31.05.2013 Views

niente di nuovo sotto il sole - Alp Cub

niente di nuovo sotto il sole - Alp Cub

niente di nuovo sotto il sole - Alp Cub

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Collana Testimonianze<br />

1


piero baral<br />

NIENTE DI NUOVO<br />

SOTTO IL SOLE …<br />

I 61 licenziati FIAT<br />

preparano l’autunno ‘80<br />

e le fortune (?) dell’automob<strong>il</strong>e<br />

Prefazione<br />

<strong>di</strong> Diego Giachetti<br />

PonSinMor


© 2003<br />

E<strong>di</strong>zioni PonSinMor<br />

piazza Rebaudengo 3/11 – 10155 Torino –<br />

Stampa<br />

Progetto PROGECA – Vimercate<br />

Novembre 2003


INDICE<br />

Prefazione <strong>di</strong> Diego Giachetti 7<br />

Una premessa 18<br />

1. Autunno 1979: i fatti. 19<br />

2. La FIAT mente! (Volantino 10.10. ’79) 30<br />

3. Il fondo del bar<strong>il</strong>e (Opuscolo 1979) 39<br />

4. Bollettino interno Fiat Rivalta – Presse-5.1.’79 47<br />

5. Spunti per un <strong>di</strong>battito…(18.2.1980) 52<br />

6. Da Lavorare in Fiat <strong>di</strong> Marco Revelli 60<br />

7. Da “n+1”: Evitare <strong>il</strong> traffico inut<strong>il</strong>e 73<br />

8. Da Tutti in Fiat <strong>di</strong> Franco M<strong>il</strong>anesi, 2001 105<br />

9. Il cielo sopra Torino, <strong>di</strong> Loris Campetti. 109<br />

10. Dal manifesto: Clau<strong>di</strong>o Sabattini:<br />

“Il lavoro <strong>di</strong> fronte al suo rovescio” 111<br />

11. Varie schegge biografiche 117


Prefazione<br />

L’autore <strong>di</strong> questo libro ha lavorato tre anni alla Fiat,<br />

nello stab<strong>il</strong>imento <strong>di</strong> Rivalta, dal 1976 al 1979, anno in cui fu<br />

licenziato assieme ad altre sessanta persone. Nel corso <strong>di</strong> una<br />

vita lavorativa come la sua, che lo ha portato a tanti altri impieghi<br />

presso <strong>di</strong>tte e situazioni quei tre anni devono essere stati<br />

molto intensi, vissuti, pieni, in grado ancora <strong>di</strong> offrire propellente<br />

e stimoli per produrre un libro a più <strong>di</strong> vent’anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza.<br />

Contribuisce a questa callosità della memoria anche <strong>il</strong> finale<br />

traumatico del rapporto <strong>di</strong> lavoro: <strong>il</strong> licenziamento, un evento<br />

perio<strong>di</strong>zzante nella sua vita che ha lasciato una cicatrice, ben<br />

rimarginata, ma pur sempre visib<strong>il</strong>e, capace <strong>di</strong> far partire, tutte<br />

le volte che si osserva, <strong>il</strong> motore della memoria. Tuttavia questo<br />

libro non è mosso solo dall’intento del ricordare, del riproporre<br />

qualcosa del passato, c’è in Baral un bisogno <strong>di</strong> capire che ancora<br />

oggi lo <strong>di</strong>vora, trovare cioè una contestualizzazione alla<br />

sua storia personale collocandola in un quadro <strong>di</strong> spiegazione<br />

più ampio, <strong>di</strong> tipo storico-politico. Perché lui? Perché i 61, non<br />

uno in più non uno in meno? Forse perché, come scrive nella<br />

prima pagina mescolando pezzi della sua formazione chimicoscientifica<br />

e classica, nella tavola <strong>di</strong> Mendelejev l’elemento con<br />

numero atomico 61 è <strong>il</strong> promezio <strong>il</strong> cui nome deriva da Prometeo,<br />

quello che nella mitologia greca rubò <strong>il</strong> fuoco agli dei per<br />

portarlo agli uomini e, per questo, fu punito severamente.<br />

Questa ipotesi, suggestiva, è però subito abbandonata,<br />

non c’era nessun Prometeo fra noi, <strong>di</strong>ce. E neanche quello che<br />

accadde loro servì ad <strong>il</strong>luminare più <strong>di</strong> tanto <strong>il</strong> mondo degli<br />

uomini che operavano alla Fiat. Caso mai, potremmo <strong>di</strong>re alla<br />

luce dei fatti dell’anno dopo, quando la Fiat si liberò <strong>di</strong> migliaia<br />

e migliaia <strong>di</strong> operai, col ricorso alla cassa integrazione a zero<br />

ore e alla mob<strong>il</strong>ità, nei 61 licenziati si trova, tanto per rimanere<br />

nel campo della mitologia greca, un gesto premonitore <strong>di</strong> sventure<br />

che sarebbero seguite. Se nessuno era Prometeo, molti furono,<br />

volontariamente o involontariamente, Cassandre. Non<br />

una Cassandra sola, unica e compatta, ma tante, perché i 61, ci<br />

ricorda, erano “esemplari variegati <strong>di</strong> operaie e operai”. Sim<strong>il</strong>i,<br />

se osservati con categorie sociologiche e politiche, <strong>di</strong>versissimi<br />

7


se scomposti per età, provenienza, storie personali, culture,<br />

mentalità, costumi.<br />

Il punto d’inizio della narrazione è dato dal 9 ottobre del<br />

1979, quando le <strong>di</strong>rezioni <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>imento consegnarono a 61<br />

<strong>di</strong>pendenti Fiat la lettera <strong>di</strong> licenziamento. La motivazione era<br />

generica e uguale per tutti, contestava “un comportamento<br />

consistente nell’aver fornito prestazioni <strong>di</strong> lavoro non rispondenti<br />

ai principi della <strong>di</strong>ligenza, correttezza e buona fede e<br />

nell’aver costantemente manifestato comportamenti non consoni<br />

ai principi della civ<strong>il</strong>e convivenza nei luoghi <strong>di</strong> lavoro”.<br />

Generica e quin<strong>di</strong> giuri<strong>di</strong>camente inconsistente, come stab<strong>il</strong>ì<br />

subito la magistratura del lavoro, alla quale i 61 fecero ricorso,<br />

e che impose la riassunzione. Riassunzione che non ci fu, perché<br />

questa volta, con una seconda lettera <strong>di</strong> licenziamento la<br />

<strong>di</strong>rezione Fiat entrava nello specifico delle accuse per ognuno<br />

dei licenziati, attribuendo loro contestazioni circostanziate e particolari.<br />

A questo punto i ricorsi <strong>di</strong>vennero in<strong>di</strong>viduali. Il sindacato<br />

offrì, previa la <strong>sotto</strong>scrizione <strong>di</strong> una <strong>di</strong>chiarazione contro la<br />

violenza, <strong>il</strong> servizio del collegio dei suoi avvocati, la maggioranza<br />

dei 61 scelse questa via, altri, una decina, contestarono <strong>il</strong><br />

provve<strong>di</strong>mento ricorrendo senza <strong>il</strong> patrocinio sindacale, Baral,<br />

invece, non fece ricorso.<br />

Contestualmente ai licenziamenti la Fiat <strong>di</strong>chiarava <strong>il</strong><br />

blocco delle assunzioni in quanto, come <strong>di</strong>ceva Cesare Annibal<strong>di</strong>,<br />

<strong>di</strong>rettore delle relazioni industriali, “l’inserimento <strong>di</strong> <strong>nuovo</strong><br />

personale in un clima come quello attuale rischierebbe <strong>di</strong><br />

compromettere l’in<strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>e momento <strong>di</strong> riflessione connesso<br />

all’esigenza <strong>di</strong> ripristinare in fabbrica un minimo <strong>di</strong> governo<br />

[perché] <strong>il</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne all’interno delle officine è tale da rasentare<br />

<strong>il</strong> collasso” («La Stampa», 11 ottobre 1979). La <strong>di</strong>rezione Fiat<br />

intendeva riportare l’or<strong>di</strong>ne aziendale e produttivo in fabbrica e<br />

descriveva i suoi reparti in preda ad un caos che durava da<br />

quando, con l’autunno caldo del 1969, era iniziata la “grande<br />

sarabanda”, per <strong>di</strong>rla con le parole dell’avvocato Agnelli intervistato<br />

da «La Stampa» <strong>il</strong> 1° luglio 1999. Quella stagione <strong>di</strong> lotte<br />

aveva segnato la fine dei precedenti “anni duri alla Fiat”, secondo<br />

la bella frase che dà <strong>il</strong> titolo ad un libro scritto da Em<strong>il</strong>io<br />

8


Pugno e Sergio Garavini per i tipi dell’Einau<strong>di</strong> nel 1974. Anni<br />

duri per i lavoratori e i sindacalisti torinesi s’intende, perché, invece,<br />

per l’azienda i decenni Cinquanta e Sessanta furono anni<br />

<strong>di</strong> espansione, produttività, profitti e nuovi investimenti. Per<br />

l’azienda Fiat gli “anni duri” vennero dopo le lotte del ’68-’69<br />

che ridefinirono, mo<strong>di</strong>ficandoli a favore degli operai, i rapporti<br />

<strong>di</strong> forza all’interno delle officine, destrutturando <strong>il</strong> vecchio organigramma<br />

<strong>di</strong> comando che governava la produzione e inserendovi<br />

elementi <strong>di</strong> controllo operaio sulla produzione espressi dai<br />

delegati e da quello che negli anni Settanta si chiamava <strong>il</strong> sindacato<br />

dei consigli. Certo comandavano ancora i padroni, “ma<br />

in con<strong>di</strong>zioni nuove, per la nuova composizione della classe,<br />

per le conquiste consolidate <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro e <strong>di</strong> vita. E <strong>il</strong><br />

padronato punta[va] con decisione a liquidare le esperienze <strong>di</strong><br />

controllo operaio, e i consigli come strumento <strong>di</strong> democrazia<br />

operaia” 1 .<br />

Alla fine <strong>di</strong> quel decennio la <strong>di</strong>rezione aziendale si mosse<br />

per riportare or<strong>di</strong>ne nei reparti, <strong>il</strong> che, sostanzialmente, voleva<br />

<strong>di</strong>re spezzare la forza <strong>di</strong> contrattazione e <strong>di</strong> controllo su ritmi,<br />

tempi e produzione messa in campo dai lavoratori me<strong>di</strong>ante i<br />

consigli <strong>di</strong> fabbrica. Perché voleva mo<strong>di</strong>ficare quei rapporti <strong>di</strong><br />

forza? Forse perché essi erano d’impe<strong>di</strong>mento all’aumento della<br />

produzione e la Fiat voleva incrementare la costruzione <strong>di</strong> automob<strong>il</strong>i?<br />

Non era proprio così. Più che sfruttare la forza lavoro<br />

alle sue <strong>di</strong>pendenze, la Fiat aveva bisogno <strong>di</strong> ridurre <strong>il</strong> loro numero,<br />

per adeguarlo al calo della produzione causato dalla crisi<br />

del mercato automob<strong>il</strong>istico che investiva l’Europa e <strong>il</strong> mondo.<br />

Alcuni mesi dopo i 61 licenziamenti, quando la polemica era<br />

sfocata, e ancora non si sentivano palesemente le avvisaglie<br />

della lotta dell’autunno 1980 contro la richiesta <strong>di</strong> mettere 23<br />

m<strong>il</strong>a operai in cassa integrazione, Umberto Agnelli, amministratore<br />

delegato della Fiat, in un’intervista comparsa su «La Repubblica»<br />

del 21 giugno 1980, poneva due con<strong>di</strong>zioni per la ripresa<br />

produttiva: la riduzione del numero dei <strong>di</strong>pendenti e la<br />

1<br />

Franco Calamida, La borghesia fa cadere grosse pietre sui pie<strong>di</strong> della<br />

sinistra, «Quoti<strong>di</strong>ano dei lavoratori», settimanale, n. o, 23 <strong>di</strong>cembre<br />

1979.<br />

9


svalutazione della lira: “oggi la Fiat ha impianti e uomini per<br />

produrre 1.800.000, forse 2 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> vetture. Ne facciamo un<br />

m<strong>il</strong>ione e mezzo. E l’anno prossimo riusciremo a collocarne sul<br />

mercato ancora meno. In tutta Europa le ven<strong>di</strong>te sono <strong>sotto</strong> <strong>il</strong><br />

10% rispetto a quelle del 1979. Se non potremo ridurre<br />

l’occupazione in modo sostanziale non avremo mai i b<strong>il</strong>anci in<br />

pareggio”.<br />

Il problema era quello e si trattava <strong>di</strong> gestirlo sapendo<br />

che la riduzione del numero dei <strong>di</strong>pendenti avrebbe suscitato<br />

dure reazioni da parte dei lavoratori, del sindacato dei consigli,<br />

della Federazione Lavoratori Metalmeccanici (FLM), mentre<br />

con i Confederali, CGIL, CISL e UIL era possib<strong>il</strong>e trattare, concordare,<br />

cioè alla fine trovare un accordo. Si trattava <strong>di</strong> cominciare<br />

a saggiare quelle forze, vederne la consistenza, possib<strong>il</strong>mente<br />

indebolirle, <strong>di</strong>viderle, costringere la polemica contro<br />

l’estremismo della FLM, <strong>il</strong> sindacato dei consigli, che serpeggiava<br />

ai vertici <strong>di</strong> CGIL, CISL, UIL e <strong>di</strong> una parte consistente del<br />

PCI, a uscire allo scoperto, a <strong>di</strong>chiararsi.<br />

La Fiat non voleva certo liquidare <strong>il</strong> sindacato, anzi affermava,<br />

per bocca dei suoi <strong>di</strong>rigenti, <strong>di</strong> volerlo più forte, nel<br />

senso <strong>di</strong> un sindacato capace <strong>di</strong> governare la forza lavoro, non<br />

quello dei consigli che riteneva incompatib<strong>il</strong>e con gli obiettivi<br />

che si poneva per gli anni ’80. La nuova strategia legata<br />

all’introduzione <strong>di</strong> nuove tecnologie richiedeva massima libertà<br />

<strong>di</strong> scelta e rapi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> trasformazione, secondo le nuove esigenze<br />

<strong>di</strong> mercato: flessib<strong>il</strong>ità si <strong>di</strong>rebbe oggi. La questione centrale<br />

<strong>di</strong>ventava la rottura della rigi<strong>di</strong>tà del mercato del lavoro a partire<br />

dalla possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> licenziare, senza altra motivazione se non<br />

l’esigenza <strong>di</strong> ristrutturare; si voleva introdurre la mob<strong>il</strong>ità ad uso<br />

elastico, senza vincoli o controlli; si voleva aumentare la produttività<br />

riducendo l’assenteismo, introducendo nuovi turni, intensificando<br />

i ritmi; si cominciò a parlare <strong>di</strong> regolamentazione dello<br />

sciopero assieme alle critiche allo Statuto dei lavoratori troppo<br />

garantista nei loro confronti; si voleva la libertà <strong>di</strong> selezione nelle<br />

assunzioni con l’eliminazione del controllo da parte del collocamento.<br />

Più in generale, la ristrutturazione era una necessità<br />

del capitale e delle aziende, ricordava un esponente autorevole<br />

del PCI, Giorgio Amendola: “non si può pensare alla meccaniz-<br />

10


zazione, all’automazione senza accettare la riduzione del numero<br />

degli operai occupati per giungere ad una determinata produzione<br />

– riduzione certo concordata, non imposta dal padrone,<br />

ma non rifiutata a priori dal sindacato” 2 .<br />

La crisi della maggiore industria automob<strong>il</strong>istica si manifestava<br />

in un contesto in cui violentissima e cruenta era l’azione<br />

dei gruppi terroristi contro i quadri aziendali: <strong>il</strong> 21 settembre<br />

1979 uccidevano Carlo Ghiglieno, responsab<strong>il</strong>e dell’ufficio programmazione<br />

Fiat auto, <strong>il</strong> 4 ottobre ferivano gravemente Cesare<br />

Varetto, responsab<strong>il</strong>e delle relazioni sindacali delle carrozzerie<br />

Mirafiori. I capi reparto, i capi officina e quadri interme<strong>di</strong>,<br />

quelli che al tempo <strong>di</strong> Valletta costituivano l’ossatura del comando<br />

della fabbrica, alla fine degli anni Settanta si scoprivano<br />

demotivati, incerti circa la loro funzione nell’azienda, abbandonati,<br />

sovente poco considerati dai vertici <strong>di</strong>rigenziali. Effettivamente<br />

la struttura cons<strong>il</strong>iare, basata sui delegati eletti dagli operai,<br />

aveva via via sostituito molto delle funzioni e dei poteri attribuiti<br />

in precedenza alla pletora dei quadri interme<strong>di</strong>: controllo<br />

dei tempi, dei ritmi, dell’impiego delle maestranze, dei permessi;<br />

inoltre, la ristrutturazione del ciclo produttivo che la Fiat stava<br />

attuando contribuiva a ri<strong>di</strong>mensionare ulteriormente <strong>il</strong> loro<br />

ruolo e funzione. Montava tra loro un malcontento e una protesta<br />

che l’azienda non intendeva certo lasciare senza risposta,<br />

prima che essa trovasse magari un riferimento tra i sindacati<br />

dei lavoratori, e che si manifesterà l’anno dopo nella perio<strong>di</strong>zzante<br />

“marcia dei 40 m<strong>il</strong>a”. Il licenziamento <strong>di</strong> 61 estremisti era,<br />

in quella situazione, un segnale forte in<strong>di</strong>rizzato ai quadri interme<strong>di</strong>,<br />

quelli che più pativano l’ingovernab<strong>il</strong>ità dei reparti, come<br />

<strong>di</strong>cevano, causata dalla maggiore capacità contrattuale dei lavoratori<br />

e degli strumenti sindacali che si erano dati.<br />

L’equazione che fu tratteggiata, soprattutto dai maggiori<br />

quoti<strong>di</strong>ani nazionali, fu abbastanza semplice e giornalistica: <strong>il</strong><br />

conflitto in fabbrica – si scrisse – aveva raggiunto livelli tali da<br />

essere “oggettivamente” in rapporto col terrorismo, <strong>di</strong> qui<br />

2<br />

Giorgio Amendola, Interrogativi sul “caso” Fiat, «Rinascita», 9 novembre<br />

1979<br />

11


l’equazione conflitto = violenza = terrorismo. Giorgio Amendola,<br />

nel già citato articolo, la sposò con entusiasmo e durezza espositiva:<br />

“chi può negare che vi sia un rapporto <strong>di</strong>retto tra la<br />

violenza in fabbrica e <strong>il</strong> terrore? E perché <strong>il</strong> sindacato, i comunisti<br />

non hanno parlato, denunciato in tempo quello che oggi<br />

viene rivelato?” Puntò poi <strong>il</strong> <strong>di</strong>to contro determinati meto<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

lotta, giu<strong>di</strong>cati troppo violenti: “occupazioni stradali, cortei intimidatori,<br />

<strong>di</strong>struzioni vandaliche <strong>di</strong> macchine e negozi, stazioni<br />

occupate, autostrade ostruite, blocco degli aeroporti”.<br />

Così <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso si spostò dalla crisi Fiat e dalla ristrutturazione<br />

che stava mettendo in atto, al <strong>di</strong>battito sulle forme <strong>di</strong><br />

lotta, lecite, <strong>il</strong>lecite, violente, e al legame tra lotta contrattuale e<br />

terrorismo. Scrisse all’epoca Loris Campetti sul «Manifesto» del<br />

16 ottobre 1979: “tra le forze <strong>di</strong> sinistra e dentro <strong>il</strong> sindacato, si<br />

fa più attenzione a come denunciare le forme <strong>di</strong> violenza in<br />

fabbrica che non a respingere i licenziamenti. Troppi hanno<br />

paura <strong>di</strong> sporcarsi le mani con i licenziati: si fanno i <strong>di</strong>stinguo, si<br />

parla solo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa legale da parte <strong>di</strong> un collegio <strong>di</strong> avvocati del<br />

sindacato. Il PCI accusa <strong>il</strong> sindacato <strong>di</strong> porre resistenze nelle iniziative<br />

contro <strong>il</strong> terrorismo e richiama i suoi quadri che troppo si<br />

sono impegnati nelle strutture della FLM e troppo poco come<br />

m<strong>il</strong>itanti comunisti, a rientrare nei ranghi”.<br />

Effettivamente, <strong>di</strong> fronte al licenziamento dei 61 <strong>il</strong> sindacato<br />

e la sinistra manifestarono esplicitamente <strong>di</strong>visioni e polemiche<br />

che già serpeggiavano da alcuni anni: l’FLM e i sindacati<br />

torinesi, organizzarono scioperi e manifestazioni pubbliche,<br />

mentre le confederazioni e <strong>il</strong> PCI – avvisati personalmente da<br />

Cesare Romiti 3 prima dell’avvio dei provve<strong>di</strong>menti e invitati<br />

dalla Fiat a tenere “un atteggiamento responsab<strong>il</strong>e” –, preferirono<br />

def<strong>il</strong>arsi, accusando i sindacalisti torinesi e la FLM <strong>di</strong> essere<br />

“renitenti” nella lotta contro <strong>il</strong> terrorismo e la violenza 4 . Negli<br />

anni successivi, a seguito delle indagini della magistratura, si<br />

3<br />

Gabriele Polo, Clau<strong>di</strong>o Sabattini, Restaurazione italiana, Roma,<br />

Manifestolibri, 2000, p. 34.<br />

4<br />

“La FLM e <strong>il</strong> sindacato torinese si mostrano renitenti”, scrive a proposito<br />

Lorenzo Gianotti in Gli operai della Fiat hanno cento anni,<br />

Roma, E<strong>di</strong>tori Riuniti, 1999, p. 238.<br />

12


scoprì che dei 61 licenziati solo quattro erano in collegamento,<br />

o lo erano stati, con gruppi terroristi 5 .<br />

Che i vertici dei sindacati confederali e dei maggiori<br />

partiti politici fossero stati preavvertiti dalla <strong>di</strong>rezione Fiat, circa<br />

l’intenzione <strong>di</strong> procedere con decine e decine <strong>di</strong> licenziamenti,<br />

era una voce <strong>di</strong>ffusasi imme<strong>di</strong>atamente nei giorni seguenti le<br />

lettere <strong>di</strong> licenziamento, lo scriveva ad esempio Loris Campetti<br />

sul «Manifesto» del 16 ottobre. Più tar<strong>di</strong> si sarebbe saputo, per<br />

ammissione dei protagonisti, che la <strong>di</strong>rezione Fiat aveva preparato<br />

da tempo la sua mossa e aveva avvisato i sindacati: “prima<br />

<strong>di</strong> dare <strong>il</strong> via a quel provve<strong>di</strong>mento avvertimmo i capi dei sindacati”,<br />

ricorda Cesare Romiti, e le segreterie dei principali partiti.<br />

Durante quella riunione Umberto Agnelli avvertì “che le<br />

con<strong>di</strong>zioni dell’azienda [rendevano] imperativa una risposta<br />

energica”, gli interlocutori ne presero atto, non opposero alcuna<br />

obiezione se non la “preoccupazione per la reazione che un<br />

provve<strong>di</strong>mento sensazionale” poteva provocare e consigliarono<br />

la “Fiat <strong>di</strong> presentare circostanziate denunce alla magistratura”.<br />

Prima della consegna delle lettere <strong>di</strong> licenziamento, in tutti gli<br />

stab<strong>il</strong>imenti i responsab<strong>il</strong>i del personale convocarono membri<br />

degli esecutivi dei consigli <strong>di</strong> fabbrica. “Tra gli altri vennero<br />

convocati d’urgenza alle Presse <strong>di</strong> Mirafiori, Felice Celestini e<br />

Gino Giulio, ai quali la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>imento chiese <strong>di</strong> tenere<br />

rispetto ai licenziamenti una posizione “responsab<strong>il</strong>e” anche<br />

perché, fece loro capire, l’operazione era stata concordata con<br />

importanti <strong>di</strong>rigenti nazionali e locali sia del sindacato che del<br />

PCI” 6 .<br />

L’ FLM, invece, reagì, “siamo al 7 apr<strong>il</strong>e della classe<br />

operaia – <strong>di</strong>chiarava a «La Stampa», <strong>il</strong> 12 ottobre 1979, Vero-<br />

5<br />

Ve<strong>di</strong> Raffaele Renzacci, in Cento… e uno anni <strong>di</strong> Fiat, a cura <strong>di</strong> Antonio<br />

Moscato, Bolsena (VT), Massari E<strong>di</strong>tore, 2000, p. 85, e Gabriele<br />

Polo, Clau<strong>di</strong>o Sabattini, Restaurazione italiana, Roma, Manifestolibri,<br />

2000, p.34<br />

6<br />

Cfr. nell’or<strong>di</strong>ne: Pansa-Romiti, Questi anni alla Fiat, M<strong>il</strong>ano, Rizzoli,<br />

1988, p. 56; Lorenzo Gianotti, Gli operai della Fiat hanno cento anni,<br />

cit., p. 236; la testimonianza dei due operai Fiat è stata resa a Raffaele<br />

Renzacci che l’ha riportata nel libro Cento… e uno anni <strong>di</strong> Fiat, cit., p.<br />

83.<br />

13


nese, segretario nazionale –. La Fiat coglie l’occasione del riferimento<br />

alla battaglia contro <strong>il</strong> terrorismo per colpire i lavoratori<br />

e recuperare spazi <strong>di</strong> libertà e arbitrio che aveva perso, strumentalizza<br />

<strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso sul terrorismo per colpire un altro bersaglio,<br />

le lotte, <strong>il</strong> sindacato, l’organizzazione operaia in fabbrica”.<br />

Contro i licenziamenti la FML organizzò <strong>il</strong> 16 ottobre del<br />

1979 al Palazzetto dello Sport un’assemblea <strong>di</strong> trem<strong>il</strong>a delegati<br />

con la presenza dei segretari nazionali delle confederazioni,<br />

Lama, Carniti e Benvenuto, nella quale venne <strong>di</strong>chiarato per <strong>il</strong><br />

23 ottobre uno sciopero nazionale dei metalmeccanici e a Torino<br />

<strong>di</strong> tutta l’industria. In quell’occasione, a nome dei 61 prese<br />

la parola Angelo Caforio: “Dieci anni fa, proprio in questa stagione,<br />

in questo palazzetto c’era un’assemblea sim<strong>il</strong>e a questa,<br />

era intitolata però ‘Processo alla Fiat’, <strong>il</strong> processo alla <strong>di</strong>rezione<br />

che aveva sospeso novanta operai. Era l’autunno caldo”, ricordò,<br />

e proseguì: “tra i 61 licenziati molti rappresentano anche<br />

personalmente, fisicamente, la continuità con quell’autunno<br />

caldo, hanno più <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> anzianità Fiat, altri sono entrati<br />

invece negli ultimi due anni […]. Crede davvero la Fiat <strong>di</strong> aver<br />

colpito <strong>il</strong> terrorismo? – si chiese avviandosi alla conclusione<br />

– No, non lo crede, non ci pensa neppure. Sa però che la posta<br />

in gioco sono gli anni ’80, in fabbrica, a Torino, in Italia” 7 .<br />

Il parallelismo tra l’autunno caldo del 1969 e, <strong>di</strong>eci anni<br />

dopo, “l’autunno freddo” dei 61 licenziati, del terrorismo, della<br />

crisi, del compromesso storico, dell’EUR era fac<strong>il</strong>e e ut<strong>il</strong>e da farsi,<br />

anche per segnalare la nuova composizione <strong>di</strong> classe. I giovani<br />

che erano entrati alla Fiat in quegli anni, con la riapertura<br />

delle assunzioni, – scrisse Pino Ferraris sul «Manifesto» del 16<br />

novembre 1979 – “esprimevano soggettività, culture, bisogni,<br />

comportamenti che si erano strutturati nella lunga adolescenza<br />

e giovinezza “irregolari” dentro le scuole <strong>di</strong> massa e nelle periferie<br />

urbane, tra gli stimoli dei mass me<strong>di</strong>a e <strong>il</strong> noma<strong>di</strong>smo delle<br />

esperienze e che non conoscevano quasi altra trama <strong>di</strong> socializzazione<br />

che non sia quella degli affetti e della vita emotiva dentro<br />

la nuova famiglia estesa, i piccoli gruppi, le amicizie. Irrompe<br />

l’irregolarità del bisogno <strong>di</strong> vita”. La grande fabbrica <strong>di</strong>ven-<br />

7<br />

L’intervento fu pubblicato sul «Manifesto» del 17 ottobre 1979.<br />

14


tava un laboratorio <strong>di</strong> conflitti e <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azioni “tra generazioni<br />

operaie, tra uomo e donna, tra cultura del lavoro e cultura dei<br />

bisogni”. Erano quelli che Adalberto Minucci, della segreteria<br />

del PCI, con un’espressione infelice, ma destinata a <strong>di</strong>ventare<br />

categoria storica e sociologica, definì “<strong>il</strong> fondo del bar<strong>il</strong>e” in<br />

un’intervista r<strong>il</strong>asciata a Lietta Tornabuoni a «La Stampa» del<br />

13 ottobre 1979 nella quale <strong>di</strong>ceva: “dal 1973 la Fiat non sostituiva<br />

più gli operai che andavano in pensione o si licenziavano.<br />

Negli ultimi due anni <strong>il</strong> turnover è stato riaperto e mi risulta che<br />

a Mirafiori siano entrati negli ultimi do<strong>di</strong>ci mesi 12 m<strong>il</strong>a nuovi<br />

assunti. Questo ha riportato la fabbrica ad una realtà magmatica,<br />

un porto <strong>di</strong> mare con gente che entra senza avere <strong>di</strong>mestichezza<br />

né a volte attitu<strong>di</strong>ne al lavoro e presto se ne va perché<br />

non regge. Credo che in quest’ultima ondata a Mirafiori sia entrato<br />

un po’ <strong>di</strong> tutto, dallo studente al <strong>di</strong>sadattato, s’è proprio<br />

raschiato <strong>il</strong> fondo del bar<strong>il</strong>e”. Un giu<strong>di</strong>zio netto, intransigente<br />

che non lasciava molti spazi d’interpretazione e che, certo, coglieva<br />

un aspetto importante della questione: <strong>il</strong> mutamento della<br />

composizione della forza lavoro alla Fiat e della sua coscienza<br />

<strong>di</strong> classe, come si <strong>di</strong>ceva allora. Che qualcosa nella coscienza<br />

dei lavoratori fosse cambiato lo avevano già intravisto due ricercatori<br />

e m<strong>il</strong>itanti torinesi, Brunello Mantelli e Marco Revelli,<br />

che avevano intervistato centinaia <strong>di</strong> operai nel corso dei 55<br />

giorni del rapimento <strong>di</strong> Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse<br />

nel 1978. Successivamente, sulla composizione della classe operaia<br />

Fiat e sugli atteggiamenti verso <strong>il</strong> lavoro e l’azienda, era<br />

stata pubblicata un’inchiesta dal titolo Coscienza operaia oggi. I<br />

nuovi comportamenti operai in una ricerca gestita dai lavoratori<br />

e, nello specifico, sulle caratteristiche dei nuovi assunti, la ricerca<br />

<strong>di</strong> S<strong>il</strong>via Belforte, Il fondo del bar<strong>il</strong>e: riorganizzazione del ciclo<br />

produttivo e composizione operaia alla Fiat dopo le nuove<br />

assunzioni 8 . Anche <strong>il</strong> PCI, nel 1979, aveva preso l’iniziativa <strong>di</strong><br />

8<br />

Cfr.: Operai senza politica, a cura <strong>di</strong> Brunello Mantelli e Marco Revelli,<br />

Roma, Savelli, 1979, Coscienza operaia oggi. I nuovi comportamenti operai<br />

in una ricerca gestita dai lavoratori, a cura <strong>di</strong> Giulio Girar<strong>di</strong>, Bari,<br />

De Donato, 1980, S<strong>il</strong>via Belforte, Il fondo del bar<strong>il</strong>e: riorganizzazione<br />

15


un sondaggio <strong>di</strong> massa tra i <strong>di</strong>pendenti del gruppo i cui risultati<br />

furono pubblicati l’anno dopo 9 . Da quel sondaggio emergevano<br />

dati importanti, ne segnaliamo due che riguardano <strong>il</strong> tema<br />

che trattiamo. Alla domanda: “perché la Fiat ha licenziato i<br />

61?”, <strong>il</strong> 28,9% rispondeva “per liberarsi dei violenti”, <strong>il</strong> 22,8%<br />

“non sono affari miei”, <strong>il</strong> 20,9% “per sfidare <strong>il</strong> sindacato”, <strong>il</strong><br />

12,6% “per colpire i più combattivi”. Alla domanda: “che cosa<br />

pensi della collaborazione tra lavoratori e padroni?”, la <strong>di</strong>stribuzione<br />

delle risposte era la seguente: “è necessaria perché va a<br />

vantaggio <strong>di</strong> tutti” (44,4%), “è possib<strong>il</strong>e ma va contrattata”<br />

(29,4%), mentre <strong>il</strong> rimanente 29,4% respingeva ogni forma <strong>di</strong><br />

collaborazione.<br />

Soprattutto i dati relativi alle risposte alla seconda domanda,<br />

con quel 44,4% che propendeva per la collaborazione<br />

con l’azienda furono presi ad esempio per cominciare a <strong>di</strong>re<br />

che l’intera strategia sindacale andava rivista, corretta, reimpostata.<br />

I 61 licenziati fecero <strong>di</strong>vampare la <strong>di</strong>scussione, <strong>il</strong> tema<br />

sindacato o sindacato dei consigli si ripresentò tale e quale, ma<br />

con maggiore intensità e drammaticità nel corso della lotta dei<br />

trentacinque giorno del 1980. La sconfitta subita dai lavoratori<br />

con la firma dell’accordo, dopo la fati<strong>di</strong>ca “marcia dei quarantam<strong>il</strong>a”,<br />

rappresentò, per <strong>di</strong>rla con Piero Fassino la fine <strong>di</strong><br />

“un’epoca della storia del sindacato”, quello conflittuale e antagonista<br />

degli anni settanta. L’anima antagonista andava sosti-<br />

del ciclo produttivo e composizione operaia alla Fiat dopo le nuove<br />

assunzioni, M<strong>il</strong>ano, La salamandra, 1980.<br />

9<br />

Cfr. Aris Accornero; Alberto Bal<strong>di</strong>ssera, Sergio Scamuzzi, Ricerca <strong>di</strong><br />

massa sulla con<strong>di</strong>zione operaia alla Fiat: i primi risultati, «Bollettino<br />

Cespe», Roma, 2 febbraio 1980. Ve<strong>di</strong> anche l’articolo pubblicato in<br />

seguito <strong>di</strong> A. Accornero, F. Carmignani, N. Magna, I tre “tipi” <strong>di</strong> operai<br />

della Fiat, «Politica ed economia», n. 5, maggio 1985 con la quale<br />

si classificano tre tipologie <strong>di</strong> comportamento operaio: conflittuale (chi<br />

riconosce l’esistenza e l’inevitab<strong>il</strong>ità del conflitto tra azienda e lavoratori<br />

ma ritiene si debba cercare una me<strong>di</strong>azione attraverso la contrattazione),<br />

antagonista (chi è per la lotta intransigente e dura, senza<br />

me<strong>di</strong>azioni e accor<strong>di</strong>), collaborativo (chi è per la collaborazione con<br />

l’azienda). I dati ripetevano <strong>il</strong> peso statistico del sondaggio riportato<br />

nel testo.<br />

16


tuita, <strong>di</strong>ce <strong>il</strong> segretario dei DS, con quella contrattualista, questo<br />

esigeva una revisione profonda degli obiettivi, alcuni andavano<br />

abbandonati, altri introdotti: “competitività, produttività”, “adeguamento<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti e con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro all’evoluzione della<br />

struttura produttiva e dei mercati”, “part-time, mob<strong>il</strong>ità interna<br />

e esterna”. Superato ancora <strong>il</strong> <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e scoglio rappresentato dallo<br />

scontro sulla scala mob<strong>il</strong>e del 1984, per fortuna, nel 1993, –<br />

conclude Fassino – finalmente <strong>il</strong> travaglio sindacale, apertosi<br />

sulla fine degli anni Settanta, giungeva positivamente a termine<br />

con la concertazione e l’accordo del 23 luglio 1993 10 .<br />

Sim<strong>il</strong>i affermazioni ci fanno ulteriormente capire che<br />

l’argomento sollevato dal libro <strong>di</strong> Baral è “storico” nel senso<br />

pieno del termine, rappresenta uno snodo <strong>di</strong> una vicenda ricca<br />

e intensa del movimento operaio italiano che si è conclusa. Oggi<br />

gli interlocutori del segretario del maggior partito della sinistra<br />

non sono i Baral e questi “tipi umani” non affollavano certo la<br />

sala dell’Au<strong>di</strong>torium del Lingotto <strong>di</strong> Torino la sera del 7 ottobre<br />

2003 per la presentazione del libro <strong>di</strong> memorie <strong>di</strong> Piero Fassino.<br />

Al suo fianco c’era l’attuale presidente della Fiat Umberto<br />

Agnelli e in platea tanti uomini politici, sindacalisti, amministratori<br />

locali. Il presente ha dato ragione (ma a quale prezzo?) a<br />

Piero Fassino e torto ai Baral, questo almeno ci consiglia <strong>di</strong> credere<br />

<strong>il</strong> senso comune, l’apparenza. Un merito grande, f<strong>il</strong>osofico,<br />

critico hanno però le vicende raccontate da Baral e le testimonianze<br />

<strong>di</strong> altri protagonisti da lui raccolte e assemblate nel libro,<br />

quello <strong>di</strong> ricordarci, per <strong>di</strong>rla con Max Horkheimer, che “la denuncia<br />

<strong>di</strong> ciò che al presente viene chiamato ragione è <strong>il</strong> più<br />

grande servizio che la ragione possa prestare”.<br />

Diego Giachetti<br />

10<br />

Piero Fassino, Per passione, M<strong>il</strong>ano, Rizzoli, 2003, pp. 129-134.<br />

17


Una premessa<br />

“come granelli <strong>di</strong> sabbia del deserto<br />

danziamo nel girotondo”<br />

Intrigato dalla scelta padronale <strong>di</strong> espellere “61” cattivi, ho<br />

cercato – per un certo periodo <strong>di</strong> ripiegamento nell’irrazionale<br />

seguito al licenziamento – vari riferimenti storici o casuali.<br />

Il più interessante è nella tavola <strong>di</strong> Mendelejev nel<br />

vecchio libro <strong>di</strong> chimica. L’elemento con numero atomico<br />

61 è <strong>il</strong> Promezio (Pm) della serie dei Lantani<strong>di</strong>, definiti<br />

“sconosciuti” e “ra<strong>di</strong>oattivi”. Promezio deriva <strong>il</strong> suo nome<br />

da Prometeo. Nella mitologia greca punito dagli dei perchè<br />

rubò <strong>il</strong> fuoco per restituirlo agli uomini.<br />

Non c’era Prometeo fra i 61, semmai esemplari variegati<br />

<strong>di</strong> operaie e operai che non potevano più essere tollerati<br />

nella nuova organizzazione che si era data la la Fiat.<br />

Come negli anni ‘50 si partiva dagli “estremisti” per arrivare<br />

poi ai gran<strong>di</strong> numeri.<br />

Giorgio Bocca su Repubblica rispondeva a una lettera <strong>di</strong><br />

un licenziato, uscita su Lotta Continua – che invitava la<br />

Fiat a prendersi la responsab<strong>il</strong>ità dei 15000 e più morti<br />

annui sulle strade e criticava le logiche industriali – <strong>di</strong>cendo<br />

che questi apparteneva alla “generazione che è cresciuta<br />

nel mito idealista e parafascista che l’immaginazione<br />

supera la realtà”...<br />

Il testo che segue ricostruisce questa vicenda e risale a metà<br />

degli anni ottanta, con alcuni ritocchi posteriori.<br />

(p.b.)<br />

18


1. Autunno 1979: i fatti<br />

Si era a sei anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dalla crisi del petrolio del ‘73 che<br />

aveva avviato una decisa fase <strong>di</strong> ristrutturazione mon<strong>di</strong>ale. La<br />

lotta per <strong>il</strong> contratto nazionale dei metalmeccanici del 1979 era<br />

stata particolarmente accesa, a Torino si era ricorso a blocchi<br />

stradali e forme <strong>di</strong> lotta urbana che avevano accentuato <strong>il</strong> carattere<br />

<strong>di</strong> ingovernab<strong>il</strong>ità apparente del proletariato <strong>di</strong> fabbrica.<br />

Tutto ciò in presenza <strong>di</strong> una piattaforma poco convincente, infatti<br />

qualcuno <strong>di</strong>chiarava <strong>di</strong> forzare le lotte per chiudere presto e<br />

pagare poco <strong>il</strong> contratto...<br />

Da parte della Fiat era in corso <strong>di</strong> avanzata realizzazione<br />

l’introduzione negli stab<strong>il</strong>imenti <strong>di</strong> tecnologie che davano vincente<br />

<strong>il</strong> padrone sul breve e “lungo” periodo... coi suoi operai,<br />

non certo con la crisi <strong>di</strong> sovrapproduzione su scala mon<strong>di</strong>ale.<br />

La sinistra <strong>di</strong> fabbrica legge questa fase in modo frammentato:<br />

chi continua a <strong>sotto</strong>lineare la crisi <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione aziendale e<br />

appoggia criticamente la ristrutturazione (Fiom); chi riven<strong>di</strong>ca<br />

aumenti salariali e migliori con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro; chi sban<strong>di</strong>era i<br />

robot come l’arma definitiva del padrone e propone lotte altrettanto<br />

‘ra<strong>di</strong>cali’ (l’autonomia); chi, marginale, <strong>di</strong>chiara in modo<br />

<strong>di</strong>messo <strong>di</strong> trovare <strong>di</strong>fficoltà a produrre merci inut<strong>il</strong>i e dannose<br />

e confluisce nella pratica della autoriduzione della produzione.<br />

Queste <strong>di</strong>verse linee raccolgono poi motivazioni le più varie del<br />

resto degli operai.<br />

Tutto questo nella stagione in cui BR & C. con le raffiche<br />

delle mitragliette uccidono o feriscono personaggi scelti secondo<br />

un loro criterio come importanti per destab<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> potere;<br />

in realtà riescono a far ricompattare a destra tutto <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e.<br />

Lo spazio politico si restringe ed è fac<strong>il</strong>e essere accusati <strong>di</strong> ‘fiancheggiamento’:<br />

basta <strong>di</strong>ssentire dalla linea dominante nel sindacato<br />

e nella sinistra.<br />

In questa situazione, la scia sanguinosa incide particolarmente<br />

alla Fiat che ha una ventina <strong>di</strong> quadri e <strong>di</strong>rigenti presi nel mirino.<br />

La Fiat, nella lentezza <strong>di</strong> risultati della magistratura, in quel<br />

periodo, decide <strong>di</strong> fare un colpo <strong>di</strong> mano <strong>di</strong>rettamente sugli operai,<br />

una rappresaglia concordata dai vertici e <strong>di</strong> cui viene da-<br />

19


to preavviso al sindacato (ve<strong>di</strong> intervista <strong>di</strong> Pansa a Romiti,<br />

1989). A ottobre sessantun nomi vengono messi sul tappeto,<br />

<strong>sotto</strong> l’accusa generica <strong>di</strong> non prestarsi <strong>di</strong>ligentemente alla politica<br />

produttiva aziendale.<br />

In realtà i giornali sparano titoli <strong>di</strong> fuoco sul terrorismo in fabbrica,<br />

riportano interviste ai capi; lo stesso sindacato torinese<br />

esce con un volantino che condanna <strong>il</strong> terrorismo e poi <strong>sotto</strong><br />

<strong>sotto</strong> cerca <strong>di</strong> mettere le mani avanti per ‘salvare qualcosa’. I 61<br />

da parte loro sentono puzza <strong>di</strong> bruciato in tutte le <strong>di</strong>rezioni e<br />

cercano inizialmente <strong>di</strong> conoscersi tra loro; escono poi vari volantini<br />

<strong>di</strong> controinformazione e si susseguono assemblee in varie<br />

se<strong>di</strong> della sinistra e della FLM.<br />

Si fa largo una opinione <strong>di</strong> sinistra che chiede le prove, con<strong>di</strong>zionando<br />

ad una verifica <strong>di</strong> merito <strong>il</strong> giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> solidarietà coi<br />

61. A questo punto si precisa una spaccatura fra chi accetta <strong>di</strong><br />

firmare una <strong>di</strong>chiarazione contro la violenza (richiesta dal sindacato<br />

per impugnare i licenziamenti in base all’art. 28 dello<br />

Statuto dei lavoratori) ed una decina <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssidenti che formeranno<br />

un collegio alternativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa.<br />

Il pretore del lavoro convalida la richiesta sindacale e obbliga la<br />

Fiat a riassumere i licenziati senza motivo...<br />

La Fiat si adegua, ritira i licenziamenti e imme<strong>di</strong>atamente li riconferma<br />

motivandoli questa volta in modo approfon<strong>di</strong>to ed<br />

in<strong>di</strong>viduale.<br />

Intanto scioperi, collette, manifestazioni <strong>di</strong> solidarietà, con esito<br />

vario ed adesioni limitate, non permettono comunque <strong>di</strong> invertire<br />

la tendenza alla frammentazione.<br />

Dopo un’ulteriore causa <strong>di</strong> alcune decine per <strong>di</strong>ffamazione (si<br />

era parlato <strong>di</strong> terrorismo) che viene concordata e dà un indennizzo<br />

<strong>di</strong> due m<strong>il</strong>ioni, ci saranno solo più cause in<strong>di</strong>viduali. La<br />

maggior parte concorderà varie decine <strong>di</strong> m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> risarcimento,<br />

pochissimi vincono ma non rientrano in Fiat, altri nemmeno<br />

ricorrono (come nel mio caso).<br />

alcune riflessioni<br />

* Fatto interessante è intanto l’arresto delle azioni armate contro<br />

la Fiat entro l’anno 1979, segno, comunque, <strong>di</strong> un cambia-<br />

20


mento <strong>di</strong> strategia e sintomo della crisi incalzante della lotta armata.<br />

Se esisteva una volontà <strong>di</strong> questa <strong>di</strong> ‘sbloccare verso destra’ la<br />

situazione politica nel paese (in modo da chiarire al proletariato<br />

l’impraticab<strong>il</strong>ità della via ‘legale’ ad una mo<strong>di</strong>fica del sistema), <strong>il</strong><br />

risultato era ancora lontano dall’essere raggiunto. Il padrone in<br />

fabbrica comunque ut<strong>il</strong>izza tutto nel suo interesse. Infatti l’azione<br />

della Fiat prosegue minacciando l’anno successivo 14.000 licenziamenti.<br />

35 giorni <strong>di</strong> blocco dei cancelli ottengono un me<strong>di</strong>ocre<br />

risultato <strong>di</strong> compromesso: 24.000 in cassa integrazione<br />

(gli ultimi superstiti rientreranno nell’87). Qualcuno aggiunge<br />

che quella lotta non poteva servire perché gestita da un sindacato<br />

saldamente controllato dai padroni - e almeno nella meccanica<br />

della votazione finale è <strong>di</strong>mostrab<strong>il</strong>e la volontà dei vertici<br />

<strong>di</strong> chiudere comunque. Quella che viene definita la tappa decisiva<br />

nella grande fabbrica della “sconfitta operaia” era stata<br />

sancita a livello <strong>di</strong> massa con <strong>il</strong> ‘referendum’ della marcia dei<br />

20.000 capi, quadri, impiegati... (definiti i ‘ 40m<strong>il</strong>a’).<br />

* Chi mette in evidenza questo passaggio, sovente non ammette<br />

quanto a lungo fosse stato preparato nell’opinione pubblica,<br />

nei quadri e con adeguati investimenti che cambiavano progressivamente<br />

faccia all’officina.<br />

Questi cambiamenti erano stati sovente ‘sollecitati’ dalla sinistra<br />

‘riformista’ che aspettava <strong>di</strong> poter accedere al comando tecnico<br />

della fabbrica, dopo aver ricevuto la delega nelle amministrazioni<br />

locali.<br />

* Il <strong>nuovo</strong> operaio che sarebbe venuto fuori dalla ristrutturazione,<br />

sedato, ricattato e in parte rimotivato coi ‘circoli <strong>di</strong> qualità’ e<br />

nuove mansioni, stava meglio dentro la visione parziale del sindacato<br />

che da anni si batteva sul recupero e la valorizzazione<br />

della ‘professionalità’.<br />

* Intanto ora per i frammenti dell’operaio massa c’erano gli abissi<br />

della cassa integrazione. Qui sindacato e sinistra hanno <strong>di</strong><br />

<strong>nuovo</strong> marcato <strong>il</strong> passo non riuscendo a contrattare ed imporre<br />

21


nemmeno nella pubblica opinione una versione <strong>di</strong>versa da<br />

quella dell’assistenza.<br />

Centinaia <strong>di</strong> migliaia i cassaintegrati, delle più varie aziende sono<br />

stati abbandonati alle sorti più strane e drammatiche.<br />

Una propria autonomia <strong>di</strong> iniziativa sull’occupazione sinistra e<br />

sindacato non riuscivano ad averla.<br />

* Altra battaglia persa per strada fu quella sul collocamento: dopo<br />

le assunzioni degli ultimi anni Settanta che avevano portato in<br />

fabbrica strati giovan<strong>il</strong>i non selezionati come nel passato, si fece<br />

come rappresaglia <strong>il</strong> blocco delle assunzioni. Revocato, fu poi<br />

trasformato nel ripristino legale delle assunzioni nominative (ut<strong>il</strong>izzando<br />

<strong>il</strong> seguito <strong>il</strong> contratto formazione lavoro e sim<strong>il</strong>i).<br />

Nel ‘79 un <strong>di</strong>rigente torinese del PCI parlò <strong>di</strong> ‘raschiatura del<br />

fondo del bar<strong>il</strong>e’, come se <strong>il</strong> lavoro nella grande fabbrica non<br />

fosse nemmeno più per la sinistra un <strong>di</strong>ritto bensì un premio da<br />

dare ai migliori. In questo modo <strong>il</strong> bar<strong>il</strong>e della forza lavoro era<br />

meglio fosse tenuto sempre mezzo pieno <strong>di</strong> <strong>di</strong>soccupati.<br />

* La preoccupazione sul carattere più o meno dannoso e sullo<br />

spreco legato al modo <strong>di</strong> produzione capitalista (prima che dei<br />

ver<strong>di</strong>, argomento ‘storico’ comunista) non ha fatto molta strada<br />

fra i produttori, al massimo era opera <strong>di</strong> qualche osservatore<br />

esterno. Tocca infatti ai ver<strong>di</strong> nel ‘90 infasti<strong>di</strong>re gli azionisti... Intanto<br />

si parla <strong>di</strong> ‘qualità totale’...per rendere più mici<strong>di</strong>ale e<br />

red<strong>di</strong>tizia la merce Fiat. Produrre e consumare auto, nel nostro<br />

caso, è ancora un affare e una ‘moda’ (imposta), anche per l’operaio<br />

me<strong>di</strong>o che paga una tangente del 20% del salario all’industria<br />

automob<strong>il</strong>istica/petrolifera che gli fornisce quella che,<br />

più che un mezzo <strong>di</strong> trasporto in<strong>di</strong>viduale, si rivela un’arma più<br />

potente della droga.<br />

Da quando la CGIL appoggiò <strong>il</strong> piano per l’automob<strong>il</strong>e popolare<br />

– anni ’50 – la Fiat è <strong>di</strong>ventata multinazionale e <strong>il</strong> sindacato<br />

... è sceso al 20% nelle adesioni operaie.<br />

E non si parli <strong>di</strong> politica energetica e prezzi del petrolio che nel<br />

polverone la linea vincente è sempre quella <strong>di</strong> pagare poco le<br />

materie prime e fregarsene dei consumi energetici (e delle guerre<br />

del petrolio).<br />

22


per concludere<br />

* Nella luce <strong>di</strong> questi problemi, molti comportamenti operai ribelli<br />

possono essere ri<strong>di</strong>mensionati (e a maggior ragione tanti<br />

comportamenti ‘rivoluzionari’ che giustificavano espropri sulla<br />

base <strong>di</strong> bisogni crescenti, scaricando su terzi <strong>il</strong> compito <strong>di</strong> produrre<br />

e subire <strong>il</strong> torchio padronale). Tante cose han pesato<br />

nell’accelerare i tempi della ristrutturazione, oltre la lotta interna<br />

agli stab<strong>il</strong>imenti, la svolta della crisi del ‘73, le innovazioni tecnologiche<br />

della concorrenza estera, l’attività prolungata della<br />

lotta armata e le nuove ideologie produttive (poi sarebbero arrivata<br />

la saturazione dei mercati e nuove strategie aziendali su<br />

scala mon<strong>di</strong>ale).<br />

* Gli operai della grande fabbrica, che pur si continuava a <strong>di</strong>re<br />

fossero alla guida del proletariato italiano, avevano comunque<br />

molti retaggi, <strong>il</strong>lusioni e ritar<strong>di</strong> che li frenavano. Nel monte merci<br />

<strong>il</strong>lusoriamente aumentato – mentre i salari stagnavano – e<br />

nella insufficiente alleanza coi lavoratori della piccola industria e<br />

con i <strong>di</strong>soccupati in continua crescita (per guardare a una parte<br />

<strong>di</strong> chi sta peggio) ci sono pezzi della catena materiale che li (ci)<br />

lega alla borghesia.<br />

La catena ideologica era ed è ancor più forte per i tanti vicoli<br />

ciechi in cui la carente – o complice, <strong>di</strong>ce qualcuno – politica<br />

della sinistra ha condotto e abbandonato tante volte la classe<br />

operaia.<br />

piero baral<br />

23


ALCUNI COMMENTI su giornali e libri<br />

1. “(...)A fianco <strong>di</strong> una linea restauratrice avanza un preciso attacco<br />

alle forme <strong>di</strong> lotta praticate in questi anni.<br />

La svolta del padronato è netta: si intende recuperare attraverso<br />

l’incremento della produttività (straor<strong>di</strong>nari, turni, organici,<br />

tempo <strong>di</strong> pausa, saturazioni, tempo risparmiato autonomamente).<br />

Tutto ciò risulta più chiaro quando la Fiat comunica ai giornalisti<br />

(e non già alle organizzazioni sindacali) la chiusura delle<br />

assunzioni <strong>di</strong>mostrando con quali intenzioni intende applicare<br />

la prima parte del contratto. Con questa grave decisione la Fiat<br />

non solo ricatta gli occupati, ma attacca l’attuale legislazione sul<br />

collocamento, accusando che questo non seleziona tra i <strong>di</strong>soccupati<br />

quelli ritenuti politicamente e socialmente pericolosi.(...)”<br />

Adriano Serafino (Segretario CISL),<br />

Introduzione all’Assemblea al Palasport,<br />

in Sindacato Unitario FLM, 22 ottobre 1979.<br />

2. “Colpirne 61 per educare chi?” –“Cronache <strong>di</strong> un attacco<br />

alla continuità delle lotte degli anni 70 e dei nuovi assunti. In<br />

nome della ‘<strong>di</strong>ligenza, correttezza, buona fede, civ<strong>il</strong>e convivenza’<br />

la Fiat licenzia. In tutto questo <strong>il</strong> terrorismo non c’entra, è un<br />

attacco alle forme <strong>di</strong> lotta, al sindacato, ad ogni forma <strong>di</strong> controllo<br />

operaio. Produttività e <strong>di</strong>sciplina sono le parole d’or<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> Agnelli preoccupato <strong>di</strong> fronteggiare l’idea che ‘si lavora per<br />

vivere’ portata dentro la Fiat dai nuovi assunti. Quelli stessi che<br />

<strong>il</strong> Pci chiama <strong>di</strong>sadattati.(...)”<br />

Prima pagina del settimanale<br />

“Quoti<strong>di</strong>ano dei lavoratori”, n° 0, 23 ottobre 1979.<br />

3. “(...) I più sono preoccupati per nostra sorte e per <strong>il</strong> clima <strong>di</strong><br />

repressione che si sta instaurando dentro la fabbrica. La paura<br />

c’è ed è <strong>di</strong>ffusa, <strong>di</strong>ffusissima è anche la situazione <strong>di</strong> impotenza<br />

dal momento che ogni singolo operaio si sente solo contro <strong>il</strong><br />

padrone, solo contro la mostruosa macchina repressiva, messa<br />

in moto dal padrone attraverso la stampa, la televisione, la ge-<br />

24


archia <strong>di</strong> fabbrica, a cui non fa più da contraltare altro tipo <strong>di</strong><br />

informazione, <strong>di</strong> propaganda, <strong>di</strong> iniziativa. Si aspetta <strong>il</strong> processo,<br />

si aspetta la sentenza, mentre la gente che ha praticato la<br />

lotta su cui la magistratura dovrebbe pronunciarsi viene fatta<br />

estraniare, viene espropriata <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> storia, della sua<br />

storia. (...)”<br />

Licio Rossi, uno dei 61, durante <strong>il</strong> <strong>di</strong>giuno in un furgone<br />

a Rivalta davanti alla porta 12, scrive al quoti<strong>di</strong>ano<br />

Lotta Continua, 6 novembre 1979.<br />

4. “(...) In realtà la Fiat sa benissimo che questa manovra non<br />

servirà a colpire <strong>il</strong> terrorismo. Al contrario, caso mai, è un invito<br />

a nozze rivolto a BR e soci concorrenti per inaugurare una nuova<br />

campagna <strong>di</strong> fuoco e <strong>di</strong> sangue. Un invito al crimine che regala<br />

alle formazioni armate una patente <strong>di</strong> giustizieri e <strong>di</strong>fensori<br />

del proletariato che nessuno gli aveva r<strong>il</strong>asciato. Un incentivo al<br />

reclutamento e all’espansione dell’area della clandestinità e della<br />

lotta armata.<br />

Da sempre la Fiat ha fondato <strong>il</strong> suo potere e i suoi profitti sulla<br />

pelle <strong>di</strong> operai morti ammazzati dalla fatalità del lavoro salariato:<br />

morti mai degne <strong>di</strong> conquistare le prime pagine dei giornali. Oggi<br />

è chiaro come <strong>il</strong> <strong>sole</strong>: sulla vita e sul sangue <strong>di</strong> capi e <strong>di</strong>rigenti assassinati<br />

dal Piombo BR la Fiat vuole spregiu<strong>di</strong>catamente speculare<br />

per imporre <strong>di</strong> brutto <strong>il</strong> ritorno ai più tranqu<strong>il</strong>li tem-pi <strong>di</strong> Valletta.<br />

Se ne rendono conto i capi che vanno a La Stam-pa a fare<br />

<strong>di</strong>chiarazioni come questa? “Cerchiamo <strong>di</strong> fare <strong>il</strong> nostro dovere;<br />

siamo lavoratori come tutti gli altri”-13 ottobre 1979.<br />

In compenso, i 61 licenziati si trovano in<strong>di</strong>cati come i rappresentanti<br />

semiclandestini del terrorismo in fabbrica. Colpendo i<br />

61, la Fiat non vuol liberarsi degli “ultimi comunisti” rimasti,<br />

ma vuol dare una lezione a tutti gli altri. Vuole liquidare i poteri<br />

del movimento sindacale. Con la repressione in doppiopetto<br />

vuole sopprimere poco per volta <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto alla lotta e all’opposizione<br />

operaia nei reparti. Vuole <strong>di</strong>struggere quanto resta <strong>di</strong> un<br />

sindacato dei consigli già guastato da anni <strong>di</strong> politica dell’austerità<br />

e dei sacrifici a senso unico; impegnato, più che a organizzare<br />

le lotte e i bisogni della gente, a seminare sfiducia nelle<br />

25


proprie forze e a convincere i lavoratori a trangugiare la minestra<br />

che passa <strong>il</strong> convento”. (...)<br />

Dall’opuscolo “<strong>il</strong> fondo del bar<strong>il</strong>e” del Collettivo <strong>di</strong> informazione<br />

Indesit e Fiat-Rivalta / “L’asinistra” 1979.<br />

5. I licenziati degli anni ‘50 prendono le <strong>di</strong>stanze dai 61:<br />

“(...) La vicenda dei 61 licenziamenti alla Fiat, con la motivazione<br />

che li definisce fomentatori delle violenze subite dai capi<br />

in fabbrica e “picchiatori”, non può non suscitare risonanze in<br />

questi anziani m<strong>il</strong>itanti: tutta la loro storia è in gioco.<br />

‘Quando si condanna <strong>il</strong> terrorismo non si condanna <strong>il</strong> patrimonio<br />

<strong>di</strong> lotta della classe operaia, perchè la classe operaia torinese<br />

ha conosciuto sempre <strong>il</strong> terrorismo padronale, manifestatosi<br />

con particolare virulenza negli anni ‘50 contro i lavoratori, gli<br />

aderenti alla Cg<strong>il</strong> e al Pci fino al licenziamento per rappresaglia.<br />

Il nostro patrimonio <strong>di</strong> lotta è nella storia del movimento operaio,<br />

ma esso non è mai stato, in questi anni durissimi, terroristico.<br />

Di lotte durissime e anche accese, sì! Ma non un bullone<br />

né altra arma impropria o propria è mai apparsa nelle nostre<br />

mani" E più avanti si riba<strong>di</strong>sce: "Non abbiamo mai sparato a un<br />

capo, o picchiato" E ancora : "e quando <strong>il</strong> padronato e <strong>il</strong> governo<br />

ci attaccarono con la politica della ‘riconversione industriale’<br />

attuando licenziamenti in massa noi rispondemmo con la lotta<br />

ma anche con le conferenze <strong>di</strong> produzione ...’<br />

Tanto “la Stampa” che “l’Unità” danno grande r<strong>il</strong>ievo a questa<br />

“lettera aperta” <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> licenziati per rappresaglia degli<br />

anni ‘50, <strong>di</strong> tre pagine fitte <strong>di</strong> memoria ed analisi. (...) - novembre<br />

1979 –<br />

Adriano Bellone, Uomini fabbrica e potere. Storia<br />

dell’Associazione nazionale perseguitati e licenziati per<br />

rappresaglia politica e sindacale, 1987, pg.6.<br />

6. “(...) Chi sono questi sessantuno? In maggioranza operai che<br />

hanno fatto parte <strong>di</strong> gruppi dell’estrema sinistra, Potere Operaio<br />

o Lotta Continua, leader delle lotte degli anni’70, qualcuno già<br />

entrato nel terrorismo, altri ai suoi margini. Per la sinistra e-<br />

26


strema del Movimento i sessantuno non sono dei terroristi né<br />

suoi complici: sono dei coraggiosi m<strong>il</strong>itanti comunisti che rifiutano<br />

<strong>il</strong> lavoro capitalistico. Per <strong>il</strong> sindacato sono i gran<strong>di</strong> rompiscatole<br />

e provocatori che da anni mettono <strong>il</strong> bastone tra le ruote<br />

in fabbrica e fuori. Il sindacato li ha denunciati segretamente,<br />

ma non può accogliere con approvazione esplicita <strong>il</strong> loro licenziamento.<br />

Chi la fa l’aspetti, è <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> <strong>di</strong>re. La Fiat ha preso <strong>il</strong><br />

sindacato in contropiede: se lascia passare i licenziamenti perde<br />

cre<strong>di</strong>b<strong>il</strong>ità, se <strong>di</strong>fende i licenziati si contrad<strong>di</strong>ce, ammette che<br />

hanno in parte ragione.<br />

Per la <strong>di</strong>rezione Fiat quei sessantuno sono soprattutto un segnale<br />

<strong>di</strong> svolta: la grande ristrutturazione della fabbrica è in notevole<br />

parte compiuta. Se si continua con una produttività bassissima<br />

l’avvenire dell’azienda è compromesso; bisogna cambiare<br />

registro, tornare alla <strong>di</strong>sciplina dell’età vallettiana, togliere al<br />

sindacato gli spazi troppo gran<strong>di</strong> che si è conquistato e schiacciare<br />

la contestazione violenta. (...)”<br />

Giorgio Bocca , Gli anni del terrorismo, capitolo<br />

Terrorismo e fabbriche, 1988, pg 209.<br />

7. “(...)La Fiat , la più grande azienda privata italiana, rischiava<br />

d’esser condotta al <strong>di</strong>sastro, nonostante tutti i nostri sforzi per<br />

razionalizzarla, per ammodernarla, per tagliare i rami deboli.<br />

Sforzi inut<strong>il</strong>i, se prima non si metteva un alt alla <strong>di</strong>sgregazione<br />

interna e non si affrontava <strong>il</strong> problema della scarsa produttività<br />

e dell’enorme peso della manodopera. (...) Ma poteva mollare<br />

anche la linea più alta, non soltanto quella dei capisquadra o<br />

dei capiofficina. E sa perché non ha mollato? Perché dopo<br />

l’omici<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Ghiglieno abbiamo preso quel provve<strong>di</strong>mento che<br />

s’era già stab<strong>il</strong>ito <strong>di</strong> prendere.(...) All’inizio , avevamo in<strong>di</strong>viduato<br />

circa duecento violenti da allontanare (...) Alla fine risultarono<br />

sessantuno, ma potevano anche essere sessanta o settanta.<br />

(...) La prova che avevamo colpito giusto e che gli operai<br />

erano stanchi <strong>di</strong> questo clima in fabbrica, la si ebbe subito: lo<br />

sciopero indetto dalla FLM per protestare contro i licenziamenti<br />

fu un fallimento. (...)<br />

27


Di lì a poco prese <strong>il</strong> via una serie <strong>di</strong> provve<strong>di</strong>menti poco conosciuti:<br />

<strong>il</strong> licenziamento sistematico <strong>di</strong> centinaia e centinai <strong>di</strong> assenteisti.<br />

Parlo <strong>di</strong> licenziamenti in<strong>di</strong>viduali, a norma <strong>di</strong> contratto.<br />

Quest’operazione durò mesi, sino all’autunno dell’80, al<br />

momento della grande crisi.(...)<br />

C’era chi sosteneva <strong>di</strong> abbassare <strong>il</strong> tiro. Io sostenevo: no, bisogna<br />

andare avanti, siamo appena agli inizi, bisogna arrivare a<br />

qualche decisione sui gran<strong>di</strong> numeri, altrimenti l’azienda non ce<br />

la farà a tirarsi su dal pozzo.”<br />

ve<strong>di</strong> anche:<br />

Così Cesare Romiti, nel libro-intervista <strong>di</strong><br />

Giampaolo Pansa, Questi anni alla Fiat, 1989.<br />

Bianca Guidetti Serra, Le schedature Fiat , Rosemberg & Sellier,<br />

1984.<br />

Giorgio Ghezzi, Processo al sindacato, De Donato, 1981.<br />

Quale giustizia, n°51, 1979.<br />

Coor<strong>di</strong>namento cassaintegrati, L’altra faccia della Fiat, Erre<br />

Emme, 1990<br />

D. Giachetti, G. Polo, R. Renzacci, M. Revelli, Cento…e uno<br />

anni <strong>di</strong> Fiat. Dagli Agnelli alla General Motors, 2000.<br />

………….<br />

28


2. Volantino <strong>di</strong>stribuito alle Presse<br />

<strong>di</strong> Rivalta – 300 copie<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Sono uno <strong>di</strong> quelli che la Fiat ha sospeso. Secondo me la Fiat<br />

sa <strong>di</strong> mentire, con queste accuse generiche. Ha bisogno <strong>di</strong> capri<br />

espiatori. Vuole dare in pasto all’opinione pubblica un ‘nemico’<br />

visib<strong>il</strong>e perchè sarebbe troppo lungo e spiacevole spiegare la<br />

sua politica azicndale <strong>di</strong> questi anni e questa fretta sospetta con<br />

cui nel bel mezzo <strong>di</strong> questa crisi, riven<strong>di</strong>ca i suoi <strong>di</strong>ritti.<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Quando in<strong>di</strong>vidua in una minoranza <strong>di</strong> lavoratori ‘cattivi’<br />

- da licenziare o da reprimere in qualche modo - la parte<br />

malata della forza lavoro. Si è trovata in <strong>di</strong>fficoltà con i<br />

precedenti licenziamenti, non ha avuto sod<strong>di</strong>sfazione dalla magistratura<br />

rispetto ai ‘blocchi dei cancelli’, vuole insomma crearsi<br />

un rapporto <strong>di</strong> forza da cui trattare.<br />

Il suo obiettivo vero non sono quei vecchi o nuovi operai che si<br />

ribellano alla <strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> fabbrica. La Fiat vuole colpire <strong>il</strong> movimento<br />

sindacale, i suoi spazi <strong>di</strong> contrattazione, ‘la libertà <strong>di</strong><br />

parola, <strong>di</strong> lotta’ nelle fabbriche (<strong>di</strong> cui se mai se ne usa troppo<br />

poco) <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> sciopero riconosciuto dalla Costituzione. Sa <strong>di</strong><br />

non essere la sola a consigliare rime<strong>di</strong> drastici per i lavoratori,<br />

basta leggere i giornali...<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Quando parla <strong>di</strong> “comportamenti incompatib<strong>il</strong>i” (solo<br />

perchè avvengono all’interno della fabbrica). Ma se tutto quanto<br />

nuoce in Fiat avviene invece fuori, nella società, allora è<br />

sopportab<strong>il</strong>e, se avviene in qualche paese sudamericano è perfettamente<br />

lecito!, Quando si tratta <strong>di</strong> fare affari la stessa Fiat<br />

‘non guarda in faccia a nessuno’ – delinquenti o gor<strong>il</strong>la fascisti<br />

vanno bene, <strong>il</strong> denaro non ha odore.<br />

Abbiano detto sovente che la Fiat mancava <strong>di</strong> responsab<strong>il</strong>ità<br />

verso i nuovi assunti, eppure non può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> non averli selezionati<br />

accuratamente – più della metà scartati, con la scusa<br />

30


delle visite me<strong>di</strong>che. Eppure è sempre lei che li ha inseriti in un<br />

contesto produttivo dove da anni aveva intenzionalmente scelto<br />

la strada della manica larga, del lasciare andare. Anche per<br />

questo non pare altro che una provocazione, e ben costruita!<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Vuole i giovani<br />

che siano rassegnati come i vecchi, accetta le donne – ma devono<br />

stare zitte altrimenti le rispe<strong>di</strong>sce a casa – assume gli autonomi<br />

ma a con<strong>di</strong>zione che se la prendano col sindacato, gli ex<br />

carcerati ma devono subire i ricatti pena la per<strong>di</strong>ta del posto <strong>di</strong><br />

lavoro e nuove grane con la giustizia, gli hippjes, perchè no...<br />

ma devono venire a lavorare tutti i giorni, produce malati e invali<strong>di</strong>,<br />

ma chiede che li prenda in carico lo stato. Insieme a tanti<br />

altri vorrebbe farci appoggiare la politica dei sacrifici a senso<br />

unico e che fossimo anche felici.<br />

Dopo tutto questo, vorrebbe che ci scannassimo fra <strong>di</strong> noi –<br />

‘buoni’ contro ‘cattivi’.<br />

Non è fra noi che siamo incompatib<strong>il</strong>i, anche se esistono profonde<br />

<strong>di</strong>visioni politiche e culturali! Lo abbiamo <strong>di</strong>mostrato presentando<br />

a settembre la richiesta della conservazione del posto <strong>di</strong><br />

lavoro per un operaio colpito dal confino: <strong>il</strong> lavoro è un <strong>di</strong>ritto!<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Quando parla <strong>di</strong> danni morali e materiali! Abbiamo<br />

sempre cercato la lotta <strong>di</strong> massa ed <strong>il</strong> <strong>di</strong>battito, criticato le scorciatoie<br />

e gli scioperi imposti. Abbiamo sempre denunciato le cause<br />

<strong>di</strong> ogni problema sovente prima che <strong>di</strong>ventassero esplosivi.<br />

E la Fiat che ha fatto? Si è messa da parte, preparandosi a ‘fare<br />

la vittima’!. Quando comincerà a pagare i danni causati<br />

dall’immigrazione, dall’organizzazione del lavoro, dalla alienazione<br />

in cui si lavora e si vive, dai rumori, ritmi, infortuni, orari<br />

como<strong>di</strong> a lei?<br />

Se aspettiamo la Fiat, mai! Infatti senza farci <strong>il</strong>lusioni sull’intervento<br />

<strong>di</strong>vino abbiamo praticato la lotta <strong>di</strong> massa e la vig<strong>il</strong>anza<br />

ed <strong>il</strong> controllo – quando siamo riusciti ad esercitarli – soli strumenti<br />

che <strong>di</strong>fendevano la salute, <strong>il</strong> salario, i <strong>di</strong>ritti sindacali.<br />

31


Ma la Fiat, come la DC, non accetta <strong>di</strong> essere processata, tanto<br />

meno <strong>di</strong> risarcire i danni morali e materiali! Ve<strong>di</strong> la fine del processo<br />

<strong>di</strong> Napoli per le schedature <strong>di</strong> massa degli anni ‘50 (l’epurazione<br />

– <strong>di</strong> noi 61 – è stata richiesta anche in sede sindacale).<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Quando parla <strong>di</strong> “destab<strong>il</strong>izzazione”, secondo lei provocata<br />

dalle azioni <strong>di</strong> quei settori minoritari ampiamente inf<strong>il</strong>trati da<br />

parte dei corpi separati dello stato. Azioni <strong>di</strong> se<strong>di</strong>cente giustizia<br />

(in<strong>di</strong>viduale) a nome della classe operaia.<br />

La destab<strong>il</strong>izzazione è quella provocata dalla lotta interna alla<br />

borghesia, dalla concorrenza ‘con’ le altre multinazionali e dalla<br />

strategia <strong>di</strong> ristrutturazione che ne deriva all’interno della <strong>di</strong>visione<br />

internazionale del lavoro e quin<strong>di</strong> all’interno del ciclo Fiat.<br />

Scorpori, trasferimenti, licenziamenti – ora <strong>di</strong> una minoranza e<br />

poi a livello <strong>di</strong> massa: questo è <strong>il</strong> vero motivo della paura che<br />

assale operai, impiegati, capi.<br />

La Fiat ha bisogno della paura, per imporre straor<strong>di</strong>nari, cottimi<br />

in<strong>di</strong>viduali come <strong>il</strong>lusori rime<strong>di</strong>.<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Quando parla <strong>di</strong> ‘correttezza e buona fede’! Perché non<br />

vuole firmare <strong>il</strong> contratto nazionale? Se ha ragione, perché adopera<br />

la violenza <strong>di</strong> questa rappresaglia <strong>sotto</strong> la copertura dello<br />

Stato? (Ve<strong>di</strong> reparti speciali della forza pubblica a Torino).<br />

Se ha ragione, se è in buona fede, se sa <strong>di</strong> avere la maggioranza<br />

dei lavoratori, perché usa questo sistema – <strong>il</strong> ‘blitz’? Crede<br />

forse che siano passate le manovre <strong>di</strong> quelle forze politiche che<br />

pur facendo parte della sinistra hanno cercato <strong>di</strong> convincere i<br />

lavoratori che essi stessi lavoratori sono lo stato e chiunque non<br />

si identifica con lo stato è un terrorista?<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Quando si copre <strong>di</strong>etro la falsa immagine <strong>di</strong> “parte più<br />

produttiva della nazione”, isola felice in una società profondamente<br />

ferita dallo “sv<strong>il</strong>uppo” che le ha consentito <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />

una multinazionale! Che cosa crea la Fiat? Diciamolo chiaro,<br />

32


come la maggior parte dell’industria, produce merci sovente inut<strong>il</strong>i<br />

e quasi sempre dannose, sia per i criteri <strong>di</strong> progettazione,<br />

per l’uso che se ne farà, per lo spreco <strong>di</strong> forza lavoro, <strong>di</strong> energia,<br />

<strong>di</strong> capitale. Parla <strong>di</strong> morale, ma non ne ha quando decide<br />

le norme <strong>di</strong> sicurezza, quando si preoccupa <strong>di</strong> ritardarne<br />

l’applicazione a fini <strong>di</strong> basso lucro: pren<strong>di</strong>amo la ‘circolazione<br />

dei veicoli’…negli anni ‘50, certo si crepava prevalentemente<br />

sul lavoro e adesso nella grande fabbrica sono <strong>di</strong>minuiti gli infortuni<br />

mortali… in compenso ci sono 15.000 morti l’anno sulle<br />

strade (una piccola guerra <strong>di</strong> cui nessuno si vuol prendere la responsab<strong>il</strong>ità).<br />

Chi è che spinge per le centrali nucleari in Italia,<br />

per non cambiare le scelte <strong>di</strong> fondo <strong>il</strong>ludendosi che l’energia<br />

nucleare supplisca alla mancanza <strong>di</strong> responsab<strong>il</strong>ità sociale?<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Quando parla <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne produttivo! E’ giusto che si lavori,<br />

che si riducano i lavori improduttivi, ma la Fiat parla <strong>di</strong> ben altro.<br />

La sua è la volontà <strong>di</strong> continuare … a sfruttarci. Fa <strong>il</strong> suo<br />

mestiere. Da Parigi, dal suo nero grattacielo nel quartiere delle<br />

multinazionali, ci vede come piccoli burattini, numeri <strong>di</strong> cartolina.<br />

Sulle nostre spalle sperimenta tecniche <strong>di</strong> produzione e<br />

prodotti, noncurante delle conseguenze che provoca su tutto <strong>il</strong><br />

paese e nel mondo. L’abbiamo visto fare a Seveso dalla Roche…<br />

A Torino la Fiat fa la gran signora, imitando le vecchie<br />

maniere della famiglia Agnelli, ma è la stessa Fiat che si appoggia<br />

ai gor<strong>il</strong>la fascisti in Sudamerica.<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Dice <strong>di</strong> avere a cuore gli interessi dei capi. E’ da lei che si<br />

devono <strong>di</strong>fendere, dalle sue manipolazioni, non dagli operai! A<br />

Torino, in fabbrica, si vive <strong>sotto</strong> la minaccia, <strong>di</strong>ce, ma ce l’ha<br />

con quanti senza minacciare <strong>di</strong>scutono senza pregiu<strong>di</strong>zi, ha<br />

paura <strong>di</strong> una saldatura dei capi con gli operai, degli operai con<br />

la città.<br />

Chi ragiona con “la testa Fiat” è una minoranza anche nei capi,<br />

vuole farla <strong>di</strong>ventare maggioranza. Gli stessi capi ammettono<br />

che è questione <strong>di</strong> generazioni, altro che sognare gli anni ‘50 e<br />

33


per poche lire in più degli operai! Ma quale può essere ormai <strong>il</strong><br />

potere lasciato ai capi? Perfino la produzione è ormai r<strong>il</strong>evata<br />

da sistemi automatici, guidata dal calcolatore e dagli ‘umori del<br />

mercato’, gruppi <strong>di</strong> operai cominciano ovunque ad assumere<br />

responsab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> spezzoni <strong>di</strong> apparato produttivo… Non ci sono<br />

basi reali per la nostalgia, è pura propaganda.<br />

Come tratta i capi la Fiat lo si vede quando sollecitano provve<strong>di</strong>menti<br />

antinfortunistici seri e non pseudo soluzioni in<strong>di</strong>viduali:<br />

“C’è tempo- <strong>di</strong>ce- pensate a produrre e mandate avanti!”<br />

La verità è che siamo ormai tutti a budget: quando è ora, l’azienda<br />

non guarda in faccia a nessuno e sbaracca tutto (macchinari,<br />

operai, capi). Il fatto è che i capi non si sono ancora<br />

decisi a lottare a fianco degli operai… e noi da un po’ <strong>di</strong> tempo<br />

abbiamo dato prova <strong>di</strong> poca fiducia nelle nostre forze.<br />

LA FIAT MENTE!<br />

Quando gioca sul timore, sulla paura e <strong>il</strong> desiderio <strong>di</strong><br />

pace. Come tutti i monopoli, come tutte le multinazionali ha<br />

sempre avuto una sola esigenza: espandersi e fare più profitti. A<br />

costo <strong>di</strong> chiudere aziende sane e far fallire chi non accetta le<br />

sue con<strong>di</strong>zioni. A costo, prima o poi, <strong>di</strong> esportare automob<strong>il</strong>i<br />

<strong>di</strong>etro la scia dei carri armati tricolore. Da luglio si rifiuta <strong>di</strong> firmare<br />

<strong>il</strong> contratto, vuole altre garanzie, cambiali in bianco dal<br />

sindacato ma soprattutto dai lavoratori. Ogni due mesi aumenta<br />

i prezzi <strong>di</strong> listino senza chiedere permesso. La Fiat è la legge!<br />

Se a questo punto vogliamo usare la parola ‘ criminali’ non devono<br />

essere gli operai i primi ad essere messi <strong>sotto</strong> accusa, specialmente<br />

in questo paese ‘più libero del mondo’ dove a <strong>di</strong>eci<br />

anni da Piazza Fontana ve<strong>di</strong>amo ancora in TV – dentro e fuori<br />

del ‘processo’ – le facce sorridenti dei complici e dei mandanti.<br />

EPPURE IL PADRONATO CI RIPROVA: abbiamo imparato da<br />

questi <strong>di</strong>eci anni? Dimostriamolo.<br />

NESSUN LICENZIATO! Unità <strong>di</strong> tutti i lavoratori! Lotta<br />

articolata! No al polverone/ Assemblee.<br />

piero baral<br />

cicl. in proprio, a cura del Collettivo l’asinistra<br />

10/10/‘79, via Rochis, 3- Pinerolo<br />

34


Fiat Auto S.p.A:<br />

9.11.1979<br />

Egregio Signore,<br />

Seconda lettera <strong>di</strong> licenziamento<br />

36<br />

Egregio Sig.<br />

Piero Baral<br />

Via Santorre <strong>di</strong> Santarosa 22<br />

Pinerolo (Torino)<br />

considerato che <strong>il</strong> Decreto 8/11/79 emesso dal Pretore <strong>di</strong> Torino<br />

si fonda sulla ritenuta nullità del negozio-licenzia-mento per<br />

violazione della forma convenzionale stab<strong>il</strong>ita dal Contratto<br />

Collettivo, al fine <strong>di</strong> rinnovare le procedure, secondo le forme<br />

in<strong>di</strong>cate, con la presente le comunichiamo la revoca del licenziamento<br />

intimatole con nostra del 17.10.79 per <strong>il</strong> ritenuto vizio<br />

formale.<br />

Ciò premesso le contestiamo i seguenti comportamenti che costituiscono<br />

trasgressione agli obblighi contrattuali <strong>di</strong> legge:<br />

- Avere nei giorni 29 e 30879 come successivamente emerso,<br />

abbandonato arbitrariamente <strong>il</strong> posto <strong>di</strong> lavoro.<br />

- Avere fornito una produzione insufficiente con autoriduzione<br />

della prestazione lavorativa da Maggio a Settembre 1979<br />

e, in particolare modo, nei mesi <strong>di</strong> Luglio e Settembre<br />

- Avere <strong>di</strong>ffamato rappresentanti della Direzione Aziendale<br />

nel mese <strong>di</strong> Giugno 1979 attraverso scritti <strong>di</strong>ffusi all’interno<br />

dello Stab<strong>il</strong>imento<br />

- Avere tenuto, come successivamente emerso, un comportamento<br />

minaccioso e violento durante le manifestazioni<br />

sindacali del giorno 12/4/79 e del giorno 9/7/79 nel quale si<br />

mostrava armato <strong>di</strong> bastoni ed intimi<strong>di</strong>va altri lavoratori affinchè<br />

sospendessero l’attività lavorativa.<br />

- Avere, facendo parte <strong>di</strong> un gruppo, tradotto all’interno dello<br />

Stab<strong>il</strong>imento atteggiamenti nei confronti delle gerarchie aziendali<br />

e dei rappresentanti sindacali, sistemi, meto<strong>di</strong> intimidatori<br />

e violenti <strong>di</strong> lotta, <strong>di</strong> eversione dell’organizzazione


aziendale, partecipando altresì a episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> intimidazione e<br />

violenza riconducib<strong>il</strong>i al gruppo stesso.<br />

Ella potrà presentare le sue giustificazioni, anche verbalmente,<br />

con l’eventuale assistenza <strong>di</strong> un rappresentante sindacale, entro<br />

5 giorni dalla data <strong>di</strong> ricezione della presente, presso l’AMMA –<br />

Via Vela 17, Torino.<br />

In relazione alla gravità delle mancanze sopra contestate, abbiamo<br />

<strong>di</strong>sposto la sua sospensione cautelare non <strong>di</strong>sciplinare<br />

con effetto imme<strong>di</strong>ato, ai sensi del vigente Contratto Collettivo.<br />

Distinti saluti<br />

La Direzione<br />

Commento<br />

Non avendo fatto ricorso non conosco alcuni particolari contestati.<br />

- L’abbandono del posto <strong>di</strong> lavoro consiste in brevi ritar<strong>di</strong> nel<br />

rientrare in linea dopo le pause – mi recavo a raccogliere<br />

firme per un operaio inviato al confino, per la <strong>di</strong>fesa del suo<br />

posto <strong>di</strong> lavoro<br />

- La riduzione della produzione è l’unico fatto reale, praticata<br />

da molti giovani e vecchi. Peccato che non ci fossero contestazioni<br />

tempestive da parte della gerarchia e si intervenisse<br />

solo dopo mesi<br />

- La <strong>di</strong>ffamazione non esiste, solo un breve articolo ironico<br />

sul responsab<strong>il</strong>e della sicurezza delle Presse chiamato Supermanichette<br />

e apparso sul ‘Bollettino interno Presse’ che<br />

curavo – testo scritto e siglato da un giovane lavoratore<br />

- La violenza è inesistente – Il fatto <strong>di</strong> apr<strong>il</strong>e non mi è noto,<br />

quello <strong>di</strong> luglio è un intervento per invitare alcuni lavoratori<br />

delle Presse che avevano ripreso anticipatamente <strong>il</strong> lavoro<br />

durante uno sciopero, perché partecipassero a una importante<br />

assemblea davanti alla Palazzina. Battei con un bastone<br />

sul tavolo <strong>di</strong> lamiera in coda a una Pressa per richiamare<br />

l’attenzione.<br />

- Ero iscritto CGIL, non facevo parte del Collettivo operaio <strong>di</strong><br />

Rivalta, vicino all’Autonomia, cui si riferisce la lettera della<br />

<strong>di</strong>rezione. Per <strong>il</strong> resto tutto fumo denigratorio.<br />

(piero baral)<br />

37


3. IL FONDO DEL BARILE<br />

Opuscolo<br />

sui licenziamenti dei 61 della Fiat<br />

a cura dell’asinistra (1979)<br />

“Mentre i terroristi giocano a ‘destab<strong>il</strong>izzare’ e indebolire lo sta-<br />

to, noi operai ve<strong>di</strong>amo lo stato, più forte che mai, imporci con<br />

la sua mano pesante tasse e prezzi più cari e sacrifici; mentre<br />

costoro terroristi <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> ‘indebolire <strong>il</strong> comando <strong>di</strong> fabbrica’<br />

noi operai ve<strong>di</strong>amo in fabbrica crescere ritmi, licenziamenti,<br />

multe, <strong>di</strong>soccupazione.<br />

Non ci <strong>di</strong>fendono in <strong>niente</strong> nelle nostre con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vita, non<br />

possono <strong>di</strong>re <strong>di</strong> rappresentare i nostri interessi”.<br />

GLI OPERAI LICENZIATI-FIAT RIVALTA<br />

C’E’ QUALCOSA DI NUOVO<br />

OGGI NEL SOLE… ANZI D’ANTICO<br />

Sì, tutto è stato preceduto da un’accurata preparazione attraverso<br />

la stampa e la TV con <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> uomini politici,<br />

industriali, <strong>di</strong>rigenti sindacali.<br />

Si comincia durante <strong>il</strong> cosiddetto governo <strong>di</strong> unità nazionale<br />

quando la politica dei sacrifici trovava appoggi nella sinistra,<br />

Le frasi che una volta ci facevano sghignazzare perché dette da<br />

loro signori venivano (allora come oggi) pronunciate anche da<br />

esponenti della sinistra. Anche per questo cominciavano a trovare<br />

appoggio tra i lavoratori.<br />

EPPURE NON E’ CAMBIATO NIENTE.<br />

39


Eravamo sì nella stessa barca, ma noi a remare, lor signori a<br />

battere <strong>il</strong> tempo.<br />

Anzi era successo qualcosa <strong>di</strong> più grave. Lor signori davano solo<br />

più gli or<strong>di</strong>ni, qualcun altro si incaricava timidamente <strong>di</strong> imparare<br />

a battere <strong>il</strong> tempo.<br />

Lor signori continuavano come prima, anzi più <strong>di</strong> prima a non<br />

pagare le tasse. Avevano cominciato a piantare <strong>il</strong> dente nel tenero,<br />

visto che trovavano vali<strong>di</strong>, qualificati e autorevoli alleati<br />

nelle f<strong>il</strong>a della classe operaia. Str<strong>il</strong>lavano che le sacre leggi del<br />

mercato dovevano essere rispettate, che le industrie dovevano<br />

tornare ad essere competitive. Agitavano lo spauracchio della<br />

bancarotta e della chiusura. Bisognava che i lavoratori occupati<br />

si mettessero sull’attenti, se davvero volevano evitare che le<br />

fabbriche finissero <strong>sotto</strong> <strong>il</strong> controllo dello Stato, sinonimo <strong>di</strong> inefficienza<br />

e corruzione. CONTEMPORANEAMENTE, STRA-<br />

NO MA VERO, non <strong>di</strong>sdegnavano i regali che lo stato e i governi<br />

facevano loro, <strong>sotto</strong> forma <strong>di</strong> fiscalizzazione degli oneri<br />

sociali (= meno tasse). UNA PIOGGIA DI MILIARDI RA-<br />

STRELLATI DALLE TASCHE DEI LAVORATORI ATTRE-<br />

VERSO L’AUMENTO DELLE TARIFFE E DEI PREZZI AF-<br />

FLUIVANO ALLEGRAMENTE NELLE TASCHE DEGLI IN-<br />

DUSTRIALI.<br />

“FIAT: SE NON SI FRENA IL CAOS CHIUDEREMO”<br />

Gazzetta del Popolo, 12 ottobre 1979<br />

Il terrorismo interveniva poi pesantemente in soccorso dei padroni<br />

e del governo. Moro, ucciso dalle BR, da capo <strong>di</strong> un<br />

partito <strong>di</strong> ladri che era, veniva santificato e promosso ad<br />

esempio. Noi sostenemmo che non sarebbe bastato <strong>il</strong> sangue <strong>di</strong><br />

Moro a cancellare le colpe storiche della DC e dello stato<br />

democristiano.<br />

Dal movimento <strong>di</strong> opposizione nacque lo slogan: né con le BR,<br />

né con lo Stato, subito accusato <strong>di</strong> promuovere l’in<strong>di</strong>fferenza e<br />

<strong>il</strong> <strong>di</strong>sarmo morale.<br />

Un po’ ingenuo nella sua semplicità, in effetti prendeva atto del<br />

riconoscimento che ambedue i guerriglieri (Stato e BR) si erano<br />

scambiati <strong>di</strong> ruolo, sulla testa e con l’esclusione dei lavoratori.<br />

40


Facevano a gara l’uno in brutalità omicida, l’altro in involuzione<br />

autoritaria e repressiva. Correggendo quello slogan in CON-<br />

TRO QUESTO STATO, CONTRO LE BR, sapevamo benissimo<br />

<strong>di</strong> ridurci a minoranza. Eravamo e restiamo convinti che questo<br />

stato non può battere le BR, non perché non ne abbia la forza,<br />

ma perché non gli interessa, Con le loro azioni <strong>di</strong>sperate i brigatisti<br />

legittimano la repressione del <strong>di</strong>ssenso, le leggi liberticide,<br />

l’arroganza del potere, la ricomposizione <strong>di</strong> un fronte reazionario<br />

che miete proseliti anche tra i lavoratori. I QUALI POI NE<br />

FANNO REGOLARMENTE LE SPESE, TANTO PER CAM-<br />

BIARE, IN TERMINI DI LIBERTA’ E DI POTERE NELLA FAB-<br />

BRICA E NELLA SOCIETA’.<br />

IL TERRORISMO IN FIN DEI CONTI FA COMODO AI PA-<br />

DRONI.<br />

Può costare la vita a <strong>di</strong>rigenti industriali, giornalisti, uomini politici,<br />

magistrati. In compenso alimenta una domanda <strong>di</strong> stato<br />

forte nella quale <strong>il</strong> potere costruisce la sua fortuna e la sicurezza<br />

del suo futuro.<br />

Nel frattempo una parte della sinistra, per crearsi attestati <strong>di</strong> merito<br />

nei confronti <strong>di</strong> lor signori non esita a <strong>di</strong>re che “la classe operaia si<br />

è fatta stato” e che “chi è contro questo stato è con le BR”, dando<br />

così la possib<strong>il</strong>ità a lor signori <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che chi non è d’accordo con<br />

le porcherie <strong>di</strong> questo stato è un potenziale terrorista.<br />

FIAT: LA VOLONTA’ DI CONTINUARE<br />

Come <strong>il</strong> cacio sui maccheroni sono piombati i licenziamenti alla<br />

Fiat. La Fiat racconta in giro che questo era l’unico metodo che<br />

le restava per farla finita con <strong>il</strong> terrorismo e i suoi fiancheggiatori<br />

annidati nelle fabbriche.<br />

In realtà la Fiat sa benissimo che questa manovra non servirà a<br />

colpire <strong>il</strong> terrorismo. Al contrario, caso mai, è un invito a nozze<br />

rivolto a BR e soci concorrenti per inaugurare una nuova campagna<br />

<strong>di</strong> fuoco e <strong>di</strong> sangue.<br />

Un invito al crimine che regala alle formazioni armate una patente<br />

<strong>di</strong> giustizieri e <strong>di</strong>fensori del proletariato che nessuno gli<br />

aveva r<strong>il</strong>asciato.<br />

41


Un incentivo al reclutamento e all’espansione della clandestinità<br />

e della lotta armata.<br />

Da sempre la Fiat ha fondato <strong>il</strong> suo potere e i suoi profitti sulla<br />

pelle <strong>di</strong> operai morti ammazzati dalle fatalità del lavoro salariato:<br />

morti mai degni <strong>di</strong> conquistare le prime pagine dei giornali.<br />

Oggi è chiaro come <strong>il</strong> <strong>sole</strong>: sulla vita e sul sangue <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigenti assassinati<br />

dal piombo BR la Fiat vuole spregiu<strong>di</strong>catamente speculare<br />

per imporre <strong>di</strong> brutto <strong>il</strong> ritorno ai più tranqu<strong>il</strong>li tempi <strong>di</strong><br />

Valletta.<br />

Se ne rendono conto i capi che vanno a “La Stampa” a fare <strong>di</strong>chiarazioni<br />

come questa?<br />

“Cerchiamo <strong>di</strong> fare <strong>il</strong> nostro dovere; siamo lavoratori<br />

come tutti gli altri”<br />

(La Stampa, 12 ottobre 1979)<br />

In compenso i 61 licenziati si trovano in<strong>di</strong>ziati come i rappresentanti<br />

clandestini del terrorismo in fabbrica. Colpendo i 61 la<br />

Fiat non vuole liberarsi degli “ultimi comunisti”, ma vuole dare<br />

una lezione a tutti gli altri. Vuole liquidare i poteri del movimento<br />

sindacale.<br />

Con la repressione in doppiopetto vuol sopprimere poco alla<br />

volta <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto alla lotta e all’opposizione operaia nei reparti.<br />

Vuole <strong>di</strong>struggere quanto resta <strong>di</strong> un sindacato dei consigli già<br />

guastato da anni <strong>di</strong> politica dell’austerità e dei sacrifici a senso<br />

unico; impegnato più che a organizzare le lotte e i bisogni della<br />

gente a seminare sfiducia nelle proprie forze e a convincere i<br />

lavoratori a trangugiare la minestra che passa <strong>il</strong> convento.<br />

La Fiat è pronta, ben contenta <strong>di</strong> instaurare un rapporto priv<strong>il</strong>egiato<br />

con questo sindacato. Specialmente se si <strong>di</strong>mostrerà una<br />

volta <strong>di</strong> più <strong>di</strong>sposto a collaborare per la ripresa dell’economia<br />

nazionale (cioè dei profitti), a sostenere la produttività e la competitività,<br />

a fare suoi i valori del mercato e della centralità<br />

dell’impresa.<br />

Naturale che Agnelli pretenda dal sindacato COERENZA con le<br />

passate affermazioni della volontà <strong>di</strong> far piazza pulita dei mostri<br />

nelle fabbriche, come primo passo per <strong>di</strong>sciplinare la conflittualità<br />

entro binari ritenuti sopportab<strong>il</strong>i dalla Fiat.<br />

42


Quin<strong>di</strong> la sfida: o con noi o con <strong>il</strong> terrorismo!!!<br />

C’E’ DELL’ALTRO !<br />

I licenziamenti alla Fiat hanno scatenato la vena dei m<strong>il</strong>le benpensanti<br />

<strong>di</strong> tutta Italia. Contro <strong>il</strong> terrorismo <strong>di</strong>ffuso e cospirativo,<br />

contro l’ingovernab<strong>il</strong>ità delle fabbriche e l’eccessiva conflittualità,<br />

chi più ne ha più ne metta.<br />

In definitiva, detti benpensanti ci rimproverano <strong>di</strong> essere pieni<br />

<strong>di</strong> pretese e <strong>di</strong> priv<strong>il</strong>egi. Tutta gente, ovvio, che la fabbrica l’ha<br />

vista solo per sentito <strong>di</strong>re.<br />

A Giorgio Bocca che su “Repubblica” sostiene che mettere <strong>il</strong> bastone<br />

fra le ruote al mercato e al capitale equivale al sabotaggio<br />

del progresso e della civ<strong>il</strong>tà, fa eco su “La Stampa” Adalberto<br />

Minucci. Adalberto è un prestigioso <strong>di</strong>rigente del movimento operaio<br />

torinese. Eppure in questa occasione usa un linguaggio<br />

tipico del più navigato funzionario della Confindustria…<br />

A Torino <strong>il</strong> mercato del lavoro è proprio saturo? Si è mai presentato<br />

Adalberto al cinema Adriano per constatare le coltellate che<br />

si promettono i <strong>di</strong>soccupati in guerra per un posto <strong>di</strong> lavoro?<br />

In fabbrica è entrata gente “non per lavorare, ma per far casino”?<br />

Ci vogliono presentare un identikit dell’operaio modello?<br />

Quasi come <strong>di</strong>re che, non essendoci più <strong>di</strong>soccupati, <strong>il</strong> povero<br />

Agnelli è stato costretto ad assumere gentaglia da 4 sol<strong>di</strong>, poco<br />

raccomandab<strong>il</strong>e?<br />

Del resto ci pare che nessuno entri in fabbrica e ci resti felice <strong>di</strong><br />

fare l’operaio.<br />

Spesso sono quelli che ci sfruttano e vivono sul nostro lavoro a<br />

chiamarci fannulloni. Del resto anche gli operai fanno carte false<br />

per mandare i loro figli all’Università nella speranza <strong>di</strong> non<br />

assicurargli un futuro da baracchini.<br />

Ma se tutti vogliamo fare i postini, i bidelli, gli impiegati, gli insegnanti,<br />

i vig<strong>il</strong>i urbani, chi lavorerà domani? I NEGRI?<br />

Bisognerebbe rendere la fabbrica più vivib<strong>il</strong>e per la salute e la<br />

<strong>di</strong>gnità degli esseri umani, ma per imporlo ai padroni la strada<br />

è lunga.<br />

L’assenteismo certo non è una forma <strong>di</strong> lotta. Tutt’al più può<br />

andare bene per chi a lottare (e a lavorare) vuol lasciare i soliti<br />

43


fessi. In fondo <strong>il</strong> mondo è fatto dei furbi. E in fondo i furbi che<br />

praticano e teorizzano l’assenteismo come lotta contro<br />

l’organizzazione del lavoro salariato, non contestano né <strong>il</strong> modo<br />

<strong>di</strong> produrre, né <strong>il</strong> contenuto finale, i prodotti spesso inut<strong>il</strong>i e<br />

dannosi alla vita e ai bisogni della gente, ut<strong>il</strong>i solo per i profitti,<br />

consumi impostici dal capitale per tenerci legati al carro della<br />

produzione.<br />

GLI VA BENE DI USARLI,<br />

PURCHE’ A SOFFRIRE PER PRODURLI SIANO ALTRI.<br />

CHI SONO I 61?<br />

Se la Fiat avesse sfoderato l’attacco durante le lotte del contratto<br />

ne avremmo viste delle belle. La scelta dei tempi è un capolavoro:<br />

dopo <strong>il</strong> contratto (che però non è ancora firmato!)<br />

quando i lavoratori sono senza sol<strong>di</strong>, con <strong>il</strong> riscaldamento da<br />

pagare, un sacco <strong>di</strong> problemi.<br />

Ma <strong>il</strong> capolavoro è la scelta dei 61 da buttare fuori. Agnelli voluntas<br />

sua ci ha messo <strong>di</strong> tutto. La miscela preparata dagli uomini<br />

Fiat è esplosiva. Non è fac<strong>il</strong>e ricondurre tutti i licenziati a<br />

un comportamento unitario. Nessuno dei 61 m<strong>il</strong>ita nel PCI o<br />

PSI, ma appartiene a quell’area che si è opposta oltre alle scelte<br />

padronali, anche alla politica dei sacrifici e alla linea dell’EUR.<br />

Una volta colpito <strong>il</strong> settore che aveva minori probab<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> essere<br />

<strong>di</strong>feso con efficacia dalle organizzazioni sindacali e politiche<br />

la Fiat voleva dare una lezione a tutti i lavoratori occupati alla<br />

Fiat. E a coloro che aspirano a <strong>di</strong>ventarlo…<br />

E a dare <strong>il</strong> “la” a tutti i padroni d’Italia…<br />

IL GIOCHETTO E’ RIUSCITO A META’.<br />

Le organizzazioni sindacali dopo momenti <strong>di</strong> incertezze si sono<br />

ricordate che questo è <strong>il</strong> sindacato dei consigli. Ha affermato<br />

che è suo dovere rappresentare fino in fondo tutti quelli che sono<br />

allineati sulle posizioni dei vertici e quelli che vi <strong>di</strong>ssentono.<br />

Gli iscritti e quelli che non lo sono.<br />

Ma fra i 61 le contrad<strong>di</strong>zioni non sono da meno.<br />

C’è chi come attività dentro la Fiat non è andato oltre la semplice<br />

partecipazione agli scioperi. Altri davano un contributo e-<br />

44


stremamente critico alle posizioni sindacali. Altri ancora <strong>di</strong>chiravano<br />

e <strong>di</strong>chiarano la volontà <strong>di</strong> scontrarsi col sindacato, considerato<br />

ormai un puro e semplice organismo <strong>di</strong> controllo sui lavoratori,<br />

una istituzione al servizio della produzione.<br />

Le azioni che possono essere attribuite ai licenziati non sono<br />

però molto al <strong>di</strong> fuori del normale, cioè <strong>di</strong> quello che durante gli<br />

scioperi fanno migliaia <strong>di</strong> altri lavoratori <strong>di</strong> tutte le parrocchie,<br />

dai cortei, ai picchetti, al blocco delle merci.<br />

Evidentemente la Fiat non può attribuire loro nient’altro <strong>di</strong> concreto<br />

anche se minimo. Altrimenti sarebbe stata molto precisa<br />

nelle lettere <strong>di</strong> sospensione, certa che le sue <strong>di</strong>chiarazioni avrebbero<br />

ricevuto in magistratura un’accoglienza <strong>di</strong> tutto rispetto.<br />

Come <strong>di</strong>mostra la recente conclusione del processo per le<br />

schedature.<br />

Un <strong>di</strong>scorso a parte merita <strong>il</strong> 61°, certo Umberto Farioli, condannato<br />

per appartenenza alle brigate rosse, attualmente in libertà<br />

provvisoria. Nessuno né in fabbrica né fuori lo conosceva.<br />

La Fiat l’aveva assunto qualche mese fa.<br />

Adesso mettendolo nel mazzo e parlando <strong>di</strong> terrorismo in fabbrica,<br />

poi negando che ce ne fossero tra i 61, AVVALORA LE<br />

VOCI MESSE IN GIRO.<br />

A noi interessano relativamente le vicende <strong>di</strong> Farioli, però se<br />

uno chiede ed ottiene la libertà provvisoria, ma non ha <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> lavorare, ce lo spiega Agnelli che cosa deve fare?<br />

O forse l’Avvocato vuole che si infoltisca l’esercito dei “desperados”<br />

che sparacchiano qua e là?<br />

“FANNO IL DIGIUNO DINNANZI ALLA FIAT.<br />

Una tenda a pochi metri dal cancello <strong>di</strong> Rivalta.”<br />

“HANNO DECISO LO SCIOPERO DELLA FAME”.<br />

Molti compagni <strong>di</strong> lavoro si sono subito presa la libertà <strong>di</strong> scherzare,<br />

<strong>di</strong> far battute ciniche, <strong>di</strong> paragonarli a Pannella.<br />

Noi siamo d’accordo con Franco che la lotta <strong>di</strong> classe è insostituib<strong>il</strong>e.<br />

Ma quando dalle organizzazioni e dai lavoratori non si<br />

45


fanno strada proposte <strong>di</strong> azioni collettive, l’unica prospettiva<br />

che si offre è <strong>il</strong> sacrificio in<strong>di</strong>viduale.<br />

IL BAMBINO CONTRO IL GIGANTE<br />

Noi siamo d’accordo a piantare le tende, per tenere alta la <strong>di</strong>scussione.<br />

Non solo davanti alle fabbriche, specialmente nei<br />

quartieri, nei paesi, alle fermate dei pulman, ai mercati.<br />

FINO A PROVA CONTRARIA GLI OPERAI IN ITALIA FANNO<br />

IL LORO DOVERE PIU’ DEGLI ALTRI E PRETENDONO I<br />

LORO DIRITTI.<br />

Gli operai intendono far rispettare la loro <strong>di</strong>gnità. Lo dobbiamo<br />

<strong>di</strong>re a tutti e a testa alta.<br />

a cura del Collettivo <strong>di</strong> Informazione<br />

INDESIT E FIAT RIVALTA l’asinistra<br />

TERRORISMO ?…<br />

46


4. BOLLETTINO INTERNO – PRESSE RIVALTA –<br />

N.1 - 5.1.1979<br />

Questi appunti riportano una parte della <strong>di</strong>scussione fatta in<br />

squadra- linea 9- a proposito dei carichi <strong>di</strong> lavoro, delle pause<br />

ed alcune proposte su come recuperare un controllo<br />

sulla mob<strong>il</strong>ità e la <strong>di</strong>stribuzione delle mansioni e delle<br />

categorie. Su quest’ultimo punto ritorneremo in un prossimo<br />

bollettino anche perché prima vorremmo riuscire a fare <strong>il</strong> punto<br />

sullo sciopero ‘contro <strong>il</strong> terrorismo’ mentre è ancora ‘tiepido’.<br />

Alcuni compagni della squadra, adesso che abbiamo cominciato<br />

a far circolare questi appunti, hanno precisato meglio le loro<br />

posizioni (soprattutto rispetto alle categorie) e li invitiamo a<br />

metterle per scritto così che si possa <strong>di</strong>scutere sul serio.<br />

L’ORARIO. Come abbiamo visto, nella piattaforma contrattuale<br />

FLM si parla <strong>di</strong> riduzione orario. Si <strong>di</strong>ce che non sarà generalizzata,<br />

ma solo per particolari settori. Si <strong>di</strong>ce anche che avrà<br />

effetti sull’occupazione: quali? Non <strong>di</strong> sicuro degli effetti ‘automatici’...<br />

Intanto ci interessa parlare non della quantità <strong>di</strong> forza<br />

lavoro occupata ( che sappiamo in costante <strong>di</strong>minuzione a livello<br />

generale) ma della qualità: dove sasranno i nuovi assunti ( e<br />

dove avvengono già oggi le assunzioni), quali sono le con<strong>di</strong>zioni<br />

in cui si lavora ecc.<br />

Come ve<strong>di</strong>amo, la condotta prudente in questo contratto lascia<br />

spazio alla ristrutturazione: non possiamo rimandare al contratto<br />

aziendale i problemi che si stanno aggravando <strong>sotto</strong> i nostri<br />

occhi. Si sa che la Fiat vuole in questo momento concentrare in<br />

poche sezioni del Nord lo stampaggio – a spese non solo della<br />

futura occupazione al SUD... ma <strong>di</strong> quella già esistente nelle sezioni<br />

del Nord Italia. Rivalta è una <strong>di</strong> quelle da potenziare e lo<br />

provano le continue assunzioni: insomma mentre molti si facevano<br />

belli dei ‘risultati positivi della riduzione orario <strong>di</strong> mezz’ora’,<br />

le assunzioni si sono rivelate maggiori del previsto.<br />

In buona parte sono allora giustificate da una <strong>di</strong>versa strategia<br />

della Fiat, che ha preso in contropiede <strong>il</strong> sindacato.<br />

A chi tira in ballo l’ut<strong>il</strong>izzo degli impianti <strong>di</strong>ciamo che non è un<br />

problema del futuro ma è una realtà con cui facciamo i conti tutti i<br />

47


giorni nei reparti. Da questa esperienza abbiamo imparato che <strong>il</strong><br />

risultato è un puro recupero <strong>di</strong> produttività, a spese della forza lavoro...oggi<br />

<strong>di</strong> altre sezioni e domani anche <strong>di</strong> Rivalta.<br />

Detto questo noi non siamo contro l’ut<strong>il</strong>izzo degli impianti, <strong>il</strong><br />

decentramento ed altre cose: siamo contro alla logica che li<br />

guida, quella degli interessi del capitale che non sono certo<br />

quelli della classe operaia!<br />

La ristrutturazione degli anni scorsi ha già permesso <strong>di</strong> ridurre a<br />

soli 400 operai <strong>di</strong> produzione l’organico delle Presse ( compresi i<br />

nuovi assunti), più altri 800 fra manutenzione ed aus<strong>il</strong>iari vari:<br />

totale 1200 contro i duem<strong>il</strong>a che c’erano all’inizio. Facciamo i<br />

conti e ve<strong>di</strong>amo come con meno operai, maggior mob<strong>il</strong>ità interna<br />

e un forte ut<strong>il</strong>izzo degli impianti la sostanza della nostra con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> lavoro non è cambiata. Sia come ambiente <strong>di</strong> lavoro, sia<br />

come potere d’acquisto del salario, che come qualità delle con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>di</strong> vita non abbiamo fatto passi avanti. Chi li ha fatti invece<br />

è chi continua a lamentarsi che dovremmo lavorare <strong>di</strong> più...<br />

Secondo questo punto <strong>di</strong> vista, se si è evitato un peggioramento<br />

alle presse (tutta una serie <strong>di</strong> passaggi <strong>di</strong> categoria non sono<br />

altro che una paga <strong>di</strong> posto – nocività mascherata) è solo perché<br />

si continua a resistere, in vari mo<strong>di</strong>, al quoti<strong>di</strong>ano tentativo<br />

<strong>di</strong> tagliare i tempi e gli organici.<br />

Intanto è bene non farsi troppe <strong>il</strong>lusioni: in assenza <strong>di</strong> un serio<br />

<strong>di</strong>battito in fabbrica si rischia <strong>di</strong> fare solo dei ritocchi marginali<br />

(dopo la riduzione <strong>di</strong> mezz’ora, in cui ha prevalso chi voleva arrivare<br />

a casa prima alla sera rispetto a chi proponeva <strong>di</strong> avvicinare<br />

<strong>il</strong> primo turno all’orario centrale), è più chiaro che non è<br />

possib<strong>il</strong>e far quadrare <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong> turni con le nostre esigenze).<br />

Comunque sembra che basti essere in tanti e poi tutto <strong>di</strong>venta<br />

possib<strong>il</strong>e: i turni <strong>di</strong> notte in meccanica e alle presse non fanno <strong>il</strong><br />

compensativo per recuperare la mezzora. Mentre invece c’è chi<br />

nella FLM se la prende con i picchetti contro lo straor<strong>di</strong>nario...<br />

Succede poi che un operaio per esigenze sue particolari (andare<br />

a trovare la moglie al sud) chiede <strong>di</strong> far straor<strong>di</strong>nario al sabato<br />

in modo da coprire i giorni <strong>di</strong> permesso. Gli rispondono:<br />

“non si può perché poi chissà cosa succede!”.<br />

48


Succede che lo straor<strong>di</strong>nario senza compensativo è permesso se<br />

invece che per la moglie serve per comprarsi la TV a colori, per<br />

cambiare la macchina ecc. Ad<strong>di</strong>rittura c’è chi va in giro a <strong>di</strong>re<br />

che se non facciamo straor<strong>di</strong>nari danneggiamo... la sezione <strong>di</strong><br />

Cassino e quin<strong>di</strong> l’occupazione al sud!<br />

Cretini a parte, è vero che ognuno ha la sua idea <strong>di</strong> come dovrebbe<br />

essere <strong>il</strong> lavoro ed <strong>il</strong> tempo libero: fin che saremo proletari<br />

<strong>sotto</strong> <strong>il</strong> torchio del capitale la nostra situazione non può certo<br />

migliorare per tutti.<br />

Per <strong>il</strong> momento la nostra funzione, come parte <strong>di</strong> classe operaia,<br />

è quella <strong>di</strong> costruire un nostro punto <strong>di</strong> vista non solo sulla<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> fabbrica, ma su quanto produciamo e consumiamo,<br />

e su questa base opporci quoti<strong>di</strong>anamente a chi invece<br />

vive del nostro sfruttamento.<br />

Con una piccola inchiesta abbiamo visto che molti operai anziani<br />

<strong>di</strong>cono: 7 ore <strong>di</strong> lavoro alle Presse sono già fin troppi.<br />

Propongono <strong>di</strong> non recuperare più le fermate. Ci sono varie<br />

proposte: tenere le pause collettive e quin<strong>di</strong> lavorare massimo 7<br />

ore, oppure introdurre pause a scorrimento, per cui si tratta <strong>di</strong><br />

avere ogni 14 operai un sostituto, in modo che tutti abbiano<br />

almeno mezzora <strong>di</strong> pausa (in questo caso le linee funzionano<br />

per 7 ore e mezza).<br />

Fra l’altro la piattaforma contrattuale parla <strong>di</strong> 38 ore settimanali<br />

in alcuni settori, fra cui le presse...<br />

La mob<strong>il</strong>ità interna oggi tiene conto solo delle esigenze produttive<br />

e si viene spostati per tutta l’officina. Bisognerebbe chiarire<br />

quanti operai sono ‘sostituti assenti’ e cioè quale è l’organico <strong>di</strong><br />

produzione su cui vengono impostati i programmi. A questo<br />

punto è possib<strong>il</strong>e fissare dei riferimenti minimi: ad esempio ogni<br />

spostamento significa 10 minuti in meno <strong>di</strong> produzione ecc.<br />

Anche l’uso che la <strong>di</strong>rezione fa delle presse porta ad un peggioramento<br />

delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro, che viene battezzato invece<br />

‘mo<strong>di</strong>fiche tecnologiche’... cosa abbiamo da <strong>di</strong>re qui sopra?<br />

I NUOVI ASSUNTI: benché siano ormai la maggioranza degli<br />

operai in produzione c’è chi pretende <strong>di</strong> ‘inquadrarli’ invece <strong>di</strong><br />

valorizzarli. Sono tutti buttati allo sbaraglio senza alcuna idea <strong>di</strong><br />

cosa sono le presse (basterebbe che si chiedessero <strong>di</strong> dove sono<br />

49


venuti fuori i circa 70 ‘non idonei’ per lesioni alla spina dorsale,<br />

all’u<strong>di</strong>to, dermatosi ecc): non basta certo <strong>di</strong>re loro ‘abbiamo<br />

presentato una lunga f<strong>il</strong>a <strong>di</strong> richieste alla <strong>di</strong>rezione’ !!<br />

Se si vuol fare un passo in avanti rispetto alla pura tattica <strong>di</strong>fensiva<br />

(che ogni operaio anziano si spera si è già premurato <strong>di</strong> far conoscere<br />

ai nuovi assunti) è in<strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>e conoscere le tecniche <strong>di</strong> lavorazione,<br />

le sostanze e le tecnologie impiegate, e i ‘pericoli nascosti’ che la<br />

Fiat pur con tanta propaganda sull’antinfortunistica non ha ancora<br />

degnato finora nemmeno <strong>di</strong> un comunicato.<br />

Dice un <strong>di</strong>rigente <strong>il</strong>luminato: “mettetevi i tappi” !!!<br />

La nostra proposta, su cui ritorneremo, è <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are forme <strong>di</strong><br />

rotazione estese a tutti i nuovi assunti, per conoscere vari aspetti<br />

del lavoro alle presse (compreso <strong>il</strong> sistema a trasferta).<br />

Si dovrebbe ricavare all’interno dell’orario <strong>di</strong> lavoro un monte<br />

ore per questa rotazione che può comprendere anche dei corsi<br />

(<strong>di</strong> cui contenuti e gestione devono essere in mano ai lavoratori).<br />

Questa può essere una strada per aprire in tempi brevi <strong>il</strong> 3° livello<br />

ai nuovi assunti.<br />

Infine un problema spinoso: gli operai in economia fissa: La<br />

Fiat non prende nessuna iniziativa nei loro confronti che non<br />

sia nel senso della emarginazione... anticamera, magari, <strong>di</strong> espulsione<br />

dal processo produttivo della grande fabbrica.<br />

Noi non abbiamo proposte belle e pronte: resta <strong>il</strong> fatto che<br />

dobbiamo trovare insieme sbocchi produttivi, magari a orario<br />

ridotto per questi compagni <strong>di</strong> lavoro ‘spremuti’.<br />

E se riusciamo a renderci conto che al capitale non interessa la<br />

nostra vita se non per ut<strong>il</strong>izzarci come forza lavoro (o come<br />

massa d’uro per ricattare la classe operaia – quel che si chiama<br />

appunto esercito industriale <strong>di</strong> riserva), allora è nostro interesse<br />

‘produrre’ meno invali<strong>di</strong>... e magari anche meno automob<strong>il</strong>i.<br />

Sarebbe bene che in attesa della riduzione delle produzioni più<br />

alte (richiesta dal consiglio <strong>di</strong> fabbrica) non si accettassero come<br />

invece sta succedendo gli aumenti <strong>di</strong> quelle ritenute dalla <strong>di</strong>rezione<br />

troppo basse!<br />

No agli aumenti <strong>di</strong> produzione!<br />

Rivalta, 5-1-79<br />

antonio, cosimo, gerardo, luigi, piero, renato<br />

50


Chi ha delle cose da <strong>di</strong>re trovi <strong>il</strong> modo <strong>di</strong> mettere giù anche poche<br />

righe, ci impegniamo a far circolare tutte le posizioni che<br />

vengono dall’interno della classe operaia (anche se certe volte<br />

ripetono gli slogans dei padroni...).<br />

51


4. Spunti per un <strong>di</strong>battito<br />

sui licenziamenti fiat<br />

Il Collettivo operaio <strong>di</strong> informazione operava alla<br />

Fiat <strong>di</strong> V<strong>il</strong>lar Perosa e contava una ventina <strong>di</strong><br />

aderenti. Furono tutti messi in CIG a zero ore<br />

nell’81 e non rientrarono più. Gli operai della<br />

Fiat <strong>di</strong> V<strong>il</strong>lar avevano aderito alla lotta dell’80<br />

bloccando i cancelli anche se non erano coinvolti<br />

nei licenziamenti decisi dalla Fiat.<br />

COME PARTE L’ATTACCO DELLA FIAT?<br />

Già prima del contratto, un certo tipo <strong>di</strong> organi <strong>di</strong> informazione<br />

<strong>di</strong>ceva che gli operai dovevano fare i sacrifici e che stavano già<br />

troppo bene.<br />

Durante la prima parte del contratto, la Fiat tende a rallentare le<br />

trattative, denuncia alcuni lavoratori, ne licenzia 11.<br />

A luglio, nella fase calda, la Fiat denuncia 300 lavoratori, che<br />

hanno l’unica colpa <strong>di</strong> fare <strong>il</strong> blocco delle merci ai cancelli. In<br />

questo clima <strong>di</strong> tensione, si arriva, pochi giorni prima delle ferie,<br />

alla firma del contratto, grazie sia a questo tipo <strong>di</strong> lotta che<br />

allo sciopero dei portuali. Sciopero richiesto dalla FLM per impe<strong>di</strong>re<br />

che la Fiat importasse le vetture prodotte all’estero e le<br />

vendesse in Italia, rendendo così inut<strong>il</strong>i le centinaia <strong>di</strong> ore <strong>di</strong><br />

sciopero.<br />

COSA SUCCEDE DOPO LE FERIE?<br />

A settembre finiscono le ferie ma non l’attacco della Fiat. A Mirafiori<br />

in carrozzeria vengono introdotte due nuove cabine <strong>di</strong><br />

verniciatura in grado <strong>di</strong> aumentare la produzione. La Fiat <strong>di</strong>cendo<br />

che le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro a Mirafiori sono migliori che<br />

in altri stab<strong>il</strong>imenti <strong>di</strong>minuisce le pause da 112 a 90 minuti, cercando<br />

così <strong>di</strong> annullare i miglioramenti che gli operai <strong>di</strong> Mirafiori,<br />

una delle fabbriche più combattive, hanno conquistato in<br />

50 anni <strong>di</strong> lotta.<br />

I cabinisti entrano in sciopero e la Fiat, pur <strong>di</strong> non cedere su questa<br />

battaglia politica, perde ben 6000 auto, con la mandata a ca-<br />

52


sa <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> operai ogni giorno. Il sindacato in <strong>di</strong>fficoltà non<br />

chiama alla mob<strong>il</strong>itazione tutta la categoria, lasciando che la lotta<br />

se la gestiscano i soli operai della verniciatura e ottiene solo <strong>di</strong><br />

rimandare <strong>di</strong> un mese l’abolizione delle extra pause.<br />

La debolezza del sindacato, come r<strong>il</strong>evato da più parti, deriva<br />

dagli impegni presi in materia <strong>di</strong> produttività ed efficienza.<br />

ARRIVANO LE SOSPENSIONI!<br />

Il 9 ottobre arrivano le 61 lettere <strong>di</strong> sospensione: le motivazioni<br />

sono a <strong>di</strong>r poco generiche (si parla <strong>di</strong> buona fede, correttezza,<br />

<strong>di</strong>ligenza). Il sindacato torinese sostiene che si tratta <strong>di</strong> un attacco<br />

politico che <strong>niente</strong> ha a che vedere col terrorismo. I vertici<br />

sindacali nazionali, sono invece molto cauti, hanno paura <strong>di</strong><br />

trovarsi tra le mani gente non <strong>di</strong>fen<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e. Di fatto la posizione<br />

che <strong>il</strong> sindacato assume è quella delle segreterie nazionali e, invece<br />

<strong>di</strong> rispondere subito con la mob<strong>il</strong>itazione degli operai, aspetta<br />

ben tre giorni prima <strong>di</strong> proclamare tre ore <strong>di</strong> sciopero. Lo<br />

sciopero, non preparato, va piuttosto male. La Fiat rincara la<br />

dose e blocca le assunzioni, intanto <strong>il</strong> sindacato chiama in causa<br />

<strong>il</strong> governo che, dopo averlo preso in giro sulla questione del<br />

fisco, gli chiude la porta in faccia anche sulle sospensioni.<br />

... E POI I LICENZIAMENTI!<br />

Il 16 ottobre arrivano le lettere <strong>di</strong> licenziamento e c’è <strong>il</strong> coor<strong>di</strong>namento<br />

dei delegati del Piemonte. Nell’assemblea parla a nome<br />

dei 61 Angelino Caforio che, in un intervento applau<strong>di</strong>tissimo,<br />

spiega la natura dell’attacco Fiat, sostiene che c’è un abisso<br />

tra lotte anche dure e terrorismo, critica la linea dell’EUR<br />

e chiede lo sciopero generale.<br />

Si arriva così allo sciopero <strong>di</strong> 2 ore del 23; un fiasco.<br />

Il sindacato questa volta lo aveva preparato bene e si scaglia<br />

contro la grande stampa accusandola <strong>di</strong> aver portato avanti<br />

una campagna <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffamazione. Forse più che gli articoli dei<br />

‘giornali borghesi’, ha fatto fallire questo sciopero la martellante<br />

campagna fatta da tutti i partiti dell’unità nazionale che <strong>di</strong>ceva:<br />

53


“O con lo stato o con le BR” e definiva fiancheggiatore chiunque<br />

non si riconosceva in questa posizione.<br />

COSA NE PENSIAMO NOI<br />

Noi pensiamo che <strong>il</strong> terrorismo sia da condannare duramente,<br />

perché non si costruisce certamente <strong>il</strong> socialismo sparacchiando<br />

ai capi e ai <strong>di</strong>rigenti aziendali o facendo agguati ai proletari meri<strong>di</strong>onali<br />

costretti a fare i carabinieri per non restare <strong>di</strong>soccupati;<br />

d’altra parte pensiamo che altrettanto duramente sia da condannare<br />

questo stato, che in 30 anni <strong>di</strong> malgoverni DC, con i<br />

furti, gli scandali, le leggi truffa, le bustarelle, le bombe <strong>di</strong> piazza<br />

Fontana, gli operai uccisi nelle piazze, l’aumento in<strong>di</strong>scriminato<br />

dei prezzi, ha sempre calpestato i valori e la costituzione nata<br />

dalla resistenza, fatta dal popolo e non dai notab<strong>il</strong>i che ci governano.<br />

Siamo invece convinti che sia possib<strong>il</strong>e costruire una società<br />

migliore, non più basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo,<br />

con la crescita culturale e politica della gente e con la mob<strong>il</strong>itazione<br />

<strong>di</strong> massa.<br />

I LICENZIATI, IL SINDACATO...<br />

Il 29 i 61 si presentano al <strong>di</strong>battito col sindacato e con <strong>il</strong> collegio<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa con un documento in cui riven<strong>di</strong>cano le esperienze<br />

delle lotte <strong>di</strong> giugno e luglio, si afferma che <strong>il</strong> padrone vuole,<br />

con i licenziamenti, mettere a tacere queste espressioni <strong>di</strong> lotta<br />

operaia e quin<strong>di</strong> attaccare tutta una fetta del sindacato torinese<br />

per spostare l’ago della b<strong>il</strong>ancia verso tendenze più accomodanti<br />

rispetto ai padroni. Chiede quin<strong>di</strong> una risposta ampia e<br />

convincente in termini <strong>di</strong> mob<strong>il</strong>itazione e respinge la <strong>di</strong>visione<br />

dei licenziati in buoni e cattivi. Arriva ai 61, da parte del sindacato,<br />

la richiesta <strong>di</strong> <strong>sotto</strong>scrivere un documento che condanna<br />

duramente la violenza <strong>di</strong> ogni tipo, in quanto viene affermato:<br />

“è al <strong>di</strong> fuori della tra<strong>di</strong>zìone del movimento operaio”.<br />

I licenziati vengono così setacciati, una decina decide <strong>di</strong> non<br />

<strong>sotto</strong>scrivere <strong>il</strong> documento e si rivolge ad un collegio <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa<br />

alternativo.<br />

54


Pensiamo che <strong>il</strong> documento sindacale sia scorretto perché non<br />

ha nessun senso la <strong>di</strong>visione tra forme <strong>di</strong> lotta legali ed <strong>il</strong>legali<br />

in quanto <strong>il</strong> movimento operaio si è sempre servito <strong>di</strong> forme <strong>di</strong><br />

lotta dure ed a volte <strong>il</strong>legali (blocco delle merci, occupazione<br />

delle fabbriche) rese necessarie dall’intransigenza padronale.<br />

... E LA MAGISTRATURA<br />

L’8 novembre, la sentenza del pretore Converso obbliga la Fiat<br />

a riassumere i licenziati in quanto, essendo le motivazioni generiche,<br />

manca la giusta causa per <strong>il</strong> licenziamento. La Fiat riassume<br />

i 61 (che intanto erano <strong>di</strong>ventati 60) e li sospende nuovamente;<br />

l’u<strong>di</strong>enza del 16 novembre dà ragione alla Fiat, consentendo<br />

questa seconda sospensione e <strong>di</strong> conseguenza <strong>il</strong> 19<br />

arriva <strong>il</strong> <strong>nuovo</strong> licenziamento.<br />

Il 19 i licenziati <strong>di</strong>fesi dal collegio sindacale del sindacato emettono<br />

un comunicato rivolto alla FLM. In questo chiedono tre cose, poste<br />

come con<strong>di</strong>zione, salvo ricusare gli avvocati <strong>di</strong>fensori:<br />

- Maggiore impegno del sindacato nella mob<strong>il</strong>itazione politica<br />

dei lavoratori<br />

- Chiarezza al proprio interno su cosa si intende fare per forme<br />

<strong>di</strong> lotta lecite.<br />

- Che gli avvocati del sindacato contestino alla Fiat la violazione<br />

dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori (che riguarda l’antisindacalità<br />

dei provve<strong>di</strong>menti padronali).<br />

Questo significa per <strong>il</strong> sindacato riconoscere l’attacco <strong>di</strong> tipo politico<br />

sferrato dalla Fiat alla Classe Operaia.<br />

Il 19 stesso la Fiat denuncia 11 dei licenziati, i 10 del collegio <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fesa alternativo ed uno del collegio FLM, approfittando delle<br />

<strong>di</strong>visioni già create con la <strong>sotto</strong>scrizione del documento sindacale<br />

contro la violenza.<br />

Senza entrare nel merito delle accuse della Fiat, bisogna tener<br />

presente che ogni operaio che abbia fatto <strong>il</strong> blocco delle merci è<br />

perseguib<strong>il</strong>e e punib<strong>il</strong>e dalla legge borghese (in quanto forma <strong>di</strong><br />

lotta <strong>il</strong>legale). In seguito, <strong>il</strong> sindacato decide <strong>di</strong> impugnare contro<br />

la Fiat l’art. 28 e <strong>di</strong> impegnarsi maggiormente nella mob<strong>il</strong>itazione<br />

(come richiesto dai licenziati), <strong>di</strong>mostrando che seppur<br />

lentamente, l’FLM sta cambiando posizione rispetto al proble-<br />

55


ma, anche se grazie a questo ritardo la grossa battaglia la Fiat<br />

l’ha già vinta.<br />

RIAPRONO LE ASSUNZIONI<br />

Il 3 <strong>di</strong>cembre la Fiat riapre le assunzioni al Sud <strong>di</strong>cendo che <strong>il</strong><br />

clima in fabbrica è migliorato.<br />

Il 7 <strong>di</strong>cembre l’FLM denuncia la Fiat per attività antisindacale<br />

facendosi forza dell’art. 28 dello statuto dei lavoratori. Il 17 si<br />

inizia con la prima u<strong>di</strong>enza del processo, ma solo alla terza si<br />

entra nel merito dei problemi. In questa si ascolta Annibal<strong>di</strong> (<strong>di</strong>rigente<br />

Fiat) che cade in varie contrad<strong>di</strong>zioni, affermando dapprima<br />

che <strong>il</strong> sindacato non aveva chiesto alla Fiat <strong>di</strong> motivare<br />

meglio i provve<strong>di</strong>menti (cosa invece fatta già <strong>il</strong> giorno seguente<br />

alle sospensioni), e poi che la Fiat non aveva potuto motivarle<br />

meglio per non mettere in pericolo l’incolumità dei capi. La Fiat<br />

in questa stessa u<strong>di</strong>enza accusa i capi dei reparti cal<strong>di</strong> <strong>di</strong> omertà,<br />

in quanto, per paura non avrebbero più fatto rapporti in <strong>di</strong>rezione.<br />

Il sindacato prova l’infondatezza <strong>di</strong> questa affermazione <strong>di</strong>mostrando<br />

che i capi i rapporti in <strong>di</strong>rezione li hanno sempre fatti,<br />

prova ne siano i licenziamenti in<strong>di</strong>viduali avvenuti con varie<br />

motivazioni ed in grande numero negli ultimi due anni anche<br />

negli stab<strong>il</strong>imenti <strong>di</strong> Rivalta e Mirafiori.<br />

Intanto, alla fine <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre, i 10 operai assistiti dal collegio <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fesa alternativo sono liquidati con una sola u<strong>di</strong>enza che conferma<br />

i licenziamenti.<br />

COME AVEVA MOTIVATO I LICENZIAMENTI LA FIAT?<br />

La Fiat aveva motivato i licenziamenti <strong>di</strong>cendo che la fabbrica<br />

era <strong>di</strong>ventata ingovernab<strong>il</strong>e a causa dell’assenteismo, della poca<br />

produttività e delle minacce ai capi.<br />

COSA RISPONDE IL SINDACATO?<br />

Nell’u<strong>di</strong>enza del 3 gennaio, Giatti (ex operatore sindacale meccaniche<br />

Mirafiori) <strong>di</strong>mostra l’infondatezza <strong>di</strong> questa tesi, affermando,<br />

dati alla mano, <strong>il</strong> calo <strong>di</strong> assenteismo e l’aumento <strong>di</strong><br />

56


produttività avvenuti dalla firma del contratto in poi alla Fiat.<br />

Giatti afferma inoltre che i capi avevano sì paura per <strong>il</strong> clima<br />

che col terrorismo si era venuto a creare nella città, ma non gli<br />

risultava che vi fossero mai state intimidazioni ai capi.<br />

Nell’u<strong>di</strong>enza del 7, Tom D’Alessandri (FLM) <strong>di</strong>ce che alcuni licenziati,<br />

accusati della autoriduzione della produzione, lavoravano<br />

in reparti come quello della sala prova motori a Mirafiori,<br />

dove si supera continuamente la soglia degli 80-90 decibels <strong>di</strong><br />

rumore, con grave danno per la salute degli operai. Questi licenziati<br />

sono dunque accusati <strong>di</strong> aver salvaguardato la loro salute<br />

fermando le linee !!?<br />

In una successiva u<strong>di</strong>enza, su richiesta della Fiat, si <strong>di</strong>scute dei<br />

fatti successi <strong>il</strong> 4 luglio a Mirafiori. Ve<strong>di</strong>amo i fatti:<br />

“Il 4 luglio c’è uno sciopero a scacchiera alla meccanica e la<br />

Fiat or<strong>di</strong>na la mandata a casa degli operai che si trovano a valle<br />

della squadra in sciopero. I delegati, per evitare la mandata a<br />

casa degli operai (che avrebbe ulteriormente pesato sulle buste<br />

paga) chiede alla Fiat <strong>di</strong> revocare la decisione in cambio della<br />

fine dello sciopero. La <strong>di</strong>rezione non accetta, i lavoratori si <strong>di</strong>rigono<br />

quin<strong>di</strong> in corteo fuori dello stab<strong>il</strong>imento portando con loro<br />

alcuni capi.”<br />

Su questo fatto testimoniano al processo alcune persone:<br />

- Il dottor Galbo (vice questore <strong>di</strong> Torino) afferma <strong>di</strong> aver raccolto<br />

<strong>il</strong> giorno stesso le testimonianze dei 4 capi, che <strong>di</strong>cevano<br />

<strong>di</strong> essere entrati spontaneamente nel corteo e <strong>di</strong> non aver subito<br />

violenze.<br />

I capi solo poche ore dopo hanno fornito la stessa versione dei<br />

fatti a Celestini (commissario capo in questura) <strong>di</strong>cendo che sono<br />

le solite cose che capitano durante i contratti.<br />

- Uno dei 4 capi <strong>di</strong>ce che la Fiat, in seguito alla richiesta dei delegati<br />

<strong>di</strong> revocare <strong>il</strong> provve<strong>di</strong>mento, è stata fiscale e non ha<br />

aperto nessuna trattativa: è stato a quel punto che gli operai<br />

hanno formato <strong>il</strong> corteo facendoci entrare anche i capi.<br />

COME FINISCE IL PROCESSO ?<br />

Nell’ultima u<strong>di</strong>enza, <strong>il</strong> collegio <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa FLM afferma che: “la<br />

conflittualità in fabbrica è un dato permanente, una con<strong>di</strong>zione<br />

57


per lo sv<strong>il</strong>uppo è che vanno ricercati i motivi sociali che producono<br />

oggi come ieri, forme <strong>di</strong> violenza: l’esodo biblico dal Sud a<br />

Mirafiori, i quartieri ghetto per gli immigrati, le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro<br />

in fabbrica (ritmi, ambiente, rumore, ripetitività del lavoro)”.<br />

Il 23 gennaio, <strong>il</strong> pretore Denaro, con una sentenza sfacciatamente<br />

f<strong>il</strong>opadronale, assolve la Fiat in quanto “non sussistono<br />

le con<strong>di</strong>zioni invocate dalla FLM”. Il pretore, in sostanza, giocando<br />

anche sulle contrad<strong>di</strong>zioni del sindacato, con una sentenza<br />

tutta politica, ha accolto in pieno la logica della Fiat:<br />

Conflittualità > Violenza > Terrorismo.<br />

COSA SE NE DICE IN GIRO?<br />

Angelino Caforio, <strong>il</strong> compagno che aveva parlato al Palasport a<br />

nome dei licenziati, <strong>di</strong>ce: “Non era impreve<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e, certo la sentenza<br />

del pretore poteva essere meno dura, ma ci aspettavamo<br />

una cosa <strong>di</strong> questo tipo. Inoltre, mancando la mob<strong>il</strong>itazione nelle<br />

fabbriche ed essendoci chiusi nell’aula <strong>di</strong> un tribunale, non<br />

avevamo gran<strong>di</strong> speranze.”<br />

Alcune parti della FLM (tra cui la 5 a lega <strong>di</strong> Mirafiori al completo)<br />

pensano che l’attacco della Fiat, espresso nei 61 licenziamenti,<br />

sia molto grave e non isolato. Per questo criticano le posizioni<br />

assunte dai vertici sindacali e dai vertici della sinistra storica,<br />

sia sulla vicenda dei 61, sia sulle nuove concessioni che si<br />

vogliono fare alla Fiat sia sulla produttività che sugli straor<strong>di</strong>nari<br />

(sabati lavorativi).<br />

Che la Fiat abbia fatto questi licenziamenti non per combattere<br />

<strong>il</strong> terrorismo, lo <strong>di</strong>mostra anche <strong>il</strong> fatto che, quando la FLM voleva<br />

far entrare in fabbrica magistrati e poliziotti democratici per<br />

fare le assemblee sul terrorismo con gli operai, la Fiat non li ha<br />

lasciati entrare. Piuttosto, la Fiat intendeva mantenere inalterate<br />

le sue posizioni <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> potere in fabbrica.<br />

***<br />

Secondo noi questa sentenza è particolarmente grave in un<br />

momento come questo, dove la Classe Operaia è attaccata non<br />

solo dai padroni ma anche dal governo che propone misure an-<br />

58


tipopolari. Ne è un esempio la proposta <strong>di</strong> abolire la scala mob<strong>il</strong>e.<br />

Questo ciclost<strong>il</strong>ato non vuole essere una conclusione sui<br />

licenziamenti Fiat bensì uno stimolo al <strong>di</strong>battito, anche perché <strong>il</strong><br />

sindacato prosegue la battaglia con i ricorsi in<strong>di</strong>viduali.<br />

Collettivo operaio <strong>di</strong> informazione – Fiat V<strong>il</strong>lar Perosa –<br />

cicl. in proprio, corso Torino 18 – feb.1980<br />

59


4. dal libro Lavorare in Fiat <strong>di</strong> Marco Revelli<br />

Nota.<br />

Ringrazio Marco per la concessione <strong>di</strong> questo capitolo<br />

del suo libro. Le interviste riportate rendono l’idea <strong>di</strong><br />

com’era una parte dei nuovi assunti e delle sue reazioni<br />

all’ambiente <strong>di</strong> fabbrica e <strong>di</strong> lotta. La mia opinione è espressa<br />

all’inizio <strong>di</strong> questo libro e si può riassumere nella<br />

convinzione che ‘<strong>il</strong> <strong>nuovo</strong>’ non avrebbe poi lasciata<br />

molta traccia anche perché la ‘vecchia’ classe operaia<br />

stava perdendo molta della sua autonomia culturale e<br />

<strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>mente avrebbe potuto saldarsi ‘in avanti’ coi nuovi<br />

assunti. La pulizia dell’80 ha completato l’opera.<br />

p.b.<br />

“E’ trascorso meno <strong>di</strong> un decennio dall’ultima, massiccia leva<br />

operaia che aveva saturato le linee <strong>di</strong> Mirafiori, eppure rispetto<br />

a questa nuova figura sociale che approda ora alla grande fabbrica<br />

la <strong>di</strong>stanza è tale da apparire, ormai, quasi incolmab<strong>il</strong>e. Se<br />

un tratto colpiva, ad esempio, nella vecchia composizione <strong>di</strong><br />

classe, nel prof<strong>il</strong>o antropologico dell’“operaio massa”, era la<br />

sua omogeneità sessuale: <strong>di</strong>versi per origini, tra<strong>di</strong>zioni, etnie e<br />

<strong>di</strong>aletti, quegli operai erano tutti, in<strong>di</strong>stintamente, maschi. Tra i<br />

nuovi assunti, invece, prevale nettamente la componente femmin<strong>il</strong>e.<br />

Per effetto della “democratizzazione del collocamento” e<br />

della parificazione tra uomini e donne sancita dalla legge 906<br />

del 9 <strong>di</strong>cembre 1977, sul totale dei 6685 entrati in fabbrica e<br />

rimastivi nel corso del 1978 le donne erano 4433, cioè <strong>il</strong> 65%,<br />

per una parte ragazze al primo impiego ma anche, in una percentuale<br />

significativa, casalinghe in età relativamente avanzata,<br />

mogli <strong>di</strong> operai costrette a integrare così <strong>il</strong> salario fam<strong>il</strong>iare, vedove<br />

con la famiglia a carico. La maggior parte <strong>di</strong> quei nuovi<br />

operai, poi, soprattutto dei maschi - <strong>il</strong> 67% contro <strong>il</strong> 43,5% delle<br />

donne - aveva un’età compresa tra i 18 e i 25 anni e una<br />

scolarizzazione decisamente elevata: si era formata, cioè, interamente<br />

dentro <strong>il</strong> sistema della scolarizzazione <strong>di</strong> massa, vivendo<br />

i primi anni ‘70 dall’interno <strong>di</strong> quel luogo cruciale che è la<br />

60


scuola e realizzando la propria “iniziazione alla politica”<br />

nell’ambito dell’esperienza ra<strong>di</strong>cale dei movimenti giovan<strong>il</strong>i <strong>di</strong><br />

rivolta del tempo. Da un’indagine campione risulta che <strong>il</strong> 45%<br />

dei nuovi assunti aveva frequentato una scuola me<strong>di</strong>a superiore<br />

o l’università, e che <strong>il</strong> 27% possedeva un <strong>di</strong>ploma <strong>di</strong> scuola<br />

me<strong>di</strong>a inferiore, mentre solo <strong>il</strong> 28,3% non aveva che la licenza<br />

elementare; nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 25 anni, poi,<br />

la scolarizzazione superiore raggiungeva ad<strong>di</strong>rittura <strong>il</strong> 66,6%<br />

mentre quella elementare si riduceva ad appena l’8,3%. La totalità<br />

<strong>di</strong> essi arrivava in Fiat <strong>di</strong>rettamente dalla scuola. Una<br />

buona parte aveva partecipato al movimento del ‘77, o era stata<br />

comunque influenzata dalla sua incandescente e <strong>di</strong>sperata<br />

critica della società e della politica; dalla sua rottura frontale<br />

con la tra<strong>di</strong>zione stessa del movimento operaio ufficiale.<br />

Era dunque, quella che rumorosamente irrompeva in fabbrica,<br />

una nuova “generazione” operaia nel senso più proprio del<br />

termine: <strong>il</strong> prodotto, per certi versi, <strong>di</strong> quel “mondo <strong>nuovo</strong>” che<br />

furono i primi anni ‘70, con i loro miti e le loro incertezze, le<br />

crescite impetuose e le in<strong>di</strong>genze laceranti, le rinnovate speranze<br />

e le nuove angosce. Un pezzo <strong>di</strong> “società trasformata”, trasferito<br />

<strong>di</strong> colpo dentro <strong>il</strong> “motore” della trasformazione, al centro<br />

della produzione <strong>di</strong> grande fabbrica. La prima vera classe<br />

operaia <strong>di</strong> “seconda generazione”; la prima generazione operaia<br />

“post-rivoluzionaria”.<br />

Negli stessi percorsi in<strong>di</strong>viduali che conducono alla fabbrica,<br />

nelle motivazioni e nei racconti, si esprime questo carattere da<br />

“società nuova”, non più solida e compatta nel suo dualismo<br />

tra città e campagna, nella sua ottimistica rappresentazione <strong>di</strong><br />

percorsi percorrib<strong>il</strong>i dalla periferia al centro, ma frantumata e<br />

mob<strong>il</strong>e, attraversata da inquitu<strong>di</strong>ni ormai tutte metropolitane,<br />

da immaginari surriscaldati o da <strong>di</strong>s<strong>il</strong>lusioni fredde. Non ci sono<br />

più, qui, l’esperienza corale del treno dal sud, l’epopea collettiva<br />

dell’immigrazione e della rifondazione esistenziale dominata<br />

dal lavoro, ma i f<strong>il</strong>i es<strong>il</strong>i <strong>di</strong> ricerche esistenziali solitarie, frantumate,<br />

mosse da una molteplicità <strong>di</strong> spinte interiori cui è comunque<br />

estranea la forza del bisogno, la violenza della miseria.<br />

E che attraversano invece l’intero ventaglio esistenziale giovani-<br />

61


le, dal perseguimento <strong>di</strong> un mito politico alla fuga dalla famiglia<br />

al semplice bisogno <strong>di</strong> riempire un vuoto:<br />

Nino Scianna, 23 anni al suo ingresso in Fiat: “Perché sono<br />

andato in Fiat? Perché io ero uno che gridava ‘operai e studenti<br />

uniti nella lotta’, capito? Perché anch’io avevo <strong>il</strong> mito della fabbrica,<br />

<strong>di</strong> Mirafiori. Mirafiori… Vedevi questa gente enorme, forte.<br />

Parlavano tutti <strong>di</strong> Mirafiori. Un tantino per curiosità, un tantino<br />

per ideologia. Forse la mia generazione, forse io, forse tanta<br />

gente, abbiamo agito per ideologia. Mirafiori era <strong>il</strong> posto dove<br />

si giocava tutto; se cambiava la fabbrica, si pensava, sarebbe<br />

cambiato tutto. Tu eri stimolato ad andare a lavorare là, a <strong>di</strong>ventare<br />

un metalmeccanico. Quando vedevo i cortei dei chimici,<br />

mi sembravano una cosa molto <strong>di</strong>versa dai metalmeccanici,<br />

coloriti fin che vuoi, con le tute bianche, ma una cosa <strong>di</strong>versa.<br />

Quelli avevano qualcosa in più. Non so cosa, ma mi davano<br />

l’impressione che facessero cose più sentite. Avevano una carica…io<br />

ne ero affascinato. E poi tutta una serie <strong>di</strong> storie che raccontavano…e<br />

i capi…e la fatica… Insomma, far parte <strong>di</strong> Mirafiori<br />

era far parte <strong>di</strong> un’élite. Cazzo, far parte <strong>di</strong> Mirafiori: attenzione<br />

a parlare!".<br />

Raffaella, 22 anni nel 1978: "Sono partita da Civitavecchia così,<br />

non avevo un lavoro nè un'idea <strong>di</strong> quello che dovevo fare, era<br />

solo un modo per andarmene da casa. C'era una realtà che non<br />

riuscivo più a sopportare, una repressione senza limiti. L'unica<br />

via <strong>di</strong> uscita era questa, andarmene <strong>il</strong> più lontano possib<strong>il</strong>e".<br />

Ovicchio, 20 anni, fon<strong>di</strong>tore: “Bucavo forte, mi facevo roba pesante…<br />

Poi è successo che mi sono stufato, sono riuscito a<br />

smettere <strong>di</strong> bucare ed è stato bellissimo, ho fatto delle ferie molto<br />

belle, sono andato in Jugoslavia con un mio amico, ho conosciuto<br />

un sacco <strong>di</strong> gente, ho visto un bellissimo concerto dal<br />

vivo. Poi, beh, sono tornato a Torino, sono entrato in Fiat. E lì<br />

è stata proprio la paranoia più assoluta”.<br />

L'impatto con la fabbrica, e soprattutto con gli operai, è per tutti<br />

traumatico. L'incomprensione reciproca quasi totale. Quella<br />

stessa fabbrica che per <strong>il</strong> vecchio operaio era <strong>di</strong>venuta una sorta<br />

<strong>di</strong> “patria”, quel territorio che era stato trasformato e “lavorato”<br />

con le lotte e una solidarietà duramente costruita fino a <strong>di</strong>-<br />

62


ventare centro del proprio mondo vitale, appare al contrario,<br />

nel primo approccio, alla maggior parte <strong>di</strong> quei nuovi venuti,<br />

luogo <strong>di</strong> oppressione e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssoluzione esistenziale, struttura inerte<br />

entro cui si consuma la lacerazione della rete adolescenziale<br />

<strong>di</strong> relazioni sociali e la morte della soggettività: “Quando<br />

entro <strong>il</strong> fabbrica - <strong>di</strong>chiara Emma, 21 anni, pochi mesi <strong>di</strong> Fiat -<br />

io devo ammazzare una parte <strong>di</strong> me, quella più bella e libera<br />

[…] Ogni volta che esco <strong>di</strong> qui - aggiunge - so che ho perduto<br />

otto ore della mia vita e che non le ritroverò più”. “Il giorno<br />

che, finita la visita me<strong>di</strong>ca, ti <strong>di</strong>cono che sei assunto - racconta<br />

Giovanna, 20 anni - è <strong>il</strong> giorno più brutto della tua vita, perché<br />

secondo me uno che è abbastanza sensib<strong>il</strong>e è capace <strong>di</strong> buttarsi<br />

<strong>sotto</strong> una macchina se è cosciente <strong>di</strong> dove va”. Nè molto <strong>di</strong>versa<br />

è la reazione <strong>di</strong> chi alla Fiat era approdato sull’onda<br />

dell’entu-siasmo ideologico: “Aspetto per otto ore <strong>il</strong> capo officina<br />

- racconta Nino Scianna, del suo primo giorno <strong>di</strong> lavoro -<br />

poi vado all’83. Un caldo bestia, cattivo odore, rumore. La<br />

prima impressione è stata <strong>di</strong> casino, con tutte quelle macchine<br />

che si muovono, che ti passano sulla testa, <strong>di</strong> fianco, le cabine<br />

<strong>di</strong> verniciatura, gli operai con le mascherine, tutti sporchi…<br />

‘Sono questi i metalmeccanici?’, mi sono detto. Il giorno dopo<br />

ci <strong>di</strong>vidono in squadre, e lì è peggio <strong>di</strong> prima: tutti questi motorini<br />

per avvitare, un fracasso della madonna, una cosa enorme,<br />

motori alzati per avvitarli… Quando poi sono uscito, beh, lì ho<br />

avuto veramente un momento <strong>di</strong> panico, quando ho visto questa<br />

marea <strong>di</strong> gente che usciva con me: gente che spingeva, che<br />

fischiava, che cantava, che sbraitava. Era giornata <strong>di</strong> paga, era<br />

l’ultimo giorno della settimana, per cui la gente era contenta, si<br />

liberava finalmente della tuta per due giorni, e vrummm, tutti a<br />

correre, a schiacciare <strong>il</strong> pulsante dell’imparziale. Io mi sono<br />

messo da parte e mi ricordo che mi stava venendo persino da<br />

piangere, a vedere queste cose, a sentirmi parte <strong>di</strong> questa massa<br />

qua, a respirare questa violenza che c’è, questa forza tremenda…<br />

tutti che escono. E lì allora ho detto: ‘Va beh, ci sono<br />

anch'io’”.<br />

Giocava, su questi atteggiamenti, senza dubbio la scolarità relativamente<br />

elevata della maggior parte dei nuovi assunti, la qua-<br />

63


le poneva inevitab<strong>il</strong>mente la fabbrica o come declassamento, o<br />

come soluzione transitoria, “sperimentale”. Così come doveva<br />

influire in buona misura l’istintivo rifiuto del lavoro organizzato,<br />

etero<strong>di</strong>retto; <strong>il</strong> bisogno prepotente <strong>di</strong> libera espressione della<br />

soggettività che era stato parte integrante delle culture giovan<strong>il</strong>i<br />

dei primi anni ‘70. E d’altra parte la reazione imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> quei<br />

“nuovi operai” <strong>di</strong> fronte al gigantismo e all’“aggressività”<br />

dell’appa-rato <strong>di</strong> fabbrica, non era molto <strong>di</strong>versa da quella che<br />

aveva accompagnato l’“iniziazione” al lavoro in Fiat delle generazioni<br />

precedenti. Ma ciò non toglie che tutto ciò apparisse incomprensib<strong>il</strong>e<br />

ai vecchi operai. Quasi una sorta <strong>di</strong> “tra<strong>di</strong>mento”,<br />

<strong>di</strong> negazione della loro storia e della loro memoria: “Da noi<br />

- lamenta A.R., 48 anni allora, da oltre un decennio in Fiat -<br />

sono arrivate molte ragazzine con la testa per conto suo. Le <strong>di</strong>fferenze<br />

erano rispetto al lavoro e rispetto a tutto: non ci pensavano<br />

neanche! Non è che fossero come noi, che eravamo già<br />

vecchi della Fiat, che ci hanno spostati da tutte le parti e non ci<br />

siamo rifiutati. Questi prendevano la vita come se comandassero<br />

loro, erano più sicuri. Io ero lì da 11 anni e non ero sicuro,<br />

figuriamoci…”.<br />

“I nuovi assunti - aggiunge R.S., trentacinquenne, piemontese,<br />

avanguar<strong>di</strong>a del ‘69 - quelli che arrivavano <strong>di</strong> fuori, ci <strong>di</strong>cevano<br />

‘Ma voi siete pazzi a lavorare così!’. Non riuscivano ad adattarsi<br />

ai ritmi nemmeno ora. Ma i vecchi, quelli che erano in Fiat da<br />

prima del ‘68 rispondevano ‘Qui si sta bene adesso. Non avete<br />

idea <strong>di</strong> com’era una volta’. Tra <strong>di</strong> loro - prosegue – c’era anche<br />

qualche anziano, gente abituata a lavorare (abituarsi vuole <strong>di</strong>re<br />

essere domati). Questi riuscivano ad adattarsi, e trovavano anche<br />

che si stava bene. Ma i giovani no. Non riuscivano a legare<br />

con i vecchi (e per loro vecchi erano tutti). Anche tra <strong>di</strong> loro<br />

sembrava che legassero meno, c’era meno scambio che nel ‘69.<br />

Allora la fabbrica era veramente in mano ai nuovi assunti, comandavano<br />

loro che erano appena arrivati dal meri<strong>di</strong>one. Nel<br />

'79 invece, i nuovi assunti venivano da un anno <strong>di</strong> coda al Collocamento,<br />

ma la fabbrica non era in mano a loro…”.<br />

La fabbrica, infatti, non era “in mano” a loro. Era “intorno” a<br />

loro. Se l’appropriavano percorrendola e conoscendola, attra-<br />

64


versandola in casuali vagabondaggi in<strong>di</strong>viduali da un reparto<br />

all’altro, nei tempi morti strappati al lavoro, nelle pause guadagnate<br />

“tirandosi su”, rompendo la geometria delle squadre e<br />

dei reparti e ricercando i propri sim<strong>il</strong>i culturalmente ed esistenzialmente<br />

in spazi lontani da quello lavorativo. Una pratica,<br />

questa, talmente <strong>di</strong>versa da quella del giovane immigrato degli<br />

anni ‘60, per <strong>il</strong> quale <strong>il</strong> tramite culturale e sociale era stata la lotta<br />

e l'esperienza della comunità <strong>di</strong> lavoro, del “gruppo omogeneo”,<br />

della solidarietà <strong>di</strong> squadra, da apparire incomunicab<strong>il</strong>e,<br />

incomprensib<strong>il</strong>e, assurda. “Io - racconta Adelina, giovanissima<br />

nuova assunta del 1979 -, per quei pochi mesi che mi hanno<br />

tenuta in fabbrica, <strong>il</strong> lavoro ho cercato <strong>di</strong> viverlo in modo manuale,<br />

nel senso che non doveva assolutamente prendermi a<br />

livello <strong>di</strong> testa. Cercavo <strong>di</strong> leggere <strong>il</strong> più possib<strong>il</strong>e tra una macchina<br />

e l'altra, si parlava, si vedeva gente che magari mi veniva<br />

a trovare da altre squadre. Non volevo farmi assorbire totalmente<br />

otto ore da questo lavoro, perché mi rendevo conto che<br />

queste otto ore si mangiavano a poco a poco tutta la mia vita.<br />

Neanche fuori mi lasciavano più spazio per vivere una vita mia,<br />

decisa da me. E allora cercavo <strong>di</strong> organizzarmi. Eravamo in<br />

quattro nel mio gruppo <strong>di</strong> lavoro, e ci eravamo accorti che tirando<br />

ognuno un po’ <strong>di</strong> più, ne bastavano in realtà tre, così che uno,<br />

a turno, poteva riposare una mezz’ora ogni ora e mezza. E io<br />

quella mezz’ora me la spendevo andando in giro per la fabbrica.<br />

Gli altri tre giravano meno, io invece abbandonavo questo posto,<br />

giravo, cercavo altra gente. E questo dava fasti<strong>di</strong>o. Non <strong>il</strong> fatto<br />

della pausa, perché erano in tanti a organizzarsi così, ma <strong>il</strong> fatto<br />

dell’andare in giro. Questo non andava giù ai capi, e nemmeno<br />

agli operai più anziani. Perché loro, quando ti piazzano sul posto<br />

<strong>di</strong> lavoro, loro pensano che tu stai automaticamente bene, veramente<br />

bene con la gente che c’è lì. E invece non è vero, ci puoi<br />

stare bene per un po’, ma quando si tratta <strong>di</strong> comunicare con<br />

una realtà che è più vicina alla tua <strong>di</strong> giovane, <strong>di</strong> donna, <strong>di</strong> compagna,<br />

gli amici te li vai a trovare altrove, perché hai altre cose<br />

da <strong>di</strong>re. Qui si vede la <strong>di</strong>fferenza tra <strong>il</strong> giovane e l’operaio che è<br />

meno giovane. Perché questi qui più anziani, la loro vita la vivono<br />

interamente sul lavoro. Produzione o non produzione, linea<br />

65


ferma o sciopero, tutto quello che succede loro sono lì, non fanno<br />

tre passi più in là. Stanno lì. Non c’è <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> cercarli da<br />

qualche altra parte. Al massimo sono alla macchinetta del caffè,<br />

o a giocare a carte, però sempre lì vicino, sempre a osservare <strong>il</strong><br />

loro posto <strong>di</strong> lavoro”.<br />

La fabbrica, dunque - la fabbrica, rallentata produttivamente e<br />

neutralizzata politicamente, dei tar<strong>di</strong> anni ‘70 -, sembra per certi<br />

versi “<strong>di</strong>sgregarsi”. Allentato <strong>il</strong> ritmo <strong>di</strong>spotico della produzione,<br />

finisce per introiettare le forme del sociale, le contrad<strong>di</strong>zioni e le<br />

identità irriducib<strong>il</strong>i del territorio, perdendo la compatta uniformità<br />

originaria e aprendosi alle sfaccettature irrelate del “mondo<br />

della riproduzione”. Se negli anni ‘50 e ‘60 la forza assorbente<br />

del processo lavorativo aveva prodotto unità amalgamando<br />

le molteplici identità etniche e culturali proprie <strong>di</strong> un<br />

paese da poco uscito dalla <strong>di</strong>mensione rurale, ora, al contrario,<br />

la forte reattività relazionale della fabbrica finisce per rivelare a<br />

fondo i prof<strong>il</strong>i <strong>di</strong> un quadro infranto. Per evidenziare le fratture<br />

che, al <strong>di</strong> là dell’apparente omologazione propria della <strong>di</strong>mensione<br />

metropolitana, spaccano <strong>il</strong> soggetto produttivo in spezzoni<br />

separati, se non contrapposti, identificati ormai non più dal comune<br />

ruolo produttivo, ma da più profonde specificità <strong>di</strong> genere,<br />

<strong>di</strong> età, <strong>di</strong> formazione. Non più “operai”, ma “giovani”,<br />

“donne”, “anziani”, ognuno con le proprie solidarietà, i propri<br />

linguaggi, i propri valori.<br />

“Il primo giorno che sono entrata sono stata proprio male - racconta<br />

Elena -. Il rumore mi assordava; dopo un po’ non lo senti<br />

più, ma ti senti intontita, ti senti sempre una sonnolenza addosso.<br />

Poi vai dal caporeparto, che ti manda dal capo-officina, e questo<br />

dal capo squadra che non sa dove sbatterti perché sei una donna.<br />

Ho girato parecchie gabbie metalliche dalle pareti <strong>di</strong> vetro,<br />

piene <strong>di</strong> porci incravattati con falsi sorrisi e false cor<strong>di</strong>alità, a ricordarti<br />

sempre la ripida scala della gerarchia con i ‘seguimi’, gli<br />

‘aspettami qui’, i ‘mettiti là’, ‘me la prendo io, te la pren<strong>di</strong> tu’,<br />

quasi fossi un oggetto. Mi aspettavo <strong>di</strong> vedere macchine enormi<br />

e catene veloci, ritmate, invece la prima impressione è stata quella<br />

<strong>di</strong> un movimento lento ma continuo. E vedevo segnata sul viso<br />

<strong>di</strong> parecchi anziani la monotonia, sguar<strong>di</strong> vuoti che sembra-<br />

66


vano scivolare verso una sorta <strong>di</strong> sonnolenza scan<strong>di</strong>ta da suoni e<br />

gesti ciclicamente ripetuti. La prima cosa che mi sono detta è stata<br />

‘non mi ridurrò come loro, qui <strong>il</strong> tempo si ferma’. I primi a farsi<br />

avanti sono i delegati. Per tesserarti. Poi sono gli operai maschi a<br />

farsi conoscere. Ti vengono vicino, scherzano, si fanno belli, si<br />

realizzano con le loro battute stronze. Se scoprono che rispon<strong>di</strong>,<br />

e magari sei femminista, mollano imme<strong>di</strong>atamente la preda, e ti<br />

guardano come se fossi bacata o pazza. Pensa che uno un giorno<br />

mi ha detto ‘Beato chi ti monta’. E <strong>di</strong>re che è uno che durante<br />

gli scioperi per <strong>il</strong> contratto era in prima f<strong>il</strong>a, si incazzava con<br />

quelli che non volevano fare sciopero, criticava la gestione sindacale<br />

perché troppo moderata, per cui magari te lo sentivi più vicino,<br />

avevi fiducia in lui”.<br />

Così come Elena esprime, in forma esemplare, <strong>il</strong> punto <strong>di</strong> vista<br />

“femmin<strong>il</strong>e” sulla fabbrica, parlando come “donna” non come<br />

“operaia”, Giò propone <strong>il</strong> “suo” punto <strong>di</strong> vista, altrettanto ra<strong>di</strong>cale<br />

e irriducib<strong>il</strong>e, <strong>di</strong> giovane: “Guardami, guardami bene - mi<br />

<strong>di</strong>sse la prima volta che l’incontrai, <strong>il</strong> 17 luglio del 1979, sul<br />

piazzale <strong>di</strong> Rivalta -. Le scarpe sono da <strong>di</strong>scoteca, la camicia da<br />

estremista, l’orecchino da omosessuale, i capelli lunghi da cantante:<br />

<strong>niente</strong> che ricor<strong>di</strong> un operaio! Perché io voglio che se<br />

qualcuno entra lì dentro, nel reparto, e mi vede, capisca subito<br />

che non sono come gli altri. Quelli che sono lì, sono proprio<br />

morti, sono morti vivi. Cadaveri che continuano a lavorare. E’<br />

gente che vegeta. Già solo quando entrano, già con gli occhi<br />

chiusi… Perciò io lì mi sento un nulla… E’ proprio un rinunciare<br />

a tutto, cadere lì dentro. Fuori posso magari girare senza orecchino,<br />

vestito normale, ma qui io devo accentuare la mia <strong>di</strong>versità…”.<br />

Giò aveva 20 anni, la terza ragioneria, un posto <strong>di</strong><br />

r<strong>il</strong>ievo negli Ultras Granata, e possedeva un linguaggio straor<strong>di</strong>nariamente<br />

immaginifico, misto <strong>di</strong> gergo sportivo, <strong>di</strong> slang <strong>di</strong><br />

periferia, <strong>di</strong> scuola e <strong>di</strong> televisione, con cui narrava una “sua”<br />

fabbrica, incerta tra invenzione e realtà: “Al caporeparto - racconta<br />

- gli ho parlato subito chiaro: ‘Senta, gli ho detto, noi qui<br />

siamo in tre, giovani, lavativi, tre teste <strong>di</strong> serie. Lei imposti la<br />

squadra senza <strong>di</strong> noi, che chiaramente le roviniamo tutto. Ci<br />

tenga in panchina. Io posso fare <strong>il</strong> capitano non giocatore, e<br />

67


vedrà. Adesso, così come siamo messi, finché noi restiamo in<br />

panchina, la nostra è una squadra da Coppa Uefa. Se poi lei ci<br />

dà anche quell’operaio là (e ho fatto <strong>il</strong> nome <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> un’altra<br />

squadra che si <strong>di</strong>stingue per la sua produttività, uno che ha già<br />

avuto tre collassi, che gli piace lavorare alle Presse, farebbe <strong>il</strong><br />

doppio turno tant’è vero che lavora anche fuori dopo aver finito),<br />

se fate come con Rossi al Perugia e ci prestate questo per<br />

due anni, possiamo puntare subito allo scudetto, e magari tra<br />

un po’ alla Coppa dei Campioni. Ma mi ascolti, noi ci tenga in<br />

panchina’. ‘Proveremo’, ha risposto. Era un capo <strong>nuovo</strong> - quello<br />

prima era andato via per pazzia - e così adesso siamo abbastanza<br />

liberi, facciamo poco e per giunta ci <strong>di</strong>vertiamo, giriamo<br />

per la fabbrica, corriamo, facciamo delle esibizioni, anche per<br />

<strong>di</strong>mostrare agli altri come si deve fare. L’altro giorno, io e un<br />

mio amico, siamo venuti a lavorare vestiti da donna, con <strong>il</strong><br />

cappellino rosa, occhialoni bianchi, quelle tute rosse, sai, che<br />

vanno <strong>di</strong> moda adesso. E’ stato un bel casino arrivare fin qui in<br />

vespa, conciati in quel modo pauroso. E ci siamo messi a lavorare<br />

tranqu<strong>il</strong>li alle presse, ben in vista, sulla pedana in alto. E’<br />

arrivato <strong>il</strong> capo e si è messo a guardarci. Io ho detto, un po' minaccioso<br />

‘Beh?’, e allora lui si è affrettato a <strong>di</strong>re ‘Meno male<br />

che ci siete voi che tenete un po’ alto <strong>il</strong> morale…’ Un’altra volta<br />

siamo venuti in perfetta tenuta tennistica, maglietta bianca Lacoste,<br />

calzoncini bianchi, calzettoni, scarpe da tennis, racchetta,<br />

e lavoravamo così, seri seri. Oppure facciamo i mixaggi, che<br />

sono delle urla improvvise, proprio forti… alte si levan le grida!<br />

L’ultimo pezzo è tremendo, fortissimo. Pensa, tu sei lì alle Presse<br />

che ruschi, e a un certo punto si alza un affare del genere.<br />

Allora tutti si voltano a guardarci, e noi siamo lì a lavorare, e gli<br />

facciamo ‘Beh?, cosa c’è da guardare?’.<br />

Abbiamo un atteggiamento <strong>di</strong>vistico, bisogna <strong>di</strong>rlo, cioè li teniamo<br />

sulle loro. Specialmente i capi, loro non riescono a tenerci<br />

testa, a farci del male, perché noi siamo più cattivi, più intuitivi,<br />

più tutto. Sappiamo parlare meglio, abbiamo più ironia. Per loro<br />

è un topolino e una montagna, non riescono a tenerci testa. I delegati,<br />

un po’ si incazzano con noi, gli <strong>di</strong>amo fasti<strong>di</strong>o quando<br />

rompiamo le palle, però quando ci esibiamo ridono come gli al-<br />

68


tri, si <strong>di</strong>menticano <strong>di</strong> essere delegati. Se venissero a <strong>di</strong>rci qualcosa<br />

li manderemmo via, noi non deleghiamo a nessuno.<br />

Un giorno però abbiamo proprio esagerato. E’ finita che si è incen<strong>di</strong>ata<br />

una macchina. Era arrivato un gruppo <strong>di</strong> nuovi assunti,<br />

e noi eravamo lì che ci esibivamo. Io sono andato da loro, e<br />

gli ho spiegato come era la faccenda, che noi eravamo una<br />

squadra <strong>di</strong> serie A, dei migliori, e quale era <strong>il</strong> nostro gioco, cioè<br />

<strong>di</strong> fare schifo, non lavorare, fare girare le palle. E gli ho anche<br />

detto che se volevano entrare bene qua, che noi li accettassimo,<br />

dovevano fare qualcosa che li ponesse al nostro livello, cioè superare<br />

una prova del fuoco. Loro hanno preso troppo alla lettera<br />

questa cosa qua della ‘prova del fuoco’, e quando mi sono<br />

girato dopo <strong>di</strong>eci secon<strong>di</strong> faccio ‘Cosa è successo?’. ‘Abbiamo<br />

infuocato la macchina’. Avevano buttato uno straccio imbevuto<br />

<strong>di</strong> qualcosa dentro lo scarico e sembrava un fumogeno, perché<br />

c’erano tutti i solventi in mezzo alle lamiere. Hanno detto ‘Adesso<br />

siamo in grado <strong>di</strong> essere <strong>di</strong> voi?’ ‘Sì, sì’, ho risposto. C’è<br />

stato un casino, capireparto, delegati, operatori, tutti che giravano,<br />

e non capivano come aveva fatto. Bellissimo. E’ stata<br />

una delle nostre pietre m<strong>il</strong>iari. Ci sono stati dei giorni in cui noi<br />

proprio siamo scoppiati nel pieno della nostra classe, che proprio<br />

abbiamo fatto vedere <strong>il</strong> nostro valore”.<br />

“Fondo del bar<strong>il</strong>e” li definirà, in un articolo su “La Stampa”,<br />

Adalberto Minucci, a sott<strong>il</strong>eare <strong>il</strong> carattere deteriore <strong>di</strong> quel particolare<br />

“materiale umano”. Eppure, al<strong>di</strong>là della superficie,<br />

quegli atteggiamenti “nuovi” e inquietanti segnalavano un mutamento<br />

reale del rapporto tra società e fabbrica, tra culture generazionali<br />

e modello produttivo. Mostravano la contrad<strong>di</strong>zione,<br />

ormai evidente, tra sistema delle aspettative e dei bisogni<br />

formatosi nell'ambito <strong>di</strong> un modello democratico ad alta scolarizzazione<br />

e sistema <strong>di</strong> organizzazione e <strong>di</strong> comando proprio<br />

della fabbrica for<strong>di</strong>sta-taylorista; l’improponib<strong>il</strong>ità del vecchio<br />

modello produttivo <strong>di</strong> fronte alla nuova forza-lavoro. Sia pure<br />

nel linguaggio <strong>di</strong>sarticolato delle idee che non hanno ancora<br />

parole, i nuovi assunti esprimevano un sostanziale rifiuto <strong>di</strong> accettare<br />

quella riduzione della propria vita e del proprio tempo a<br />

“merce” che era stato all’origine dello stesso conflitto operaio. E<br />

69


ponevano, implicitamente, una più alta domanda <strong>di</strong> “senso”<br />

del proprio agire produttivo, e <strong>di</strong> autonomia – “bisogni postmaterialistici”<br />

o “post-industriali” li definirà la letteratura sociologica<br />

-. Nè si può <strong>di</strong>re che, superata la <strong>di</strong>ffidenza del primo<br />

approccio, l’incomunicab<strong>il</strong>ità con i vecchi operai fosse assoluta,<br />

la solidarietà impossib<strong>il</strong>e: “Lì comunicavi con tanti - è ancora<br />

Nino Scianna a ricordare -, con i giovani, con i vecchi, soprattutto<br />

con questi, che ti mettevano a <strong>di</strong>sposizione <strong>il</strong> loro sapere,<br />

che ti insegnavano come si fa un lavoro, magari come si fa a<br />

inceppare una macchina e stare fermo mezz’ora, e che nello<br />

stesso tempo si incazzavano se non riuscivi a fare bene <strong>il</strong> lavoro<br />

perché ti <strong>di</strong>cevano ‘Se tu riesci a lavorare bene, <strong>il</strong> padrone non<br />

ti potrà mai <strong>di</strong>re nulla…’ Avevano fiducia in te perché capivano<br />

che anche se eri giovane, anche se avevi stu<strong>di</strong>ato, comunque<br />

eri uno <strong>di</strong> loro, avevi scelto <strong>di</strong> fare l’operaio. Ci si aiuta tra sim<strong>il</strong>i:<br />

questa era una morale operaia, una forma <strong>di</strong> consapevolezza<br />

che si era tutti sfruttati, e da cui nasceva una grossa solidarietà.<br />

In questo ogni appartenenza, regionale o generazionale, si perdeva,<br />

<strong>di</strong>ventava meno importante. Nel lavoro c’era solo una<br />

cosa: tu cercavi <strong>di</strong> aiutare chi era con te, non certo dall’altra<br />

parte della barricata”. E lo stesso Giò, l’irriducib<strong>il</strong>e espressione<br />

<strong>di</strong> una soggettività ra<strong>di</strong>calmente “altra” rispetto a quella operaia<br />

tra<strong>di</strong>zionale, a un certo punto del suo lungo racconto mostra i<br />

segni <strong>di</strong> un ce<strong>di</strong>mento; gli effetti <strong>di</strong> quel lavorio che la fabbrica –<br />

“quella” fabbrica - opera sull’identità anche più selvaggia, segnandola<br />

a poco a poco, e annettendosela: “Probab<strong>il</strong>mente sarà<br />

anche una crisi <strong>di</strong> valori - confessa -, ma io adesso sto tagliando<br />

i ponti con un sacco <strong>di</strong> gente. Crisi <strong>di</strong> amicizia. Le amicizie<br />

<strong>di</strong> prima le faccio vegetare, sperando che le cose tornino<br />

come prima. Ma le amicizie più belle adesso le ho lì dentro, in<br />

fabbrica. Io mi sento, non <strong>di</strong>co più serio…, però gli altri non<br />

capiscono le lotte che faccio io in Fiat… la loro politica è talmente<br />

stupida. La loro politica sono gli spinelli, per certa gente,<br />

oppure <strong>il</strong> concerto, oppure fare sciopero a scuola perché hanno<br />

<strong>il</strong> termosifone spento. Invece per me la politica più vera è quella<br />

del lavoro. Come <strong>di</strong>re? la fabbrica ha ingigantito la mia presunzione.<br />

Sì, io adesso mi sento <strong>di</strong> capire delle cose che gli altri<br />

70


non capiscono. Una volta parlavi <strong>di</strong> lotte, <strong>di</strong> proletari, <strong>di</strong> comunismo,<br />

<strong>di</strong> compagni, però io queste cose le ho incominciate a<br />

vivere sulla pelle. Adesso io penso che ogni cosa che uno deve<br />

fare, ogni lotta, deve essere f<strong>il</strong>trata attraverso dei sacrifici, delle<br />

cose che uno non vorrebbe fare e le fa per qualcosa. Le amicizie<br />

si cementano, secondo me, quando fai qualcosa insieme per<br />

tanto tempo e quando rischi qualcosa insieme”.<br />

Certo, quando nella primavera del 1979 la vertenza per <strong>il</strong> contratto<br />

– l’ultimo contratto dei metalmeccanici firmato con la Fiat<br />

in lotta - era entrata nel vivo, la delusione tra i vecchi operai era<br />

stata forte. Quei giovani così riottosi, così estremi nel rifiuto del<br />

lavoro organizzato industriale, si estraniavano dallo scontro, <strong>di</strong>sertavano<br />

cortei e assemblee e saltavano <strong>il</strong> muro, ogniqualvolta<br />

se ne presentasse l’occasione, per fuggire dalla fabbrica. Per ritagliarsi<br />

un qualche scampolo <strong>di</strong> tempo libero fuori dall’ambito<br />

produttivo. Ma fu questione <strong>di</strong> pochi giorni. Presto anche i<br />

nuovi assunti trovarono una propria collocazione: furono loro a<br />

“inventare” i blocchi stradali invadendo i gran<strong>di</strong> corsi intorno a<br />

Mirafiori e a Rivalta; spostando <strong>il</strong> terreno dello scontro dalla<br />

fabbrica - che non conoscevano e che sapevano ormai congelata<br />

e inerte, comunque controllata da quelle che consideravano<br />

“istituzioni” - alla città, che invece avevano imparato quasi per<br />

istinto a padroneggiare. E che ora paralizzavano giocando sulle<br />

inter<strong>di</strong>pendenze dei flussi <strong>di</strong> traffico (esattamente come i loro<br />

predecessori avevano fatto con la fabbrica bloccando convogliatori<br />

e catene), e percorrevano, <strong>di</strong>rottando i pullman <strong>di</strong> linea,<br />

in rapide scorribande. La conclusione del contratto del 1979 fu<br />

decisa interamente a Torino. Sul terreno dell'or<strong>di</strong>ne pubblico.<br />

Fu, quella, la prima e l’ultima lotta che li vide protagonisti. Ma<br />

sta ad in<strong>di</strong>care, pur tra m<strong>il</strong>le contrad<strong>di</strong>zioni, che, al crepuscolo<br />

del decennio, dentro quella fabbrica travagliata dai processi <strong>di</strong><br />

ristrutturazione, in b<strong>il</strong>ico tra automazione tecnologica e nuova<br />

esigenza <strong>di</strong> comando, quando i termini della tregua produttiva<br />

e del patto sociale sembravano ormai vicini al limite, avrebbe<br />

forse potuto nascere un’ine<strong>di</strong>ta cultura operaia. Un modo <strong>di</strong> vivere<br />

la fabbrica libero indubbiamente dai consolidati capisal<strong>di</strong><br />

della tra<strong>di</strong>zione produttivistica e lavoristica, più sensib<strong>il</strong>e e aper-<br />

71


to alla <strong>di</strong>mensione esistenziale, alle esigenze e alle ansie in<strong>di</strong>viduali,<br />

ma non per questo meno capace <strong>di</strong> contrapposizione.<br />

Una nuova <strong>di</strong>mensione culturale che avrebbe richiesto un paziente<br />

lavoro <strong>di</strong> riflessione e revisione ideologica, <strong>di</strong> ricerca, <strong>di</strong><br />

ricucitura e <strong>di</strong>scussione. Il movimento operaio, invece, nella sua<br />

grande maggioranza, ad esclusione <strong>di</strong> qualche limitato settore<br />

del sindacato torinese, preferì priv<strong>il</strong>egiare <strong>il</strong> terreno del potere,<br />

la propria <strong>di</strong>mensione istituzionale, la fedeltà a un “patto dei<br />

produttori” ormai con evidenza logoro. Scelse, come temi identificanti<br />

quello della produttività e della governab<strong>il</strong>ità, nella fabbrica<br />

come nella società. S’<strong>il</strong>luse che, se avesse saputo <strong>di</strong>mostrare<br />

<strong>di</strong> saper garantire l’or<strong>di</strong>ne nell’ambito produttivo, si sarebbe<br />

automaticamente legittimato a partecipare del potere politico.<br />

E quando, <strong>il</strong> 9 settembre 1979 la Fiat aprì le ost<strong>il</strong>ità licenziando<br />

61 operai e dando <strong>il</strong> via a un’efficacissima campagna sulla<br />

“normalizzazione produttiva”, potè farlo nella certezza <strong>di</strong> avere<br />

dalla propria parte, se non politicamente, quanto meno “culturalmente”,<br />

buona parte della sinistra e del movimento sindacale.<br />

72


5. Dalla rivista “n+1”<br />

http://www.ica-net.it/quinterna/2000_todayrivista/2000_today.htm<br />

Nota<br />

Ringrazio la redazione della rivista n+1 per la concessione<br />

del testo. Questi compagni lavorano con metodo e<br />

rigore e in questo ponderoso scritto ho ritrovato alcuni<br />

temi cui accennavo nel 1979 nel volantino ‘La fiat mente’,<br />

ripresi poi nel mio testo sui 61 licenziati. Resta <strong>il</strong><br />

problema <strong>di</strong> sempre, come trovare la forza, <strong>il</strong> momento,<br />

<strong>il</strong> consenso per dare applicazione a queste riflessioni.<br />

Evitare <strong>il</strong> traffico inut<strong>il</strong>e<br />

73<br />

p.b.<br />

La circolazione delle merci, ossia <strong>il</strong> loro effettivo aggirarsi<br />

nello spazio, si risolve nel trasporto. L’industria dei<br />

trasporti costituisce da un lato un ramo <strong>di</strong> produzione<br />

in<strong>di</strong>pendente, quin<strong>di</strong> una particolare sfera <strong>di</strong> investimento<br />

per <strong>il</strong> capitale produttivo; dall’altro si <strong>di</strong>stingue<br />

per <strong>il</strong> suo apparire come prolungamento del processo <strong>di</strong><br />

produzione.<br />

(Marx, Il Capitale, Libro II, cap. VI,III).<br />

Riduzione dell’ingorgo, velocità e volume del traffico,<br />

vietando quello inut<strong>il</strong>e. (Partito Comunista Int., Il programma<br />

rivoluzionario imme<strong>di</strong>ato, riunione <strong>di</strong> Forlì,<br />

punto “g”, 1952).<br />

OGGI<br />

Comunicazioni<br />

come estensione del processo produttivo<br />

Tutta l’immensa massa <strong>di</strong> costruzioni che copre la crosta terrestre<br />

come un cancro con le sue metastasi, le città, le case, le<br />

fabbriche, tutto dev’essere collegato con un’altrettanto immensa<br />

massa <strong>di</strong> infrastrutture. Per trasportare merci e uomini, per co-


municare, occorrono percorsi e strumenti. E dato che la rete dei<br />

rapporti fra uomini e cose, nell’epoca dello sv<strong>il</strong>uppo massimo<br />

del lavoro sociale, è un generalizzato mettere in comune delle<br />

risorse (anche se in modo mostruosamente estraniato), invece<br />

dei termini specifici trasporti, telecomunicazioni, poste ecc., è<br />

meglio ut<strong>il</strong>izzare l’onnicomprensivo comunicazioni. In effetti<br />

questo mettere in comune risorse è un fenomeno molto più vasto<br />

<strong>di</strong> quello che i tecnici borghesi dell’organizzazione intendono<br />

per sinergie, ed ha implicazioni più profonde. D’altra parte<br />

le poste sono ormai <strong>di</strong>ventate in ogni paese centri complessi <strong>di</strong><br />

servizi, e – nell’era telematica – anche merci immateriali vengono<br />

trasportate, anzi “portate oltre”, lungo la rete nervosa del<br />

complesso sociale. Un oggetto fisico può essere spostato da un<br />

luogo all’altro e <strong>il</strong> rapporto fra <strong>il</strong> mittente e <strong>il</strong> destinatario si esaurisce<br />

nel movimento a senso unico, mentre l’informazione<br />

con<strong>di</strong>visa li mette in rapporto sia biunivoco (ogni in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong><br />

un insieme può essere collegato con un in<strong>di</strong>viduo e uno solo <strong>di</strong><br />

un altro insieme) che generalizzato (rapporto <strong>di</strong> uno a molti e <strong>di</strong><br />

molti a uno nello stesso tempo), così che ogni soggetto è parte<br />

integrante del tutto. La comunicazione, insieme con l’economia<br />

(che lega gli uomini in un rapporto sociale <strong>di</strong> valore), dà luogo<br />

alla più integrata socializzazione del lavoro che la storia abbia<br />

mai visto. Non a caso Engels, nell’Antidühring, chiama organismi<br />

<strong>di</strong> comunicazione ferrovie, poste e telegrafi.<br />

Anche da questo punto <strong>di</strong> vista, dunque, lo sv<strong>il</strong>uppo del capitalismo<br />

è rivelatore dei motivi per i quali i nostri maestri hanno<br />

sempre dato un’enorme importanza al movimento materiale<br />

che getta le fondamenta della società futura. Abbiamo visto ripetute<br />

volte, sulla base dei loro scritti, che una critica al capitalismo<br />

va imperniata non tanto sul fatto che esso è un particolare<br />

tipo <strong>di</strong> società “proprietaria”, ma perché questo moderno sistema<br />

della proprietà dà <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto a una certa classe <strong>di</strong> sfruttare <strong>il</strong><br />

lavoro <strong>di</strong> un’altra nel modo più generalizzato e universale, nella<br />

piena libertà degli interessati sul mercato del lavoro. Quin<strong>di</strong> la<br />

nostra critica non è tanto rivolta a persone o anche classi che si<br />

arricchiscono, ma soprattutto a un modo <strong>di</strong> produzione che si<br />

74


ivela specificamente de<strong>di</strong>to alla mera riproduzione del Capitale<br />

e annich<strong>il</strong>isce l’umanità della nostra specie.<br />

Scoperte, una volta per tutte, le leggi fondamentali del sistema<br />

basato sulla produzione <strong>di</strong> merci, ha sempre più importanza<br />

l’indagine sul come esse vengono prodotte e scambiate. Progetto<br />

e produzione <strong>di</strong> merci in quanto tali non avrebbero alcun<br />

senso se non fossero collegati all'intero sistema produttivo. Ogni<br />

fase del ciclo produttivo è determinata non solo da quella che<br />

l’ha preceduta, ma ancor <strong>di</strong> più da quella che seguirà, perché <strong>il</strong><br />

sem<strong>il</strong>avorato deve adeguarsi all’insieme e non viceversa. Perciò<br />

i “trasporti” non sono che <strong>il</strong> tramite fra una fase e l’altra, così<br />

come nella linea <strong>di</strong> montaggio <strong>il</strong> “pezzo” viene “portato oltre”<br />

da un operaio all’altro. Ed è sempre più frequente <strong>il</strong> caso <strong>di</strong> aziende<br />

che <strong>di</strong>staccano alcuni dei propri progettisti presso i fornitori<br />

per armonizzare le forniture rispetto alle fasi successive.<br />

Abolizione della proprietà nel sistema della proprietà<br />

Se già Engels aveva <strong>sotto</strong>lineato gli elementi <strong>di</strong> massima socializzazione<br />

della sua epoca, è ormai improprio continuare a definire<br />

questo sistema come quello della proprietà privata (da<br />

“privare”), anche se essa è ancora fatta valere su singoli aspetti<br />

<strong>di</strong> una società in cui, nella pratica, ogni sua parte componente<br />

non può veramente “privare” le altre parti <strong>di</strong> qualcosa. L’abisso<br />

fra le classi, dovuto a sottrazione <strong>di</strong> valore da parte <strong>di</strong> quella<br />

dominante, non impe<strong>di</strong>sce che mai come oggi gli uomini abbiano<br />

tanto apportato, con<strong>di</strong>viso e fatto con<strong>di</strong>videre. Ogni classe<br />

esiste in funzione dell’altra. Il capitalismo, uscito dalla sua fase<br />

primitiva, è ormai un sistema integrato <strong>di</strong> lavoro, scienza,<br />

macchine e uomini – capitalisti o liberi ven<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> forza-lavoro<br />

– nel quale l’esistenza fisica <strong>di</strong> un proprietario non ha nessuna<br />

r<strong>il</strong>evanza se non sul piano del mantenimento del potere <strong>di</strong> una<br />

classe; classe che domina non tanto a vantaggio dei suoi singoli<br />

membri, per ricchi e potenti che siano, quanto, soprattutto, a<br />

favore <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong> produzione già morta, che all’umanità<br />

non può più offrire nulla. Proprio l’immensa infrastruttura, rivoluzionata<br />

nell’800 con l’introduzione del sistema ferroviario e<br />

telegrafico, ci mostra come <strong>il</strong> Capitale abbia bisogno <strong>di</strong> socializ-<br />

75


zare al massimo <strong>il</strong> sistema della produzione: le comunicazioni<br />

possono essere appaltate in lotti ai singoli capitalisti, ma rimangono<br />

un irreversib<strong>il</strong>e fatto sociale.<br />

Solo da questo punto <strong>di</strong> vista sistemico possiamo valutare appieno<br />

<strong>il</strong> complesso insieme produttivo borghese. E solo superando<br />

la concezione “volgare” condannata da Marx, quella che<br />

si traduce non nella soppressione del sistema della proprietà ma<br />

nell’estensione <strong>di</strong> essa a tutti gli uomini, possiamo in<strong>di</strong>viduare <strong>il</strong><br />

potenziale rivoluzionario che preme per essere liberato. Engels<br />

più volte r<strong>il</strong>evò, contro l’impostazione ideologica <strong>di</strong> Dühring,<br />

che <strong>il</strong> crescente intervento dello Stato e la socializzazione sempre<br />

più spinta del lavoro bastavano e avanzavano per definire <strong>il</strong><br />

capitalismo, <strong>il</strong> quale, <strong>di</strong> per sé, cioè astraendo dalla classe degli<br />

in<strong>di</strong>vidui possessori <strong>di</strong> capitali, tende a negare sé stesso proprio<br />

con l’espropriazione degli espropriatori e soprattutto ad affidare<br />

allo Stato <strong>il</strong> ruolo <strong>di</strong> pianificatore dell’economia (quin<strong>di</strong> dell'intero<br />

universo dei rapporti sociali).<br />

La socializzazione del lavoro nel capitalismo ha raggiunto vertici<br />

più alti che non nelle società non ancora giunte alla proprietà,<br />

allo Stato e al denaro, nelle quali immani opere testimoniano<br />

ancor oggi <strong>il</strong> grande potenziale “energetico” delle comunità non<br />

estraniate. Eppure quelle società funzionavano proprio su una<br />

rete <strong>di</strong> scambi <strong>di</strong> oggetti, perciò <strong>di</strong> valori d’uso e non <strong>di</strong> valori <strong>di</strong><br />

scambio. Proprio perché conoscevano soltanto una <strong>di</strong>visione<br />

tecnica del lavoro e non erano ancora giunte ad una sua vera e<br />

propria <strong>di</strong>visione sociale, comunicavano e trasportavano così<br />

come fanno le varie parti <strong>di</strong> un organismo, le quali comunicano<br />

gli impulsi nervosi o sono attraversate dal sangue che trasporta<br />

nelle vene gli elementi metabolici. La società umana futura,<br />

spingendo alle massime conseguenze questi caratteri (anche<br />

tramite l’uso finalmente umano della scienza) non sarà un<br />

“modo <strong>di</strong> produzione” ma parte della natura funzionante secondo<br />

un organico metabolismo.<br />

Comunicazioni come nervature della fabbrica globale<br />

Il funzionamento del sistema capitalistico, tecnico e <strong>di</strong>sumano,<br />

incurante delle proprie cellule che ritiene ut<strong>il</strong>i solo in quanto<br />

76


produttrici brute e me<strong>di</strong>atrici <strong>di</strong> valore, è paragonab<strong>il</strong>e a quello<br />

<strong>di</strong> uno dei suoi moduli portanti, assomiglia cioè ad una fabbrica<br />

allargata, nella quale <strong>il</strong> processo <strong>di</strong> produzione esce storicamente<br />

dagli e<strong>di</strong>fici della vecchia manifattura e l’operaio parziale<br />

viene sostituito dall’operaio globale (cfr. Operaio parziale e piano<br />

<strong>di</strong> produzione). In tale contesto <strong>il</strong> controllo dell’economia<br />

nazionale – e persino internazionale – spinge la socializzazione<br />

ad un passo dalle caratteristiche della fase inferiore della società<br />

futura. Questo particolare modo <strong>di</strong> essere del capitalismo maturo<br />

ha dunque dei risvolti pratici importanti.<br />

Abbiamo visto che <strong>il</strong> sistema dei trasporti è paragonab<strong>il</strong>e ad<br />

una estensione dell’apparato produttivo. Ovviamente risponde<br />

anche al criterio della “circolazione” delle merci, ma pochi si<br />

rendono conto che la maggior parte del trasporto e delle comunicazioni<br />

non avviene dal produttore al consumatore ma fra<br />

produttori. Oltre ad essere un’altra verifica sperimentale degli<br />

assunti marxisti (importanza primaria della produzione <strong>di</strong> mezzi<br />

<strong>di</strong> produzione e non <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> consumo), questo dato <strong>di</strong> fatto ci<br />

introduce meglio alla fabbrica <strong>di</strong>ffusa, in quanto ci rende subito<br />

evidente l’analogia fra gli spostamenti dei sem<strong>il</strong>avorati<br />

all’interno della fabbrica e gli spostamenti degli stessi sem<strong>il</strong>avorati<br />

all’esterno: <strong>il</strong> tutto avviene in una rete <strong>di</strong> comunicazioni <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>verso tipo che affascia l’insieme e lo rende assolutamente solidale.<br />

Attenzione, non soltanto “intrecciato”, come fa notare<br />

Lenin a proposito del lavoro sociale mon<strong>di</strong>ale, ma unitario. E<br />

ciò, naturalmente, è in contrad<strong>di</strong>zione acuta con la sopravvivenza<br />

delle borghesie nazionali e delle stesse nazioni, ma <strong>di</strong><br />

questo ci siamo occupati altrove (cfr. Globalizzazione ).<br />

A tale proposito è bene ricordare che ci hanno sempre fatto sorridere<br />

coloro che da anni pre<strong>di</strong>cano la “fine del taylorismo”<br />

immaginando un’epoca post-for<strong>di</strong>sta, come se la fabbrica<br />

d’oggi fosse un’altra cosa rispetto a quella <strong>di</strong> un secolo fa. In effetti<br />

la <strong>di</strong>fferenza va vista con la vecchia manifattura, tipo <strong>di</strong><br />

fabbrica sopravvissuta giusto fino a Taylor. E anche in questo<br />

caso <strong>il</strong> personaggio che dà <strong>il</strong> nome all’ennesimo “ismo” non fu<br />

<strong>il</strong> geniale “creatore” <strong>di</strong> un metodo, ma <strong>il</strong> perspicace applicatore<br />

<strong>di</strong> meto<strong>di</strong> che si stavano facendo strada man mano che la<br />

77


scienza coinvolgeva anche l’organizzazione e non solo le macchine<br />

e gli impianti. Il taylorismo, una volta reso unitario al <strong>di</strong> là<br />

delle esperienze empiriche e assurto a <strong>di</strong>sciplina formalizzata,<br />

non è altro che la trasposizione organizzativa, empirica del capitolo<br />

<strong>di</strong> Marx sulle macchine (Libro I del Capitale): l’operaio, inserito<br />

nel sistema della produzione macchinizzata, <strong>di</strong>venta operatore<br />

parziale <strong>di</strong> un ciclo complesso, così come <strong>il</strong> sem<strong>il</strong>avorato<br />

è materia parziale del prodotto finito. Ora, nel sistema chiuso <strong>di</strong><br />

fabbrica, ad ogni operaio o gruppo <strong>di</strong> operai corrisponde una<br />

fase <strong>di</strong> lavorazione, a sua volta identificata con un reparto. Nel<br />

sistema aperto delle fabbriche, conseguenza dell’ulteriore <strong>di</strong>visione<br />

sociale del lavoro e quin<strong>di</strong> dell’ulteriore specializzazione,<br />

un’intera fabbrica specializzata nella produzione <strong>di</strong> un certo sem<strong>il</strong>avorato<br />

sostituisce <strong>il</strong> reparto, e <strong>il</strong> trasporto fra le fabbriche<br />

specializzate sostituisce la linea <strong>di</strong> montaggio.<br />

Formulette che si leggono sui giornali, come outsourcing e justin-time<br />

production cycle (“rifornirsi all’esterno” e “ciclo <strong>di</strong> produzione<br />

in tempo reale”) sono ut<strong>il</strong>izzate in genere come termini<br />

<strong>di</strong> moda, senza che emerga l’importanza <strong>di</strong> quel che sottintendono,<br />

ossia la proiezione verso l’esterno <strong>di</strong> ciò che da un secolo<br />

succedeva già all’interno delle fabbriche. Rifornirsi all’esterno<br />

significa integrare a sé <strong>il</strong> sistema dei fornitori e dei clienti, in<br />

modo che <strong>il</strong> flusso dei materiali e delle informazioni sia unitario;<br />

produrre just-in-time significa integrare nel tempo e nello spazio<br />

<strong>il</strong> flusso dei materiali in modo che non vi sia né un deposito<br />

permanente degli stessi in attesa da qualche parte (non solo nel<br />

magazzino ma anche lungo tutto <strong>il</strong> processo), né un flusso <strong>di</strong>somogeneo<br />

rispetto alla velocità <strong>di</strong> scorrimento della produzione<br />

(sincronia, per evitare i cosiddetti colli <strong>di</strong> bottiglia). Tutto<br />

questo, a vari gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> perfezione, è sempre stato oggetto <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o da parte dei responsab<strong>il</strong>i del ciclo produttivo. Osserviamo<br />

che già Taylor integrava le r<strong>il</strong>evazioni sul campo con <strong>il</strong> lavoro<br />

<strong>di</strong> formalizzazione svolto negli uffici “tempi e meto<strong>di</strong>”, per<br />

cui la fabbrica <strong>di</strong>ventava un organismo pre-or<strong>di</strong>nato, nel quale<br />

era già prevista ogni <strong>di</strong>namica, compresa quella dei flussi delle<br />

forniture dall’esterno. Dal punto <strong>di</strong> vista dei principii organizzativi<br />

non c’è quin<strong>di</strong> nessuna <strong>di</strong>fferenza fra l’interno e l’esterno<br />

78


della fabbrica per la semplice ragione che in un caso e nell’altro<br />

stiamo parlando <strong>di</strong> un ciclo <strong>di</strong> lavorazione unico che deve <strong>sotto</strong>stare<br />

a delle regole uniche.<br />

Fondamentale fu l’unificazione dei criteri <strong>di</strong> misura e delle parti<br />

(viti, cuscinetti, ingranaggi, ecc.), cui seguì molto più tar<strong>di</strong> quella<br />

dei processi. La logistica industriale è <strong>il</strong> criterio <strong>di</strong> alimentazione<br />

della produzione. Essa prende <strong>il</strong> nome dall’arte m<strong>il</strong>itare<br />

degli approvvigionamenti e in origine significava “arte del calcolo”.<br />

Infatti <strong>il</strong> sistema capitalistico <strong>di</strong> produzione è <strong>di</strong>ventato<br />

così complesso da rendere necessaria ormai la pianificazione<br />

della sua <strong>di</strong>namica, opera per la quale non bastano dei buoni<br />

organizzatori.<br />

La logistica come controllo economico<br />

Più <strong>il</strong> sistema <strong>di</strong>venta complesso, più i meccanismi che ne garantiscono<br />

<strong>il</strong> funzionamento rimangono invisib<strong>il</strong>i alla stragrande<br />

maggioranza della popolazione. Quasi nessuno sa che cosa<br />

succede realmente quando, ad esempio, ut<strong>il</strong>izziamo un cellulare,<br />

accen<strong>di</strong>amo una lampa<strong>di</strong>na, viaggiamo in treno, facciamo <strong>il</strong><br />

pieno dal benzinaio o acquistiamo un’automob<strong>il</strong>e. Queste e<br />

gran parte delle nostre azioni quoti<strong>di</strong>ane si riferiscono a reti <strong>di</strong><br />

tale complessità che non potrebbero funzionare senza piani<br />

centralizzati, oltretutto precisi al punto da limitare le probab<strong>il</strong>ità<br />

<strong>di</strong> intoppo (che sono m<strong>il</strong>ioni) ad eventi statisticamente trascurab<strong>il</strong>i.<br />

Gli esempi potrebbero essere moltissimi, tutta la nostra<br />

vita ruota intorno a processi pianificati. Tra<strong>di</strong>zionalmente si intende<br />

per logistica la pianificazione del flusso dei materiali attraverso<br />

un’organizzazione, che può essere <strong>di</strong> qualsiasi tipo, da<br />

un esercito a una fabbrica. In quest’ultimo caso <strong>il</strong> flusso va dalla<br />

materia prima, fornita dalla Terra, al prodotto finale, fornito<br />

dalla fabbrica <strong>di</strong> beni <strong>di</strong> consumo al consumatore. In mezzo c’è<br />

l’enorme settore, <strong>di</strong> gran lunga <strong>il</strong> più importante, della produzione<br />

dei mezzi <strong>di</strong> produzione, impianti, ecc. Si capisce meglio<br />

a questo punto ciò che si <strong>di</strong>ceva prima a proposito del traffico:<br />

dal produttore al consumatore si percorre solo l’ultimo, breve e<br />

insignificante tratto dell’intero percorso. Il Capitale s’impernia<br />

su sé stesso, non sull’uomo.<br />

79


Sul campo <strong>il</strong> termine è ut<strong>il</strong>izzato assai male, essendo in genere<br />

associato ai movimenti dei pezzi in officina o degli autocarri sulla<br />

strada. Ma è evidente che la logistica è non solo movimento<br />

<strong>di</strong> “pezzi”, sem<strong>il</strong>avorati o autoveicoli che siano, ma anche e soprattutto<br />

azione <strong>di</strong> uomini, scambio <strong>di</strong> informazione, previsione,<br />

progetto, calcolo. Con l’avvento della cosiddetta qualità totale,<br />

e soprattutto <strong>di</strong> Internet, le maggiori aziende hanno dovuto riprogettare<br />

tutta la loro logistica, cosa che le ha obbligate anche<br />

a ri-progettare buona parte dell’intero sistema produttivo materiale.<br />

Così si affievolisce la <strong>di</strong>fferenza fra le poste, gli autotrasporti, le<br />

ferrovie, le compagnie aeree, le flotte e i servizi logistici integrati<br />

come UPS, FedEx, DPWN (Deutsche Post World Net, che ha<br />

assorbito la DHL), e… gli eserciti. Tutti questi organismi hanno<br />

propri mezzi terrestri, navali ed aerei e ne ut<strong>il</strong>izzano <strong>di</strong> altrui (nel<br />

‘91 l’esercito USA ut<strong>il</strong>izzò un ponte aereo in parte costituito da<br />

aerei civ<strong>il</strong>i affittati per portare mezzo m<strong>il</strong>ione <strong>di</strong> uomini in Iraq e<br />

<strong>di</strong>ntorni). La macchina da guerra moderna, centralizzata, pianificata,<br />

<strong>di</strong>spotica, è l’esempio più calzante per definire l’apparato<br />

della produzione industriale basato sull’efficienza logistica. Il<br />

generale Schwarzkopf, che comandò la Guerra del Golfo e<br />

quin<strong>di</strong> una delle più complesse operazioni logistiche mai pianificate,<br />

una volta tornato a casa mise le sue competenze al servizio<br />

<strong>di</strong> una grande catena <strong>di</strong> supermercati. E c’è ancora qualche<br />

borghese fuori-<strong>di</strong>-testa che blatera sul liberismo o, peggio, qualche<br />

ingenuo m<strong>il</strong>itante che s’in<strong>di</strong>gna per le “privatizzazioni” selvagge<br />

o per gli effetti della globalizzazione. Il liberismo è<br />

un’i<strong>sole</strong>tta <strong>di</strong> anarchia <strong>di</strong> mercato in un oceano <strong>di</strong> pianificazione<br />

dura.<br />

La logistica anche come controllo sociale?<br />

Le reti <strong>di</strong> fornitura mon<strong>di</strong>ale, le comunicazioni e i materiali trasporti<br />

connettono talmente ogni attività sul pianeta che c’è da<br />

stupirsi come non ci sia ancora stato lo scontro definitivo fra i<br />

salari del proletariato occidentale e quelli del proletariato del<br />

mondo detto eufemisticamente “in via <strong>di</strong> sv<strong>il</strong>uppo”. La realtà è<br />

che la <strong>di</strong>visione sociale del lavoro permette per <strong>il</strong> momento <strong>di</strong><br />

80


mantenere nei paesi industrializzati <strong>il</strong> nocciolo essenziale delle<br />

produzioni ad altissimo sfruttamento (drenaggio <strong>di</strong> plusvalore<br />

relativo) mentre nei paesi capitalisticamente marginali <strong>il</strong> saggio<br />

<strong>di</strong> sfruttamento (cioè <strong>il</strong> rapporto fra plusvalore e salario) rimane<br />

molto basso. Ciò provoca un aumento dell’importanza internazionale<br />

della logistica, dato che i proletari dei paesi “poveri”<br />

producono per quelli dei paesi “ricchi”, e lo possono fare soltanto<br />

se questi ultimi continuano ad essere una classe in grado<br />

<strong>di</strong> consumare. È quin<strong>di</strong> necessario <strong>di</strong>slocare lontano alcune<br />

produzioni, anche a decine <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> ch<strong>il</strong>ometri, e far viaggiare<br />

le merci, connettere le fabbriche, muovere uomini, progettare<br />

flussi, muovere <strong>di</strong>plomazie, firmare accor<strong>di</strong> fra nazioni e<br />

farli rispettare, ovviamente con magistrature e polizie e, quando<br />

non basta, eserciti.<br />

Un tale tipo <strong>di</strong> attività è destinato a <strong>di</strong>ventare sempre più importante.<br />

La McKinsey, una società <strong>di</strong> consulenza per <strong>di</strong>rigenti,<br />

ha calcolato, estrapolando dai b<strong>il</strong>anci delle maggiori società e<br />

proiettando a scala nazionale, che <strong>il</strong> mercato delle attività logistiche<br />

“vale”, solo negli Stati Uniti, 1.000 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari, <strong>il</strong><br />

10% del PIL americano, e cresce del 4% all’anno (<strong>il</strong> mercato<br />

europeo è sui 200 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong>). L’industria incomincia a praticare<br />

l’outsourcing anche in questo campo e le aziende <strong>di</strong> servizi specializzate<br />

in progettazione logistica per conto terzi (third party<br />

market) fatturano già 50 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> dollari, una cifra in crescita<br />

del 18% all’anno. Società multinazionali come Caterp<strong>il</strong>lar e<br />

Fiat, obbligate sia generato, se nella pancia o nell’immaginazione.<br />

La logistica è una merce perfetta perché lega in un<br />

vincolo in<strong>di</strong>ssolub<strong>il</strong>e <strong>il</strong> fornitore e <strong>il</strong> cliente. La Ford, per esempio,<br />

ha uno dei suoi stab<strong>il</strong>imenti a Toronto, dove produce<br />

1.500 furgoni commerciali al giorno su tre turni, cioè non si<br />

ferma mai. Ha affidato la logistica alla TPG, uno dei più gran<strong>di</strong><br />

fornitori <strong>di</strong> “logistica intelligente”. La produzione just-in-time<br />

prevede, come abbiamo visto, la connessione <strong>di</strong>retta delle linee<br />

<strong>di</strong> montaggio della Ford con quelle dei fornitori. La a sv<strong>il</strong>uppare<br />

per sé capacità logistiche globali, adesso le mettono in ven<strong>di</strong>ta<br />

e si occupano <strong>di</strong> logistica altrui.<br />

81


La merce per essere ven<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e deve avere un valore <strong>di</strong> scambio<br />

e un valore d’uso, non importa dove quest’ultimo TPG ha organizzato<br />

800 servizi <strong>di</strong> trasporto al giorno che portano i pezzi<br />

sem<strong>il</strong>avorati provenienti da 300 fornitori <strong>di</strong>versi. Si <strong>di</strong>rà che è<br />

una follia, uno spreco gigantesco. Vero, ma <strong>il</strong> risparmio, nonostante<br />

la logistica costi molto, è nelle economie <strong>di</strong> scala, dato<br />

che i fornitori sono reparti della fabbrica globale e costruiscono<br />

pezzi non solo per la Ford. Il sistema è gestito da un software<br />

della TPG che si integra con la produzione computerizzata della<br />

Ford, ma che in pratica la domina, dato che ne controlla i flussi<br />

in entrata. Infatti i sem<strong>il</strong>avorati arrivano a 12 punti lungo le linee<br />

<strong>di</strong> montaggio che debbono essere sincronizzati e la cui alimentazione<br />

non può mai subire ritar<strong>di</strong> maggiori <strong>di</strong> 10 minuti. I<br />

sem<strong>il</strong>avorati sono naturalmente caricati sugli autocarri nella giusta<br />

sequenza da 200 operai <strong>di</strong>sposti lungo l’intero flusso, <strong>il</strong> quale<br />

è controllato da 10 pianificatori in una sala computer, che<br />

possono “tracciare” dettagliatamente i percorsi grazie a un transponder<br />

allegato ad ogni fornitura. Gli autocarri sono guidati da<br />

padroncini <strong>il</strong> cui compenso <strong>di</strong>minuisce del 2% all’anno per contratto<br />

(settennale). La maggior parte degli addetti salariati sono<br />

precari. La Ford ut<strong>il</strong>izza un sistema analogo in Europa, così<br />

come la Volkswagen e le altre case automob<strong>il</strong>istiche.<br />

A qualcuno sembra davvero che <strong>il</strong> mondo stia avviandosi verso<br />

un oscuro orwelliano 1984 planetario, dato che gli Stati <strong>di</strong>ventano<br />

parte integrante della pianificazione logistica, mentre le<br />

gran<strong>di</strong> aziende capitalistiche ricordate nei paragrafi precedenti<br />

offrono i progetti teorici e i mezzi per l’attuazione. Il capitalismo<br />

liberista e selvaggio, che si presenta come appen<strong>di</strong>ce a mostruosi<br />

apparati <strong>di</strong> controllo globale, la precarietà e la <strong>di</strong>spersione<br />

del proletariato, l’isolamento e l’incertezza in cui piomba<br />

l’in<strong>di</strong>viduo senza riserve, tutto ciò sembra precipitare la lotta <strong>di</strong><br />

classe nel regno dei ricor<strong>di</strong> storici, come se non potesse più “risorgere”.<br />

Non siamo per nulla d’accordo. La lotta <strong>di</strong> classe non<br />

scompare mai. Va da sé che questo sistema <strong>di</strong>venta estremamente<br />

vulnerab<strong>il</strong>e proprio alla lotta <strong>di</strong> classe: essendo costituito<br />

da flussi progettati per connettersi perfettamente l’uno con<br />

l’altro nel tempo e nello spazio, può essere attaccato in ogni<br />

82


punto con effetti <strong>di</strong>sastrosi sull’intero ciclo <strong>di</strong> produzione nazionale<br />

ed anche mon<strong>di</strong>ale. Per chiunque abbia provato a organizzare<br />

scioperi, la lettura <strong>di</strong> questi dati sulla logistica fa prudere<br />

le mani, tanto <strong>il</strong> sistema appare – ed è – esposto, frag<strong>il</strong>e, assolutamente<br />

in<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>b<strong>il</strong>e da parte dei singoli capitalisti. Come al<br />

solito, ha prodotto da sé stesso gli agenti della propria morte, a<br />

livello sempre più alto, nonostante l’apparente capacità <strong>di</strong> controllo.<br />

E per quanto riguarda la “<strong>di</strong>spersione” della classe, non<br />

più concentrata nelle gran<strong>di</strong> industrie <strong>di</strong> un tempo, ebbene, essa<br />

è oggi certamente negativa, ma solo perché domina ancora<br />

l’ideologia balorda, dovuta alla deleteria teorizzazione congiunta<br />

or<strong>di</strong>novista, stalinista e anarco-sindacalista, dell’operaioazienda,<br />

del gruppo legato alla specifica produzione, del consiglio<br />

<strong>di</strong> fabbrica come cellula separata, mentre la storica e forte<br />

posizione classista è sempre stata quella dell’organizzazione territoriale<br />

al <strong>di</strong> là della fabbrica e del mestiere. Un’organizzazione<br />

sindacale seria non si strutturerebbe mai <strong>sotto</strong> gli occhi del padrone,<br />

integrandosi col suo ciclo produttivo, giungendo persino<br />

a consegnargli l’elenco degli iscritti per la trattenuta della quota<br />

sindacale.<br />

Il reazionario trasporto privato<br />

Abbiamo visto come la società capitalistica, dopo aver rivoluzionato<br />

<strong>il</strong> mondo, sia ormai del tutto incapace <strong>di</strong> introdurre elementi<br />

nuovi, nel senso <strong>di</strong> ut<strong>il</strong>i all’evoluzione dell’homo faber,<br />

dell’uomo che produce e come tale si riproduce. Scienza e tecnica<br />

“progre<strong>di</strong>scono”, certo, ma invece <strong>di</strong> liberare l’uomo dalla<br />

fatica e dal lavoro come pena, lo inchiodano alla macchina, al<br />

grande automa generale, come Marx chiamava la fabbrica<br />

macchinizzata e <strong>il</strong> sistema delle fabbriche.<br />

Un esempio <strong>il</strong>luminante <strong>di</strong> come, a quella vera e propria rivoluzione<br />

che è stata l’ascesa dell’industria, delle ferrovie e del telegrafo,<br />

si possa accompagnare un fenomeno assolutamente reazionario,<br />

è dato dall’automob<strong>il</strong>e. Non abbiamo nulla contro la<br />

forma che un qualsiasi mezzo <strong>di</strong> trasporto possa assumere, ma<br />

certo l’automob<strong>il</strong>e non è solo un mezzo <strong>di</strong> trasporto, è una male<strong>di</strong>zione<br />

sociale. Essa nasce come sv<strong>il</strong>uppo della carrozza a ca-<br />

83


valli privata quando <strong>il</strong> movimento degli uomini, delle merci e delle<br />

informazioni era già assicurato dalle ferrovie, dalle navi e dal<br />

telegrafo in una rete sociale. Persino la carrozza era già in gran<br />

parte pubblica, e infine si era trasformata, pur mantenendo i cavalli,<br />

in omnibus viaggiante su rotaie e in grado <strong>di</strong> trasportare<br />

decine <strong>di</strong> persone. Vale la pena elencare alcuni risultati contrad<strong>di</strong>ttori<br />

dell’avanzata del sociale e dell’assur<strong>di</strong>tà del privato:<br />

1) Mentre <strong>il</strong> motore elettrico faceva balzare <strong>il</strong> ren<strong>di</strong>mento delle<br />

macchine motrici dal 5% scarso del carbone-vapore al 95% e<br />

più, l’automob<strong>il</strong>e rimaneva schiava delle leggi della termo<strong>di</strong>namica<br />

e <strong>il</strong> suo ren<strong>di</strong>mento non riusciva storicamente a raggiungere<br />

<strong>il</strong> 30%, che si supera appena nei mostri tecnologici da<br />

formula uno. A proposito <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>mento e motori elettrici: <strong>il</strong> record<br />

mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> velocità per automob<strong>il</strong>i (105 Km/h, Jenatzy su<br />

Jamais Contente) fu ottenuto nel 1899 su un’auto elettrica e<br />

non fu mai superato, per quel tipo <strong>di</strong> auto, fino al 1968.<br />

2) Mentre l’elettricità, prodotta in modo centralizzato e <strong>di</strong>stribuita<br />

in rete, prefigurava una società organica contro <strong>il</strong> localismo<br />

decentrato del vapore (veramente proudhoniano, <strong>di</strong>ce un testo<br />

della nostra corrente), <strong>il</strong> motore a combustione interna rimaneva<br />

nient’altro che una sostituzione rumorosa e inquinante del<br />

cavallo.<br />

3) Mentre le reti sociali <strong>di</strong> comunicazione erano passib<strong>il</strong>i <strong>di</strong> continui<br />

miglioramenti nella loro struttura, quin<strong>di</strong> nel ren<strong>di</strong>mento<br />

generale, l’automob<strong>il</strong>e privata esaltava l’in<strong>di</strong>vidualismo e la <strong>di</strong>ssipazione,<br />

oltre che, naturalmente, l’aumento del caos dovuto<br />

al suo muoversi anarchico e scoor<strong>di</strong>nato.<br />

4) Mentre nelle reti sociali è possib<strong>il</strong>e progettare i flussi e costruire<br />

modelli matematici in un vero e proprio rovesciamento<br />

della prassi, nel caos molecolare del trasporto privato <strong>il</strong> massimo<br />

livello raggiunto è l’invenzione del semaforo per impe<strong>di</strong>re<br />

che gli automob<strong>il</strong>isti si ammazzino e intasino gli incroci (en passant:<br />

l’incrocio non è previsto nel traffico organico; nelle reti vi<br />

sono solo no<strong>di</strong>, ut<strong>il</strong>i a sbrogliare i flussi, non a incasinarli).<br />

5) Mentre in una rete sociale è possib<strong>il</strong>e ottimizzare la fruizione<br />

del mezzo singolo, lo stesso mezzo consegnato al privato passa<br />

una enorme parte della propria esistenza inut<strong>il</strong>izzato (frequente<br />

84


<strong>il</strong> caso dell’automob<strong>il</strong>e ferma in garage mentre <strong>il</strong> proprietario va<br />

a lavorare in autobus, oppure dell’auto che si consuma nel traffico,<br />

dove gli autobus non possono circolare a causa sua, e poi<br />

resta tutto <strong>il</strong> giorno nel parcheggio della fabbrica).<br />

6) Mentre la rete sociale è alimentata e gestita da una struttura<br />

altrettanto sociale, <strong>il</strong> caos molecolare del trasporto privato è alimentato<br />

da una serie <strong>di</strong> servizi privati assolutamente <strong>di</strong>ssipativi:<br />

concessionari, <strong>di</strong>stributori, assicuratori, carrozzieri, meccanici,<br />

gommisti, elettrauto per ogni veicolo (riparare un autobus<br />

che porta me<strong>di</strong>amente 50 persone richiede quasi la stessa energia<br />

sociale ut<strong>il</strong>izzata da un veicolo che ne porta una).<br />

7) La rete sociale minimizza la <strong>di</strong>ssipazione con <strong>il</strong> piano centrale<br />

e con alti ren<strong>di</strong>menti intrinseci, mentre <strong>il</strong> movimento molecolare<br />

è per sua natura altamente <strong>di</strong>ssipativo. Costruire una rete richiede<br />

meno energia che costruire elementi separati, l’attrito<br />

ferroviario e navale è molto basso (se rapportiamo a 100 l’attrito<br />

dei cuscinetti <strong>di</strong> un’auto spostata a motore spento, l’attrito<br />

stradale è da 2.000 a 2.200), la manutenzione centralizzata <strong>di</strong><br />

un grande parco macchine è più efficiente del cap<strong>il</strong>lare servizio<br />

assistenza clienti privato, ecc. ecc.<br />

L’automob<strong>il</strong>e in quanto tale<br />

Se affermiamo che l’automob<strong>il</strong>e è una vera calamità sociale<br />

non è certo perché siamo inclini a romanticismi passatisti, ma<br />

perché si tratta <strong>di</strong> un particolare tipo <strong>di</strong> merce che non ha nessuna<br />

possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> comparire come elemento importante, seppure<br />

trasformato nella sua natura e nel suo ut<strong>il</strong>izzo, nella società<br />

umana futura. Oggi invece, oltre a passare per importante, obbliga<br />

la società intera a modellarsi secondo le sue esigenze, che<br />

non sono <strong>di</strong> certo quelle degli uomini, anche se questi ultimi<br />

pensano <strong>di</strong> essere essi stessi a modellare <strong>il</strong> mondo, compresa<br />

ovviamente l’automob<strong>il</strong>e.<br />

L’impatto ambientale dell’automob<strong>il</strong>e non è quello immaginato<br />

dalla maggior parte degli ecologisti, i quali preferiscono in massa<br />

le brodaglie moralistiche cucinate dai loro politicanti piuttosto<br />

che gli stu<strong>di</strong> seri che alcuni tecnici scrupolosi e preoccupati<br />

per le sorti della biosfera hanno preparato nei dettagli. Non si<br />

85


tratta infatti <strong>di</strong> proporre automob<strong>il</strong>i che consumano poco o che<br />

vanno a idrogeno, come quelle presentate dai comici (appunto!),<br />

si tratta <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>ire se l’umanità ha bisogno <strong>di</strong> questo aggeggio<br />

elevato a sistema oppure no.<br />

Da quando l’uomo ha iniziato ad ut<strong>il</strong>izzare un’energia <strong>di</strong>versa<br />

da quella animale, si è trovato <strong>di</strong> fronte al problema <strong>di</strong> ricavare<br />

dall’incremento <strong>di</strong> potenza più benefici <strong>di</strong> quanto “costi” la <strong>di</strong>ssipazione<br />

<strong>di</strong> energia. Per esempio, la costruzione <strong>di</strong> una condotta<br />

d’acqua per far girare le macine <strong>di</strong> un mulino deve costare<br />

meno <strong>di</strong> quanto <strong>il</strong> mulino potrà produrre nel tempo <strong>di</strong> durata<br />

dell’impianto. In regime capitalistico <strong>il</strong> calcolo è basato sul valore,<br />

ma <strong>il</strong> problema del rapporto fra l’energia anticipata e quella<br />

ottenuta si affaccia in tutte le società, qualunque sia <strong>il</strong> modo <strong>di</strong><br />

produzione che le esprime. Si tratta <strong>di</strong> leggi fisiche e l’ideologia<br />

non c’entra, o meglio: c’entra in quanto oggi la si ut<strong>il</strong>izza per<br />

mascherare la vera natura del problema ecologico, che comprende<br />

quello dell’automob<strong>il</strong>e (cfr. Controllo dei consumi, sv<strong>il</strong>uppo<br />

dei bisogni umani).<br />

Analizziamo dunque l’automob<strong>il</strong>e nell’ottica del consumo <strong>di</strong><br />

energia sociale. Il motore a scoppio, l’abbiamo visto, arriva a<br />

un ren<strong>di</strong>mento massimo del 30%. Ciò significa che<br />

l’automob<strong>il</strong>e, dopo che è stata fabbricata e messa in circolazione,<br />

butta via <strong>il</strong> 70% del carburante che usa per muoversi. Esso<br />

viene <strong>di</strong>ssipato per la maggior parte <strong>sotto</strong> forma <strong>di</strong> calore e<br />

prodotti combusti, energia non recuperab<strong>il</strong>e ai fini del moto. Le<br />

statistiche ci <strong>di</strong>cono che un’auto, quando si muove, trasporta in<br />

me<strong>di</strong>a 1,5 persone, nonostante sia progettata in genere per 5.<br />

Si sfrutta quin<strong>di</strong> l’energia del carburante a questi fini per 1,5/5,<br />

cioè per <strong>il</strong> 30%. Ora, <strong>il</strong> 30% <strong>di</strong> effettivo ut<strong>il</strong>izzo per trasportare<br />

lo stupido bipede motorizzato, sul 30% del ren<strong>di</strong>mento termo<strong>di</strong>namico,<br />

ci dà <strong>il</strong> 9% <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>mento calcolato su macchina e<br />

persone. Ma la macchina pesa una tonnellata, mentre 1,5 persone<br />

pesano circa un quintale, perciò <strong>il</strong> nostro 9% <strong>di</strong>venta<br />

0,9% non appena teniamo conto che, oltre alle persone,<br />

l’automob<strong>il</strong>e deve muovere la sua propria massa. Ecco un vero<br />

specchio del capitalismo: la specifica merce-auto, lavoro passa-<br />

86


to, morto com’è lavoro morto <strong>il</strong> Capitale, non serve che a sé<br />

stessa!<br />

Ma questo è un calcolo ancora molto, molto imperfetto rispetto<br />

a quanto <strong>di</strong>cevamo sul ren<strong>di</strong>mento dei sistemi. Nessuna società<br />

sensata terrebbe conto soltanto della <strong>di</strong>ssipazione locale, senza<br />

badare alla <strong>di</strong>ssipazione globale. Vi sono effetti non quantificab<strong>il</strong>i<br />

(leggere un libro comodamente seduti sull’autobus invece <strong>di</strong><br />

dannarsi nel traffico caotico evita sia <strong>il</strong> calo <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>mento sulle<br />

altre attività della vita che l’assunzione <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cinali per l’ulcera<br />

o la depressione del guidatore), ma ve ne sono <strong>di</strong> ben formalizzab<strong>il</strong>i<br />

in modelli <strong>di</strong> simulazione, come l’intera <strong>di</strong>ssipazione comportata<br />

dal ciclo produttivo, dal sistema <strong>di</strong> supporto, dalle infrastrutture,<br />

dall’effetto sull’ambiente. Un’auto-mob<strong>il</strong>e, per esempio,<br />

è formata da circa 10.000 componenti e solo <strong>il</strong> 30% <strong>di</strong> essi<br />

è prodotto nella “fabbrica <strong>di</strong> automob<strong>il</strong>i”: per <strong>il</strong> restante 70% le<br />

parti provengono da molte altre fabbriche, spesso ubicate in <strong>di</strong>versi<br />

paesi lontani fra loro (con la crisi Fiat è in progetto la ristrutturazione<br />

dell’indotto che produrrebbe per la Germania). È<br />

<strong>il</strong> sistema mon<strong>di</strong>ale delle comunicazioni a permettere <strong>il</strong> montaggio<br />

del prodotto finale. Perciò un’automob<strong>il</strong>e, ben prima <strong>di</strong><br />

essere messa su strada, ha già percorso, <strong>di</strong>visa in componenti,<br />

più della strada che farà in tutta la sua vita, a bordo <strong>di</strong> altri autoveicoli,<br />

treni, aerei, navi, i quali, a loro volta…<br />

È fin troppo fac<strong>il</strong>e concludere che <strong>il</strong> sistema dell’auto-mob<strong>il</strong>e<br />

non solo ha ren<strong>di</strong>mento assolutamente ri<strong>di</strong>colo – cosa comune<br />

a molti altri tipi <strong>di</strong> sistema – ma assorbe una quantità enorme <strong>di</strong><br />

energia senza dare nulla in cambio, senza compensare questa<br />

<strong>di</strong>ssipazione con una contropartita (come succedeva invece<br />

nell’esempio della condotta d’acqua), <strong>di</strong>mostrandosi ut<strong>il</strong>e soltanto<br />

alla mera valorizzazione insensata e ottusa del Capitale.<br />

Di fronte a una società senza automob<strong>il</strong>e come sistema, a che<br />

potranno mai servire le smart logistic, le logistiche intelligenti,<br />

oggi al servizio della merce meno intelligente della storia?<br />

Dissipazione quantificata<br />

Abbiamo visto che la logistica si occupa del trasporto razionale<br />

degli oggetti nello spazio in modo da ottimizzare l’intero servizio<br />

87


alla produzione. Ciò significa operare anche nel senso del tempo<br />

che, insieme allo spazio, è una variab<strong>il</strong>e della velocità. Ma<br />

spazio e tempo, entrambi monetizzab<strong>il</strong>i dalla società dei rapporti<br />

<strong>di</strong> valore, non sono <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>i che in quantità limitate. Questo<br />

solo fatto ci obbliga ad affrontare <strong>il</strong> problema dell’automob<strong>il</strong>e<br />

superando <strong>il</strong> fatto banale che si tratta <strong>di</strong> un aggeggio su<br />

ruote per trasportare persone, e quello, altrettanto banale, che<br />

queste persone perdono un sacco <strong>di</strong> tempo per trovare spazio<br />

(parcheggio).<br />

Pren<strong>di</strong>amo la forma-valore per tradurre in ore-lavoro <strong>il</strong> costo<br />

sociale dell’assurdo sistema. Ricor<strong>di</strong>amo che ciò è possib<strong>il</strong>e in<br />

quanto <strong>il</strong> valore corrisponde al prezzo me<strong>di</strong>o sociale e che non<br />

c'è valore che non derivi tutto da applicazione <strong>di</strong> forza-lavoro,<br />

cioè salario + plusvalore. In altre parole, la sommatoria dei<br />

prezzi corrisponde al valore totale. Se <strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> PIL italiano<br />

(plusvalore + salario, valore prodotto ex novo in un anno,<br />

1.250 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> euro) per <strong>il</strong> numero dei lavoratori salariati (un<br />

po’ più <strong>di</strong> 10 m<strong>il</strong>ioni, l’operaio globale deve comprendere anche<br />

i servizi non ven<strong>di</strong>b<strong>il</strong>i, scuola, ecc.; togliamo solo un forfetario<br />

m<strong>il</strong>ione <strong>di</strong> parassiti puri), abbiamo che ogni salariato produce<br />

un valore <strong>di</strong> circa 120.000 euro all’anno (fatevi i conti in tasca<br />

e calcolate <strong>il</strong> saggio <strong>di</strong> sfruttamento generale).<br />

Dalle cifre <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>i deduciamo che un’autostrada me<strong>di</strong>a in<br />

Italia (paese con una politica degli appalti più movimentata della<br />

geologia) “costa” a lavori finiti circa 20 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> euro al ch<strong>il</strong>ometro<br />

lineare, quin<strong>di</strong> circa 170 anni-uomo <strong>di</strong> lavoro me<strong>di</strong>o<br />

ogni 5 ettari, compresi cavalcavia, svincoli, gallerie, macchine,<br />

progetti, prospezioni, ecc. Ciò significa che, se aggiungiamo<br />

parcheggi all’aperto, sopraelevati e sotterranei, più pompe <strong>di</strong><br />

benzina, e tutto ciò che l’auto si crea al suo intorno,<br />

l’infrastruttura per l’auto-mob<strong>il</strong>e “costa” suppergiù 34 anniuomo<br />

per ettaro attrezzato, più naturalmente la manutenzione,<br />

<strong>il</strong> rinnovo ecc. Siccome in Italia ci sono 1.200.000 ettari solo <strong>di</strong><br />

strade (la rete <strong>di</strong> gran lunga più fitta del mondo), ipotizziamo<br />

almeno 2.000.000 <strong>di</strong> ettari per <strong>il</strong> totale delle aree attrezzate a<br />

fini automob<strong>il</strong>istici, vale a <strong>di</strong>re almeno 68 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> anni-uomo.<br />

Inoltre, tutto ciò, se ci basiamo sulle tabelle normalizzate<br />

88


dell’industria, non “costa” meno del 10% all'anno per la sola<br />

manutenzione, cioè altri 6,8 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> anni-uomo: ricor<strong>di</strong>amo<br />

che si tratta <strong>di</strong> lavoro sociale me<strong>di</strong>o e che comprende <strong>il</strong> passaggio<br />

<strong>di</strong> valore delle attrezzature, ecc.).<br />

In Italia circolano (o stanno fermi occupando spazio) 32 m<strong>il</strong>ioni<br />

<strong>di</strong> auto e 4 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> veicoli commerciali, 36 m<strong>il</strong>ioni in totale, la<br />

maggior densità del mondo, superata solo dal piccolissimo Lussemburgo.<br />

Tutti questi mezzi li possiamo valutare a una me<strong>di</strong>a<br />

ponderata che ci dà circa 0,1 anno-uomo cadauno, quin<strong>di</strong> incorporano<br />

lavoro complessivamente per almeno 3,6 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong><br />

anni-uomo. Aggiungiamo anche in questo caso <strong>il</strong> 10% <strong>di</strong> manutenzione,<br />

360.000 anni-uomo.<br />

In Italia si immatricolano 2,4 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> veicoli nuovi ogni anno:<br />

ciò significa che, terminato <strong>il</strong> ciclo produttivo, vengono immessi<br />

altri 240.000 anni-uomo; ma supponiamo che tutto ciò vada<br />

semplicemente a rimpiazzare i mezzi rottamati, non cambierà <strong>di</strong><br />

molto le nostre conclusioni. In più dovremmo aggiungere cinque<br />

m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> motocicli del parco esistente più 400.000 motocicli<br />

nuovi immessi ogni anno, <strong>di</strong> cui non abbiamo tenuto conto,<br />

così come non abbiamo conteggiato <strong>il</strong> movimento <strong>di</strong> carburanti,<br />

che è cresciuto al crescere del parco circolante: nel 1993<br />

ogni italiano consumava energia per 0,6 Tep (tonnellate <strong>di</strong> petrolio<br />

equivalente), nel 2001 per 0,7, un quintale in più.<br />

Soffermiamoci per ora sui dati fin qui raccolti e che possiamo<br />

riassumere così: abbiamo un parco motorizzato dal ren<strong>di</strong>mento<br />

ri<strong>di</strong>colo dell'1%, che “vale” 4 e per muoversi ha bisogno <strong>di</strong> una<br />

massa <strong>di</strong> infrastrutture per 75. Che cioè al solo fine <strong>di</strong> esistere,<br />

ha bisogno <strong>di</strong> infrastrutture che “valgono” tre quarti <strong>di</strong> tutto <strong>il</strong><br />

valore prodotto ex novo dal proletariato italico in un anno intero<br />

<strong>di</strong> lavoro. E siamo ad una valutazione approssimata per <strong>di</strong>fetto,<br />

eseguita su un campione, quello italiano, che è solo <strong>il</strong> 4%<br />

dell’intero sistema mon<strong>di</strong>ale dell’automob<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> quale sta marciando<br />

verso la Cina e l’In<strong>di</strong>a, dove due m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> e mezzo <strong>di</strong> potenziali<br />

fruitori (sì, anche i vecchi e i neonati, perché l'auto è esaltazione<br />

non solo dell’in<strong>di</strong>viduo ma della famiglia) sono già<br />

tenuti d’occhio dagli esperti <strong>di</strong> marketing.<br />

89


DOMANI<br />

La rete <strong>di</strong> comunicazioni<br />

come emblema <strong>di</strong> alto ren<strong>di</strong>mento<br />

Prima <strong>di</strong> inoltrarci nella descrizione della rete <strong>di</strong> comunicazioni<br />

della società futura attraverso <strong>il</strong> solito metodo <strong>di</strong> mostrare come<br />

si possano liberare le potenzialità già raggiunte adesso, occorre<br />

<strong>sotto</strong>lineare ancora <strong>il</strong> gigantesco sciupìo insito nella società capitalistica,<br />

che ha un concetto poco scientifico <strong>di</strong> ren<strong>di</strong>mento<br />

quando lo debba applicare alle cose sociali.<br />

Per ren<strong>di</strong>mento si intende normalmente <strong>il</strong> rapporto fra ciò che<br />

otteniamo con una certa attività e ciò che è “costato” ottenerlo.<br />

Che <strong>il</strong> computo per l’intero processo avvenga in unità <strong>di</strong> misura<br />

<strong>di</strong> un tipo o dell’altro, denaro o energia, non fa <strong>di</strong>fferenza. Abbiamo<br />

detto “normalmente”, e infatti possiamo applicare <strong>il</strong> volgare<br />

“dare per avere” a molti fatti della vita quoti<strong>di</strong>ana, nonostante<br />

sia un ragionamento sbagliato. Abbiamo per esempio<br />

depositato del denaro in banca e questa ci garantisce un certo<br />

surplus nel tempo: <strong>il</strong> rapporto fra la somma in più e quella anticipata<br />

è <strong>il</strong> ren<strong>di</strong>mento del denaro, o interesse, mettiamo del<br />

5%. Abbiamo seminato un quintale <strong>di</strong> grano e ne abbiamo raccolti<br />

30: <strong>il</strong> ren<strong>di</strong>mento sarà ancora la quantità ottenuta <strong>di</strong>viso la<br />

quantità anticipata, in questo caso <strong>il</strong> 3.000% che in agricoltura<br />

si chiama resa (potenza del lavoro del Sole, miseria dell’umana<br />

trivialità finanziaria). Per rimanere in tema partiamo verso una<br />

meta con l’automob<strong>il</strong>e e 40 litri <strong>di</strong> benzina nel serbatoio: ci spostiamo<br />

<strong>di</strong> 400 ch<strong>il</strong>ometri e avremo un ren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> 400/40,<br />

ovvero 10 km al litro (in questo caso le unità <strong>di</strong> misura sono incompatib<strong>il</strong>i,<br />

perciò non possiamo scrivere la percentuale).<br />

In ogni caso <strong>il</strong> ren<strong>di</strong>mento, alto o basso, non ci ha impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong><br />

raggiungere lo scopo prefissato, la nostra azione è stata sempre<br />

efficace. Al capitalismo questo basta: stab<strong>il</strong>ito un obiettivo, gli è<br />

sufficiente raggiungere lo scopo, per esempio la valorizzazione<br />

del Capitale attraverso la costruzione <strong>di</strong> 60 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> veicoli<br />

gommati all’anno con quel che ne consegue. Eppure, questo<br />

modo <strong>di</strong> operare, comunemente accettato in campo economico-sociale,<br />

sarebbe assurdo in ogni <strong>di</strong>sciplina scientifica, a parti-<br />

90


e dalla meccanica: un sistema efficace che permetta <strong>di</strong> raggiungere<br />

lo scopo è anche efficiente se, e solo se, lo fa col minimo<br />

<strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> energia. Il capitalismo non è efficiente, è <strong>di</strong>ssipatore.<br />

A proposito <strong>di</strong> sciupìo, cioè <strong>di</strong> entropia, cioè <strong>di</strong> fine<br />

delle <strong>il</strong>lusioni <strong>di</strong> crescita infinita: ci sono 250 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> veicoli<br />

nel mondo, un parco che ha un rinnovo completo in venti anni;<br />

ma producendo 60 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> esemplari all’anno <strong>il</strong> parco può<br />

avere un rinnovo in quattro anni; la <strong>di</strong>fferenza dev’essere per<br />

forza colmata da nuovi acquisti e <strong>il</strong> ritmo del vulcano produttivo<br />

non è compatib<strong>il</strong>e con la palude del mercato.<br />

C’è un qualcosa <strong>di</strong> patologico nell’economia politica, quando si<br />

nasconde la <strong>di</strong>fferenza fra efficacia ed efficienza. Se per ottenere<br />

<strong>il</strong> 5% <strong>di</strong> interesse debbo <strong>sotto</strong>stare a contratti-capestro, <strong>il</strong><br />

ren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong>venta relativo; idem se ottengo 30 quintali <strong>di</strong> grano<br />

da 1 con un costosissimo lavoro <strong>di</strong> preparazione del terreno<br />

o se per fare 10 ch<strong>il</strong>ometri a passo d’uomo con la 500 su <strong>di</strong><br />

una <strong>di</strong>scesa in un giorno in cui ho fretta consumo ben un litro<br />

<strong>di</strong> carburante. Il caso dell’automob<strong>il</strong>e è anche emblematico per<br />

un altro motivo: non si possono ut<strong>il</strong>izzare parametri non compatib<strong>il</strong>i<br />

e non è possib<strong>il</strong>e quantificare, per esempio, la fretta. In<br />

definitiva c’è un solo modo universale e sicuro per stab<strong>il</strong>ire <strong>il</strong><br />

ren<strong>di</strong>mento, cioè l’efficienza <strong>di</strong> un sistema: misurare l’energia in<br />

uscita e in entrata e metterle in rapporto. Qui <strong>il</strong> capitalismo cade<br />

fragorosamente perché è un sistema ad alto consumo <strong>di</strong> energia:<br />

l’uomo, giunto al capitalismo della fase suprema, non<br />

ha ancora imparato a ut<strong>il</strong>izzare su larga scala sistemi a bassa<br />

temperatura per muovere le sue macchine, deve bruciare qualcosa<br />

(l’energia <strong>di</strong> origine idroelettrica è un infinitesimo del totale<br />

e in molti paesi non vi è acqua a sufficienza). L’evoluzione è<br />

uscita dal corpo biologico dell’uomo e ha coinvolto <strong>il</strong> suo spazio<br />

“esterno”, ma non ne ha potuto mantenere <strong>il</strong> metabolismo,<br />

la bassa temperatura, <strong>il</strong> mirab<strong>il</strong>e ren<strong>di</strong>mento: l’uomo biologico,<br />

una volta mangiato ciò che gli serve per vivere, fa 60 ch<strong>il</strong>ometri<br />

a pie<strong>di</strong> con un piatto <strong>di</strong> spaghetti alla carbonara in più.<br />

C’è un modo per limitare l’ut<strong>il</strong>izzo <strong>di</strong> sistemi ad alta temperatura<br />

ed alta entropia (<strong>di</strong>ssipazione): dar vita ad una società che<br />

prenda a modello <strong>il</strong> metabolismo degli organismi viventi e non<br />

91


produca energia bruciando qualcosa ma la prenda là dove è<br />

<strong>di</strong>ssipata dal modo <strong>di</strong> essere della natura (vento, maree, ecc.,<br />

soprattutto Sole). In questo caso la rete delle comunicazioni si<br />

comporterebbe come quella che negli organismi viventi sovrintende<br />

al ricambio, cioè all’omeostasi del sistema o, se vogliamo<br />

usare un termine “sociale”, all’equ<strong>il</strong>ibrio e all’armonia. Come?<br />

Portando le materie prime, i sem<strong>il</strong>avorati e le macchine agli<br />

uomini invece che gli uomini ad essi. Ma non si “spende” in<br />

questo modo più energia? No, perché in un sistema razionale vi<br />

sarà sempre più comunicazione e meno trasporto, più informazione<br />

e meno lavorazione, compresa innanzitutto quella che<br />

brucia materia per avere energia. Il mondo non ha bisogno <strong>di</strong><br />

60 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> nuovi veicoli all’anno per trasportare fessi e merci<br />

<strong>di</strong> qua e <strong>di</strong> là in modo insensato; nell’epoca in cui sta morendo<br />

<strong>il</strong> quantitativismo produttivo, è più che mai maturo <strong>il</strong> salto a<br />

quella del qualitativismo. L’automob<strong>il</strong>e è già un oggetto fuori<br />

epoca, degno <strong>di</strong> finire nel museo degli orrori.<br />

"La grande industria – <strong>di</strong>ceva Engels nell’Antidühring (Cap.<br />

“Produzione”) – insegnandoci a trasformare <strong>il</strong> movimento <strong>di</strong><br />

molecole in un movimento <strong>di</strong> massa a fini tecnici, ha in notevole<br />

misura emancipato la produzione dai limiti <strong>di</strong> luogo […] La<br />

società emancipata dai limiti della produzione capitalistica, può<br />

andare ancora molto più avanti. Producendo una generazione<br />

<strong>di</strong> produttori provvisti <strong>di</strong> un’educazione sv<strong>il</strong>uppata in tutti i sensi,<br />

che intendano le basi scientifiche <strong>di</strong> tutta la produzione industriale<br />

e ognuno dei quali abbia praticamente percorso da cima<br />

a fondo tutta una serie <strong>di</strong> rami della produzione, essa crea una<br />

nuova forza produttiva che compensa largamente <strong>il</strong> lavoro richiesto<br />

per <strong>il</strong> trasporto a gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanze <strong>di</strong> materie prime e <strong>di</strong><br />

combustib<strong>il</strong>i”. Vigorosa pagina dovuta al movimento reale <strong>di</strong><br />

allora, che oggi lo stesso Engels riscriverebbe in termini ancor<br />

più precisi, <strong>sotto</strong> l’influenza <strong>di</strong> una società che ci mostra molto<br />

meglio le potenzialità <strong>di</strong> quella futura, che sarà ad alto ren<strong>di</strong>mento<br />

proprio me<strong>di</strong>ante l’emancipazione dai limiti <strong>di</strong> luogo<br />

portata alle massime conseguenze, e me<strong>di</strong>ante la relativa introduzione<br />

<strong>di</strong> reti <strong>di</strong> connessione mon<strong>di</strong>ale.<br />

92


L’automob<strong>il</strong>e come sistema <strong>di</strong> produzione<br />

Troppi m<strong>il</strong>itanti straparlano <strong>di</strong> “abbattere <strong>il</strong> capitalismo” senza<br />

sapere nulla del sistema in oggetto e soprattutto <strong>di</strong> ciò che non<br />

si abbatterà affatto perché già realizzazione della società futura<br />

che agisce in questa. L’o<strong>di</strong>o verso una società infame non giustifica<br />

rigurgiti <strong>di</strong> lud<strong>di</strong>smo. Marx ed Engels ci hanno tramandato<br />

i loro insegnamenti dopo aver passato la vita a stu<strong>di</strong>are nei<br />

dettagli questo sistema, la sua scienza e le sue rivoluzioni tecnologiche,<br />

traendone conclusioni pratiche, funzionali all’abbattimento<br />

del capitalismo più <strong>di</strong> ogni frase fatta figlia <strong>di</strong> ideologie.<br />

L’avvento della società futura è un problema <strong>di</strong> prassi, non <strong>di</strong><br />

pensiero e tantomeno <strong>di</strong> sentimenti, specie adesso che scienza<br />

e tecnologia non possono rivoluzionare più nulla, solo schiavizzare<br />

ulteriormente <strong>il</strong> lavoro umano.<br />

Abbiamo visto che l’automob<strong>il</strong>e, in più <strong>di</strong> un secolo, continua<br />

ad essere la solita carrozza senza cavalli, un prodotto "maturo",<br />

come <strong>di</strong>ce la sociologia industriale; una merce da buttare<br />

e <strong>di</strong>menticare, come <strong>di</strong>ciamo noi, uno dei maggiori imbrogli<br />

della vantata tecnologia capitalistica, che scalda come una stufa,<br />

rende poco più <strong>di</strong> una locomotiva a vapore e sputacchia<br />

veleni nell’aria che respiriamo. Un obbrobrio da far vergognare<br />

l’orgogliosa civ<strong>il</strong>tà, se non fosse così presa <strong>di</strong> sé, quin<strong>di</strong> irrime<strong>di</strong>ab<strong>il</strong>mente<br />

ottusa nei confronti del futuro. Ma, a <strong>di</strong>mostrazione<br />

che la rivoluzione non dorme mai, l’automob<strong>il</strong>e è<br />

anche stata la merce che, nonostante le sue caratteristiche, ha<br />

spinto <strong>di</strong> più al cambiamento del modo <strong>di</strong> produrre merci. E<br />

questo per noi ha un significato gran<strong>di</strong>oso che non è marxisticamente<br />

permesso <strong>sotto</strong>valutare, perché spariranno le merci,<br />

ma resterà la produzione.<br />

Mentre l’automob<strong>il</strong>e non c’interessa né come valore <strong>di</strong> scambio<br />

(merce) né come valore d’uso nel senso attuale, c’interessa<br />

moltissimo come <strong>il</strong> capitalismo è giunto a produrla innalzando<br />

ulteriormente <strong>il</strong> livello <strong>di</strong> socializzazione del lavoro. La rete <strong>di</strong><br />

produzione automob<strong>il</strong>istica sforna un prodotto “vecchio” ma è<br />

essa stessa in continua evoluzione. È quella che ha introdotto<br />

su più larga scala <strong>il</strong> principio che si può fabbricare qualcosa con<br />

93


“meno <strong>di</strong> tutto”, principio anti-quantitativo per eccellenza, nonostante<br />

la persistenza <strong>di</strong> una grande massa <strong>di</strong> impianti. Ovviamente<br />

<strong>il</strong> capitalismo ne fa un uso iper-produttivistico, ma<br />

anche noi siamo ovviamente a favore <strong>di</strong> reti produttive che,<br />

come quella in questione, ut<strong>il</strong>izzino rispetto al passato meno lavoro<br />

umano, meno materiali, meno tempo per reagire al cambiamento,<br />

meno superficie <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>imento, meno impianti, meno<br />

burocrazia, meno apparato <strong>di</strong> controllo, meno energia. E<br />

che producano meno giacenza <strong>di</strong> scorte, meno scarto, meno<br />

inquinamento. Secondo <strong>il</strong> concetto <strong>di</strong> efficienza, meno <strong>di</strong> tutto<br />

ciò significa in ultima analisi – se non ci fosse <strong>il</strong> capitalismo –<br />

meno lavoro e quin<strong>di</strong> più tempo <strong>di</strong> vita liberato.<br />

Un altro principio stab<strong>il</strong>ito nella produzione automob<strong>il</strong>istica ed<br />

emigrato verso altri settori è quello detto della co-makership, o<br />

del “produrre assieme”, cioè <strong>il</strong> considerare <strong>il</strong> confine della singola<br />

fabbrica non come una chiusura ma come una zona <strong>di</strong><br />

passaggio, permeab<strong>il</strong>e ai flussi <strong>di</strong> materiali sem<strong>il</strong>avorati e soprattutto<br />

<strong>di</strong> informazione ut<strong>il</strong>e alla qualità del prodotto in uscita<br />

e in entrata. È evidente che tutto ciò si presta all’apologia del<br />

sistema attuale da parte della borghesia e dei suoi tecnici, ma<br />

basta operare una non troppo <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e conversione per provare<br />

quanto siano state potenti le anticipazioni <strong>di</strong> Marx sul lavoro<br />

sociale: scompare del tutto l’antica alternativa fra <strong>il</strong> costruire<br />

all’interno, per non devolvere parte del profitto ad un fornitore<br />

esterno, e <strong>il</strong> costruire all’esterno puntando sull’eco-nomia permessa<br />

dalla grande scala <strong>di</strong> produzione delle aziende specializzate<br />

su un solo prodotto. Il risultato pratico è che con <strong>il</strong> <strong>nuovo</strong><br />

sistema della produzione integrata tra fabbriche non ha più nessuna<br />

r<strong>il</strong>evanza <strong>il</strong> dove e per chi si produce ma <strong>il</strong> come. In un tale<br />

contesto la <strong>di</strong>fferenza che passa tra industria (l’apparato produttivo<br />

che la nuova società ere<strong>di</strong>ta) e azienda privata è messo<br />

in evidenza dal fatto che la seconda è già estinta nei fatti.<br />

L’evoluzione stessa del sistema verso la rottura dei limiti capitalistici<br />

mette in luce l’importanza dei collegamenti e dei flussi fra<br />

moduli che, nonostante oggi siano “privati” e in<strong>di</strong>pendenti,<br />

fanno realmente parte <strong>di</strong> un’unica industria integrata, <strong>di</strong>ffusa<br />

ma rispondente ad un piano centrale, quin<strong>di</strong> per nulla federali-<br />

94


sta e proudhoniana. Di più: questi moduli sono collegati non<br />

solo dai flussi materiali e informativi, ma anche da sistemi comuni<br />

<strong>di</strong> approvvigionamento cui fanno capo. Negli Stati Uniti <strong>il</strong><br />

75% dei fornitori <strong>di</strong>retti <strong>di</strong> componenti auto lavora già in un sistema<br />

inter-aziendale su Internet, legando le varie realtà come<br />

se fossero una fabbrica sola. General Motors, Ford, Renault,<br />

PSA, Nissan e Fiat, hanno <strong>sotto</strong>scritto un accordo con Oracle<br />

(software), Commerce One (logistica delle forniture) e Freemarket<br />

(e-mercato) per l’approvvigionamento via Internet attraverso<br />

un unico portale specializzato su cui gestire in linea <strong>il</strong> flusso<br />

completo, dal fornitore al cliente, fino alla logistica dell'assistenza.<br />

Freemarket è un luogo virtuale, come altri 2.000 esistenti<br />

nel mondo, escogitato per fare incontrare domanda e offerta<br />

senza far muovere, nella fase progettuale, né merci né persone.<br />

Vi è un sistema mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> fornitura via Internet, <strong>il</strong> World Trade<br />

System, che collega fabbricanti <strong>di</strong> fabbriche, <strong>di</strong> macchine e<br />

<strong>di</strong> merci con fornitori e clienti, mettendo a <strong>di</strong>sposizione 50 m<strong>il</strong>ioni<br />

<strong>di</strong> articoli fra materie prime, sem<strong>il</strong>avorati, parti <strong>di</strong> montaggio,<br />

attrezzi e accessori. La Ford sta costruendo a Colonia uno<br />

stab<strong>il</strong>imento interamente progettato per questi nuovi criteri <strong>di</strong><br />

produzione, per cui l’intero processo (che gestisce anche 700<br />

robot) sarà collegato con la rete “esterna” a monte e a valle<br />

dell’assemblaggio, in modo da essere in grado <strong>di</strong> recepire cambiamenti<br />

<strong>di</strong> progetto fino a una settimana prima dell’immissione<br />

in produzione. Questi sistemi sono l’effettiva espressione<br />

del moderno macchinismo in grado <strong>di</strong> essere cooptato quasi<br />

così com’è nella società futura. Al contrario, i tentativi <strong>di</strong> umanizzazione<br />

del processo produttivo si sono tutti rivelati inganni<br />

moralistici e truffe sindacali, tutti risolti in fallimenti catastrofici,<br />

a partire dalle utopie <strong>di</strong> Adriano Olivetti fino alla vera e propria<br />

regressione storica degli esperimenti neo-artigianali <strong>di</strong> certe<br />

fabbriche svedesi.<br />

Come si vede, ci troviamo sempre e comunque <strong>di</strong> fronte ad un<br />

sistema che può essere efficientissimo se tutto funziona (e non è<br />

così), ma che presenta una estrema vulnerab<strong>il</strong>ità se qualcosa<br />

s’inceppa, aumentando enormemente <strong>il</strong> potenziale offensivo <strong>di</strong><br />

classe. Non a caso gli stu<strong>di</strong> per questo tipo <strong>di</strong> ristrutturazioni<br />

95


prevedono anche la “costruzione del consenso” operaio, lo sv<strong>il</strong>uppo<br />

<strong>di</strong> una “de<strong>di</strong>zione responsab<strong>il</strong>e” incon<strong>di</strong>zionata cui viene<br />

data la massima importanza e alla quale vengono chiamati a<br />

collaborare i sindacati (che accorrono da sé, senza aver bisogno<br />

<strong>di</strong> solleciti).<br />

C’è l’automob<strong>il</strong>e nel futuro?<br />

No, non ci sarà come la conosciamo adesso, cioè come macchina<br />

a basso ren<strong>di</strong>mento, come sistema finalizzato al profitto e<br />

naturalmente come mezzo <strong>di</strong> trasporto privato. Come abbiamo<br />

già visto in articoli precedenti riguardo a molti fenomeni sociali,<br />

anche in questo caso non abbiamo da inventare nulla, non<br />

dobbiamo far altro che basarci su fenomeni già esistenti. Ricor<strong>di</strong>amo<br />

sempre che stiamo parlando <strong>di</strong> cambiamenti nell’ambito<br />

del programma rivoluzionario imme<strong>di</strong>ato, cioè della transizione<br />

reale e non <strong>di</strong> utopie. Perciò non sarà inut<strong>il</strong>e a questo punto ripetere<br />

che non bisogna fare confusione fra l’evoluzione dei sistemi<br />

complessi verso forme superiori e la rottura politica che<br />

permette <strong>il</strong> cambiamento della forma economico-sociale. Ogni<br />

società matura incomincia a esprimere al suo interno i caratteri<br />

della società successiva, mentre fino all’ultimo conserva tracce<br />

<strong>di</strong> quella precedente. Quin<strong>di</strong> i caratteri della transizione sono<br />

quelli che ci permettono <strong>di</strong> descrivere la società futura attraverso<br />

alcuni fenomeni già presenti in quella attuale. È normale.<br />

Ben <strong>di</strong>verso, anzi l’opposto, sarebbe se concepissimo <strong>il</strong> cambiamento<br />

come effetto <strong>di</strong> un’azione volta a riformare le con<strong>di</strong>zioni<br />

esistenti, migliorare la società facendo leva anche sui fenomeni<br />

evolutivi in essa presenti, in modo del tutto gradualistico.<br />

Non si tratta ovviamente <strong>di</strong> questo: un conto è la trasformazione<br />

continua che ogni sistema complesso presenta quando sia<br />

in grado <strong>di</strong> auto-organizzarsi, un conto è la rottura politica che<br />

interviene nei sistemi sociali per sancire, accelerare o anche<br />

provocare <strong>il</strong> cambiamento sostanziale (l’arrivo degli europei in<br />

America, per esempio, provocò <strong>il</strong> collasso dei sistemi precedenti):<br />

quello che, in ogni processo ad accumulo continuo <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni<br />

sfociante in una soluzione <strong>di</strong>scontinua, viene chiamato<br />

“catastrofe” (nel caso citato, l’accumulo <strong>di</strong> potenza in Eu-<br />

96


opa e <strong>il</strong> conseguente espansionismo provocò la catastrofe altrove).<br />

La catastrofe sociale definitiva del capitalismo sino ad<br />

oggi non c’è stata e per ora non è visib<strong>il</strong>e, ma l’accumulo <strong>di</strong><br />

contrad<strong>di</strong>zioni è fondamentale e la rende sicura come <strong>il</strong> determinismo.<br />

Una delle contrad<strong>di</strong>zioni maggiori è quella della soppressione<br />

della proprietà privata nell’ambito stesso della proprietà privata.<br />

Ora, non c’è nulla <strong>di</strong> più privato dell’auto-mob<strong>il</strong>e, tanto che essa<br />

induce ad<strong>di</strong>rittura patologie da possesso, da simbologia sociale,<br />

da territorio protetto, da proiezione sul territorio altrui,<br />

ecc. In una società dove l’iniziazione dell’adolescente è scomparsa,<br />

<strong>il</strong> possesso dell’automob<strong>il</strong>e rappresenta uno dei riti sostitutivi.<br />

La stessa mob<strong>il</strong>ità in<strong>di</strong>viduale offre l’<strong>il</strong>lusione <strong>di</strong> autonomia<br />

a un Ego che mai nella storia è stato così stritolato dalla<br />

massificazione imperante, quin<strong>di</strong> così bisognoso <strong>di</strong> gratificazioni.<br />

Tutto ciò incomincia a essere incrinato dalla stessa forma<br />

della proprietà. Negli Stati Uniti <strong>il</strong> leasing dell’auto-mob<strong>il</strong>e per le<br />

aziende è un fatto normale, mentre quello per gli utenti privati<br />

era quasi inesistente fino a <strong>di</strong>eci anni fa. Ma nel 1997 <strong>il</strong> 33%<br />

delle automob<strong>il</strong>i (<strong>il</strong> 50% <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> lusso, <strong>il</strong> 60% nei quartieri<br />

borghesi californiani) era già preso in affitto dai privati. La Mitsubishi<br />

vende solo la metà delle automob<strong>il</strong>i che produce, le altre<br />

le concede in affitto.<br />

Ma <strong>il</strong> leasing è ancora un ibrido primitivo in confronto al servizio<br />

vero e proprio già offerto da alcune società <strong>di</strong> autonoleggio.<br />

Non <strong>il</strong> semplice noleggio, che prevede l’uso saltuario, ma la<br />

con<strong>di</strong>visione, cioè la <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> un mezzo <strong>di</strong> trasporto “in<strong>di</strong>viduale”<br />

come se lo si avesse in proprietà. La Car Sharing<br />

Network, per esempio, permette <strong>di</strong> avere un’auto in qualsiasi<br />

momento, in 300 città d’Europa, avvisando telefonicamente<br />

con pochi minuti d’anticipo. Esistono strutture che permettono<br />

<strong>di</strong> prendere l’auto in un luogo e lasciarla in un altro. A Torino è<br />

operativo da poco un esperimento del genere gestito dal comune:<br />

una rete <strong>di</strong> 16 parcheggi permette <strong>di</strong> coprire l’area metropolitana<br />

in modo che ogni utente non debba mai percorrere più <strong>di</strong><br />

400 metri per raggiungerli. Non si paga carburante né parcheggio,<br />

si <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> un mezzo sempre <strong>nuovo</strong>, e assicurazione,<br />

97


manutenzione, riparazione sono a carico della struttura che offre<br />

<strong>il</strong> servizio; si può inoltre viaggiare nelle corsie preferenziali<br />

dei mezzi pubblici. L’in<strong>di</strong>viduo percepisce questi sistemi come<br />

più costosi dell’auto in proprietà, ed essi per ora non sono presenti<br />

in modo cap<strong>il</strong>lare. Tuttavia gli permettono <strong>di</strong> pagare solo<br />

per l’uso effettivo del mezzo e alla fin fine <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio dell’uso sociale,<br />

con <strong>il</strong> criterio dell’efficienza e non dell’efficacia, presenta<br />

un ren<strong>di</strong>mento che è già <strong>di</strong> gran lunga superiore a quello del<br />

possesso in<strong>di</strong>viduale. Se prescin<strong>di</strong>amo da che cosa è l’automob<strong>il</strong>e<br />

in generale adesso, la semplice estensione <strong>di</strong> una rete sim<strong>il</strong>e,<br />

con tanti no<strong>di</strong> e veicoli quanti ne servono ad un traffico che<br />

non si svolga <strong>sotto</strong> <strong>il</strong> segno del profitto, risponde già in buona<br />

parte ad esigenze comunistiche, <strong>di</strong> non-proprietà e non-valore,<br />

cioè <strong>di</strong> valori d’uso con<strong>di</strong>visi.<br />

Quin<strong>di</strong> nella società futura vi sarà un’efficiente rete <strong>di</strong> comunicazione<br />

che, per quanto riguarda <strong>il</strong> movimento delle persone e<br />

delle cose, comprenderà sia percorsi prefissati che percorsi variab<strong>il</strong>i,<br />

e questi ultimi saranno realizzati solo per i luoghi non<br />

raggiungib<strong>il</strong>i con la rete normale. Vi saranno certamente mezzi<br />

auto-mob<strong>il</strong>i (non si può ricoprire tutta la crosta terrestre <strong>di</strong> ferrovie,<br />

tramvie, metropolitane, ecc.), ma faranno parte della rete<br />

complessiva come terminali, navette, ecc. e, ovviamente, saranno<br />

macchine tecnicamente agli antipo<strong>di</strong> rispetto a quelle attuali,<br />

così come sarà <strong>di</strong>versa l’infrastruttura <strong>di</strong> cui avranno bisogno.<br />

Il traffico privato non dovrà essere proibito quanto estinto,<br />

a causa del cambiamento reale nei bisogni degli uomini, come<br />

avverrà per tante altre caratteristiche della società attuale.<br />

Quale mezzo “auto-mob<strong>il</strong>e”?<br />

La società futura, semplicemente, non potrà mantenere <strong>il</strong> motore<br />

a scoppio. Il ciclo termo<strong>di</strong>namico <strong>di</strong> tale apparato non ha<br />

permesso e non permetterà più gran<strong>di</strong> cambiamenti. Sostanzialmente<br />

esso è rimasto quello progettato da Otto e da Diesel,<br />

e <strong>il</strong> suo ren<strong>di</strong>mento, anche nei casi più sofisticati <strong>di</strong> applicazione,<br />

come abbiamo visto, è del tutto ri<strong>di</strong>colo. Inoltre la poca elasticità<br />

d’uso obbliga <strong>il</strong> motore Otto-Diesel a montare <strong>il</strong> gruppo<br />

cambio-<strong>di</strong>fferenziale, che per esempio è del tutto inut<strong>il</strong>e sul mo-<br />

98


tore elettrico. Tuttavia, anche quest’ultimo non è la panacea<br />

che si m<strong>il</strong>lanta: è vero che ha un alto ren<strong>di</strong>mento, ma ut<strong>il</strong>izza<br />

energia che deriva dalle centrali termo-elettriche, le quali bruciano<br />

combustib<strong>il</strong>e e quin<strong>di</strong> hanno ren<strong>di</strong>mento basso; non tanto<br />

quanto l’automob<strong>il</strong>e, ma alla fine, tra <strong>di</strong>stribuzione lungo la<br />

rete e, soprattutto, accumulo in batterie, finisce per essere altrettanto<br />

scarso. Una batteria, infatti, non solo “rende” assai meno<br />

energia <strong>di</strong> quanta ne occorra per caricarla, ma deve anche essere<br />

costruita, ovviamente con <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> energia. Ciò che in<br />

un’auto elettrica si risparmia in organi meccanici, si perde in<br />

batteria, la quale, oltretutto, pesa moltissimo. Il riscaldamento<br />

invernale dell’abitacolo comporterebbe un consumo insostenib<strong>il</strong>e,<br />

mentre <strong>il</strong> motore tra<strong>di</strong>zionale, almeno, lo fornisce ut<strong>il</strong>izzando<br />

<strong>il</strong> calore altrimenti <strong>di</strong>ssipato all’esterno. Si calcola dunque<br />

che l’intera catena per far funzionare le automob<strong>il</strong>i con l’elettricità,<br />

se si vogliono mantenere prestazioni compatib<strong>il</strong>i (tranne <strong>il</strong><br />

rapporto velocità/autonomia, che sarebbe penalizzato comunque),<br />

necessiterebbe dei 5/3 dell’energia bruciata <strong>di</strong>rettamente<br />

nel motore endotermico. E l’inquinamento sarebbe più o meno<br />

lo stesso.<br />

Un <strong>di</strong>scorso un po’ <strong>di</strong>verso si può fare per i mezzi che consumano<br />

l’elettricità <strong>di</strong>rettamente, senza passare attraverso l’accumulo<br />

in batteria (treni, tram, metropolitane), o che trasformano<br />

a bordo l’energia termica in energia elettrica (ibri<strong>di</strong>). E comunque<br />

<strong>il</strong> vantaggio non sarebbe strepitoso, non arriverebbe al<br />

25% sull'intero sistema. Lo stesso vale per altri meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> propulsione,<br />

motori a idrogeno, ad aria compressa, a gas da biomassa,<br />

ecc. Non esiste espe<strong>di</strong>ente tecnologico – e neppure sociale<br />

– che possa far cambiare la legge fisica che inesorab<strong>il</strong>mente<br />

ci <strong>di</strong>ce: dell’energia che si anticipa per ottenere un risultato se<br />

ne può ut<strong>il</strong>izzare solo una parte.<br />

Perciò, per superare i guai prodotti dal ri<strong>di</strong>colo ren<strong>di</strong>mento del<br />

motore a scoppio e <strong>di</strong> quello per nulla entusiasmante dei suoi<br />

pretesi sostituti, non vi è altra via che rifiutare massicciamente<br />

non solo <strong>il</strong> trasporto privato, ma tutto quello inut<strong>il</strong>e, e soprattutto<br />

ottenere che <strong>il</strong> mezzo <strong>di</strong> trasporto non eserciti la sua <strong>di</strong>ttatura<br />

sul sistema bensì ne sia governato. L’umanità futura avrà le au-<br />

99


to-mob<strong>il</strong>i, se servirà, ma non la <strong>di</strong>ttatura <strong>di</strong> una particolare merce<br />

sul sistema delle merci, sarà libera da ogni merce. Non si potrà<br />

certo eliminare <strong>il</strong> trasporto nocivo o anche solo inut<strong>il</strong>e se<br />

non attraverso un piano razionale e globale <strong>di</strong> produzione che<br />

preveda l’abbattimento drastico del bisogno generalizzato <strong>di</strong><br />

energia e l’ottimizzazione generale delle risorse, e impe<strong>di</strong>sca<br />

quel movimento insensato <strong>di</strong> persone, oggetti e materiali che<br />

l’uomo d’oggi non sopporta ma ritiene comunque inevitab<strong>il</strong>e,<br />

come se <strong>di</strong>pendesse da una legge <strong>di</strong> natura. Molti, quando sentono<br />

parlare <strong>di</strong> “pianificazione”, vanno in paranoia e pensano<br />

alla Russia o a uno <strong>di</strong> quei f<strong>il</strong>m prodotti a Hollywood con un<br />

occhio alla propaganda sul meraviglioso “mondo libero”. Ne<br />

hanno un rifiuto ideologico, anche se spesso si <strong>di</strong>cono rivoluzionari.<br />

Ma questo succede solo perché non sanno cosa sia un<br />

“piano” e questa società ha tutto l’interesse a non farglielo sapere.<br />

La “libertà” è nel piano<br />

Tutti hanno letto o almeno sentito parlare della frase <strong>di</strong> Marx<br />

secondo cui comunismo significa passaggio dal regno della necessità<br />

a quello della libertà. A quell’espressione corrisponde<br />

una realtà molto semplice: gli animali sono “liberi”, cioè soggetti<br />

ad un’unica legge, quella della giungla; ma proprio questa<br />

legge li rende schiavi dell’imprevisto e dell’arbitrio. Invece gli<br />

uomini sono in grado <strong>di</strong> rovesciare la prassi della giungla, <strong>di</strong><br />

progettare <strong>il</strong> proprio avvenire, darsi un or<strong>di</strong>ne, e coor<strong>di</strong>nare i<br />

propri sforzi per gran<strong>di</strong> realizzazioni, <strong>di</strong> muoversi, insomma, su<br />

<strong>di</strong> un terreno sociale sv<strong>il</strong>uppato che comprende la previsione e<br />

quin<strong>di</strong> la pianificazione. Non c’è mai stata attività veramente<br />

umana, anche nelle società più antiche, capaci <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssimi<br />

progetti e realizzazioni, che non abbia obbe<strong>di</strong>to a regole ut<strong>il</strong>i<br />

per sfuggire alla con<strong>di</strong>zione aleatoria dei mangiatori, dei mangiati<br />

o dei morti <strong>di</strong> fame.<br />

Che nelle società <strong>di</strong> classe si siano ristab<strong>il</strong>iti a livello sociale<br />

l’imprevisto, l’arbitrio e la fame, non toglie nulla al fatto che<br />

l’uomo è ormai profondamente e irreversib<strong>il</strong>mente coinvolto<br />

nella progettazione della propria vita. Come lo stia facendo la<br />

100


società cui oggi egli è giunto, chiama in causa la <strong>di</strong>alettica: negazione<br />

della negazione è affermazione e perciò, dato che questa<br />

è la società più organizzata della storia e nello stesso tempo<br />

quella che usufruisce <strong>di</strong> meno dell’organizzazione dal punto <strong>di</strong><br />

vista umano, <strong>di</strong>ciamo che non occorre più aggiungerle nulla,<br />

ma solo abbatterla.<br />

Leonardo da Vinci è <strong>il</strong> primo che supera <strong>il</strong> concetto delle città<br />

ideali <strong>di</strong>segnate per <strong>il</strong> Principe e ci introduce alla città funzionale,<br />

in cui al progetto urbano si affianca, come un tutt’uno realistico<br />

costruib<strong>il</strong>e, quello delle vie <strong>di</strong> comunicazione: strade e canali<br />

(insieme, per consentire <strong>il</strong> traino delle chiatte da trasporto),<br />

percorsi separati per carri e per pedoni (questi ultimi sopraelevati;<br />

caro Le Corbusier, dove hai copiato <strong>di</strong> <strong>nuovo</strong>?). La città<br />

progettata del Rinascimento ha una pianta circolare a raggiera,<br />

perché <strong>il</strong> cerchio rappresenta la forma geometrica in cui le <strong>di</strong>stanze<br />

sono ottimizzate. Con una forma sim<strong>il</strong>e si <strong>di</strong>spongono le<br />

strutture <strong>di</strong> molte specie viventi, seguendo <strong>il</strong> determinismo naturale.<br />

E molte città, antiche e moderne, nella loro crescita, finiscono<br />

per assumere una struttura ad anelli concentrici e viali a<br />

raggiera. Così sono progettate le metropolitane che, nel <strong>sotto</strong>suolo,<br />

non devono rispettare l’impianto ortogonale delle città<br />

ma solo <strong>il</strong> razionale rispetto <strong>di</strong> una funzione. Così è progettato <strong>il</strong><br />

futuro grande anello ferroviario che collegherà 20 città tedesche.<br />

L’uomo non ha più limiti nella progettazione e nella pianificazione<br />

dell’ambito produttivo, perché mai dovrebbe averne<br />

riguardo ai problemi del traffico?<br />

Ma se <strong>il</strong> progetto si limitasse al <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> ciò che si vuole ottenere,<br />

non varrebbe nulla per la comprensione e per <strong>il</strong> governo<br />

dei sistemi <strong>di</strong>namici. Si tratti <strong>di</strong> produzione, si tratti <strong>di</strong> traffico, vi<br />

sono certo dei modelli <strong>di</strong> programmazione che tengono conto<br />

dell’ottimizzazione dei flussi e che sono in grado <strong>di</strong> simulare infinite<br />

situazioni <strong>di</strong>namiche. Ora, nei modelli attuali <strong>di</strong> simulazione<br />

e ottimizzazione del traffico, vi è un nucleo de<strong>di</strong>cato alla<br />

simulazione del movimento effettivo nelle specifiche situazioni<br />

(città o reti <strong>di</strong> comunicazione fra città) e un modulo de<strong>di</strong>cato<br />

all’azione <strong>di</strong> semafori, alla costruzione <strong>di</strong> nuovi percorsi, alla realizzazione<br />

<strong>di</strong> svincoli, ecc. Com’è evidente, questi modelli si<br />

101


occupano soltanto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sciplinare la crescita mostruosa del traffico<br />

che c’è, mentre in futuro lo sforzo <strong>di</strong> pianificazione sarà volto<br />

ad evitarlo. Oggi nessun Principe capitalista potrà mai ingaggiare<br />

un Leonardo per progettare una società senza traffico privato.<br />

Una società in grado <strong>di</strong> dominare con un piano razionale<br />

l’anarchia insita nel mercato lo potrà fare. E attenzione: “dominare”<br />

per noi significa soprattutto “conoscere”, in questo senso<br />

<strong>di</strong>ciamo che l’uomo può dominare la natura. La centralizzazione<br />

che sarà manifesta nel piano, sarà tanto più efficiente quanto<br />

più sarà in grado <strong>di</strong> progettare delle regole per evitare <strong>il</strong> controllo<br />

centrale. Vale a <strong>di</strong>re che una società organica non avrà<br />

caporali addetti alla <strong>di</strong>rezione del traffico o all’osservanza degli<br />

or<strong>di</strong>ni dall’alto, saremmo daccapo. Una società organica funziona<br />

armonicamente secondo programma come un organismo<br />

che vive, si riproduce ed evolve secondo <strong>il</strong> suo programma genetico,<br />

un organismo che per funzionare non ha bisogno, al suo<br />

interno, <strong>di</strong> altri organismi speciali “superiori”. Il piano centrale<br />

per le comunicazioni e per <strong>il</strong> traffico sarà tanto più efficiente<br />

quanto più sarà in grado non tanto <strong>di</strong> “governare” <strong>il</strong> sistema<br />

quanto <strong>di</strong> imporre al sistema sempre più alte e armoniche capacità<br />

<strong>di</strong> auto-organizzazione.<br />

E questo vale per tutto, non solo per l’argomento specifico che<br />

qui abbiamo affrontato.<br />

LETTURE CONSIGLIATE<br />

Daniel T. Jones, Daniel Roos, James P. Womack, La<br />

macchina che ha cambiato <strong>il</strong> mondo, Rizzoli, 1998.<br />

Daniele Robiglio, Osservatorio sulla componentistica<br />

autoveicolare italiana, Camera <strong>di</strong> Commercio, Industria,<br />

artigianato e agricoltura <strong>di</strong> Torino, 2002.<br />

Christopher E. Borroni-Bird, “Designing AUTOnomy”,<br />

Scientific American del 16 settembre 2002 (sulla progettazione<br />

<strong>di</strong> un'auto a celle <strong>di</strong> combustib<strong>il</strong>e).<br />

“A moving story”, The Economist del 5 <strong>di</strong>cembre 2002<br />

(sulla logistica dei trasporti).<br />

102


Documentazione su siti Internet.<br />

Federal Highway Administration:<br />

www.fhwa.dot.gov;<br />

Ministero dei trasporti e delle infrastrutture:<br />

www.infrastrutturetrasporti.it;<br />

tecnologie per <strong>il</strong> trasporto urbano, la logistica e la programmazione<br />

del traffico:<br />

www.ropeways.com,<br />

www.lift.com, www.systra.com/technologies/agt.htm<br />

e www.poma-otis.com;<br />

un modello matematico <strong>di</strong> simulazione del traffico urbano:<br />

www.tpsitalia.it/brochure/.<br />

Operaio parziale e piano <strong>di</strong> produzione, nel n. 1 <strong>di</strong> questa<br />

rivista (settembre 2000).<br />

Globalizzazione, opuscolo nella nostra collana Quaderni<br />

Internazionalisti (1999).<br />

Controllo dei consumi, sv<strong>il</strong>uppo dei bisogni umani, numero<br />

3 <strong>di</strong> n+1, marzo 2001.<br />

nota<br />

[Abbonamento alla rivista: € 16 un anno (4 numeri). Gli<br />

abbonati riceveranno l'e<strong>di</strong>zione stampata e quella <strong>di</strong>gitale.<br />

Per abbonarsi e ricevere <strong>il</strong> bollettino scrivere a:<br />

quinterna@ica-net.it]<br />

103


104


6. da Franco M<strong>il</strong>anesi, Tutti in Fiat, 2001.<br />

Nota.<br />

Questo testo è stato scritto per <strong>il</strong> sito web<br />

<strong>di</strong> ALP-CUB, nella rubrica ‘tutto scuola’.<br />

In<strong>di</strong>rizzo : http://www.geocities.com/alpcub<br />

p. b.<br />

“Le passo subito la signorina Cinzia”. Attesa <strong>di</strong> otto secon<strong>di</strong>.<br />

“Deve comunicarmi data e luogo <strong>di</strong> nascita dei ragazzi e degli<br />

accompagnatori. In<strong>di</strong>chi poi tre giorni possib<strong>il</strong>i per la visita e attenda<br />

la nostra risposta. Le telefonerò al più presto”. Cortesia<br />

formale e fred<strong>di</strong>na, efficienza, cura <strong>di</strong> particolari apparentemente<br />

irr<strong>il</strong>evanti (cosa gliene frega del luogo <strong>di</strong> nascita?). Insomma,<br />

azienda, azienda, azienda. Ho deciso <strong>di</strong> portare la classe quinta<br />

a visitare la Fiat. Dal for<strong>di</strong>smo al postfor<strong>di</strong>smo, e poi new economy,<br />

e just in time, e finanziarizzazione e globalizzazione. Insomma,<br />

ho cercato <strong>di</strong> ripercorrere i luoghi canonici delle trasformazioni<br />

del lavoro, dell’impresa, del mercato. E credo che<br />

una visita a Mirafiori possa essere ut<strong>il</strong>e. C'è molta emozione. In<br />

me. E come andare in America dopo aver <strong>di</strong>gerito decine <strong>di</strong><br />

western. Immaginario e realtà. Dai libri con gli schemini del reparto<br />

presse, vogliamo tutto, Agnelli e Pirelli, pagine e pagine<br />

su cosa caspita pensano <strong>di</strong>cono e fanno gli operai a quella fabbrica<br />

che oggi, forse, neppure un operaio sa bene cosa sia. Ma<br />

comunque è lì, Mirafiori, la Fiat.<br />

In pullman gli studenti sentono le cuffiette e si raccontano beatamente<br />

i fatti loro. Sembra che siano loro ad accompagnare<br />

me. Arriviamo <strong>di</strong>eci minuti prima delle 10.30 e aspettiamo 9<br />

minuti e trenta secon<strong>di</strong> in corso Agnelli, piantati come p<strong>il</strong>oni<br />

davanti all’ingresso degli impiegati. Riprendo un po’ <strong>di</strong> storia,<br />

ma gli studenti sono già scomparsi nel bar dall’altra parte della<br />

strada. Inflessib<strong>il</strong>e sull’anticipo credo che <strong>il</strong> ritardo, anche <strong>il</strong> nostro,<br />

non sarebbe perdonato dall’azienda, quin<strong>di</strong> richiamo gli<br />

studenti all’or<strong>di</strong>ne. Finalmente si entra. Una graziosa signorina<br />

<strong>il</strong>lustra con dati molto essenziali i caratteri della costruzione.<br />

Tutto molto destoricizzato. Non una data, un elemento <strong>di</strong> storia<br />

105


sociale o politica, sembra che la fabbrica sia venuta su da sola,<br />

così, e si sia messa a fare automob<strong>il</strong>i. Si sale sul piccolo trenino<br />

elettrico e si percorre, due volte qualche corridoio della lastroferratura.<br />

Tutti con le cuffiette, ma i dati che arrivano sono ovvi<br />

e scarni e i ragazzi cominciano a <strong>di</strong>strarsi. Guardano i gran<strong>di</strong><br />

convogliatori in alto, le scint<strong>il</strong>le che sprizzano dai saldatori. Alcuni<br />

operaie e operai ci fanno cenni <strong>di</strong> saluto, sembrano r<strong>il</strong>assati.<br />

“Ehi pro, (neppure prof, gli studenti economizzano al massimo<br />

le energie) ma non c’è tanto casino” “Qui no – <strong>di</strong>co – ma in<br />

altri reparti <strong>il</strong> rumore e molto peggio. Guardate le <strong>di</strong>mensioni”.<br />

Vedo moti giovani, pochi operai oltre i cinquanta, e mi piacerebbe<br />

fermarli, farli salire sul trenino, gente che magari è qui da<br />

trent’anni e farci raccontare qualcosa. Ci spostiamo <strong>di</strong> corridoio<br />

e Lucia, la gent<strong>il</strong>e accompagnatrice, prosegue imperterrita a <strong>di</strong>re<br />

esattamente ciò che ve<strong>di</strong>amo: qui si mettono i vetri, qui si sistema<br />

una parte dell'interno, <strong>il</strong> cruscotto, qui i se<strong>di</strong>li. Non si abbandona<br />

certo ad astrazioni, la signorina Lucia. Descrive ciò<br />

che ve<strong>di</strong>amo. A me capita <strong>di</strong> camminare nel centro <strong>di</strong> Torino e<br />

fare invece gioco <strong>di</strong> astrazione dal qui e ora e pensarmi nella<br />

piccola capitale sabauda, come doveva essere via Roma prima<br />

del fascismo o la zona <strong>di</strong> Piazza Vittorio due secoli fa. Forse chi<br />

insegna storia finisce per vivere un po’ troppo dentro questa <strong>di</strong>storsione<br />

<strong>di</strong> prospettiva, ha la testa rivolta più al passato che al<br />

futuro, “sente” le forme trascorse non come qualcosa che non è<br />

più ma come uno scenario <strong>di</strong> possib<strong>il</strong>ità, alcune perse, altre in<br />

atto, altre ancora, forse, da tentare <strong>di</strong> riagguntare. Ogni prof<br />

vorrebbe che la stessa sensib<strong>il</strong>ità appartenesse agli studenti e<br />

questo è un motivo perenne <strong>di</strong> attrito, lontani come sono i<br />

giovani dal gusto della storicizzazione, inevitab<strong>il</strong>mente proiettati<br />

nell’indefinitezza creativa dell’attesa <strong>di</strong> vita. Ora, annoiato dalla<br />

descrizione in tempo reale della signorina Lucia, mi lascio scivolare<br />

dentro la fantasia, la sovrapposizione tra le immagini <strong>di</strong><br />

adesso e le letture o i racconti che amici e compagni mi hanno<br />

fatto. Cerco <strong>di</strong> pensare a questi corridoi che sto percorrendo<br />

nelle trasformazioni che li hanno segnati, penso alla Fiat vallettiana,<br />

a cosa doveva essere qua dentro cinquant’anni fa, e poi<br />

a questi stessi corridoi “spazzati” da un corteo interno, <strong>il</strong> casino<br />

106


dei “tamburi <strong>di</strong> Mirafiori”, i cancelli e la vita <strong>di</strong> idee, <strong>di</strong> lavoro,<br />

<strong>di</strong> cambiamento che bolliva qua attorno. “A destra vedete due<br />

addetti che montano <strong>il</strong> parabrezza anteriore, poco dopo altri<br />

addetti al montaggio delle componenti isolanti”. Addetti. Faccio<br />

notare allo studente seduto vicino a me che la signorina Lucia<br />

non ha mai parlato <strong>di</strong> operai. Solo <strong>di</strong> addetti a qualcosa. Lui<br />

scuote la testa in segno <strong>di</strong> assenso. Chissà cosa frulla nella testa<br />

dei miei studenti. Per molti <strong>di</strong> loro la Fiat non è altro che la<br />

fabbrica da cui è uscita l’automob<strong>il</strong>e dei genitori. Ma durante le<br />

ore trascorse in classe a riassumere un po’ si storia della fabbrica<br />

sono stati particolarmente attenti. Hanno fatto domande pertinenti.<br />

Li ho lasciati parlare, raccontare, e sono venute fuori<br />

tante storie, vicende <strong>di</strong> fabbriche e <strong>di</strong> posti <strong>di</strong> lavoro, e poi si è<br />

<strong>di</strong>scusso <strong>di</strong> stipen<strong>di</strong> (con l’immancab<strong>il</strong>e battuta sulle 18 ore settimanali<br />

dei professori, che ormai incasso come segno <strong>di</strong> una<br />

raggiunta confidenza con le classi) e <strong>di</strong> quanto prende un calciatore<br />

e se ha senso un calmiere e <strong>il</strong> libero mercato ecc. ecc.<br />

Facevo da moderatore solo per smorzare i toni, ogni tanto decisamente<br />

accesi, e le troppe voci accavallate. Mi gustavo questo<br />

grezzo gomitolo <strong>di</strong> idee che si srotolava davanti a me, in modo<br />

caotico e casuale, contento <strong>di</strong> non insegnare matematica e <strong>di</strong><br />

avere l’opportunità <strong>di</strong> osservare questi ragazzi nel loro confronto<br />

con la storia, che sia vicinissima o lontanissima, perché dopo<br />

un po’ capiscono che gli uomini, in fondo hanno voluto, potuto<br />

e dovuto fare le stesse cose, dai Sumeri a oggi e solo l’hanno<br />

fatto in maniera un po’ <strong>di</strong>versa. E proprio a questo pensavo<br />

mentre <strong>il</strong> nostro s<strong>il</strong>enzioso trenino andava avanti, tra addetti <strong>di</strong><br />

qui e addetti <strong>di</strong> là, dentro la pancia della Fiat, io coi i miei ricor<strong>di</strong><br />

e le mie emozioni libresche, da ex studentello operaista,<br />

<strong>di</strong> una fabbrica che non c'è più, loro, chissà. Il giorno dopo in<br />

aula chiedo pareri, impressioni, cerco <strong>di</strong> forzare un commento.<br />

Bocche cucite. “Ma insomma, interessante no?” Assenso muto.<br />

Osservo Marco & Marco, vicini <strong>di</strong> banco, dopo tre anni <strong>di</strong> frequentazione<br />

dentro e fuori dalle aule, ormai in con<strong>di</strong>zioni simbiotica,<br />

legati da quelle amicizie assolute che solo a quella età si<br />

possono avere. Abituati a commentare tutto con <strong>di</strong>segnini che<br />

poi circolano suscitando <strong>il</strong>arità per la classe. Vedo che scara-<br />

107


occhiano e, come sempre lascio perdere, non indago. Prima<br />

<strong>di</strong> uscire chiedo se è possib<strong>il</strong>e vedere <strong>il</strong> loro <strong>nuovo</strong> capolavoro.<br />

“Spero che <strong>di</strong>ventiate almeno come Disegni e Caviglia” <strong>di</strong>co<br />

accon<strong>di</strong>scendente, mentre con sguardo complice mi danno <strong>il</strong><br />

foglietto. Il consiglio <strong>di</strong> classe, più <strong>il</strong> Preside, è ritratto <strong>di</strong>etro una<br />

catena <strong>di</strong> montaggio ad avvitare teste <strong>di</strong> studenti (riconoscib<strong>il</strong>i<br />

dai vistosi piercing) su busti <strong>di</strong> marionetta. Bravi ragazzi, questa<br />

è la scuola del futuro.<br />

108


9. LORIS CAMPETTI Il cielo sopra Torino<br />

<strong>il</strong> manifesto 19-10-03<br />

Un serio conoscitore <strong>di</strong> Torino e del lavoro operaio come Aris<br />

Accornero sostiene che “dalla deindustrializzazione Torino può<br />

trarre molti vantaggi. Il suo <strong>di</strong>segno è <strong>di</strong>ventare come M<strong>il</strong>ano”.<br />

È una tesi interessante, molto con<strong>di</strong>visa <strong>sotto</strong> la Mole. È la risposta<br />

maggioritaria al <strong>di</strong>ffondersi della certezza che <strong>di</strong> automob<strong>il</strong>i,<br />

da queste parti, tra poco non se ne costruiranno più.<br />

Tesi interessante, poco convincente. Torino cambia faccia, non<br />

c’è dubbio. Dopo un secolo <strong>di</strong> egemonia Fiat, finalmente la città<br />

riacquista una sua autonomia, può ripensarsi e <strong>di</strong>segnare <strong>il</strong><br />

proprio futuro postindustriale con <strong>il</strong> cielo liberato dalla cappa<br />

dell’automob<strong>il</strong>e. Cambierà persino <strong>il</strong> clima atmosferico, giurano<br />

gli architetti sociali che promettono allegre nottate a bere birra<br />

in tutte le stagioni nei bar all’aperto <strong>di</strong> piazza Vittorio. È finita<br />

l’epoca in cui i torinesi si intossicavano <strong>di</strong> fetido barbera al<br />

cambio turno nelle “piole” <strong>di</strong> Mirafiori.<br />

Torino terziaria, Torino turistica, Torino olimpionica. Torino<br />

senza Fiat. Saranno le spine, i passanti, l’alta velocità e i giochi<br />

sulla neve (ma non dovrebbe cambiare <strong>il</strong> clima?) a ri<strong>di</strong>segnare<br />

la Detroit italiana, anzi la ex Detroit. Piovono sol<strong>di</strong> come gran<strong>di</strong>ne<br />

e paradossalmente, proprio adesso che l’auto è stata esplusa<br />

dalla città, le auto restano ferme per ore in un traffico<br />

impazzito. Sono i cantieri del futuro, ci vuole pazienza, ci vuole<br />

fiducia nel domani. C’è un gran bisogno <strong>di</strong> muratori calabresi e<br />

moldavi a Torino, mentre con le vecchie tute blu si potranno<br />

riempire le <strong>di</strong>scariche (sociali). Anzi, uno dei progetti allo stu<strong>di</strong>o<br />

prevede la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> riconvertire <strong>il</strong> vecchio gigante Mirafiori<br />

in una <strong>di</strong>scarica (in senso proprio, non sociale).<br />

C’è un clima strano a Torino. Si sentono quasi soltanto opinioni<br />

favorevoli sul progressivo ma veloce svuotamento della fabbrica<br />

simbolo. Più la produzione materiale si riduce e quella che<br />

resta vola verso altri li<strong>di</strong> - al Sud d’Italia e all’Est d’Europa - più<br />

esplode la produzione <strong>di</strong> sogni. Due le certezze riven<strong>di</strong>cate: primo,<br />

la città esce dalla prigione del secolo for<strong>di</strong>sta, spezza le sue<br />

catene; secondo, quassù nel Nordovest c’è gente tenace e<br />

109


creativa che sa rimboccarsi le maniche e superare i traumi.<br />

Come quando perse la capitale, trasferita a Firenze prima, a<br />

Roma poi: con un colpo <strong>di</strong> reni Torino <strong>di</strong>ventò capitale della<br />

scienza e della tecnica, quin<strong>di</strong> dell’industria. Domani <strong>di</strong>venterà<br />

capitale <strong>di</strong> qualcos’altro.<br />

Con l’esclusione della Fiom e <strong>di</strong> qualche <strong>di</strong>nosauro industrialista,<br />

tutti parlano del declino annunciato <strong>di</strong> Mirafiori come <strong>di</strong><br />

una opportunità. Si teorizza la liberazione dalle merci e si lavora<br />

per offrire eccellenti vie <strong>di</strong> comunicazione per le stesse merci<br />

costruite da altri. E poi c’è <strong>il</strong> mito ritardato del terziario avanzato,<br />

nel vero senso del termine: avanzato a M<strong>il</strong>ano, o a Lione, o<br />

a Francoforte. Verso M<strong>il</strong>ano, <strong>il</strong> flusso è stato a senso unico, dai<br />

saloni alla Telecom. Torino si è impoverita con la crisi della<br />

Fiat.<br />

Mirafiori perde le produzioni <strong>di</strong> serie (la Panda oggi, la Punto<br />

tra un paio d’anni) e conquista le monovolume. Non c’è un'idea,<br />

gran<strong>di</strong> opere a parte, che consenta <strong>di</strong> guardare con fiducia<br />

al futuro <strong>di</strong> Torino che <strong>di</strong> una sola cosa rischia <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare capitale:<br />

della speranza.<br />

110


7. Il lavoro <strong>di</strong> fronte al suo rovescio<br />

[per concessione de ‘<strong>il</strong> manifesto ‘ e <strong>di</strong> ‘Zapruder’]<br />

“Il sindacato è scomparso”. L’attacco al potere <strong>di</strong> coalizione è <strong>il</strong><br />

frutto <strong>di</strong> un'ideologia che considera i lavoratori dei semplici “fattori<br />

produttivi”. L’esito dell’onda lunga partita dagli Usa negli<br />

anni ‘80 che cancella soggettività e autonomia e prepara un collasso<br />

democratico.<br />

Uno degli ultimi interventi pubblici <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Sabattini, deceduto<br />

a inizio settembre. L’analisi <strong>di</strong> una società che, oscurando<br />

<strong>il</strong> lavoro, <strong>di</strong>venta sempre più autoritaria<br />

Un mese fa moriva a Bologna Clau<strong>di</strong>o Sabattini ex segretario<br />

nazionale della Fiom. Quello che segue è uno dei suoi ultimi<br />

interventi pubblici tenuto a luglio nel corso <strong>di</strong> un seminario sul<br />

tema “Catene al lavoro” organizzato dall'associazione “Storie in<br />

movimento” e dalla rivista “Zapruder” (e<strong>di</strong>ta da Odradek) che<br />

lo pubblicherà nel suo prossimo numero a <strong>di</strong>cembre.<br />

CLAUDIO SABATTINI<br />

Osservando la letteratura sociale e quella massme<strong>di</strong>ologica potremmo<br />

concludere che <strong>il</strong> sindacato non esiste più. Penso che<br />

siamo davvero vicini a questo esito, almeno analizzando gli avvenimenti<br />

degli ultimi trent’anni. Ovviamente <strong>il</strong> processo che ha<br />

portato o – se vogliamo introdurre una nota <strong>di</strong> ottimismo – che<br />

sta portando all’estinzione del sindacato non parte dal movimento<br />

sindacale italiano, ma ha avuto origine negli Stati uniti e<br />

poi via via ha conquistato l’Europa e l’Italia affermando e facendo<br />

<strong>di</strong>ventare senso comune, cultura <strong>di</strong>ffusa che la forza lavoro<br />

può essere considerata come uno dei tanti strumenti della<br />

produzione, seguendo quin<strong>di</strong> logiche che sono tipiche dei fattori<br />

produttivi, per usare una espressione neoclassica. L’origine <strong>di</strong><br />

tutto ciò credo si possa far risalire alla fine degli anni ‘70. Da<br />

una parte Reagan, dall’altra la Thatcher hanno fortemente operato<br />

in questo senso. Non solo: hanno posto l’accento sull’inesistenza<br />

<strong>di</strong> una socialità complessiva, affermando che una società<br />

è fatta <strong>di</strong> singoli citta<strong>di</strong>ni. Partendo da questo assunto, che ha<br />

111


caratterizzato le politiche dei due capi <strong>di</strong> stato lungo gli anni<br />

‘80, si è arrivati ad affermare che <strong>il</strong> lavoro non è solo un fatto<br />

strumentale ma è un fattore della produzione e quin<strong>di</strong>, come<br />

tale, è inserito nei processi <strong>di</strong> ottimizzazione delle fasi produttive.<br />

Questo significa che come si cambia un macchinario <strong>di</strong>ventato<br />

ob<strong>sole</strong>to, così si possono sostituire i lavoratori ritenuti non<br />

sufficientemente produttivi. Nello stesso arco temporale si è sv<strong>il</strong>uppata<br />

anche un’altra teoria che affermava che i processi <strong>di</strong><br />

automazione, soprattutto <strong>di</strong> origine asiatica, avrebbero consentito<br />

<strong>di</strong> sostituire totalmente i lavoratori con le macchine. Il risultato<br />

<strong>di</strong> queste due teorie era lo stesso: <strong>il</strong> lavoro scompariva non<br />

solo come socialità, ma come elemento essenziale del processo<br />

produttivo. Ovviamente tutto ciò non è stato privo <strong>di</strong> conseguenze<br />

anche sul piano ideologico e politico. Basta guardare,<br />

ad esempio, i tanti accor<strong>di</strong> generali fatti dalle Confederazioni<br />

sindacali in Italia in cui <strong>il</strong> termine “lavoro” non compare più e<br />

viene sostituito da “costo del lavoro”. Vengono stipulati accor<strong>di</strong><br />

sulla flessib<strong>il</strong>ità, sulla produttività che alludono al fatto che riguardano<br />

i lavoratori ma essi non vengono più rappresentati<br />

come tali, non si parla mai <strong>di</strong> “flessib<strong>il</strong>ità dei lavoratori”, ma <strong>di</strong><br />

“accor<strong>di</strong> sulla flessib<strong>il</strong>ità”, “sulla competitività”. Accor<strong>di</strong>, accor<strong>di</strong>,<br />

accor<strong>di</strong>... È da questo punto <strong>di</strong> vista che nel giro <strong>di</strong> un ventennio<br />

è stato sostanzialmente liquidato <strong>il</strong> sindacato, e questo<br />

non è avvenuto per caso. Per capire davvero la portata <strong>di</strong> ciò<br />

che è accaduto occorre, secondo me, tornare alle origini del<br />

sindacato. Esso nacque alla metà dell’800 in Ingh<strong>il</strong>terra (grazie<br />

al riconoscimento fatto dai Wigh) da una equazione assai semplice:<br />

allora venne riconosciuto che se <strong>il</strong> lavoratore è solo <strong>di</strong><br />

fronte all’impresa lo squ<strong>il</strong>ibrio <strong>di</strong> poteri è tale che non è possib<strong>il</strong>e<br />

ne esca un contratto libero. Si riconobbe allora ai lavoratori<br />

la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> coalizzarsi e quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> riconoscimento dell’esistenza<br />

del sindacato. Finalmente i lavoratori poterono organizzarsi,<br />

esercitare un potere <strong>di</strong> coalizione, con<strong>di</strong>zione in<strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>e<br />

per equ<strong>il</strong>ibrare i rapporti <strong>di</strong> potere e dar vita a un contratto<br />

in senso proprio. Perché in presenza <strong>di</strong> un forte squ<strong>il</strong>ibrio<br />

<strong>di</strong> potere tra impresa e lavoratore non è possib<strong>il</strong>e parlare <strong>di</strong><br />

contratto. Oggi, dopo un secolo e mezzo <strong>di</strong> storia sindacale e<br />

112


del movimento operaio, considerando gli ultimi avvenimenti<br />

sociali succedutisi nel nostro Paese siamo alla liquidazione <strong>di</strong><br />

due capisal<strong>di</strong> <strong>di</strong> questa storia: <strong>il</strong> contratto e <strong>il</strong> potere <strong>di</strong> coalizione<br />

dei lavoratori.<br />

Del sindacato abbiamo detto. Per quanto riguarda <strong>il</strong> contratto<br />

collettivo possiamo certamente affermare che è stato liquidato<br />

sostanzialmente ma anche tecnicamente come ci insegnano le<br />

recenti vicende dei metalmeccanici: la firma posta da Fim e<br />

U<strong>il</strong>m a quel testo ne ha sancito la definitiva estinzione visto che<br />

l’accordo non conteneva alcun elemento delle piattaforme presentate<br />

da quelle organizzazioni che l’hanno firmato <strong>sotto</strong>scrivendo<br />

esattamente ed esclusivamente la posizione presentata<br />

da Federmeccanica e da Confindustria. Con l’aiuto, ovviamente,<br />

del Parlamento e del Governo che hanno provveduto a sostituirne<br />

la parte normativa - quella che riguarda le relazioni tra<br />

le parti e i <strong>di</strong>ritti - con una sequenza <strong>di</strong> leggi che liquidano i <strong>di</strong>ritti<br />

dei lavoratori. La liquidazione <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>ritti ha come connotato<br />

fondamentale un’estrema frammentazione delle forme <strong>di</strong><br />

lavoro: si va dal job-on-call, al lavoro intermittente ad altre forme<br />

<strong>di</strong> lavoro sempre, però, a tempo determinato lasciando<br />

quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> lavoratore in una perenne con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ricattab<strong>il</strong>ità.<br />

Esiste, ed è su questo che vorrei soffermare la nostra attenzione,<br />

un elemento che ha reso possib<strong>il</strong>e queste due operazioni <strong>di</strong><br />

liquidazione, <strong>il</strong> potere <strong>di</strong> coalizione sindacale da una parte, <strong>il</strong><br />

contratto collettivo dall’altra: i lavoratori non possono più votare.<br />

I datori <strong>di</strong> lavoro possono fare <strong>il</strong> contratto con chi vogliono<br />

senza considerare quanto sia rappresentativo. Così nasce <strong>il</strong> paradosso<br />

del contratto dei meccanici i cui lavoratori sono in<br />

maggioranza iscritti alla Fiom, più numerosi <strong>di</strong> quelli iscritti alla<br />

Fim e alla U<strong>il</strong>m messe insieme. Che quel contratto sia stato <strong>sotto</strong>scritto<br />

da una minoranza è fuor <strong>di</strong> dubbio, la cosa grave è che<br />

questo non provoca nessun effetto perché non vi è una legge<br />

sulla rappresentanza e l’articolo 39 della Costituzione (che garantisce<br />

la libertà dell’organizzazione sindacale) non è mai stato<br />

applicato.<br />

Per rendere completa l’analisi, però, a mio giu<strong>di</strong>zio occorre tenere<br />

presente un altro elemento che probab<strong>il</strong>mente ha una va-<br />

113


lenza ancor più generale. Se è chiarissimo cosa sia la manifattura,<br />

cosa sia la fabbrica, invece, non lo è affatto. Nel corso degli<br />

ultimi trent’anni la fabbrica è stata attraversata da trasformazioni<br />

profon<strong>di</strong>ssime, causate non solo dai processi <strong>di</strong> internazionalizzazione,<br />

che l’hanno completamente mo<strong>di</strong>ficata rendendo assolutamente<br />

non paradonab<strong>il</strong>e quella <strong>di</strong> oggi a quella <strong>di</strong> ieri. Il<br />

modo in cui si produce, si progetta, si <strong>di</strong>rige e si vende è completamente<br />

cambiato: l’impresa non è più sequenziale. Una volta<br />

si cominciava dall’ideare <strong>il</strong> prodotto per poi, per tappe successive,<br />

arrivare fino al prodotto finito e a organizzare la sua<br />

ven<strong>di</strong>ta. Ora ogni fase della produzione è svolta contemporaneamente<br />

alle altre in luoghi <strong>di</strong>versi, in tempi <strong>di</strong>versi, con costi<br />

e valori <strong>di</strong>fferenti e molte funzioni che una volta si svolgevano<br />

all’interno ora vengono esternalizzate dall’impresa stessa e vengono<br />

chiamati servizi, terziario. E un enorme quantità <strong>di</strong> ciò che<br />

comunemente viene chiamato terziario in realtà è puro e semplice<br />

prodotto industriale fatto fuori dalla fabbrica. I primi a<br />

percorrere questa strada sono stati i giapponesi che, avendo realizzato<br />

subforniture <strong>di</strong> tutte le componenti lasciando all'interno<br />

dell'impresa soltanto l’assemblaggio, riuscirono a produrre automob<strong>il</strong>i<br />

a una velocità tale da immetterne sul mercato quantità<br />

<strong>di</strong> sette o otto volte maggiori rispetto alle tra<strong>di</strong>zionali fabbriche<br />

for<strong>di</strong>ste per la pura e semplice ragione che facevano fare due<br />

terzi dell'automob<strong>il</strong>e fuori dalla fabbrica. Però, nonostante le<br />

mo<strong>di</strong>fiche che molti lavori hanno subito nel corso <strong>di</strong> questi decenni,<br />

<strong>di</strong>luendosi <strong>di</strong>versamente, è assai <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e che un qualsiasi<br />

prodotto, sia esso terziarizzato o meno, posso essere slegato<br />

dall’oggetto. Solo l’oggetto, infatti, può essere commercializzato.<br />

E anche la teoria sui beni immateriali in realtà, non è fondata<br />

sul fatto che in passato si lavorava <strong>di</strong> braccia e ora si lavora<br />

<strong>di</strong> testa, ma sul concetto classico che esiste una supremazia del<br />

lavoro intellettuale su quello materiale. Concetto ovviamente<br />

sbagliato: anche per eseguire lavoro materiale occorre metterci<br />

testa! Gli sk<strong>il</strong>led tedeschi ce ne mettevano molta <strong>di</strong> testa nel<br />

produrre le loro macchine utens<strong>il</strong>i e non credo che “avessero<br />

meno testa” <strong>di</strong> quelli che oggi fanno <strong>il</strong> software dentro le imprese<br />

meccaniche o quelle informatiche. Lo <strong>di</strong>co perché senza<br />

114


comprendere <strong>il</strong> processo <strong>di</strong> riorganizzazione produttiva dell’impresa<br />

è <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e fare un’analisi <strong>di</strong> ciò che è avvenuto, nella terziarizzazione<br />

e nel suo gonfiamento.<br />

Infine, ho ascoltato con molto interesse l’analisi sulla società<br />

dei consumi. Io, però, rimango legato ad un concetto novecentesco:<br />

<strong>il</strong> taylorismo non è solo un metodo <strong>di</strong> produzione,<br />

ma è anche una cultura, una struttura <strong>di</strong> società. E l’idea forte<br />

su cui costruire quel modello sociale era, ed è, che la produzione<br />

anche <strong>di</strong> beni ritenuti <strong>di</strong> lusso, come ad esempio era<br />

considerata un tempo l’automob<strong>il</strong>e, potesse <strong>di</strong>ventare produzione<br />

<strong>di</strong> beni <strong>di</strong> massa. Si trasformò <strong>il</strong> sistema produttivo abbandonando<br />

sostanzialmente la manifattura e rendendolo altamente<br />

gerarchizzato e sequenziale, facendo così in modo<br />

che un qualunque lavoratore della Ford potesse acquistare un<br />

automob<strong>il</strong>e Ford. In sintesi, che i prodotti potessero essere accessib<strong>il</strong>i<br />

a chi lavorava. Dalla produzione <strong>di</strong> massa, quin<strong>di</strong>, alla<br />

società <strong>di</strong> massa – e non viceversa – attraverso un’altissima e<br />

crescente produttività e una parziale re<strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> red<strong>di</strong>to<br />

che permetteva <strong>il</strong> consumo <strong>di</strong> massa.<br />

In questo quadro, oggi, <strong>il</strong> problema che abbiamo davanti, non<br />

solo in Italia ma per lo meno in tutta Europa, è quello della definitiva<br />

svalorizzazione fino al nascon<strong>di</strong>mento del lavoro operaio.<br />

Per affermare <strong>il</strong> valore della finanza e del capitale rispetto<br />

a qualunque altro elemento, sia esso macchinario o struttura<br />

produttiva, è in<strong>di</strong>spensab<strong>il</strong>e dare significato <strong>di</strong> assoluta marginalità<br />

al lavoro operario. E allora lo si definisce – tutto <strong>il</strong> lavoro<br />

operaio, anche quello che un tempo si chiamava professionalizzato<br />

– come poco qualificato e, non a caso, tendenzialmente lo<br />

si riserva agli uomini e alle donne “marginali” nella scala sociale,<br />

fino ad arrivare agli extracomunitari. A me pare che questa<br />

nuova gerarchizzazione del lavoro tenga conto <strong>di</strong> una ideologia<br />

fortemente reazionaria e <strong>di</strong>spotica e, ritengo, non sia un caso<br />

che stia invadendo <strong>il</strong> complesso delle relazioni delle società occidentali.<br />

Il tentativo <strong>di</strong> liquidare <strong>il</strong> sindacato, così come <strong>il</strong> tentativo<br />

<strong>di</strong> liquidare qualsiasi autonomia soggettiva dell’impresa,<br />

come qualsiasi forma <strong>di</strong> relazione contrattuale tra capitale e lavoro<br />

è la forma moderna <strong>di</strong> dequalificazione e segmentazione<br />

115


sociale; una forma moderna <strong>di</strong> autoritarismo basata sull’oscuramento<br />

del lavoro operaio, sulla sua segmentazione e<br />

ricollocazione dentro una nuova gerarchia sociale, una piramide<br />

castale. È molto <strong>di</strong> più dell’antiegualitarismo (del resto nel<br />

‘900 non abbiamo mai vissuto <strong>di</strong> eguaglianza), è la creazione <strong>di</strong><br />

una gerarchia altamente <strong>di</strong>spotica basata sul fatto che le persone<br />

che sono la base materiale della ricchezza – da noi come nel<br />

mondo povero – sono collocate alla base della piramide, private<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti, impe<strong>di</strong>te a coalizzarsi, schiacciate, negate nella loro<br />

stessa esistenza. Ecco, mi pare che questa sia la questione del<br />

lavoro oggi in Italia, in Europa; ma forse, chissà, molto <strong>di</strong> più.<br />

116


8. Schegge biografiche<br />

Qual è stata la sorte dei 61? Abbiamo raccolto alcune<br />

schede autobiografiche, una decina che tracciano <strong>il</strong> percorso<br />

politico sociale <strong>di</strong> una parte <strong>di</strong> essi.<br />

Angelo Caforio<br />

Dopo <strong>il</strong> licenziamento, continua l’impegno politico e sociale,<br />

partecipando in forma attiva alla lotta contro i licenziamenti alla<br />

Fiat nell’ ‘80 nel corso degli storici 35 giorni <strong>di</strong> blocco dei cancelli.<br />

In seguito alla sconfitta dei 35 giorni, nonostante la ricerca <strong>di</strong><br />

un <strong>nuovo</strong> lavoro, è ancora <strong>di</strong>soccupato e, non essendo fra i<br />

cassaintegrati Fiat, non potrà far parte del coor<strong>di</strong>namento cassaintegrati<br />

che andrà a costituirsi.<br />

L’isolamento dei lavoratori metalmeccanici, usciti sconfitti dalla<br />

lotta dei 35 giorni, si fa forte e ancora <strong>di</strong> più per coloro che in<br />

modo <strong>di</strong>verso facevano parte dei 61 licenziati dalla Fiat nel ’79.<br />

Sosterrà, insieme ad alcuni dei 61 licenziati, un processo penale,<br />

in seguito alle motivazioni (sabotaggio industriale, violenze,<br />

etc.) che la Fiat addusse per <strong>il</strong> licenziamento, dal quale esce assolto.<br />

Non attribuendo più alla causa civ<strong>il</strong>e <strong>il</strong> valore politico che<br />

originariamente aveva, decide nell’’81 <strong>di</strong> chiuderla con una<br />

transazione fra le parti.<br />

Rimane <strong>di</strong>soccupato fino alla seconda metà dell’81, anno in cui<br />

troverà lavoro in qualità <strong>di</strong> operaio addetto alla lavanderia<br />

presso un grande ospedale citta<strong>di</strong>no.<br />

Dall’81 all’83 si impegna nelle battaglie sindacali in sanità scontrandosi<br />

con l’egoismo personale <strong>di</strong> alcuni sindacalisti e con<br />

l’approccio, secondo <strong>il</strong> suo modo <strong>di</strong> vedere, “troppo <strong>di</strong>alogante”<br />

e “subalterno” del settore sindacale del pubblico impiego a<br />

suo avviso profondamente <strong>di</strong>verso nella pratica sindacale e nella<br />

contrattazione da quella vissuta fra i metalmeccanici nell’esperienza<br />

del consiglio <strong>di</strong> fabbrica a Mirafiori.<br />

Nell’83, in <strong>di</strong>ssenso con l’organizzazione politica <strong>di</strong> appartenenza,<br />

con la linea politica della CGIL FP, ma ancora <strong>di</strong> più con la<br />

pratica sindacale <strong>di</strong>ffusa nel pubblico impiego, lascia l’impegno<br />

117


politico e sindacale attivo e si riscrive all’università <strong>di</strong> architettura<br />

per completare gli stu<strong>di</strong> interrotti nel 76 in seguito all’assunzione<br />

alla Fiat Mirafiori, che considerava “l’Università operaia”.<br />

Nell’86, dopo aver conseguito la laurea in architettura, riprende<br />

un impegno politico e sociale principalmente nell’ambito dell’associazionismo<br />

ed in particolare quello <strong>di</strong> sostegno alle lotte<br />

dei popoli del centro America.<br />

Nel 89 passa, in seguito a pubblico concorso, da operaio ad<br />

impiegato amministrativo presso un altro ospedale torinese dove<br />

ritrova nuovamente un certo interesse sul piano sindacale<br />

occupandosi in CGIL <strong>di</strong> Internazionale, mantenendo un rapporto<br />

con l’associazionismo solidale e internazionale.<br />

Nel 91-92 nell’ambito delle lotte contro <strong>il</strong> governo Amato e la<br />

contestazione delle politiche sindacali sulla mo<strong>di</strong>fica dell’or<strong>di</strong>namento<br />

pensionistico, sulla <strong>di</strong>fesa dei <strong>di</strong>ritti e sulle forme <strong>di</strong> rappresentanza<br />

dei lavoratori, dà vita, insieme ad altri suoi compagni,<br />

all’esperienza dell’unico, (sicuramente in ambito regionale)<br />

consiglio dei delegati unitario, nel pubblico impiego, eletto democraticamente<br />

e revocab<strong>il</strong>e dai lavoratori in qualsiasi momento,<br />

che raccoglie oltre 80% dei consensi fra tutte le professioni<br />

compresa quella me<strong>di</strong>ca, nonostante l’avversione e le minacce<br />

dei sindacati confederali, <strong>di</strong> espulsione dei lavoratori iscritti che<br />

avessero sostenuto <strong>il</strong> consiglio.<br />

L’esperienza del Cons<strong>il</strong>io dei Delegati , rimase isolata per l’incapacità<br />

della sinistra <strong>di</strong> opposizione <strong>di</strong> costruirla nelle altre realtà<br />

<strong>di</strong> lavoro del pubblico impiego e così, pur continuando a<br />

vivere fino al 95, si svuotò della forza e della <strong>di</strong>namica che avrebbe<br />

potuto assumere in un’esperienza <strong>di</strong>ffusa e collettiva.<br />

Nel 93, in seguito a pubblico concorso, cambia lavoro e in qualità<br />

<strong>di</strong> architetto <strong>di</strong>venta funzionario nella pubblica amministrazione.<br />

In seguito alla deludente politica sindacale nel 94, rinuncerà agli<br />

incarichi assegnatigli nel sindacato e all’impegno <strong>di</strong>retto,<br />

rimanendone semplicemente iscritto.<br />

Nel 95 e nel 99 nascono i suoi due figli, e pur continuando a<br />

seguire le vicende politiche nel partito della rifondazione comunista<br />

in un circolo della prima cintura torinese, cerca <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care<br />

118


<strong>il</strong> maggior tempo possib<strong>il</strong>e ai suoi bambini e alla sua compagna,<br />

per quanto possa concederselo una persona che non è ancora<br />

libera dalle catene del lavoro.<br />

G. P.<br />

Richiesto <strong>di</strong> tracciare una scheggia sul suo caso, si rifiuta motivandolo<br />

col fatto che quel che serve lo decide la sua organizzazione<br />

politica. Non facciamo altro che prendere atto della volontà<br />

dell’interessato.<br />

Pino<br />

Ho ricevuto la prima lettera <strong>di</strong> addebiti generici per “aver arrecato<br />

assoluta <strong>di</strong>sorganizzazione della squadra esautorando i capi<br />

e le loro funzioni”. Dato che questa accusa era relativa alle<br />

ore <strong>di</strong> sciopero <strong>di</strong>chiarato, è caduta e la FIAT mi ha successivamente<br />

precisato come addebiti <strong>niente</strong><strong>di</strong>meno che <strong>il</strong> “blocco<br />

delle fosse <strong>di</strong> convergenza” (che erano 36 e ci volevano almeno<br />

4000 persone per “bloccarle”!). In realtà, la Fiat si faceva forte<br />

<strong>di</strong> un precedente accordo con <strong>il</strong> sindacato che aveva garantito<br />

che le fosse <strong>di</strong> convergenza non si toccavano. Mi si accusava<br />

inoltre <strong>di</strong> avere obbligato i capi interme<strong>di</strong> a sf<strong>il</strong>are in testa ai<br />

cortei con ban<strong>di</strong>ere e striscioni (personalmente non mi importavano<br />

proprio nulla <strong>di</strong> loro) e per far questo la Fiat è ricorsa a<br />

testimoni falsi. Avrei anche impe<strong>di</strong>to l’entrata ai crumiri nelle<br />

cabine <strong>di</strong> verniciatura (in realtà facevo con altri normali picchetti,<br />

anche se duri, ma la mia squadra era più calma delle altre e<br />

non lanciava affatto pietre, anche per <strong>di</strong>sposizioni organizzative).<br />

Avrei anche partecipato a blocchi stradali. Persa la causa<br />

con <strong>il</strong> pretore Denaro, siamo stati tutti <strong>di</strong>ffidati passando in sede<br />

penale per ingiurie, minacce, atteggiamento intimidatorio e ingiurioso<br />

verso i capi e interme<strong>di</strong>. Ma non se ne è fatto nulla fino<br />

alla scadenza termini, perché nel frattempo la Fiat vinceva politicamente<br />

nei confronti della classe. Anch’io ho accettato <strong>di</strong><br />

transare per consiglio dell’allora mia organizzazione, che non<br />

vedeva sbocchi positivi alla vicenda, tanto la ristrutturazione<br />

l’avrebbero fatta comunque e occorreva una “ritirata or<strong>di</strong>nata”,<br />

119


come <strong>di</strong>cevano. In totale eravamo l’8% dei 61 tutti m<strong>il</strong>itanti nel<br />

nucleo Fiat del partito, mentre alcuni altri, allora non toccati dal<br />

licenziamento, faranno successivamente parte dei 24000 cassintegrati.<br />

Io e un altro compagno, lui pure licenziato, TL, eravamo<br />

dell’officina 78, turno B. Gli altri compagni erano GS, SC e<br />

PP. Soltanto per quest’ultimo, che lavorava alla Lancia <strong>di</strong> Chivasso,<br />

<strong>il</strong> partito ha deciso <strong>di</strong> non transare, salvando almeno la<br />

faccia fino alla cassazione, pur sapendo <strong>di</strong> perdere. Nel tempo,<br />

quasi tutti usciranno dal partito, tranne quello <strong>di</strong>feso fino alla<br />

fine <strong>di</strong>venuto funzionario a tempo pieno. Restò negli altri <strong>il</strong> malumore<br />

e l’amarezza per un’organizzazione che a mio parere,<br />

pur facendo un’analisi corretta delle tendenze del capitalismo<br />

nel settore dell’automob<strong>il</strong>e, non volle e non seppe organizzare<br />

una forza tra i 61 e negli altri operai, pur pesando per l’8%, e<br />

accettando lo smantellamento <strong>di</strong> un nutrito nucleo operaio che<br />

avrebbe potuto fare molto <strong>di</strong> più e meglio se ben orientato politicamente.<br />

In realtà, la ristrutturazione metteva in moto forze<br />

contrastanti, <strong>di</strong> fronte alle quali non si poteva assumere la posizione<br />

<strong>di</strong> chi aspetta solo che finisca. Non c’è neutralità in questo<br />

conflitto. Se a qualcosa deve servire una “ritirata strategica”,<br />

essa dovrebbe almeno raccogliere le forze per un contrattacco.<br />

In quel momento, tra gli scioperanti c’erano <strong>di</strong>verse componenti.<br />

Si andava dai vecchi operai del PCI ad ex m<strong>il</strong>itanti <strong>di</strong><br />

Lotta Continua, aderenti a DP a trotskisti e operai semplici tipo<br />

Mucci. C’era anche chi avanzava teorie tipo brigatista, secondo<br />

cui se lo Stato e la Fiat erano in crisi, bisognava colpirli.<br />

Altro che crisi! La crisi era nostra. Io sono stato sempre favorevole<br />

al movimento, nel senso che ero <strong>di</strong>sponib<strong>il</strong>e a collaborare<br />

anche con i vecchi del PCI, contro ogni forma <strong>di</strong> settarismo.<br />

Insieme con l’altro compagno della officina 87 appoggiammo<br />

la vertenza dei cabinisti in verniciatura, anche se contro<br />

le <strong>di</strong>sposizioni del partito e della CGIL, senza guardare in<br />

faccia a nessuno. Per me e per l’altro compagno si trattava <strong>di</strong><br />

operai e basta. Nel partito ci tiravano le orecchie. Sono stato<br />

nelle cabine antirombo e so cosa significa. Uscivamo sempre<br />

dalla linea appoggiando lo sciopero.<br />

120


Contro <strong>il</strong> terrorismo abbiamo sempre scioperato, anzi ci siamo<br />

<strong>di</strong>stinti. La maggior parte delle ore scioperate era contro <strong>il</strong> terrorismo.<br />

Personalmente sono riuscito a tirarmi via tutta la linea<br />

nel caso <strong>di</strong> Guido Rossa, con un cartellone su cui avevo scritto:<br />

“Il terrorismo ha ucciso un sindacalista”. Uscirono tutti, anche<br />

chi non scioperava mai, mentre la mia organizzazione mi sgridava<br />

<strong>di</strong>cendomi <strong>di</strong> non mischiarmi.<br />

Ho sempre avuto una propensione a partecipare alle esperienze<br />

spontanee, fin da quando lavoravo in Germania, come aderente<br />

al KBW che si rifaceva alla esperienza dello Spartakusbund <strong>di</strong><br />

Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg e <strong>di</strong>ffondeva <strong>il</strong> giornale<br />

Kommunistische Volks Zeitung, un po’ confusionari perché erano<br />

insieme f<strong>il</strong>orussi e f<strong>il</strong>ocinesi.<br />

Il licenziamento mi ha completamente squ<strong>il</strong>ibrato la vita, e non<br />

solo a me. Ho dovuto arretrare, entrando nell’e<strong>di</strong>lizia, e restarci<br />

fino ad oggi in cui resto provato fisicamente. Organizzativamente,<br />

non si ha la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> organizzare lotte. Anche socialmente<br />

ed economicamente sono sceso, sono più tartassato. Ma<br />

quell’esperienza mi ha maturato. Non ho mai perduto la fede<br />

nel comunismo, <strong>il</strong> movimento che cambia le cose presenti. Sono<br />

<strong>di</strong>ventato più <strong>di</strong>ffidente soprattutto <strong>di</strong> chi mi è accanto e oggi<br />

non farei più l’errore <strong>di</strong> farmi ut<strong>il</strong>izzare come ho fatto con<br />

l’allora mia organizzazione. Non credo più nel Partito, almeno<br />

in quei partiti che si spacciano per tali. Credo che occorrano<br />

oggi tante organizzazioni, più movimenti possib<strong>il</strong>i, più <strong>di</strong>scussioni,<br />

ed è per questo che personalmente ho rapporti aperti e non<br />

settari con compagni a tutto campo, persino comunisti dell’Iran<br />

e dell’Irak, francesi e altri. E’ necessario arrivare ad una nuova<br />

Internazionale Comunista su basi certamente nuove. E’ l’unica<br />

mia speranza. Infatti quella a cui aderisco oggi è una associazione,<br />

non pretende <strong>di</strong> essere un partito.<br />

L.Sc<br />

Mi chiamo L. Sc <strong>di</strong> Riesi. Prima <strong>di</strong> entrare in Fiat lavoravo alla<br />

cartiera Torassa da dove, a seguito <strong>di</strong> un litigio con <strong>il</strong> capo, sono<br />

stato licenziato insieme con mio fratello accorso per <strong>di</strong>viderci.<br />

Allora non capivo nulla <strong>di</strong> politica. Mia sorella aveva già fat-<br />

121


to domanda alla Fiat. Così la feci anch’io. Dopo la visita, fui assunto.<br />

Erano le ultime assunzioni prima dei licenziamenti dei 61.<br />

Ho frequentato <strong>il</strong> corso delle 150 ore allora. Era un periodo in<br />

cui mi chiedevo del mondo, della vita e della morte, insomma<br />

come dovevo spendere me stesso. Fu in questa con<strong>di</strong>zione che<br />

trovai lavoratori politicizzati in Fiat che mi spiegavano le tesi comuniste.<br />

La Fiat era l’università per questo. C’era <strong>di</strong> tutto, dalle<br />

varie organizzazioni sindacali dei lavoratori al sindacato padronale,<br />

<strong>il</strong> SIDA. Il <strong>di</strong>battito politico era vivace tra cattolici, opportunisti<br />

del PCI, SIDA, gruppettari e persone serie da cui capii che a livello<br />

mon<strong>di</strong>ale stava avvenendo la ristrutturazione del settore auto e<br />

le tattiche per far fronte a ciò con la ritirata strategica del movimento<br />

proletario. Aderii a quest’ultima posizione. Mi spiegavano<br />

anche le famose domande sulla vita, sull’uomo ecc. Mi fecero<br />

notare che avevo ancora una visione cattolica del mondo. Dove<br />

lavoravo mi fu fac<strong>il</strong>e capire che in realtà l’uomo è considerato<br />

come merce forza-lavoro. Ho approfon<strong>di</strong>to così <strong>il</strong> concetto marxista<br />

della vita e della morte, <strong>il</strong> darwinismo, fino ad avere una visione<br />

teorica complessiva della vita.<br />

Nel movimento delle lotte sindacali <strong>il</strong> mio impulso istintivo era<br />

quello <strong>di</strong> spaccare tutto e i compagni più maturi e politicizzati<br />

mi <strong>di</strong>cevano <strong>di</strong> “seguire” i cortei. Si parlava <strong>di</strong> politica e mi eru<strong>di</strong>vano.<br />

Occorreva approfon<strong>di</strong>re sempre più la storia del movimento<br />

operaio e la concezione materialista della vita. Già <strong>il</strong><br />

marxismo aveva criticato <strong>il</strong> lud<strong>di</strong>smo. Cominciò una crescita<br />

personale continua <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> posizioni politico-sindacali in<br />

Fiat. Tengo a <strong>sotto</strong>lineare questa concezione, che eravamo risolutamente<br />

avversi al terrorismo, al lud<strong>di</strong>smo, al movimentismo,<br />

facendo leva su una risoluta opposizione all’opportunismo del<br />

PCI e su una ritirata or<strong>di</strong>nata della classe operaia.<br />

Lavoravo alla carrozzeria, linea 2, pomiciatura. Era la prima fase<br />

<strong>di</strong> lavorazione della macchina. Si lavorava in mezzo all’acqua<br />

con grembiale e stivali <strong>di</strong> gomma. Avevamo una levigatrice<br />

a mano con cartavetro.<br />

Cominciai ad organizzarmi con altri per eru<strong>di</strong>rci e far denuncia.<br />

Il sindacato non ci ha <strong>di</strong>fesi come classe. Oggi paghiamo le<br />

122


conseguenze <strong>di</strong> quel periodo, con <strong>il</strong> lavoro interinale, la precarietà,<br />

i ritmi, ecc.<br />

Allora, con questa consapevolezza e con lo stu<strong>di</strong>o, cominciò la<br />

mia coscienza politica fino al licenziamento. La seconda lettera<br />

mi accusava sostanzialmente <strong>di</strong> sabotaggio, <strong>di</strong> violenza, rissa e<br />

minacce ai capi. Ci fu un collegio <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa e come andò è cosa<br />

nota. Scelsi <strong>di</strong> ritirarmi e la FIAT ritirò tutto, <strong>di</strong>mostrando la natura<br />

politica del licenziamento, volta a fronteggiare la concorrenza<br />

internazionale nel settore auto.<br />

Dopo un po’ <strong>di</strong> peripezie, non ho trovato più lavoro. Andai infatti<br />

alla Sicos per perforazioni in montagna con i ponteggi. Poi<br />

alla Simat, per essere licenziato dopo una settimana. Poi alla<br />

fonderia cosiddetta “rossa” <strong>di</strong> Mandelli, per essere sbattuto fuori<br />

dopo una settimana. Ero sempre a far causa. A mia madre<br />

<strong>di</strong>cevano: “Ma tuo figlio è un terrorista”. Alla fine i famigliari mi<br />

han convinto e aiutato a metter su un bar. Ma io stesso avevo<br />

messo tutto questo in preventivo come prezzo morale e politico<br />

per un’avanguar<strong>di</strong>a del movimento operaio. Il leninismo è bello<br />

anche per questo.<br />

Ines Arciuolo<br />

Mi chiamo Ines Arciuolo. Ho iniziato a lavorare in fabbrica,<br />

per scelta. Il richiamo delle lotte che si svolgevano nelle gran<strong>di</strong><br />

città del Nord m’indusse ad andare via <strong>di</strong> casa animata dal desiderio<br />

<strong>di</strong> parteciparvi in prima persona. Lasciai Maddaloni, <strong>il</strong><br />

paese in cui sono nata nel 1947, per recarmi a M<strong>il</strong>ano nel<br />

1970. Nello stesso anno iniziai a lavorare alla Brionvega, una<br />

me<strong>di</strong>a fabbrica metalmeccanica, nella quale sono rimasta fino<br />

al ’73 quando l’organizzazione in cui m<strong>il</strong>itavo mi trasferì a Torino<br />

per svolgere attività politica a tempo pieno. Dopo un anno<br />

<strong>di</strong> funzionariato, per <strong>di</strong>vergenze politiche, mi <strong>di</strong>misi dall’organizzazione.<br />

Ebbi notevoli <strong>di</strong>fficoltà a trovare un lavoro come<br />

operaia, per molto tempo svolsi <strong>di</strong>versi lavori che mi permettessero<br />

<strong>di</strong> sbarcare <strong>il</strong> lunario: pulizie negli uffici, assistenza notturna<br />

ai malati terminali ricoverati all’ospedale Molinette <strong>di</strong> Torino ed<br />

altri ancora. In attesa <strong>di</strong> conseguire l’obbiettivo <strong>di</strong> tornare in<br />

produzione lavorai in un’impresa, la Tecni Omnia, che aveva<br />

123


l’appalto delle pulizie alle Meccaniche <strong>di</strong> Mirafiori. Vi rimasi per<br />

un anno e mezzo, cioè fino a quando fui assunta in qualità <strong>di</strong><br />

operaia in una boita, l’Accarini. Da qui, in seguito ad una lunga<br />

lotta contro gli straor<strong>di</strong>nari e <strong>il</strong> lavoro nero, dopo 18 mesi, fui<br />

licenziata. Fu allora che seppi che la Fiat aveva riaperto <strong>il</strong> turn<br />

over e, come tanti, feci domanda <strong>di</strong> assunzione anche se non<br />

nutrivo molte speranze, dato che la lotta all’Accarini aveva fatto<br />

molto rumore. Tutti sapevano che le precedenti assunzioni erano<br />

vagliate fino alla terza generazione. E invece dell’Accarini<br />

siamo stati assunti in 3 o 4.<br />

Ho iniziato a lavorare in FIAT, la fabbrica-città, <strong>il</strong> 24. 04. ’78.<br />

Fui destinata all’officina 84, alla catena <strong>di</strong> montaggio della 131,<br />

nei pressi del “ponte dei sospiri” (così venne denominato dagli<br />

operai, ai tempi <strong>di</strong> Valletta, <strong>il</strong> vestibolo che dall’officina portava<br />

agli uffici perché allora, chi, convocato dalla <strong>di</strong>rezione, passava<br />

<strong>sotto</strong> quell’an<strong>di</strong>to oscuro, poteva mettere in conto <strong>il</strong> licenziamento).<br />

Per me, entrare in FIAT era come passare dalle scuole superiori<br />

all’università. Ero convinta che <strong>il</strong> confronto allargato nelle<br />

<strong>di</strong>mensioni, in un processo produttivo ampio, mi fornisse la<br />

possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> arricchire e formare ulteriormente le mie capacità,<br />

sperimentarmi meglio sul piano politico e sindacale. La “boita”<br />

in fondo era la periferia del <strong>di</strong>battito. Se all’Accarini ero la<br />

leader, alla FIAT ero una dei tanti che lottavano ed esplicavano<br />

attività politica. Lo vivevo come un momento <strong>di</strong> crescita, un<br />

appren<strong>di</strong>stato ad un altro, più alto, livello.<br />

Anche se da tempo priva <strong>di</strong> organizzazione, facevo quello che<br />

un comunista deve comunque fare, ed ero <strong>di</strong> fatto portavoce<br />

della mia squadra pur non essendo formalmente delegata. Problemi<br />

<strong>di</strong> produzione, rapporti con <strong>il</strong> consiglio <strong>di</strong> fabbrica, con i<br />

capi, nocività. Ero tutta tesa ad elevare <strong>il</strong> <strong>di</strong>battito all’interno<br />

della mia squadra. Scrivevo ripetutamente tatzebao.<br />

La nuova realtà presentava contrad<strong>di</strong>zioni complesse e <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versa natura: alla contrad<strong>di</strong>zione principale che contrapponeva<br />

gli operai alla gerarchia aziendale si aggiungevano quelle in<br />

seno agli operai, quelle delle donne con gli uomini, tra le donne,<br />

dei giovani coi “vecchi” operai. A queste si aggiungevano<br />

124


quelle tra i compagni <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse formazioni politiche, con <strong>il</strong> sindacato<br />

e infine quelle interne ai compagni della sinistra rivoluzionaria.<br />

C’erano operai vecchi e nuovi, uomini e donne, <strong>di</strong>plomati e<br />

casalinghe. I nuovi assunti vivevano con molta insofferenza<br />

quell’ ambiente fatto <strong>di</strong> eterne luci al neon, gesti ripetuti per<br />

centinaia <strong>di</strong> volte durante le otto ore e l’alternanza dei turni che<br />

costringevano ad un’innaturale scansione dei tempi <strong>di</strong> vita. Una<br />

parte cospicua <strong>di</strong> questi pativa la fabbrica e considerava schiavi<br />

i “vecchi” operai. In seguito, i vari e spesso duri, momenti <strong>di</strong><br />

lotta per <strong>il</strong> miglioramento delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> lavoro, si incaricarono<br />

<strong>di</strong> accantonare la <strong>di</strong>versa visione del mondo del lavoro<br />

contribuendo ad avvicinare i primi ai secon<strong>di</strong> in uno scambio<br />

continuo che deluse le aspettative della <strong>di</strong>rezione FIAT <strong>di</strong> usare<br />

i nuovi assunti come elementi <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione del fronte <strong>di</strong> lotta. Infatti,<br />

durante gli scioperi per <strong>il</strong> rinnovo del contratto del ‘79, -<br />

che a causa della posizione intransigente della Fiat durò sette<br />

mesi e costò cinque licenziamenti - i giovani portarono la novità<br />

dei blocchi stradali, <strong>il</strong> <strong>di</strong>rottamento dei mezzi pubblici, <strong>il</strong> blocco<br />

dei treni alla stazione Porta Nuova. Dai “vecchi” si apprendeva<br />

quali fossero i punti strategici del ciclo produttivo, per bloccare<br />

tutto <strong>il</strong> congegno quali erano ad esempio le fosse <strong>di</strong> convergenza<br />

ruote. Allora tutti insieme, dopo aver perlustrato le varie officine<br />

per mandare a casa i crumiri, per dar vita ai cortei nel centro<br />

citta<strong>di</strong>no, si usciva con le tute e poi, dopo le varie manifestazioni,<br />

si tornava al lavoro <strong>di</strong>rottando i bus.<br />

La mia squadra, composta <strong>di</strong> 80 persone, era l’unico gruppo<br />

omogeneo privo <strong>di</strong> delegato. Nonostante le ripetute richieste da<br />

parte degli operai, la commissione elettorale del Consiglio <strong>di</strong><br />

Fabbrica non si decideva a organizzare le elezioni nella mia<br />

squadra. Non venne neanche quando Norcia, uno dei delegati<br />

più autorevole e rispettato, in una riunione del Consiglio <strong>di</strong><br />

fabbrica, chiese chiarimenti in merito alla latitanza della commissione<br />

elettorale. Anche in quell’ occasione non mancarono<br />

promesse e impegno ufficiale da parte dei gesuiti del sindacato,<br />

ma <strong>di</strong> convocazione neanche l’ombra. Successivamente seppi<br />

che un operatore sindacale della FIOM aveva posto <strong>il</strong> veto<br />

125


(“sennò viene eletta quella lì”). Ero nota, come tanti altri del resto,<br />

per la posizione critica assunta in varie occasioni nei confronti<br />

del sindacato istituzione. Tutto <strong>il</strong> periodo che stetti a Mirafiori,<br />

18 mesi, la mia squadra rimase senza delegato.<br />

Il mio lavoro consisteva nel montare un po’ <strong>di</strong> tutto, dai posacenere<br />

agli specchietti. Ricordo ancora che un pezzo, la cui<br />

forma richiamava un triangolo dagli angoli arrotondati, veniva<br />

chiamato <strong>il</strong> “baccalà”, e del quale tuttora ignoro <strong>il</strong> termine tecnico.<br />

Si montavano i ra<strong>di</strong>atori e, <strong>sotto</strong> scocca, i “ripari calore”<br />

per i veicoli destinati al mercato USA. Un’operazione <strong>di</strong>sagiata;<br />

bisognava compierla a braccia alzate e, poiché operavamo nella<br />

parte terminale della linea, non ammetteva lentezza <strong>di</strong> sorta<br />

nell’esecuzione, giacché la scocca saliva sempre più in alto fino<br />

a convogliare, <strong>di</strong> lì a poco, nella linea aerea. Imbarcarsi significava,<br />

per recuperare l’operazione, agganciare una scala, fornita<br />

<strong>di</strong> ruote, alla vettura e portare a termine <strong>il</strong> montaggio del pezzo<br />

mentre, montata sulla scala con tutti gli attrezzi addosso, si procedeva<br />

in un tutt’uno con quello che sembrava una sorta <strong>di</strong><br />

marchingegno da palcoscenico.<br />

Ricordo bene, perché mi colpì, l’atteggiamento <strong>di</strong> molti operai<br />

attivisti del PCI, i quali nutrivano, nei confronti dei compagni<br />

che non aderivano al loro partito, sentimenti <strong>di</strong> ost<strong>il</strong>ità più<br />

forti <strong>di</strong> quelli che avevano nei confronti del padrone. All’epoca,<br />

<strong>il</strong> PCI, impegnato nella politica <strong>di</strong> “Unità Nazionale”, si faceva<br />

un dovere <strong>di</strong> controllare che in fabbrica s’instaurasse un clima<br />

<strong>di</strong> pace sociale per cui i suoi m<strong>il</strong>itanti ci vedevano come un pericolo<br />

da eliminare, al punto che un gruppo <strong>di</strong> delegati <strong>di</strong> detto<br />

partito offrì sollecito la sua collaborazione alla <strong>di</strong>rezione FIAT<br />

nello st<strong>il</strong>are una lista <strong>di</strong> 400 nomi <strong>di</strong> compagni da espellere dalla<br />

fabbrica appena se ne fosse presentata l’occasione.<br />

L’occasione si presentò quando, <strong>il</strong> 21 settembre del ’79, un<br />

gruppo <strong>di</strong> fuoco <strong>di</strong> prima linea uccise Ghiglieno, un <strong>di</strong>rigente<br />

della FIAT. In quei giorni, Lama, Carniti, Benvenuto ebbero,<br />

negli uffici <strong>di</strong> corso Marconi, un incontro coi <strong>di</strong>rigenti FIAT per<br />

mettere a punto la strategia che avrebbe ridotto <strong>il</strong> movimento<br />

operaio alla resa. Forse fu in quell’occasione che dalla famige-<br />

126


ata, lunga lista, preparata dai delegati furono estrapolati i 61<br />

nomi degli eretici da licenziare.<br />

L’allarme destato dall’uccisione del <strong>di</strong>rigente FIAT non fu<br />

che un pretesto per dare una violenta sterzata alla politica <strong>di</strong> restaurazione<br />

in atto già da tempo alla FIAT e che avrebbe raggiunto<br />

<strong>il</strong> suo culmine nell’80, con l’espulsione <strong>di</strong> 23.000 operai.<br />

Da tempo sentivo che qualcosa bolliva in pentola. In verità la<br />

sensazione che qualcosa stesse cambiando scaturiva anche dalle<br />

battute fatte in officina dai più informati e legati alla <strong>di</strong>rezione:<br />

“Le panchine (dove gli operai erano soliti sedersi durante le<br />

pause) le <strong>di</strong>menticherete!” <strong>di</strong>cevano tra i denti alcuni capi. Come<br />

a <strong>di</strong>re: fra poco spariranno e non avrete neanche più <strong>il</strong><br />

tempo <strong>di</strong> sedervi. Si percepiva leggendo gli articoli dei giornali,<br />

dai quali traspariva una forte preoccupazione per la cospicua<br />

presenza sul mercato <strong>di</strong> auto giapponesi. Così forte e coinvolgente<br />

che bastava parlare con un semplice meccanico per scoprire<br />

in questi un sorprendente spirito autarchico. Questi segnali,<br />

uniti al mancato rientro dei cinque licenziati nella fase della<br />

lunga lotta contrattuale, erano inequivocab<strong>il</strong>i per chi avesse un<br />

minimo <strong>di</strong> intuito politico. Inoltre risultava incomprensib<strong>il</strong>e<br />

l’assunzione in<strong>di</strong>scriminata <strong>di</strong> 10.000 persone quando tutti sapevano<br />

che le precedenti assunzioni erano vagliate fino alla terza<br />

generazione, come ha <strong>di</strong>mostrato <strong>il</strong> processo sulle schedature<br />

FIAT. Cosa aveva in testa Agnelli? Qual era la sua strategia? Mi<br />

chiedevo se quei 10.000, oltre a risolvere <strong>il</strong> problema <strong>di</strong> domanda<br />

imme<strong>di</strong>ata, non servissero proprio a preparare <strong>il</strong> terreno<br />

per giustificare <strong>il</strong> futuro piano <strong>di</strong> attacco che avrebbe, con<br />

l’espulsione <strong>di</strong> tante persone dalla fabbrica, riportato in<strong>di</strong>etro <strong>di</strong><br />

molti anni <strong>il</strong> movimento operaio. Se la FIAT aveva - come sicuramente<br />

aveva - un minimo <strong>di</strong> pianificazione della sua strategia<br />

<strong>di</strong> mercato, avrebbe dovuto accelerare <strong>il</strong> processo <strong>di</strong> ristrutturazione<br />

per adeguarsi alla competizione sia in termini <strong>di</strong> produttività<br />

che <strong>di</strong> relazioni industriali e sindacali. Era fortemente probab<strong>il</strong>e<br />

che la FIAT prevedesse <strong>di</strong> licenziare <strong>di</strong> lì a breve. Allora,<br />

e adesso, la percepivo così. “Hai una concezione <strong>di</strong>abolica del<br />

padrone” mi <strong>di</strong>sse una compagna <strong>di</strong> Lotta Continua quando, in<br />

127


seguito al mio licenziamento, nel corso <strong>di</strong> un’intervista espressi<br />

le mie considerazioni in merito.<br />

Si aggiunga l’ost<strong>il</strong>ità feroce dei funzionari sindacali del PCI<br />

che ci vedevano come ostacolo alla loro egemonia e al controllo<br />

che volevano a tutti i costi esercitare sul movimento operaio.<br />

Eravamo in poche parole <strong>di</strong> ostacolo al loro ruolo <strong>di</strong> contrattatori<br />

per nome e per conto <strong>di</strong> noi altri e <strong>di</strong> collaboratori con <strong>il</strong><br />

padronato come <strong>di</strong>mostrò la firma, nonostante <strong>il</strong> voto contrario<br />

espresso nelle assemblee dagli operai, dell’accordo sui 23.000<br />

cacciati dalla fabbrica nell’autunno dell’ ’80 e che sancì la sconfitta<br />

del movimento operaio.<br />

E’ un fatto riconosciuto, anche se a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> anni, scritto in<br />

libri, ammesso anche da qualcuno <strong>di</strong> loro, che furono proprio<br />

loro a fornire i nomi dei 61 da espellere dalla fabbrica. Molti <strong>di</strong><br />

noi erano fermamente convinti che quell’operazione s’inquadrava<br />

in un piano più vasto <strong>di</strong> attacco al movimento operaio<br />

volto a portare a termine un processo <strong>di</strong> restaurazione in atto<br />

già da tempo. Allora era solo una voce che circolava, e loro ovviamente<br />

negavano. Ne hanno parlato, senza tante perifrasi, in<br />

un <strong>di</strong>battito televisivo, in occasione <strong>di</strong> quello che han definito<br />

ahimè <strong>il</strong> “ventennale” dei 35 giorni (che in realtà furono 37),<br />

per bocca <strong>di</strong> Maurizio Ferrara <strong>il</strong> quale, senza peli sulla lingua,<br />

dava la cosa come “risaputa”. Né è stato smentito.<br />

Conservo un ricordo nitido del giorno dei 61 licenziamenti.<br />

Era <strong>il</strong> 9 ottobre ’79, <strong>il</strong> giorno successivo al mio compleanno, ore<br />

13,45 - a fine turno - come spesso accade in queste circostanze,<br />

mi fu consegnata la famigerata lettera <strong>di</strong> licenziamento. Addebiti<br />

generici riferiti alla <strong>di</strong>ligenza sul lavoro rendevano, <strong>di</strong> primo<br />

acchito, incomprensib<strong>il</strong>e <strong>il</strong> contenuto <strong>di</strong> quella lettera. Anche<br />

perché quelle lettere arrivarono a freddo, in un momento <strong>di</strong> pace<br />

relativa, senza mob<strong>il</strong>itazione in corso, una fase <strong>di</strong> quiete dopo<br />

la tempesta per le lotte già chiuse.<br />

Recatami alla sede sindacale, c’erano altri operai del mio<br />

turno con le lettere in mano. Il clima era concitato, man mano<br />

arrivavano le notizie da Rivalta, da Chivasso, da Mirafiori Meccaniche.<br />

Un sindacalista, prima ancora che arrivassero queste<br />

notizie, si lasciò scappare che eravamo 61. Da chi erano stati<br />

128


informati se a quelli del secondo turno le lettere dovevano ancora<br />

essere consegnate?<br />

Adalberto Minacci, <strong>di</strong>rigente del PCI, salutò con un articolo<br />

l’azione Fiat sostenendo che Agnelli con quel provve<strong>di</strong>mento<br />

aveva giustamente “raschiato <strong>il</strong> fondo del bar<strong>il</strong>e”. Noi eravamo<br />

quella feccia...<br />

Si formò un collegio legale <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa sindacale unitario che<br />

riuscì a far rientrare la lettera per “vizio <strong>di</strong> forma” (così si espresse<br />

<strong>il</strong> giu<strong>di</strong>ce Converso): <strong>il</strong> contenuto delle lettere era uguale<br />

per tutti e troppo generico. Ormai trasferiti dal piano della<br />

lotta sindacale a quello della magistratura. Quando ci recammo<br />

ai cancelli per riprendere <strong>il</strong> lavoro, come aveva or<strong>di</strong>nato <strong>il</strong> giu<strong>di</strong>ce,<br />

come avevamo pronosticato, i guar<strong>di</strong>oni c’impe<strong>di</strong>rono <strong>di</strong><br />

entrare non senza consegnarci la seconda lettera con accuse<br />

precise, personalizzate; per ognuno <strong>di</strong>verse. Ecco le mie:<br />

- Avere, secondo quanto successivamente emerso, procurato<br />

nocumento all’Azienda , danneggiando vetri, arredamenti e<br />

vetture in produzione in data 16.2.1979.<br />

- Avere, con altri, in data 6.6.1979, costretto un gruppo <strong>di</strong><br />

capi ed impiegati delle officine a sf<strong>il</strong>are in testa ad un corteo<br />

all’interno ed all’esterno dello stab<strong>il</strong>imento, obbligando a<br />

portare ban<strong>di</strong>ere e striscioni, secondo quanto successivamente<br />

emerso.<br />

- Avere in più occasioni pronunciato frasi minacciose e tenuto<br />

atteggiamenti intimidatori nei confronti dei rappresentanti<br />

dell’Azienda, dei superiori e dei colleghi <strong>di</strong> lavoro, durante<br />

la vertenza dei cabinisti del settembre 1979.<br />

- Avere in più occasioni con altri bloccato le fosse <strong>di</strong> convergenza,<br />

conseguentemente causando la fermata del ciclo<br />

produttivo, come successivamente emerso, nei giorni 2/5 –<br />

27/6 – 28/6 – 2/7 – 3/7 – 3/9 – 4/9 – 7/9/ 1979.<br />

A <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> questa reclamata circostanziata <strong>di</strong>fferenza nei capi<br />

d’accusa, la campagna me<strong>di</strong>atica, evidentemente già orchestrata<br />

in anticipo, ci presentò tutti, senza <strong>di</strong>stinzione alcuna, come<br />

terroristi. Il più aggressivo <strong>di</strong> tutti la “Repubblica” <strong>di</strong> Scalari: “La<br />

FIAT e <strong>il</strong> terrorismo: con i 61 se ne andrà la paura?” scrisse in<br />

prima pagina. Per due settimane <strong>di</strong> seguito, i giornalisti proni,<br />

129


<strong>di</strong>spiegarono la loro attività <strong>di</strong> imbonitori, per dare in pasto<br />

all’opinione pubblica i “violenti”.<br />

Quei licenziamenti, sferrati all’improvviso, in un periodo <strong>di</strong><br />

pace relativa, ebbero sul movimento operaio l’ effetto <strong>di</strong> un vero<br />

e proprio pugno in fronte. Il risultato lo si vide quando <strong>il</strong> sindacato<br />

(FLM) in<strong>di</strong>sse uno sciopero <strong>di</strong> facciata che non riuscì<br />

anche perché molti delegati PCI sconsigliarono gli operai, per<br />

questo annich<strong>il</strong>iti, <strong>di</strong> parteciparvi.<br />

I 61 dettero vita a riunioni in<strong>di</strong>pendenti per trovare insieme<br />

una linea che inducesse <strong>il</strong> sindacato ad assumere una posizione<br />

più forte <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa. E qui giocò la <strong>di</strong>visione e <strong>il</strong> settarismo. Eravamo<br />

<strong>di</strong> matrice politica <strong>di</strong>versa, perciò si litigava spesso. In 10<br />

si staccarono per costituire un collegio a parte (per lo più dell’<br />

“autonomia”). Motivo fu che la FLM, per fornirci gli avvocati<br />

<strong>di</strong>fensori, ci <strong>sotto</strong>pose un ricatto: se non firmavamo una <strong>di</strong>chiarazione<br />

“contro la violenza” <strong>niente</strong> avvocati. Non mi sentivo né<br />

<strong>di</strong> firmare la <strong>di</strong>chiarazione né <strong>di</strong> andare con i 10 perché non li<br />

con<strong>di</strong>videvo politicamente. Chiesi all’avvocatessa Guidetti Serra<br />

<strong>di</strong> patrocinarmi. L’<strong>il</strong>lustre avvocato si rifiutò accampando <strong>di</strong><br />

essere una penalista e ciò che chiedevo non rientrava nei suoi<br />

compiti. In realtà lei era e resta famosa per aver assunto la <strong>di</strong>fesa<br />

dei lavoratori e tutti lo sapevano. Penso che non volesse<br />

mettersi in posizione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio verso <strong>il</strong> sindacato e i partiti istituzionali.<br />

Capii che i 61 erano più soli <strong>di</strong> quanto pensassimo. Dovetti tornare<br />

nel gruppo dei rimasti e piegarmi (cosa <strong>di</strong> cui mi vergognai<br />

e mi vergogno) a firmare quella <strong>di</strong>chiarazione. Mi concessero,<br />

per la <strong>di</strong>fesa in<strong>di</strong>viduale, <strong>il</strong> patrocinio <strong>di</strong> due avvocati.<br />

Il giu<strong>di</strong>ce, forse l’unico a Torino a non curarsi delle ritorsioni<br />

Fiat, condusse in modo rigoroso l’indagine. Dopo 13 u<strong>di</strong>enze -<br />

alcune delle quali <strong>di</strong> 9 ore – mi <strong>di</strong>ede ragione non senza mandare<br />

in penale alcuni <strong>di</strong>rigenti Fiat per falsa testimonianza. Durante<br />

una delle lunghe 13 u<strong>di</strong>enze, Aglieri, uomo duro della<br />

Fiat che, in qualità <strong>di</strong> capo del personale <strong>di</strong> Mirafiori Carrozzerie,<br />

venne a conferire come parte in causa, mi accusò <strong>di</strong> aver<br />

usato, in sede <strong>di</strong> trattativa, lo stesso linguaggio adottato dai terroristi<br />

nel volantino che riven<strong>di</strong>cava l’uccisione <strong>di</strong> Ghiglieno. Lo<br />

130


stesso, durante una pausa delle u<strong>di</strong>enze, mi offrì 40 m<strong>il</strong>ioni,<br />

“per chiudere tutto, subito” <strong>di</strong>sse. Replicai <strong>di</strong>cendo: “Con voi<br />

tutto rimane aperto”, guadagnandomi così l’appellativo <strong>di</strong> “culo<br />

<strong>di</strong> ferro” da parte degli avvocati Fiat.<br />

Alla fine <strong>il</strong> giu<strong>di</strong>ce, provata la falsità delle accuse, mi <strong>di</strong>ede<br />

ragione or<strong>di</strong>nando <strong>il</strong> mio reintegro sul posto <strong>di</strong> lavoro. Naturalmente<br />

ai <strong>di</strong>rigenti Fiat deferiti al penale, non successe nulla.<br />

Anche i miei avvocati, sin dall’inizio, esercitavano molte pressioni<br />

su <strong>di</strong> me affinché transassi, come del resto facevano in<br />

tanti. Ma avevo ed ho dei principi a cui non so rinunciare. Avevo<br />

bisogno <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> giacché <strong>il</strong> compagno con cui convivevo allora<br />

era uno dei 5 licenziati durante la lotta per <strong>il</strong> rinnovo contrattuale.<br />

Ma l’impegno politico, per come me lo aveva trasmesso<br />

mio padre, non prevedeva soluzioni <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne in<strong>di</strong>viduale e<br />

comunque la <strong>di</strong>gnità calpestata non ha prezzo. Mi avevano licenziata<br />

perché ero comunista e tale volevo rimanere.<br />

Nonostante l’ingiunzione <strong>di</strong> reintegro nel posto <strong>di</strong> lavoro da<br />

parte del giu<strong>di</strong>ce, la condanna della Fiat al pagamento delle<br />

spese processuali e al risarcimento <strong>di</strong> tutte le mens<strong>il</strong>ità del periodo<br />

<strong>di</strong> licenziamento, veloce come la luce, la FIAT, prima che<br />

mi presentassi alla porta 2 per riprendere <strong>il</strong> lavoro, mi spedì una<br />

lettera in cui mi intimava <strong>di</strong> astenermi dal rientrare, informandomi<br />

che mi avrebbe retribuito normalmente fino all’appello.<br />

Naturalmente (e perché infatti lo avrebbe fatto se non sicura<br />

<strong>di</strong> vincere in appello?), sia all’appello che alla cassazione persi<br />

entrambe le istanze. E, per soprammercato, persa in questo<br />

modo la causa, la Fiat, consapevole che con la legge vince <strong>il</strong><br />

più forte, si rifiutò <strong>di</strong> pagarmi la liquidazione. Il mio stesso avvocato<br />

mi sconsiglia e si rifiuta <strong>di</strong> fare opposizione, permettendo<br />

alla Fiat <strong>di</strong> scipparmi la liquidazione. Non eravamo più, dopo<br />

qualche anno, così famosi, non occupavamo più le prime<br />

pagine dei giornali: perché prendersi <strong>il</strong> fasti<strong>di</strong>o <strong>di</strong> una causa <strong>di</strong><br />

quel tipo? Il movimento operaio, in coma anche me<strong>di</strong>atico, non<br />

esisteva più. Persino molti dei terroristi davano <strong>il</strong> via alla stagione<br />

del pentitismo. Tutto era morto ormai.<br />

Approfittai <strong>di</strong> quella insolita con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “<strong>di</strong>soccupata” retribuita<br />

per sod<strong>di</strong>sfare la mia onnipresente ansia <strong>di</strong> conoscenza,<br />

131


seguendo come u<strong>di</strong>trice dei corsi <strong>di</strong> storia e <strong>di</strong> economia politica<br />

all’università e un lettorato <strong>di</strong> lingua tedesca. Ma non era<br />

certo la vita <strong>di</strong> studentessa quella cui aspiravo. Mi mancava<br />

l’attività lavorativa, quella che socializza davvero e dà un senso<br />

all’impegno sociale. Per caso mi avvicinai, tramite amici,<br />

all’Associazione <strong>di</strong> solidarietà Italia-Nicaragua, che organizzava<br />

brigate <strong>di</strong> lavoro e <strong>di</strong> solidarietà con <strong>il</strong> popolo nicaraguense.<br />

M’inserii in una brigata che andava a costruire una scuola elementare<br />

in un quartiere povero <strong>di</strong> Managua. Un mese doveva<br />

durare quell’ impegno ma vi rimasi 5 anni, lavorando in varie<br />

fabbriche del governo rivoluzionario. Nell’ultima, una grande<br />

fabbrica tess<strong>il</strong>e, svolsi un ruolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>rigente, e in questa veste finii<br />

per essere mal vista dai miei omologhi perché tutta dalla<br />

parte delle operaie. Dato <strong>il</strong> pericolo, sempre presente in quel<br />

periodo, <strong>di</strong> invasione delle truppe statunitensi, mi arruolai nella<br />

m<strong>il</strong>izia popolare san<strong>di</strong>nista, e, col mio Battaglione, partecipai<br />

come volontaria alla raccolta del caffè in montagna, in zona <strong>di</strong><br />

guerra. Me ne sono alla fine andata, delusa dalla degenerazione<br />

in senso borghese <strong>di</strong> quel processo che, all’inizio, mi aveva entusiasmato<br />

e nell’ ‘88 tornai a Torino. In seguito a varie peripezie<br />

e lavori, dal 1993 lavoro per una cooperativa, in qualità <strong>di</strong><br />

educatrice in una comunità psichiatrica.<br />

Qui sin dal primo periodo, in seguito ad alcune palesi irregolarità,<br />

nell’ Italia della corruzione e dello scambio dei favori,<br />

cad<strong>di</strong> in <strong>di</strong>sgrazia perché, ingenua, chiesi maggiore trasparenza<br />

amministrativa convertendomi in uno scellerato caso <strong>di</strong> “mobbing”<br />

la cui fase più acuta è passata ma la coda si trascina inesorab<strong>il</strong>e.<br />

Nella società del neoliberismo sfrenato, chi lotta contro<br />

gli abusi <strong>di</strong> potere non è più definito un caso <strong>di</strong> repressione ma<br />

“mobizzato” . Forse è giusta tale definizione in quanto chi lotta<br />

contro gli abusi <strong>di</strong> potere al lato dei più deboli spesso si ritrova<br />

solo e in alcuni casi ad<strong>di</strong>tato come affetto da squ<strong>il</strong>ibrio, giacchè<br />

l’onestà viene considerata patologia. Poco <strong>di</strong>ffusa, ma una patologia.<br />

Non è la prima volta, nè sarà l’ultima, che i mascalzoni<br />

si <strong>di</strong>fendono cercando <strong>di</strong> rendere inatten<strong>di</strong>b<strong>il</strong>i quelli che non si<br />

piegano ad una visione corrotta ed opportunistica del mondo.<br />

Nell’ ambiente in cui molti <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> “sinistra” sono <strong>di</strong>ventati<br />

132


datori <strong>di</strong> lavoro, nascondendosi nel farraginoso e mistificato<br />

mondo delle cooperative, questo fenomeno è molto presente.<br />

Dopo un lungo periodo <strong>di</strong> ostinate, solitarie e sofferte battaglie,<br />

e con la consapevolezza che da soli (l’ho capito finalmente!)<br />

non è possib<strong>il</strong>e trasformare alcunché, sono ad<strong>di</strong>venuta alla<br />

conclusione <strong>di</strong> dover cambiare lavoro. Purtroppo lo sto ancora<br />

cercando.<br />

Al bisogno <strong>di</strong> bello che sentivo nella fase più acuta <strong>di</strong> quell’<br />

infame situazione <strong>di</strong> mobizzata, per controb<strong>il</strong>anciare <strong>il</strong> brutto<br />

che mi circondava, mi iscrissi al Primo Liceo artistico e nell’ ’99<br />

mi <strong>di</strong>plomai.<br />

Enzo Caiazza<br />

1970-1985: impegno politico e soggettività<br />

In quei quin<strong>di</strong>ci anni la fabbrica e la campagna, la società, <strong>il</strong><br />

movimento operaio, le donne e i giovani sono cambiati con rapi<strong>di</strong>tà<br />

ed intrecci impressionanti trasformando comportamenti e<br />

cultura. La politica è rimasta confinata alla rappresentanza ed al<br />

potere subendo un deterioramento che si evidenzia con la forte<br />

<strong>di</strong>minuzione dei votanti nelle competizioni elettorali e la <strong>di</strong>minuzione<br />

degli iscritti ai partiti politici. Anche <strong>il</strong> sindacato non è<br />

in gran salute.<br />

Ora all’inizio del 2000 l’impegno m<strong>il</strong>itante sindacale e politico<br />

sembra out mentre in quel periodo Enzo Caiazza, come molti<br />

altri compagni e compagne, era sulle ali <strong>di</strong> un vento impetuoso<br />

e portatore <strong>di</strong> speranze, quel vento che soffia a volte impetuoso<br />

a volte tenue. Quel vento che è tornato a spirare impetuoso con<br />

<strong>il</strong> <strong>nuovo</strong> movimento per la pace e contro “quella” globalizzazione<br />

delle multinazionali. Un movimento internazionale che fa<br />

gran uso <strong>di</strong> Internet e MSS, che ha organizzato all’inizio del<br />

2003 gran<strong>di</strong> manifestazioni nelle principali città del mondo<br />

(stimate in 100 m<strong>il</strong>ioni <strong>di</strong> persone) per riven<strong>di</strong>care <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto internazionale,<br />

per sostenere <strong>il</strong> ruolo dell’ONU contro la teoria del<br />

governo Bush della guerra preventiva decisa da un solo paese.<br />

Un movimento in cui Enzo c’era ben vivo anche se ci aveva lasciato<br />

da qualche mese…..<br />

133


Dai campi al chiuso della “feroce”officina.<br />

Enzo Caiazza arrivò a Torino nel ‘73 ed abitò in una soffitta <strong>di</strong><br />

via Sacchi.<br />

In quell’anno iniziò a lavorare alle Meccaniche <strong>di</strong> Mirafiori nella<br />

fase culminante della grande lotta contrattuale (inquadramento<br />

unico, <strong>di</strong>ritto allo stu<strong>di</strong>o e 150 ore).<br />

“Il primo impatto con la grande fabbrica fu terrib<strong>il</strong>e. La catena<br />

<strong>di</strong> montaggio dei cambi della 127 mi sembrò subito mostruosa,<br />

come una forza nemica, sconosciuta ed oppressiva. Passai tre<br />

giorni a piangere <strong>di</strong> nascosto. Non capivo ciò che <strong>di</strong>cevano gli<br />

altri e non mi sentivo se cantavo una canzone. Provenivo da<br />

Siano, un centro dell’agro nocerino-sarnese, in provincia <strong>di</strong> Salerno,<br />

dove mio padre, prima calzolaio e poi lavoratore e<strong>di</strong>le,<br />

era riuscito a tirare su una modesta proprietà agricola combattendo<br />

la f<strong>il</strong>lossera e l’accanimento delle stagioni ost<strong>il</strong>i”.<br />

Il suo primo sciopero al Sud, a quin<strong>di</strong>ci anni<br />

Al sud Enzo ha conosciuto “la faccia più feroce del padronato,<br />

quello della camorra e del caporalato” che porta sui campi <strong>di</strong><br />

raccolta, in cambio della metà del salario, <strong>il</strong> proletariato precario<br />

e giovan<strong>il</strong>e reclutato all’alba nelle piazze e poi caricato per <strong>il</strong><br />

trasporto su furgoncini traballanti. “Il primo sciopero della mia<br />

vita l’ho fatto perché a Boscotrecase, in provincia <strong>di</strong> Napoli, era<br />

da un pò che <strong>il</strong> padrone non ci pagava <strong>il</strong> lavoro <strong>di</strong> confezione<br />

delle nocciole. Gliele abbiamo lasciate sui banchi e <strong>sotto</strong> le<br />

piante. Il caporale, per rappresaglia, ci ha lasciato a pie<strong>di</strong>. Venti<br />

ch<strong>il</strong>ometri in compagnia degli altri lavoratori per tornare a casa.<br />

Avevo quin<strong>di</strong>ci anni. A Nocera, davanti a una industria conserviera<br />

per uno sciopero, arrivano i mazzieri, mi strappano <strong>di</strong><br />

mano i volantini, li accartocciano e me li cacciano in bocca a viva<br />

forza. Hai capito? Un modo rude per <strong>di</strong>rmi <strong>di</strong> imparare a<br />

stare zitto onde evitare, la prossima volta, <strong>di</strong> incontrare una palla<br />

<strong>di</strong> piombo al posto <strong>di</strong> una palla <strong>di</strong> carta”.<br />

Il primo corteo interno alla Fiat <strong>di</strong> Mirafiori<br />

Far tacere Enzo era un’impresa ardua, anche a Torino. Alla<br />

Fiat, al tre<strong>di</strong>cesimo giorno, scaduto <strong>il</strong> periodo <strong>di</strong> prova, era già<br />

134


in prima f<strong>il</strong>a in quei cortei interni, che nelle officine della grande<br />

fabbrica organizzate come una caserma, facevano respirare –<br />

come scrivevano allora i giornali della sinistra – agli operai, nel<br />

s<strong>il</strong>enzio delle macchine, le voci e gli slogan della libertà, una<br />

sensazione liberante <strong>di</strong> potere.<br />

Ripeteva che: “la fabbrica è stata per me un’università popolare”.<br />

Come è accaduto a tanti! A Mirafiori Enzo cambia e si arricchisce,<br />

ha voglia <strong>di</strong> protagonismo, <strong>di</strong> conoscere, <strong>di</strong> trasformare per contare.<br />

Incontra nuovi compagni. Sceglie la m<strong>il</strong>itanza sindacale nella<br />

Fim Cisl e quella politica in Avanguar<strong>di</strong>a Operaia. Alle Presse <strong>di</strong><br />

Mirafiori, ove la Fiom-Cg<strong>il</strong> ed <strong>il</strong> PCI esercitavano un ruolo <strong>di</strong> monopolio<br />

sul movimento organizzato, Enzo sceglie l’organizzazione<br />

sindacale “più piccola” ma – in quel periodo – la più aperta e<br />

“contro corrente”. Carmelo Inì, allora responsab<strong>il</strong>e <strong>di</strong> Lega della<br />

Fim-Cisl per le Presse, intervenendo nell’incontro del 2 <strong>di</strong>cembre<br />

2002, ha rimarcato che “aveva gli occhi ed <strong>il</strong> viso che sorridevano,<br />

un’intensità che contagiava”, “avia i lampi nall’uocchi”come <strong>di</strong>cono<br />

i sic<strong>il</strong>iani, cioè “aveva i lampi negli occhi”.<br />

È <strong>il</strong> periodo della strategia del controllo operaio e dell’egualitarismo.<br />

I nuovi assunti nella grande fabbrica<br />

Dopo la metà degli anni ‘70, una generazione “non operaia” <strong>di</strong><br />

giovani e <strong>di</strong> donne varca i cancelli della Fiat con motivazioni <strong>di</strong>verse.<br />

È la seconda società che Asor Rosa <strong>di</strong>stingue da quella tra<strong>di</strong>zionale<br />

dei lavoratori della Fiat e del loro orgoglio d’essere tali.<br />

Sono i nuovi assunti che provengono da un collocamento non<br />

più con<strong>di</strong>zionato (per norme e per l’impennata della produzione<br />

auto) dalla rigi<strong>di</strong>tà delle selezioni Fiat, sono giovani lavoratori/lavoratrici,<br />

o lavoratori con altre esperienze in Europa, che <strong>sotto</strong>pongono<br />

a critica impietosa la rigi<strong>di</strong>tà degli orari e dei turni,<br />

<strong>di</strong>ssacrano l’etica del lavoro, scuotono sindacati e forze politiche.<br />

E nella grande fabbrica torinese entrano anche le “scorciatoie<br />

m<strong>il</strong>itaristiche”, i miti della violenza armata <strong>di</strong> “colpire al cuore lo<br />

Stato”: erano gli anni <strong>di</strong> piombo quando le “Brigate Rosse” <strong>di</strong>ffondevano<br />

volantini, operavano attentati, presenti nelle fabbriche<br />

e sembravano inafferrab<strong>il</strong>i.<br />

135


In questo contesto le lotte per <strong>il</strong> rinnovo del contratto nazionale dei<br />

metalmeccanici si concludono a Torino in un clima esasperato con<br />

cortei dentro le fabbriche e ripetuti blocchi stradali nella città.<br />

Sono anche gli anni dell’unità nazionale per la politica (<strong>il</strong> PCI<br />

sostiene <strong>il</strong> governo Andreotti), prende piede la cultura del sospetto<br />

e la caccia al fiancheggiatore dei “brigatisti rossi”. Chi<br />

era troppo vivace ed impulsivo nella contestazione, nel guidare<br />

le lotte, nell’organizzare picchetti e cortei correva seri rischi <strong>di</strong><br />

venire ad<strong>di</strong>tato come un “provocatore e fiancheggiatore” ed<br />

anche “<strong>di</strong>sfattista”.<br />

Enzo, come molti altri, fu inserito in questo elenco.<br />

L’autunno ‘79 alla Fiat:<br />

la sconfitta dei cabinisti e poi la lista dei 61<br />

Alla verniciatura <strong>di</strong> Rivalta e <strong>di</strong> Mirafiori, le lotte dei cabinisti<br />

(che dal 68 in poi avevano sempre trovato un accordo sindacale)<br />

vengono isolate, la Fiat “fa muro” e non accetta me<strong>di</strong>azioni<br />

su punti che riguardano le nuove tecnologie e le ristrutturazioni<br />

negando che siano portatrici <strong>di</strong> “effetti antioperai”.<br />

E’ stato questo, forse, <strong>il</strong> primo vero passo falso della strategia<br />

contrattuale della FLM a Torino, ma allora si preferì ri<strong>di</strong>mensionare<br />

e <strong>sotto</strong>valutare l’accaduto.<br />

I verniciatori erano stati per <strong>di</strong>eci anni tra i protagonisti dei<br />

“blocchi” alle linee della carrozzeria Mirafiori, e la Fiat, che non<br />

aveva <strong>di</strong>menticato la drammatica ed ine<strong>di</strong>ta conclusione del<br />

contratto nazionale dell’estate, decise <strong>di</strong> sperimentare la nuova<br />

strategia del comando sull’organizzazione del lavoro messo in<br />

<strong>di</strong>scussione dalla conflittualità continua.<br />

Così è maturato <strong>il</strong> clima ed <strong>il</strong> tempo per <strong>il</strong> licenziamento dei 61<br />

nell’autunno ‘79.<br />

Il 9 ottobre ‘79 Enzo Caiazza riceve la lettera con l’accusa <strong>di</strong><br />

violenze ed <strong>il</strong> sospetto <strong>di</strong> far parte dell’eversione armata brigatista.<br />

“Si trattava <strong>di</strong> rifiutare la nostra iscrizione d’ufficio al partito<br />

armato. Sapevamo – osservava Enzo – che quella era una battaglia<br />

più grande <strong>di</strong> noi, ma abbiamo deciso <strong>di</strong> farla lo stesso.<br />

Tra i partiti politici solo Dp fu apertamente al fianco dei 61.<br />

136


Tra tanti intellettuali ammutoliti, l’avv. Bianca Guidetti Serra fu<br />

tra le poche a levarsi in nostra <strong>di</strong>fesa. Il sindacato tentennò manifestando<br />

insicurezza, pesanti e severe erano state le ammonizioni<br />

del PCI (in particolare quelle <strong>di</strong> Giorgio Amendola e <strong>di</strong><br />

Adalberto Minucci con <strong>il</strong> “dai fon<strong>di</strong> del bar<strong>il</strong>e”).<br />

“L’Espresso” costruì in un suo articolo l’immagine <strong>di</strong> un Caiazza<br />

brigatista, travestito da simpatico operaio. “Fu costretto a ritrattare<br />

e a risarcire con due m<strong>il</strong>ioni. Magra sod<strong>di</strong>sfazione”.<br />

E’ tra i primi a capire <strong>il</strong> “siamo tutti licenziab<strong>il</strong>i”<br />

Enzo incontra Igor Staglianò (Segretario della Federazione Provinciale<br />

<strong>di</strong> Torino) nei giorni in cui arrivano le lettere dei 61. Si<br />

trattava <strong>di</strong> fare conoscere un punto <strong>di</strong> vista del partito. Si <strong>di</strong>scusse<br />

a lungo e poi venne stampato un volantino con <strong>il</strong> titolo<br />

“Siamo tutti licenziab<strong>il</strong>i” per far capire che <strong>il</strong> vento era mutato,<br />

che nubi fosche si addensavano su tutti.<br />

Dopo pochi mesi, nell’ottobre dell’80, Torino registra la sconfitta<br />

dei “35 giorni” e la marcia dei 20.000 (poi detta dei 40.000)<br />

capeggiati dal cavalier Arisio.<br />

Le bugie dell’Avvocato<br />

Bianca Guidetti Serra ha così scritto su Le schedature Fiat (Rosemberg,<br />

1984): “Il 9 ottobre 1979 viene consegnata a 61 <strong>di</strong>pendenti<br />

Fiat una lettera <strong>di</strong> sospensione imme<strong>di</strong>ata dal lavoro.<br />

La motivazione è generica e uguale per tutti. I sospesi chiedono<br />

che <strong>il</strong> provve<strong>di</strong>mento sia annullato, ma vengono licenziati (…).<br />

Parallelamente alla <strong>di</strong>stribuzione delle prime lettere <strong>di</strong> licenziamento,<br />

viene <strong>di</strong>ramato (dalla Fiat, n.d.r.) un comunicato che<br />

<strong>di</strong>ce tra l’altro: ‘Gli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> conflittualità violenta, <strong>di</strong> sopraffazione,<br />

<strong>di</strong> minacce, <strong>di</strong> rappresaglie sono <strong>di</strong>ventati una triste costante<br />

che <strong>di</strong>rigenti, capi e lavoratori tutti subiscono quoti<strong>di</strong>anamente<br />

e che tende a destab<strong>il</strong>izzare l’ambiente <strong>di</strong> lavoro’.<br />

I giornali escono con questi titoli: ‘Nel clima <strong>di</strong> tensione <strong>di</strong> una<br />

Torino sconvolta dal terrorismo sospesi 61 operai’, ‘La Fiat e <strong>il</strong><br />

terrorismo: con i 61 se ne andrà la paura?’<br />

Che possono dedurne i lettori? I ‘61’ non sono solo i responsab<strong>il</strong>i<br />

della cosiddetta ‘ingovernab<strong>il</strong>ità’ aziendale, ma anche dei<br />

137


terroristi, o quantomeno dei loro sostenitori e fiancheggiatori.<br />

(…).<br />

Chi sono questi 61? Per ciascuno <strong>di</strong> loro la Fiat esibisce, nel<br />

processo per “antisindacalità” instaurato dalla Flm, una scheda<br />

personale in cui sono descritte le mancanze addebitate (…).<br />

Cinque o sei dei licenziati avrebbero rifiutato le mansioni assegnate<br />

e arbitrariamente “autoridotto i tempi” <strong>di</strong> lavorazione. A<br />

questi tutti vengono attribuiti, atti <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nazione, ingiurie,<br />

minacce nei confronti <strong>di</strong> superiori gerarchici. Una quin<strong>di</strong>cina<br />

avrebbe preso parte a picchettaggi. Tra le accuse ve ne e' alcuna<br />

con più <strong>di</strong>retto riferimento all'eversione.<br />

Le accuse sono <strong>di</strong> natura e gravità ben <strong>di</strong>verse. Quante vere,<br />

quante false? Una risposta completa ed esauriente forse non<br />

l'avremo mai. Dopo le prime reazioni, politiche e processuali, è<br />

stata un po’ la <strong>di</strong>aspora dei licenziati e delle loro iniziative. Una<br />

cosa è certa: nessuno è rientrato in fabbrica. Anche quelli che,<br />

iniziata causa <strong>di</strong> opposizione contro <strong>il</strong> licenziamento <strong>il</strong>legittimo,<br />

si sono visti dare ragione dal giu<strong>di</strong>ce (…).<br />

Solo quattro processi (penali, per le accuse Fiat, n.d.r.) sono<br />

stati celebrati: le accuse contestate agli altri sono state coperte<br />

dall'amnistia e non si potrà mai conoscere <strong>il</strong> loro fondamento.<br />

Ora, se si trattava <strong>di</strong> reati coperti da amnistia, non dovevano essere<br />

tanto gravi. E infatti leggiamo <strong>di</strong> violenza privata (<strong>il</strong> famoso<br />

picchettaggio), <strong>di</strong> minacce, <strong>di</strong> violazione <strong>di</strong> domic<strong>il</strong>io (la cosiddetta<br />

invasione degli uffici): siamo comunque ben lontani dal<br />

terrorismo! Secondo un metodo antico e collaudato, si coglie<br />

l’occasione offerta da drammatici avvenimenti (<strong>il</strong> terrorismo,<br />

n.d.r.), per ad<strong>di</strong>tare dei “responsab<strong>il</strong>i” in momenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà<br />

dell'azienda”.<br />

Il ‘79 fu duro anche per DP<br />

ed Enzo <strong>di</strong>venta <strong>il</strong>….do<strong>di</strong>cesimo apostolo<br />

Il 1979 fu un anno duro anche per Democrazia Proletaria. Una<br />

stagione acida <strong>di</strong> scissioni con le “sante” ragioni, le meschinità<br />

ed i colpi bassi. Non ha fortuna la nuova formazione politica<br />

della Nuova Sinistra Unita (N.S.U.) sostenuta da sindacalisti ed<br />

138


intellettuali per reagire alle <strong>di</strong>visioni: si presenta alla competizione<br />

elettorale ma non raggiunge <strong>il</strong> quorum. Altre polemiche.<br />

A Torino si contano molti ed amari abbandoni da DP che avvia<br />

un’ardua operazione <strong>di</strong> ricostruzione organizzativa e politica. Si<br />

va controcorrente e Enzo si butta nella vita del partito: “Ero tra<br />

i quattro gatti che si impegnarono per <strong>il</strong> r<strong>il</strong>ancio del partito, poi<br />

avvenuto con i referendum sulle liquidazioni e lo Statuto dei lavoratori.<br />

Da allora <strong>il</strong> mio ruolo è via via cresciuto <strong>di</strong><br />

responsab<strong>il</strong>ità: era cominciato <strong>il</strong> giorno dopo <strong>il</strong> licenziamento,<br />

quando Dp mi venne a prendere e mi portò ad intervenire in<br />

un’assemblea svoltasi davanti ad una fabbrica m<strong>il</strong>anese”<br />

La pesante sconfitta dei “35 giorni” alla Fiat sancisce anche<br />

l’esaurimento (avvenuto qualche anno prima) della spinta propulsiva<br />

<strong>di</strong> quell’egualitarismo troppo arroccato entro i confini della<br />

fabbrica, una politica cioè che ci ha visti e resi uguali davanti<br />

alla pressa ed alla catena <strong>di</strong> montaggio ma non ha saputo analizzare<br />

<strong>il</strong> moltiplicarsi <strong>di</strong> tante altre <strong>di</strong>suguaglianze operaie: tra chi<br />

ha la moglie che lavora e chi no, tra chi ha la casa e chi paga<br />

l’affitto, tra chi ha figli sistemati e chi li ha invece <strong>di</strong>soccupati dopo<br />

<strong>il</strong> m<strong>il</strong>itare, tra chi deve aver cura <strong>di</strong> anziani e soggetti con<br />

han<strong>di</strong>cap e chi no, tra chi vuole stu<strong>di</strong>are e chi non può farlo.<br />

Forse anche per questo in quel periodo Enzo è frenetico: legge,<br />

interviene, coor<strong>di</strong>na, conosce ed incontra Ludovico Geymonat,<br />

Norberto Bobbio, Nuto e Marco Revelli, Giangiulio Ambrosiani,<br />

Clemente Previti.<br />

E’ quel do<strong>di</strong>cesimo…apostolo che Igor Staglianò mette insieme<br />

per non accettare <strong>il</strong> “colpo <strong>di</strong> grazia” a DP ben evidenziato<br />

dall’incen<strong>di</strong>o appiccato alla sede torinese.<br />

Do<strong>di</strong>ci compagni che hanno saputo reggere e reagire, ricucire<br />

le f<strong>il</strong>e e ripartire; “do<strong>di</strong>ci apostoli” che hanno fatto quel miracolo<br />

sul quale ancora s’interroga, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> oltre 23 anni, <strong>il</strong> senatore<br />

Lorenzo Gianotti, allora segretario della Federazione Torinese<br />

del PCI.<br />

Ecco, quel miracolo fu fatto grazie alla generosità <strong>di</strong> tanti compagni<br />

come Enzo, ma anche da una caparbia volontà <strong>di</strong> continuare<br />

a guardare nella società, nella fabbrica, nella con<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> quelli che vivono male. E allora la nostra sfida fu sempre<br />

139


quella <strong>di</strong> legare l’analisi, la <strong>di</strong>samina dei movimenti, anche degli<br />

avversari, gli avversari <strong>di</strong> classe <strong>di</strong>cevamo allora, degli altri soggetti<br />

politici, del sindacato, eccetera, <strong>di</strong> tenere insieme <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o<br />

dell’analisi politica, se volete, della teoria, per quanto n’eravamo<br />

capaci, alla concretezza dell’iniziativa. Più che miracolo fu<br />

la volontà <strong>di</strong> esserci! Certo a giugno ‘79 eravamo in 11, a settembre<br />

in 12, poi <strong>di</strong> lì a due quattro mesi molti <strong>di</strong> più e al primo<br />

maggio dell’anno successivo sf<strong>il</strong>arono migliaia <strong>sotto</strong> le nostre<br />

ban<strong>di</strong>ere.<br />

“Aguirre” non rimane <strong>di</strong>soccupato<br />

Licenziato dalla Fiat e senza stipen<strong>di</strong>o e “assunto” (senza stipen<strong>di</strong>o)<br />

da DP. Per tirare avanti si adatta a più mestieri: l’imbianchino,<br />

<strong>il</strong> muratore, l’uomo <strong>di</strong> fatica.<br />

Al Palazzetto dello Sport, promuove l’organizzazione dei <strong>di</strong>soccupati,<br />

fa tutti i concorsi che gli passano <strong>sotto</strong> <strong>il</strong> naso, entra alle<br />

Molinette a tempo determinato e poi, finalmente viene assunto<br />

a tempo indeterminato (al Sud) nelle Ferrovie, quin<strong>di</strong> chiede <strong>il</strong><br />

trasferimento al deposito locomotive <strong>di</strong> Porta Nuova e poi ad<br />

Orbassano dove ha lavorato fino ai suoi ultimi giorni.<br />

Alcune riflessioni <strong>di</strong> Enzo sulle lotte degli anni ‘70<br />

Dopo la sconfitta degli anni ‘80 Cesare Romiti definì quel periodo<br />

gli “anni della follia”; ma non era certo folle lottare “perché<br />

<strong>il</strong> rumore delle presse non superasse la soglia prescritta degli<br />

85 decibel, per evitare che si producessero ogni anno troppi<br />

casi <strong>di</strong> lesioni all’u<strong>di</strong>to, o per praticare – sosteneva Enzo – <strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> leggere <strong>il</strong> “Quoti<strong>di</strong>ano dei Lavoratori” quando la pressa<br />

si fermava per manutenzione”.<br />

Dopo la sconfitta alla Fiat <strong>di</strong>sse: “La cultura operaia <strong>di</strong> quegli<br />

anni andava bene per le lotte, ma non per riconoscere ed accettare<br />

<strong>il</strong> <strong>di</strong>ritto alla <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> ciascun in<strong>di</strong>viduo. Ricordo <strong>di</strong> un<br />

operaio omosessuale che si è dovuto licenziare a un mese dalla<br />

sua assunzione. Intorno a lui l’ambiente era <strong>di</strong>ventato infernale.<br />

Non lo lasciavano in pace”.<br />

“In questi quin<strong>di</strong>ci anni decisivi della mia vita ho capito che se si<br />

lavora si ottengono dei risultati. Il <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e viene quando si tratta<br />

140


<strong>di</strong> gestire gli spazi che hai conquistato. Niente può costituire la<br />

pazienza e la tenacia del m<strong>il</strong>itante, la sua capacità <strong>di</strong> stare in<br />

mezzo alla gente interpretandone le esigenze, insegnando e imparando<br />

tutti i giorni”.<br />

Dopo l’esperienza alla Fiat intensifica gli antichi sogni per <strong>il</strong> Sud.<br />

tra i suoi progetti per <strong>il</strong> futuro, poche e chiare cose: “rafforzare<br />

Dp nel salernitano, completare <strong>il</strong> ciclo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> per tecnico agrario<br />

già iniziati, trascorrere due anni in Nicaragua e valorizzare le c<strong>il</strong>iegie<br />

<strong>di</strong> Siano. E' <strong>il</strong> sogno che mio fratello ed io coltiviamo da<br />

anni. Ho già preso contatti con le cooperative em<strong>il</strong>iane”.<br />

Pendolare Torino-Salerno,<br />

con un progetto ed un se<strong>di</strong>le come casa…<br />

Come per i gran<strong>di</strong> alberi che tra le tante ra<strong>di</strong>ci c’è quella principale<br />

così per Enzo quella principale era Siano, forse perché<br />

pensava che lì dove concludersi un suo lungo percorso che era<br />

passato per Torino, lì voleva testimoniare e raccogliere i frutti <strong>di</strong><br />

una ricca esperienza umana, sociale e politica. Enzo usava molto<br />

le metafore sugli alberi (i c<strong>il</strong>iegi!) oltre ad innestare alberi un<br />

po’ ovunque.<br />

Dopo <strong>il</strong> licenziamento alla Fiat (‘80) ha intensificato questo collegamento,<br />

tanto da riprendere un lavoro con contratto indeterminato<br />

nelle Ferrovie al Sud. Poi chiese <strong>il</strong> <strong>di</strong>stacco per lavorare<br />

allo scalo <strong>di</strong> Orbassano. In questo periodo è tra i 17 fondatori<br />

della cooperativa <strong>di</strong> cassaintegrati (Fiat, Lancia, Singer,<br />

Bertone, Pininfarina ed altre) promossa da Salvatore Merola nel<br />

marzo del 1982, che oggi occupa nove <strong>di</strong>pendenti, due se<strong>di</strong>, ed<br />

un b<strong>il</strong>ancio <strong>di</strong> oltre 2 m<strong>il</strong>iar<strong>di</strong> <strong>di</strong> vecchie lire; la COAP è una<br />

cooperativa <strong>di</strong> consumo, <strong>di</strong> prodotti biologici e co-fondatrice<br />

della CTM (Cooperative Terzo Mondo) per <strong>il</strong> commercio equosolidale.<br />

E’ stata una delle iniziative più complesse per uscire dall’attesa<br />

della cassintegrazione e le <strong>di</strong>visioni sono state marcate sia<br />

all’interno del movimento dei cassintegrati che gestivano un loro<br />

perio<strong>di</strong>co “La spina nel fianco” sia in DP. Enzo allora era<br />

nella Segreteria Provinciale <strong>di</strong> DP e andava e veniva, la sua casa<br />

era un se<strong>di</strong>le <strong>di</strong> un treno e molte volte quando era in consi-<br />

141


glio <strong>di</strong> amministrazione della COAP, ma anche quando andava<br />

alla cooperativa La Grafica Nuova, a volte quando gli si parlava<br />

lui si addormentava e allora si capiva che quello era l’attimo<br />

del suo riposo della giornata.<br />

Enzo <strong>di</strong>ventò un pendolare stab<strong>il</strong>e delle lunghe <strong>di</strong>stanze, una<br />

<strong>di</strong>namica che solo la sua grande energia e la sua voglia <strong>di</strong> fare<br />

potevano sostenere.<br />

Enzo aveva <strong>il</strong> progetto <strong>di</strong> ritornare alla sua terra, al suo paese,<br />

nei luoghi dell’infanzia e degli anni giovan<strong>il</strong>i, dove aveva toccato<br />

con mano anche molte ingiustizie.<br />

Non a caso ha “trascinato” a Siano, per questa o quell’iniziativa<br />

o occasione, molte persone collegate alla sua vita sociale e politica<br />

al Nord, ricor<strong>di</strong>amo tra i tanti alcuni che hanno svolto o<br />

svolgono tutt’ora incarichi <strong>di</strong> rappresentanza: Salvatore Merola,<br />

Igor Staglianò, Adriano Serafino, Mario Capanna, Russo Spena,<br />

Alì Rashid e Fausto Bertinotti.<br />

Tanti “trascinati” a Siano “per fare in modo che quel paese non<br />

fosse come si suol <strong>di</strong>re, un paese abbandonato da Dio e dagli<br />

uomini..”.<br />

Commercializzazione delle c<strong>il</strong>iegie: cooperativa “SIANESE 77”<br />

La raccolta e la prima commercializzazione (con nuovi criteri)<br />

delle c<strong>il</strong>iegie avvenne nel 1997, un paio d’anni prima del licenziamento<br />

alla Fiat, fu un successo: circa 3.000 quintali assicurando<br />

un prezzo <strong>di</strong> 1.500 lire/kg ai conta<strong>di</strong>ni, quando negli anni<br />

precedenti l’interme<strong>di</strong>azione tra produttori e consumatori le acquistava<br />

per <strong>sole</strong> 500 lire/kg e spesso tale basso prezzo (tre volte<br />

in meno!) induceva i conta<strong>di</strong>ni a non raccoglierle, una risorsa<br />

che andava persa. In quell’occasione la raccolta fu fatta da sei<br />

donne (in <strong>di</strong>fficoltà economiche) che guadagnarono l’equivalente<br />

<strong>di</strong> due mesi <strong>di</strong> duro lavoro nelle fabbriche conserviere.<br />

Una parte <strong>di</strong> quelle c<strong>il</strong>iegie arrivarono a Torino ed alla COAP.<br />

Un successo dovuto in gran parte all’intraprendenza <strong>di</strong> Enzo<br />

che si ricordò <strong>di</strong> un amico commerciante – conosciuto nel periodo<br />

<strong>di</strong> ferma m<strong>il</strong>itare – <strong>il</strong> quale mise a <strong>di</strong>sposizione la sua logistica.<br />

organizzazione associata al nostro impegno offerto gratuitamente.<br />

Si conquistò la fiducia <strong>di</strong> 40 conta<strong>di</strong>ni e nell’estate<br />

142


dello stesso anno si costituì la Cooperativa Agricola “SIANESE<br />

‘77” aderente alla Lega Nazionale delle Cooperative Agricole,<br />

con l’apertura <strong>di</strong> un punto ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> prodotti agricoli e zootecnici.<br />

Enzo, nel suo pendolare, portava anche le esperienze ed<br />

(ancora) i successi delle lotte operaie alla Fiat. A volte, da solo,<br />

la domenica mattina al mercato settimanale del paese imban<strong>di</strong>erava<br />

<strong>il</strong> mercato, <strong>di</strong>stribuiva volantini e con un megafono a<br />

tracolla raccontava delle cause giuste, lontane dalla cultura<br />

sianese, portate avanti nelle fabbriche del nord.<br />

Politica e lotte a Siano e <strong>di</strong>ntorni<br />

Diverse volte fu capolista per Democrazia Proletaria alle elezioni<br />

comunali, ma non raggiunse mai <strong>il</strong> quorum per l’elezione<br />

tranne a metà degli anni ‘80, quando per pochi voti non <strong>di</strong>venne<br />

consigliere provinciale a Salerno.<br />

A Siano, Democrazia Proletaria conquistò <strong>il</strong> 14%, la più alta<br />

percentuale in Italia del partito. In quel piccolo paese dell’entroterra<br />

del nocerino-salernitano padroneggiava come Sindaco un<br />

noto esponente della Democrazia Cristiana l’avv. Luigi Tenore,<br />

affermato penalista e intimo amico dell’allora Presidente del<br />

Consiglio, Ciriaco De Mita, ai vertici della vita amministrativa<br />

del paese per circa 20 anni, <strong>di</strong>sponendo <strong>di</strong> 17 consiglieri su 20.<br />

La vita pubblica a Sarno era intrisa <strong>di</strong> clientelismo ed affarismo.<br />

A metà degli anni 70 <strong>il</strong> Sindaco favorì la proposta per la costruzione<br />

<strong>di</strong> una fabbrica <strong>di</strong> amianto, la Bendel Martigny che i lavoratori<br />

della cava <strong>di</strong> Balangero (Valle <strong>di</strong> Lanzo) contestavano.<br />

Enzo lavorava in Fiat e si collegò con i sindacalisti ed esponenti<br />

<strong>di</strong> DP (Pasquale Cavaliere) che avevano seguito le lotte nelle<br />

valli torinesi alle cave dell’amianto dove è stata accertata la più<br />

alta concentrazione <strong>di</strong> tumori dovuti alle fibre <strong>di</strong> amianto. Enzo<br />

mise in guar<strong>di</strong>a dal reale pericolo che correva la popolazione <strong>di</strong><br />

Siano con la costruzione <strong>di</strong> questa fabbrica ed iniziò una delle<br />

più gran<strong>di</strong> battaglie politiche <strong>di</strong> quel paese. Sì sensib<strong>il</strong>izzò la<br />

popolazione con spettacoli teatrali, volantinaggi e comizi itineranti.<br />

Alla fine l’Amministrazione Comunale fece retromarcia<br />

dal suo inten<strong>di</strong>mento nonostante avesse già provveduto ad espropriare<br />

i terreni dei conta<strong>di</strong>ni.<br />

143


Altre <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i lotte nella zona furono quelle contro <strong>il</strong> caporalato e<br />

per i <strong>di</strong>ritti delle donne che lavoravano quali stagionali nelle industrie<br />

conserviere della zona. In un picchettaggio, insieme ad<br />

altri compagni, sfidò apertamente i camorristi davanti ai cancelli<br />

dell’industria conserviera “Chiavazzo” <strong>di</strong> Scafati: lo sciopero era<br />

contro <strong>il</strong> padrone che <strong>il</strong> giorno prima aveva fatto azzannare dai<br />

cani due operai rei <strong>di</strong> aver richiesto un aumento del salario.<br />

Quel memorab<strong>il</strong>e comizio dell’88<br />

e la consegna del premio “Att<strong>il</strong>a”<br />

Memorab<strong>il</strong>e fu quell’appassionato comizio del 20 maggio 1988,<br />

quando Enzo accusò <strong>il</strong> Sindaco <strong>di</strong> Siano, Luigi Tenore, <strong>di</strong> mal<br />

governo e chiamò in causa anche i carabinieri per i mancati<br />

controlli nei cantieri del dopo terremoto del 1980. Il maresciallo<br />

dei carabinieri mal sopportò quelle accuse e or<strong>di</strong>nò <strong>di</strong> spegnere<br />

<strong>il</strong> microfono e <strong>di</strong> portare l’oratore in caserma. Enzo imperterrito<br />

continuò <strong>il</strong> comizio alzando la voce.<br />

Quel venerdì sera la piazza era piena per un comizio elettorale<br />

che era stato preannunciato “caldo” (DP aveva preparato un<br />

dossier <strong>di</strong> precise accuse) <strong>di</strong> quelli da non perdere e ci fu una<br />

ferma reazione al sopruso dei carabinieri. A rinforzo arrivarono<br />

camionette a sirene spianate ed i carabinieri scesero con <strong>il</strong> mitra<br />

spianato! Un clima acceso che certamente risentiva delle campagne<br />

contro Enzo, cioè uno dei pseudo-terroristi inventati dalla<br />

Direzione Fiat.<br />

Le oltre trecento persone che in piazza protestano impe<strong>di</strong>scono<br />

che Enzo venga portato via, lo spingono prima in un bar, poi <strong>di</strong><br />

<strong>nuovo</strong> sul palco. Tutto <strong>il</strong> paese è in subbuglio, la piazza si riempie<br />

ancora <strong>di</strong> più, sul palco arrivano per solidarietà comunisti,<br />

socialisti, i cattolici democratici. Una ventina <strong>di</strong> carabinieri si<br />

schierano agitando le bandoliere. Dal palco, Enzo continua ed<br />

infine si rivolge al capitano dei carabinieri avvertendolo che se<br />

voleva arrestarlo doveva procedere anche contro tutta la gente<br />

che si era stretta attorno. Quel capitano intuì <strong>il</strong> rischio ed or<strong>di</strong>nò<br />

ai m<strong>il</strong>iti <strong>di</strong> arretrare, quin<strong>di</strong> <strong>il</strong> comizio si scioglie ed i carabinieri<br />

rimangono soli a presi<strong>di</strong>are la piazza ed <strong>il</strong> palco.<br />

144


Il giorno dopo DP organizzò una “camminata”- <strong>il</strong> corteo era<br />

vietato - che si concluse con la consegna al Sindaco Luigi Tenore<br />

del “Premio Att<strong>il</strong>a” come riconoscimento delle sue malefatte<br />

amministrative e politiche.<br />

Si sf<strong>il</strong>ò per le strade citta<strong>di</strong>ne con canti e tammuriate, con <strong>il</strong> noto<br />

artista Marcello Colasurdo dei Zezi <strong>di</strong> Pomigliano d’Arco, e<br />

concentramento finale davanti alla casa del sindaco. Il “Premio<br />

Att<strong>il</strong>a” consisteva in una pergamena <strong>di</strong> gomma piuma con <strong>il</strong> <strong>di</strong>segno<br />

<strong>di</strong> un elmo dei barbari e la descrizione dei vari scempi<br />

perpetrati ai danni del territorio e della popolazione. Nelle parole<br />

che Enzo pronunciò consegnando <strong>il</strong> premio c’erano la sfrontatezza,<br />

la fierezza e la tenacia <strong>di</strong> chi a viso aperto - per la prima<br />

volta - aveva messo a nudo <strong>il</strong> “re” che fino ad allora nessuno<br />

aveva osato affrontare.<br />

Nonostante questi conflitti così aspri Enzo raccoglieva stima anche<br />

presso gli avversari politici, per i suo modo d’agire franco e<br />

schietto. Lo stesso maresciallo dei carabinieri rimase molto scosso<br />

alla notizia della morte <strong>di</strong> Enzo (e <strong>di</strong> Pinelli) in quanto, dopo<br />

l’episo<strong>di</strong>o del comizio del 20 maggio ’88, instaurò un rapporto <strong>di</strong><br />

amicizia e <strong>di</strong> stima reciproca con Enzo ed in seguito confidò che<br />

fu proprio Enzo a svolgere con lui un duro lavoro notturno per<br />

pulire fogne e tombini in occasione delle calamità (frane ed alluvione)<br />

che nel 1988 colpì Siano ed altri tre Comuni.<br />

Il vescovo ed <strong>il</strong> tha-tze-bao<br />

Un altro episo<strong>di</strong>o emblematico con lo zampino <strong>di</strong> Enzo capitò<br />

quando <strong>il</strong> parroco locale fu nominato vescovo. Nel giorno in<br />

cui, nella piazza gremita, moltissimi lo osannavano i movimentisti<br />

(ovvero DP) <strong>di</strong> Siano scrissero un tha-tze-bao elencando<br />

l’inoperosità degli anni passati <strong>di</strong> quel prete <strong>di</strong> fronte alle tante<br />

ingiustizie ed <strong>il</strong>legalità ben visib<strong>il</strong>i nel paese. In quel caso <strong>il</strong> popolo<br />

in piazza reagì molto negativamente e gli autori del tabellone<br />

rischiarono <strong>il</strong> linciaggio. Un’iniziativa troppo “controcorrente”<br />

ed atipica per quel paese ma certamente motivata perché<br />

quei contestatori, e particolarmente Enzo, molto si erano<br />

pro<strong>di</strong>gati per risolvere i problemi <strong>di</strong> famiglie in gravi <strong>di</strong>fficoltà.<br />

145


Oltre i confini nazionali<br />

I confini dell’impegno politico spaziarono anche verso <strong>il</strong> Nicaragua,<br />

dove si recò per un campo <strong>di</strong> lavoro, e soprattutto verso <strong>il</strong><br />

popolo palestinese (ricor<strong>di</strong>amo tra tutte l’adozione a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong><br />

una bambina palestinese, e le ben note colombe della pace<br />

(due popoli due stati, <strong>di</strong>segnate da Piero G<strong>il</strong>ar<strong>di</strong>) ad ogni manifestazione<br />

pubblica.<br />

Fu tra i promotori per <strong>il</strong> riconoscimento della citta<strong>di</strong>nanza onoraria<br />

<strong>di</strong> Siano a Nelson Mandela quando <strong>il</strong> leader africano era<br />

ancora in carcere in Sud Africa.<br />

Una persona che ha conosciuto Enzo solamente attraverso un<br />

poster raffigurante Enzo che spinge un carrello con <strong>di</strong>etro una<br />

grossa colomba lungo <strong>il</strong> viale della Marcia per la pace Perugia-<br />

Assisi del ‘93, saputo della sua morte ha inviato questa breve<br />

poesia:<br />

Rossi Licio<br />

Ad Enzo Caiazza<br />

Pur non<br />

conoscendo<br />

<strong>il</strong> tuo destino,<br />

anche se<br />

con i pie<strong>di</strong><br />

a terra,<br />

con le ali<br />

della colomba,<br />

inconsapevole,<br />

verso <strong>il</strong> cielo<br />

t'avviavi gioioso<br />

Nato a Altav<strong>il</strong>la Irpina (AV) <strong>il</strong> 12-07-46.<br />

Agosto 67 : Fine servizio m<strong>il</strong>itare<br />

Settembre 67: emigrato a Piobesi Torinese prima occupazione<br />

in un feltrificio del paese.<br />

Febbraio 69: Assunzione Fiat Mirafiori.<br />

2 luglio 69, pomeriggio: partecipazione casuale agli scontri <strong>di</strong> C.<br />

Tazzoli (cancello n.2 Mirafìori) e successivamente in C. Traiano<br />

146


fino a P.za Bengasi. Gli scontri si protrassero fino all’alba.<br />

Giorni seguenti: Commenti e <strong>di</strong>scussione in fabbrica con gli operai<br />

sull’accaduto e sulle cause. Primo richiamo da parte del<br />

caposquadra del seguente tenore: “Tu sei un bel ragazzo volenteroso<br />

e molto veloce ad eseguire <strong>il</strong> lavoro, peccato però che<br />

hai troppi gr<strong>il</strong>li per la testa: stavolta però ti è andata bene perché<br />

<strong>il</strong> caporeparto si chiama Rossi come te.”<br />

Agosto 69: trasferimento alla linea <strong>di</strong> montaggio <strong>di</strong> Rivalta nel<br />

giorno del rientro dalla ferie.<br />

Apr<strong>il</strong>e 72: primi contatti e successiva adesione a Lotta Continua.<br />

Autunno 72: partecipazione con ruolo organizzativo ai picchetti<br />

davanti ai cancelli <strong>di</strong> Rivalta e ai cortei interni durante gli scioperi<br />

articolati per <strong>il</strong> CNL.<br />

Gennaio 73: licenziamento in tronco con la seguente motivazione<br />

: “Non eseguiva per intero <strong>il</strong> lavoro assegnato”: si trattò in effetti<br />

<strong>di</strong> una contestazione sui carichi <strong>di</strong> lavoro mossa dai delegati<br />

sindacali. Impugnazione imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> fronte al Pretore del lavoro<br />

conclusasi nel settembre 74 con un accordo in mio favore che<br />

prevedeva <strong>il</strong> reintegro imme<strong>di</strong>ato e pagamento <strong>di</strong> 5 mens<strong>il</strong>ità (in<br />

seguito risultò che non furono pagati contributi previdenziali) –<br />

Per <strong>il</strong> periodo gennaio–settembre fui <strong>di</strong>soccupato.<br />

Settembre 74: <strong>il</strong> giorno stesso del rientro in fabbrica, eletto delegato<br />

<strong>di</strong> squadra FLM.<br />

Estate 76: espulsione dal Consiglio <strong>di</strong> Fabbrica: furono presi a<br />

pretesto scontri <strong>di</strong> piazza durante una manifestazione sindacale<br />

tra giovani della FGCI ed esponenti <strong>di</strong> Lotta Comunista che<br />

nulla avevano da spartire né col mio gruppo né tantomeno col<br />

<strong>sotto</strong>scritto.<br />

I delegati del PCI in questo modo evitarono <strong>di</strong> essere messi in<br />

minoranza (in quanto stavo aggregando <strong>di</strong>versi delegati sulle<br />

posizioni antagoniste al governo <strong>di</strong> unità nazionale).<br />

Autunno ’77: <strong>di</strong>versi tentativi (tutti falliti) <strong>di</strong> eleggere un delegato<br />

in mia sostituzione nella squadra. Dopo varie elezioni furono<br />

costretti a reintegrarmi nel CdF ma con la qualifica <strong>di</strong> “esperto”<br />

e non <strong>di</strong> RSA.<br />

Ottobre 1979: licenziato coi “61”. Inizio con altri 2 compagni lo<br />

sciopero della fame a qualche settimana dal licenziamento. Un<br />

147


compagno lo concluse al 3° giorno per motivi <strong>di</strong> salute, <strong>il</strong> secondo<br />

al 7°- suppongo per motivi politici- ed io andai avanti<br />

fino al 14° giorno e smisi per questi motivi: 1) dall’11° giorno in<br />

poi dopo un calo ponderale <strong>di</strong> 7 kg ma in uno stato <strong>di</strong> salute<br />

tutto sommato buono, un me<strong>di</strong>co venne – non richiesto – a visitarmi<br />

consigliandomi <strong>di</strong> bere ½ litro <strong>di</strong> latte al giorno, cosa<br />

che feci, non avvertendo che stavo sostituendo lo sciopero della<br />

fame con una <strong>di</strong>eta liquida; infatti nei tre giorni successivi non<br />

persi nemmeno un grammo <strong>di</strong> peso, 2) le amorevoli pressioni<br />

della mia fidanzata: 3) l’apprensione a volte straziante <strong>di</strong> compagni<br />

<strong>di</strong> lavoro e amici; 4) ultima e credo più determinante ragione<br />

fu la quasi certezza che tra tanta gente degna <strong>di</strong> stima che<br />

si avvicendò in quelle due settimane intorno al camper in cui mi<br />

riparavo vi fosse qualcuno con qualche simpatia con gli sparatori<br />

(l’o<strong>di</strong>oso omici<strong>di</strong>o dell’ing. Ghiglieno fu drammatica cronaca<br />

<strong>di</strong> quei giorni). Ebbi insomma la sensazione <strong>di</strong> offrire inconsapevolmente<br />

un appoggio morale e politico a chi aveva scambiato<br />

la lotta <strong>di</strong> classe per un poligono <strong>di</strong> tiro a segno e riteneva<br />

<strong>di</strong> risolvere i problemi degli operai con la canna brunita e stretta<br />

<strong>di</strong> una pistola.<br />

Nell’80 mi sono sposato – a quei tempi era dura, quando cercavo<br />

lavoro non mi facevano nemmeno fare la prova. Nell’ 81<br />

nasce la prima figlia.<br />

A ottobre 82 trovo lavoro in provincia come cantoniere, resto<br />

per 10 anni. A metà degli ‘80 rientrai nel sindacato: per due<br />

anni feci <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e provinciale, e poi dopo un infortunio<br />

mi sono trasferito come assistente tecnico nelle scuole.<br />

Con la Fiat feci una causa per 9 anni e poi l’avvocato mi costrinse<br />

a concordare.<br />

M.A.<br />

Dopo <strong>il</strong> <strong>di</strong>ploma lavoro un anno part-time e stagionale. Entro in<br />

Fiat nel 68. Partecipo a tutte le lotte e assemblee. MI mettono coi<br />

61 licenziati del 1979. Nella causa concordo un indennizzo. Dopo<br />

trovo un lavoro in un ente pubblico, resto 20 anni, poi mi licenzio<br />

e mi metto a fare la commerciante. In Fiat ero un’operaia<br />

normale, persino ingenua, <strong>il</strong> licenziamento è stata una cosa inattesa.<br />

Avevo 20 anni, era un fatto più grande <strong>di</strong> me, ma mi ha<br />

148


aperto gli occhi. Allora pensavo: la Fiat mi può prendere tutto<br />

ma non <strong>il</strong> cervello e l’anima. Avevo l’ingenuità <strong>di</strong> credere che<br />

un’idea non può essere perseguita, poi io mi mantenevo col lavoro,<br />

ero <strong>di</strong> famiglia operaia, sono stata in <strong>di</strong>fficoltà col licenziamento.<br />

Poi tutte quelle cose dette sui giornali. Negli anni ho nascosto<br />

questo passato. Oggi in certi momenti sento <strong>il</strong> bisogno <strong>di</strong><br />

criticare, in altri sento bisogno <strong>di</strong> appartenenza, ma guardo alle<br />

persone. La struttura attuale del sindacato è un ufficio.<br />

B.F.<br />

Dopo i Salesiani ho fatto le professionali, un po’ <strong>di</strong> lavoro in<br />

boita e poi sono entrato alla Fiat <strong>di</strong> Rivalta. Dopo sei anni, nel<br />

78-79 partecipo alle riunioni del Collettivo Operaio. Quando mi<br />

licenziano concordo un indennizzo <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> m<strong>il</strong>ioni.<br />

Poi però resto <strong>di</strong>soccupato per quattro anni, con lavoretti qua e<br />

là. Poi entro in una piccola azienda come operaio e resto finchè<br />

fallisce e mi mettono in mob<strong>il</strong>ità due anni. Adesso sono commerciante.<br />

Ricordo <strong>il</strong> periodo della Fiat come <strong>il</strong> più interessante della mia<br />

vita, e mi <strong>di</strong>spiace che quelle lotte non abbiano avuto molto risultato,<br />

visto la Fiat come va ora.<br />

Pasquale Salerno<br />

Scrivo queste righe con una certa fatica, fatica dovuta alla <strong>di</strong>stanza<br />

degli anni passati dalla data del licenziamento Fiat, ma<br />

anche dovuta al contesto <strong>di</strong> oggi talmente <strong>di</strong>verso da allora che<br />

fai fatica a ritrovarti. È come se fossero due storie narrate in due<br />

f<strong>il</strong>m <strong>di</strong>versi, uno in bianco e nero e l’altro a colori.<br />

Il senso che si dava alla vita allora si fa fatica a trovarlo oggi,<br />

molte cose sono cambiate in positivo e in negativo (una per tutti:<br />

Berlusconi) e se devo essere sincero mi rimane la sensazione<br />

che tutte quelle importanti lotte condotte a partire dal 68, che<br />

hanno avuto la capacità <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare e costruire un contesto<br />

sociale <strong>di</strong>verso (scuola, sanità, ecc), abbiano poco inciso nella<br />

coscienza in<strong>di</strong>viduale <strong>di</strong> chi partecipava. Spesso la lotta era<br />

contro qualcosa o per avere qualcosa, ma poche volte si trovava<br />

un senso comunitario vero, un senso che portava a cambia-<br />

149


e le persone, a fare delle scelte <strong>di</strong> vita coerenti con quanto veniva<br />

enunciato e questo succedeva sia nella base che nei gruppi<br />

<strong>di</strong>rigenti.<br />

Alle manifestazioni si andava tutti insieme ma forse ognuno aveva<br />

un suo progetto segreto che era <strong>di</strong>verso e antagonista a<br />

quello del vicino, si partecipava perché speravi <strong>di</strong> avere un ritorno<br />

imme<strong>di</strong>ato e non un progetto sociale collettivo.<br />

Altro aspetto era l’idea, quasi l’ass<strong>il</strong>lo <strong>di</strong> riuscire ad egemonizzare<br />

le lotte, presente in tutte le organizzazioni politiche <strong>di</strong> quegli anni,<br />

gran<strong>di</strong> e piccole: ciò portava a mettere in atto una lotta feroce fra<br />

le stesse organizzazioni. Gli scioperi per <strong>il</strong> rinnovo del contratto del<br />

1979 erano molti e partecipati, l’assunzione <strong>di</strong> molti giovani<br />

all’interno della Fiat aveva portato un’aria nuova in fabbrica, si era<br />

meno assoggettati alle gerarchie, più liberi, non si apparteneva alla<br />

cultura operaia sopravvissuta agli anni 50 o forgiata nelle lotte del<br />

68. In fabbrica entrava <strong>il</strong> movimento del 77, portando con sé pregi<br />

e <strong>di</strong>fetti: molti giovani, per <strong>di</strong> più con un tasso elevato <strong>di</strong> scolarizzazione,<br />

avevano assunto ruoli <strong>di</strong> riferimento importanti nelle officine<br />

scalzando vecchi personaggi che si attivavano solo quando<br />

ricevevano l’or<strong>di</strong>ne da Roma e la lotta era funzionale non a sod<strong>di</strong>sfare<br />

i bisogni <strong>di</strong> chi quoti<strong>di</strong>anamente subiva la fabbrica ma a giochi<br />

<strong>di</strong> potere istituzionale.<br />

Questo clima <strong>nuovo</strong> era mal tollerato da esponenti del Partito<br />

Comunista, che aveva un potere ovviamente <strong>di</strong> gran lunga superiore<br />

alle organizzazioni della nuova sinistra, e pur <strong>di</strong> continuare<br />

a garantirsi una sua egemonia si accordò in maniera<br />

meschina con la Fiat concordando la lista dei 61 operai da licenziare,<br />

<strong>di</strong>pingendoli come violenti e terroristi. Questo fu <strong>il</strong><br />

motivo per cui nella lista non fu inserito nessun iscritto a quel<br />

partito, pur essendoci in Fiat molti compagni <strong>di</strong> base che organizzavano<br />

e partecipavano nelle lotte al pari mio.<br />

Questa operazione è stata indubbiamente fac<strong>il</strong>itata a causa delle<br />

azioni terroristiche condotte dalle Brigate Rosse e Prima Linea,<br />

sia in città che all’interno della Fiat. La colonna operaia<br />

delle BR era numerosa e presente in tutti gli stab<strong>il</strong>imenti.<br />

Quale motivo preciso abbia indotto però la Fiat e <strong>il</strong> Pci ad inserire<br />

<strong>il</strong> mio nome all’interno dei 61, <strong>di</strong>co 61 su 150.000, come<br />

150


cercare una mosca bianca, ancora oggi non riesco a trovarlo.<br />

Alla data <strong>di</strong> assunzione avevo qualche mese oltre i 18 anni, ero<br />

attivo da un punto <strong>di</strong> vista sindacale e m<strong>il</strong>itavo nella IV Internazionale<br />

(LCR) ma non ero un leader, e pur partecipando a tutti<br />

gli scioperi e incitando i miei compagni ad aderire non facevo<br />

<strong>di</strong> più, non ero delegato e avevo deciso <strong>di</strong> aderire esclusivamente<br />

al sindacato unitario FLM (Federazione Lavoratori Metalmeccanici)<br />

senza scegliere nessuna confederazione (Cg<strong>il</strong>-Cisl-<br />

U<strong>il</strong>); <strong>di</strong> persone più esposte <strong>di</strong> me ve ne erano centinaia.<br />

Al momento del licenziamento avevo 19 anni e mezzo, a casa<br />

non avevo <strong>il</strong> coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>re che ero stato licenziato e per parecchi<br />

giorni continuai, come se <strong>niente</strong> fosse, ad uscire secondo<br />

i turni che avrei dovuto fare. Ricordo che quando in Fiat c’erano<br />

gli scioperi io mi alzavo alle 4 per andare a fare i picchetti e<br />

mio padre, che lavorava all’Aeritalia <strong>di</strong> C.so Francia, faceva lo<br />

stesso con l’obiettivo però <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> entrare. Spesso <strong>di</strong>ceva<br />

che mi avrebbero cacciato fuori a calci in culo e quando successe<br />

realmente tutte le mie argomentazioni a poco sarebbero<br />

servite per fargli cambiare idea. Lui me l’aveva detto!<br />

Sono stati momenti <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i, una volta licenziato era necessario<br />

ricostruire la propria esistenza, reinserendosi in ambito lavorativo:<br />

non avevo un <strong>di</strong>ploma e licenziato Fiat a Torino voleva <strong>di</strong>re<br />

essere marchiato. Per mesi ho vissuto nel terrore <strong>di</strong> subire una<br />

perquisizione notturna a casa, mio padre non me lo avrebbe<br />

mai perdonato, per la nostra famiglia (ero <strong>il</strong> secondo <strong>di</strong> sei figli)<br />

e per <strong>il</strong> vicinato. La campagna stampa orchestrata dalla Fiat<br />

contemporaneamente ai licenziamenti (<strong>il</strong> giorno prima aveva<br />

organizzato una conferenza stampa consegnando un dossier<br />

contenente azioni terroristiche e presunte minacce subite dai<br />

capi reparto dentro e fuori gli stab<strong>il</strong>imenti) ci <strong>di</strong>pingeva come<br />

potenziali terroristi: ricordo che quando accadeva <strong>di</strong> essere fermato<br />

ai numerosi posti <strong>di</strong> blocco attuati a Torino (era <strong>il</strong> periodo<br />

del rapimento Moro e <strong>di</strong> altre scellerate azioni terroristiche) e<br />

verificavano in centrale le mie generalità, imme<strong>di</strong>atamente<br />

cambiavano condotta, attivavano le armi e iniziava una minuziosa<br />

perquisizione personale e <strong>di</strong> tutto ciò che era all’interno<br />

della mia auto.<br />

151


Dopo varie peripezie ho iniziato a lavorare come precario nei<br />

servizi sociali della Provincia <strong>di</strong> Torino, successivamente, attraverso<br />

un concorso, entrai <strong>di</strong> ruolo: decisi allora che non potevo<br />

continuare ad avere solo la licenza me<strong>di</strong>a, mi feci coraggio e<br />

lavorando <strong>di</strong> notte frequentai la scuola <strong>di</strong> giorno, riuscendo a<br />

<strong>di</strong>plomarmi e, successivamente, a specializzarmi come educatore<br />

professionale. Passando gli anni, quin<strong>di</strong>, dal licenziamento,<br />

mi rendevo conto che in realtà la mia vita era solo migliorata,<br />

portandomi ad una maggior realizzazione personale e ad un<br />

riconoscimento professionale che mai avrei avuto in fabbrica.<br />

Negli oltre 20 anni trascorsi dal licenziamento, infatti, la vita si è<br />

rivoltata come un calzino: altra esperienza fondamentale è stata<br />

la conoscenza del Centro America, prima attraverso <strong>il</strong> Nicaragua<br />

e la sua rivoluzione, poi trascorrendo un anno in Salvador.<br />

Il caso vuole che arrivo all’aeroporto <strong>di</strong> S. Salvador <strong>il</strong> pomeriggio<br />

dell’11 novembre 1989; la sera alle 19.00 inizia un’impressionante<br />

offensiva m<strong>il</strong>itare del FMLN (Fronte F. Martì <strong>di</strong> Liberazione<br />

Nazionale), stringendo d’asse<strong>di</strong>o S. Salvador e tulle le altre<br />

gran<strong>di</strong> città per 11 giorni. Lo scontro m<strong>il</strong>itare era strada per<br />

strada, questa offensiva strategica era stata preparata per costringere<br />

<strong>il</strong> governo salvadoregno e soprattutto quello americano<br />

(gli aiuti statunitensi al governo erano un m<strong>il</strong>iardo <strong>di</strong> lire al<br />

giorno) a mettere fine al confronto m<strong>il</strong>itare e iniziare una trattativa<br />

per riportare <strong>il</strong> conflitto sul terreno politico. In quegli 11<br />

giorni sono morti 601 combattenti del Fronte, un numero elevato<br />

<strong>di</strong> civ<strong>il</strong>i a causa dei bombardamenti e vennero trucidati<br />

dall’esercito anche sei Padri gesuiti.<br />

Quell’anno è stato pieno <strong>di</strong> emozioni, paure, impegno e riflessione.<br />

Oggi lavoro come educatore in progetti rivolti ai giovani della<br />

città <strong>di</strong> Torino, vedo la città cambiare, mutare, la sua struttura<br />

sia culturale che urbanistica non è più sovrapponib<strong>il</strong>e a quella<br />

degli anni 80, a volte mi chiedo qual è <strong>il</strong> futuro delle nuove generazioni<br />

e <strong>di</strong> mio figlio.<br />

Insieme a mia moglie Daniela abbiamo deciso, incoraggiati anche<br />

dalle conferenze <strong>di</strong> Alex Zanotelli, <strong>di</strong> sperimentarci nel terreno<br />

della con<strong>di</strong>visione con altri <strong>di</strong> tempo, sol<strong>di</strong>, impegno, facendo<br />

un’esperienza <strong>di</strong> vita all’interno <strong>di</strong> una comunità <strong>di</strong> famiglie.<br />

152


Sono sempre più convinto, e questo è ciò che mi sostiene<br />

nell’attuale percorso, che se aspettiamo <strong>di</strong> cambiare gli uomini<br />

dopo aver cambiato lo Stato ci <strong>il</strong>lu<strong>di</strong>amo: l’esperienza del Nicaragua<br />

che ho conosciuto da vicino ne è una riprova, per non<br />

parlare dei <strong>di</strong>sastri <strong>di</strong> ciò che è avvenuto nei Paesi dell’Est. Se<br />

invece cambiamo noi singolarmente, all’interno <strong>di</strong> percorsi collettivi,<br />

allora è possib<strong>il</strong>e pensare che cambi anche lo Stato.<br />

Prendendo a prestito <strong>il</strong> testamento <strong>di</strong> Trotskij, concludo <strong>di</strong>cendo<br />

che se dovessi ripercorrere <strong>il</strong> passato, cambierei qualcosa<br />

qua e là ma sostanzialmente rifarei lo stesso cammino.<br />

COS’ E’ IL 740?…<br />

153


piero baral<br />

I miei antenati, da parte <strong>di</strong> mio padre, provenienti dalla Val<br />

Chisone, si spostarono in Val Germanasca col mio bisnonno<br />

che era nato a Marsiglia.<br />

Il bisnonno, dopo lavori in Francia e alla miniera della Roussa<br />

in Val Chisone, lavorò alla miniera <strong>di</strong> talco del Vallone, vicino a<br />

Massello. Non so se allora fosse già della Talco&Grafite. Era<br />

caporale (caposquadra) ed aveva anche una piccola trattoria,<br />

una piòla.<br />

Suo figlio, mio nonno paterno, <strong>di</strong>ventò poi un impiegato allo<br />

stab<strong>il</strong>imento <strong>di</strong> macinazione del talco – 80 operai – a S. Sebastiano<br />

(Perosa). Diventò <strong>di</strong>rettore. Il fratello <strong>di</strong> mio padre prese<br />

poi <strong>il</strong> suo posto dopo aver fatto la scuola Riv. Ebbe una storia<br />

tragica <strong>di</strong> speculazione e<strong>di</strong>lizia a Perosa, e morì in un incidente<br />

stradale mentre era sindaco <strong>di</strong> quel paese.<br />

Mio padre, dopo un tentativo <strong>di</strong> lavoro in proprio finito male<br />

per colpa del socio, andò a lavorare anche lui in Talco.<br />

Mio fratello ha lavorato anche lui come elettricista alla Talco e<br />

ora lavora in proprio. Mia sorella è maestra elementare.<br />

Dalla parte <strong>di</strong> mia madre: mio nonno viene dal Canavese. Suo<br />

padre era un tecnico (impresario), aveva tracciato una ferrovia<br />

in Spagna. Ebbe un incidente sul lavoro, rimase zoppo e morì<br />

giovane come pure la moglie. Mio nonno, orfano, era <strong>il</strong> più<br />

vecchio e partì a 15 anni per lavorare in Sudafrica in una galleria<br />

ferroviaria. Imparò <strong>il</strong> mestiere, poi emigrò in America. Poi,<br />

tornato in Italia, si trasferì in Toscana, sempre nelle miniere. Lì<br />

si sposò, e nacque mia madre. In seguito si spostò in Piemonte<br />

alla miniera <strong>di</strong> grafite <strong>di</strong> San Germano e poi al Vallone e quin<strong>di</strong><br />

alla Gianna.<br />

Uno dei suoi figli ha stu<strong>di</strong>ato da geometra e si è impiegato alla<br />

Talco. Ha fatto carriera <strong>di</strong>ventando molto tar<strong>di</strong> caposervizio.<br />

Mia madre ha lavorato alla Talco allo spaccio della Gianna, durante<br />

la guerra. Altre persone della famiglia hanno tutte avuto<br />

degli sbocchi nel lavoro a livello tecnico ed hanno finito per fare<br />

i capisquadra, uno alla tipografia Alzani e l’altro alla Fiat <strong>di</strong> V<strong>il</strong>lar<br />

(Tupin). Infine l’austera figura del prozio prete, fratello del<br />

nonno paterno, che rimase 45 anni a Perosa come parroco.<br />

154


Un’amica valdese mi <strong>di</strong>sse a Chiabrano che i miei antenati della<br />

Val Chisone potrebbero essere stati <strong>di</strong> religione valdese. Mah!<br />

Tutto sparito nell’oblio, le notizie sulla famiglia si fermano<br />

all’Ottocento.<br />

Questo è l’ambiente in cui sono cresciuto, un ambiente che mi<br />

ha protetto rispetto a molte cose quando ero giovane. Per esempio,<br />

per questa situazione famigliare, ho avuto meno<br />

drammi <strong>di</strong> altri nelle famiglie operaie. Mia madre assorbiva ancora<br />

su <strong>di</strong> lei le tensioni. Lavorava in casa, faceva la sarta.<br />

Diciamo che mi son fatto la giovinezza e l’adolescenza spensierata.<br />

Avevo però dei grossi problemi psicologici soprattutto per<br />

quanto riguarda <strong>il</strong> sesso. Li ho risolti molto più tar<strong>di</strong>.<br />

Non ho partecipato alla vita del paese. I primi anni eravamo a<br />

Pinerolo. Dai due anni in su sono vissuto a Perosa.<br />

I punti <strong>di</strong> riferimento a Perosa erano la scuola, la chiesa, la pineta,<br />

l’oratorio, i ‘prati’, <strong>il</strong> mulino <strong>di</strong> S. Sebastiano dove viveva<br />

e lavorava <strong>il</strong> nonno. Secondo le stagioni e le scadenze settimanali<br />

ruotavo per questi luoghi. Ma <strong>il</strong> primo momento <strong>di</strong> socialità<br />

è stato quello del cort<strong>il</strong>e. Vari ragazzi della mia età, alcuni artigiani<br />

(materassai, idraulici) e negozi (scarpe, sapone).<br />

C’era un cane, vari gatti. Lì si esploravano le varie cantine e la<br />

soffitta, si saliva sui tetti. Si scavavano fortini nello spazio erboso<br />

centrale.<br />

I Salesiani, invece, erano un punto <strong>di</strong> riferimento sia per la<br />

scuola che per i giochi. Strettamente masch<strong>il</strong>i, l’unico momento<br />

promiscuo era <strong>il</strong> cinema ed i riti religiosi. Mastodontici quelli<br />

delle feste, con le processioni. Teatrini studenteschi.<br />

Nelle vacanze andavo a Chiabrano: lì non mi interrogavo sui<br />

ritmi <strong>di</strong> vita pesanti dei montanari e sulla <strong>di</strong>versa sorte dei miei<br />

coetanei che aiutavano in casa invece che giocare.<br />

Poi c’era <strong>il</strong> CRAL dove andavo a vedere mio padre che giocava<br />

a bocce e talvolta anche guardavo la TV. Qualche volta ho seguito<br />

partite <strong>di</strong> calcio al campo comunale.<br />

Perosa era un paese bloccato da una grossa cappa <strong>di</strong> piombo<br />

che era dovuta all’alleanza tra la chiesa, i salesiani e le fabbriche.<br />

C’era proprio <strong>il</strong> potere dei padroni ed <strong>il</strong> controllo clericale<br />

sulla gente. Sotto <strong>sotto</strong>, certo ne capitavano <strong>di</strong> tutti i colori, ma<br />

155


io non le ho sapute queste cose. Non era una realtà spenta, però<br />

c’era l’omertà.<br />

Io non ho vissuto la vita <strong>di</strong> paese, non ho intessuto dei rapporti<br />

sociali salvo con pochissimi ed ho scoperto <strong>il</strong> gruppo come<br />

qualcosa <strong>di</strong> importante soltanto quando ci siamo spostati a Pinerolo.<br />

Io stavo finendo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are da geometra e siamo venuti a Pinerolo.<br />

Già prima ero nell’Azione Cattolica <strong>di</strong> Perosa, a Pinerolo<br />

ho continuato, poi sono passato nel Movimento Studenti che<br />

era una realtà già <strong>di</strong>versificata rispetto all’impostazione tra<strong>di</strong>zionale.<br />

Mi sono occupato <strong>il</strong> primo anno <strong>di</strong> ecumenismo, nel secondo<br />

anno ho messo su un gruppo, Azione per la Pace. Abbiamo fatto<br />

qualche ricerca, una mostra e basta.<br />

Intanto avevo terminato <strong>il</strong> corso <strong>di</strong> geometra, completamente<br />

senza motivazione.<br />

Mi sentivo un <strong>di</strong>sadattato, pensavo <strong>di</strong> dovermi costruire delle<br />

motivazioni per fare le cose, <strong>di</strong> non averle dentro. Non avevo<br />

delle spinte personali ad andare avanti.<br />

Avevo smesso completamente <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are, sono uscito per un<br />

pelo dall’esame e, nonostante tutto questo, mio padre mi propose<br />

<strong>di</strong> andare all’università! Mi aveva anche proposto <strong>di</strong> entrare<br />

alla Talco con la prospettiva <strong>di</strong> passare capo – e io rifiutai <strong>di</strong>cendomi:“<br />

Ma in nome <strong>di</strong> cosa dovrei comandare qualcuno?”.<br />

All’università lui voleva che facessi Architettura ed io <strong>di</strong>co:“faccio<br />

Agraria e poi magari vado in Africa”. Ho frequentato<br />

due anni <strong>di</strong> Agraria dando tre esami e stu<strong>di</strong>ando pochissimo,<br />

non riuscivo a organizzarmi lo stu<strong>di</strong>o. Mio padre a quel punto<br />

mi blocca: “O vai a fare <strong>il</strong> m<strong>il</strong>itare o stu<strong>di</strong> sul serio”. Io rispondo:<br />

“Vado m<strong>il</strong>itare”.<br />

Mi mandarono negli <strong>Alp</strong>ini: ero andato senza ut<strong>il</strong>izzare <strong>il</strong> <strong>di</strong>ploma<br />

e quin<strong>di</strong> ero soldato semplice, figurarsi se andavo ai corsi<br />

per sottufficiale!<br />

Ho provato a vivere quel periodo secondo le idee che avevo in<br />

quel periodo: <strong>il</strong> <strong>di</strong>scorso della nonviolenza, contestavo la gerarchia<br />

interna alla truppa, dei ‘vecchi’, volevo la libertà <strong>di</strong> opinione,<br />

cercavo <strong>di</strong> leggere i giornali. Nonviolenza voleva <strong>di</strong>re in<br />

156


quel periodo antim<strong>il</strong>itarismo, dopo le letture <strong>di</strong> don M<strong>il</strong>ani,<br />

Gandhi, Capitini. Avevo però <strong>di</strong>fficoltà ed esitazioni a seguire<br />

un percorso coerente.<br />

Cercavo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere qualche testo, avevo la Bibbia e un libro<br />

su Lenin nello zaino, insomma facevo un po’ <strong>di</strong> cose strane per<br />

cui mi hanno subito emarginato e sopportato. Ero ancora una<br />

pecora nera, non c’era <strong>il</strong> Movimento dei soldati: in quanto caso<br />

isolato, potevano permetterselo.<br />

Ho avuto contatti con un soldato <strong>di</strong> Torino, mi pare si chiamasse<br />

Clerico, che si era tolta la <strong>di</strong>visa ed io <strong>di</strong>cevo: “Sono<br />

d’accordo sulle tue idee, ma non mi sento <strong>di</strong> fare questo, penso<br />

che si possa fare molto dall’interno”. Fare dall’interno era la<br />

proposta della formazione politica <strong>di</strong> chi prestava servizio m<strong>il</strong>itare,<br />

unita al teorizzare la ferma ridotta accompagnata ad un<br />

ipotesi <strong>di</strong> servizio civ<strong>il</strong>e per tutti.<br />

Terminato <strong>il</strong> servizio m<strong>il</strong>itare, sono stato un po’ a casa, poi mi<br />

chiama <strong>il</strong> sindaco <strong>di</strong> Pinerolo, democristiano, vicino al Movimento<br />

Studenti, mi chiede cosa faccio e mi propone <strong>di</strong> andare a lavorare<br />

alla Maiera Marmi con una lettera <strong>di</strong> raccomandazione.<br />

Lì dovevo fare l’impiegato, era uno stab<strong>il</strong>imento <strong>di</strong> lavorazione<br />

<strong>di</strong> marmo estratto a Prali, un marmo molto delicato ed in quel<br />

momento forse estratto con delle tecniche sbagliate, per cui era<br />

particolarmente costoso lavorarlo. Mi son trovato da solo a dovermi<br />

organizzare <strong>il</strong> lavoro, non ce l’ho fatta, facevo sovente<br />

delle pessime figure. Veniva un perito della Pininfarina ad insegnarmi<br />

a tenere <strong>il</strong> b<strong>il</strong>ancio <strong>di</strong> produzione. Non gli ho mai confessato<br />

la mia crisi e sono scappato. Quando mi proponevano<br />

<strong>di</strong> fare <strong>il</strong> capoturno per qualche sostituzione, mi trovavo male a<br />

fare <strong>il</strong> sorvegliante degli altri, lo vivevo male.<br />

Ho così approfittato, dopo un anno, del licenziamento <strong>di</strong> una<br />

decina <strong>di</strong> operai e me ne sono andato via anch’io. L’ho motivato<br />

come una specie <strong>di</strong> solidarietà, ma era in fondo uno scappare<br />

dall’impiego, per <strong>il</strong> quale mi sentivo inadatto. In questo periodo<br />

c’è una breve esperienza <strong>di</strong> vita fuori casa, con un amico<br />

<strong>di</strong> Pinerolo, Sasa. Riesco a entrare alla Compak nel reparto tipografico.<br />

Supero la prova come operaio ma <strong>il</strong> padrone si informa<br />

in qualche modo e mi <strong>di</strong>ce l’ultimo giorno: “Adesso non<br />

157


ci servi”. Così resto alcuni mesi <strong>di</strong>soccupato e, non volendo pesare<br />

su altri, rientro in famiglia. In seguito mio padre si trasferisce<br />

in montagna a Chiabrano e io cerco compagnia mettendo<br />

su una piccola comune.<br />

Ho poi trovato un altro lavoro, tramite amici, e provvisorio,<br />

presso l’UPIM. Non era ancora nella sede nuova, ho fatto la<br />

campagna <strong>di</strong> Natale nel reparto giocattoli.<br />

Anche lì mi hanno proposto <strong>di</strong> fare un corso da ‘promotor’:<br />

non sapevo cos’era, e l’ho rifiutato <strong>di</strong>cendo che non volevo far<br />

carriera, non mi interessava.<br />

Hanno riconfermato, dopo qualche mese, l’assunzione, per cui<br />

ero stab<strong>il</strong>e, ma nel frattempo avevo presentato domande alle<br />

fabbriche.<br />

Mi è arrivata una risposta positiva dell’Indesit.<br />

Sono entrato facendo un colloquio pessimo e, nonostante tutto,<br />

mi hanno preso come allievo operatore alle linee sperimentali<br />

<strong>di</strong> ‘timer’.<br />

Anche qui ho preso <strong>sotto</strong>gamba <strong>il</strong> lavoro: bisognava fare dei<br />

controlli ed io mi ero <strong>il</strong>luso <strong>di</strong> aver imparato a memoria <strong>il</strong> co<strong>di</strong>ce,<br />

la sequenza dei controlli da fare. Dopo un po’, con la scusa<br />

che avevo lasciato passare pezzi che andavano scartati, mi<br />

hanno tolto e mandato a lavorare come operaio in produzione<br />

al reparto ‘compressori’ del frigorifero.<br />

Entrando all’Indesit, ho cominciato a sperimentare sul serio<br />

l’organizzazione operaia, non attraverso <strong>il</strong> sindacato che già conoscevo<br />

in<strong>di</strong>rettamente attraverso la Maiera, ma col rapporto<br />

col Circolo Operaio <strong>di</strong> None, una decina <strong>di</strong> compagni che poi<br />

hanno in genere ripreso a stu<strong>di</strong>are. Mi ricordo la povera sede<br />

vicino alla stazione ferroviaria, fredda e scomoda da raggiungere<br />

da Pinerolo. Le frequenti riunioni, certe volte dormivo lì con<br />

<strong>il</strong> sacco a pelo. Il rito del giornalino, <strong>di</strong>ventato una vera sofferenza<br />

perché non preparavo nel tempo <strong>il</strong> materiale e si doveva<br />

‘chiudere’ in tempi fissati, ciclost<strong>il</strong>are, <strong>di</strong>stribuire.<br />

In fabbrica poi c’era la traf<strong>il</strong>a delle ven<strong>di</strong>te, la questione <strong>di</strong> tenere<br />

conto dei sol<strong>di</strong>, inoltre non memorizzavo o non chiedevo i<br />

nomi dei lettori, per cui quando mi dovevano sostituire per le<br />

assenze molti giornali non venivano consegnati.<br />

158


Orso era una figura enorme e per me temib<strong>il</strong>e, ricordo quin<strong>di</strong> soprattutto<br />

le sgridate, le sue ‘rotture’ politiche perio<strong>di</strong>che con le<br />

quali <strong>sotto</strong>lineava la nostra caduta <strong>di</strong> impegno e le crisi politiche.<br />

Avendo perso <strong>il</strong> precedente rapporto del circolo con Lotta Comunista,<br />

spiego <strong>il</strong> mio tar<strong>di</strong>vo interesse per questa frazione (letture<br />

al tempo della Fiat e dopo).<br />

Orso ha raccontato negli anni la sua maturazione e si è fatto<br />

capire meglio, restando una figura importante in vari momenti<br />

della mia variegata esperienza <strong>di</strong> lavoro. In particolare ricordo <strong>il</strong><br />

suo impegno <strong>di</strong> lavoro ai tempi della Cooperativa San Domenico<br />

a Pinerolo. Suo cavallo <strong>di</strong> battaglia era l’aspetto tecnico del<br />

lavoro, insisteva per una critica dei consumi e della produzione,<br />

problema che mi ha coinvolto ma non ho portato avanti nel<br />

tempo. L’esaurimento ha reso una melassa i ricor<strong>di</strong> per cui ora<br />

non riesco a rintracciare molto nelle interminab<strong>il</strong>i riunioni a casa<br />

sua a Torino, con pasti collettivi magari cucinati da sua madre.<br />

Certamente <strong>il</strong> circolo, e quel che è stato negli anni <strong>il</strong> rapporto<br />

politico con Orso, mi ha costruito alcune <strong>di</strong>fese e mi ha<br />

dato strumenti per una relativa tenuta nel tempo. Mi sono però<br />

sempre mancati gli approfon<strong>di</strong>menti e lo stu<strong>di</strong>o sistematico che<br />

Orso riteneva toccassero ai singoli.<br />

Il circolo era un gruppo <strong>di</strong> base che cercava <strong>di</strong> fare un lavoro <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>battito, d’informazione col settimanale ciclost<strong>il</strong>ato ‘la voce del<br />

padrone’ sul territorio e sull’Indesit. Questo rapporto con Orso,<br />

Mario, Giovanna, Luisa, Battista ecc, mi ha messo ‘<strong>sotto</strong> <strong>il</strong> torchio’<br />

dell’attività politica. Ho abbandonato una serie <strong>di</strong> <strong>il</strong>lusioni<br />

e <strong>di</strong> schemi sull’operaio, propri della mia educazione cattolica e<br />

delle letture e frequentazioni <strong>di</strong> ‘Lotta Continua’. Ho cominciato<br />

a fare inchiesta e riflettere sul serio su quanto veniva<br />

dall’esperienza <strong>di</strong> fabbrica.<br />

Il lavoro in fabbrica lo vivevo malissimo, era un lavoro ripetitivo<br />

e terrib<strong>il</strong>mente controllato. Non potevi mollare un secondo,<br />

perché non solo c’erano i capi, ma la sequenza della produzione<br />

– ero con<strong>di</strong>zionato dall’operaio prima <strong>di</strong> me e da quello seguente.<br />

Alla macchina utens<strong>il</strong>e dove lavoravo, una Berar<strong>di</strong> (faceva<br />

f<strong>il</strong>ettature e fresature al ‘corpo’ del compressore del frigo)<br />

e poi alla spazzolatrice in coda al processo, dove mi avevano<br />

159


spostato, avevo fatto un tentativo <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>videre la produzione<br />

sull’arco della giornata, in modo da rendere regolare <strong>il</strong> lavoro, <strong>il</strong><br />

più possib<strong>il</strong>e tranqu<strong>il</strong>lo anche se chiaramente monotono. Invece<br />

non piaceva agli altri operai che alle loro macchine, collegate<br />

da una piccola catena <strong>di</strong> trasporto che faceva da polmone, preferivano<br />

avvantaggiarsi un poco. In questo modo era possib<strong>il</strong>e<br />

recuperare una parte degli inconvenienti tecnici. Io ritenevo la<br />

loro una forma <strong>di</strong> collaborazione con l’azienda. Non collaboravo,<br />

restavo così isolato, mi hanno anche dato dei provve<strong>di</strong>menti<br />

<strong>di</strong>sciplinari per questo.<br />

Avevo accettato <strong>di</strong> far parte della Commissione ambiente, una forma<br />

non elettiva <strong>di</strong> organizzazione sindacale in fabbrica, era prevista<br />

dall’accordo aziendale. Anche lì sono stato castagnato perché <strong>il</strong><br />

Consiglio <strong>di</strong> fabbrica non copriva le iniziative che prendevo, perché<br />

ero in posizione conflittuale. La <strong>di</strong>rezione giocava sulle contrad<strong>di</strong>zioni<br />

della <strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> fabbrica, io credevo invece <strong>di</strong> avere maggiore<br />

autonomia <strong>di</strong> movimento e mi sbagliavo. Il primo anno dell’Indesit<br />

ero pieno <strong>di</strong> volontà e un po’ in<strong>di</strong>pendente, così rosicchiando<br />

<strong>il</strong> tempo libero e con permessi andavo a Perosa al Collettivo Operaio<br />

che seguiva gli stab<strong>il</strong>imenti tess<strong>il</strong>i. Esisteva già un Collettivo operai<br />

studenti, che pubblicava un giornalino e teneva corsi per la<br />

licenza me<strong>di</strong>a alla sera.<br />

Volevamo però, con Giovannino e Beniamino da Agape, Adelina<br />

ed altri lavoratori, impostare un lavoro sulla fabbrica della<br />

Gutermann.<br />

Finì senza gloria quando, dopo vari avvenimenti, attaccammo<br />

l’accordo sugli straor<strong>di</strong>nari ed <strong>il</strong> consiglio <strong>di</strong> fabbrica firmò<br />

all’unanimità un articolo sull’ECO che ci criticava duramente.<br />

Ho così accumulato tutta una serie <strong>di</strong> provve<strong>di</strong>menti <strong>di</strong>sciplinari<br />

<strong>di</strong> vario genere e nell’ottobre del 1974, approfittando <strong>di</strong> una assenza<br />

al turno del mattino, mi <strong>di</strong>edero <strong>il</strong> terzo provve<strong>di</strong>mento<br />

<strong>di</strong>sciplinare per assenza ingiustificata. Gli altri erano dovuti a<br />

irregolarità con la mutua, questo per <strong>il</strong> fatto che dovevo presentarmi<br />

al mattino (avendo chiesto un cambio turno) ma la notte<br />

ero stato sveglio a preparare la mostra per l’autoriduzione delle<br />

bollette dell’Enel.<br />

160


Quando vado giù a None, chiedo <strong>il</strong> permesso <strong>di</strong> lavorare al pomeriggio,<br />

ma <strong>il</strong> capo officina mi risponde: “Non te lo <strong>di</strong>amo, sei<br />

sospeso”.<br />

Allora sono andato a Torino alla CISL (ero iscritto alla FLM)<br />

ma conoscevo qualcuno all’ufficio vertenze. Mi hanno r<strong>il</strong>asciato<br />

un foglio che giustificava la mia assenza, l’ho presentato ma<br />

non l’hanno accettato. Mi hanno licenziato dopo una settimana<br />

<strong>di</strong> sospensione.<br />

Sono stato un po’ <strong>di</strong> mesi a bagno maria, poi c’è stata l’u<strong>di</strong>enza<br />

in pretura, ma quando <strong>il</strong> pretore <strong>di</strong>sse: “O vi mettete d’accordo<br />

o decido io”, mi sono sentito espropriato completamente, mi<br />

sono consultato con alcuni delegati venuti in Tribunale ed ho<br />

deciso <strong>di</strong> ritirarmi e patteggiare. Pensavo che la mia storia fosse<br />

un po’ <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e da spiegare, poteva essere pericolosa anche per<br />

altri. Ho monetizzato alla carlona, mi hanno pagato da ottobre<br />

a marzo – data del processo.<br />

Intanto avevo lasciato forzatamente i rapporti <strong>di</strong> riunione con <strong>il</strong><br />

Circolo Operaio <strong>di</strong> None, nel senso che, non essendo più<br />

all’Indesit, non avevo le motivazioni per seguire dall’esterno, da<br />

Pinerolo, questa situazione. Poi avevo un po’ <strong>di</strong> vergogna: Orso<br />

mi aveva mazziato per <strong>il</strong> licenziamento. Avevo alla fine trovato<br />

uno sbocco mettendo su, con altri compagni, la sezione dello<br />

Pdup <strong>di</strong> Pinerolo, molto improvvisata. All’interno seguivo <strong>il</strong><br />

gruppetto delle piccole fabbriche. Nel Partito <strong>di</strong> unità proletaria<br />

c’era un <strong>di</strong>screto numero <strong>di</strong> compagni. Gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>scussioni ma<br />

poco <strong>di</strong> concreto, quin<strong>di</strong> preferii de<strong>di</strong>carmi ai più giovani, un<br />

gruppo <strong>di</strong> operai <strong>di</strong> piccole fabbriche. Proposi <strong>il</strong> giornalino ‘<strong>sotto</strong>padrone’.<br />

Lo ciclost<strong>il</strong>avamo nella parrocchia della Tabona <strong>di</strong><br />

don Buffa. Ma i ragazzi non erano molto convinti della mia<br />

proposta <strong>di</strong> legare al lavoro politico tra<strong>di</strong>zionale un’inchiesta<br />

sulla con<strong>di</strong>zione giovan<strong>il</strong>e e la vita famigliare.<br />

Nel gruppo delle piccole fabbriche veniva anche Agnese, con<br />

cui avevo iniziato un complicato rapporto <strong>di</strong> coppia. Da una <strong>di</strong>scussione<br />

con lei – che ritenevo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo in quanto intel-lettuale<br />

– venne la mia decisione <strong>di</strong> uscire dal gruppo giovani. Il giornalino<br />

uscì ancora con qualche numero e poi finì. La storia si chiuse con<br />

la confluenza, con Avanguar<strong>di</strong>a Operaia, in Democrazia Proleta-<br />

161


ia, che ebbe una storia più ricca. Abbandonai lo Pdup alla fine<br />

della campagna elettorale del 1975: deposi la tessera dopo aver<br />

visto <strong>di</strong>scutere Avanguar<strong>di</strong>a Operaia e Pdup sulla spartizione dei<br />

sol<strong>di</strong> <strong>di</strong> una festa. Era stata presentata una lista come Democrazia<br />

Proletaria, venne eletto Giorgio Gar<strong>di</strong>ol.<br />

Avanguar<strong>di</strong>a Operaia: resta un mistero, non avendola frequentata<br />

molto. Mi erano poco simpatici vari intellettuali presenti.<br />

Era un gruppo molto forte.<br />

Nel frattempo, mentre finivano i sol<strong>di</strong> dell’Indesit, cercavo <strong>di</strong> imparare<br />

a fare <strong>il</strong> tornitore e <strong>il</strong> fresatore in una piccola officina, da<br />

un artigiano, facendo un po’ <strong>di</strong> lavoro nero. Ma non ero assiduo<br />

e attento, per cui, dopo le elezioni, a giugno trovo un lavoro come<br />

e<strong>di</strong>le nel cantiere Borini che costruiva <strong>il</strong> <strong>nuovo</strong> liceo scientifico<br />

<strong>di</strong> Pinerolo. Ero manovale e mi trovai <strong>di</strong> <strong>nuovo</strong> in crisi, non<br />

mi ricordavo nemmeno le nozioni tecniche della scuola <strong>di</strong> geometra.<br />

Ma, rendendosi conto che non avevo esperienza, mi misero<br />

nel gruppo del montaggio dei prefabbricati e mi son trovato<br />

bene. Negli e<strong>di</strong>li c’era l’obbligo <strong>di</strong> fare la scelta confederale e così<br />

mi iscrivo alla CGIL. A gennaio del ‘76, quando già pensavo a<br />

cosa fare dopo <strong>il</strong> cantiere, ebbi un infortunio, una scossa elettrica.<br />

Mi era stato segnalata la possib<strong>il</strong>ità <strong>di</strong> entrare in Fiat. Fatta la<br />

domanda, mi mandarono a chiamare. Mi sono presentato provato<br />

fisicamente, ancora col dolore al braccio sinistro. Mi misero<br />

alle Presse <strong>di</strong> Rivalta. Mi sono trovato così <strong>di</strong> <strong>nuovo</strong> in fabbrica<br />

quasi per miracolo. I primi mesi sono stato tranqu<strong>il</strong>lo cercando <strong>di</strong><br />

capire l’ambiente e accettando l’impostazione interna del lavoro.<br />

Poi ho cominciato a reagire, ho cioè cominciato a vedere quali<br />

erano dentro la fabbrica le tecniche <strong>di</strong> resistenza degli operai più<br />

anziani e a ragionarci sopra. Infatti ad un certo punto un capo mi<br />

<strong>di</strong>ce: “Tu una volta eri un buon operaio ma adesso stai cominciando<br />

a cambiare” e io rispondo: “Sto cominciando ad usare la<br />

testa e non solo le mani”.<br />

Da tempo collaboravo a “Il giornale <strong>di</strong> Pinerolo e Valli” e cominciai<br />

a ut<strong>il</strong>izzarlo per dare informazioni sulla Fiat. Per tutto <strong>il</strong><br />

‘76 e <strong>il</strong> ‘77 c’è una serie <strong>di</strong> interventi. Nel ‘78, dopo la rinuncia<br />

della redazione, lo pren<strong>di</strong>amo in mano con un <strong>nuovo</strong> gruppo –<br />

operai del Circolo Operaio <strong>di</strong> None ed altri – e proviamo a ge-<br />

162


stirlo noi. Mi occupavo della raccolta degli articoli e della tipografia.<br />

Era un lavoro massacrante fatto da solo, per <strong>di</strong> più invece<br />

<strong>di</strong> pubblicare solo due pagine come previsto, siamo usciti<br />

con quattro. In questo modo non si doveva selezionare i testi,<br />

ma le spese erano superiori. Abbiamo resistito fino a luglio e<br />

poi abbiamo deciso <strong>di</strong> chiudere perché non riuscivamo ad allargare<br />

<strong>il</strong> <strong>di</strong>battito e la <strong>di</strong>ffusione. Così, per carenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito,<br />

prima <strong>di</strong> restare a secco, chiu<strong>di</strong>amo <strong>il</strong> giornale definitivamente e<br />

restituiamo per vaglia i sol<strong>di</strong> avanzati.<br />

Intanto entrano in fabbrica i nuovi assunti. Vado in crisi perché<br />

punto molto su <strong>di</strong> loro sperando in un cambiamento dell’organizzazione<br />

del lavoro attraverso i loro comportamenti <strong>di</strong> rottura.<br />

Si presentano apparentemente come molto politicizzati, molti<br />

hanno stu<strong>di</strong>ato o continuano; sono quin<strong>di</strong> attenti alle cose ma è<br />

molto <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e trovare un accordo sulle forme <strong>di</strong> lotta e le iniziative<br />

da prendere. Poi si costituisce un Collettivo <strong>di</strong> Autonomi<br />

che prende alcune iniziative sugli straor<strong>di</strong>nari e cerca anche <strong>di</strong><br />

organizzare lotte interne. Io non vado alle loro riunioni, perché<br />

turbato dal loro retroterra possib<strong>il</strong>e <strong>di</strong> convergenza con l’ala m<strong>il</strong>itare.<br />

Cerco invece <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere in fabbrica anche con loro, <strong>di</strong><br />

organizzare qualcosa e ut<strong>il</strong>izzo <strong>il</strong> “bollettino interno delle Presse”<br />

con cui cerco <strong>di</strong> sostituire <strong>il</strong> Giornale <strong>di</strong> Pinerolo e Valli,<br />

cerco <strong>di</strong> offrire uno spazio <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito. Ogni tanto qualche operaio<br />

dava una mano e delle idee. Era <strong>il</strong> tempo buio delle BR ed<br />

era <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>e spiegare la posizione critica sia nei confronti loro<br />

che dello stato e della Fiat. Ero apparentemente molto freddo e<br />

cercavo <strong>di</strong> ragionare anche sui fatti più grossi e <strong>di</strong>ffic<strong>il</strong>i. Il lavoro<br />

del bollettino mi costò alcune motivazioni del licenziamento del<br />

’79. In quel periodo misi in fumetto i commenti e i testi <strong>di</strong> Orso<br />

sull’assenteismo nelle gran<strong>di</strong> fabbriche. Lo <strong>di</strong>ffondemmo in Fiat<br />

e Indesit. Preparammo anche un testo sul contratto dei metalmeccanici<br />

che però non pubblicammo. Nello stesso tempo andai<br />

per alcuni mesi alla Commissione tributaria <strong>di</strong> Pinerolo, ne<br />

uscii con un ciclost<strong>il</strong>ato <strong>di</strong> commento. Frequentai anche un corso<br />

delle 150 ore sulla coscienza <strong>di</strong> classe con Marco Revelli.<br />

Con vari <strong>di</strong>soccupati mettemmo in pie<strong>di</strong> un lavoro sul colloca-<br />

163


mento a Pinerolo. Finì con una vertenza dei <strong>di</strong>soccupati sulla<br />

Galup, in piene elezioni europee 1979.<br />

Uno degli unici terreni <strong>di</strong> lavoro sul quale riusciamo a metterci<br />

d’accordo sono le lotte contro gli infortuni o <strong>il</strong> loro rischio. Cadono<br />

degli stampi ripetutamente, ogni tanto fermiamo <strong>il</strong> lavoro,<br />

protestiamo. Un’altra occasione, dove però non ci unifichiamo,<br />

è l’azione per un operaio mandato al confino, Tolino, facciamo<br />

una raccolta <strong>di</strong> firme, ottenendo l’intervento del Consiglio <strong>di</strong><br />

fabbrica <strong>di</strong> Rivalta, che prende posizione. Quello delle presse<br />

non ci aveva appoggiati. Anche lì non si raggiunge un risultato,<br />

perché sparisce dal confino e non abbiamo più contatti. Si<br />

chiedeva la garanzia del posto <strong>di</strong> lavoro. La racconto tutta al<br />

plurale, ma è stata una iniziativa personale, compreso <strong>il</strong> viaggio<br />

in Toscana e l’incontro con Tolino per spiegargli questo tentativo<br />

<strong>di</strong> salvargli <strong>il</strong> posto quando fosse finito <strong>il</strong> confino. Ma al ritorno<br />

– ero andato con Orso che mi aveva pagato <strong>il</strong> viaggio<br />

perché io avevo speso i sol<strong>di</strong> del premio per una macchina da<br />

scrivere elettrica – i carabinieri dalla Toscana mi avvisano che è<br />

sparito dal confino. In questo caso si è proprio realizzato quanto<br />

scrivevamo: la repressione spinge compagni nel ‘terrorismo’.<br />

Nell’88, dopo misteriosi avvenimenti, è stato estradato in Italia<br />

come <strong>di</strong>rigente delle UCC.<br />

L’altra cosa <strong>di</strong> massa sulla quale si va d’accordo, più pericolosa<br />

nei confronti dell’azienda, è l’autoriduzione della produzione.<br />

L’unica forma <strong>di</strong> resistenza ai ritmi non erano scioperi regolari<br />

tra<strong>di</strong>zionali, ma era la limitazione della produzione. Era ottenuta<br />

attraverso vari accorgimenti: bloccare le presse, non segnalare<br />

subito i guasti – cioè i bolli degli imbutiti per la carrozzeria –<br />

per cui dopo un po’ si facevano molti scarti, ed altre forme <strong>di</strong><br />

non collaborazione.<br />

Questa pratica era solo l’allargamento della pratica dei vecchi,<br />

però fatta da molti nuovi assunti in forma massiccia. Era ritenuta<br />

una forma <strong>di</strong> lotta giusta contro <strong>il</strong> rumore, i ritmi.<br />

Il problema è stato lo sbocco organizzativo. Avremmo dovuto<br />

avere un gruppo <strong>di</strong> delegati con noi, non siamo riusciti ad esprimerli.<br />

164


Il problema dell’elezione dei delegati è stato sempre molto <strong>di</strong>scusso.<br />

Io sono stato eletto ma ho rifiutato perché la scelta mi<br />

sembrava dovuta al paternalismo del consiglio <strong>di</strong> fabbrica piuttosto<br />

che ad una reale volontà della squadra <strong>di</strong> portare avanti<br />

riven<strong>di</strong>cazioni. Era la risoluzione <strong>di</strong> un problema <strong>di</strong> rappresentanza<br />

e non la preparazione <strong>di</strong> una <strong>di</strong>fesa con la lotta.<br />

Si arriva così all’ottobre-novembre del ‘79, dopo <strong>il</strong> contratto aziendale,<br />

e scoppia la grana dei 61.<br />

Io stavo già crollando per lo stress e le contrad<strong>di</strong>zioni. Con <strong>il</strong><br />

licenziamento dalla Fiat inizia la fase <strong>di</strong> esaurimento ed esaltazione<br />

che durerà due anni, con in mezzo un periodo <strong>di</strong> lavoro<br />

alla cartiera <strong>di</strong> Abba<strong>di</strong>a ed un breve passaggio al cimitero a Pinerolo.<br />

Io ero malato <strong>di</strong> influenza, mi han telefonato a casa. Non sapevo<br />

cosa fare.<br />

Ho così scritto e stampato un volantino. L’ho mandato a Rivalta,<br />

l’han <strong>di</strong>ffuso forse soltanto alle Presse. Poi è comparso su<br />

‘Lotta Continua’. Giorgio Bocca su ‘Repubblica’ l’ha ripreso e<br />

attaccato.<br />

Ho resistito forse per qualche mese, o meno, ancora lucido in<br />

due o tre <strong>di</strong>battiti, analizzando la mia vita <strong>di</strong> fabbrica e che cosa<br />

poteva essere successo. Poi sono crollato psicologicamente. Ho<br />

cominciato a pensare che quella era la manifestazione <strong>di</strong> una<br />

Apocalisse in arrivo, un enorme complotto, qualcosa <strong>di</strong> molto<br />

grande.<br />

Cercavo <strong>di</strong> sfuggire al problema reale, costruendo un’interpretazione<br />

che coinvolgesse maggiormente gli altri.<br />

Quando ero entrato in Fiat mi ero sposato con Agnese, che ancora<br />

stu<strong>di</strong>ava e stava preparando la tesi in storia. Quando mi<br />

hanno licenziato l’ho lasciata l’anno dopo, anche perché era<br />

convinta che fossi un terrorista. Di fatto io stavo male, e mio<br />

padre mi ha convinto ad andare con lui a Chiabrano per curarmi<br />

dopo <strong>il</strong> licenziamento.<br />

Ho passato un anno in crisi, in solitu<strong>di</strong>ne. Poi sono riuscito a<br />

trovare un lavoro attraverso <strong>il</strong> Collocamento <strong>di</strong> Pinerolo alla<br />

Cartiera <strong>di</strong> Abba<strong>di</strong>a. Ho resistito da apr<strong>il</strong>e fino all’Epifania<br />

dell’81, poi <strong>di</strong> <strong>nuovo</strong> ho patito una forma <strong>di</strong> esaurimento ner-<br />

165


voso. Mi sono sfogato, ho fatto una serie <strong>di</strong> cose. Avevo, per<br />

settimane, in primavera ’81, ‘cantato <strong>il</strong> maggio’ che veniva, seduto<br />

sull’erba dei giar<strong>di</strong>ni della stazione a Pinerolo. Invocavo,<br />

in ‘mi maggiore’ monotono, i bonzi, i santoni immob<strong>il</strong>i<br />

dell’In<strong>di</strong>a, perchè si facessero vivi e dessero forza alla mia <strong>di</strong>sperata<br />

impotenza <strong>di</strong> uomo. E poi ho regalato la chitarra e i<br />

suoi pendagli rossi <strong>di</strong> cotone a un bambino sconosciuto che<br />

ogni tanto mi veniva a trovare nel prato.<br />

Ho avuto tre ricoveri in ospedale, in psichiatria. In questo periodo<br />

mi stava vicino Maria Teresa, abito con lei in Via del Pino<br />

9 a Pinerolo e poi a San Germano, ai tigli. Durerà fino a quando<br />

comincia <strong>il</strong> lavoro in miniera. Alternavo allora la vita a<br />

Chiabrano a quella a S.Germano. Ad un certo punto ci siamo<br />

lasciati.<br />

In mezzo ho trovato un <strong>nuovo</strong> lavoro a termine come becchino<br />

a Pinerolo per tre mesi, ho resistito un mese e poi me ne sono<br />

andato perché non ce la facevo più a reggere l’ambiente.<br />

All’inizio l’avevo preso con molta allegria.<br />

Dopo l’ultimo ricovero in ospedale mi han proposto <strong>di</strong> andare<br />

alla Cascina della Speranza <strong>di</strong> don Buffa, una comunità <strong>di</strong> ragazzi<br />

e adolescenti. Sono stato a ‘lavorare’ lì per 5 mesi con un<br />

piccolo contributo in denaro che ho restituito senza interessi al<br />

momento del pensionamento nel 2002. Mi veniva data una<br />

somma (200.000 <strong>di</strong> allora raccolte in un gruppo <strong>di</strong> sostenitori)<br />

ogni mese, ritornavo a casa la sera.<br />

In realtà non riuscivo a dare molto, né sul piano del lavoro nella<br />

campagna, né sul piano del rapporto coi ragazzi. Don Buffa<br />

era stato prete operaio, lavorando alla Marini <strong>di</strong> Luserna e alla<br />

Fiat <strong>di</strong> Rivalta dove era stato delegato <strong>di</strong> produzione. Ora seguiva<br />

questa nuova esperienza e mi aveva offerto una possib<strong>il</strong>ità,<br />

dopo che avevo confessato che forse non ero fatto per <strong>il</strong> lavoro<br />

<strong>di</strong> fabbrica.<br />

Così, messi a posto i libretti <strong>di</strong> lavoro rispetto alla nuova residenza<br />

che avevo a Chiabrano con mio padre, sono andato alla<br />

chiamata a Perosa per lavorare in miniera. Mi hanno assunto a<br />

settembre del 1982.<br />

166


In miniera ho trovato un sindacato, una forza lavoro, un ambiente<br />

e una organizzazione produttiva <strong>di</strong>versissimi da quelli<br />

delle gran<strong>di</strong> fabbriche che avevo conosciuto. Ad esempio, mentre<br />

alcune lavorazioni erano più regolamentate, c’erano invece<br />

margini <strong>di</strong> manovra sulla quantità nella fase estrattiva, e si facevano<br />

per questo molte <strong>di</strong>scussioni. In effetti nei cantieri migliori<br />

la <strong>di</strong>rezione non fissava la quantità <strong>di</strong> talco da produrre, la fissava<br />

solo nelle me<strong>di</strong>e, e <strong>di</strong>ceva “caricate finché l’orario e le<br />

con<strong>di</strong>zioni ve lo permettono”. Non si lavorava quin<strong>di</strong> allo spasimo,<br />

si faceva quel che si pensava giusto e comunque variando<br />

<strong>di</strong> giorno in giorno secondo cosa succedeva nel cantiere. Si<br />

lasciava <strong>di</strong> solito <strong>il</strong> lavoro sufficiente per <strong>il</strong> turno dopo, se c’era<br />

tanto talco non si lavorava da matti per portarlo via tutto e lasciare<br />

a loro solo <strong>il</strong> lavoro ‘improduttivo’ <strong>di</strong> preparazione, se ne<br />

lasciava un po’. Questo era soggettivo.<br />

Erano comunque comportamenti ormai attaccati alla ra<strong>di</strong>ce dalla<br />

ristrutturazione della T&G e lo sarebbero stati ancora <strong>di</strong> più con la<br />

venuta della multinazionale Talc de Luzenac dal 1990.<br />

Per due anni, a cavallo del cambio <strong>di</strong> proprietario, sono stato<br />

anche delegato al 1400, senza gran<strong>di</strong> risultati.<br />

In fondo restavo segnato e <strong>di</strong>verso per le mie parentele legate<br />

alla miniera, per l’esperienza della scuola, per non parlare patois,<br />

per una variopinta esperienza politica precedente. Due licenziamenti<br />

mi avevano segnato e soprattutto non volevo mettere<br />

altri a rischio con posizioni avventate o minoritarie. Le agitazioni<br />

sindacali non erano frequenti ma rivelavano sempre una<br />

capacità dei minatori <strong>di</strong> tenere in riga i sindacalisti.<br />

Il lavoro in miniera l’ho preso un po’ come <strong>il</strong> ritorno dentro ‘la<br />

grande mamma’ storica della mia famiglia. Molti dei miei antenati<br />

e parenti hanno lavorato in miniera giungendo a funzioni<br />

<strong>di</strong> comando (caposquadra, caposervizio, <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> stab<strong>il</strong>imento.<br />

sorvegliante ecc.).<br />

Niente del lavoro manuale della miniera da parte <strong>di</strong> questi mi<br />

era stato trasmesso. Era una cosa molto lontana.<br />

All’inizio avevo in testa questa concezione del lavoro: mi pareva<br />

che potrebbe servire per arrivare fino al livello minimo delle<br />

167


marche contributive, poi potrei cambiare lavoro. Andare magari<br />

in In<strong>di</strong>a – non lavorare tutta la vita <strong>di</strong> f<strong>il</strong>a come mio padre.<br />

Tutta questa riflessione era dovuta in parte al fatto che ora vivevo<br />

con mio padre e avevo lasciato la moglie, per cui potevo<br />

‘permettermi’ delle <strong>il</strong>lusioni, <strong>di</strong> poter uscire dal lavoro salariato.<br />

Di fatto sono rimasto in <strong>di</strong>tta, anche se non più in miniera, fino<br />

alla mob<strong>il</strong>ità e alla pensione (2002). Diventava appetib<strong>il</strong>e<br />

l’obiettivo della pensione anticipata come minatore. Con <strong>il</strong> contributo<br />

importante del mio spostamento all’esterno dopo due<br />

anni <strong>di</strong> delegato e un ritorno <strong>di</strong> sofferenza psichica dovuta al<br />

lavoro ai fianchi che alcuni minatori mi facevano giocando sul<br />

mio passato. Nei fatti la <strong>di</strong>rezione ha giocato una carta <strong>di</strong> emarginazione,<br />

perché da allora, pur continuando ad occuparmi <strong>di</strong><br />

problemi sindacali e politici – avevo infatti ripreso un po’ <strong>di</strong> impegno<br />

– i compagni <strong>di</strong> lavoro han fatto sovente pesare che avevo<br />

un lavoro più leggero e vario. Infine, stab<strong>il</strong>izzante è stato,<br />

proprio nell’85, l’inizio del rapporto con Daniela che sarebbe<br />

<strong>di</strong>ventata mia moglie. La nascita <strong>di</strong> Simone apriva prospettive<br />

‘più normali’ <strong>di</strong> vita, dopo tutti quegli anni passati a muovermi<br />

confusamente <strong>di</strong> fabbrica in fabbrica. Inoltre potevo affrontare<br />

meglio i problemi famigliari per <strong>il</strong> fatto <strong>di</strong> avere due red<strong>di</strong>ti in<br />

casa. Erano importanti cambiamenti che con<strong>di</strong>zionavano le<br />

prospettive e davano continuità. Nel 1995 avevo contribuito a<br />

fondare <strong>il</strong> sindacato pinerolese <strong>di</strong> base ALP, poi aderente alla<br />

CUB. Per due anni ho preso la tessera <strong>di</strong> Rifondazione C., poi<br />

sono tornato a fare l’appren<strong>di</strong>sta-comunista.<br />

Infine <strong>il</strong> trasferimento al Mulino <strong>di</strong> Malanaggio, prima come operaio<br />

al laboratorio chimico, poi l’ultimo anno un po’ <strong>di</strong> mobbing<br />

con lavori <strong>di</strong> contab<strong>il</strong>ità per cui non ero preparato. Infine,<br />

a gennaio 2002, la mob<strong>il</strong>ità e, a ottobre 2002, la pensione <strong>di</strong><br />

vecchiaia a 55 anni ut<strong>il</strong>izzando lo sconto dovuto al lavoro in<br />

miniera.<br />

168


169

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!