; lasciata<br />

sulla destra la miniera di<br />

Acquaresi, a sinistra s’imbocca<br />

una stradina per l’incantevole<br />

Cala Domestica, ideale per un<br />

tuffo e un po’ di sole. Più avanti,<br />

si arriva a Buggerru (laveria<br />

di Malfidano) e si procede<br />

lungo la bellissima spiaggia di<br />

Portixeddu. Ripiegando all’interno,<br />

s’incontra un bivio: a sinistra<br />

si va alle miniere di Ingurtosu<br />

e Montevecchio, a destra<br />

si passa Fluminimaggiore.<br />

La strada che prosegue per Iglesias<br />

(la statale 126) offre interessanti<br />

deviazioni verso la<br />

grotta di Su Mannau (lunga 7<br />

chilometri), il tempio punico<br />

romano di Antas e le cosiddette<br />

“miniere montane”.<br />

zato il bello della <strong>Sardegna</strong> mineraria.<br />

E pure il brutto. Perché<br />

miniera è anche scorie, e buchi<br />

nella roccia, e fanghi di<br />

scarto intrisi di zinco, piombo,<br />

cadmio. Inquinano, certo. Ma<br />

sono parte integrante di un<br />

paesaggio davvero unico. A<br />

Monteponi, per esempio, subito<br />

fuori Iglesias, si trovano le “montagne”. Costeggiano la provinciale,<br />

hanno un’altezza di una ventina di metri e al tramonto, col sole radente,<br />

si tingono di rosso. I curiosi le ammirano, i turisti le scalano, i<br />

naturalisti le odiano: non sono altro che gli scarti zincosi della vicina<br />

miniera. Però verranno risparmiati. Li metteranno in sicurezza, in modo<br />

che non si dilavino a ogni temporale, inquinando pericolosamente<br />

l’ambiente. Così anche la natura chiuderà un occhio di fronte a uno<br />

degli ultimi, fragili ricordi degli oscuri “palazzi al contrario”.<br />

PER SAPERNE DI PIÙ Un libro: Paesaggi e architetture delle miniere (Sandro<br />

Mezzolani e Andrea Simoncini, Editrice Archivio fotografico sardo,<br />

1993, 394 pagine, 120.000 lire). E due siti Internet: www.sulcisiglesiente.it<br />

(su storia del territorio, singoli paesi, archeologia e turismo) e<br />

web.tiscalinet.it/forparcogeominerario (per informazioni sul parco minerario).


LA COSTA<br />

dove volano i grifoni<br />

DOMENICO RUIU


LA COSTA<br />

LA COSTA<br />

dove volano i grifoni<br />

DI STEFANO ARDITO<br />

✦<br />

✦<br />

DOVE SI TROVA<br />

L’ultima roccaforte<br />

del grifone sardo è la costa<br />

nord-occidentale dell’isola,<br />

tra Bosa e Capo Caccia.<br />

La si raggiunge in pochi<br />

chilometri da Porto Torres<br />

(dove arrivano i traghetti da<br />

Genova) e in circa 150<br />

da Olbia. Da Cagliari, si segue<br />

la statale <strong>13</strong>1 Carlo Felice<br />

fino a Macomer, e qui si<br />

devia verso Bosa. Si può anche<br />

utilizzare il vicinissimo<br />

aeroporto di Alghero-Fertilia.<br />

COME È PROTETTA<br />

68 LA COSTA DEI GRIFONI<br />

Molti litorali dell’isola aspirano al titolo di costa più bella della<br />

<strong>Sardegna</strong>. Se il granito e le acque della Costa Smeralda sono<br />

famosi nel mondo e le falesie e le calette del golfo di Orosei<br />

sono le uniche a meritare la definizione di wilderness, la splendida costa<br />

di Alghero e Bosa può rivendicare un altro pregio. È un po’ meno<br />

selvaggia, e certamente meno nota; solo lì comunque è possibile ammirare<br />

l’elegante volo planato del grifone.<br />

Fino a un secolo fa, il grande avvoltoio era diffuso praticamente in<br />

tutta l’isola. Vent’anni or sono lo si poteva osservare ancora nel Supramonte<br />

di Oliena. Oggi sono allo studio alcuni progetti di reintroduzione.<br />

Le uniche colonie<br />

autoctone, però, nidificano nel<br />

nord-ovest della <strong>Sardegna</strong>, sui<br />

calcari di Capo Caccia e sulle<br />

scure falesie di basalto che dominano<br />

l’estuario del Temo.<br />

Distanti in linea d’aria una<br />

cinquantina di chilometri, questi<br />

due ambienti hanno paesaggi<br />

piuttosto diversi tra loro, anche<br />

se uniti – oltre che dalla contiguità<br />

geografica e dall’icona del<br />

grifone – dalla bellezza, dalla vicinanza<br />

del mare, dalla forza del<br />

maestrale che spazza le alture<br />

della Nurra con una violenza<br />

sconosciuta al resto della regio-<br />

roccia è coperta di<br />

macchie e cespugli bassi,<br />

il colore sembra scarso<br />

giacché il nero domina<br />

con il grigio: ma quel nero,<br />

quel grigio diventano<br />

colori di straordinaria<br />

intensità sotto quel cielo<br />

e quelle nuvole attizzati<br />

senza posa dal vento.<br />

(Guido Piovene, 1961)<br />

ne. Tra i due sorge Alghero, cuore della <strong>Sardegna</strong> catalana e città più<br />

bella dell’isola (vedere il riquadro a pagina 70).<br />

Verso nord, i bianchissimi calcari di Capo Caccia formano il promontorio<br />

più spettacolare di tutta la <strong>Sardegna</strong>, e offrono il più tipico dei<br />

paesaggi costieri mediterranei. Poco ripido a oriente, dove pendii rivestiti<br />

di fitta macchia scendono in direzione dell’insenatura di Porto<br />

Conte, il capo presenta un aspetto prettamente dolomitico in direzione<br />

del mare aperto, dove le scogliere verticali si allungano per chilo-<br />

‘‘‘‘ La<br />

Anche se non figura sugli elenchi ufficiali, l’Arca di Noè (4.000 ettari) è una delle più importanti aree protette della<br />

<strong>Sardegna</strong>, ed è formalmente compresa dal 1999 nel Parco regionale di Porto Conte (5.200 ettari)<br />

che è però assolutamente inesistente sul terreno. Non c’è traccia nemmeno delle riserve naturali di Capo Caccia (2.515<br />

ettari) e della Valle del Temo (4.699 ettari), previste dalla legge regionale n. 31 del 1989.<br />

La legge nazionale n. 979 del 1982 ha previsto l’istituzione della Riserva marina di Capo Caccia-Isola Piana.<br />

VITTORIO GIANNELLA<br />

LE BIANCHE SCOGLIERE<br />

DI CAPO CACCIA. NELLE PAGINE<br />

PRECEDENTI: LA COSTIERA DI<br />

BOSA OSPITA L’ULTIMA COLONIA<br />

DI GRIFONI DELLA SARDEGNA.


ALGHERO,<br />

ECHI DI CATALOGNA<br />

I turisti arrivati ad Alghero<br />

possono credere di aver sbagliato<br />

paese. Nei cartelli stradali le<br />

vie si chiamano carrer, le piazze<br />

plaça, le porte portal. Anche<br />

il dialetto della città che i suoi<br />

abitanti chiamano L’Alguèr<br />

non è il Logudorese parlato nel<br />

resto della provincia di<br />

Sassari, ma una forma arcaica<br />

di catalano: la lingua<br />

di Barcellona e delle Baleari.<br />

Tra le comunità “straniere”<br />

immigrate a partire dal<br />

Medioevo in <strong>Sardegna</strong> (liguri a<br />

Carloforte, ponzesi a Cala<br />

Gonone, còrsi alla Maddalena),<br />

quella dei catalani di Alghero<br />

è la più consistente. A far<br />

traversare loro il mare, dal<br />

<strong>13</strong>55, furono gli Aragonesi che<br />

avevano conquistato da poco<br />

l’isola. Scopo dichiarato, “tenir<br />

apretada e sotmesa la naciò<br />

sarda”. Per un secolo, come i<br />

neri nella Johannesburg prima<br />

di Mandela, i sardi furono<br />

ammessi in città solo dall’alba<br />

al tramonto. Per lavorare.<br />

La ricchezza e l’importanza<br />

militare della Alghero catalana<br />

si manifestano ora nel gotico<br />

della chiesa di San Francesco,<br />

del suo chiostro e del Duomo di<br />

LA PRESENZA DI OVINI ALLEVATI<br />

ALLO STATO BRADO ASSICURA AI<br />

GRIFONI ABBONDANZA DI CIBO.<br />

70 LA COSTA DEI GRIFONI<br />

Santa Maria, e nelle poderose metri, sfiorando i 300 metri di al-<br />

fortificazioni (qui sopra,<br />

tezza. Queste rocce hanno attirato<br />

i bastioni) scandite dalle torri l’attenzione di grandi nomi dell’al-<br />

di San Giovanni, degli Ebrei pinismo come Cesare Maestri, A-<br />

e de l’Esperò Reial (lo Sperone lessandro Gogna e Manolo.<br />

Reale). L’integrazione fra<br />

Dal piazzale dove termina la stra-<br />

catalani e sardi è iniziata nel da asfaltata, i 656 gradini della E-<br />

1708 con la fine della<br />

scala del Cabiròl (la scala del ca-<br />

dominazione spagnola, e si è priolo, in catalano) conducono alla<br />

progressivamente consolidata. Grotta di Nettuno, che si apre al li-<br />

Parlare di contrapposizione tra vello del mare e contende a quella<br />

i due gruppi, oggi, sarebbe<br />

del Bue Marino il titolo di principa-<br />

sbagliato e fuorviante. Non c’è le “grotta turistica” dell’isola. Al-<br />

dubbio, però, che la gente<br />

l’interno, dove una lapide ricorda<br />

de L’Alguèr conservi uno stretto le visite di re Carlo Alberto, si tro-<br />

rapporto con Barcellona e la vano un lago dalle acque trasparen-<br />

Catalogna, e che Alghero e ti, ampi saloni e imponenti forma-<br />

Sassari – che pure distano solo zioni di stalattiti (la più vistosa è la<br />

35 chilometri – non si amino cosiddetta “Reggia”).<br />

troppo. I sassaresi, per andare Ancora più a nord, oltre la torre<br />

al mare, preferiscono puntare cinquecentesca della Pegna che se-<br />

verso Stintino e Castelsardo. gna con i suoi 271 metri il punto più<br />

elevato del promontorio, un vasto<br />

pianoro ondulato è il cuore dell’Arca<br />

di Noè, la riserva di 4.000 ettari gestita dall’Azienda forestale regionale<br />

che protegge la ricca avifauna locale e vari mammiferi “importati”<br />

da altre parti della <strong>Sardegna</strong>. Le strade sterrate e i sentieri dell’area<br />

protetta consentono di avvistare daini sardi, mufloni, cavallini della<br />

Giara e asini bianchi dell’Asinara.<br />

Verso il largo, altrettanto spettacolari e rocciose di Capo Caccia, l’Isola<br />

Foradada e l’Isola Piana sono frequentate dal falco pellegrino e<br />

dalla berta, uno dei più rari uccelli marini italiani. I grifoni nidificano<br />

sulle pareti di Punta Cristallo, e continuano purtroppo a diminuire di<br />

numero. Oggi si parla di non più di due o tre esemplari.<br />

Non sappiamo se gli avvoltoi siano stati disturbati dagli scalatori<br />

(pochissimi) o dai motoscafi (fin troppi) che passano ai piedi della<br />

scogliera in estate. Non c’è dubbio, però, che le pecore e i pastori sono<br />

spariti da tempo dal promontorio di Capo Caccia, dalla costa<br />

NEVIO DOZ (2)<br />

GIANMARIO MARRAS<br />

invito alla visita<br />

La strada che collega in 63 chilometri Bosa con<br />

Capo Caccia è una delle più panoramiche della<br />

<strong>Sardegna</strong>, e permette di osservare con calma la<br />

costa. Lasciata Bosa (meritano una visita il castello<br />

e la chiesa di San Pietro extra Muros) il<br />

tracciato sale fino a un piccolo valico, poi scende<br />

in direzione del mare. Questa è la zona dov’è<br />

più facile avvistare i grifoni. Poco più avanti,<br />

merita una deviazione a piedi la ben visibile<br />

Torre Argentina, che si raggiunge prendendo<br />

un’evidente carrareccia. Poi la strada si alza di<br />

nuovo fino alle pendici di Monte Mannu: alcuni<br />

slarghi consentono di posteggiare per ammirare<br />

dall’alto i canaloni e le scogliere di Capo Marargiu.<br />

Un lungo tratto solitario ma meno spettacolare<br />

conduce alla spiaggia di Cala Griecas e<br />

all’inizio del litorale di Alghero. La zona è ottima<br />

per fare un bagno. Oltrepassata la città, la<br />

visita del nuraghe Palmavera precede l’arrivo a<br />

Porto Conte, una delle insenature più belle della<br />

<strong>Sardegna</strong>. Imboccando la strada per Santa Maria<br />

La Palma e Sassari si possono raggiungere<br />

Porto Ferro e il lago di Baratz. Accanto al borgo<br />

punti di particolare<br />

interesse dell’itinerario<br />

di Tramariglio si trova l’ingresso<br />

dell’Arca di Noè. La successiva<br />

salita porta al piazzale del Belvedere,<br />

affacciato sull’Isola Foradada, da cui<br />

comincia il sentiero (un’ora e mezzo tra andata e<br />

ritorno) per la torre della Pegna. La strada termina<br />

al piazzale di Capo Caccia da dove parte<br />

la Escala del Cabiròl. L’estremità del promontorio<br />

è un’area militare e chiusa al pubblico.<br />

PAOLO RONDINI<br />

IL PITTORESCO CENTRO STORICO<br />

DI BOSA, AFFACCIATO SUL TEMO<br />

E DOMINATO DAL CASTELLO.


APPUNTI DI NATURA<br />

Il grifone ha appena finito di lisciarsi le penne.<br />

Avverte il refolo buono e si lascia cadere nel vuoto<br />

ad ali aperte. Scivola verso l’alto, e l’orizzonte si<br />

spalanca. Di fronte a un mare intensamente blu, si<br />

estende la lunga dorsale carsica che unisce Punta<br />

Cristallo al monumentale spuntone di Capo Caccia.<br />

Di qua le due grandi isole, la Piana e la Foradada;<br />

di là invece un dolce avvallamento<br />

occupato in parte da una pineta artificiale:<br />

lo chiamano l’Arca di Noè ed è<br />

un piccolo eden ricco di fauna (anche<br />

cavalli della Giara e asini albini<br />

dell’Asinara) e di eccezionali<br />

specie botaniche, come un<br />

vasto tappeto di centaurea<br />

MASSIMO DEMMA<br />

LA COSTA A NORD DI BOSA (SI<br />

RICONOSCE TORRE ARGENTINA)<br />

BATTUTA DALLA MAREGGIATA.<br />

GRIFONE<br />

(GYPS<br />

FULVUS)<br />

orrida, astragali e pulvini di ginestra corsica,<br />

circondato da palme nane e ginepri contorti.<br />

ORA IL GRANDE RAPACE fa rotta verso sud e punta<br />

su Capo Marargiu. Il paesaggio, scosceso e<br />

precipite, è tipicamente pastorale. Nelle dorsali più<br />

spoglie sono sopravvissuti solo alcuni lecci<br />

modellati dalla furia del maestrale. È posto buono<br />

per pernici, lepri e conigli selvatici. Vi abbondano<br />

piccoli roditori e rettili, per la gioia di poiane<br />

e gheppi. Doppiato Capo Marargiu sarà l’andesite,<br />

antica roccia vulcanica con molte sfumature,<br />

a comporre il paesaggio generosamente coperto di<br />

lentisco e di olivastro. Il pascolo è brado, così<br />

capita spesso che un capo vada a male. Della sua<br />

presenza si accorgeranno per primi i corvi<br />

imperiali e le cornacchie grigie. Poi sarà il turno<br />

della volpe. Infine arriveranno loro, i grifoni.<br />

I rapaci si alzano nella tarda mattinata, quando<br />

l’aria riscaldata dal sole offre le correnti<br />

ascensionali che li sostengono senza fatica.<br />

FRANCO TESTA<br />

PERNICE SARDA<br />

(ALECTORIS BARBARA)<br />

sempre più antropizzata di Alghero<br />

e anche dalla piana bonificata<br />

della Nurra, diventata ormai<br />

da qualche decennio una<br />

delle zone agricole più fertili di<br />

tutta la regione.<br />

Trenta chilometri più a sud, il<br />

paesaggio è completamente diverso.<br />

Fra le creste e i torrioni rocciosi<br />

di Monte Mannu e il tranquillo<br />

centro storico di Bosa, si affacciano<br />

sul Mar di <strong>Sardegna</strong> lo stesso<br />

basalto e le stesse querce da sughero<br />

che formano verso l’interno<br />

gli altipiani di Abbasanta e<br />

della Campeda. Muri di pietre<br />

costruiti dai pastori con fatica secolare<br />

separano i fazzoletti (verdi<br />

per gran parte dell’anno, gialli<br />

e riarsi in estate) dei pascoli e<br />

dei campi. Quando il maestrale<br />

soffia e il cielo appare corrucciato,<br />

è facile immaginare di essere<br />

in Cornovaglia o in Irlanda.<br />

Tra Cala Griecas, Capo Marargiu,<br />

Torre Argentina e Bosa, si<br />

viaggia lungamente senza incontrare<br />

tracce di presenza umana.<br />

Qui, al contrario che a Capo<br />

Caccia, il grifone gode di ottima salute. Lo confermano le strisce bianche<br />

degli escrementi che macchiano la roccia e segnalano che ci sono<br />

dei nidi, fatti con rami, frasche e asfodeli sulle pareti di Badde Orca e<br />

del Monte Pittada. Ogni giorno gli avvoltoi si lanciano in volo verso la<br />

strada costiera, sorvolano Bosa e la foce del Temo, prendono quota<br />

con larghi centri concentrici. Quindi virano decisamente a oriente, e<br />

puntano verso i pascoli degli altipiani dell’entroterra. Lì trovano le<br />

carcasse di pecore e capre di cui hanno bisogno per nutrirsi.<br />

“Anche quest’anno è andata bene”, sorride Saverio Biddau, la<br />

guida naturalistica di Bosa che condivide con l’amico Antonello Cossu<br />

il difficile ruolo di guardiano dei grifoni. “All’ottantina di adulti che hanno<br />

costruito i loro nidi sulla costa si sono aggiunti una dozzina di piccoli<br />

che hanno preso il volo a primavera. Pure stavolta birdwatcher,<br />

escursionisti e fotografi sono stati attenti. Se ci si apposta come si deve,<br />

e si conoscono i luoghi, i grifoni adulti possono essere osservati<br />

senza problemi. Avvicinarsi ai nidi nel periodo della cova, invece, può<br />

provocare la fuga dei genitori e la morte per fame dei piccoli”.<br />

“Ho iniziato a fotografare i grifoni trent’anni fa, tra le rocce del Supramonte.<br />

Poi la diminuzione delle pecore e dei pastori li ha cacciati<br />

dalle montagne dell’interno. Ora vengo a cercarli qui, sul litorale di<br />

Bosa, dove gli avvoltoi sembrano destinati a durare”, spiega Domenico<br />

Ruiu, il più noto fotografo di animali dell’isola. Chissà se un giorno,<br />

anziché dirigersi nell’entroterra, qualche giovane grifone nato<br />

sulle falesie di Bosa spiccherà il volo per ritornare a Capo Caccia.<br />

DOMENICO RUIU (2)<br />

SOLO POCHI ALBERI RIESCONO<br />

A RESISTERE ALLA FORZA DEL<br />

VENTO, COME QUESTO LECCIO<br />

SCARNIFICATO DAL MAESTRALE<br />

SUI PENDII DEL MONTE MANNU.<br />

IL CONTATTO<br />

Per vedere i grifoni, conviene<br />

affidarsi alle guide Saverio Biddau<br />

( 0347 769<strong>13</strong>33) e Antonello<br />

Cossu ( 0347 5482718).<br />

Informazioni sull’Arca di Noè si<br />

possono richiedere all’Ispettorato<br />

delle Foreste di Sassari ( 079<br />

2088940). La Cooperativa<br />

Dulcamara ( 079 999197)<br />

raggruppa una dozzina di aziende<br />

agrituristiche della Nurra.<br />

LA COSTA DEI GRIFONI 73


EGIDIO TRAINITO<br />

TANCHE<br />

i i muri<br />

muri<br />

dell’arraffa-arraffa<br />

dell’arraffa-arraffa


TANCHE<br />

i muri dell’arraffa-arraffa<br />

DI ALBANO MARCARINI<br />

✦<br />

DOVE SI TROVANO<br />

Questo genere di paesaggio<br />

si può ancora incontrare<br />

in alcune parti degli altipiani<br />

centro-settentrionali<br />

dell’isola. Le zone di più fitto<br />

impianto sono l’altopiano<br />

di Abbasanta, il Meilogu e la<br />

Campeda, il bordo della<br />

Planargia. Ciò non toglie,<br />

comunque, che il reticolo<br />

delle tanche persista anche<br />

in altre zone – come nel<br />

Nuorese –, seppure in forma<br />

frammentata e degradata.<br />

76 TANCHE<br />

A volte il paesaggio si può paragonare a una pila di vecchi<br />

giornali. Giorno dopo giorno, la pila aumenta. Sotto, spuntano<br />

i lembi delle copie vecchie di mesi. Gli angoli sono un po’<br />

gualciti, le pieghe non sono più perfette, la carta è ingiallita. Così è<br />

per certi paesaggi che non reggono il peso della modernità. Ne restano<br />

schiacciati ma talvolta, ai margini o negli interstizi, conservano<br />

elementi di continuità, qualche nesso con il passato. Sono quelle piccole<br />

cose – un sistema di disporre i campi o erigere case, l’uso dei<br />

materiali, una data vegetazione, una geomorfologia – che in origine, e<br />

in modo ben più importante, erano servite a identificarlo come “un”<br />

paesaggio, diverso da altri.<br />

Alcuni studiosi chiamano gli<br />

SOPRA E A FRONTE: TANCHE A RIPOSO<br />

E COLTIVATE SULL’ALTOPIANO DI<br />

ABBASANTA, NELL’ORISTANESE. NELLE<br />

PAGINE PRECEDENTI: SANTA MARIA<br />

ISCALAS A COSSOINE, NELLA CAMPEDA.<br />

NEVIO DOZ (2)<br />

effetti di questa progressiva involuzione<br />

“archeologia del paesaggio”.<br />

Non si limitano a cercare<br />

le ultime tracce dei paesaggi<br />

del passato, ma tentano anche di<br />

ricostruirne le vicende, scorrendo<br />

la pila dall’alto verso il basso.<br />

Se dovessimo applicare tale metodo<br />

alla <strong>Sardegna</strong>, l’area maggiormente<br />

indicata sarebbe quella<br />

degli altipiani centro-settentrionali<br />

e gli oggetti di studio la tanca e il<br />

vidazzone: due reliquati di paesaggio,<br />

di forma e struttura diversissime,<br />

ma decisivi per la<br />

storia della <strong>Sardegna</strong> rurale.<br />

Per i non sardi questi termini<br />

suonano forse oscuri. Ci soccorre<br />

l’agronomo Francesco Gemelli<br />

che, intorno al 1776, scrive: “Le<br />

tanche, così appellate dal sardo ‘tancare’, cioè chiudere, sono terreni<br />

serrati di siepe, o di muro. Intendo invece vidazzoni le terre divise ab<br />

antiquo con una linea ideale in due o più regioni, una d’esse ogni anno<br />

destinasi alla seminagione, restando l’altra all’uso del pascolare”.<br />

Due modi di definire lo spazio rurale, chiuso o aperto a seconda del tipo<br />

di conduzione: privata, o “particolare”, nella tanca; pubblica e collettiva<br />

nel vidazzone. Quest’ultimo è una corruzione del termine habitacione:<br />

lo riporta la Carta de Logu, atto amministrativo della fine del<br />

XIV secolo relativo ai terreni esclusivi di una data comunità.<br />

Sin da epoca remota, infatti, ogni villaggio aveva terre di sua perti-<br />

PAOLO RONDINI (2)<br />

‘‘<br />

‘‘Tutta la media valle del Tirso è frammentata in parcelle, dette tancas, dalle forme irregolari, piccole<br />

e nude quelle in prossimità dei villaggi, più vaste e cosparse di macchie e qua e là di querce da sughero<br />

quelle più lontane; tutte comunque circondate da muri nerastri formati da grossi blocchi di<br />

basalto, che raramente presentano delle brecce e che impediscono la visuale a ogni osservatore che<br />

non si metta in posizione più elevata, per esempio su un nuraghe. (Alberto Mori, 1966)<br />

nenza. L’isolamento e le condizioni naturali spingevano all’organizzazione<br />

autonoma delle comunità. I lotti lunghi e stretti del vidazzone erano<br />

sorteggiati tutti gli anni tra i capifamiglia. Si gettava il seme in una<br />

delle due “regioni” lasciando l’altra a riposo, ripasciuta per 12 mesi<br />

dal pascolo degli ovini. “Ci fu un tempo, non molto lontano”, sintetizza<br />

lo scrittore Salvatore Cambosu in Miele amaro, “in cui la terra era<br />

aperta come un mare, dove pastori e contadini affrontavano le stagioni,<br />

godendola sotto consuetudinarie intese, e spartizioni rotatorie: in<br />

una specie di comunismo rurale”. Riservate alle vigne, agli orti, agli<br />

uliveti che cingevano da vicino il villaggio, le tanche avevano una distribuzione<br />

più limitata; gli unici latifondi riguardavano le terre più<br />

lontane e accidentate, dominio assoluto dei pastori transumanti.<br />

Questo prevalente sistema dell’uso collettivo delle terre superò usurpazioni<br />

feudali, aggressioni coloniche esterne e ogni altro tentativo di<br />

spoliazione arrivando intatto alle soglie dell’Ottocento. Il suo improvviso<br />

scardinamento avvenne con la legge delle Chiudende, emanata il 6<br />

ottobre 1820 da Vittorio Emanuele I. Il provvedimento, sostenuto tacitamente<br />

dai pochi grandi possidenti e, in buona fede, da chi pensava<br />

che lo sviluppo della proprietà privata fosse uno strumento di progresso,<br />

diede facoltà ai Comuni di frazionare il loro demanio, ven-<br />

●<br />

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●<br />

strade asfaltate<br />

sentieri bordati<br />

da muri<br />

muri a secco<br />

LEGENDA<br />

1 il reticolo delle tanche nella<br />

campagna di Abbasanta:<br />

allontanandosi dal centro abitato,<br />

aumenta l’estensione degli<br />

appezzamenti cintati. I punti rossi<br />

indicano i nuraghi.<br />

2 ricostruzione del vidazzone nei<br />

pressi di Muravera. Le terre, di<br />

proprietà comune e sorteggiate<br />

ogni anno, erano in parte lasciate<br />

a pascolo e in parte coltivate.<br />

seminativo<br />

pascolo<br />

1 2


Probabilmente nessuno saprà<br />

mai quanti chilometri di<br />

muretti a secco percorrano le<br />

campagne, le colline e gli<br />

altipiani rocciosi dell’entroterra<br />

sardo. Incredibile per<br />

estensione, questo ambiente<br />

artificiale è stato evidentemente<br />

apprezzato da una<br />

moltitudine di piccoli animali:<br />

rettili, uccelli e mammiferi ci<br />

vivono dentro, vi si riproducono<br />

e vi trovano rifugio.<br />

L’UCCELLO più caratteristico è<br />

l’upupa, inconfondibile<br />

per il volo sfarfallante, che<br />

depone le uova e alleva<br />

i figli nelle nicchie tra i sassi.<br />

Non occorre il suo andirivieni<br />

a segnalare la presenza del<br />

nido, basta usare l’olfatto:<br />

il suo odore forte e acre non<br />

può passare inosservato.<br />

A minacciare il nido dell’upupa<br />

ci pensa un altro inquilino<br />

dei muretti a secco: la donnola.<br />

Piccola e furtiva, trova<br />

anch’essa rifugio tra le pietre,<br />

dove spesso sceglie anfratti<br />

grandi abbastanza per farne la<br />

propria tana e partorire.<br />

BIACCHI E LUCERTOLE escono<br />

dai loro nascondigli quando<br />

la temperatura sale. Il<br />

rettile più particolare che si può<br />

incontrare sui muretti a secco<br />

dell’isola è però l’algiroide<br />

nano (Algyroides fitzingeri).<br />

Endemico di <strong>Sardegna</strong><br />

e Corsica, è davvero un peso<br />

MASSIMO DEMMA<br />

APPUNTI DI NATURA<br />

UPUPA<br />

(UPUPA EPOPS)<br />

78 TANCHE<br />

piuma, lungo solo 4 cm (coda<br />

esclusa). Pure il tarantolino<br />

(Phyllodactylus europaeus) di<br />

giorno si nasconde nei pertugi<br />

delle tanche: geco di abitudini<br />

unicamente notturne, è tipico<br />

delle isole del Tirreno e si<br />

distingue dagli altri gechi per il<br />

colore scuro, le punte delle<br />

dita allargate e la coda rigonfia,<br />

quando, come spesso accade,<br />

è rigenerata. (Egidio Trainito)<br />

PIETRE IN EQUILIBRIO APPARENTEMENTE<br />

PRECARIO NEL MURO DI UNA TANCA<br />

SULL’ALTOPIANO DI ABBASANTA. NELLA<br />

PIANURA, DOVE NON C’ERA PIETRA,<br />

LE TANCHE ERANO DELIMITATE DA SIEPI.<br />

NEVIO DOZ<br />

dendolo, affittandolo o addirittura<br />

regalandolo a privati. Il muro<br />

o la siepe servirono per circoscrivere<br />

e difendere i nuovi diritti<br />

acquisiti. E vennero dei momenti<br />

in cui il muro fu il riparo dietro<br />

al quale asserragliarsi armati,<br />

perché, come si può intuire, si<br />

verificarono abusi di ogni genere,<br />

aggravati dalla mancanza di<br />

qualsiasi censo o catasto.<br />

La legge non diede i risultati<br />

dichiarati. I contadini non avevano<br />

i capitali per sfruttare i fondi;<br />

molti non furono neppure in<br />

grado di realizzare le chiusure,<br />

indispensabili per legittimare le<br />

proprietà. Per i possidenti e per<br />

quanti godevano di una certa<br />

autorità fu gioco facile incamerare<br />

a prezzi irrisori ciò che i più<br />

miseri non potevano mantenere.<br />

Si diffuse un detto, valido evidentemente<br />

per pochi: “Qui hat<br />

tanca hat banca” (Chi ha tanca ha<br />

“tavola”, ossia è benestante).<br />

Così, l’immobilismo e l’arretratezza<br />

che si volevano combattere diventarono<br />

invece prassi comune<br />

e nel chiuso orizzonte della tanca<br />

si retrocedette spesso all’incolto<br />

o al pascolo brado. Infinite<br />

le ricadute negative: il riaprirsi<br />

dell’atavico astio con i pastori<br />

(costretti a pagare per accedere<br />

ai pascoli chiusi), la discontinua<br />

vocazione colturale e la polverizzazione<br />

(attraverso le eredità)<br />

dei fondi, la nascita di un prole-<br />

tariato alla mercé dei padroni. Nel 1860 il Nuorese fu teatro di una<br />

sommossa popolare (detta del Su connottu, “il conosciuto”) che rivendicava<br />

il ripristino delle antiche consuetudini, ritenute più eque.<br />

Ma la conseguenza più visibile fu la trasformazione di migliaia di ettari<br />

di campagne aperte in una frastagliata maglia di campi cintati. Vennero impilati<br />

miliardi di pietre per centinaia di chilometri, a volte per perimetrare<br />

proprietà d’infime dimensioni. Se in pianura, non disponendo<br />

di pietre, le tanche si dividevano con le siepi, negli altipiani la<br />

presenza dei muri diventò ossessiva. Ne furono assoggettati i tavolati<br />

vulcanici centro-occidentali, il Nuorese, le colline dell’Anglona, del<br />

Logudoro e del Sassarese. Ne rimasero esenti la Barbagia e il Gerrei,<br />

terre a prevalenza pastorale, e le pianure meridionali.<br />

Dopo le riforme fondiarie del dopoguerra, le ricomposizioni e la<br />

mai troppo deprecata disattenzione verso questi segni della memo-<br />

invito alla visita<br />

Circondata da muretti di pietra,<br />

lei stessa tutta in pietra, la chiesa<br />

di Santa Maria Iscalas domina<br />

la campagna di Cossoine,<br />

circa 40 km a sud di Sassari. Da<br />

qui può partire un giro – in bicicletta<br />

o in auto – che, cercando<br />

ciò che resta del sistema delle<br />

tanche, porta a scoprire un paesaggio<br />

rurale di rara suggestione.<br />

Da Santa Maria Iscalas si<br />

va a imboccare verso nord la<br />

Carlo Felice (principale arteria<br />

dell’isola) fino a Giave, dove si<br />

possono vedere i pinnetti, piccoli<br />

edifici rustici coperti in pietra<br />

quasi a imitare le rocce vul-<br />

caniche sparse nella campagna.<br />

Da qui a Bonorva (visitare il<br />

museo archeologico) e poi, con<br />

una deviazione, al paese-fantasma<br />

di Rebeccu: un pugno di<br />

vicoli stretti e vecchie case in<br />

pietra abbandonate. Nella piana<br />

sottostante, decine di appez-<br />

ria, dell’immensa trama petrosa restano solo alcuni brani. A guardarli non<br />

rendono la dimensione del fenomeno, però forse bastano a spiegarlo.<br />

Bisogna tuttavia salire l’altopiano di Abbasanta, aggirarsi per le campagne<br />

di Borutta nella zona del Meilogu, scandagliare la Campeda<br />

fra Macomer e Bonorva. Lì, forse, di fronte all’avida pretesa di un<br />

possesso mai scritto sulle carte, anche se fisicamente tracciato sulla<br />

terra, si possono capire le crude parole di un vecchio ritornello sardo:<br />

“Tancas serradas a muru/fattas a s’afferra-afferra/si s’ifferru esseret terra/si<br />

haìan serradu puru” (Tanche cinte da muro/frutto dell’arraffa-arraffa/se<br />

all’inferno ci fosse terra/avrebbero recintato pure quella).<br />

PER SAPERNE DI PIÙ M. Le Lannou, Pastori e contadini di <strong>Sardegna</strong>, Edizioni<br />

della Torre, Cagliari, 1992. A. Terrosu Asole, “I paesaggi d’altipiano<br />

e il mondo pastorale”, in La <strong>Sardegna</strong>, vol. I, Edizioni della Torre,<br />

1982. L. Del Piano, La sollevazione delle Chiudende, Cagliari, 1971.<br />

PAOLO RONDINI<br />

UNA DELLE ROCCE VULCANICHE<br />

SPARSE NELLA CAMPAGNA<br />

DI GIAVE, NEL LOGUDORO.<br />

zamenti agricoli testimoniano<br />

le successive divisioni di proprietà<br />

che hanno scomposto il<br />

paesaggio sardo. Tornati sulla<br />

strada principale, il giro finisce<br />

a Sant’Andrea Prius, la cui<br />

necropoli con le Domus de Janas<br />

(tombe ipogee scavate nella<br />

trachite) è uno dei siti archeologici<br />

più importanti e forse meno<br />

noti della <strong>Sardegna</strong>. (E. T.)<br />

EGIDIO TRAINITO<br />

TANCHE 79


PISCINAS<br />

il nostro Sahara<br />

VITTORIO GIANNELLA


PISCINAS<br />

DI METELLO VENÈ<br />

✦<br />

DOVE SI TROVA<br />

L’area di Piscinas occupa<br />

circa 5 chilometri quadrati<br />

lungo la Costa Verde<br />

(<strong>Sardegna</strong> sud-occidentale), a<br />

circa 100 chilometri da<br />

Cagliari. È attraversata dal<br />

Rio Piscinas e dal Rio<br />

Naracauli. I centri abitati<br />

più importanti della<br />

zona sono Arbus e Guspini.<br />

NELLA PAGINA A FRONTE: LO<br />

SPARTO (AMMOPHILA LITTORALIS),<br />

PIANTA TIPICA DI QUESTI AMBIENTI,<br />

CONSOLIDA LE DUNE. PAGINE<br />

PRECEDENTI: LA MOLE DELLE DUNE,<br />

ALTE FINO A 60 METRI, SI STAGLIA<br />

SUL VERDE DELL’ENTROTERRA.<br />

il nostro Sahara<br />

L’area delle dune fa parte della Riserva naturale del Monte Arcuentu<br />

e Rio Piscinas, che si estende per 10.972 ettari;<br />

a sud confina con la Riserva naturale di Capo Pecora, promontorio<br />

tufaceo (con imponenti cordoni di dune) di 1.659 ettari.<br />

Nel cuore del piccolo Sahara sardo, l’antico deposito minerario<br />

collegato alla miniera di Ingurtosu, oggi trasformato<br />

in un alberghetto, è stato dichiarato monumento nazionale<br />

(1985) dal ministero dei Beni Culturali<br />

per il suo particolare interesse storico e artistico.<br />

82 PISCINAS<br />

“È stata un po’ come una storia d’amore, di quelle brevi e violente,<br />

che ti rimangono per sempre qui”. La manona tocca il<br />

cuore e il Grande Arrabbiato, con le iniziali maiuscole come<br />

piace a lui, si riscopre Grande Innamorato. Di più: “Prigioniero di<br />

una magia che mi terrà avvinto a sé fino all’ultimo dei miei giorni”,<br />

dice Giampaolo Pansa, 66 anni, condirettore de L’Espresso, notista<br />

politico al vetriolo e scrittore di rara maestria. Travolto da un’insolita<br />

passione nell’azzurro mare di <strong>Sardegna</strong>: non donne, ma dune.<br />

Quelle di Piscinas, in Costa Verde: 5 chilometri quadrati di Sahara<br />

in provincia di Cagliari, maestose colline d’ocra alte fino a 60 metri che il<br />

vento ha cesellato granello su granello e la natura ha guarnito qua e<br />

là di erbe spartane e ginepri secolari. “In Italia non c’è nulla di più<br />

bello”, gongola l’illustre Stregato dalla Duna. E ti racconta di un<br />

amore nato nel più classico dei modi: la voglia di vacanza, un conoscente<br />

che fa le presentazioni... “Un giorno di pochi anni fa ti leggo<br />

un trafiletto di un collega che parla di un paradiso di sabbia e mare<br />

cristallino, con in mezzo uno strano alberghetto ricavato da un antico<br />

deposito minerario. Così, a scatola chiusa, ho prenotato una camera<br />

per qualche giorno: avevo in mente la trama di un nuovo romanzo<br />

e tanto bisogno di un posto tranquillo”.<br />

Il seguito della storia è scritto proprio fra le righe di quel romanzo,<br />

uscito nel 1998 e appena ristampato: Ti condurrò fuori dalla notte (Sperling<br />

Paperback, 14.500 lire). Trama: un giornalista del Corriere della<br />

Sera sparito nel nulla, un’intraprendente ragazza francese che lo cerca.<br />

E lo trova: fuggito da tutto e da tutti, indovinate un po’ dove? “In<br />

‘‘<br />

verità, pensavo di farlo finire in Maremma. Ma un paio di giorni a Piscinas<br />

sono bastati a farmi cambiare idea: il luogo ideale per esiliarsi<br />

dalla realtà non poteva essere che qui”.<br />

E già lo immagini, mentre pensa, e scrive, e arranca sugli immensi<br />

pendii sabbiosi, ed entra in un mondo “che ti accoglie e ti parla”. Il<br />

fustigatore dei piani alti del Palazzo<br />

che cede ai piani alti della<br />

Costa Verde, “le dune come regine<br />

COME È PROTETTA che mostrano al mare le loro corone<br />

di ginepro”. Il cronista di razza<br />

che si appassiona, e, pur ribadendo<br />

“non sono un ecologo”,<br />

trascorre le serate a documentarsi<br />

nella piccola biblioteca dell’Hotel<br />

Le Dune, l’alberghetto ex<br />

deposito che da queste parti è<br />

un esempio di come archeologia<br />

‘‘Angela era tesa a un solo obiettivo: scorgere la striscia azzurra del mare, sotto il globo rosso<br />

del sole che si avviava al tramonto. E di lì a poco, finalmente, si rese conto di essere al<br />

primo traguardo del suo viaggio: una calma distesa d’acqua, di un bel grigio lucente, e attorno<br />

la perfezione delle dune, macchiate di arbusti verde scuro, mentre la sabbia le sembrò<br />

una crema spalmata dovunque, di colore identico a quello del cappuccino con la panna.<br />

Ma qualche istante dopo, Angela fece la prima delle tante scoperte che il mondo di Piscinas<br />

teneva in serbo per lei: le dune possedevano mille facce, e le esibivano una dopo l’altra<br />

in un batter d’occhio, per ordine del sole e del cielo. Difatti, nell’avvicinarsi all’albergo, la<br />

sabbia le parve già più scura, quasi marrone, la pelle liscia di un enorme e pacifico animale,<br />

sdraiato ventre a terra per scrutare il mare. (Giampaolo Pansa, 1998)<br />

VITTORIO GIANNELLA


DANIELE PELLEGRINI<br />

84 PISCINAS<br />

SOPRA: UN RAMO SECCO CREA DELICATI GIOCHI D’OMBRA SULLA SABBIA DELLE DUNE. A FRONTE: CERVI (UNA FEMMINA<br />

CON IL CERBIATTO E UN MASCHIO) NELLA MACCHIA CHE SI ESTENDE ALLE SPALLE DELLE DUNE DI PISCINAS.<br />

QUASI STERMINATA, LA SOTTOSPECIE PROPRIA DELL’ISOLA (CERVUS ELAPHUS CORSICANUS) È OGGI IN NETTA RIPRESA.<br />

GRUCCIONE<br />

(MEROPS APIASTER)<br />

FRANCO TESTA/COLL. NATTA<br />

industriale e turismo possano andare d’amore e d’accordo.<br />

Perché nasce la duna? In che modo il vento costruisce castelli di<br />

sabbia che cambiano forma ma non cascano mai? Fa un certo effetto<br />

sentirselo spiegare da uno che non s’è mai occupato di ecosistemi,<br />

ma la competenza acquisita scarpinando tra mare e montagna è indiscussa:<br />

“Volevo impadronirmi del segreto di un piccolo universo,<br />

dove tutto sembra finito e, invece, tutto è rimasto vivo”. Finito come<br />

il mondo minerario, di cui pure Piscinas fa parte (vedere il servizio a<br />

pagina 56); vivo come le dune, le sue piante e i suoi animali. E allora<br />

ecco la storia del vento, che per millenni soffia da nord-ovest e rintuzza<br />

la sabbia verso l’entroterra; ecco i cumuli color crema colonizzati<br />

da vegetali psammofili (letteralmente,<br />

amici della sabbia): la gramigna delle spiagge,<br />

lo sparto pungente, i ginepri che si prostrano<br />

assecondando le raffiche. Piante che chiedono<br />

poco, sopportando alti tassi di salinità e facendo<br />

quasi a meno dell’acqua, e danno molto:<br />

è il fitto reticolo delle loro radici, infatti,<br />

DOMENICO RUIU<br />

APPUNTI DI NATURA<br />

Lo scenario fatato di Piscinas si spalanca<br />

all’improvviso davanti agli occhi del visitatore che<br />

percorre la strada. Questa scende in strette<br />

curve, fra ruderi spettrali e bosco magnificamente<br />

invadente, da Montevecchio, paese-mausoleo<br />

dell’epopea mineraria. Le dune si ergono alte e si<br />

allontanano per più di 3 chilometri dal mare,<br />

insinuandosi nel bosco e nella rigogliosa macchia.<br />

La sabbia, sottilissima e ambrata, copre<br />

tutto, assecondando gli umori dei venti, così che<br />

il paesaggio è perennemente mutevole. A dare<br />

fissità ci provano tenaci lentischi, cespugliosi ginepri<br />

coccoloni, filliree, corbezzoli e rudi olivastri,<br />

resi striscianti dalla violenza dei venti. Cannucce<br />

selvatiche, sparse tamerici e giunchi indicano<br />

che in passato c’era l’acqua. E poi euforbie e cisti, e<br />

soprattutto una diffusa presenza floreale che,<br />

all’approssimarsi della precoce primavera, spruzza<br />

di colori la sinuosa coltre dorata. Caute pernici<br />

frequentano il limitare delle dune, mentre le lepri vi<br />

si addentrano costantemente. Come le volpi,<br />

che scavano la tana sotto le radici dei ginepri. In<br />

primavera arrivano i gruccioni, che nidificano<br />

a frotte nei pressi del vicino rigagnolo. Topi selvatici,<br />

scarabei, piccoli passeriformi tessono trame di segni<br />

sulla sabbia, per testimoniare la vita sulla duna.<br />

MA LA SCARICA PESANTE di adrenalina al naturalista<br />

curioso l’assicura la visione delle evidenti tracce<br />

del cervo sardo (Cervus elaphus<br />

corsicanus). Orme inconfondibili<br />

svelano lunghe traversate<br />

allo scoperto, raccontando una<br />

frequentazione che parrebbe<br />

fuori luogo soltanto immaginare.<br />

Scampato a uno stermino<br />

che sembrava incombente, il cervo<br />

sardo sta conoscendo qui nuova<br />

abbondanza. Diversi esemplari<br />

vivono ai confini delle dune, che<br />

attraversano regolarmente,<br />

offrendo all’osservatore paziente<br />

e fortunato un’emozione<br />

indescrivibile. (Domenico Ruiu)<br />

‘‘Angela comprese di essere soltanto una formicuzza al cospetto della Grande Duna: un’entità che ti catturava,<br />

ti rimpiccioliva e ti annullava. Si fermò a osservare Viotti che marciava più spedito ed era già abbastanza lontano,<br />

dentro la vallata di sabbia costeggiante il bastione rivolto all’hotel. Gli sembrò un microscopico bambino<br />

che procedeva lasciandosi alle spalle orme come capocchie di spillo. E destinato, di lì a poco, a diventare invisibile<br />

sullo sfondo della piana di Piscinas. (Giampaolo Pansa, 1998)


SOTTO: IL TRACCIATO DEL BREVE<br />

ITINERARIO CHE PROPONIAMO.<br />

PAGINA A FRONTE: GLI UNICI MODI<br />

PER ESPLORARE LE DUNE SONO<br />

A CAVALLO O, COME QUI, A PIEDI;<br />

NON SONO ASSOLUTAMENTE<br />

AMMESSI I MEZZI MOTORIZZATI.<br />

invito alla visita<br />

86 PISCINAS<br />

Chi va a Piscinas non può fare<br />

a meno di pernottare (o quantomeno<br />

fare una visita) al suggestivo<br />

Hotel Le Dune ( 070<br />

977<strong>13</strong>0, fax 070 977230). Ricavato<br />

da un deposito minerario<br />

della vicina miniera di Ingurtosu,<br />

grazie all’intraprendenza<br />

del proprietario Sergio Caroli,<br />

ospita tra l’altro un’interessante<br />

biblioteca sulla zona. Da non<br />

perdere, inoltre, la vicina cittadina<br />

di Guspini.<br />

LA BANCA DEL TEMPO Si trova<br />

proprio a Guspini. Scopo: “raccogliere<br />

il patrimonio dei cittadini<br />

(non quello finanziario ma<br />

l’altro, quello delle idee e della<br />

che consolida e stabilizza la duna, un po’ come succede con l’intelaiatura<br />

metallica nel cemento armato.<br />

“Con la storia di documentarmi per ambientare il libro, in quel periodo<br />

a Piscinas ci sono tornato spesso, in ogni stagione”, rivela Pansa.<br />

E dall’album dei ricordi saltano fuori, nell’ordine: i bagni in piena<br />

estate nell’acqua “di un turchese perfetto, ma calda no”; l’escursione<br />

in una notte d’inverno per scovare i cervi sardi (vedere anche il riquadro<br />

a pagina 85), con “i loro occhi brillanti nel buio, piccoli faretti fissi,<br />

o gemme fosforescenti”. E un paesaggio che contrappone la mobilità<br />

nervosa della duna, mai uguale a se stessa, pronta a cambiar forma<br />

e colore a seconda di come la accarezzi il sole, all’immutabilità<br />

assoluta del mare. “Ho letto da qualche parte che piace a chi invecchia<br />

proprio perché è sempre lo<br />

stesso e non ti fa pensare al tempo<br />

che scorre. Il tempo qui è fermo”, dice<br />

Pansa. E l’ha fatto dire pure a<br />

Bruno Viotti, quello del libro, quel<br />

giornalista Stregato dalla Duna che<br />

gli assomiglia fin troppo e, guardacaso,<br />

è protagonista “del romanzo<br />

che mi è più caro”.<br />

PAOLO RONDINI<br />

memoria) e reinvestirlo in verde<br />

urbano” (da Montevecchio,<br />

edito dal Comune di Guspini, lire<br />

15.000). Così un’area abbandonata<br />

ai margini della città si<br />

è trasformata in giardini a tema:<br />

c’è l’Aiuola dei ricordi,<br />

con la bicicletta e i ferri del mestiere<br />

dell’ex minatore Angelino;<br />

il Giardino delle donne del<br />

mondo, con canti, poesie e favole<br />

raccontati da ragazze di tutte<br />

le età; il Giardino del Paradiso,<br />

con le piante e le essenze<br />

dell’Antico Testamento; e addirittura<br />

il Giardino della “libridine”,<br />

aiuole dedicate a libri e notizie<br />

utili. Info: 070 974362.<br />

A CAVALLO SULLE DUNE Esplorare<br />

le montagne di sabbia<br />

di Piscinas a piedi è affascinante,<br />

ma piuttosto faticoso. Una<br />

buona alternativa è una bella<br />

cavalcata che, partendo dai dintorni<br />

di Guspini, arrivi praticamente<br />

sul mare (vedere la cartina).<br />

La proposta è del Centro<br />

ippico Grazia Deledda ( 338<br />

5443679; minimo 5-6 persone,<br />

prezzo da concordare), situato<br />

in località Coa Nueddas, a un<br />

paio di chilometri dal centro abitato.<br />

Si comincia seguendo una<br />

vecchia ferrovia, attraversando<br />

le interessanti strutture<br />

minerarie di Montevecchio; poi<br />

ci s’immette nel bosco (si può<br />

anche incontrare il cervo sardo)<br />

e si costeggia il Rio Piscinas fino<br />

alle dune. Il tempo di percorrenza<br />

dell’itinerario è di circa 4<br />

ore. A seconda delle esigenze, si<br />

può fare colazione e cena al sacco<br />

oppure al ristorante.<br />

I CONTATTI<br />

Per qualsiasi informazione<br />

turistica sulla zona di Piscinas,<br />

Guspini, Montevecchio e Arbus<br />

si può contattare<br />

Informacittà ( 070 972537;<br />

valido anche per chiedere<br />

una guida naturalistica, utile<br />

soprattutto se si vogliono<br />

organizzare escursioni per<br />

vedere i cervi) oppure<br />

Promoserapis ( 368 53899).<br />

DOMENICO RUIU

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