Giovanni Crisostomo Commento alla Prima lettera ... - Undicesima Ora

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31.05.2013 Views

Introduzione 29 Bisogna che egli abbia «anche» una buona reputazione, cioè possegga questa dote insieme alle altre, e non quindi questa sola. Soltanto a questa condizione egli potrà evitare le false accuse dei denigratori. Ebbene, argomenta Crisostomo, come nessuno oserebbe dire che il cielo è oscuro, neppure un cieco, giacché si vergognerebbe di combattere un’opinione accreditata da tutti; allo stesso modo nessuno ardirà biasimare coloro che vivono virtuosamente. Come il vescovo deve risplendere più di una lampada, così i cristiani devono brillare come astri nel mondo. Se la nostra vita avesse un tale fulgore, non ci sarebbe bisogno né di spendere parole né di avere maestri. Rinsaviamo una volta per sempre, conclude l’omileta; manteniamoci sempre vigilanti e mostriamo di vivere sulla terra un’esistenza degna del cielo; comportiamoci in modo da dire: «la nostra patria è nei cieli», e intanto sulla terra sosteniamo le nostre battaglie. L’Omelia XI invece si sofferma sulle doti che devono possedere gli aspiranti al diaconato. Essi, nell’ambito della comunità, occupano un posto di rilievo e di grave responsabilità. Infatti, anch’essi come i vescovi sono preposti all’insegnamento e al governo della Chiesa. Devono pertanto possedere le medesime qualità di colui che svolge il ministero episcopale. Il diacono non deve essere doppio nel parlare, cioè non sia né simulatore né ingannatore. Di solito, infatti, niente rende così degeneri come l’inganno; niente è così inutilmente nocivo nella Chiesa come una subdola simulazione. Le medesime doti devono possedere le diaconesse. L’omelia del Crisostomo prosegue invitando il responsabile primo della comunità ecclesiale a non scoraggiarsi e a non perdersi d’animo

30 Introduzione di fronte alle innumerevoli difficoltà e battaglie derivanti dall’oneroso ministero pastorale. È importante che egli si attenga a questo precetto fondamentale, che è il cardine della fede e della predicazione cristiana: la verità è colonna e sostegno della Chiesa. Essa non è altro se non il mistero della pietà: una realtà che tutti confessano, indiscutibile perché inequivocabile. Sono dunque veramente grandi coloro ai quali nella Chiesa è stato affidato questo mistero. Dobbiamo custodirlo e viverlo con fede, perché è Dio che ce lo ha confidato. In che modo? Disprezzando le ricchezze per la ricompensa futura: il possesso della vita eterna. Da qui sorge la proposta paradossale di Dio: se vuoi conseguire i beni che sono nel mondo, cerca il cielo; se vuoi gustare le cose presenti, disprezzale. Sono nostri solamente quei beni che avremo inviato lassù nel cielo, prima di noi, perché quelli che abbiamo qui sulla terra, non sono nostri, ma di coloro che restano in vita… Noi possiamo e dobbiamo vantarci di un solo e legittimo possesso: le buone azioni che procedono dal nostro animo, e cioè l’elemosina e l’amore verso gli altri. L’Omelia XII vuol essere la continuazione della precedente circa l’incoraggiamento e il sostegno morale di cui necessita colui che occupa un posto di primaria importanza e di responsabilità nell’ambito ecclesiale. Tra le dure lotte che deve affrontare, vi è quella contro le pretese ascetiche degli eretici. Costoro, allontanatisi dalla verace fede, non potranno più ormeggiare sicuri in nessun luogo; anzi, dopo essere andati alla deriva su e giù attraverso molti errori, alla fine piombano nel baratro della perdizione. Ecco il risultato che si ottiene con Statues: a study of their rhetorical qualities and form, Washington 1930; H.M. Hubbel, Chrysostom and Rhetoric, in «Classical Philology», 19 (1924), pp. 261-276.

Introduzione 29<br />

Bisogna che egli abbia «anche» una buona<br />

reputazione, cioè possegga questa dote insieme alle<br />

altre, e non quindi questa sola. Soltanto a questa<br />

condizione egli potrà evitare le false accuse dei<br />

denigratori.<br />

Ebbene, argomenta <strong>Crisostomo</strong>, come nessuno<br />

oserebbe dire che il cielo è oscuro, neppure un cieco,<br />

giacché si vergognerebbe di combattere un’opinione<br />

accreditata da tutti; allo stesso modo nessuno ardirà<br />

biasimare coloro che vivono virtuosamente.<br />

Come il vescovo deve risplendere più di una<br />

lampada, così i cristiani devono brillare come astri nel<br />

mondo. Se la nostra vita avesse un tale fulgore, non ci<br />

sarebbe bisogno né di spendere parole né di avere<br />

maestri. Rinsaviamo una volta per sempre, conclude<br />

l’omileta; manteniamoci sempre vigilanti e mostriamo<br />

di vivere sulla terra un’esistenza degna del cielo;<br />

comportiamoci in modo da dire: «la nostra patria è nei<br />

cieli», e intanto sulla terra sosteniamo le nostre<br />

battaglie.<br />

L’Omelia XI invece si sofferma sulle doti che<br />

devono possedere gli aspiranti al diaconato. Essi,<br />

nell’ambito della comunità, occupano un posto di<br />

rilievo e di grave responsabilità. Infatti, anch’essi come<br />

i vescovi sono preposti all’insegnamento e al governo<br />

della Chiesa. Devono pertanto possedere le medesime<br />

qualità di colui che svolge il ministero episcopale. Il<br />

diacono non deve essere doppio nel parlare, cioè non<br />

sia né simulatore né ingannatore. Di solito, infatti,<br />

niente rende così degeneri come l’inganno; niente è<br />

così inutilmente nocivo nella Chiesa come una subdola<br />

simulazione.<br />

Le medesime doti devono possedere le<br />

diaconesse. L’omelia del <strong>Crisostomo</strong> prosegue<br />

invitando il responsabile primo della comunità<br />

ecclesiale a non scoraggiarsi e a non perdersi d’animo

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