13 - Sardegna Turismo
13 - Sardegna Turismo
13 - Sardegna Turismo
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LA NATURA, I PAESAGGI<br />
SARDEGNA<br />
Dove le pietre<br />
sono parole<br />
AGOSTO 2001 SUPPLEMENTO ALLEGATO AL N. 244 di AIRONE<br />
Sped. in abb. post. - 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Milano<br />
EDITORIALE GIORGIO MONDADORI
LA NATURA, I PAESAGGI<br />
SARDEGNA<br />
SARDEGNA<br />
Direttore responsabile:<br />
ELIANA FERIOLI<br />
coordinamento redazionale:<br />
Cesare Della Pietà<br />
redazione:<br />
Antonella Colicchia,<br />
Antonio Lopez, Elisabetta Planca,<br />
Metello Venè<br />
dipartimento fotografico:<br />
Lello Piazza (photo editor)<br />
ufficio grafico:<br />
Claudia Pavesi (responsabile),<br />
Catia Quinterio<br />
segreteria di redazione:<br />
Laura Belloni<br />
A questo numero hanno contribuito,<br />
per i testi:<br />
Valerio Agnesi, Stefano Ardito,<br />
Antonella Colicchia, Dario Cossu,<br />
Antonio Lopez, Albano Marcarini,<br />
Nanni Marras, Domenico Ruiu,<br />
Egidio Trainito, Metello Venè<br />
per le fotografie:<br />
Stefano Ardito, Nevio Doz, Vittorio<br />
Giannella, Johanna Huber, Mastrolillo,<br />
Giorgio Marcoaldi, Gianmario Marras,<br />
Angelo Mereu, Daniele Pellegrini,<br />
Enrico Pinna, Guido Alberto Rossi,<br />
Domenico Ruiu, Egidio Trainito<br />
per le illustrazioni:<br />
Massimo Demma, Paolo Rondini,<br />
Franco Testa<br />
Hanno collaborato:<br />
Piero Bevilacqua, Carlo Felice Casula,<br />
Rosalba Mariani, Giampiero<br />
Pinna, Giovanni Sistu, la casa editrice<br />
AM & D edizioni di Cagliari<br />
Progetto grafico di Claudia Pavesi<br />
L’AIRONE DI GIORGIO MONDADORI<br />
E ASSOCIATI S.P.A.<br />
PRESIDENTE:<br />
URBANO CAIRO<br />
Consiglieri:<br />
Giuliano Cesari, Maurizio Dell’Arti,<br />
Roberto Cairo, Marco Pompignoli<br />
Indirizzo e-mail: airone@edgm.it<br />
Indirizzo postale:<br />
corso Magenta 55, 20123 Milano<br />
Supplemento al n. 244 di Airone © 2001,<br />
L’Airone di Giorgio Mondadori e Associati<br />
S.p.A. Tutti i diritti riservati. Testi e fotografie<br />
non possono essere riprodotti senza<br />
l’autorizzazione dell’Editore. Fotolito: Adda<br />
Officine Grafiche, via delle Industrie 18,<br />
Filago (BG). Stampa: Elcograf, via Nazionale<br />
14, Beverate di Brivio (LC). Airone:<br />
pubblicazione mensile registrata presso il<br />
Tribunale di Milano il 7/3/1981, n. 89.<br />
ilSOMMARIO<br />
LA FOTO<br />
DI COPERTINA<br />
Il nuraghe Santa Sabina, nei<br />
pressi di Silanus. Sono<br />
oltre 8.000 queste costruzioni<br />
censite finora in <strong>Sardegna</strong>:<br />
inevitabile che l’enigmatico<br />
monumento megalitico finisca<br />
con l’apparire quasi un logo<br />
dell’isola, un marchio che<br />
ne segna tutti i paesaggi, dalle<br />
coste ai monti, alle campagne,<br />
dove il tempo pare essersi<br />
fermato. E per diventare, esso<br />
stesso, paesaggio.<br />
Foto di Angelo Mereu<br />
GALLURA DOVE IL GRANITO DÀ SPETTACOLO<br />
6 di Albano Marcarini<br />
SUGHERA UN ALBERO, UNA TERRA<br />
16 di Albano Marcarini<br />
GESTURI LA GIARA DEI CAVALLINI<br />
24 di Antonio Lopez<br />
BARBAGIA DOVE IL PASTORE È RE<br />
32 di Antonella Colicchia<br />
NURAGHI LE RADICI<br />
40 di Stefano Ardito<br />
STAGNI COSTIERI LE PERLE CONTESE<br />
48 di Antonella Colicchia<br />
MINIERE CUORE DI TENEBRE<br />
56 di Metello Venè<br />
LA COSTA DOVE VOLANO I GRIFONI<br />
66 di Stefano Ardito<br />
TANCHE I MURI DELL’ARRAFFA-ARRAFFA<br />
74 di Albano Marcarini<br />
PISCINAS IL NOSTRO SAHARA<br />
80 di Metello Venè<br />
SUPRAMONTE L’ANIMA SELVAGGIA<br />
88 di Stefano Ardito<br />
SOMMARIO 5
DANIELE PELLEGRINI<br />
GALLURA<br />
dove il granito dà spettacolo
GALLURA dove<br />
il granito dà spettacolo<br />
DI ALBANO MARCARINI<br />
DOVE SI TROVA<br />
La maggiore area granitica<br />
sarda è la Gallura, la regione<br />
settentrionale dell’isola. Le<br />
principali vie d’accesso fanno<br />
capo a Olbia, porto per i<br />
collegamenti con il continente,<br />
e a Sassari. La strada statale<br />
127 che passa per Tempio<br />
Pausania attraversa in senso<br />
est-ovest tutta la regione.<br />
Pure interessante, sotto il<br />
profilo paesaggistico, la strada<br />
costiera che da Olbia<br />
raggiunge Palau, Santa Teresa<br />
Gallura e Castelsardo.<br />
Sicuramente insolito, infine,<br />
l'itinerario ferroviario, con<br />
locomotiva d’epoca, da Palau<br />
a Tempio. Il servizio<br />
si effettua giornalmente dal<br />
1° luglio al 31 agosto e<br />
offre il modo di apprezzare<br />
le bellezze del paesaggio della<br />
Gallura. (Informazioni:<br />
Ufficio Turistico Ferrovie<br />
della <strong>Sardegna</strong>,<br />
numero verde 800-460220).<br />
8 GALLURA<br />
✦<br />
PAOLO RONDINI<br />
Nel Medioevo i Visconti, che in <strong>Sardegna</strong> operavano da giudici<br />
per conto dei Pisani, avevano sulle loro insegne l’immagine<br />
di un gallo. Potrebbero derivare da qui il nome della Gallura<br />
e la sua identificazione geografica, che allora però doveva essere ben<br />
più vasta, comprendendo il Nuorese e ampi tratti delle Barbagie.<br />
La Gallura di oggi invece comincia dal Monte Limbara (1.359 m), a ridosso<br />
di Tempio Pausania. È la seconda montagna sarda per altezza,<br />
dopo il Gennargentu, e da essa si abbraccia tutta questa parte dell’isola.<br />
Non per nulla, il Lamarmora, redigendo la prima carta topografica<br />
della <strong>Sardegna</strong>, vi potè traguardare non solo i monti vicini ma anche<br />
Montecristo, e così collegarsi<br />
alla rete trigonometrica della Penisola.<br />
Da quassù si dirama un<br />
intricato disegno di valli, raggi<br />
SOPRA: UN DETTAGLIO DEL GRANITO<br />
DELLA GALLURA. A FRONTE: UN<br />
RICOVERO RICAVATO IN UN “TAFONE”.<br />
PAGINE PRECEDENTI: CAPO D’ORSO<br />
EL’ARCIPELAGO DELLA MADDALENA.<br />
VITTORIO GIANNELLA<br />
sinuosi che arrivano al frastagliato<br />
perimetro costiero immergendosi<br />
nel mare. Galleggianti<br />
nel Tirreno (ma da quest’altezza<br />
sembrano a mezz’aria) ci sono<br />
poi scogli, isole e isolotti.<br />
Ai turisti che di queste valli<br />
percorrono le tortuose strade, il<br />
paesaggio appare come un caleidoscopio<br />
multicolore: l’azzurro e la<br />
trasparenza del mare, il rosa dei<br />
graniti, il verde cupo delle sughere,<br />
scalfito dalle cortecce ros-<br />
sastre. Poche istantanee, ma sufficienti per dare l’idea di un territorio<br />
specialmente determinato nei suoi aspetti ambientali e paesaggistici.<br />
La geologia ci informa che tutta la Gallura appartiene alla vasta<br />
piattaforma granitica paleozoica della <strong>Sardegna</strong>. Modeste lingue<br />
alluvionali si estendono solo in prossimità del mare. Il granito la fa<br />
da padrone, risultato della imponente opera di disgregazione dell’originario<br />
manto di scisti cristallini, emersi dal mare circa 350 milioni<br />
di anni fa. Una disgregazione nient’affatto traumatica, ma<br />
quasi accarezzata dall’opera incessante degli agenti atmosferici.<br />
Gli sbalzi termici fratturano la roccia, le acque la dilavano, il vento,<br />
recando con sé infiniti granelli di sabbia, lavora di smeriglio. La<br />
forza della natura arriva a volte a forare le pareti di roccia: sono i<br />
ben noti “tafoni”. L’azione combinata della pioggia e del vento, del<br />
sole e del gelo, ha prodotto fantastici monoliti: orsi, elefanti, leoni,<br />
foche, rettili, bestiario favoloso di un giardino pietrificato.<br />
‘‘La<br />
‘‘<br />
Gallura è disseminata di massi, quasi bombardata attraverso i millenni dalle meteore.<br />
Tanti, e di forme così strane, che quando vi si è perduti nel mezzo sembrano animarsi<br />
e muoversi, quasi si assistesse ad una immensa migrazione di popoli pietrificati.<br />
(Guido Piovene, 1956)<br />
EGIDIO TRAINITO
COME È PROTETTA<br />
Lungo le coste della Gallura<br />
si trovano due importanti<br />
aree protette: il Parco<br />
nazionale dell’Arcipelago<br />
della Maddalena, istituito<br />
nel 1996, e l’Area naturale<br />
marina di Tavolara-Capo<br />
Cavallo, istituita nel 1997.<br />
Di notevole rilevanza<br />
la recente realizzazione,<br />
nell’entroterra gallurese, del<br />
Parco regionale<br />
del Monte Limbara, per una<br />
superficie di 19.833<br />
ettari. Vi sono state<br />
individuate 22 aree di<br />
grande interesse<br />
naturalistico fra cui<br />
sugherete, la stazione di<br />
pino marittimo di<br />
Carracanu, la stazione di<br />
pioppo tremolo<br />
di Monte Longheddu,<br />
i boschi di leccio, la<br />
macchia e la vegetazione<br />
di Monte Acuto, la<br />
vegetazione riparia del Rio<br />
Mannu e del corso<br />
superiore del Coghinas.<br />
IL CANDIDO FARO DI CAPO TESTA<br />
SPICCA SUL CAOS DEI MASSI LAVORATI<br />
DALL’EROSIONE. IN ALTO: “L’ORSO”,<br />
LA PIÙ FAMOSA TRA LE “SCULTURE<br />
NATURALI” DELLA COSTA GALLURESE.<br />
Questo gioco di forme si riflette anche nel profilo morfologico generale.<br />
Il rilievo è tormentato, si direbbe montagnoso se non fosse che<br />
nove decimi del territorio si trovano a meno di 500 metri sul livello<br />
del mare. All’estremità settentrionale, la lunga dorsale sarda si sfalda<br />
in una meravigliosa successione di penisole, anfratti, insenature, cale. Una<br />
morfologia figlia dell’abbassamento del litorale e dell’innalzamento<br />
del mare e che si completa con un corredo di scogli, isolotti o vere isole,<br />
di cui La Maddalena e Caprera<br />
sono le maggiori.<br />
Se il vento ha effetto sulle pietre,<br />
immaginiamoci sulla vegetazione.<br />
Il suo soffio e il sale che<br />
trasporta stremano gli alberi. I<br />
lentischi e gli olivastri sopportano<br />
la calura, ma non la spinta<br />
del vento (li si vede prostrati<br />
con la chioma sviluppata da un<br />
unico lato, come bandiere issate<br />
su aste deformi). Vicino alla<br />
QUANDO IL VENTO<br />
SI FA SCULTORE<br />
È l’erosione a plasmare i graniti<br />
della Gallura: piccoli e grandi<br />
blocchi arrotondati scavati<br />
e scolpiti dai tafoni (lu tavoni,<br />
in gallurese) disegnano gli<br />
scenari dell’interno e lungo le<br />
coste. I primi sono il risultato<br />
STEFANO ARDITO<br />
diffusione del granito in <strong>Sardegna</strong><br />
dell'erosione nel sottosuolo,<br />
che agisce sulla naturale<br />
fessurazione della roccia (1).<br />
L’acqua circola nelle fratture e<br />
dissolve e disgrega la roccia<br />
formando depositi di detriti (2).<br />
Quando i sedimenti vengono<br />
asportati dal dilavamento,<br />
rimangono solo i massi<br />
arrotondati, accatastati gli uni<br />
1 l’acqua penetra nelle fessure<br />
sugli altri (3) e spesso soggetti<br />
a ulteriore erosione con un<br />
processo di desquamazione, “a<br />
pelle di cipolla”. I tafoni si<br />
formano invece in ambiente<br />
aereo (4): è l’azione combinata<br />
del vento e dell’acqua salata<br />
a scavare la dura roccia. Il<br />
vento accelera l’evaporazione<br />
e quindi il deposito di<br />
cristalli di cloruro di sodio che,<br />
aumentando di volume,<br />
disgregano la roccia. Il processo<br />
inizia con l’asportazione di un<br />
primo cristallo: si crea così una<br />
piccolissima nicchia che<br />
progressivamente s’ingrandisce<br />
verso l’alto, per desquamazione<br />
della volta. (Egidio Trainito)<br />
2 la roccia più tenera si disgrega<br />
3 emergono isolate forme compatte<br />
4 l’erosione prosegue la sua opera<br />
PAOLO RONDINI<br />
GIANMARIO MARRAS
EGIDIO TRAINITO<br />
APPUNTI DI NATURA<br />
Guglie e massi della Gallura<br />
costituiscono l’habitat di una<br />
fauna e di una flora molto<br />
specializzate. I tafoni<br />
possono essere enormi, o avere<br />
l’aspetto delle celle di un<br />
alveare. E spesso sono proprio<br />
loro a offrire i rifugi migliori<br />
agli uccelli: dall’aquila reale<br />
che nidifica sulle guglie<br />
del Limbara al falco pellegrino<br />
che costruisce il nido sia<br />
sulle ripide pareti dell’interno<br />
sia sulle isole. Forse l’ospite<br />
più simpatico dei microtafoni è<br />
il minuscolo scricciolo, che<br />
sceglie sempre anfratti riparati<br />
e strapiombanti. Ma l’animale<br />
più caratteristico dei graniti<br />
galluresi, dal mare alle<br />
zone più elevate, è la lucertola<br />
di Bedriaga (Archaeolacerta<br />
bedriagae), endemica della<br />
Corsica e della <strong>Sardegna</strong><br />
nord-orientale. Ha dimensioni<br />
notevoli (arriva fino<br />
a 30 cm di lunghezza), corpo<br />
massiccio e punteggiato,<br />
e origini antichissime (risale a<br />
circa 30 milioni d’anni fa).<br />
Sul granito nelle nicchie<br />
di detrito, apparentemente<br />
BECCO DI GRU CORSO<br />
(ERODIUM CORSICUM)<br />
A FRONTE PAESAGGIO DELL’INTERNO<br />
DELLA GALLURA, LUNGO IL CORSO DEL<br />
FIUME LISCIA. IN ALTO: IL MONTE<br />
LIMBARA; I SUOI 1.359 METRI SONO LA<br />
MASSIMA QUOTA DI QUESTA REGIONE.<br />
(2) TESTA<br />
LUCERTOLA DI BEDRIAGA<br />
(ARCHAEOLACERTA BEDRIAGAE) FRANCO<br />
inospitale, cresce una grande<br />
varietà di piante: le più tipiche<br />
sono un piccolo geranio, il<br />
becco di gru corso (Erodium<br />
corsicum), endemico dei<br />
graniti di Corsica e <strong>Sardegna</strong><br />
nord-orientale, e la borragine<br />
azzurra (Sedum caeruleum),<br />
dai cui fusti carnosi e prostrati<br />
di colore rosso sbocciano<br />
in primavera delicati fiori<br />
celesti. (Egidio Trainito)<br />
costa, dov’è spesso impetuoso, la macchia non ha la forza di ergersi;<br />
solamente all’interno prende vigore e portanza, ma è nelle valli<br />
più recondite che diventa vera foresta. Vi predominano, in successione<br />
altimetrica, prima la sughera e poi il leccio.<br />
Ancora mezzo secolo fa questo paesaggio poteva considerarsi intatto. Tutto<br />
il tratto costiero occidentale della Gallura, da Castelsardo a Santa<br />
Teresa, era privo di strade e di abitati. Il giornalista Benito Spano che<br />
lo visitò nel 1960, per conto de Le Vie d’Italia, lo descrive come “un<br />
lembo di deserto autentico, fra i più spettacolari d’Italia”, per l’imponenza<br />
e l’estensione della cornice di dune mobili, in grado di spingersi<br />
nell’entroterra a ricoprire di sabbia le più alte colline.<br />
Dopo è venuta la stagione del turismo e delle grandi operazioni<br />
immobiliari. Costa Smeralda, Arzachena, Porto Rotondo si possono<br />
intendere come i più privilegiati luoghi di vacanza o come le più offensive contaminazioni<br />
di un ambiente naturale di eccezionale bellezza. Ciò che più disturba<br />
sono però le copie riduttive derivate da quei modelli. Buona<br />
parte della costa gallurese è punteggiata di lottizzazioni, vagamente<br />
mimetizzate nel paesaggio. Ma neppure la macchia, con la sua fitta<br />
GALLURA <strong>13</strong><br />
VITTORIO GIANNELLA
MASTROLILLO/SIMEPHOTO<br />
invito alla visita<br />
Granito rosa, rigogliosa macchia<br />
e mare limpidissimo: non a<br />
caso questo tratto del litorale<br />
gallurese è chiamato Costa Paradiso.<br />
Punto di partenza dell’itinerario<br />
è il termine della sterrata<br />
che dalla strada Castelsardo-Santa<br />
Teresa Gallura porta<br />
al Monte Tinnari (216 m). Lasciata<br />
l’auto presso un gruppo<br />
di villette (vista splendida sulla<br />
Costa Paradiso e il lontano Capo<br />
Testa), s’imbocca un sentiero<br />
che scende a ripidi tornanti. Alla<br />
fine della discesa si procede<br />
tra rigogliosi corbezzoli e annosi<br />
ginepri fenici sino alla foce<br />
del Rio Pirastru (laghetto retrodunale)<br />
e alla spiaggetta sassosa<br />
di Cala Tinnari. Risalendo le<br />
rocce al lato opposto dell’insenatura<br />
si ritrova il sentiero, che<br />
s’insinua in una fittissima<br />
macchia di corbezzoli<br />
e lentischi e, dopo<br />
qualche su e giù (vari<br />
tracciati parallele aperti<br />
nel tempo da turisti<br />
e pastori), sbuca su un<br />
pianoro disseminato di<br />
affioramenti di granito.<br />
Raggiunte le prime propaggini<br />
di dune fossili,<br />
si supera un muro a secco<br />
(casolare diroccato),<br />
PAOLO RONDINI<br />
JOHANNA HUBER/SIMEPHOTO<br />
si costeggia un’insenatura, si<br />
oltrepassa un cancello (richiuderlo!),<br />
si valica un ruscelletto<br />
e si sale a uno spiazzo (vi arriva<br />
una carrareccia dall’interno)<br />
circondato da dune fossili<br />
dove abbondano elicriso e Armeria<br />
pungens, che fiorisce a<br />
maggio. Poche centinaia di metri<br />
conducono alla spiaggia di<br />
li Cossi: un arco di sabbia dorata<br />
chiuso tra alte pareti di granito,<br />
con un ruscello che forma<br />
un laghetto trasparente prima<br />
d’incontrare il mare. Ritorno<br />
per la stessa via. L’itinerario si<br />
può percorrere in ogni stagione<br />
e richiede circa 4 ore (a/r).<br />
cortina, può cancellare la grottesca volgarità di certi villini neosardi,<br />
arabeggianti o spagnoleschi, i bizzarri mininuraghi, le terrazze pinnacolari,<br />
gli archivolti di granito grezzo e i serramenti in alluminio.<br />
Per ritrovare la vera Gallura bisogna lasciare il litorale e puntare verso<br />
l’interno. Ancora oggi ha la minore densità di abitanti per chilometro<br />
quadrato. Tutto ciò si spiega sulla base di precise ragioni storiche. La<br />
prima colonizzazione, di Còrsi e Toscani, fu sporadica e arrivò dal mare;<br />
poi avvenne un progressivo ripiegamento nell’entroterra sotto la<br />
minaccia delle scorrerie saracene; infine, a partire dal XVII secolo, si<br />
ebbe il ripopolamento secondo un insediamento polverizzato e strutturato<br />
sugli stazzi contadini. Alcuni centri, come Tempio, si sono sviluppati<br />
solo ai bordi meridionali della regione con giurisdizione su<br />
territori vastissimi che giungevano fino alla costa; altri, più marittimi,<br />
come Olbia, hanno una storia illustre che inizia dai Romani (o forse<br />
prima), ma si tratta di eccezioni rivolte al continente più che all’isola.<br />
Per cui il “vuoto” umano della Gallura si può intendere come un prezioso<br />
dono di natura da proteggere. Un ambiente e un paesaggio che hanno<br />
commosso personaggi insospettabili, come Gabriele d’Annunzio. In<br />
una lettera a un tasgiadore – termine che indica un cantante in un coro<br />
di cinque elementi – egli scrisse: “Se tu e gli altri quattro veramente<br />
mi amate, portatemi ad Aggius; e fatemi una capanna in un bosco di<br />
roveri là sul Tumoneusoza ch’io veda il golfo e tutto il lido insino alla<br />
Maddalena, e ch’io sia svegliato ogni alba dal Gallo di Gallura, che ieri<br />
mescolava le sue note al vostro coro antico quanto l’alba”.<br />
PER SAPERNE DI PIÙ<br />
Nei libri: M. Brigaglia, F. Fresi, Tempio e il suo volto, Sassari, 1995. D.<br />
Panedda, Il Giudicato di Gallura, Sassari, 1978. Nei siti: www.legambientegallura.com<br />
(ottimo, con molte informazioni sulla natura e il<br />
paesaggio); www.tempioweb.com (con dati sul Parco del Limbara).<br />
I CONTATTI<br />
Associazione escursionistica<br />
Camminalimbara,<br />
via Puchoz 22, 07029<br />
Tempio Pausania<br />
(SS), 079 670704;<br />
Wwf, sezione di<br />
Santa Teresa Gallura, via<br />
Calabria, 07028<br />
Santa Teresa Gallura (SS),<br />
0789 755788.<br />
IL TRAMONTO ACCENDE I GRANITI<br />
DI CAPO TESTA. A FRONTE, IN ALTO:<br />
LA SPIAGGETTA DI CALA LI COSSI<br />
(COSTA PARADISO), PUNTO D’ARRIVO<br />
DELL’ITINERARIO CHE PROPONIAMO.
SUGH ERA<br />
un albero, una terra
SUGHERA<br />
un albero, una terra<br />
TESTO DI ALBANO MARCARINI FOTO DI GIORGIO MARCOALDI/ PANDA PHOTO<br />
DOVE SI TROVA<br />
La distribuzione della quercia<br />
da sughero in <strong>Sardegna</strong><br />
non dipende soltanto da fattori<br />
edafici, ma anche da ragioni<br />
economiche che ne<br />
incentivano lo sviluppo<br />
in determinate aree. Se le zone<br />
d’impianto tradizionale<br />
risultano essere la Gallura e<br />
il Nuorese, oggi troviamo<br />
ampie sugherete pure nella<br />
Barbagia e nel Logudoro,<br />
e in certe parti del<br />
Sulcis e dell’Iglesiente.<br />
18 SUGHERETE<br />
✦ ✦<br />
✦<br />
Bande di ladri assaltano le sugherete. Questa la singolare notizia<br />
che arriva dalla Barbagia e dal Mandrolisai. Invece di depredare<br />
il bestiame, ora i malfattori si dedicano a scortecciare<br />
le querce. Segno inequivocabile che coltivare il sughero rende. Si dice, fino<br />
a 1 milione di lire al quintale. Molto di più che nel passato, quando<br />
tale attività tradizionale, come altre in <strong>Sardegna</strong>, sembrava destinata<br />
al declino o, al massimo, a sostenere piccole economie locali.<br />
Oggi la <strong>Sardegna</strong> copre l’80 per cento della produzione nazionale,<br />
pari a circa 120.000 quintali di sughero all’anno (erano la metà nel<br />
1953). A livello mondiale è invece il Portogallo a farla da padrone con<br />
circa 1.600.000 quintali all’anno. Le sugherete occupano<br />
nell’isola oltre 122 .000 ettari. Si estendono<br />
non solo nei territori d’origine, come la Gallura<br />
e il Nuorese, ma anche nella parte centro-meridionale:<br />
la Stazione sperimentale del sughero<br />
di Tempio Pausania, che dal secondo dopoguerra<br />
si preoccupa di difendere e valorizzare questo<br />
genere di coltivazione, ha individuato 16 aree di<br />
nuovo impianto. Vi figurano il Sulcis, le Giare e<br />
diverse altre zone dove inopportunamente, nel<br />
passato, erano state introdotte piantagioni estra-<br />
A LATO: IL DISTACCO<br />
DELLA CORTECCIA,<br />
ORMAI “MATURA”,<br />
DAL TRONCO.<br />
IN BASSO, A SINISTRA:<br />
LEMBI ACCATASTATI,<br />
PRONTI PER IL<br />
TRASPORTO. PAGINE<br />
PRECEDENTI: SUGHERE<br />
NELLA VALLE DELLA<br />
LUNA, IN GALLURA.<br />
nee all’ecosistema insulare. Nella Gallura sono circa 8.000 gli addetti<br />
impiegati nel settore e si calcola che 100 ettari di sughereta possano<br />
dare lavoro per cinque anni a dieci persone. Cifre modeste, ma che<br />
se moltiplicate su vasti territori danno un’idea delle ottime prospettive<br />
di quest’attività. Calangiànus, in Gallura, è riconosciuta come la<br />
capitale del sughero sardo, con più di <strong>13</strong>0 aziende che esportano in<br />
ogni parte del mondo.<br />
Quella del sughero è una lavora-<br />
COME È PROTETTA<br />
Non esiste ancora un’area di<br />
protezione specificamente<br />
riservata alla quercia da sughero.<br />
La tutela della pianta si opera<br />
con strumenti che ne sottolineano<br />
soprattutto la funzione economica:<br />
in particolare, la legge regionale 9 febbraio 1994,<br />
n. 4, che amplia i disposti di una precedente legge<br />
regionale emanata nel 1989. L’obiettivo di tali normative<br />
è di tutelare le piante da sughero e le sugherete<br />
quali componenti dell’ambiente, del paesaggio,<br />
dell’economia e del patrimonio culturale della <strong>Sardegna</strong><br />
promuovendone lo sviluppo e la valorizzazione.<br />
zione antica. La raccolta del prodotto<br />
non si è mai meccanizzata e, forse,<br />
non lo sarà mai. Accade una volta ogni<br />
dodici anni, su alberi che abbiano<br />
raggiunto almeno 15-18 anni di<br />
vita. Fra maggio e giugno, il bucadore<br />
– lo scorticatore – incide il fusto<br />
con un’accetta e stacca la corteccia. Il<br />
gesto deve avvenire con perizia, il<br />
taglio dev’essere delicato in modo<br />
da non danneggiare il fellogeno (da<br />
fellòs, il termine greco che designava<br />
il sughero), ovvero lo strato esterno
20 SUGHERETE<br />
SOPRA: SUGHERETA PRESSO<br />
CALANGIÀNUS. A LATO:<br />
IL VIVAIO FORESTALE DELLA<br />
STAZIONE SPERIMENTALE<br />
DI TEMPIO PAUSANIA.<br />
LA SUGHERA OGGI VIENE<br />
DIFFUSA FUORI DEL SUO<br />
AREALE ORIGINARIO, SIA<br />
PER COLTIVAZIONI DA<br />
REDDITO SIA PER LA LOTTA<br />
ALLA DESERTIFICAZIONE.<br />
del fusto che, conservando la capacità di<br />
generare sempre nuove cellule, è responsabile<br />
dell’accrescimento del tronco e darà<br />
il sughero degli anni a venire. Inciso anche<br />
per linee verticali, l’albero si spoglia così<br />
della sua veste.<br />
La materia raccolta la prima volta è detta<br />
“sughero maschio” e l’operazione si<br />
chiama “demaschiatura”. Quella estratta<br />
le volte successive si chiamerà “femmina”.<br />
Le lunghe plance di sughero si acca-<br />
tastano al suolo, prima di essere condotte nelle officine di trasformazione.<br />
Lì, dopo una prima selezione e almeno sei mesi di essiccatura<br />
al sole, il sughero viene posto in bollitura e quindi passato alla lavorazione.<br />
È così da anni, anzi da secoli: dai tempi dei Greci e dei Romani.<br />
Le vaste sugherete che si estendono sull’altopiano di Tempio Pausania,<br />
di Aggius, di Buddusò, che circondano Bitti, Orune, Sorgono e<br />
ammantano i rilievi del Sulcis sono dunque vere “industrie verdi” ad<br />
alto capitale produttivo. Il sughero è un prodotto ecologico di qualità.<br />
Oltre che per fare tappi di bottiglie (l’uso più noto), lo si impiega<br />
ovunque per ottenere materiali isolanti, termici, acustici. Architetti e<br />
designer ne apprezzano la leggerezza e la tattilità, quasi un respiro di<br />
natura quando se ne sfiora con le mani la superficie.<br />
Nello stesso tempo, però, la sughera è l’essenza stessa della <strong>Sardegna</strong> più<br />
antica. Che cosa sarebbero i nuraghi, le “domus de janas”, gli stazzi<br />
concave, che vengono bagnate per allargarsi e appianarsi, e infine legate a pacchi come lastre<br />
di gomma rossastra, preziosa quanto il marmo. (…) Gli alberi padri di tanta chiassosa ricchezza<br />
rimangono fermi sulle loro profonde radici, scorticati e sanguinanti come martiri; ma<br />
dei pastori senza il corredo di un’onusta e protettiva quercia? “Questo<br />
paesaggio”, ha scritto il grande botanico Valerio Giacomini, “è a<br />
un tempo fisico e biologico, perché si integra in modo sorprendente<br />
con le strutture rupestri granitiche, che dominano specialmente nella<br />
Gallura. Dal suolo, disseminato di blocchi levigati, emergono le chiome<br />
ostinatamente verdi, i tronchi grigi, nocchieruti, contorti di questo<br />
albero frugale, selvatico e domestico, così intimamente connaturato<br />
alla solenne austerità di queste terre”. Eppure, girando per la Gallura,<br />
la prima impressione è quasi di pietà. A vederle nelle campagne, fra i<br />
blocchi levigati dei graniti, sui pascoli alle pendici dei monti, queste<br />
querce sembrano gridare vendetta. Sono alberi nudi, decorticati fino<br />
alla divisione del tronco. Un denso rossore riveste il corpo vivo della<br />
pianta. Lo si potrebbe scambiare per sangue, o, meno drammaticamente,<br />
leggere come un pudico segno di timidezza. Ecco perché la<br />
quercia da sughero appare come un albero simbolo della <strong>Sardegna</strong>,<br />
rimarcando per certi versi il carattere schivo dei Sardi e la storia<br />
spesso tragica della loro civiltà.<br />
Il terreno derivato dalla disgregazione delle<br />
rocce granitiche, caratterizzato da un’elevata<br />
acidità, è il prediletto dalla sughera.<br />
Per questo vediamo alberi attecchire anche<br />
là dove le condizioni essenziali per la vita<br />
vegetale sembrano quasi nulle. La sua resistenza<br />
all’aridità è molto superiore a quella<br />
del leccio e perciò la sua diffusione può favorire<br />
la ricostituzione del paesaggio forestale<br />
mediterraneo, non soltanto in Italia<br />
ma anche nei vicini Paesi del Maghreb, in<br />
Grecia e in Spagna. La sughera ha dunque<br />
un valore aggiunto, propriamente forestale:<br />
proteggere i suoli dall’erosione, integrare<br />
gli ecosistemi naturali, conservare e ricostruire<br />
paesaggi degradati.<br />
Può rappresentare allora un’arma efficace<br />
contro la desertificazione e la degradazione degli<br />
orizzonti vegetali. Ma è anch’essa minacciata.<br />
Da una parte gli incendi, piaga costante<br />
delle nostre foreste; dall’altra l’invasione<br />
di piccoli insetti fitofagi, come Limantria dispar,<br />
Malacosoma neustria, Tortrix viridiana,<br />
che stanno portando alla defoliazione dei<br />
boschi. La riduzione della biomassa fotosintetica<br />
compromette la produzione di sughero,<br />
e pure quella di ghiande che sono la base<br />
per l’alimentazione del bestiame brado.<br />
Un’insidia conosciuta ma contro la quale si è<br />
lottato con il solito sistema degli antiparassi-<br />
LIMANTRIA DISPAR<br />
(IN BASSO: IL BRUCO)<br />
GHIANDAIA<br />
(GARRULUS GLANDARIUS)<br />
APPUNTI DI NATURA<br />
Poco esigente in fatto di suoli<br />
(eccezion fatta per il calcare), la<br />
sughera può colonizzare terre<br />
marginali e suoli poveri<br />
di origine silicea o vulcanica. Le sue ghiande sono<br />
ricercate da cinghiali, ghiandaie, topi quercini e<br />
dal bestiame domestico. Le cavità degli esemplari<br />
più vetusti offrono rifugio a martora, donnola, topo<br />
quercino, assiolo, ghiandaia marina, picchio rosso<br />
maggiore, cinciarella, cincia mora, cinciallegra,<br />
torcicollo, mentre i rami ospitano i nidi di tortora,<br />
colombaccio, ghiandaia, cornacchia grigia, sparviero,<br />
poiana, astore. Ciclicamente, a primavera inoltrata,<br />
le sughere vengono attaccate da milioni di larve<br />
di lepidotteri, in particolare di Limantria dispar,<br />
voracissimi bruchi pelosi e colorati capaci di<br />
defoliare totalmente una foresta. Ma la capacità<br />
di reazione della sughera è straordinaria: superata<br />
la fase più virulenta, ricomincia a germogliare e a<br />
produrre nuove foglie: in 30-40 giorni è come prima.<br />
Il danno subìto lo si può quantificare misurando<br />
l’anello di crescita della corteccia: quello relativo<br />
all’anno dell’invasione<br />
ha uno spessore ridotto‘‘Il<br />
anche del 20 per<br />
cento. (Nanni Marras)<br />
sughero viene estratto da lavoratori abili, in modo che si stacca a strisce larghe, alquanto<br />
a poco a poco l’aria balsamica li risana, la natura li riveste pietosa d’un primo velo poroso<br />
come la garza che avvolge le piaghe; i ciclamini e i funghi calpestati si risollevano ai loro<br />
piedi e la pernice d’oro svolazza fra i loro germogli. Un’altra èra deve passare prima che<br />
vengano di nuovo martirizzati. (Grazia Deledda, Novelle, 1912)<br />
FRANCO TESTA/COLL. NATTA<br />
SUGHERETE 21<br />
FRANCO TESTA (2)
PAOLO RONDINI<br />
invito alla visita<br />
Isolate, a formare macchie o estesi<br />
boschi, le sughere sono<br />
una presenza diffusa. Le indicazioni<br />
che seguono sono dunque<br />
solo alcune fra le tante possibili<br />
per incontrare questo paesaggio<br />
così affascinante.<br />
1. MONTI. Un’ampia sughereta,<br />
in parte tenuta a pascolo,<br />
che si estende lungo la statale<br />
199 Sassari-Olbia presso il paese<br />
di Monti e risale verso un altopiano<br />
a leccio e a macchia mediterranea.<br />
Nella valle del Rio<br />
Petra Iscotta, la sughereta conserva<br />
un sottobosco spontaneo<br />
con varie essenze erbacee, giovani<br />
querce e arbusti.<br />
NELLA PAGINA A FRONTE:<br />
UN’ANZIANA DONNA DI LURAS<br />
(SASSARI) SI DISSETA BEVENDO<br />
DA UN MESTOLO RICAVATO DALLA<br />
CORTECCIA DELLA SUGHERA.<br />
22 SUGHERETE<br />
2. MONTE LA ELTICA E SAN<br />
SALVATORE DI NULVARA. A<br />
sud della statale 127, nel tratto<br />
fra Calangiànus e Telti. Fra le<br />
più belle e folte sugherete del<br />
gruppo del Monte Limbara, impreziosite<br />
anche dalle forme contorte<br />
e bizzarre del granito.<br />
3. ALÀ DEI SARDI. La sughera<br />
domina il paesaggio che circonda<br />
il paese di Alà, lungo la statale<br />
389, da Buddusò in direzione<br />
di Olbia. La foresta più bella<br />
si trova a est dell’abitato: una<br />
successione di modesti rilievi,<br />
solcati dai rami sorgentizi del<br />
Rio Bolloro. La monotonia della<br />
sughereta è rotta qua e là da<br />
piccole radure erbose. A volte la<br />
chioma delle querce è così continua<br />
da impedire la crescita del<br />
sottobosco; in altri punti, invece,<br />
eriche e corbezzoli coprono<br />
il terreno periodicamente visitato<br />
dai cinghiali.<br />
4. L’ALTOPIANO DI BUDDUSÒ.<br />
Seguendo la statale 389 da Buddusò<br />
a Bitti, ci si addentra nel<br />
vasto altopiano dove sono le sorgenti<br />
del Tirso, il maggiore fiume<br />
della <strong>Sardegna</strong>. Fra isolati<br />
ammassi granitici si distendono<br />
ampie sugherete. Molto belle<br />
quelle poste nelle vicinanze del<br />
piccolo lago Sos Canales.<br />
5. SA SILVA MANNA. Lungo la<br />
valle del Temo. Vi si accede dal<br />
cimitero di Montresta, circa 15<br />
chilometri a nord di Bosa. Rivela<br />
l’alto grado di adattamento<br />
della sughera. A differenza che<br />
in Gallura, l’ambiente è più umido<br />
e il substrato trachitico.<br />
Nonostante ciò, vi allignano superbi<br />
esemplari secolari che si<br />
spingono fino al letto del fiume.<br />
6. TRA SORGONO E ORTUERI.<br />
Alle falde occidentali del Gennargentu.<br />
Una sequenza di valli<br />
e colli granitici, fra i 300 e i<br />
1.000 metri, coperti di fitte sugherete<br />
rotte da pascoli, campi<br />
di cereali e vigne che danno i<br />
robusti vini del Mandrolisai.<br />
tari, apportatori di danni più che<br />
di benefici. L’Università di Sassari<br />
invece sta ora approntando sofisticati<br />
modelli matematici per la<br />
protezione delle sugherete, mentre finalmente s’inizia a procedere<br />
con nuove forme di lotta microbiologica. Una presa di coscienza importante,<br />
sostenuta anche dalla Regione <strong>Sardegna</strong> che, fin dal 1989,<br />
ha promulgato leggi specifiche per la protezione della quercia da<br />
sughero: l’albero dallo spirito tenace e dall’anima dolce.<br />
PER SAPERNE DI PIÙ<br />
www.regione.sardegna.it/ital/sperimentale_sughero/index.html<br />
www.federlegno.it/associazioni/assolegno/gruppi/sughero<br />
I CONTATTI<br />
Gruppo azione locale Barbagia-<br />
Mandrolisai, 0784 60390.<br />
Stazione sperimentale del<br />
sughero, via Limbara 9, Tempio<br />
Pausania, 079 72200,<br />
e-mail: sperimentale-sughero<br />
@regione.sardegna.it
GESTURI<br />
la giara dei cavallini<br />
DOMENICO RUIU
GESTURI<br />
la giara dei cavallini<br />
DI ANTONIO LOPEZ<br />
✦<br />
DOVE SI TROVA<br />
Le giare, i caratteristici<br />
altipiani basaltici della<br />
<strong>Sardegna</strong>, sono situati nella<br />
parte centro-meridionale<br />
della regione (Marmilla,<br />
Trexenta, Sarcidano<br />
e Arborea). Tra queste, la più<br />
nota è la Giara di Gèsturi<br />
(i sardi la chiamano sa Jara),<br />
che dista una settantina<br />
di chilometri da Cagliari. Si<br />
raggiunge seguendo<br />
la statale <strong>13</strong>1 per Oristano e<br />
deviando, prima di Sanluri,<br />
per Gèsturi-Barùmini.<br />
A DESTRA: IN PRIMAVERA I<br />
PAÙLI SI COPRONO DI ANEMONI<br />
E RANUNCOLI. A FRONTE<br />
IN ALTO: PECORE AL PASCOLO<br />
NELLA SUGHERETA. NELLE<br />
PAGINE PRECEDENTI: STALLONE<br />
DELLA RAZZA DI GÈSTURI<br />
SORPRESO TRA LE BIANCHE<br />
FIORITURE DEGLI ASFODELI.<br />
26 GIARA DI GESTURI<br />
Gèsturi. Il vento caldo dell’estate muove appena l’intricata<br />
macchia di mirti, lentischi e cisti marini di questa piccola savana<br />
alberata, sospesa nel cielo, che è la giara. Il tramonto ci<br />
sorprende nel bosco di sughere di Paùli Maiori di Tuili, mentre le<br />
luci radenti dell’ultimo sole incendiano di rosso i tronchi scorticati e<br />
si riflettono nel rigagnolo della vicina sorgente. È una <strong>Sardegna</strong> dalla<br />
bellezza selvaggia quella che si profila davanti ai nostri occhi; sembra<br />
che non abbia orizzonte e il cielo ti avvolge al di là delle chiome di<br />
lecci, roverelle e sughere. Una sensazione primordiale, sottolineata<br />
da un possente nitrito in lontananza.<br />
“Stanno per arrivare”, mi sussurra Roberto Sanna, 25 anni, guida<br />
e responsabile del centro Jara di Villasanta, che organizza visite guidate<br />
in questo miniparadiso naturale. Sono i cavallini della Giara,<br />
forse gli ultimi cavalli selvaggi d’Europa. Eccoli in fila indiana, l’uno<br />
dietro l’altro. Saranno una ventina, con il manto baio o morello, bassi<br />
di statura, e vengono alla sorgente per dissetarsi. “Sono quasi dei<br />
pony e in media non superano 1 metro e 30 di altezza al garrese”,<br />
spiega Sanna, “hanno grandi occhi a mandorla e una fluente criniera.<br />
Nell’intera giara ne vivranno 700, dei quali poco più di 300 ap-<br />
partengono a privati dei comuni di Genoni, Tuili e Setzu, 180 all’Istituto<br />
per l’incremento ippico di Ozieri e il restante alla locale comunità<br />
montana. Pascolano liberamente, e sono ghiotti dei ranuncoli<br />
d’acqua che crescono abbondanti in primavera nei paùli, una sessantina<br />
di stagni che si formano sulla giara con le piogge invernali. Ma<br />
in estate la gran parte di essi si asciuga e ai cavallini non rimangono<br />
così che le sorgenti per abbeverarsi”.<br />
Quella dei cavallini della giara<br />
è una storia tormentata. Prima<br />
degli anni Trenta si utilizzavano<br />
come animali da lavoro per trebbiare<br />
il grano della Marmilla: una<br />
volta l’anno erano raccolti in<br />
branchi e portati giù per le scalas,<br />
i ripidi canaloni che rappresentano<br />
i soli accessi all’altopia-<br />
DOMENICO RUIU<br />
APPUNTI DI NATURA<br />
Un unico, continuo bosco di<br />
sughere, rigorosamente<br />
curve a bandiera in ossequio<br />
all’imperversante maestrale,<br />
copre l’altopiano di Gèsturi. Rare<br />
roverelle si accompagnano a<br />
corbezzoli, mirti e lentischi. In<br />
primavera è il tripudio del bianco,<br />
con la fioritura simultanea degli<br />
asfodeli, del biancospino, del cisto<br />
marino, del giglio pancrazio<br />
e l’invasione dei ranuncoli che<br />
ricoprono i paùli, avvallamenti<br />
allagati dall’acqua piovana.<br />
L’ALTERNANZA CON LA SICCITÀ<br />
ha fatto di questi stagni<br />
temporanei un ecosistema del<br />
tutto particolare, ricco di<br />
RAGANELLA COMUNE<br />
(HYLA ARBOREA)<br />
MAGNANINA SARDA<br />
(SYLVIA SARDA)<br />
EGIDIO TRAINITO<br />
FRANCO TESTA (2)<br />
specie singolari. Vi prosperano<br />
insaziabili sanguisughe, i ditischi,<br />
grandi e voraci coleotteri<br />
acquatici, raganelle e natrici. C’è<br />
anche l’unicum: un piccolo<br />
crostaceo lungo pochi centimetri e<br />
dipinto delicatamente di verde,<br />
Lepidurus apus lubbocki,<br />
vecchio di 200 milioni di anni,<br />
che si è adattato alla perfezione<br />
ai cambiamenti stagionali.<br />
QUANTO ALLA FAUNA maggiore,<br />
le presenze più significative sono<br />
il cinghiale, la volpe, la martora,<br />
il coniglio selvatico, la lepre e<br />
la pernice sarda, lo sparviero che<br />
caccia i fringillidi del bosco,<br />
il falco pellegrino, e un’infinità<br />
di migratori sia di terra (tordi<br />
vari, merli, colombacci, beccacce),<br />
sia legati alle zone umide (aironi,<br />
anatre, beccaccini, falco di<br />
palude). Tra gli uccelli nidificanti,<br />
si possono ricordare il frosone,<br />
la tordela, la tottavilla, e le<br />
specie di macchia, come l’averla<br />
capirossa, lo zigolo nero e la<br />
magnanina. (Domenico Ruiu)<br />
GIARA DI GESTURI 27
EGIDIO TRAINITO<br />
COME<br />
È PROTETTA<br />
28 GIARA DI GESTURI<br />
La sola salvaguardia<br />
operante<br />
sull’altopiano della<br />
Giara di Gèsturi<br />
è quella del divieto<br />
di caccia, perché<br />
l’area viene<br />
considerata dalla<br />
legge regionale<br />
sull’attività venatoria<br />
un’Oasi permanente<br />
di protezione<br />
faunistica: il divieto<br />
non vale però sui<br />
versanti. Resta invece<br />
ancora sulla carta la<br />
proposta d’istituire il<br />
Parco regionale della<br />
Giara di Gèsturi,<br />
come previsto dalla<br />
legge regionale<br />
sui parchi: la n. 31<br />
del 7 giugno 1989.<br />
no, sino ai paesi; a fine raccolto, gli esemplari sopravvissuti venivano<br />
liberati di nuovo sulla giara. Oggi corrono altri pericoli: l’ulteriore inquinamento<br />
della razza, definita Equus caballus giarae, causato da incroci<br />
con cavalli di taglia superiore; la macellazione; la caccia di frodo.<br />
Fortunatamente, ci sono pure progetti di salvaguardia: a Capo Caccia,<br />
dal 1976, l’Azienda regionale per le foreste, in 12 chilometri quadrati<br />
di natura incontaminata e protetta, ne tiene sotto osservazione una<br />
mandria del tutto rinselvatichita. E da sette anni, sulla giara, l’Istituto<br />
d’incremento ippico opera per<br />
difendere la purezza di questa razza<br />
rustica, utile in prospettiva<br />
per sistemi di allevamento brado<br />
in terre a clima arido abbandonate<br />
dall’agricoltura.<br />
A vederla da lontano, la Giara<br />
di Gèsturi colpisce per la curiosa<br />
forma di gigantesca piramide<br />
tronca, che ricorda i paesaggi<br />
africani delle ambe o quelli spagnoli<br />
delle mesas. Si tratta di un<br />
vasto altopiano, lungo 12 chilometri<br />
e largo 4, con una superficie<br />
di 45 chilometri quadrati,<br />
che si eleva sulla pianura circostante<br />
mediamente di 550 metri.<br />
“Non è l’unica giara della<br />
<strong>Sardegna</strong> centro-meridionale: vi<br />
si trovano anche le più piccole<br />
Giara di Serri e Giara di Simala<br />
o di Siddi”, rivela Luca Pinna,<br />
delegato regionale del Wwf.<br />
DOMENICO RUIU<br />
invito alla visita<br />
L’itinerario consente di scoprire<br />
la Giara di Gèsturi nel suo insieme.<br />
Si sviluppa ad anello e<br />
tocca i principali paùli (gli stagni<br />
creati dalle piogge), i boschi<br />
di leccio, roverella e sughera<br />
e gli ambienti mediterranei a<br />
macchia, gariga e prateria dell’altopiano.<br />
Ha uno sviluppo di<br />
una trentina di chilometri (per<br />
effettuarlo a piedi ci vogliono<br />
circa 10 ore, soste incluse), la<br />
metà in mountain bike. Cartografia:<br />
tavolette Igm, 1:25.000,<br />
218 III SO Barùmini e NO Genoni;<br />
217 II NE Gonnosnò e<br />
SE Ussaramanna. Equipaggiamento:<br />
buona riserva d’acqua<br />
e scarpe da trekking.<br />
Dal paese di Gèsturi si sale<br />
per la strada che va alla giara e<br />
dopo 4 chilometri si lascia l’auto<br />
al parcheggio di Scala Corte<br />
Brocci. S’imbocca la sterrata di<br />
fronte che, tra mirto e lentisco,<br />
ancora in salita porta all’altopiano.<br />
Si costeggia il Paùli Oromeo<br />
e, a circa 3 chilometri dal<br />
parcheggio, a un bivio si svolta<br />
a destra in direzione Paùli Bartili-Zeppara<br />
Manna. Superato<br />
un bosco di sughere (frecce verdi),<br />
si toccano Paùli ’e Fenu, tra<br />
i più grandi della giara, e quelli<br />
di Bartili e Arriscionis, fino ad<br />
PAOLO RONDINI<br />
arrivare alla sorgente s’Ala de<br />
Mangianu. Fatta una sosta, si<br />
riprende il cammino per raggiungere<br />
le pendici di Zeppara<br />
Manna e un gruppo di stagni<br />
chiamati Paùli Maiori. Poi si<br />
torna indietro, lungo il limite<br />
meridionale dell’altopiano, fino<br />
a Paùli Piccia, un altro Paùli<br />
Maiori e la vicina sorgente, dove<br />
al tramonto i cavallini si dissetano;<br />
e da qui, fino al bivio di<br />
partenza e il parcheggio.<br />
testimonianze archeologiche<br />
A SINISTRA: LA VEDUTA<br />
PANORAMICA DELLA GIARA DI<br />
GÈSTURI METTE IN EVIDENZA<br />
LA CARATTERISTICA STRUTTURA<br />
DI QUESTO ALTOPIANO DI<br />
ORIGINE VULCANICA. A FRONTE<br />
IN ALTO: UNA CAPANNA<br />
DI PASTORI IN PIETRA, CON UN<br />
CURIOSO ALTARINO SUL RETRO.<br />
GIARA DI GESTURI 29
‘‘Vi<br />
‘‘<br />
è un luogo in <strong>Sardegna</strong> – imprevisto e imprevedibile come il cratere<br />
di Ngorongoro – dove gli dèi hanno nascosto un campionario di natura<br />
mediterranea con l’apparente intenzione di sottrarla agli uomini: si<br />
chiama Giara di Gèsturi e perfino chi già la conosce prova sempre, invariato,<br />
quel senso di meraviglia che segue a ogni apparizione improvvisa,<br />
anche se ripetuta, anche se attesa. (Egidio Gavazzi, 1981)<br />
IL CONTATTO<br />
Per escursioni,<br />
visite guidate ed<br />
educazione<br />
ambientale: Centro<br />
servizi Jara, statale<br />
n. <strong>13</strong> km 40,250<br />
bivio Villasanta,<br />
Serrenti (Cagliari),<br />
070 9373022;<br />
Internet: www.jara.it<br />
Wwf <strong>Sardegna</strong>,<br />
Cagliari,<br />
070 670308.<br />
30 GIARA DI GESTURI<br />
NEVIO DOZ<br />
QUI A LATO: L’ALTURA DI<br />
LAS PLASSAS, PRESSO<br />
BARÙMINI, AI PIEDI DELLA GIARA<br />
DI GÈSTURI. IL COCUZZOLO<br />
BASALTICO SORMONTATO<br />
DAI RUDERI DI UN CASTELLO<br />
SVETTA DIETRO IL GIALLO<br />
TAPPETO DI CHRYSANTHEMUM<br />
CORONARIUM, IN PRIMO PIANO.<br />
“Sono il segno di passate eruzioni<br />
laviche, in cui il magma traboccò<br />
in diversi centri eruttivi dando<br />
origine a grandi campi di lava,<br />
con scarsa pendenza, che consolidarono<br />
sui sedimenti sottostanti.<br />
Poi l’azione millenaria<br />
dell’acqua e degli agenti atmosferici<br />
erose il suolo dove questo<br />
non era protetto dalla copertura<br />
lavica solidificata, lasciando<br />
tale strato basaltico a un’altezza<br />
superiore al suolo confinante,<br />
che si è abbassato per<br />
l’erosione”. In altre parole, l’altezza<br />
della giara corrisponde<br />
al livello del suolo di circa 3<br />
milioni di anni fa. E sul vasto<br />
tavoliere di Gèsturi si riconoscono<br />
ancora i conetti vulcanici<br />
di Monte Zepparedda (609 metri)<br />
e Zéppara Manna (580 metri),<br />
vette di oggi e madri di ieri.<br />
Preservata dal proprio isola-<br />
mento e dal lavoro di generazioni di pastori e mandriani, adesso la<br />
giara stupisce per la forza naturale. Boschi di querce, macchia mediterranea<br />
fittissima, gariga, praterie e stagni ne fanno il rifugio di una<br />
fauna ricca e varia (vedere il riquadro a pagina 27). E visitandola in quel<br />
meandro di sterrate che la percorrono, si possono pure apprezzare i<br />
resti di 24 nuraghi, lungo il suo perimetro, e antiche capanne in pietra<br />
di pastori. Ma nonostante questo patrimonio, manca di un’efficace protezione<br />
ambientale. “Non è ancora stato istituito il Parco regionale della<br />
Giara di Gèsturi”, accusa Pinna; “sono trascorsi più di dieci anni dalla<br />
proposta che prevedeva l’estensione su 12.102 ettari dell’altopiano<br />
e il coinvolgimento di 14 Comuni. Oggi valgono solo i vincoli idrogeologico<br />
e paesaggistico del 1992, e da qualche anno il divieto di<br />
caccia. È troppo poco per tutelare un’area così preziosa di natura e di<br />
storia dell’uomo”. E dove si può essere ancora sorpresi dal nitrito<br />
dei cavalli selvatici. L’ultimo branco d’Europa.
BARBA GIA<br />
dove il pastore è re
BARBAGIA<br />
DI ANTONELLA<br />
dove il pastore è re<br />
COLICCHIA<br />
DOVE SI TROVA<br />
✦<br />
La Barbagia, complesso di regioni nella parte centro-occidentale<br />
dell’isola, si estende lungo il massiccio del Gennargentu. È delimitata<br />
a est da Gennargentu e Ogliastra, a nord dal Supramonte<br />
e dalla Gallura, a sud dal Campidano, a ovest dalla valle del Tirso.<br />
“Occhi nuovi ci vogliono, per capire la Barbagia. Nuove ricerche<br />
che sgombrino il campo da stereotipi e pregiudizi”. È<br />
tagliente Benedetto Meloni, barbaricino di Austis e sociologo<br />
ambientale all’Università di Cagliari. La sua chiave di lettura del paesaggio<br />
è racchiusa in un corposo saggio, Famiglie di pastori (Rosenberg<br />
& Sellier, 280 pagine, lire 45.000). Si racconta di Siniele, un paese<br />
posto sulle pendici occidentali del Gennargentu, dove la <strong>Sardegna</strong> è<br />
pietra, sughere e pecore. Il nome, come quello dei personaggi intervistati,<br />
è immaginario, “perché i fatti narrati sono tratti da documenti<br />
personali e rischierebbero di ledere l’onore di persone viventi. Onore<br />
che, da queste parti, è sacro”. Storie e cifre riportate nel libro di Meloni<br />
però sono tutte rigorosamente<br />
EGIDIO TRAINITO<br />
vere, frutto d’interviste e di anni<br />
di ricerche negli archivi comunali.<br />
Capire Siniele significa perciò<br />
capire Isili, Austis, Orgosolo,<br />
Aritzo, Belvì. “Leggerne” il territorio<br />
aspro e roccioso, modellato<br />
dai venti, fatto di pascoli rudi,<br />
monotoni, inospitali. Dove l’unica<br />
traccia della presenza umana<br />
sono gli ovili di pietra e di ginepro,<br />
e i paesi restano ancora isolati e<br />
refrattari ad aprirsi a culture diverse<br />
dalla tradizione.<br />
“Il paesaggio risulta segnato<br />
dall’organizzazione pastorale estensiva”,<br />
spiega il sociologo.<br />
“Un modello ecologico-economico<br />
raro, che non prevede più l’originaria<br />
alternanza fra pascoli e colture<br />
di cereali”. L’agricoltura<br />
estensiva infatti è scomparsa negli<br />
anni Sessanta, in coincidenza<br />
con le grandi ondate migratorie<br />
che hanno letteralmente spopo-<br />
A LATO: PANORAMA DAL “TACCO”<br />
CHIAMATO SA CATTEDRALI, NEI DINTORNI<br />
DI LÀCONI. A FRONTE: IL MONTE<br />
ORTOBENE, SOPRA NUORO, AVVOLTO<br />
DALLE NUBI. NELLE PAGINE PRECEDENTI:<br />
MUNGITURA A BRUNCU SPINA.<br />
APPUNTI DI NATURA<br />
Il Gennargentu è il tetto della<br />
<strong>Sardegna</strong>. Qui in breve spazio si<br />
concentrano le uniche cinque<br />
cime che superano i 1.800 metri<br />
(la più alta, 1.834 m, è Punta<br />
La Marmora). Il profilo arrotondato<br />
della montagna si deve all’erosione<br />
omogenea che ha modellato gli<br />
scisti paleozoici che ne costituiscono<br />
l’ossatura. Solo alcuni nuclei<br />
di granito e spettacolari filoni di<br />
porfidi (formidabile quello<br />
di Su Susciu) interrompono la<br />
continuità del paesaggio.<br />
A MANO A MANO CHE SI SALE dal<br />
fondovalle, le residuali formazioni<br />
di lecceta cedono il passo al bosco<br />
rado di roverelle sino all’area<br />
sommitale, dove resistono<br />
all’imperversare del vento<br />
gli arbusti prostrati<br />
(ginepro nano, pruno<br />
prostrato, ginestra<br />
corsica) che fanno<br />
da felice corollario a<br />
una serie di preziosi<br />
endemismi (santolina<br />
insulare, ribes sardo, aquilegia),<br />
e pure a un cardo esclusivo<br />
(Lamyropsis microcephala)<br />
di cui si conoscono solo minuscole<br />
colonie. All’arrivo dell’estate,<br />
il Gennargentu si avvolge dei<br />
colori delle fioriture (la delicata<br />
viola corsa, l’endemica<br />
Armeria morisii, le sassifraghe,<br />
i vistosi tappeti di genziane)<br />
e della fragranza penetrante dei<br />
fiori violacei del timo.<br />
QUI VIVONO diverse coppie di<br />
aquila reale, che beneficiano<br />
dell’abbondanza di mufloni, lepri,<br />
piccoli mammiferi e serpenti.<br />
La pernice è presente anche alle<br />
quote più alte, dove nidificano<br />
MUFLONE<br />
(OVIS MUSIMON)<br />
il culbianco e, probabilmente, la<br />
monachella. Nei corsi d’acqua,<br />
ricoperti di gallerie di ontano nero,<br />
sopravvivono preziose popolazioni<br />
di trota sarda assieme all’euprotto<br />
(Euproctus platycephalus),<br />
la singolare salamandra locale.<br />
A NORD E A OVEST del massiccio,<br />
il granito prende il posto dello<br />
scisto. È un susseguirsi di monti<br />
accavallati, che un’erosione<br />
eccentrica ha scolpito in forme<br />
bizzarre, rivestite di boschi<br />
di querce. Il paesaggio rupestre<br />
suscita un’avvertibile sensazione<br />
d’isolamento. È la Barbagia,<br />
cuore segreto della <strong>Sardegna</strong>,<br />
terra antica di pastori,<br />
di cinghiali, di rapaci, di<br />
presenze elusive,<br />
di vecchie tradizioni<br />
tenacemente conservate.<br />
(Domenico Ruiu)<br />
FRANCO TESTA<br />
COME<br />
È PROTETTA<br />
La Barbagia rientra<br />
in parte nei confini del<br />
Parco nazionale del<br />
Gennargentu, istituito<br />
nel 1998 ma di fatto<br />
ancora inesistente.<br />
I tacchi di Perda Liana e<br />
Texile sono protetti<br />
come Monumenti<br />
naturali regionali; il<br />
Corpo Forestale<br />
gestisce<br />
la foresta demaniale<br />
di Montarbu.<br />
DOMENICO RUIU<br />
BARBAGIA 35
invito alla visita<br />
La visita ideale attraverso le terre di Barbagia e<br />
l’incanto della foresta di Montarbu comincia a<br />
bordo del Trenino Verde, pittoresco convoglio locale:<br />
si sale a Orroli e, dopo uno straordinario itinerario<br />
fra le terre dei pastori, che comprende anche<br />
il transito sul ponticello da capogiro che si affaccia<br />
sulla contorta valle del lago Flumendosa, si<br />
scende alla fermata San Girolamo. Per informazioni:<br />
Ferrovie di <strong>Sardegna</strong>, settore turistico, e<br />
fax 070 580246; prenotazioni: Direzione esercizio,<br />
Cagliari, 070 580075, fax 070 581765.<br />
Da San Girolamo si va a piedi: la meta è Perda<br />
’e Liana, imponente torrione calcareo che domina<br />
la foresta. Scesi dal treno, procedete lungo<br />
la ferrovia in direzione del tunnel da cui si è appena<br />
usciti. Sulla destra, prendete la mulattiera<br />
che sale ripida per circa 250 metri, fino a incrociare<br />
la carreggiabile forestale da imboccare ancora<br />
verso destra. Dopo 600 metri si arriva alla<br />
casermetta forestale di Montarbu; continuate sulla<br />
strada per s’Arcu e su Pirastu Trottu. Dopo 2<br />
chilometri e mezzo c’è un primo bivio, con strada<br />
che s’immette da destra; andate oltre. Percorsi altri<br />
200 metri, trovate un secondo bivio. Scegliete<br />
la strada di sinistra, che in circa 6 chilometri giunge<br />
a s’Arcu ’e su Pirastu Trottu. Da qui, risalite a<br />
destra sul crinale fino al sentiero anulare intorno a<br />
Perda ’e Liana. Si può tornare a San Girolamo sui<br />
propri passi, o scendere lungo un itinerario un<br />
po’ più complesso (tratteggiato sulla carta) che<br />
incrocia Rio sa Onna, costeggia Rio Sammuccu e<br />
torna al bivio iniziale aggirando Serra s’Ilixi.<br />
PAOLO RONDINI<br />
DOMENICO RUIU<br />
A LATO: IL “TACCO” DI TEXILE. IN BASSO:<br />
GINEPRI SECOLARI PRESSO ARCU CORREBOI.<br />
NELLA PAGINA A FRONTE: LA PARETE<br />
CALCAREA DI PILINCANIS NEL GENNARGENTU.<br />
lato i paesi della <strong>Sardegna</strong> centrale.<br />
Coltivazioni a parte, l’ambiente è<br />
rimasto immutato. Tra aprile e giugno,<br />
i pascoli sono in piena fase vegetativa<br />
e tale periodo coincide con<br />
la maggiore produttività delle greggi,<br />
quando le pecore hanno appena I tacchi sono costituiti da una<br />
figliato e vengono munte ogni gior- serie di altipiani calcarei incisi e<br />
no. In autunno invece, il ritardo separati da profonde vallate,<br />
delle piogge può arrivare a mettere alti qualche centinaio di metri,<br />
in crisi l’economia: pascoli gialli e che poggiano su un substrato di<br />
aridi, pecore sottoalimentate, morìa scisti grigi e porfidi rossastri.<br />
di agnelli. “A differenza che sulle Per spiegarne l’origine occorre<br />
Alpi, non vi sono malghe, stalle, né si- fare un viaggio indietro nel<br />
stemi d’irrigazione”, fa notare Meloni. tempo. Con tre fondamentali<br />
“I pastori delle montagne e delle al-<br />
tappe, l’ultima delle quali<br />
te colline della Barbagia compiono coincide con la chiusura della<br />
una transumanza a senso unico”. Tetide (l’oceano che divideva la<br />
Scendono lungo la media e bassa<br />
zolla eurasiatica da quella<br />
valle del Tirso fino ai pascoli<br />
non coltivati del<br />
Campidano settentrionale<br />
o fino ai monti di<br />
Pula e Teulada, dove abbonda<br />
la macchia. Pagano<br />
un canone ai commercianti<br />
caseari che<br />
spesso sono proprietari<br />
o affittuari terrieri.<br />
“L’aspetto più esclusivo<br />
di queste terre, retaggio<br />
dell’alternarsi tra pascolo e agricoltura, è però l’uso del Cumonale”,<br />
sottolinea Meloni. “Significa ‘terra di tutti’. Da sempre è utilizzata,<br />
a rotazione, dalle famiglie di pastori che vi spostavano le greggi in<br />
cerca di foraggio. È terra per la quale ogni Comune fissa ancora una<br />
percentuale da adibire a seminerio (coltivazioni di cereali), a ghiandatico,<br />
legnatico o pascolo, e stabilisce quali famiglie possano accedere<br />
alla raccolta (di grano, ghiande, legname) e quale canone debbano<br />
pagare. È soprattutto per l’uso di queste terre, inserite in un complesso<br />
e parcellizzato sistema di proprietà agraria unico della Barbagia,<br />
che si sono perpetuate antiche faide, vere e proprie guerre di paese,<br />
fenomeni di abigeato e incendi e, non ultima, la strenua opposizione<br />
alla creazione di un parco. Il suo funzionamento (vedere a pagina 94)<br />
prevedrebbe infatti chiarezza e trasparenza sull’utilizzo del suolo.<br />
Pratiche (o divieti) di semina e di pascolo, opere di manutenzione degli<br />
ovili, che fermino l’erosione e l’incuria. Oggi una cinquantina di<br />
gruppi pastorali piuttosto forti occupano queste terre quasi a loro piacimento<br />
e le amministrazioni non riescono a contrastarli”.<br />
I TACCHI CALCAREI? SONO NATI NEL MARE<br />
africana), la formazione del<br />
Mediterraneo e delle sue isole.<br />
240 MILIONI DI ANNI FA. Alla<br />
fine dell’era Paleozoica, quella<br />
porzione della crosta terrestre<br />
che successivamente<br />
sarebbe diventata la <strong>Sardegna</strong><br />
conobbe un periodo di<br />
tranquillità dal punto di vista<br />
tettonico. Per circa 70 milioni di<br />
anni, fino al Giurassico, gli<br />
agenti atmosferici erosero le<br />
rocce metamorfiche e cristalline<br />
di cui era fatta, creando<br />
un vasto altopiano ondulato.<br />
170 MILIONI DI ANNI FA<br />
(Giurassico). Movimenti<br />
verticali della crosta terrestre<br />
inabissarono la regione, che<br />
fu ricoperta da un mare poco<br />
profondo (epicontinentale,<br />
per i geologi). In queste acque<br />
calde e vitali sedimentarono<br />
le rocce calcaree, piene<br />
di fossili di molluschi, che<br />
costituiranno in seguito i tacchi.<br />
<strong>13</strong>0 MILIONI DI ANNI FA (fine<br />
del Giurassico). La regione<br />
riemerge definitivamente. Sul<br />
vasto altopiano calcareo si<br />
forma una rete idrografica che<br />
dà origine a profonde valli e<br />
rilievi calcarei isolati: appunto i<br />
tacchi. Negli ultimi 7 milioni di<br />
anni (Plio-pleistocene) l’erosione<br />
fluviale e carsica causa<br />
una drastica riduzione dei<br />
calcari e il riaffioramento<br />
delle rocce paleozoiche (570-<br />
240 milioni di anni fa). Un<br />
processo che continua sotto i<br />
nostri occhi. (Valerio Agnesi)<br />
BARBAGIA 37<br />
DANIELE PELLEGRINI (2)
DANIELE PELLEGRINI<br />
‘‘<br />
donna, nei periodi di as‘‘La<br />
senza del pastore, prende tutti<br />
i pesi sulle spalle. Un po’<br />
diventa il capo, un maschio<br />
a metà, va all’orto, innaffia,<br />
raccoglie le olive. Una sola<br />
divenne bandito, a Orgosolo,<br />
si chiamava Paska Devaddis.<br />
(Giuseppe Fiori, 1968)<br />
38 BARBAGIA<br />
IL CONTATTO<br />
Wwf, Nuoro, 0784<br />
288016-202953.<br />
Ad Aritzo: Proloco,<br />
0784 629808;<br />
Museo etnografico,<br />
0784 629223.<br />
A Dèsulo: Proloco,<br />
0784 619887.<br />
Su Internet: www.<br />
parcogennargentu.it:<br />
link sui singoli comuni,<br />
ambienti, itinerari.<br />
DONNE DI DÈSULO NEL TIPICO COSTUME<br />
BARBARICINO. IL PAESE SI TROVA NEL<br />
PARCO NAZIONALE DEL GENNARGENTU,<br />
ISTITUITO CON DECRETO MINISTERIALE<br />
NEL 1998 MA DURAMENTE OSTEGGIATO<br />
DALLA POPOLAZIONE LOCALE.<br />
Capito ciò, si può fare un passo<br />
ulteriore. Scoprire che le terre<br />
dei pastori non sono tutte uguali.<br />
Antropologi e geografi parlano<br />
in effetti, al plurale, di Barbagie.<br />
“Questo intarsio di orizzonti<br />
piatti, profondamente sconnesso<br />
e inciso, è composto da diversi<br />
cantoni, per molto tempo isolati l’uno<br />
dall’altro”, scrive Michel Le<br />
Lannou (1941). “È un sistema che<br />
va dal massiccio del Gennargentu,<br />
dai Supramonti interno e costiero,<br />
dalla Gallura meridionale<br />
fino al solco del Tirso”, spiega<br />
il geomorfologo Valerio Agnesi.<br />
“Semplificando, vi sono comprese:<br />
la Barbagia di Bitti, segnata<br />
dal bastione calcareo del Monte<br />
Albo; quelle di Orotelli, di Ollolai<br />
e di Belvì. Quest’ultima risulta<br />
caratterizzata dal sistema dei tacchi calcarei (vedere il riquadro nella<br />
pagina precedente) intervallati dalle valli scistose del più ricco bacino<br />
idrografico sardo: al centro c’è il rilievo di Perda ’e Liana, dal quale<br />
partono i tre corridoi dell’alto Flumendosa e dei rii Flumineddu e<br />
Pardu. Tra queste valli si estende, infine, la Barbagia Seulo”.<br />
Diverse Barbagie, stesso habitat e stesse architetture. Qui il lavoro contadino<br />
(campi di pochi ettari coltivati a grano, orzo, fagioli, fave, patate,<br />
qualche vigna, un po’ di ulivi e, sui pendii più elevati, mandorli) non<br />
ha lasciato tracce, a parte alcune capanne, rifugio provvisorio quando<br />
piove. Fanno eccezione, nella Barbagia centro-meridionale, Dèsulo e<br />
Fonni, dove il territorio consente la presenza di cereali, castagni, peri<br />
e ciliegi fino a 1.200-1.300 metri; gli orti arrivano a 1.600 e i coltivi recintati<br />
(detti “terre chiuse”) s’incastrano nei terreni da pascolo secondo<br />
una geometria della sussistenza in cui non si spreca neppure un<br />
palmo di terra. In prossimità dei villaggi, si trovano siepi e muri a<br />
secco. Gli animali vivono rigorosamente fuori dell’abitato. I cuìles<br />
(ovili) stanno in montagna e svolgono la doppia funzione di riparo<br />
per gli animali e per l’uomo. La zona per le pecore è a cielo aperto,<br />
contraddistinta da sa corte (dove vengono chiuse per la mungitura).<br />
Nei dintorni s’incontra spesso una chiesetta campestre. Nei paesi le<br />
case sono addossate l’una all’altra, sovrastate dal campanile o dalla<br />
sagoma di qualche palazzetto baronale. Colpisce la densità degli abitati,<br />
in confronto ai vasti spazi spopolati dove si pratica la pastorizia.<br />
E colpisce anche l’antica (bio)edilizia: le case in granito (di Olzai, Gavoi,<br />
Fonni), con travi e porte in castagno o ginepro, mattoni in terra cruda,<br />
battenti in ferro. Di estrema modernità, buon auspicio per il futuro.
NURA GHI<br />
le radici
NURAGHI le radici<br />
NURAGHI<br />
TESTO DI STEFANO ARDITO FOTO DI ANGELO MEREU<br />
nessuno<br />
o tracce<br />
≥ 0,1/km 2<br />
0,1- 0,35/km 2<br />
0,35- 0,6/km 2<br />
≤ 0,6/km 2<br />
DOVE SI TROVANO<br />
I nuraghi sono presenti in<br />
tutta la <strong>Sardegna</strong>, variamente<br />
distribuiti (sopra, le aree<br />
colorate indicano la densità<br />
per km 2 ). La concentrazione<br />
più alta è negli altipiani di<br />
Abbasanta, Campeda e della<br />
Valle dei Nuraghi: attraversati<br />
dalla statale <strong>13</strong>1 Carlo Felice,<br />
si raggiungono facilmente<br />
anche dalla superstrada che<br />
collega quest’ultima con Olbia.<br />
42 NURAGHI<br />
Senza i nuraghi, la <strong>Sardegna</strong> sarebbe un’altra cosa. Da un capo<br />
all’altro dell’isola, le fortezze di pietra sorvegliano le vie di comunicazione<br />
e i pascoli, occhieggiano sulle città e i paesi,<br />
sembrano ricordare ai frettolosi uomini e donne d’oggi la lunghezza e<br />
la complessità della loro storia.<br />
Alcuni di essi – i più noti – sorgono vicino alle strade, ma non hanno<br />
perso per questo in suggestione. Il nuraghe Santu Antine si alza<br />
accanto alla Carlo Felice (la strada più trafficata, che unisce Sassari a<br />
Cagliari) in territorio di Torralba. Il Palmavera, il più bello del nordovest,<br />
lo sfiorano i turisti diretti a Capo Caccia. Il Losa, imponente e famoso,<br />
è sullo svincolo tra la<br />
Carlo Felice e la superstrada<br />
per Olbia.<br />
Altri celebri siti – Su Nuraxi<br />
a Barùmini, il nuraghe<br />
Genna Maria di Villanovaforru,<br />
il Lughèrras dell’altopiano<br />
di Abbasanta – si trovano<br />
in angoli più tranquilli.<br />
Altri ancora, come lo straordinario<br />
nuraghe Mereu<br />
del Supramonte di Orgosolo,<br />
sorvegliano i luoghi più selvaggi<br />
della <strong>Sardegna</strong>.<br />
I nuraghi sono tanti, tantissimi.<br />
Le carte dell’Igm ne<br />
segnalano 3.117, gli archeologi<br />
SU NURAXI, IL GIGANTE<br />
Scavato tra 1949 e 1955, il nuraghe<br />
Su Nuraxi di Barùmini, 60 km da<br />
Cagliari, è il complesso megalitico<br />
più importante dell’isola. Gli studi<br />
stratigrafici hanno evidenziato<br />
4 fasi di costruzione (in colori<br />
diversi nella piantina). Alla più<br />
antica (fase A) risale la torre<br />
centrale, 10 metri di diametro, in<br />
origine completata in altezza da una<br />
terza camera (ora ne restano due) e<br />
da una ghiera in aggetto. La torre fu<br />
poi inglobata (fase B) in un bastione<br />
a 4 lobi che però si rovinò al<br />
punto da richiedere l’erezione<br />
di un muro di rifascio spesso 3<br />
metri (fase C). Dopo, Su<br />
Nuraxi decadde, assorbito<br />
nelle costruzioni del<br />
circostante villaggio (fase D):<br />
nel IX secolo a.C. l’aspetto era<br />
già più o meno quello attuale.<br />
PAOLO RONDINI (2)<br />
FASE A XVI-XIV secolo a.C.<br />
FASE B XIV-XII secolo a.C.<br />
FASE C XIII-X secolo a.C.<br />
FASE D X sec. a.C.- III sec. d.C.<br />
IL NURAGHE SU NURAXI,<br />
A BARÙMINI. PAGINE PRECEDENTI:<br />
IL NURAGHE SANTA SABINA,<br />
NELLE CAMPAGNE DI SILANUS.
invito alla visita<br />
Gli altipiani centrali della <strong>Sardegna</strong> danno la possibilità di fare<br />
molte escursioni a piedi, a cavallo o in mountain bike. Attenzione:<br />
spesso orientarsi è difficile perché i sentieri non risultano<br />
evidenti, e la segnaletica non c’è. Non è questo il caso, comunque,<br />
per l’itinerario da Torralba a Bonorva (a lato): tutto in terreno<br />
aperto, non presenta problemi di orientamento. Percorso a<br />
piedi, richiede 4-5 ore. Si parte dal centro di Torralba; imboccata<br />
la vecchia statale per Cagliari, dopo circa 1.500 metri si<br />
piega a sinistra, si passa sotto la superstrada, si sale alla chiesetta<br />
di San Giorgio e si scende a visitare il nuraghe Santu<br />
Antine, con quello di Barùmini il maggior esempio di architettura<br />
megalitica. Si riparte verso il ben visibile nuraghe Oes, si<br />
attraversa la ferrovia e si continua sull’altopiano, scavalcando i<br />
muri a secco delle tanche, fino al nuraghe Don Furadu. Superato<br />
un ponte si procede a sud senza via obbligata, aggirando a<br />
sinistra lo sperone roccioso che regge il nuraghe Feruledu.<br />
Una salita nel vallone di Campu de Olta porta a una strada<br />
sterrata, che a sua volta immette su quella asfaltata che proviene<br />
da Giave. Seguendo quest’ultima si passa accanto ai caratteristici<br />
Tres Nuraghes per salire infine a Bonorva. Il ritorno<br />
si può effettuare in treno (le corse utili sono però pochissime).<br />
PAOLO RONDINI<br />
ne hanno censiti oltre 8.000. I primi vennero costruiti quasi 4.000 anni fa,<br />
quando l’uomo aveva già eretto nell’isola luoghi di culto e le sepolture<br />
rupestri poi chiamate domus de janas (case delle fate). Altrettanto<br />
primordiali, e affascinanti, sono i santuari a pozzo: come quello presso<br />
Santa Cristina, sull’altopiano di Abbasanta, o Su Tempiesu presso<br />
Orune, nel Nuorese. Qui gli antichi Sardi praticavano il culto dell’acqua<br />
e celebravano sacrifici. Pozzi e scalinate, chiusi da coperture in<br />
pietra che li riparavano dalle intemperie, stupiscono per stato di conservazione<br />
ed eleganza.<br />
Da quello che sappiamo di loro, i Sardi del Paleolitico e del Neolitico<br />
erano dei pacifici agricoltori. Il quadro cambiò con l’arrivo delle<br />
nuove armi di bronzo. Diventati prevalentemente pastori (una caratteristica<br />
destinata a durare nei millenni), gli abitanti dell’isola si diedero a<br />
guerricciole e saccheggi su larga scala. “Da allora noi sardi siamo uniti<br />
nell’invidia, e divisi nella pace”, commenta Gavino Ledda, lo scrittore<br />
di Sìligo (Sassari) autore di Padre padrone.<br />
I costruttori dei nuraghi non erano dediti solo alla guerra. Per conoscerli<br />
meglio, è bene parlare con Giovanni Lilliu, il decano dell’archeologia<br />
sarda (è nato a Barùmini 87 anni fa) che, oltre a dirigere il<br />
memorabile scavo di Su Nuraxi, ha fornito un contributo decisivo alle<br />
ricerche sui primi abitanti dell’isola. “Prima delle invasioni fenicie,<br />
puniche e romane, la <strong>Sardegna</strong> era ricca, legata al resto del mondo mediterraneo”,<br />
rivela lo studioso. “La sua civiltà aveva molte affinità con<br />
quella della Grecia arcaica. Gli insediamenti nuragici ci hanno dato<br />
sculture di pietra e bronzo, vasi, armi raffinate che testimoniano di<br />
una cultura complessa ed evoluta”. Fiorente dal 1800 fino al 400 a.C.,<br />
la civiltà nuragica era di tipo pastorale, divisa in tribù analoghe a quelle<br />
dei popoli italici della Penisola: governate da capi eletti, vivevano in<br />
uno stato di conflittualità permanente. È il succedersi di attacchi e<br />
scorrerie a spiegare l’impressionante proliferazione dei nuraghi.<br />
Nonostante gli scontri, la <strong>Sardegna</strong> intorno al 1000 a.C. era aperta<br />
e prospera. “Gli scavi hanno dimostrato che i Sardi nuragici sapevano<br />
navigare, e commerciavano con le Baleari, la Grecia e il Me-<br />
IL NURAGHE LOSA, SULL’ALTOPIANO<br />
DI ABBASANTA: CON LA SUA<br />
STRUTTURA A TRE LOBI, È FRA I PIÙ<br />
BELLI E MEGLIO CONSERVATI.<br />
A FRONTE: IL NURAGHE MANNU<br />
NELL’ENTROTERRA DI CALA<br />
GONONE, DA POCO RESTAURATO.<br />
L’ARCHEOLOGIA<br />
Reperti e testimonianze della<br />
<strong>Sardegna</strong> nuragica sono<br />
custoditi nei musei archeologici<br />
di Torralba ( 079 847298),<br />
Ittireddu ( 079 767623),<br />
Dorgali ( 0784 961<strong>13</strong>),<br />
Sardara ( 070 9386<strong>13</strong>) e<br />
Villanovaforru ( 070<br />
9300050). In quest’ultimo<br />
centro merita una visita<br />
la bottega di Roberta Cabiddu<br />
( 070 9300001),<br />
artista che lavora riproducendo<br />
lo stile e le tecniche<br />
artigiane degli antichi. Da non<br />
perdere, ovviamente,<br />
i musei archeologici di Cagliari<br />
( 070 655911) e Sassari<br />
( 079 272203). L’elenco dei<br />
musei dell’isola è sul sito<br />
www.emmeti.it/Arte/<strong>Sardegna</strong>.<br />
NURAGHI 45
APPUNTI DI NATURA<br />
Nelle campagne di Esporlatu, nel Goceano,<br />
c’è un nuraghe dal nome strano: Erismanzanu.<br />
Significa ieri mattina e come mai abbia questo<br />
nome non si sa. La stranezza più evidente di quel<br />
nuraghe sono però i quattro lecci alti 3 metri che<br />
crescono rigogliosi sulla cima della torre. Proprio<br />
il leccio, assieme al lentisco, è uno dei problemi<br />
maggiori per gli studiosi che scavano i nuraghi<br />
perché le sue radici penetrano profondamente<br />
nella struttura in pietre<br />
della costruzione, spesso<br />
sconvolgendone le parti basse.<br />
ANCHE ROVERELLE e frassini a<br />
volte rendono arduo il lavoro<br />
degli archeologi; mai comunque<br />
come la salsapariglia (Smilax<br />
aspera), che avvolge i ruderi<br />
con le sue fronde intricate e<br />
spinose. Nemico degli<br />
archeologi, questo arbusto (che<br />
in Toscana chiamano<br />
stracciabrache) ha però doti<br />
officinali. Il decotto ottenuto<br />
dalle radici essiccate (altri<br />
adoperano le bacche) è usato<br />
in varie zone dell’isola come<br />
diuretico, per le infiammazioni<br />
di reni, fegato e prostata,<br />
per le dermatiti, e soprattutto<br />
contro il mal di pancia.<br />
SE CHIEDETE invece a<br />
un archeologo qual è l’animale<br />
che s’incontra più spesso<br />
nei nuraghi, la risposta<br />
arriverà immediata: il gongilo<br />
(Chalcides ocellatus).<br />
Tilicuccu, tiligugu, ziricuccu<br />
46 NURAGHI<br />
in sardo, è uno scinco dal corpo lucido e tozzo<br />
con piccole zampe. Quando il nuraghe ha ancora<br />
la camera interna gli ospiti più usuali sono<br />
i pipistrelli. Ma nel Supramonte, pure i mufloni<br />
cercano a volte riparo nei resti delle torri<br />
nuragiche. Sui terreni umidi sono invece i rospi<br />
a rintanarsi tra le grosse pietre, mentre la<br />
testuggine marginata (Testudo marginata) vi si<br />
ritira nelle ore notturne. (Egidio Trainito)<br />
CREDITO<br />
GONGILO<br />
(CHALCIDES<br />
OCELLATUS)<br />
FRANCO TESTA<br />
dio Oriente. Calcoliamo che allora<br />
l’isola desse da vivere a 200-250.000<br />
persone: un livello a cui si tornerà<br />
solo nel XV secolo”, prosegue Lilliu.<br />
“Come i Greci che si riunivano<br />
a Olimpia o a Delfi, i Sardi delle<br />
età del Bronzo e del Ferro s’incontravano<br />
in santuari che dovevano godere<br />
di qualche forma di extraterritorialità.<br />
La tendenza a vedere nel<br />
passato le radici di certi stereotipi<br />
di chiusura e arretratezza associati<br />
all’isola è un grave errore, in cui gli<br />
storici cadono periodicamente”,<br />
tutto un popolo a mostrarsi nelle statuine bronzee di <strong>Sardegna</strong>; dai capi, i re pastori, ai<br />
guerrieri, alle donne dolenti per la morte dei figli in combattimento; dagli umili popolani<br />
contadini e artigiani ai pastori di buoi; dagli eroi ai superstiti delle continue razzie e guerriglie.<br />
E inoltre animali, domestici e selvatici, modellini di nuraghi, faretrine votive, e tante,<br />
tantissime navicelle, segno tangibile di un’abitudine al mare. (Claudio Finzi, 1982) ‘‘È<br />
sottolinea il professore.<br />
A mettere termine a questa “età dell’oro” furono, alla fine, le occupazioni<br />
straniere. I Fenici, giunti intorno all’XI secolo a.C., si limitarono<br />
a fondare modesti empori costieri. Invece i Cartaginesi, sbarcati<br />
nel 535 a.C., cominciarono a conquistare l’interno. “La guerra, lunga e<br />
sanguinosa, spinse i Sardi a ritirarsi nelle zone più impervie e a isolarsi<br />
dal punto di vista economico e culturale. Una situazione che<br />
continuò sotto Roma e ancora nel Medioevo”, conclude Lilliu.<br />
Ma il racconto storico e la visita dei musei e dei nuraghi più noti –<br />
Santu Antine, Losa, Palmavera, Barùmini – non bastano per capire i<br />
Sardi di 3.000 anni fa. Il fascino di queste opere dell’uomo si esprime in<br />
pieno nel loro rapporto con gli spazi, i rilievi, la vegetazione dei paesaggi<br />
in cui si elevano. Chi non teme le scarpinate può andare nel Supramonte<br />
e incamminarsi verso il nuraghe Mereu o il villaggio di Tiscali,<br />
nascosto in una profonda dolina. Ben più comodo è percorrere gli altipiani<br />
del cuore dell’isola, dove il paesaggio è rimasto quasi immutato<br />
nei millenni. Tra la Valle dei Nuraghi e gli altipiani di Abbasanta e<br />
Campeda, le sughere, il basalto, gli esigui appezzamenti a pascolo<br />
permettono d’immaginare la <strong>Sardegna</strong> com’era al tempo dei pastori<br />
nuragici. Centinaia di piccoli e grandi ruderi si confondono con le<br />
rocce, spuntano all’improvviso tra asfodeli e ferule. Gli uomini dalle<br />
armi di bronzo sembrano potersi materializzare dal nulla.<br />
PER SAPERNE DI PIÙ Claudio Finzi, Le città sepolte della <strong>Sardegna</strong>, Newton<br />
Compton, 1982. Rainer Pauli, <strong>Sardegna</strong>, Idea Libri, 1990 (il capitolo<br />
sull’archeologia). Stefano Ardito, Sui sentieri della storia, De Agostini,<br />
1992, e A piedi in <strong>Sardegna</strong> I, Iter, 1993 (per le escursioni tra i nuraghi). ANCORA IL NURAGHE SANTA SABINA. NELL’AREA RESTANO ANCHE UN POZZO CULTUALE E UNA TOMBA.
STAGNI COSTIERI<br />
le perle contese<br />
DOMENICO RUIU
STAGNI STAGNI COSTIERI COSTIERI<br />
DI ANTONELLA COLICCHIA<br />
✦<br />
✦<br />
DOVE SI TROVANO<br />
Gli stagni costieri interessano<br />
soprattutto la provincia di<br />
Oristano (oltre 5.500 ettari,<br />
3.000 dei quali nella penisola<br />
del Sinis). Segue Cagliari,<br />
con 1.600 ettari nei dintorni<br />
della città. Zone umide<br />
minori sono disseminate<br />
nell’immediato entroterra di<br />
molti tratti di litorale.<br />
APPUNTI DI NATURA<br />
Gli stagni dell’Oristanese sono un<br />
grandioso mosaico naturale.<br />
Cabras, vasto e circondato da un<br />
fitto ed esteso canneto, oltre a<br />
ospitare migliaia di anatidi e di folaghe,<br />
è l’ambiente ideale per l’airone rosso, il<br />
tarabusino e lo schivo tarabuso, che vi nidificano<br />
regolarmente. Paùli Maiori, di modeste<br />
dimensioni e al centro di una piana intensamente<br />
coltivata e pascolata, è circondato dal più esteso<br />
canneto naturale della <strong>Sardegna</strong>, dove vive una<br />
delle più importanti popolazioni di pollo sultano<br />
dell’isola. Per facilità e abbondanza di specie è<br />
preferibile però s’Ena Arrubia. Durante il passo<br />
50 STAGNI COSTIERI<br />
le perle contese<br />
Assolti. Così, il 24 ottobre 1996, la pretura di Oristano ha mandato<br />
a casa Giuseppe ed Emiliano Sanna e Fabrizio Paddi. A<br />
trascinarli sul banco degli imputati era stata la famiglia Manca.<br />
Proprietaria dello stagno di Mistras, affidato in gestione alla Cooperativa<br />
Molluschicoltori, non tollerava che i ragazzi calassero la lenza e<br />
considerassero le acque lagunari possesso di tutti. “Sono demaniali”,<br />
ha invece ribadito il giudice. Un principio generale, introdotto con<br />
una legge regionale (la 39 del 1956), difeso dai tribunali in decine di<br />
processi e confermato dalla Corte Costituzionale. La legge, che abolisce<br />
i diritti feudali sugli stagni, non fu certo un regalo. La strapparono<br />
i poverissimi pescatori di Cabras a suon di scioperi, occupazioni,<br />
scontri con la polizia.<br />
Oggi le zone umide che circondano Oristano<br />
– 5.500 ettari di vasche e canali scavati<br />
per farvi confluire il pesce dal<br />
mare aperto, vederlo crescere e<br />
venderlo – sono nelle loro mani.<br />
POLLO SULTANO<br />
(PORPHYRIO PORPHYRIO)<br />
GOBBO RUGGINOSO<br />
(OXYURA LEUCOCEPHALA)<br />
autunnale la superficie dell’acqua appare<br />
spesso interamente ricoperta di uccelli:<br />
folaghe, moriglioni, mestoloni, alzavole,<br />
morette, rari fistioni turchi e, nelle zone<br />
prossime al mare, avocette e fenicotteri.<br />
Il complesso degli stagni di Marceddì e<br />
San Giovanni (divisi solo da uno sbarramento<br />
artificiale) è una grande laguna aperta a<br />
diretto contatto con il mare. D’inverno la<br />
popolano edredoni e beccacce di mare. Infine<br />
Sale ’e Porcus, nella penisola del Sinis: una<br />
laguna temporanea interdunale, priva di<br />
collegamenti al mare, alimentata esclusivamente<br />
dall’acqua piovana e salata per evaporazione.<br />
È un luogo incantato. A fine estate, quando i<br />
temporali ripristinano la laguna, si colora di rosa:<br />
sono i fenicotteri che ogni anno, puntualmente,<br />
ritornano dopo aver nidificato nelle acque<br />
francesi della Camargue. (Domenico Ruiu)<br />
FRANCO TESTA (2)<br />
VEDUTA AEREA DELLO STAGNO DI<br />
CABRAS, IL PIÙ ESTESO DELLA<br />
PROVINCIA DI ORISTANO. NELLA<br />
DOPPIA PAGINA PRECEDENTE: UN<br />
GRUPPO DI FENICOTTERI ROSA NELLO<br />
STAGNO DI SALE ’E PORCUS,<br />
NEL COMUNE DI SAN VERO MILIS.<br />
GUIDO ALBERTO ROSSI
COME SONO PROTETTI<br />
Come zone umide d’importanza<br />
internazionale, gli stagni sardi<br />
sono protetti dalla Convenzione di<br />
Ramsar. La legge Galasso inoltre li<br />
sottopone ai vincoli validi per le<br />
zone di grande interesse<br />
paesaggistico. La Regione si limita<br />
a definire gli stagni “oasi<br />
faunistiche” dov’è vietata la caccia<br />
e a stabilire, come avviene in<br />
mare, periodi di riposo biologico<br />
durante i quali è proibito pescare.<br />
Paùli ’e Sali è stato gestito dal<br />
Wwf assieme alla Cooperativa<br />
Pontis per due anni, nell’ambito di<br />
un progetto Life dell’Unione<br />
Europea. Ma l’amministrazione<br />
comunale non ha garantito la<br />
continuità, com’è accaduto anche<br />
a Paùli Maiori e a s’Ena Arrubia.<br />
Nel Cagliaritano, la zona<br />
di Molentargius-Saline-Poetto è<br />
inclusa, dal 1989, nelle aree<br />
protette regionali. (D. C.)<br />
IL FASSONE<br />
In sardo, su fassoi. È la tipica<br />
barca costruita con il fieno palustre,<br />
a parte gli scalmi di canna e i sostegni in tamerice,<br />
tradizionalmente utilizzata dai palamitai (pescatori<br />
di anguille) che vi trasportavano il palamito (corda<br />
lunga e fitta di ami) e una fiocina. La struttura<br />
è la stessa delle imbarcazioni in uso presso antiche<br />
civiltà: quelle egizie di papiro, quelle peruviane<br />
del lago Titicaca e di Dioca, sul Golfo Persico.<br />
Sotto: l’evoluzione nei secoli, in 4 fasi, di su fassoi.<br />
EGIDIO TRAINITO<br />
LA PESCHIERA PONTIS, A CABRAS. SULLA SPONDA, I RESTI DI UN RIPARO DI CANNE.<br />
O meglio, in quelle delle cooperative che gestiscono la pesca, e degli<br />
abitanti sui quali incombe una sfida: difendere il delicato ecosistema<br />
di terra e acqua da cui dipende l’economia locale e tramandare una<br />
cultura che è scolpita nel paesaggio.<br />
L’ambiente e la storia dello stagno di Cabras, e la gerarchia feudale<br />
della peschiera, sono stati raccontati con insuperata efficacia da Giuseppe<br />
Fiori nel suo Baroni in laguna (Edizioni del Bogino, Cagliari, 1961). A<br />
quarant’anni di distanza, lo scenario non è molto cambiato. Stessi canali,<br />
qualche bicicletta che li costeggia, le barche in fila nel porticciolo.<br />
I pescatori riposano sulle sedie impagliate, fuori delle case. È cambiata<br />
però l’economia. Nel 1600 le acque erano demaniali, cioè della<br />
Corona spagnola. Finché Filippo IV chiese ingenti prestiti a un genovese,<br />
Gerolamo Vivaldi, offrendo come garanzia stagni, peschiere e<br />
dipendenze di Cabras e Santa Giusta. Nel 1853, gli eredi di Vivaldi<br />
cedettero gli stagni a un barone di Oristano: don Salvatore Carta. Le<br />
36 famiglie di eredi (Carta-Boi-Corrias) sono quelle che si opposero<br />
per tutti gli anni Cinquanta all’abolizione dei diritti feudali (in soldoni,<br />
pretendere il pagamento di un canone e decidere a chi concedere<br />
il diritto di pesca). “Dal 1982, quando la Regione sottrasse la gestione<br />
ai baroni, pesca e manutenzione vengono affidate<br />
a cooperative di pescatori”, spiega France-<br />
sco Meli, detto Caboni (il gallo), presidente della<br />
Nuova Cooperativa Pontis. “Attualmente, a un<br />
consorzio di 11 società, che dà lavoro a 390 addetti.<br />
Le acque (40 milioni di metri cubi) forniscono<br />
3.000-4.000 quintali di pesce. Il novellame<br />
(muggini, spigole, orate, sogliole, anguille) entra<br />
dal mare, trova nutrimento e cresce senza alcun<br />
mangime. Può capitare (l’ultima volta è stato<br />
nel 1999) di vedere i pesci a galla, a pancia in<br />
su. Il caldo qui ha fatto evaporare l’acqua e<br />
marcire la materia organica. Risultato: 2.200 ettari<br />
di fango puzzolente da spalare dai fondali,<br />
invito alla visita<br />
Ogni stagno merita la visita, da<br />
affrontare binocolo alla mano,<br />
con due semplici accorgimenti:<br />
scarpe comode (stivali in autunno-inverno)<br />
e prodotti antizanzare<br />
(in primavera-estate).<br />
A chi ha poco tempo ne consigliamo<br />
tre, all’insegna della varietà.<br />
Piccoli e di acque salmastro-dolci<br />
Mar ’e Paùli e Paùli<br />
’e Sali; più grande e salato quello<br />
di Mistras. Prima di esplorarli,<br />
è bene osservarne i contorni<br />
dall’alto della Torre del<br />
porto di Cabras, da cui si domina<br />
l’incantevole puzzle di terra,<br />
acqua e mare dell’Oristanese.<br />
MAR ’E PAÙLI E PAÙLI ’E SALI.<br />
Sono entrambi sul lato nordorientale<br />
dello stagno di Cabras.<br />
Lasciato l’abitato si percorre<br />
l’asfaltata verso Riola per<br />
circa 1 chilometro e mezzo, si<br />
supera un maneggio e<br />
si devia a sinistra su una<br />
sterrata. Si prosegue,<br />
ancora per 1 chilometro<br />
e mezzo, fino ad arrivare<br />
alla riva settentrionale<br />
di Paùli ’e Sali. Da<br />
qui si avanza, a piedi o<br />
in bicicletta, costeggiando<br />
le rive dei due stagni,<br />
separati da una lunga e<br />
stretta lingua di terra e<br />
basse dune. L’habitat, la<br />
vegetazione e le numerose<br />
specie di uccelli rari<br />
(tra cui il pollo sultano) rendono<br />
la visita di estremo interesse.<br />
MISTRAS. Da Cabras, passato<br />
il canale scolmatore, s’imbocca<br />
sulla sinistra una strada bianca<br />
e, all’altezza dell’itticoltura Sa<br />
Còcciula Bogài, si svolta a destra.<br />
Giunti sulle rive, il primo<br />
1 2 3 4<br />
PAOLO RONDINI<br />
spettacolo è offerto dalla vegetazione<br />
di piante resistenti alla<br />
salsedine (salicornia, giunchi e<br />
tamerici), ideale per la nidificazione<br />
di molte specie di uccelli.<br />
Perfetta per fare birdwatching<br />
la parte nord-occidentale dello<br />
stagno. (Dario Cossu)<br />
LO STAGNO DI S’ENA<br />
ARRUBIA, DI FRONTE ALLA PINETA<br />
DI ARBOREA (ORISTANO).<br />
DOMENICO RUIU<br />
PAOLO RONDINI
54 STAGNI COSTIERI<br />
MOLENTARGIUS E LE SALINE futuro. “Diecimila anni fa Molentargius era già un<br />
Cagliari è circondata da una sequela di stagni.<br />
A nord-ovest, l’ampia laguna di Santa Gilla, ricca<br />
di pesce e meta abituale di folaghe, limicoli,<br />
aironi, soprattutto cormorani. Più a sud, le saline di<br />
Macchiareddu, separate dal mare da uno stretto<br />
cordone dunale, ideali per volpoche, avocette e<br />
fenicotteri. A est, a ridosso della periferia urbana,<br />
Molentargius e Quartu, tra i più importanti stagni<br />
del Mediterraneo. Qui sono state censite 180<br />
specie avicole e, nei giorni d’intenso movimento<br />
migratorio, sono state contate 20.000 presenze.<br />
“LO STAGNO DI MOLENTARGIUS, fino a non molti<br />
anni fa, veniva percepito come un buco di quella<br />
grande ciambella che è Cagliari: uno spazio<br />
dai confini incerti, dalla funzione dubbia, colpito<br />
dal degrado e dall’inquinamento. Un intralcio<br />
all’espansione della città”. Perciò, Vincenzo Tiana,<br />
Stefano Pira e altri studiosi e ambientalisti sardi<br />
hanno fatto due cose. Conoscere il passato di questi<br />
1.600 ettari di laguna e saline, e progettarne il<br />
‘‘<br />
‘‘...nuvole viventi adombrano<br />
il cielo, confondendosi<br />
roteanti<br />
nell’aria: è il carnevale<br />
degli acquatici...<br />
(Ettore Arrigoni degli<br />
Oddi, 1901)<br />
centro di produzione del sale, risorsa che è stata<br />
la ricchezza di Cagliari fino all’Ottocento, quando<br />
lo sviluppo della ‘catena del freddo’ ha ridotto<br />
l’importanza del sale come conservante per gli<br />
alimenti”, spiega Pira. “Nel Settecento, nel porto<br />
rimanevano stabilmente ancorate 50 navi svedesi<br />
(che trasportavano il sale in Scandinavia dove<br />
veniva usato per conservare aringhe e sardine)”.<br />
LA PRODUZIONE È CESSATA 17 anni fa e da tale<br />
cambiamento sono derivati svantaggi (perdita del<br />
lavoro), ma pure opportunità. “Chiusi gli impianti<br />
(motopompe comprese), il livello dell’acqua scende<br />
anche di decine di centimetri al giorno”, continua<br />
Pira. “Pioggia e scarichi urbani hanno aumentato<br />
la quota d’acqua dolce e materiale organico, che ha<br />
favorito l’arrivo dell’avifauna”. Oggi siamo a un<br />
passo dall’istituzione di un parco. Una legge<br />
trasferirà alla Regione il demanio delle saline. E, con<br />
esso, 120 miliardi per la bonifica. Una parte servirà<br />
all’area protetta per cui l’Associazione pro parco<br />
di Molentargius-Saline-Poetto si batte da anni.<br />
il ‘raccolto’ bruciato nei falò”. Una<br />
scena d’altri tempi, se non<br />
fosse per gli indennizzi pagati<br />
dalla Regione e per un discusso<br />
progetto del Consorzio di Bonifica.<br />
Obiettivi: immettere nello stagno<br />
acqua dolce (nella misura ideale<br />
per l’acquacoltura) prelevandola<br />
dal fiume Tirso, attraverso<br />
il canale Mar ’e Foghe. E praticare<br />
iniezioni di ossigeno liquido, in<br />
tre diverse zone, per evitare il fenomeno<br />
dell’eutrofizzazione.<br />
“Interventi da attuare con il pieno accordo tra comunità scientifica,<br />
pescatori e protezionisti”, avverte Mena Manca, che allo stagno<br />
ha dedicato il libro I pescatori di Cabras (S’Alvure Edizioni, Oristano,<br />
1990). Mentre gli stagni, con i pesci che vi ingrassavano, venivano<br />
tolti dalle mani dei baroni per essere affidati a coloro che ci lavoravano,<br />
prendeva sempre più corpo una nuova consapevolezza.<br />
Si è capito, insomma, che il valore complessivo di questi specchi<br />
d’acqua non si può limitare a puro fatturato: che è fatto anche di elementi<br />
naturali, flora e fauna, ed estetici. E che, in quanto tale, appartiene<br />
a tutta la collettività. “Ridurre il numero dei cormorani (oltre<br />
10.000 esemplari) che saccheggiano le peschiere (un problema irrisolto),<br />
proteggere i canneti, monitorare temperatura e salinità delle<br />
acque sono un impegno globale”, sottolinea Mena Manca. “Se un<br />
aspetto della vita degli stagni entra in crisi, s’incrina l’intero sistema<br />
economico-ecologico”. E allora, addio pesca, addio turismo, addio<br />
tutto. Tornerebbero i tempi dei baroni in laguna.<br />
DANIELE PELLEGRINI<br />
IL CONTATTO<br />
Molto attiva nella zona<br />
di Cagliari, dove ha una<br />
segreteria ( 070<br />
655230) e un sito Internet<br />
(www.apmolentargius.<br />
sardegna.it), è<br />
l’Associazione pro parco<br />
di Molentargius-<br />
Saline-Poetto, presieduta<br />
da Vincenzo Tiana.<br />
CAGLIARI VISTA DALLE SALINE<br />
DI SANTA GILLA DOVE, DAL 1993,<br />
NIDIFICANO I FENICOTTERI ROSA.<br />
NELLA PAGINA A FRONTE: UN AIRONE<br />
SOSTA NELLO STAGNO DI CABRAS.<br />
STAGNI COSTIERI 55<br />
ENRICO PINNA
DANIELE PELLEGRINI<br />
MINIERE<br />
cuore di tenebre
MINIERE<br />
cuore di tenebre<br />
TESTO DI M ETELLO V ENÈ FOTO DI V ITTORIO G IANNELLA<br />
✦<br />
DOVE SI TROVANO<br />
La stragrande maggioranza<br />
delle miniere sarde si trova<br />
nel Sulcis-Iglesiente, nella<br />
<strong>Sardegna</strong> sud-occidentale<br />
(provincia di Cagliari), in<br />
un’area che occupa circa<br />
2.500 chilometri quadrati da<br />
Fluminimaggiore, a nord,<br />
fino a Capo Teulada, a sud<br />
(il punto più meridionale<br />
dell’isola). I centri più<br />
importanti sono Iglesias<br />
(Iglesiente), Carbonia<br />
e Sant’Antioco (Sulcis).<br />
Manlio, che là dentro ha sputato l’anima, ha pianto e ha perso<br />
più di un amico, dice che la miniera è un’assurdità. “Un monumento<br />
al vuoto, un edificio a rovescio: invece di aggiungere<br />
mattoni li togli, invece di costruire disgreghi”. Il punto di partenza<br />
per un viaggio nelle cattedrali a testa in giù, che voltano le spalle al cielo<br />
per cercare il buio, può essere proprio un incontro con Manlio Massole,<br />
minatore per vocazione e poeta per natura, che un giorno di tanti<br />
anni fa mollò un comodo posto di maestro alle scuole elementari<br />
di Buggerru (Cagliari) per scendere a scavare sottoterra, “mettere<br />
le mani addosso alla vita e farci la lotta, dannazione”.<br />
È lui uno dei più appassionati cantori<br />
del Sulcis-Iglesiente, l’“altra” <strong>Sardegna</strong>:<br />
20.000 ettari di suolo e relativo sottosuolo,<br />
montagne e pianure plasmate e rimodellate<br />
da 40 miniere e 3.000 immobili minerari.<br />
Un’isola nell’isola, che sa di piombo,<br />
carbone, zinco e rame (la quasi totalità<br />
del prodotto nazionale) ed evoca sofferenza<br />
e disperate lotte sindacali; una real-<br />
A DESTRA: LA LAVERIA<br />
LAMARMORA (1897).<br />
SERVIVA A SEPARARE PIOMBO<br />
E ZINCO DALLE SCORIE.<br />
IN BASSO: LA MINIERA<br />
SECONDO IL PITTORE ALIGI<br />
SASSU (1950). NELLE<br />
PAGINE PRECEDENTI:<br />
LA MINIERA DI MONTEPONI.<br />
tà che negli anni di piena attività mineraria (tra il 1850 e i primi anni<br />
Sessanta) ti faceva “abbandonare ogni mattina il sole per<br />
sprofondare nell’umidità grigia” e oggi, in epoca di Internet e globalizzazione,<br />
offre le sue ferite, i suoi magnifici ruderi e i suoi uomini<br />
alla memoria. “Le pale meccaniche ormai tacciono, ma il nostro<br />
mondo non morirà”, ci disse Manlio nel 1995, quando chiuse<br />
l’ultima miniera. “Sogno un grande parco minerario, visite guidate ai<br />
vecchi impianti, ex minatori pronti a raccontarsi”.<br />
E il sogno, in effetti, si è realizzato. O quasi. Nel senso che in<br />
questi anni il parco è stato fatto, l’hanno chiamato Parco geominerario<br />
storico e ambientale della <strong>Sardegna</strong>, l’ha riconosciuto come<br />
sito d’interesse mondiale nientemeno che l’Unesco, nel 1997. Pec-<br />
‘‘<br />
‘‘“Bisogna scendere. Sottoterra. All’imbocco del pozzo si lasciano il sole e le nuvole.<br />
Si lasciano la moglie e i figli. Solo Dio, forse, ci si porta appresso nella parte più intima<br />
di noi se anch’Egli non ci abbandona laggiù fuggendo la materia più profonda.<br />
Nel terribile mondo della roccia e del buio sopravvivono solo uomini di roccia e di<br />
buio che hanno necessità di dimenticare la coscienza di essere uomini”.<br />
(Manlio Massole, minatore e poeta, 1993)<br />
58 MINIERE MINIERE 59
SOPRA: IL POZZO DI ESTRAZIONE SANTA<br />
BARBARA; È IL“GIOIELLO” DELLA<br />
MINIERA DI SAN GIORGIO. IN BASSO,<br />
A DESTRA: LE “MONTAGNE ROSSE”,<br />
DEPOSITI DI SCORIE PRESSO MONTEPONI.<br />
COME SONO PROTETTE<br />
60 MINIERE<br />
Dal 1997, le aree<br />
minerarie sarde sono<br />
sotto l’egida<br />
dell’Unesco, che<br />
nell’ambito della nuova<br />
rete mondiale dei<br />
geositi-geoparchi ha<br />
istituito il Parco<br />
geominerario storico e<br />
ambientale della<br />
<strong>Sardegna</strong>, promosso<br />
dalla Regione e<br />
dall’Emsa (Ente<br />
minerario sardo).<br />
Il territorio dell’isola è<br />
stato diviso in 8 aree; la<br />
principale (65 per cento<br />
del parco) è quella<br />
del Sulcis-Iglesiente-<br />
Guspinese. L’intento è<br />
di conservare e<br />
valorizzare il patrimonio<br />
architettonico delle<br />
miniere dismesse,<br />
aprendole al turismo e<br />
impiegando gli ex<br />
minatori e i loro familiari<br />
in attività “socialmente<br />
utili”. L’area comprende<br />
anche due parchi<br />
naturali: Monte Linas-<br />
Marganai (a nord-est<br />
di Iglesias, 22.000<br />
ettari) e Sulcis (tra<br />
Carbonia e Cagliari,<br />
68.868 ettari).<br />
cato che, tra cavilli burocratici e ritardi legislativi<br />
(ed è storia di questi giorni), tutto è ancora sulla<br />
carta. Compresa la “riconversione” di ex addetti<br />
al settore estrattivo in attività “socialmente utili”<br />
(turismo in loco, bonifica del territorio). Così, da<br />
un lato vedi gioielli di archeologia industriale in piedi<br />
per miracolo; dall’altro incontri uomini e donne<br />
che reclamano un futuro, e lo fanno nel classico<br />
stile del minatore disoccupato: occupando. Come<br />
Rosina Carta, di anni 88, che nel giugno scorso si<br />
è autoreclusa nei cunicoli di Porto Flavia, dove<br />
da piccola seguiva il padre cavatore, a capo di un<br />
gruppetto di donne. O come Giampiero Pinna, 50 anni, già presidente<br />
dell’Ente minerario sardo (adesso in liquidazione) e consigliere<br />
regionale diessino, paladino degli “uomini di pietra”: nel novembre<br />
2000 ha lasciato il suo ufficio di Cagliari per scendere nelle<br />
gallerie di Monteponi, a Iglesias, dove al momento in cui scriviamo<br />
è tuttora asserragliato con 400 fedelissimi.<br />
In attesa che il parco decolli, l’agenda dell’Igea (l’istituto di ripristino<br />
ambientale nato dalle costole dell’ente minerario) è fitta d’impegni.<br />
Occorrono molti soldi (circa 2.000 miliardi preventivati), e il<br />
tempo stringe. Dagli anni Cinquanta,<br />
quando cominciò il lento<br />
e graduale abbandono delle<br />
miniere perché era venuta meno<br />
la convenienza alla “coltivazione”,<br />
il degrado ha fatto passi da<br />
gigante. L’acqua è risalita dalle<br />
falde freatiche, allagando e danneggiando<br />
gli impianti. Ruggine<br />
e salinità hanno corroso i palazzi<br />
delle direzioni, le falegnamerie,<br />
i pozzi, gli eleganti archi<br />
ottocenteschi delle laverie.<br />
Per le strutture che rischiavano<br />
il crollo, come la straordinaria<br />
laveria Lamarmora di Nebida<br />
(foto a pagina 59) e il capolavoro<br />
d’ingegneria Porto Flavia<br />
(vedere il riquadro a pagina 62),<br />
sono già stati effettuati corposi<br />
lavori di restauro. Altre stanno<br />
aspettando il restyling. E presto<br />
partiranno dei veri e propri progetti<br />
di “destinazione archeologica”: a<br />
Montevecchio, vicino alla cittadina<br />
di Guspini, il sindaco Tarcisio<br />
Agus preannuncia la “messa<br />
a punto di un percorso sotterraneo<br />
completo, attraverso la<br />
miniera, lungo 800 metri”.<br />
Così, insomma, verrà valoriz-<br />
(segue a pagina 64)<br />
APPUNTI DI NATURA<br />
È una mattina di aprile del 1952.<br />
Francesco Salis, 25 anni,<br />
professione minatore, infila dei<br />
candelotti di esplosivo in un<br />
tratto di parete della miniera di<br />
San Giovanni, a 5 chilometri da<br />
Iglesias. L’attesa. Lo scoppio. E la<br />
meraviglia: quando il polverone<br />
si dirada, al di là del muro “si<br />
scorse il paradiso”. Fu scoperta<br />
così, per puro caso, durante il duro lavoro<br />
di un pugno di operai, una delle cavità carsiche<br />
più antiche e affascinanti della <strong>Sardegna</strong>: la<br />
grotta di Santa Barbara (qui sopra; vedere anche<br />
Airone <strong>Sardegna</strong>, maggio 1994).<br />
Costituita da un grande salone ovoidale (50 metri<br />
di larghezza, 70 di lunghezza e 25 di altezza;<br />
potrebbe contenere un palazzo di quattro piani) e da<br />
un canalone inferiore che finisce in un laghetto,<br />
questa cavità è considerata fra le<br />
più antiche del mondo: le<br />
dimensioni dei colonnati calcarei<br />
mineralizzati a piombo e zinco<br />
che la contraddistinguono, e<br />
soprattutto l’esclusiva presenza di<br />
cristalli di barite (solfato di bario)<br />
a nido d’ape, hanno permesso<br />
di datarne l’origine a oltre 500<br />
milioni di anni fa. Nel corso<br />
dell’esplorazione, il visitatore<br />
resta colpito dalle straordinarie<br />
forme di alcune concrezioni: le “canne d’organo”,<br />
incredibile cascata calcarea; le “orecchie d’elefante”,<br />
stalattiti che sembrano sfoglie; la cosiddetta<br />
“ballerina”, che il tempo ha modellato a forma di<br />
bambola. Per il momento, l’accesso a Santa Barbara<br />
avviene sempre attraverso il “buco” aperto<br />
dal minatore Salis, ed è quindi vietato ai turisti.<br />
Nel progetti del parco geominerario, tuttavia,<br />
rientra pure uno studio per una sua futura fruibilità.<br />
MINIERE 61
1 Piombo e zinco, in arrivo dalla<br />
vicina laveria, entrano nella<br />
galleria superiore trasportati da<br />
un convoglio a trazione elettrica.<br />
2 Il minerale viene scaricato in<br />
9 grandi silos, che a loro volta lo<br />
riversano sul nastro trasportatore<br />
della galleria inferiore. 3 Il nastro<br />
porta il minerale verso lo sbocco<br />
sul mare, dov’è montato un<br />
braccio mobile. 4 Piombo e zinco,<br />
attraverso il braccio orientato,<br />
finiscono nella stiva del mercantile.<br />
62 MINIERE<br />
4<br />
3<br />
PORTO FLAVIA, CAPOLAVORO DA SCOGLIERA<br />
Si apre sulla scogliera antistante<br />
il faraglione del Pan di Zucchero,<br />
e a vederlo pare un castello<br />
delle favole, con quel nome di<br />
donna inciso a caratteri cubitali e<br />
le finestrine buie che guardano<br />
nel vuoto. Invece, è una delle più<br />
straordinarie opere d’ingegneria<br />
mineraria al mondo.<br />
Realizzato nel 1924 dall’ingegner<br />
Cesare Vecelli, della società<br />
francese Vieille Montagne, che<br />
volle dedicarlo alla figlia morta<br />
prematuramente, Porto Flavia<br />
aveva lo scopo di facilitare il<br />
trasporto di piombo e zinco dai<br />
vicini impianti di Masua al mare,<br />
dove stavano in attesa apposite<br />
imbarcazioni. Fino ai primi anni<br />
Venti, le operazioni erano infatti<br />
affidate unicamente al sudore dei<br />
minatori, che portavano a spalle<br />
il minerale in recipienti da<br />
50 chili e lo caricavano sulle<br />
bilancelle, piccoli vascelli a vela.<br />
COME FUNZIONAVA. Con<br />
l’inaugurazione di Porto Flavia<br />
2<br />
1<br />
tutto cambiò. Nel ventre della<br />
montagna si scavarono due<br />
gallerie sovrapposte. In quella<br />
superiore entrava una sorta di<br />
trenino a trazione elettrica, con<br />
i vagoncini colmi di piombo<br />
e zinco in arrivo dalla laveria; il<br />
materiale veniva poi riversato<br />
in nove grandi silos, che<br />
lo passavano su un nastro<br />
trasportatore montato<br />
nella galleria inferiore (vedere<br />
il disegno). Quest’ultimo<br />
sbucava all’esterno, sul mare,<br />
attraverso un braccio mobile<br />
che scaricava direttamente<br />
i minerali su grossi mercantili, che<br />
da allora in avanti sostituirono<br />
le piccole e inadeguate bilancelle.<br />
La resa di Porto Flavia era di<br />
circa 500 tonnellate di piombo e<br />
zinco all’ora: otto volte in più<br />
rispetto ai metodi tradizionali.<br />
L’impianto venne abbandonato<br />
negli anni Sessanta.<br />
IL “GIOIELLO” OGGI. Potrebbe<br />
ormai essere questione di giorni:<br />
dopo un’accurata sistemazione<br />
dei percorsi interni, Porto Flavia<br />
è praticamente pronto per le<br />
visite guidate. In attesa<br />
dell’apertura, la struttura può<br />
essere ammirata in tutta la sua<br />
maestosità anche dal mare. Info:<br />
Il faro di Masua, 0781.47125,<br />
e-mail: masua@iglesiente.com<br />
PAOLO RONDINI<br />
A SINISTRA: LA MINIERA DI MASUA.<br />
DA QUI IL MINERALE VENIVA PORTATO AL<br />
VICINO IMPIANTO DI PORTO FLAVIA<br />
(A FRONTE E IN ALTO), CHE LO RIVERSAVA<br />
DIRETTAMENTE NELLE STIVE DELLE NAVI.<br />
MINIERE 63
64 MINIERE<br />
invito alla visita<br />
L’“anello” Iglesias-Fluminimaggiore-Iglesias<br />
(circa 100 chilometri)<br />
è sicuramente la via più<br />
indicata per esplorare il parco<br />
geominerario. Gran parte del<br />
percorso è asfaltata e si può effettuare<br />
in auto; una mountain<br />
bike a bordo è comunque auspicabile,<br />
per affrontare gli sterrati<br />
più stretti nei pressi degli impianti.<br />
Prima di lasciare Iglesias,<br />
vale la pena fare una visita<br />
ai reperti intorno alla città: il<br />
villaggio abbandonato di Seddas<br />
Moddizzis (strada per Carbonia,<br />
grande sterrata a sinistra<br />
all’altezza del cavalcavia<br />
della statale 126); nei pressi, il<br />
pozzo Santa Barbara della miniera<br />
San Giorgio, le miniere<br />
di San Giovanni e di<br />
Monteponi. Seguendo poi<br />
le indicazioni per il mare,<br />
strade asfaltate<br />
strade sterrate<br />
miniere<br />
I CONTATTI<br />
Su Iglesias e dintorni:<br />
Biblioteca comunale<br />
di Iglesias (Cagliari), <br />
0781 41795. Per visite<br />
al bacino minerario:<br />
Cooperativa La<br />
Gherardesca, Iglesias<br />
(CA), 0781 33850.<br />
Museo etnografico e<br />
Tempio di Antas:<br />
0781 580990.<br />
dopo circa 8 chilometri si arriva<br />
alla miniera di Nebida, nel<br />
cuore del golfo di Gonnesa: da<br />
non perdere la discesa (400 scalini)<br />
alla splendida laveria Lamarmora,<br />
costruita nel 1897 e<br />
ristrutturata. Procedendo sull’asfalto<br />
si giunge alla miniera<br />
di Masua: ne fa parte l’impianto<br />
di Porto Flavia (vedere il riquadro<br />
a pagina 62). Proprio<br />
di fronte alla costa, si staglia<br />
il caratteristico scoglio calcareo<br />
chiamato Pan di Zucchero<br />
PAOLO RONDINI<br />
(<strong>13</strong>3 metri). All’altezza delle ultime<br />
case di Masua ha inizio uno<br />
stradone in salita che porta<br />
al villaggio minerario di Montecani.<br />
Continuando ancora, si<br />
ridiscende verso la costa; lasciata<br />
sulla destra la miniera di<br />
Acquaresi, a sinistra s’imbocca<br />
una stradina per l’incantevole<br />
Cala Domestica, ideale per un<br />
tuffo e un po’ di sole. Più avanti,<br />
si arriva a Buggerru (laveria<br />
di Malfidano) e si procede<br />
lungo la bellissima spiaggia di<br />
Portixeddu. Ripiegando all’interno,<br />
s’incontra un bivio: a sinistra<br />
si va alle miniere di Ingurtosu<br />
e Montevecchio, a destra<br />
si passa Fluminimaggiore.<br />
La strada che prosegue per Iglesias<br />
(la statale 126) offre interessanti<br />
deviazioni verso la<br />
grotta di Su Mannau (lunga 7<br />
chilometri), il tempio punico<br />
romano di Antas e le cosiddette<br />
“miniere montane”.<br />
zato il bello della <strong>Sardegna</strong> mineraria.<br />
E pure il brutto. Perché<br />
miniera è anche scorie, e buchi<br />
nella roccia, e fanghi di<br />
scarto intrisi di zinco, piombo,<br />
cadmio. Inquinano, certo. Ma<br />
sono parte integrante di un<br />
paesaggio davvero unico. A<br />
Monteponi, per esempio, subito<br />
fuori Iglesias, si trovano le “montagne”. Costeggiano la provinciale,<br />
hanno un’altezza di una ventina di metri e al tramonto, col sole radente,<br />
si tingono di rosso. I curiosi le ammirano, i turisti le scalano, i<br />
naturalisti le odiano: non sono altro che gli scarti zincosi della vicina<br />
miniera. Però verranno risparmiati. Li metteranno in sicurezza, in modo<br />
che non si dilavino a ogni temporale, inquinando pericolosamente<br />
l’ambiente. Così anche la natura chiuderà un occhio di fronte a uno<br />
degli ultimi, fragili ricordi degli oscuri “palazzi al contrario”.<br />
PER SAPERNE DI PIÙ Un libro: Paesaggi e architetture delle miniere (Sandro<br />
Mezzolani e Andrea Simoncini, Editrice Archivio fotografico sardo,<br />
1993, 394 pagine, 120.000 lire). E due siti Internet: www.sulcisiglesiente.it<br />
(su storia del territorio, singoli paesi, archeologia e turismo) e<br />
web.tiscalinet.it/forparcogeominerario (per informazioni sul parco minerario).
LA COSTA<br />
dove volano i grifoni<br />
DOMENICO RUIU
LA COSTA<br />
LA COSTA<br />
dove volano i grifoni<br />
DI STEFANO ARDITO<br />
✦<br />
✦<br />
DOVE SI TROVA<br />
L’ultima roccaforte<br />
del grifone sardo è la costa<br />
nord-occidentale dell’isola,<br />
tra Bosa e Capo Caccia.<br />
La si raggiunge in pochi<br />
chilometri da Porto Torres<br />
(dove arrivano i traghetti da<br />
Genova) e in circa 150<br />
da Olbia. Da Cagliari, si segue<br />
la statale <strong>13</strong>1 Carlo Felice<br />
fino a Macomer, e qui si<br />
devia verso Bosa. Si può anche<br />
utilizzare il vicinissimo<br />
aeroporto di Alghero-Fertilia.<br />
COME È PROTETTA<br />
68 LA COSTA DEI GRIFONI<br />
Molti litorali dell’isola aspirano al titolo di costa più bella della<br />
<strong>Sardegna</strong>. Se il granito e le acque della Costa Smeralda sono<br />
famosi nel mondo e le falesie e le calette del golfo di Orosei<br />
sono le uniche a meritare la definizione di wilderness, la splendida costa<br />
di Alghero e Bosa può rivendicare un altro pregio. È un po’ meno<br />
selvaggia, e certamente meno nota; solo lì comunque è possibile ammirare<br />
l’elegante volo planato del grifone.<br />
Fino a un secolo fa, il grande avvoltoio era diffuso praticamente in<br />
tutta l’isola. Vent’anni or sono lo si poteva osservare ancora nel Supramonte<br />
di Oliena. Oggi sono allo studio alcuni progetti di reintroduzione.<br />
Le uniche colonie<br />
autoctone, però, nidificano nel<br />
nord-ovest della <strong>Sardegna</strong>, sui<br />
calcari di Capo Caccia e sulle<br />
scure falesie di basalto che dominano<br />
l’estuario del Temo.<br />
Distanti in linea d’aria una<br />
cinquantina di chilometri, questi<br />
due ambienti hanno paesaggi<br />
piuttosto diversi tra loro, anche<br />
se uniti – oltre che dalla contiguità<br />
geografica e dall’icona del<br />
grifone – dalla bellezza, dalla vicinanza<br />
del mare, dalla forza del<br />
maestrale che spazza le alture<br />
della Nurra con una violenza<br />
sconosciuta al resto della regio-<br />
roccia è coperta di<br />
macchie e cespugli bassi,<br />
il colore sembra scarso<br />
giacché il nero domina<br />
con il grigio: ma quel nero,<br />
quel grigio diventano<br />
colori di straordinaria<br />
intensità sotto quel cielo<br />
e quelle nuvole attizzati<br />
senza posa dal vento.<br />
(Guido Piovene, 1961)<br />
ne. Tra i due sorge Alghero, cuore della <strong>Sardegna</strong> catalana e città più<br />
bella dell’isola (vedere il riquadro a pagina 70).<br />
Verso nord, i bianchissimi calcari di Capo Caccia formano il promontorio<br />
più spettacolare di tutta la <strong>Sardegna</strong>, e offrono il più tipico dei<br />
paesaggi costieri mediterranei. Poco ripido a oriente, dove pendii rivestiti<br />
di fitta macchia scendono in direzione dell’insenatura di Porto<br />
Conte, il capo presenta un aspetto prettamente dolomitico in direzione<br />
del mare aperto, dove le scogliere verticali si allungano per chilo-<br />
‘‘‘‘ La<br />
Anche se non figura sugli elenchi ufficiali, l’Arca di Noè (4.000 ettari) è una delle più importanti aree protette della<br />
<strong>Sardegna</strong>, ed è formalmente compresa dal 1999 nel Parco regionale di Porto Conte (5.200 ettari)<br />
che è però assolutamente inesistente sul terreno. Non c’è traccia nemmeno delle riserve naturali di Capo Caccia (2.515<br />
ettari) e della Valle del Temo (4.699 ettari), previste dalla legge regionale n. 31 del 1989.<br />
La legge nazionale n. 979 del 1982 ha previsto l’istituzione della Riserva marina di Capo Caccia-Isola Piana.<br />
VITTORIO GIANNELLA<br />
LE BIANCHE SCOGLIERE<br />
DI CAPO CACCIA. NELLE PAGINE<br />
PRECEDENTI: LA COSTIERA DI<br />
BOSA OSPITA L’ULTIMA COLONIA<br />
DI GRIFONI DELLA SARDEGNA.
ALGHERO,<br />
ECHI DI CATALOGNA<br />
I turisti arrivati ad Alghero<br />
possono credere di aver sbagliato<br />
paese. Nei cartelli stradali le<br />
vie si chiamano carrer, le piazze<br />
plaça, le porte portal. Anche<br />
il dialetto della città che i suoi<br />
abitanti chiamano L’Alguèr<br />
non è il Logudorese parlato nel<br />
resto della provincia di<br />
Sassari, ma una forma arcaica<br />
di catalano: la lingua<br />
di Barcellona e delle Baleari.<br />
Tra le comunità “straniere”<br />
immigrate a partire dal<br />
Medioevo in <strong>Sardegna</strong> (liguri a<br />
Carloforte, ponzesi a Cala<br />
Gonone, còrsi alla Maddalena),<br />
quella dei catalani di Alghero<br />
è la più consistente. A far<br />
traversare loro il mare, dal<br />
<strong>13</strong>55, furono gli Aragonesi che<br />
avevano conquistato da poco<br />
l’isola. Scopo dichiarato, “tenir<br />
apretada e sotmesa la naciò<br />
sarda”. Per un secolo, come i<br />
neri nella Johannesburg prima<br />
di Mandela, i sardi furono<br />
ammessi in città solo dall’alba<br />
al tramonto. Per lavorare.<br />
La ricchezza e l’importanza<br />
militare della Alghero catalana<br />
si manifestano ora nel gotico<br />
della chiesa di San Francesco,<br />
del suo chiostro e del Duomo di<br />
LA PRESENZA DI OVINI ALLEVATI<br />
ALLO STATO BRADO ASSICURA AI<br />
GRIFONI ABBONDANZA DI CIBO.<br />
70 LA COSTA DEI GRIFONI<br />
Santa Maria, e nelle poderose metri, sfiorando i 300 metri di al-<br />
fortificazioni (qui sopra,<br />
tezza. Queste rocce hanno attirato<br />
i bastioni) scandite dalle torri l’attenzione di grandi nomi dell’al-<br />
di San Giovanni, degli Ebrei pinismo come Cesare Maestri, A-<br />
e de l’Esperò Reial (lo Sperone lessandro Gogna e Manolo.<br />
Reale). L’integrazione fra<br />
Dal piazzale dove termina la stra-<br />
catalani e sardi è iniziata nel da asfaltata, i 656 gradini della E-<br />
1708 con la fine della<br />
scala del Cabiròl (la scala del ca-<br />
dominazione spagnola, e si è priolo, in catalano) conducono alla<br />
progressivamente consolidata. Grotta di Nettuno, che si apre al li-<br />
Parlare di contrapposizione tra vello del mare e contende a quella<br />
i due gruppi, oggi, sarebbe<br />
del Bue Marino il titolo di principa-<br />
sbagliato e fuorviante. Non c’è le “grotta turistica” dell’isola. Al-<br />
dubbio, però, che la gente<br />
l’interno, dove una lapide ricorda<br />
de L’Alguèr conservi uno stretto le visite di re Carlo Alberto, si tro-<br />
rapporto con Barcellona e la vano un lago dalle acque trasparen-<br />
Catalogna, e che Alghero e ti, ampi saloni e imponenti forma-<br />
Sassari – che pure distano solo zioni di stalattiti (la più vistosa è la<br />
35 chilometri – non si amino cosiddetta “Reggia”).<br />
troppo. I sassaresi, per andare Ancora più a nord, oltre la torre<br />
al mare, preferiscono puntare cinquecentesca della Pegna che se-<br />
verso Stintino e Castelsardo. gna con i suoi 271 metri il punto più<br />
elevato del promontorio, un vasto<br />
pianoro ondulato è il cuore dell’Arca<br />
di Noè, la riserva di 4.000 ettari gestita dall’Azienda forestale regionale<br />
che protegge la ricca avifauna locale e vari mammiferi “importati”<br />
da altre parti della <strong>Sardegna</strong>. Le strade sterrate e i sentieri dell’area<br />
protetta consentono di avvistare daini sardi, mufloni, cavallini della<br />
Giara e asini bianchi dell’Asinara.<br />
Verso il largo, altrettanto spettacolari e rocciose di Capo Caccia, l’Isola<br />
Foradada e l’Isola Piana sono frequentate dal falco pellegrino e<br />
dalla berta, uno dei più rari uccelli marini italiani. I grifoni nidificano<br />
sulle pareti di Punta Cristallo, e continuano purtroppo a diminuire di<br />
numero. Oggi si parla di non più di due o tre esemplari.<br />
Non sappiamo se gli avvoltoi siano stati disturbati dagli scalatori<br />
(pochissimi) o dai motoscafi (fin troppi) che passano ai piedi della<br />
scogliera in estate. Non c’è dubbio, però, che le pecore e i pastori sono<br />
spariti da tempo dal promontorio di Capo Caccia, dalla costa<br />
NEVIO DOZ (2)<br />
GIANMARIO MARRAS<br />
invito alla visita<br />
La strada che collega in 63 chilometri Bosa con<br />
Capo Caccia è una delle più panoramiche della<br />
<strong>Sardegna</strong>, e permette di osservare con calma la<br />
costa. Lasciata Bosa (meritano una visita il castello<br />
e la chiesa di San Pietro extra Muros) il<br />
tracciato sale fino a un piccolo valico, poi scende<br />
in direzione del mare. Questa è la zona dov’è<br />
più facile avvistare i grifoni. Poco più avanti,<br />
merita una deviazione a piedi la ben visibile<br />
Torre Argentina, che si raggiunge prendendo<br />
un’evidente carrareccia. Poi la strada si alza di<br />
nuovo fino alle pendici di Monte Mannu: alcuni<br />
slarghi consentono di posteggiare per ammirare<br />
dall’alto i canaloni e le scogliere di Capo Marargiu.<br />
Un lungo tratto solitario ma meno spettacolare<br />
conduce alla spiaggia di Cala Griecas e<br />
all’inizio del litorale di Alghero. La zona è ottima<br />
per fare un bagno. Oltrepassata la città, la<br />
visita del nuraghe Palmavera precede l’arrivo a<br />
Porto Conte, una delle insenature più belle della<br />
<strong>Sardegna</strong>. Imboccando la strada per Santa Maria<br />
La Palma e Sassari si possono raggiungere<br />
Porto Ferro e il lago di Baratz. Accanto al borgo<br />
punti di particolare<br />
interesse dell’itinerario<br />
di Tramariglio si trova l’ingresso<br />
dell’Arca di Noè. La successiva<br />
salita porta al piazzale del Belvedere,<br />
affacciato sull’Isola Foradada, da cui<br />
comincia il sentiero (un’ora e mezzo tra andata e<br />
ritorno) per la torre della Pegna. La strada termina<br />
al piazzale di Capo Caccia da dove parte<br />
la Escala del Cabiròl. L’estremità del promontorio<br />
è un’area militare e chiusa al pubblico.<br />
PAOLO RONDINI<br />
IL PITTORESCO CENTRO STORICO<br />
DI BOSA, AFFACCIATO SUL TEMO<br />
E DOMINATO DAL CASTELLO.
APPUNTI DI NATURA<br />
Il grifone ha appena finito di lisciarsi le penne.<br />
Avverte il refolo buono e si lascia cadere nel vuoto<br />
ad ali aperte. Scivola verso l’alto, e l’orizzonte si<br />
spalanca. Di fronte a un mare intensamente blu, si<br />
estende la lunga dorsale carsica che unisce Punta<br />
Cristallo al monumentale spuntone di Capo Caccia.<br />
Di qua le due grandi isole, la Piana e la Foradada;<br />
di là invece un dolce avvallamento<br />
occupato in parte da una pineta artificiale:<br />
lo chiamano l’Arca di Noè ed è<br />
un piccolo eden ricco di fauna (anche<br />
cavalli della Giara e asini albini<br />
dell’Asinara) e di eccezionali<br />
specie botaniche, come un<br />
vasto tappeto di centaurea<br />
MASSIMO DEMMA<br />
LA COSTA A NORD DI BOSA (SI<br />
RICONOSCE TORRE ARGENTINA)<br />
BATTUTA DALLA MAREGGIATA.<br />
GRIFONE<br />
(GYPS<br />
FULVUS)<br />
orrida, astragali e pulvini di ginestra corsica,<br />
circondato da palme nane e ginepri contorti.<br />
ORA IL GRANDE RAPACE fa rotta verso sud e punta<br />
su Capo Marargiu. Il paesaggio, scosceso e<br />
precipite, è tipicamente pastorale. Nelle dorsali più<br />
spoglie sono sopravvissuti solo alcuni lecci<br />
modellati dalla furia del maestrale. È posto buono<br />
per pernici, lepri e conigli selvatici. Vi abbondano<br />
piccoli roditori e rettili, per la gioia di poiane<br />
e gheppi. Doppiato Capo Marargiu sarà l’andesite,<br />
antica roccia vulcanica con molte sfumature,<br />
a comporre il paesaggio generosamente coperto di<br />
lentisco e di olivastro. Il pascolo è brado, così<br />
capita spesso che un capo vada a male. Della sua<br />
presenza si accorgeranno per primi i corvi<br />
imperiali e le cornacchie grigie. Poi sarà il turno<br />
della volpe. Infine arriveranno loro, i grifoni.<br />
I rapaci si alzano nella tarda mattinata, quando<br />
l’aria riscaldata dal sole offre le correnti<br />
ascensionali che li sostengono senza fatica.<br />
FRANCO TESTA<br />
PERNICE SARDA<br />
(ALECTORIS BARBARA)<br />
sempre più antropizzata di Alghero<br />
e anche dalla piana bonificata<br />
della Nurra, diventata ormai<br />
da qualche decennio una<br />
delle zone agricole più fertili di<br />
tutta la regione.<br />
Trenta chilometri più a sud, il<br />
paesaggio è completamente diverso.<br />
Fra le creste e i torrioni rocciosi<br />
di Monte Mannu e il tranquillo<br />
centro storico di Bosa, si affacciano<br />
sul Mar di <strong>Sardegna</strong> lo stesso<br />
basalto e le stesse querce da sughero<br />
che formano verso l’interno<br />
gli altipiani di Abbasanta e<br />
della Campeda. Muri di pietre<br />
costruiti dai pastori con fatica secolare<br />
separano i fazzoletti (verdi<br />
per gran parte dell’anno, gialli<br />
e riarsi in estate) dei pascoli e<br />
dei campi. Quando il maestrale<br />
soffia e il cielo appare corrucciato,<br />
è facile immaginare di essere<br />
in Cornovaglia o in Irlanda.<br />
Tra Cala Griecas, Capo Marargiu,<br />
Torre Argentina e Bosa, si<br />
viaggia lungamente senza incontrare<br />
tracce di presenza umana.<br />
Qui, al contrario che a Capo<br />
Caccia, il grifone gode di ottima salute. Lo confermano le strisce bianche<br />
degli escrementi che macchiano la roccia e segnalano che ci sono<br />
dei nidi, fatti con rami, frasche e asfodeli sulle pareti di Badde Orca e<br />
del Monte Pittada. Ogni giorno gli avvoltoi si lanciano in volo verso la<br />
strada costiera, sorvolano Bosa e la foce del Temo, prendono quota<br />
con larghi centri concentrici. Quindi virano decisamente a oriente, e<br />
puntano verso i pascoli degli altipiani dell’entroterra. Lì trovano le<br />
carcasse di pecore e capre di cui hanno bisogno per nutrirsi.<br />
“Anche quest’anno è andata bene”, sorride Saverio Biddau, la<br />
guida naturalistica di Bosa che condivide con l’amico Antonello Cossu<br />
il difficile ruolo di guardiano dei grifoni. “All’ottantina di adulti che hanno<br />
costruito i loro nidi sulla costa si sono aggiunti una dozzina di piccoli<br />
che hanno preso il volo a primavera. Pure stavolta birdwatcher,<br />
escursionisti e fotografi sono stati attenti. Se ci si apposta come si deve,<br />
e si conoscono i luoghi, i grifoni adulti possono essere osservati<br />
senza problemi. Avvicinarsi ai nidi nel periodo della cova, invece, può<br />
provocare la fuga dei genitori e la morte per fame dei piccoli”.<br />
“Ho iniziato a fotografare i grifoni trent’anni fa, tra le rocce del Supramonte.<br />
Poi la diminuzione delle pecore e dei pastori li ha cacciati<br />
dalle montagne dell’interno. Ora vengo a cercarli qui, sul litorale di<br />
Bosa, dove gli avvoltoi sembrano destinati a durare”, spiega Domenico<br />
Ruiu, il più noto fotografo di animali dell’isola. Chissà se un giorno,<br />
anziché dirigersi nell’entroterra, qualche giovane grifone nato<br />
sulle falesie di Bosa spiccherà il volo per ritornare a Capo Caccia.<br />
DOMENICO RUIU (2)<br />
SOLO POCHI ALBERI RIESCONO<br />
A RESISTERE ALLA FORZA DEL<br />
VENTO, COME QUESTO LECCIO<br />
SCARNIFICATO DAL MAESTRALE<br />
SUI PENDII DEL MONTE MANNU.<br />
IL CONTATTO<br />
Per vedere i grifoni, conviene<br />
affidarsi alle guide Saverio Biddau<br />
( 0347 769<strong>13</strong>33) e Antonello<br />
Cossu ( 0347 5482718).<br />
Informazioni sull’Arca di Noè si<br />
possono richiedere all’Ispettorato<br />
delle Foreste di Sassari ( 079<br />
2088940). La Cooperativa<br />
Dulcamara ( 079 999197)<br />
raggruppa una dozzina di aziende<br />
agrituristiche della Nurra.<br />
LA COSTA DEI GRIFONI 73
EGIDIO TRAINITO<br />
TANCHE<br />
i i muri<br />
muri<br />
dell’arraffa-arraffa<br />
dell’arraffa-arraffa
TANCHE<br />
i muri dell’arraffa-arraffa<br />
DI ALBANO MARCARINI<br />
✦<br />
DOVE SI TROVANO<br />
Questo genere di paesaggio<br />
si può ancora incontrare<br />
in alcune parti degli altipiani<br />
centro-settentrionali<br />
dell’isola. Le zone di più fitto<br />
impianto sono l’altopiano<br />
di Abbasanta, il Meilogu e la<br />
Campeda, il bordo della<br />
Planargia. Ciò non toglie,<br />
comunque, che il reticolo<br />
delle tanche persista anche<br />
in altre zone – come nel<br />
Nuorese –, seppure in forma<br />
frammentata e degradata.<br />
76 TANCHE<br />
A volte il paesaggio si può paragonare a una pila di vecchi<br />
giornali. Giorno dopo giorno, la pila aumenta. Sotto, spuntano<br />
i lembi delle copie vecchie di mesi. Gli angoli sono un po’<br />
gualciti, le pieghe non sono più perfette, la carta è ingiallita. Così è<br />
per certi paesaggi che non reggono il peso della modernità. Ne restano<br />
schiacciati ma talvolta, ai margini o negli interstizi, conservano<br />
elementi di continuità, qualche nesso con il passato. Sono quelle piccole<br />
cose – un sistema di disporre i campi o erigere case, l’uso dei<br />
materiali, una data vegetazione, una geomorfologia – che in origine, e<br />
in modo ben più importante, erano servite a identificarlo come “un”<br />
paesaggio, diverso da altri.<br />
Alcuni studiosi chiamano gli<br />
SOPRA E A FRONTE: TANCHE A RIPOSO<br />
E COLTIVATE SULL’ALTOPIANO DI<br />
ABBASANTA, NELL’ORISTANESE. NELLE<br />
PAGINE PRECEDENTI: SANTA MARIA<br />
ISCALAS A COSSOINE, NELLA CAMPEDA.<br />
NEVIO DOZ (2)<br />
effetti di questa progressiva involuzione<br />
“archeologia del paesaggio”.<br />
Non si limitano a cercare<br />
le ultime tracce dei paesaggi<br />
del passato, ma tentano anche di<br />
ricostruirne le vicende, scorrendo<br />
la pila dall’alto verso il basso.<br />
Se dovessimo applicare tale metodo<br />
alla <strong>Sardegna</strong>, l’area maggiormente<br />
indicata sarebbe quella<br />
degli altipiani centro-settentrionali<br />
e gli oggetti di studio la tanca e il<br />
vidazzone: due reliquati di paesaggio,<br />
di forma e struttura diversissime,<br />
ma decisivi per la<br />
storia della <strong>Sardegna</strong> rurale.<br />
Per i non sardi questi termini<br />
suonano forse oscuri. Ci soccorre<br />
l’agronomo Francesco Gemelli<br />
che, intorno al 1776, scrive: “Le<br />
tanche, così appellate dal sardo ‘tancare’, cioè chiudere, sono terreni<br />
serrati di siepe, o di muro. Intendo invece vidazzoni le terre divise ab<br />
antiquo con una linea ideale in due o più regioni, una d’esse ogni anno<br />
destinasi alla seminagione, restando l’altra all’uso del pascolare”.<br />
Due modi di definire lo spazio rurale, chiuso o aperto a seconda del tipo<br />
di conduzione: privata, o “particolare”, nella tanca; pubblica e collettiva<br />
nel vidazzone. Quest’ultimo è una corruzione del termine habitacione:<br />
lo riporta la Carta de Logu, atto amministrativo della fine del<br />
XIV secolo relativo ai terreni esclusivi di una data comunità.<br />
Sin da epoca remota, infatti, ogni villaggio aveva terre di sua perti-<br />
PAOLO RONDINI (2)<br />
‘‘<br />
‘‘Tutta la media valle del Tirso è frammentata in parcelle, dette tancas, dalle forme irregolari, piccole<br />
e nude quelle in prossimità dei villaggi, più vaste e cosparse di macchie e qua e là di querce da sughero<br />
quelle più lontane; tutte comunque circondate da muri nerastri formati da grossi blocchi di<br />
basalto, che raramente presentano delle brecce e che impediscono la visuale a ogni osservatore che<br />
non si metta in posizione più elevata, per esempio su un nuraghe. (Alberto Mori, 1966)<br />
nenza. L’isolamento e le condizioni naturali spingevano all’organizzazione<br />
autonoma delle comunità. I lotti lunghi e stretti del vidazzone erano<br />
sorteggiati tutti gli anni tra i capifamiglia. Si gettava il seme in una<br />
delle due “regioni” lasciando l’altra a riposo, ripasciuta per 12 mesi<br />
dal pascolo degli ovini. “Ci fu un tempo, non molto lontano”, sintetizza<br />
lo scrittore Salvatore Cambosu in Miele amaro, “in cui la terra era<br />
aperta come un mare, dove pastori e contadini affrontavano le stagioni,<br />
godendola sotto consuetudinarie intese, e spartizioni rotatorie: in<br />
una specie di comunismo rurale”. Riservate alle vigne, agli orti, agli<br />
uliveti che cingevano da vicino il villaggio, le tanche avevano una distribuzione<br />
più limitata; gli unici latifondi riguardavano le terre più<br />
lontane e accidentate, dominio assoluto dei pastori transumanti.<br />
Questo prevalente sistema dell’uso collettivo delle terre superò usurpazioni<br />
feudali, aggressioni coloniche esterne e ogni altro tentativo di<br />
spoliazione arrivando intatto alle soglie dell’Ottocento. Il suo improvviso<br />
scardinamento avvenne con la legge delle Chiudende, emanata il 6<br />
ottobre 1820 da Vittorio Emanuele I. Il provvedimento, sostenuto tacitamente<br />
dai pochi grandi possidenti e, in buona fede, da chi pensava<br />
che lo sviluppo della proprietà privata fosse uno strumento di progresso,<br />
diede facoltà ai Comuni di frazionare il loro demanio, ven-<br />
●<br />
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●<br />
strade asfaltate<br />
sentieri bordati<br />
da muri<br />
muri a secco<br />
LEGENDA<br />
1 il reticolo delle tanche nella<br />
campagna di Abbasanta:<br />
allontanandosi dal centro abitato,<br />
aumenta l’estensione degli<br />
appezzamenti cintati. I punti rossi<br />
indicano i nuraghi.<br />
2 ricostruzione del vidazzone nei<br />
pressi di Muravera. Le terre, di<br />
proprietà comune e sorteggiate<br />
ogni anno, erano in parte lasciate<br />
a pascolo e in parte coltivate.<br />
seminativo<br />
pascolo<br />
1 2
Probabilmente nessuno saprà<br />
mai quanti chilometri di<br />
muretti a secco percorrano le<br />
campagne, le colline e gli<br />
altipiani rocciosi dell’entroterra<br />
sardo. Incredibile per<br />
estensione, questo ambiente<br />
artificiale è stato evidentemente<br />
apprezzato da una<br />
moltitudine di piccoli animali:<br />
rettili, uccelli e mammiferi ci<br />
vivono dentro, vi si riproducono<br />
e vi trovano rifugio.<br />
L’UCCELLO più caratteristico è<br />
l’upupa, inconfondibile<br />
per il volo sfarfallante, che<br />
depone le uova e alleva<br />
i figli nelle nicchie tra i sassi.<br />
Non occorre il suo andirivieni<br />
a segnalare la presenza del<br />
nido, basta usare l’olfatto:<br />
il suo odore forte e acre non<br />
può passare inosservato.<br />
A minacciare il nido dell’upupa<br />
ci pensa un altro inquilino<br />
dei muretti a secco: la donnola.<br />
Piccola e furtiva, trova<br />
anch’essa rifugio tra le pietre,<br />
dove spesso sceglie anfratti<br />
grandi abbastanza per farne la<br />
propria tana e partorire.<br />
BIACCHI E LUCERTOLE escono<br />
dai loro nascondigli quando<br />
la temperatura sale. Il<br />
rettile più particolare che si può<br />
incontrare sui muretti a secco<br />
dell’isola è però l’algiroide<br />
nano (Algyroides fitzingeri).<br />
Endemico di <strong>Sardegna</strong><br />
e Corsica, è davvero un peso<br />
MASSIMO DEMMA<br />
APPUNTI DI NATURA<br />
UPUPA<br />
(UPUPA EPOPS)<br />
78 TANCHE<br />
piuma, lungo solo 4 cm (coda<br />
esclusa). Pure il tarantolino<br />
(Phyllodactylus europaeus) di<br />
giorno si nasconde nei pertugi<br />
delle tanche: geco di abitudini<br />
unicamente notturne, è tipico<br />
delle isole del Tirreno e si<br />
distingue dagli altri gechi per il<br />
colore scuro, le punte delle<br />
dita allargate e la coda rigonfia,<br />
quando, come spesso accade,<br />
è rigenerata. (Egidio Trainito)<br />
PIETRE IN EQUILIBRIO APPARENTEMENTE<br />
PRECARIO NEL MURO DI UNA TANCA<br />
SULL’ALTOPIANO DI ABBASANTA. NELLA<br />
PIANURA, DOVE NON C’ERA PIETRA,<br />
LE TANCHE ERANO DELIMITATE DA SIEPI.<br />
NEVIO DOZ<br />
dendolo, affittandolo o addirittura<br />
regalandolo a privati. Il muro<br />
o la siepe servirono per circoscrivere<br />
e difendere i nuovi diritti<br />
acquisiti. E vennero dei momenti<br />
in cui il muro fu il riparo dietro<br />
al quale asserragliarsi armati,<br />
perché, come si può intuire, si<br />
verificarono abusi di ogni genere,<br />
aggravati dalla mancanza di<br />
qualsiasi censo o catasto.<br />
La legge non diede i risultati<br />
dichiarati. I contadini non avevano<br />
i capitali per sfruttare i fondi;<br />
molti non furono neppure in<br />
grado di realizzare le chiusure,<br />
indispensabili per legittimare le<br />
proprietà. Per i possidenti e per<br />
quanti godevano di una certa<br />
autorità fu gioco facile incamerare<br />
a prezzi irrisori ciò che i più<br />
miseri non potevano mantenere.<br />
Si diffuse un detto, valido evidentemente<br />
per pochi: “Qui hat<br />
tanca hat banca” (Chi ha tanca ha<br />
“tavola”, ossia è benestante).<br />
Così, l’immobilismo e l’arretratezza<br />
che si volevano combattere diventarono<br />
invece prassi comune<br />
e nel chiuso orizzonte della tanca<br />
si retrocedette spesso all’incolto<br />
o al pascolo brado. Infinite<br />
le ricadute negative: il riaprirsi<br />
dell’atavico astio con i pastori<br />
(costretti a pagare per accedere<br />
ai pascoli chiusi), la discontinua<br />
vocazione colturale e la polverizzazione<br />
(attraverso le eredità)<br />
dei fondi, la nascita di un prole-<br />
tariato alla mercé dei padroni. Nel 1860 il Nuorese fu teatro di una<br />
sommossa popolare (detta del Su connottu, “il conosciuto”) che rivendicava<br />
il ripristino delle antiche consuetudini, ritenute più eque.<br />
Ma la conseguenza più visibile fu la trasformazione di migliaia di ettari<br />
di campagne aperte in una frastagliata maglia di campi cintati. Vennero impilati<br />
miliardi di pietre per centinaia di chilometri, a volte per perimetrare<br />
proprietà d’infime dimensioni. Se in pianura, non disponendo<br />
di pietre, le tanche si dividevano con le siepi, negli altipiani la<br />
presenza dei muri diventò ossessiva. Ne furono assoggettati i tavolati<br />
vulcanici centro-occidentali, il Nuorese, le colline dell’Anglona, del<br />
Logudoro e del Sassarese. Ne rimasero esenti la Barbagia e il Gerrei,<br />
terre a prevalenza pastorale, e le pianure meridionali.<br />
Dopo le riforme fondiarie del dopoguerra, le ricomposizioni e la<br />
mai troppo deprecata disattenzione verso questi segni della memo-<br />
invito alla visita<br />
Circondata da muretti di pietra,<br />
lei stessa tutta in pietra, la chiesa<br />
di Santa Maria Iscalas domina<br />
la campagna di Cossoine,<br />
circa 40 km a sud di Sassari. Da<br />
qui può partire un giro – in bicicletta<br />
o in auto – che, cercando<br />
ciò che resta del sistema delle<br />
tanche, porta a scoprire un paesaggio<br />
rurale di rara suggestione.<br />
Da Santa Maria Iscalas si<br />
va a imboccare verso nord la<br />
Carlo Felice (principale arteria<br />
dell’isola) fino a Giave, dove si<br />
possono vedere i pinnetti, piccoli<br />
edifici rustici coperti in pietra<br />
quasi a imitare le rocce vul-<br />
caniche sparse nella campagna.<br />
Da qui a Bonorva (visitare il<br />
museo archeologico) e poi, con<br />
una deviazione, al paese-fantasma<br />
di Rebeccu: un pugno di<br />
vicoli stretti e vecchie case in<br />
pietra abbandonate. Nella piana<br />
sottostante, decine di appez-<br />
ria, dell’immensa trama petrosa restano solo alcuni brani. A guardarli non<br />
rendono la dimensione del fenomeno, però forse bastano a spiegarlo.<br />
Bisogna tuttavia salire l’altopiano di Abbasanta, aggirarsi per le campagne<br />
di Borutta nella zona del Meilogu, scandagliare la Campeda<br />
fra Macomer e Bonorva. Lì, forse, di fronte all’avida pretesa di un<br />
possesso mai scritto sulle carte, anche se fisicamente tracciato sulla<br />
terra, si possono capire le crude parole di un vecchio ritornello sardo:<br />
“Tancas serradas a muru/fattas a s’afferra-afferra/si s’ifferru esseret terra/si<br />
haìan serradu puru” (Tanche cinte da muro/frutto dell’arraffa-arraffa/se<br />
all’inferno ci fosse terra/avrebbero recintato pure quella).<br />
PER SAPERNE DI PIÙ M. Le Lannou, Pastori e contadini di <strong>Sardegna</strong>, Edizioni<br />
della Torre, Cagliari, 1992. A. Terrosu Asole, “I paesaggi d’altipiano<br />
e il mondo pastorale”, in La <strong>Sardegna</strong>, vol. I, Edizioni della Torre,<br />
1982. L. Del Piano, La sollevazione delle Chiudende, Cagliari, 1971.<br />
PAOLO RONDINI<br />
UNA DELLE ROCCE VULCANICHE<br />
SPARSE NELLA CAMPAGNA<br />
DI GIAVE, NEL LOGUDORO.<br />
zamenti agricoli testimoniano<br />
le successive divisioni di proprietà<br />
che hanno scomposto il<br />
paesaggio sardo. Tornati sulla<br />
strada principale, il giro finisce<br />
a Sant’Andrea Prius, la cui<br />
necropoli con le Domus de Janas<br />
(tombe ipogee scavate nella<br />
trachite) è uno dei siti archeologici<br />
più importanti e forse meno<br />
noti della <strong>Sardegna</strong>. (E. T.)<br />
EGIDIO TRAINITO<br />
TANCHE 79
PISCINAS<br />
il nostro Sahara<br />
VITTORIO GIANNELLA
PISCINAS<br />
DI METELLO VENÈ<br />
✦<br />
DOVE SI TROVA<br />
L’area di Piscinas occupa<br />
circa 5 chilometri quadrati<br />
lungo la Costa Verde<br />
(<strong>Sardegna</strong> sud-occidentale), a<br />
circa 100 chilometri da<br />
Cagliari. È attraversata dal<br />
Rio Piscinas e dal Rio<br />
Naracauli. I centri abitati<br />
più importanti della<br />
zona sono Arbus e Guspini.<br />
NELLA PAGINA A FRONTE: LO<br />
SPARTO (AMMOPHILA LITTORALIS),<br />
PIANTA TIPICA DI QUESTI AMBIENTI,<br />
CONSOLIDA LE DUNE. PAGINE<br />
PRECEDENTI: LA MOLE DELLE DUNE,<br />
ALTE FINO A 60 METRI, SI STAGLIA<br />
SUL VERDE DELL’ENTROTERRA.<br />
il nostro Sahara<br />
L’area delle dune fa parte della Riserva naturale del Monte Arcuentu<br />
e Rio Piscinas, che si estende per 10.972 ettari;<br />
a sud confina con la Riserva naturale di Capo Pecora, promontorio<br />
tufaceo (con imponenti cordoni di dune) di 1.659 ettari.<br />
Nel cuore del piccolo Sahara sardo, l’antico deposito minerario<br />
collegato alla miniera di Ingurtosu, oggi trasformato<br />
in un alberghetto, è stato dichiarato monumento nazionale<br />
(1985) dal ministero dei Beni Culturali<br />
per il suo particolare interesse storico e artistico.<br />
82 PISCINAS<br />
“È stata un po’ come una storia d’amore, di quelle brevi e violente,<br />
che ti rimangono per sempre qui”. La manona tocca il<br />
cuore e il Grande Arrabbiato, con le iniziali maiuscole come<br />
piace a lui, si riscopre Grande Innamorato. Di più: “Prigioniero di<br />
una magia che mi terrà avvinto a sé fino all’ultimo dei miei giorni”,<br />
dice Giampaolo Pansa, 66 anni, condirettore de L’Espresso, notista<br />
politico al vetriolo e scrittore di rara maestria. Travolto da un’insolita<br />
passione nell’azzurro mare di <strong>Sardegna</strong>: non donne, ma dune.<br />
Quelle di Piscinas, in Costa Verde: 5 chilometri quadrati di Sahara<br />
in provincia di Cagliari, maestose colline d’ocra alte fino a 60 metri che il<br />
vento ha cesellato granello su granello e la natura ha guarnito qua e<br />
là di erbe spartane e ginepri secolari. “In Italia non c’è nulla di più<br />
bello”, gongola l’illustre Stregato dalla Duna. E ti racconta di un<br />
amore nato nel più classico dei modi: la voglia di vacanza, un conoscente<br />
che fa le presentazioni... “Un giorno di pochi anni fa ti leggo<br />
un trafiletto di un collega che parla di un paradiso di sabbia e mare<br />
cristallino, con in mezzo uno strano alberghetto ricavato da un antico<br />
deposito minerario. Così, a scatola chiusa, ho prenotato una camera<br />
per qualche giorno: avevo in mente la trama di un nuovo romanzo<br />
e tanto bisogno di un posto tranquillo”.<br />
Il seguito della storia è scritto proprio fra le righe di quel romanzo,<br />
uscito nel 1998 e appena ristampato: Ti condurrò fuori dalla notte (Sperling<br />
Paperback, 14.500 lire). Trama: un giornalista del Corriere della<br />
Sera sparito nel nulla, un’intraprendente ragazza francese che lo cerca.<br />
E lo trova: fuggito da tutto e da tutti, indovinate un po’ dove? “In<br />
‘‘<br />
verità, pensavo di farlo finire in Maremma. Ma un paio di giorni a Piscinas<br />
sono bastati a farmi cambiare idea: il luogo ideale per esiliarsi<br />
dalla realtà non poteva essere che qui”.<br />
E già lo immagini, mentre pensa, e scrive, e arranca sugli immensi<br />
pendii sabbiosi, ed entra in un mondo “che ti accoglie e ti parla”. Il<br />
fustigatore dei piani alti del Palazzo<br />
che cede ai piani alti della<br />
Costa Verde, “le dune come regine<br />
COME È PROTETTA che mostrano al mare le loro corone<br />
di ginepro”. Il cronista di razza<br />
che si appassiona, e, pur ribadendo<br />
“non sono un ecologo”,<br />
trascorre le serate a documentarsi<br />
nella piccola biblioteca dell’Hotel<br />
Le Dune, l’alberghetto ex<br />
deposito che da queste parti è<br />
un esempio di come archeologia<br />
‘‘Angela era tesa a un solo obiettivo: scorgere la striscia azzurra del mare, sotto il globo rosso<br />
del sole che si avviava al tramonto. E di lì a poco, finalmente, si rese conto di essere al<br />
primo traguardo del suo viaggio: una calma distesa d’acqua, di un bel grigio lucente, e attorno<br />
la perfezione delle dune, macchiate di arbusti verde scuro, mentre la sabbia le sembrò<br />
una crema spalmata dovunque, di colore identico a quello del cappuccino con la panna.<br />
Ma qualche istante dopo, Angela fece la prima delle tante scoperte che il mondo di Piscinas<br />
teneva in serbo per lei: le dune possedevano mille facce, e le esibivano una dopo l’altra<br />
in un batter d’occhio, per ordine del sole e del cielo. Difatti, nell’avvicinarsi all’albergo, la<br />
sabbia le parve già più scura, quasi marrone, la pelle liscia di un enorme e pacifico animale,<br />
sdraiato ventre a terra per scrutare il mare. (Giampaolo Pansa, 1998)<br />
VITTORIO GIANNELLA
DANIELE PELLEGRINI<br />
84 PISCINAS<br />
SOPRA: UN RAMO SECCO CREA DELICATI GIOCHI D’OMBRA SULLA SABBIA DELLE DUNE. A FRONTE: CERVI (UNA FEMMINA<br />
CON IL CERBIATTO E UN MASCHIO) NELLA MACCHIA CHE SI ESTENDE ALLE SPALLE DELLE DUNE DI PISCINAS.<br />
QUASI STERMINATA, LA SOTTOSPECIE PROPRIA DELL’ISOLA (CERVUS ELAPHUS CORSICANUS) È OGGI IN NETTA RIPRESA.<br />
GRUCCIONE<br />
(MEROPS APIASTER)<br />
FRANCO TESTA/COLL. NATTA<br />
industriale e turismo possano andare d’amore e d’accordo.<br />
Perché nasce la duna? In che modo il vento costruisce castelli di<br />
sabbia che cambiano forma ma non cascano mai? Fa un certo effetto<br />
sentirselo spiegare da uno che non s’è mai occupato di ecosistemi,<br />
ma la competenza acquisita scarpinando tra mare e montagna è indiscussa:<br />
“Volevo impadronirmi del segreto di un piccolo universo,<br />
dove tutto sembra finito e, invece, tutto è rimasto vivo”. Finito come<br />
il mondo minerario, di cui pure Piscinas fa parte (vedere il servizio a<br />
pagina 56); vivo come le dune, le sue piante e i suoi animali. E allora<br />
ecco la storia del vento, che per millenni soffia da nord-ovest e rintuzza<br />
la sabbia verso l’entroterra; ecco i cumuli color crema colonizzati<br />
da vegetali psammofili (letteralmente,<br />
amici della sabbia): la gramigna delle spiagge,<br />
lo sparto pungente, i ginepri che si prostrano<br />
assecondando le raffiche. Piante che chiedono<br />
poco, sopportando alti tassi di salinità e facendo<br />
quasi a meno dell’acqua, e danno molto:<br />
è il fitto reticolo delle loro radici, infatti,<br />
DOMENICO RUIU<br />
APPUNTI DI NATURA<br />
Lo scenario fatato di Piscinas si spalanca<br />
all’improvviso davanti agli occhi del visitatore che<br />
percorre la strada. Questa scende in strette<br />
curve, fra ruderi spettrali e bosco magnificamente<br />
invadente, da Montevecchio, paese-mausoleo<br />
dell’epopea mineraria. Le dune si ergono alte e si<br />
allontanano per più di 3 chilometri dal mare,<br />
insinuandosi nel bosco e nella rigogliosa macchia.<br />
La sabbia, sottilissima e ambrata, copre<br />
tutto, assecondando gli umori dei venti, così che<br />
il paesaggio è perennemente mutevole. A dare<br />
fissità ci provano tenaci lentischi, cespugliosi ginepri<br />
coccoloni, filliree, corbezzoli e rudi olivastri,<br />
resi striscianti dalla violenza dei venti. Cannucce<br />
selvatiche, sparse tamerici e giunchi indicano<br />
che in passato c’era l’acqua. E poi euforbie e cisti, e<br />
soprattutto una diffusa presenza floreale che,<br />
all’approssimarsi della precoce primavera, spruzza<br />
di colori la sinuosa coltre dorata. Caute pernici<br />
frequentano il limitare delle dune, mentre le lepri vi<br />
si addentrano costantemente. Come le volpi,<br />
che scavano la tana sotto le radici dei ginepri. In<br />
primavera arrivano i gruccioni, che nidificano<br />
a frotte nei pressi del vicino rigagnolo. Topi selvatici,<br />
scarabei, piccoli passeriformi tessono trame di segni<br />
sulla sabbia, per testimoniare la vita sulla duna.<br />
MA LA SCARICA PESANTE di adrenalina al naturalista<br />
curioso l’assicura la visione delle evidenti tracce<br />
del cervo sardo (Cervus elaphus<br />
corsicanus). Orme inconfondibili<br />
svelano lunghe traversate<br />
allo scoperto, raccontando una<br />
frequentazione che parrebbe<br />
fuori luogo soltanto immaginare.<br />
Scampato a uno stermino<br />
che sembrava incombente, il cervo<br />
sardo sta conoscendo qui nuova<br />
abbondanza. Diversi esemplari<br />
vivono ai confini delle dune, che<br />
attraversano regolarmente,<br />
offrendo all’osservatore paziente<br />
e fortunato un’emozione<br />
indescrivibile. (Domenico Ruiu)<br />
‘‘Angela comprese di essere soltanto una formicuzza al cospetto della Grande Duna: un’entità che ti catturava,<br />
ti rimpiccioliva e ti annullava. Si fermò a osservare Viotti che marciava più spedito ed era già abbastanza lontano,<br />
dentro la vallata di sabbia costeggiante il bastione rivolto all’hotel. Gli sembrò un microscopico bambino<br />
che procedeva lasciandosi alle spalle orme come capocchie di spillo. E destinato, di lì a poco, a diventare invisibile<br />
sullo sfondo della piana di Piscinas. (Giampaolo Pansa, 1998)
SOTTO: IL TRACCIATO DEL BREVE<br />
ITINERARIO CHE PROPONIAMO.<br />
PAGINA A FRONTE: GLI UNICI MODI<br />
PER ESPLORARE LE DUNE SONO<br />
A CAVALLO O, COME QUI, A PIEDI;<br />
NON SONO ASSOLUTAMENTE<br />
AMMESSI I MEZZI MOTORIZZATI.<br />
invito alla visita<br />
86 PISCINAS<br />
Chi va a Piscinas non può fare<br />
a meno di pernottare (o quantomeno<br />
fare una visita) al suggestivo<br />
Hotel Le Dune ( 070<br />
977<strong>13</strong>0, fax 070 977230). Ricavato<br />
da un deposito minerario<br />
della vicina miniera di Ingurtosu,<br />
grazie all’intraprendenza<br />
del proprietario Sergio Caroli,<br />
ospita tra l’altro un’interessante<br />
biblioteca sulla zona. Da non<br />
perdere, inoltre, la vicina cittadina<br />
di Guspini.<br />
LA BANCA DEL TEMPO Si trova<br />
proprio a Guspini. Scopo: “raccogliere<br />
il patrimonio dei cittadini<br />
(non quello finanziario ma<br />
l’altro, quello delle idee e della<br />
che consolida e stabilizza la duna, un po’ come succede con l’intelaiatura<br />
metallica nel cemento armato.<br />
“Con la storia di documentarmi per ambientare il libro, in quel periodo<br />
a Piscinas ci sono tornato spesso, in ogni stagione”, rivela Pansa.<br />
E dall’album dei ricordi saltano fuori, nell’ordine: i bagni in piena<br />
estate nell’acqua “di un turchese perfetto, ma calda no”; l’escursione<br />
in una notte d’inverno per scovare i cervi sardi (vedere anche il riquadro<br />
a pagina 85), con “i loro occhi brillanti nel buio, piccoli faretti fissi,<br />
o gemme fosforescenti”. E un paesaggio che contrappone la mobilità<br />
nervosa della duna, mai uguale a se stessa, pronta a cambiar forma<br />
e colore a seconda di come la accarezzi il sole, all’immutabilità<br />
assoluta del mare. “Ho letto da qualche parte che piace a chi invecchia<br />
proprio perché è sempre lo<br />
stesso e non ti fa pensare al tempo<br />
che scorre. Il tempo qui è fermo”, dice<br />
Pansa. E l’ha fatto dire pure a<br />
Bruno Viotti, quello del libro, quel<br />
giornalista Stregato dalla Duna che<br />
gli assomiglia fin troppo e, guardacaso,<br />
è protagonista “del romanzo<br />
che mi è più caro”.<br />
PAOLO RONDINI<br />
memoria) e reinvestirlo in verde<br />
urbano” (da Montevecchio,<br />
edito dal Comune di Guspini, lire<br />
15.000). Così un’area abbandonata<br />
ai margini della città si<br />
è trasformata in giardini a tema:<br />
c’è l’Aiuola dei ricordi,<br />
con la bicicletta e i ferri del mestiere<br />
dell’ex minatore Angelino;<br />
il Giardino delle donne del<br />
mondo, con canti, poesie e favole<br />
raccontati da ragazze di tutte<br />
le età; il Giardino del Paradiso,<br />
con le piante e le essenze<br />
dell’Antico Testamento; e addirittura<br />
il Giardino della “libridine”,<br />
aiuole dedicate a libri e notizie<br />
utili. Info: 070 974362.<br />
A CAVALLO SULLE DUNE Esplorare<br />
le montagne di sabbia<br />
di Piscinas a piedi è affascinante,<br />
ma piuttosto faticoso. Una<br />
buona alternativa è una bella<br />
cavalcata che, partendo dai dintorni<br />
di Guspini, arrivi praticamente<br />
sul mare (vedere la cartina).<br />
La proposta è del Centro<br />
ippico Grazia Deledda ( 338<br />
5443679; minimo 5-6 persone,<br />
prezzo da concordare), situato<br />
in località Coa Nueddas, a un<br />
paio di chilometri dal centro abitato.<br />
Si comincia seguendo una<br />
vecchia ferrovia, attraversando<br />
le interessanti strutture<br />
minerarie di Montevecchio; poi<br />
ci s’immette nel bosco (si può<br />
anche incontrare il cervo sardo)<br />
e si costeggia il Rio Piscinas fino<br />
alle dune. Il tempo di percorrenza<br />
dell’itinerario è di circa 4<br />
ore. A seconda delle esigenze, si<br />
può fare colazione e cena al sacco<br />
oppure al ristorante.<br />
I CONTATTI<br />
Per qualsiasi informazione<br />
turistica sulla zona di Piscinas,<br />
Guspini, Montevecchio e Arbus<br />
si può contattare<br />
Informacittà ( 070 972537;<br />
valido anche per chiedere<br />
una guida naturalistica, utile<br />
soprattutto se si vogliono<br />
organizzare escursioni per<br />
vedere i cervi) oppure<br />
Promoserapis ( 368 53899).<br />
DOMENICO RUIU