Giovanni Crisostomo Commento alla Prima lettera ... - Undicesima Ora

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31.05.2013 Views

Omelia X, 2 173 subisca come quest’ultimo la dannazione a causa dell’arroganza. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo 21. Bene, dal momento che corre il rischio di essere oltraggiato da parte di costoro, è probabilmente per questa ragione che Paolo [a proposito del matrimonio] ha detto: non sia sposato che una sola volta; benché altrove abbia detto: vorrei che tutti fossero come me, cioè vivessero in continenza 22. Egli, dunque, ha richiesto la pratica di semplici virtù in quanto, se dai candidati avesse preteso una perfetta condotta di vita, avrebbe finito per restringere troppo l’ambito della loro scelta, mentre urgeva porre una guida spirituale per ciascuna città. Ascolta infatti ciò che scrive a Tito: [Per questo ti ho lasciato a Creta…] perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato 23. Ma che senso ha dire che egli gode di chiara testimonianza e di buona reputazione, se di fatto non è tale? È molto difficile che ciò si verifichi, poiché quelle stesse persone che vivono rettamente, a stento riescono a mantenere una buona reputazione agli occhi dei nemici. In verità nel nostro caso l’Apostolo matrimonio, è stato per una “condiscendente” comprensione di coloro che non si sentono la forza di resistere alla tirannia dei sensi; egli desidererebbe però che tutti scegliessero lo stato di verginità, come ha fatto lui. Ma ognuno ha davanti a sé una strada segnatagli da Dio, una particolare “vocazione” che deve seguire. Non solo la verginità, dunque, ma anche il matrimonio è un “dono” di Dio, che conferisce una particolare “grazia di stato” (chárisma). Pur essendo inferiore alla verginità, lo stato matrimoniale è sempre qualcosa di immensamente grande e santificante, almeno per chi sappia rettamente usarne» (S. Cipriani, op. cit., pp. 154-155). 23 Tit. 1, 5.

174 Giovanni Crisostomo non si è limitato a richiedere soltanto questa dote, se è vero che non ha detto: «Bisogna che egli abbia una buona reputazione», bensì: «Bisogna che egli abbia anche una buona reputazione», ossia questa dote insieme alle altre, e non quindi questa sola. Ma che dire, poi, se si dovesse parlare male di lui a sproposito o spinti anche dall’invidia, soprattutto quando i detrattori sono i Greci? 24 Neppure ciò è possibile, perché anche costoro rispettano un uomo che di fatto vive in maniera irreprensibile. E in che modo?, obietterai. Ascolta ciò che l’Apostolo dice di sé: [Ma in ogni caso ci presentiamo come ministri di Dio…] nella cattiva e nella buona fama 25 . Ad essere posta sotto accusa, infatti, non era la loro condotta di vita, bensì la loro predicazione. Ecco perché dice: nella cattiva fama. D’altronde, era proprio a causa della loro predicazione che essi erano considerati come ingannatori 26 e impostori 27. Lanciavano queste accuse perché non avevano nulla da recriminare sulla loro vita. Del resto, perché mai nessuno ebbe a dire degli apostoli: «Sono dei fornicatori, degli impudichi, degli avari»; ma soltanto: «Sono degli ingannatori»? Esclusivamente a motivo della loro predicazione! Ebbene, questa mancanza di accuse non era forse dovuta al fatto che la loro vita era effettivamente irreprensibile? Sì, proprio così. Manteniamo, quindi, anche noi questa condotta di vita e certamente nessuno dirà male di noi, anche se è un nostro nemico, anche se è un non credente. Infatti, anche 24 Cioè coloro che non sono cristiani e credenti. 25 2 Cor. 6, 8. Paolo, infatti, parlando dell’esercizo del ministero apostolico, esorta vivamente coloro che sono chiamati a svolgere la missione a non essere motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero (2 Cor. 6, 3), e poi di presentarsi in ogni cosa come ministri di Dio (2 Cor. 6, 4), disposti ad affrontare ogni sorta di

Omelia X, 2 173<br />

subisca come quest’ultimo la dannazione a causa<br />

dell’arroganza.<br />

È necessario che egli goda buona reputazione<br />

presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in<br />

qualche laccio del diavolo 21.<br />

Bene, dal momento che corre il rischio di essere<br />

oltraggiato da parte di costoro, è probabilmente per<br />

questa ragione che Paolo [a proposito del matrimonio]<br />

ha detto: non sia sposato che una sola volta; benché<br />

altrove abbia detto: vorrei che tutti fossero come me,<br />

cioè vivessero in continenza 22. Egli, dunque, ha<br />

richiesto la pratica di semplici virtù in quanto, se dai<br />

candidati avesse preteso una perfetta condotta di vita,<br />

avrebbe finito per restringere troppo l’ambito della loro<br />

scelta, mentre urgeva porre una guida spirituale per<br />

ciascuna città. Ascolta infatti ciò che scrive a Tito: [Per<br />

questo ti ho lasciato a Creta…] perché stabilissi<br />

presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho<br />

dato 23.<br />

Ma che senso ha dire che egli gode di chiara<br />

testimonianza e di buona reputazione, se di fatto non è<br />

tale? È molto difficile che ciò si verifichi, poiché quelle<br />

stesse persone che vivono rettamente, a stento<br />

riescono a mantenere una buona reputazione agli<br />

occhi dei nemici. In verità nel nostro caso l’Apostolo<br />

matrimonio, è stato per una “condiscendente” comprensione di<br />

coloro che non si sentono la forza di resistere <strong>alla</strong> tirannia dei<br />

sensi; egli desidererebbe però che tutti scegliessero lo stato di<br />

verginità, come ha fatto lui. Ma ognuno ha davanti a sé una<br />

strada segnatagli da Dio, una particolare “vocazione” che deve<br />

seguire. Non solo la verginità, dunque, ma anche il matrimonio<br />

è un “dono” di Dio, che conferisce una particolare “grazia di<br />

stato” (chárisma). Pur essendo inferiore <strong>alla</strong> verginità, lo stato<br />

matrimoniale è sempre qualcosa di immensamente grande e<br />

santificante, almeno per chi sappia rettamente usarne» (S.<br />

Cipriani, op. cit., pp. 154-155).<br />

23 Tit. 1, 5.

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