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Osservazioni intorno agli animali viventi

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luogo e fuggire. Ma con qual occhiale si vede tal mutazione di luogo e tal fuga nella<br />

riposta cavità degl’intestini? Chi è quel linceo che con l’acutezza della vista possa<br />

arrivar colà entro? Baie, baie, per non dir ciurmerie. Ma che! queste delle applicazioni<br />

esterne sono almeno baie per lo più innocenti, e non v<strong>agli</strong>ono per lo più a far danno. Più<br />

criminali son quelle de’ medicamenti che si fanno prender per bocca.<br />

4. Coll’olio di ulive unsi e riunsi quattro lombrichi, e così unti gli serrai in vaso di<br />

vetro con quella stessa terra della quale soglion nutrirsi, e vi dimorarono quindici giorni.<br />

In due vasi di vetro pieni d’olio immersi due lombrichi grossi, e vi dimorarono<br />

ventiquattr’ore senza morirvi, ancorché paressero molto acquacchiati. Gli trassi fuor di<br />

quell’olio, e gli lasciai liberi in vaso pieno di terra umida, dove uno di essi morì nel<br />

terzo giorno, e l’altro arrivò vivo fino al sesto, ancorché sempre apparisse torpido e mal<br />

vivo: nulladimeno si vede che, sebbene l’olio è dannoso a’ lombrichi, contuttociò non è<br />

loro quel potentissimo e subitaneo nimico, che suole veramente essere a molte e molte<br />

altre sorte d’insetti, come sono le mosche, le vespe, le pecchie, gli scorpioni, i grilli<br />

cantatori, le grillotalpe o talpe dell’Imperato, che da noi Toscani son chiamate<br />

zuccaiuole, i lumaconi ignudi, i vermi da seta, tutte le razze di bruchi, le scolopendre<br />

marine, le mignatte o sanguisughe, e molte e molte altre generazioni di simili animaletti,<br />

a’ quali, per qual cagione l’olio sia nimico tanto mortale veggasi il dottissimo ed<br />

oculatissimo Marcello Malpighi nella sua famosa Dissertazione de’ vermi da seta, a<br />

carte 30 della edizione di Londra del 1669.<br />

5. Posi della terra umida in vaso di vetro, v’incorporai un poco di triaca e vi posi<br />

quattro lombrichi, i quali si cacciarono subito sotto di essa terra. In capo a<br />

ventiquattr’ore non eran morti. Vi aggiunsi un altro poco di triaca, e continuai ad<br />

aggiungervene ogni giorno un poco fino al quarto: ma i lombrichi si mantennero sempre<br />

vivi e lesti. La stessa esperienza si verifica parimente coll’orvietano e col mitridato, per<br />

molte prove che ne ho fatte. Or se questo è vero, come è verissimo, qual giovamento<br />

può portare a’ fanciulli il far prender loro, a furia di ceffate e di strapazzi, una piccola<br />

porzioncella o di olio contro veleni, o di triaca, o di mitridato, o di orvietano? Ma se<br />

questo non può giovare, tanto meno gioveranno quegli impiastri di triaca che si<br />

applicano al cuore ed all’ombelico. Io non voglio già negare che, a fare una poltiglia di<br />

triaca o di mitridato o di orvietano stemperata con un tantin d’acqua o di vino, i<br />

lombrichi messivi non se ne muoiano prestamente. Ma come è egli possibile far prender<br />

per bocca tanta quantità di triaca, che i vermi dello stomaco e degli intestini vi si<br />

possano impantanar dentro?Ma su, sia possibile il trangugiarla: il danno che farà la<br />

triaca, e ‘l mitridato e l’orvietano non sarà egli maggiore dell’utile di ammazzar quattro<br />

bachi? Ma concesso che non possa nascerne detrimento alla sanità; son costretto a dire<br />

che se i lombrichi muoiono nella poltiglia della triaca, e del mitridato e dell’orvietano,<br />

non vi muoiono per la virtù della triaca, ma bensì vi muoiono per cagione del mele, che<br />

così largamente entra nella composizione della triaca, e di quegli altri due lattovari,<br />

conforme io mi dichiarerò meglio in altre seguenti esperienze.<br />

6. Ho tenuti i lombrichi a nuotare nell’acqua comune in vasi di vetro. Vi sono vissuti<br />

sedici, diciotto e venti giornate senza mangiare; dopo ‘l qual tempo, cavati dall’acqua e<br />

messi fra la terra hanno ricominciato a mangiare; e di bianchi che erano divenuti<br />

nell’acqua, hanno ripreso il color pristino, senza mostrar segno di voler morire.<br />

S’ingannò Tommaso Mufeto quando, nel secondo libro, cap. 42, del suo Teatro<br />

degl’insetti, volle scrivere: Sicut lumbrici terrestres in aqua haud diu vivunt, ita etiam<br />

aquatici in arida positi cito intereunt.

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