Osservazioni intorno agli animali viventi
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Un grossissimo pesce marino della razza degli aselli, lungo un braccio e mezzo, avea<br />
per la lunghezza dell’intestino duodeno una linea di nove conserve pancreatiche, o nove<br />
intestini ciechi, che gli vogliam dire. L’intestino cieco di mezzo era il più lungo di tutti,<br />
e gli altri laterali si facean sempre tanto più corti quanto più da quel di mezzo si<br />
allontavano. In questi così fatti intestini ciechi trovai alcuni vermi vivi bianchi, piani,<br />
lunghi sei dita traverse, e larghi quanto sarebbe larga l’ugna del dito minore della mano<br />
di un fanciullo: e come quegli dell’intestino retto del pesce spada si allungavano e si<br />
scorciavano a lor voglia, e si accomodavano e si spianavano in diverse e strane figure,<br />
talvolta circolari in foggia di un giulio, talvolta rappresentavano la figura del pesce<br />
sogliola, talvolta quella di una fiaschetta col collo, ben spianata, e talvolta molte altre<br />
figure capricciose e bizzarre (Fig. XXI, 1, 2, 3, 4). Nell’intestino retto di questo<br />
medesimo pesce stavansi rammucchiati due gran gruppi o matasse di lombrichi lunghi e<br />
ritondi, che nel ventre sembravan grossi quanto una penna dell’ale d’un colombo<br />
torraiuolo, e verso la testa e la coda andavano sempre proporzionalmente assottigliando,<br />
fino a terminare, in tutt’a due l’estremità, in sottigliezza della punta d’un ago ordinario<br />
da cucire. Apparivano di differenti lunghezze, ed i più lunghi arrivavano a due braccia,<br />
e con lo stirargli gentilmente con le mani si potevan distendere fino a quattro braccia, e<br />
se dopo stirati si lasciavano in libertà, tornavano alla naturale lor positura. Certuni di<br />
questi, posti nell’acqua marina o nell’acqua dolce di fontana, vi si conservarono vivi per<br />
lo spazio di dodici ore; e quel che rassembra più curioso si è che lasciarono quella<br />
ritondezza che parea naturale, e divennero piani ed assai bene larghi. Cert’altri, messi<br />
sopra d’un foglio, in capo a dodici ore si trovarono quasi totalmente asciutti, e<br />
rassembravano macchiati d’infiniti e moltissimi punti neri: ma rimessi nell’acqua, dopo<br />
quattr’ore cominciarono a muoversi e a divincolarsi, dando segni più che manifesti di<br />
esser ancor vivi, e lasciarono quella nera punteggiatura. In un altro pesce simile non<br />
solamente vidi i medesimi vermi negl’intestini ciechi e nell’intestino retto, ma di più<br />
nella cavità più bassa del duodeno, là dove, nello spazio di mezzo tra il più corto<br />
intestino cieco e il vicino al più corto, mette foce il canal del fiele, ne trovai una gran<br />
matassa che, sviluppata e contati i vermi, arrivarono al numero di trentaquattro (Fig.<br />
XXI, 5).<br />
Quel pesce, che da’ pescatori livornesi e provenzali è chiamato nocciuolo, è un pesce<br />
cartilagineo della spezie de’ cani, e talvolta è così grande che arriva col suo peso alle<br />
trecento libbre. Uno di questo peso era lungo sei braccia; ed il di lui fegato, che<br />
distendesi in due lobi che mettendo in mezzo lo stomaco camminano per tutta la<br />
lunghezza di esso stomaco, era nella superfice esteriore tutto pieno di vermi simili a<br />
questi degl’intestini ciechi dell’asello; e quivi, sopra tutt’a due i lobi, stavano sdraiati, e<br />
sovente ancora a lor piacimento rannicchiati, ed aveano così tenacemente con la bocca<br />
azzannato esso fegato, che piuttosto che volere staccarsi dal morso, lasciavansi<br />
strappare e t<strong>agli</strong>are in minutissimi pezzi.<br />
Ne’ nostri mari pescasi, ancorché di rado, un certo pesce che da’ pescatori livornesi<br />
chiamasi pesce tamburo, il quale, s’ io non m’inganno, può ridursi (benché con qualche<br />
piccola differenza) alla spezie di quello che dal Salviano fu nominato mola e dal<br />
Rondelezio fu detto ortragoriscus; ed in vero che nell’esterna figura del corpo molto si<br />
rassomiglia alle figure che ne portano questi due autori, e con essi l’Aldovrando e il<br />
Jonstono. Un tal pesce fin l’anno 1674 mi fu donato dal Serenissimo Granduca Cosimo<br />
III mio signore, mentre nel cuor dell’inverno io mi trovava nella deliziosa, amenissirna<br />
villa di Castello. Arrivava col suo peso alle cento libbre, tutto coperto di pelle aspra,<br />
ruvida, simile a quella degli squadri, delle centrine e di altri simili pesci cartilaginei.