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Osservazioni intorno agli animali viventi

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dell’uno e dell’altro ramo della forca scorgesi un forametto ritondo, aperto in una<br />

membrana, la quale sta nascosta tra’ sassi. Per questi due forametti esterni, che si<br />

aprono e si serrano a piacimento dell’animale, esso piglia l’acqua, e poscia, se venga<br />

maneggiato, la sputa per così dire, e la schizza molto lontano, in quella maniera appunto<br />

che soglion schizzarla i carnumi e quelle mentule marine che stanno radicate negli<br />

scogli, e quell’altre ancora che vagano pe’ fondi del mare. Tutta quanta la cavità interna<br />

di questo microcosmo marino animato vien foderata da gentili e tenere espansioni<br />

membranose, che servono a lui di cute e racchiuggono le sue viscere, cioè il canale degli<br />

alimenti, i canali de’ fluidi, il fegato ed il cuore. E tutte queste sue viscere sono<br />

differentissime da quelle de’ carnumi, delle mentule e de’ pinci marini, siccome<br />

differentissima è l’esterna e l’interna figura dell’animale medesimo, con la di lui<br />

sostanza o carne; la quale, a giudizio del palato, è tenerissima, e di un sapore simile a<br />

quello dell’ostriche e dell’arselle, le quali pur anch’esse hanno il cuore.<br />

Ma quale è quel così vile, piccolo e minutissimo, o quasi invisibile animaletto che<br />

non abbia il cuore? A tutte quante le generazioni de’ <strong>viventi</strong> la divina Provvidenza l’ha<br />

dato; anziché a molti insetti non ne ha conceduto uno solo, ma lo ha scompartito in<br />

molti e molti piccoli cuoricini; ed io ne ho contati fino in venti nelle scolopendre<br />

terrestri, ed un non piccolo numero ancora in quegl’istrici marini, de’ quali parlerò a suo<br />

luogo Fig. XIX, 5). Veggasi di tal solita e consueta moltiplicità de’ cuori Marcello<br />

Malpighi, nel celebre trattato Del verme da seta. Il famoso eruditissimo Samuel<br />

Bociarto ebbe una opinione similissima a questa del padre Filippo Buonanni, mentre nel<br />

primo libro della prima parte degli <strong>animali</strong> della sacra Scrittura, favellando degl’insetti<br />

s’indusse a dire: De caetero haec <strong>animali</strong>a maxime sunt imperfecta, quippe quae nec<br />

venas habent, neque sanguinem, neque cor, neque jecur, neque pulmonem, neque<br />

vesicam, neque ossa, neque spinam, neque adipem. Taceo quod in plerisque visus,<br />

auditus, olfactus aut nullus est, aut hebetior. Ma questo veramente grandissimo litterato<br />

scrisse al tavolino, e scrisse quello che in tal materia trovò scritto d<strong>agli</strong> altri autori; né si<br />

piccò né si prese pensiero di voler far da filosofo esperimentatore, che non ha intenzione<br />

mai di affermar con certezza, se non quanto con gli occhi propri, dopo molte prove e<br />

riprove ha osservato.<br />

Avendo io qui incidentemente mentovato il sovraddetto erudito padre Buonanni,<br />

sembrerebbe che io fossi in obbligo di rispondere ad alcune esperimentali opposizioni<br />

che egli, difensore della generazione ex putri, ha per onorarmi voluto fare alle mie<br />

Esperienze <strong>intorno</strong> alla generazione degl’insetti: e son quest’esse le sue parole nella<br />

parte prima al capitolo quinto: Non so come il Redi si opporrebbe alla sperienza da me<br />

fatta, allor che pigliati molti fiori detti giacinti e alquanto pestati, gli posi in un vaso di<br />

vetro chiuso con coperchio di terra, aspettandone da quella massa infracidata qualche<br />

spontanea generazione; e dopo averlo tenuto per alcune settimane in un armario, vi<br />

trovai generati molti vermi di sostanza trasparente e muccosa, che per il vetro sparsi,<br />

scorrevano in qua e in là sempre inquieti; e quanto più erano diseccati, tanto più<br />

apparivano spiritosi. Eccone la figura, ingrandita però da un ordinario microscopio.<br />

Or questi, dopo esser vivuti due giorni, si convertirono in crisalide, e da essa, molti<br />

giorni dopo, ne uscì una farfalla di color della cenere, con quattro ale e sei gambe; sì<br />

come da altre cose putrefatte la sperienza mi ha dimostrato nascer sempre una sorte<br />

determinata di vermi, e da ciascuna farfalle e moschini di specie uniformi. A questa<br />

esperienza del padre Filippo Buonanni io non voglio opporre cosa veruna: solamente<br />

voglio supplicar la gentile cortesia del medesimo padre a ritentarla di nuovo, e<br />

ritentandola, a serrar bene con diligenza il vaso in cui riporrà i fiori de’ giacinti pestati,

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