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Osservazioni intorno agli animali viventi

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prima edizione fiorentina. (Fig. XI e XII della Tav. I). Nelle faine però non solo ho<br />

trovato sotto la pelle i sovrammentovati vermini bianchi in figura di lombrichi sciolti,<br />

ed a lor voglia vaganti, ma di più, scorticate altre faine, mi sono imbattuto a veder tutte<br />

le loro carni esternamente tempestate di certi bitorzoli o glandule di color bianchiccio, le<br />

rnaggiori delle quali erano quanto una mandorla schiacciata e monda, altre nella<br />

grandezza e nella figura simili ad un lupino, altre simili alle lenti, ed altre lunghette in<br />

foggia di un pinocchio mondato. Alcune di esse racchiudevano un solo de’ suddetti<br />

sottilissimi lombrichi bianchi, alcune non ne racchiudevano un solo, ma due e tre ed<br />

anco quattro. In alcune altre non vi si trovava niun verme, ma una materia bianca simile<br />

al burro ed al sego, della qual materia bianca se ne trovava talvolta qualche poca in<br />

quelle stesse glandule attualmente abitate da’ vermi. Di tali glandule verminose, non<br />

maggiori delle lenti e de’ granelli di grano, ne ho vedute soventemente tra tunica e<br />

tunica dello stomaco medesimo.<br />

Da’ cacciatori del Serenissimo Granduca fu pigliata alle t<strong>agli</strong>uole una martora.<br />

Nell’osservar le sue viscere io vidi che il rene destro era, secondo il solito e naturale<br />

stato, non più grosso di una castagna: ma il rene sinistro a prima fronte mi apparve<br />

sfoggiatamente cresciuto in foggia di una grandissima borsa. Aperta questa borsa, fatta<br />

dalle sole e nude e smunte sottilissime tuniche del rene, in vece del parenchima di esso<br />

rene, vi trovai raggruppato uno sterminatissimo lombrico morto, lungo un braccio e tre<br />

soldi di misura fiorentina, e grosso quanto l’estremità del mio dito minore della mano,<br />

come nella Fig. IX, 1, se ne può considerar la figura, presa per appunto con le seste.<br />

Volendo far vedere <strong>agli</strong> amici così fatto verme, e temendo che nel corso della notte non<br />

si rasciugasse, lo posi la sera in una catinella, nel di cui fondo aggiunsi qualche quantità<br />

di acqua di fiori di mortella: ma la mattina seguente l’osservai un poco assottigliato, ma<br />

nella lunghezza, il che è da considerarsi, così cresciuto che arrivava alla misura di un<br />

braccio e due terzi, avendo imbevuta e succiata una buona parte di quell’acqua di<br />

mortella.<br />

Pochi giorni dopo nel rene sinistro di un cane trovai un lombrico di lunghezza<br />

totalmente simile a quello della martora, ma un poco più sottile: anco questo era morto,<br />

e conservava un colore di scarlatto vivissimo, e stavasene rinchiuso nelle tuniche del<br />

rene di già consumato; e le tuniche eran diventate grosse, polpute e di sustanza, per così<br />

dire, glandulosa. Tali lombrichi abitatori ne’ reni de’ cani furono anticamente osservati<br />

dal dottissimo Andrea Cesalpino di Arezzo, che fu uno de’ primi scopritori della<br />

circolazione del sangue. Furono osservati parimente e mentovati da Tommaso<br />

Bartolino, da Francesco Delestanghio, da Giorgio Wolfio, da Goffredo Egenizio, da<br />

Teodoro Cherchringhio e dal diligentissimo e cotanto benemerito della repubblica<br />

anatomica Gherardo Blasio, nelle sue <strong>Osservazioni</strong> Anatomico-pratiche, negli uomini e<br />

ne’ bruti. Nello stesso tempo e nello rene sinistro di una cagna gravida vidi un altro<br />

lombrico, in tutto e per tutto simile al sopraddetto, il quale non solamente<br />

raggomitolavasi nella borsa delle ringrossate tuniche del rene, ma di più entrava per<br />

cinque o sei dita nel canale dell’uretere, dilatato molto più del naturale; sicché non<br />

potendo per esso canale dell’uretere scender l’urina, la gran borsa delle tuniche del rene<br />

erane tutta piena, e vi giaceva il sovraddetto lunghissimo lombrico, accompagnato da un<br />

altro molto di lui minore. E tuttaddue, ancorché morti, mostravano quello stesso<br />

accesissimo colore di scarlatto; tuttaddue parimente, tenuti da me per una notte<br />

nell’acqua, si allungavano come quello della martora, avendo imbevuta molta di<br />

quell’acqua, la quale non penetrava in essi né per la bocca né pel forame dell’ano, ma<br />

bensì per i pori della pelle; imperocché, quando mi venne curiosità di osservare le loro

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