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Osservazioni intorno agli animali viventi

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Il simile avvenne in tre galletti, feriti con differenti capi di vipere il giorno dodici di<br />

maggio, settantotto ore dopo che furono ammazzate; ímperocché due in breve tempo se<br />

ne morirono, ed il terzo, che era più grosso e più durotto degli altri due, stentò quattro<br />

buon’ore prima che basisse.<br />

Adì tredici di maggio, centodue ore appresso la morte delle vipere, feci mordere<br />

replicatamente tre pollastrini. Due di essi morirono tre ore dopo, l’uno appresso l’altro:<br />

ma il terzo, ancorché avesse patito molti tremiti e molte piccole convulsioncelle, non<br />

morì.<br />

Il giorno seguente, centoventisei ore dopo la morte delle vipere, feci mordere tre<br />

piccioni torraiuoli e un galletto. I piccioni morirono tutti e tre nello spazio di cinqu’ore,<br />

chi prima e chi poi; il galletto morì dieci ore dopo l’essere stato ferito.<br />

Adì quindici di maggio, centocinquanta ore dopo la morte delle vipere, feci la stessa<br />

esperienza in tre galletti, e non ne morì veruno, siccome non ne morì veruno di tre altri<br />

che ferii il giorno seguente, centosettantaquattro ore dopo che le vipere furono<br />

ammazzate. Ma per dire il vero, in questi due ultimi giorni le teste delle vipere erano<br />

diventate puzzolenti, guaste e verminose, e facilissimamente si spappolavano in mano, e<br />

con molta difficoltà con esse teste s’imprimeva la morsura, perché i denti non<br />

reggevano, e le guaine de’ denti erano rose e lacerate.<br />

A mezzo il mese di giugno replicai le suddette prove con capi morti delle vipere, e<br />

sempre ne avvenne la morte degli <strong>animali</strong> feriti: ma non potei continuarle se non tre sole<br />

giornate, perché dal gran caldo le teste erano ad una totale e fetentissitna corruttela<br />

pervenute, e le mosche le aveano fatte più che abbondantemente inverminare; e lo stesso<br />

mi avvenne al principio di agosto.<br />

Nel tempo di queste prime esperienze ed in quello parimente delle seconde e delle<br />

terze, fatte per ritrovare quanti giorni duri il veleno nelle teste delle vipere morte, feci<br />

con ogni possibile diligenza seccare alcuni capi di esse vipere, avendo ben l’occhio che<br />

non inverminassere, e che nel seccarsi rimanessero con la bocca spalancata, e co’ denti<br />

canini o maggiori sguainati fuor delle loro guaine in atto di mordere. Dopo molti e molti<br />

giorni che furono ben rasciutti e seccati, ferii al petto ed alle cosce, con essi capi alcuni<br />

colombi e pollastri, ma senza che ne avvenisse loro alcun male o pericolo di morire.<br />

In questo mentre avea cavato dalla bocca di molte vipere morte di fresco, e dalle<br />

guaine de’ loro denti, molto di quel liquor giallo e velenoso che vi stagna; con esso<br />

liquore unsi ed impiastrai molti fuscelletti di scopa ben aguzzati; lasciai che si<br />

rasciugassero, e poscia con liquor nuovo gli rimpiastrai grossamente, e rasciutti che<br />

furono, gli riposi in vaso di vetro ben serrato. E lasciato passare un mese ed anco<br />

quaranta giorni, feci la prova del lor veleno, e trovai che in brev’ora morirono tutti<br />

quanti que’ colombi e que’ pollastri, a’ quali piantai profondamente nella parte carnosa<br />

del petto un di quei fuscelletti spalmati di veleno viperino, in modo che il fuscelletto<br />

rimanesse ricoperto dalla pelle e non potesse uscirne, o esserne facilmente cavato. É<br />

facile il rintracciare per qual cagione le punture delle teste delle vipere seccate non<br />

avvelenino, ed i fuscelli impiastrati col loro liquore velenoso facciano morire,<br />

imperocché la puntura impressa dalla testa secca è una semplice e momentanea puntura<br />

del dente, che non lascia liquor velenoso nella piaga: ma il fuscelletto impiastrato,<br />

essendo fitto altamente nella carne e quivi stando qualche tempo, succede che il veleno,<br />

seccato sopra il fuscello, si ammorvidisce e si rinviene, e rinvenuto si rende abile a<br />

penetrare ne’ fluidi del corpo ed a cagionar la morte. Né si dubiti che il morire de’<br />

suddetti colombi e pollastrini fosse cagionato non dal veleno, ma dalla ferita come<br />

ferita; perché non morì veruno di molti altri colombi e pollastri, a’ quali feci lo stesso

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