LA DISABILITA' DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN ...
LA DISABILITA' DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN ...
LA DISABILITA' DA GRAVI CEREBROLESIONI ACQUISITE IN ...
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
PROV<strong>IN</strong>CIA DI BERGAMO<br />
Settore Politiche Sociali e Salute<br />
I QUADERNI DI RISORSE<br />
<strong>LA</strong> DISABILITÀ<br />
<strong>DA</strong> <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong> <strong>ACQUISITE</strong><br />
<strong>IN</strong> PROV<strong>IN</strong>CIA DI BERGAMO<br />
AREA DISABILITÀ
I QUADERNI DI RISORSE<br />
<strong>LA</strong> DISABILITA’ <strong>DA</strong> <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong> <strong>ACQUISITE</strong><br />
<strong>IN</strong> PROV<strong>IN</strong>CIA DI BERGAMO.<br />
Epidemiologia, continuità assistenziale e qualità di vita:<br />
dalle Consensus Conference<br />
alla programmazione socio-sanitaria sul territorio
PROV<strong>IN</strong>CIA DI BERGAMO<br />
Settore Politiche Sociali e Salute<br />
I QUADERNI DI RISORSE<br />
<strong>LA</strong> DISABILITA’ <strong>DA</strong> <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong> <strong>ACQUISITE</strong><br />
<strong>IN</strong> PROV<strong>IN</strong>CIA DI BERGAMO.<br />
Epidemiologia, continuità assistenziale e qualità di vita:<br />
dalle Consensus Conference<br />
alla programmazione socio-sanitaria sul territorio<br />
a cura di<br />
Silvano Gherardi, Michela Persico<br />
Gennaro Esposito, Albero Zucchi
Si ringrazia per la collaborazione:<br />
Realizzazione:<br />
Provincia di Bergamo<br />
Settore Politiche Sociali e Salute<br />
Via Camozzi, 95 Passaggio Canonici Lateranensi 10 - Bergamo<br />
Tel. 035.387652 – Fax 035.387695<br />
E-mail: segreteria.disabili@provincia.bergamo.it<br />
Sito Internet: www.provincia.bergamo.it<br />
Coordinamento editoriale e curatela:<br />
Silvano Gherardi, Michela Persico, Gennaro Esposito, Alberto Zucchi<br />
Si ringraziano per i preziosi contributi:<br />
Antonio De Tanti, Giovanni Pietro Salvi, Marcello Simonini, Alberto Zucchi, Gennaro Esposito,<br />
Simona Colpani, Giovanni Melizza, Lorella Algeri, Maria Grazia Inzaghi, Cooperativa<br />
Progettazione, Fulvio De Nigris, Paola Dellera, Carlo Viganò<br />
Immagine di copertina:<br />
Dipinto di Antonio De Santis
Presentazione<br />
Questa pubblicazione è, in ordine temporale, l’ultimo prodotto delle numerose iniziative del Tavolo<br />
Provinciale della grave cerebrolesione acquisita e trauma vertebromidollare e deve la sua nascita<br />
alla necessità ed al desiderio di rendere pubblici dati che, per tutti coloro che rivestono ruoli di<br />
programmazione sociale, sono indispensabili.<br />
I risultati ed i contenuti presentati sono stati resi possibili proprio grazie al Tavolo provinciale,<br />
costituitosi presso il Settore Politiche Sociali e Salute, che ha consentito ai suoi componenti di<br />
trovarsi, raccontarsi e condividere bisogni, conoscenze e strumenti differenti. Le associazioni<br />
familiari hanno raccontato, con la passionalità del vissuto, l’incertezza del futuro delle persone che,<br />
una volta dimesse dall’ospedale, sono tornate a vivere la loro “nuova vita” in famiglia. Il racconto,<br />
da parte di tanti associati, di mesi e di anni di solitudine senza sapere da chi farsi ascoltare, fa<br />
presupporre che tra le persone dimesse tante versino - insieme alle loro famiglie - ancora in<br />
condizione di grave bisogno e solitudine.<br />
I rappresentanti dell’ASL hanno dato la disponibilità ad accedere agli archivi interni per costruire un<br />
quadro epidemiologico delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite.<br />
La Cooperativa Progettazione ha partecipato ai lavori del Tavolo che ha evidenziato la necessità di<br />
conoscere quante persone effettivamente potrebbero avere bisogno di servizi perché, a fronte di<br />
questo dato, gli Enti locali potrebbero consapevolmente attivarsi. La stessa cooperazione potrebbe<br />
offrire personale qualificato in numero adeguato.<br />
Servizi costruiti e pensati specificamente per le persone con disabilità acquisita sono rari in<br />
provincia. Altrettanto rari sono professionisti che operano con persone con disabilità e che hanno<br />
tra le loro competenze una conoscenza degli specifici bisogni delle persone con disabilità acquisita.<br />
Il tavolo provinciale è stato il contesto di occasione che ha permesso a tutti questi interlocutori,<br />
come si diceva, di raccontarsi reciprocamente bisogni e risorse. La Provincia ha operato una regia<br />
affinché, in linea con le proprie finalità istituzionali, potesse favorire il rendere visibile e spronare ad<br />
una presa in carico di una problematica sociale tutt’ora poco considerata e presente se non per<br />
una ristretta cerchia di addetti al lavoro che, in realtà, per l’elevata competenza, hanno portato la<br />
nostra provincia ad essere uno dei fiori all’occhiello a livello nazionale e non solo.<br />
Crediamo che questo ultimo tassello possa raccontare l’alto valore professionale di tutti i<br />
componenti del Tavolo provinciale e delle Istituzioni bergamasche e contestualmente aggiungervi<br />
valore, perché questa pubblicazione è portatrice di un risultato unico in Italia che potrebbe divenire<br />
esempio per altre Provincie, Regioni od Ospedali.<br />
L’Assessore alle Politiche Sociali e Salute Il Presidente della Provincia<br />
Domenico Belloli Ettore Pirovano<br />
I
Introduzione<br />
Questa pubblicazione è il frutto di un notevole impegno, profuso dagli Autori, in relazione ad un<br />
problema emergente nella società attuale. Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite costituiscono infatti un<br />
tema di particolare rilevanza per l’intera popolazione.<br />
Il volume testimonia l’intensa collaborazione tra la Provincia di Bergamo, la cui sensibilità in questi<br />
ultimi anni si è tradotta in una forte e concreta azione verso questa problematica, e l’ASL di<br />
Bergamo, che con i propri professionisti ha supportato con soddisfazione questo percorso.<br />
Il quadro di transizione epidemiologica e demografica mostra un continuo innalzarsi dell’aspettativa<br />
di vita. Lo sviluppo di nuove conoscenze e avanzate tecnologie mediche consente sempre più il<br />
superamento delle fasi critiche in patologie drammaticamente acute verso un’evoluzione cronica.<br />
Assistiamo così al forte spostamento del bisogno di salute verso le malattie cronico-degenerative e<br />
le malattie stabilmente cronicizzate, con l’innesto di forte disabilità acquisita post-acuzie.<br />
Si determina tuttavia, come la nostra indagine epidemiologica sulla provincia di Bergamo ha<br />
dimostrato, rilevando ben 3300 pazienti all’anno colpiti da una GCA, un forte impatto, come carico<br />
di patologia, sull’intero sistema di welfare, per gli aspetti economici, ma soprattutto per quelli sociali<br />
e familiari.<br />
Il tema approfondito in questo volume rappresenta dunque quasi un paradigma delle complessità<br />
emergenti fra bisogno sanitario e bisogno sociale di paziente, care giver e famiglia.<br />
Le problematiche che insorgono a seguito di un evento drammatico come l’essere colpito da una<br />
GCA sono complesse e su differenti livelli. Sono problemi di tipo fisico, cognitivo ed emotivo, con i<br />
correlati personali, familiari e sociali. I servizi socio-sanitari con gli Ambiti Territoriali sono chiamati<br />
a sviluppare, in un percorso di rete, maggiore adeguatezza ed efficacia per garantire le crescenti<br />
richieste della popolazione, anche se non aiutano le difficoltà che stiamo vivendo, in questi anni,<br />
per la riduzione delle risorse disponibili.<br />
Dai contributi del lavoro presentato, emerge anche il vissuto di solitudine che le famiglie riportano;<br />
la costituzione di una rete più efficace tra i servizi esistenti diventa allora non solo importante, ma<br />
indispensabile.<br />
Si propongono per ciò, come temi focali di ordine strategico, l’integrazione degli elementi legati a<br />
complessità clinica, fragilità e disabilità e, inevitabilmente, a continuità assistenziale.<br />
L’esperienza di questa pubblicazione è dunque positivamente emblematica della possibilità di<br />
fondare una programmazione forte, volta all’integrazione dei percorsi, sulla base di metodologie<br />
solide e di evidenze scientifiche, congiuntamente alla capacità di lavorare insieme, nel rispetto<br />
delle specifiche competenze.<br />
Direttore Generale dell’ASL di Bergamo<br />
Mara Azzi<br />
II
<strong>IN</strong>DICE<br />
PRESENTAZIONE ……...........................................................................................................................…. I<br />
Domenico Belloli, Ettore Pirovano<br />
<strong>IN</strong>TRODUZIONE ……...............................................................................................................................…. II<br />
Mara Azzi<br />
<strong>LA</strong> DISABILITÀ ACQUISITA <strong>DA</strong> <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong>: UN QUADRO COMPLESSO ……....... p. 1<br />
Antonio De Tanti<br />
LE <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong> ………................................................................................................... p. 17<br />
Giovanni Pietro Salvi, Marcello Simonini<br />
EPIDEMIOLOGIA DELLE <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong> <strong>ACQUISITE</strong> <strong>IN</strong> PROV<strong>IN</strong>CIA DI BERGAMO .. p. 41<br />
Alberto Zucchi, Gennaro Esposito<br />
IL TAVOLO DEL<strong>LA</strong> PROV<strong>IN</strong>CIA SULLE <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong>: UNO SPAZIO DI<br />
<strong>IN</strong>TERAZIONE E CONDIVISIONE TRA SOCIALE E SANITARIO ……................................................ p. 138<br />
Simona Colpani, Silvano Gherardi<br />
NECESSITÀ DI UNA RETE TERRITORIALE A SUPPORTO DEL<strong>LA</strong> CONT<strong>IN</strong>UITÀ ASSISTENZIALE<br />
DEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA ....................................................... p. 151<br />
Giovanni Melizza, Lorella Algeri<br />
<strong>LA</strong> RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA NEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE<br />
ACQUISITA: <strong>DA</strong>L<strong>LA</strong> CONSENSUS CONFERENCE DI SIENA 2010 AI BISOGNI TERRITORIALI … p. 167<br />
Maria Grazia Inzaghi, Lorella Algeri<br />
IDENTITÀ E D<strong>IN</strong>AMICHE FAMILIARI: IL CARICO DEL CARE GIVER E <strong>LA</strong> QUALITÀ DEL<strong>LA</strong> VITA<br />
DEL<strong>LA</strong> FAMIGLIA ………...................................................................................................................... p. 195<br />
Gennaro Esposito<br />
ATTIVITÀ ED ESPERIENZE DI UNA COOPERATIVA SOCIALE. ASPETTI SOCIOLOGICI<br />
RE<strong>LA</strong>TIVI A PAZIENTE, FAMIGLIA E CARE GIVER: SUPPORTO, D<strong>IN</strong>AMICHE DI<br />
QUALITÀ DI VITA, RE<strong>IN</strong>TEGRAZIONE SOCIALE E <strong>LA</strong>VORATIVA, RETI DI SUPPORTO<br />
FORMALI E <strong>IN</strong>FORMALI<br />
Cooperativa Progettazione<br />
…............................................................................................................ p. 231<br />
IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI CHE RAPPRESENTANO I FAMILIARI PER USCIRE<br />
<strong>DA</strong>L COMA E RIENTRARE NEL<strong>LA</strong> VITA .......................................................................................... p. 248<br />
Fulvio De Nigris<br />
IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO E DELLE ASSOCIAZIONI DI FAMILIARI .. p. 262<br />
Paola Dellera<br />
<strong>LA</strong> DOMOTICA, ETERNA SCONOSCIUTA, OVVERO L’<strong>IN</strong>TERAZIONE CON UNA TAPPAREL<strong>LA</strong>… p. 267<br />
Carlo Viganò<br />
CONCLUSIONI …….............................................................................................................................. p. 279<br />
Francesco Locati
Premessa<br />
<strong>LA</strong> DISABILITÀ ACQUISITA <strong>DA</strong> <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong>:<br />
UN QUADRO COMPLESSO<br />
Antonio De Tanti 1<br />
Per «Grave Cerebrolesione Acquisita» (GCA) si intende una patologia cerebrale acuta che provoca<br />
stato di coma documentato da Glasgow Coma Scale (GCS) < 8 per una durata superiore alle 24<br />
ore. Le GCA, sono principalmente rappresentate da traumi cranioencefalici (TCE), patologie<br />
cerebrovascolari (emorragiche o ischemiche) ed encefalopatie post-anossiche; nel loro insieme<br />
costituiscono una della più importanti cause di severa disabilità acquisita nel mondo occidentale,<br />
con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano individuale, economico, della programmazione<br />
sanitaria, del potenziale impatto sulla società che è chiamata a riaccogliere queste persone, con le<br />
loro fragilità residue.<br />
Proprio la compromissione dello stato di coscienza costituisce nel contempo un indice di gravità, la<br />
causa di ulteriori danni secondari sia a livello cerebrale che a carico di tutto l’organismo e un indice<br />
di severità prognostica: quanto maggiore è il periodo di alterazione della coscienza, tanto più<br />
importante sarà il livello atteso di disabilità residua.<br />
I nostri pazienti sono quasi sempre persone con quadri clinici molto complessi in cui menomazioni<br />
di carattere sensori-motorio, cognitivo e comportamentale interagiscono tra di loro in modo tale che<br />
la disabilità finale risulta spesso superiore e più severa di quanto ci si potrebbe attendere dalla<br />
semplice somma delle singole componenti.<br />
Nella maggior parte dei casi devono affrontare una lunga storia di cura che parte dal luogo del<br />
primo soccorso, passa poi per i reparti di terapia intensiva, dove si gioca, per giorni e settimane, la<br />
scommessa tra la vita e la morte. Dopo un intervallo di tempo, che oscilla in Italia da poche<br />
settimane a uno, due mesi, i malati vengono trasferiti nei reparti di riabilitazione intensiva, spesso<br />
per un numero elevato di mesi, con il fine di acquisire la stabilizzazione delle condizioni generali, il<br />
recupero nell’autonomia delle funzioni vitali di base con la svezzamento da tutti i presidi invasivi, di<br />
perseguire il maggior ripristino intrinseco possibile delle funzioni compromesse e di raggiungere un<br />
livello di autonomia, almeno nelle attività di base della vita quotidiana, anche ricorrendo a tutte le<br />
strategie disponibili di recupero adattativo.<br />
A questo punto, se il livello di guarigione lo permette, inizia per molte persone una fase ancora più<br />
lunga e complicata, dedicata alla ricostruzione delle competenze più complesse, quelle che<br />
consentono il pieno recupero dell’individuo e il suo reinserimento nel contesto di vita familiare,<br />
1 Fisiatra, Direttore Scientifico del Centro Card. Ferrari - Santo Stefano Riabilitazione Fontanellato (PR); Membro del Comitato<br />
Promotore della Conferenza Nazionale di Consenso e Coordinatore del Gruppo 2 della Conferenza<br />
1
sociale e lavorativo nelle migliori condizioni di autonomia possibili e compatibili con le disabilità<br />
residue.<br />
A fronte di bisogni così articolati l’unica risposta efficace è quella di organizzare una filiera di cura<br />
strutturata a livello istituzionale, che consenta il passaggio programmato e tempestivo tra i vari<br />
setting di cura, liberando i familiari dall’onere di organizzare in autonomia (o meglio in solitudine)<br />
la successione delle fasi di riabilitazione.<br />
Tutti i nodi della rete di cura devono disporre di un team molto articolato di professionisti esperti,<br />
che condividono la filosofia riabilitativa di base e interagiscono in stretta collaborazione reciproca<br />
nella costruzione e realizzazione del progetto riabilitativo individuale, prodotto su misura, per e<br />
con il singolo paziente. Il team interprofessionale e multidisciplinare, deve conoscere in modo<br />
approfondito protocolli di cura basati sulle evidenze scientifiche ed essere in grado di tradurli in<br />
progetti riabilitativi individualizzati per il singolo paziente, realizzabili mediante programmi<br />
riabilitativi costantemente aggiornati in rapporto all’evoluzione clinica e alle caratteristiche del<br />
contesto ambientale in cui il soggetto sarà reinserito. La buona formalizzazione e la tempestività<br />
degli interventi riabilitativi costituiscono infatti, di per sé, una variabile significativa, predittiva di<br />
miglior recupero (Mac Kay, 1992).<br />
Sempre più nel team sono inclusi, come attori a pieno titolo, il paziente stesso e i suoi familiari di<br />
riferimento: entrambi sono chiamati a svolgere il doppio ruolo di essere oggetto di cura e attivi<br />
registi nella conduzione del progetto riabilitativo. La fragilità, che purtroppo caratterizza entrambi,<br />
non deve essere motivo per escluderli dal loro diritto di autodeterminazione, così come non può<br />
che essere loro il giudizio finale circa il grado di soddisfazione e di gradimento di quanto è stato<br />
fatto.<br />
In questo capitolo introduttivo cercheremo di delineare a grandi linee quali sono le dimensioni e le<br />
caratteristiche principali del fenomeno “Grave Cerebrolesione Acquisita”, quali le maggiori criticità a<br />
cui la ricerca biomedica non è ancora in grado di dare risposte esaustive con riferimento al tema<br />
principale che resta il problema del recupero della coscienza.<br />
Siamo fermamente convinti che in questo dominio del sapere la cultura medica e riabilitativa<br />
italiana abbia saputo fornire modelli teorici e operativi molto avanzati, solidamente fondati sui dati<br />
di evidenza quando disponibili, ampiamente condivisi dagli operatori coinvolti, mediante percorsi<br />
strutturati di ricerca del consenso, di formazione capillare dei membri dei team, di costante ricerca<br />
di momenti di confronto tra sanitari, operatori sociali, amministratori e programmatori della cosa<br />
pubblica, mondo del volontariato e dell’associazionismo. Siamo ora chiamati a dimostrare la nostra<br />
reale capacità di implementazione locale e di costante approfondimento di quanto è stato<br />
formalmente deciso e concordato nel corso delle tre Conferenze Nazionali di Consenso su TCE e<br />
GCA che sono state celebrate dal 2000 in poi nel nostro paese. Sappiamo che è questa la fase più<br />
delicata di ogni CC, poiché le conclusioni della Giuria non hanno, di per sé, valore vincolante ed è<br />
precisa responsabilità di tutti coloro che vi hanno partecipato, usare la propria autorevolezza e<br />
onestà intellettuale nel concorrere per farle recepire nel sistema di regole che governano<br />
l’organizzazione sanitaria e renderle pratica clinica quotidiana. A queste tematiche sono dedicati<br />
2
gli approfondimenti contenuti nei capitoli che seguono, con particolare attenzione alla realtà del<br />
territorio della provincia di Bergamo che per la seconda volta ci ospita, dimostrando grande<br />
attenzione a tematiche così importanti.<br />
Epidemiologia delle GCA<br />
Per quanto concerne i TCE nei Paesi sviluppati, l’incidenza, cioè il numero di nuovi casi che si<br />
verificano nella popolazione di una determinata area geografica in un certo periodo di tempo, è<br />
stimata in un range di 180-250 nuovi casi anno ogni 100.000 abitanti in studi su popolazioni nordamericane,<br />
canadesi e australiane, con una frequenza di gravi traumi stimata tra 6 e 17 su<br />
100.000 individui (Bruns e Hauser, 2003). I dati europei non sono significativamente differenti<br />
(150-300 nuovi casi annui di ricoveri ogni 100.000 abitanti, con gravi traumi in 8,5 su 100.000<br />
individui) (Masson et al, 2003).<br />
Relativamente all’Italia, ad oggi non esistono studi epidemiologici di incidenza dei traumi su tutto il<br />
territorio nazionale. I dati disponibili si riferiscono a uno studio population-based realizzato in<br />
Romagna (Servadei et al, 2002) da cui risulta una incidenza di 250/100.000 abitanti. I quadri più<br />
severi si sono verificati in 11/100.000 abitanti e di queste GCA solo 5-6/100.000 necessiteranno di<br />
programmi di riabilitazione intensiva. Nel TCE i soggetti di sesso maschile hanno una probabilità di<br />
subire un trauma nettamente superiore rispetto a quelli di sesso femminile, con un rapporto che<br />
oscilla da 3:1(Bruns e Hauser, 2003) a 2:1. Tale sproporzione è massima nella fascia di<br />
popolazione di età compresa fra 10-19 anni, la stessa in cui il TCE è la principale causa di morte<br />
nel mondo occidentale, e tende ad annullarsi nelle popolazioni di età più avanzata.<br />
Rispetto alle GCA non traumatiche, i dati epidemiologici risultano ancora più difficili da reperire.<br />
Per quanto riguarda le forme emorragiche, il valore attualmente atteso in Italia, in base ai principali<br />
studi epidemiologici disponibili, è di 43-58 nuovi casi di primo ictus emorragico per 100.000<br />
abitanti all’anno (Di Carlo et al, 2003), di cui solo una percentuale minore risponde ai criteri di<br />
GCA.<br />
Non sono note stime di incidenza delle GCA di origine ischemica, che comprendono solo una<br />
piccola quota degli ictus ischemici, quali, per esempio le ischemie troncoencefaliche come la<br />
Locked-in Syndrome.<br />
Le GCA secondarie a encefalopatia anossica, prevalentemente dovuta ad arresto cardiaco ripreso<br />
mediante defibrillatore e manovre rianimatorie prolungate, sono in continuo aumento e<br />
costituiscono attualmente causa prevalente degli stati vegetativi persistenti a lungo termine e<br />
delle più severe disabilità residue.<br />
Elementi di particolare interesse per l’attuale trattazione sono deducibili dall’indagine condotta dal<br />
Gruppo Italiano per lo Studio delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite e Riabilitazione (GISCAR)<br />
(Zampolini et al, 2012), che ha analizzato i percorsi riabilitativi di un vasto campione di circa 2.600<br />
GCA, reclutati in 52 centri del territorio nazionale nel biennio 2001-2003. Non si può parlare in<br />
questo caso di dati di incidenza in senso generale, quanto piuttosto di analisi della<br />
3
sottopopolazione dei soggetti che accedono a percorsi riabilitativi nella rete italiana dei centri di<br />
alta specialità per le GCA. In anni più recenti è stato attivato, grazie ad un progetto finalizzato del<br />
Ministero della Salute, un registro nazionale per le GCA di cui, ad oggi, sono stati resi noti i dati di<br />
attività relativamente al periodo giugno 2008 – aprile 2011, con un totale di 1400 pazienti reclutati<br />
in 26 Centri riabilitativi, in fase di primo ricovero (De Tanti et al, 2011) Dal confronto tra i dati<br />
riportati nei due studi emergono informazioni di grande interesse circa l’evoluzione che si è venuta<br />
realizzando in Italia, nell’arco di 5-7 anni, rispetto alla composizione degli utenti che afferiscono ai<br />
nostri reparti. I dati più salienti del cambiamento in corso riguardano l’eziologia e l’età media dei<br />
pazienti. Come si puo’ osservare in Tab. 1, nel primo studio veniva documentata una prevalenza<br />
delle GCA di origine traumatica, mentre nel secondo prevalgono le forme non-traumatiche. Si<br />
documenta poi un progressivo aumento dell’età media dei pazienti, indipendentemente dalla<br />
causa del danno cerebrale, pur confermandosi in entrambi gli studi una prevalenza relativa delle<br />
persone più giovani tra i TCE.<br />
TCE nTCE TCE età nTCE età<br />
GISCAR 58% 42% 29 55<br />
Registro Naz. 44% 56% 44 57<br />
Tab. 1 Eziologia ed età media<br />
Le cause di questo cambiamento documentato dai due studi sono probabilmente molteplici e<br />
includono da un lato l’aumento generale dell’età media della popolazione italiana, con il<br />
conseguente aumento delle malattie cerebrovascolari e l’aumentato tasso di incidenza dei pazienti<br />
più gravi grazie alla maggior efficienza della rete sanitaria in toto; dall’altro lato sono in fase di<br />
riduzione i traumi cranici grazie alle massicce campagne di prevenzione degli infortuni. Ad<br />
esempio l’introduzione dell’obbligatorietà per il casco nei motoveicoli ha contribuito a ridurre la<br />
mortalità e la severità degli incidenti motociclistici, con riduzione del 66% dei ricoveri di<br />
motociclisti, in seguito a trauma cranico, presso il Trauma Center di Cesena (Servadei, 2003).<br />
Si può infine ipotizzare che l’aumentata disponibilità di posti letto dedicata alle GCA sul territorio<br />
nazionale abbia contribuito a ridurre il bias di selezione negativa nei confronti dei pazienti meno<br />
giovani e non traumatici, che fino a qualche anno fa trovavano maggior difficoltà di accesso ai<br />
nostro reparti.<br />
Come si vedrà in seguito il cambiamento nella composizione della popolazione di soggetti che con<br />
GCA che afferiscono ai reparti di riabilitazione intensiva ha delle conseguenze pratiche importanti<br />
sul piano della programmazione sanitaria e socio-assitenziale perché entrambi i fattori (età ed<br />
eziologia) sono prognosticamente significativi.<br />
In Tab. 2 sono riportate le percentuali delle diverse cause di TCE severo documentate nello studio<br />
GISCAR, da cui emerge che gli incidenti stradali restano in assoluto la causa principale di trauma<br />
cranico in Italia.<br />
4
Eziologia trauma %<br />
Incidente stradale 79.26<br />
Cadute 13.80<br />
Sport/tempo libero 3.12<br />
Altro 1.90<br />
Tentativi suicidi 1.00<br />
Violenza 0.89<br />
Tab. 2 Studio GISCAR: causa di TCE<br />
Non sono attualmente disponibili informazioni precise sulla prevalenza delle GCA in Italia, ovvero<br />
sul numero di soggetti sopravvissuti con vario grado di disabilità e abitanti in una determinata area<br />
geografica nel momento della rilevazione dei dati. Nel Regno Unito si stima che la percentuale di<br />
sopravvissuti disabili a TCE sia di 100-150 per 100.000 abitanti. Tale percentuale viene invece<br />
stimata intorno a 54/100.000 in uno studio canadese di prevalenza (Pickett et al, 2001). Negli Stati<br />
Uniti i Centers for Disease Control (CDC) hanno calcolato che il 2% della intera popolazione vive<br />
con un qualche forma di disabilità secondaria a TCE. In uno studio, realizzato mediante interviste<br />
postali ai Medici di Medicina Generale di una regione del Belgio, le Fiandre, sono risultati 72 casi di<br />
soggetti disabili per TCE per 100.000 abitanti (Lannoo et al, 2004). I dati per le forme non<br />
traumatiche sono ancora meno conosciuti.<br />
Nel nostro paese si può stimare una prevalenza di un numero variabile tra 300 e 800 casi di<br />
GCA/100.000 abitanti ma solo una piccola parte di queste dovrebbero appartenere alla categoria<br />
dei “gravi-gravissimi”. Occorre però considerare il rischio di sottostimare il numero reale delle<br />
persone con grave disabilità per la possibilità che non si riesca ad intercettare tutti i casi esistenti,<br />
soprattutto se sono gestiti a domicilio, direttamente dal nucleo familiare di appartenenza. (Apolone<br />
et al, 2006).<br />
Il disturbo di coscienza<br />
La protratta alterazione dello stato di coscienza costituisce l’elemento caratterizzante e unificante<br />
tutte le forme di GCA, almeno nel loro decorso all’esordio: risulta quindi essenziale che tutto il<br />
team conosca gli elementi clinici distintivi delle diverse forme di deficit della coscienza, sia in grado<br />
di porre una corretta diagnosi differenziale con quadri clinici solo apparentemente simili e utilizzi la<br />
terminologia attualmente condivisa da tutta la comunità scientifica.<br />
In accordo con gli attuali criteri classificativi si riconoscono tre distinte condizioni di alterazione<br />
della coscienza in corso di GCA.<br />
5
Classificazione e valutazione<br />
- Il coma, è la condizione clinica caratterizzata da assenza di apertura degli occhi, mancanza<br />
di contenuti dimostrabili di coscienza e di produzione verbale comprensibile (GCS
un aumento del flusso sanguigno di una determinata area cerebrale, in rapporto all’esecuzione di<br />
compiti specifici, o comunque a sollecitazioni, a cui il paziente viene sottoposto durante l’esame.<br />
La PET (Positron Edmitting Topography) produce immagini tridimensionali o mappe dei processi<br />
funzionali che avvengono all’interno del cervello.<br />
L’applicazione di queste tecniche a pazienti con disordini di coscienza ha permesso di rivedere il<br />
concetto di abolizione di coscienza.<br />
La valutazione della percezione del dolore è stato l’approccio più rapido ed intuitivo per studiare la<br />
coscienza dei pazienti in SV.<br />
Già negli anni Novanta vengono riportate alcune segnalazioni che dimostrano che il dolore, in<br />
condizioni cerebrali fisiologiche, viene processato in multiple aree corticali e la sua percezione<br />
viene modulata da vie discendenti (Brooks, 2005).<br />
Laureys nel 2002, ha evidenziato che nei pazienti in stato vegetativo gli stimoli nocicettivi attivano<br />
la corteccia somatosensoriale primaria e il talamo, ma non le aree corticali e sottocorticali<br />
secondarie. La corteccia somatosensoriale secondaria, insulare bilaterale, parietale posteriore e<br />
cingolata anteriore non mostrano, invece, alcuna attivazione.<br />
Questo studio è stato condotto utilizzando la PET, che nei pazienti in SV ha dimostrato che vi è<br />
una riduzione del metabolismo cerebrale di oltre il 40%. Con la PET si valutava la risposta allo<br />
stimolo doloroso applicato al nervo mediano in 15 pazienti in SV ed in un gruppo corrispondente di<br />
controllo. Lo stimolo doloroso ha attivato, anche se minimamente, il talamo e la corteccia<br />
somatosensoriale primaria anche nei pazienti in SV; l’attivazione non si è poi diffusa alle aree<br />
corticali e sottocorticali secondarie. La risposta agli stimoli nocicettivi è solo distrettuale e non si<br />
diffonde attraverso le vie associative. Tale diffusione è necessaria perché la percezione diventi<br />
cosciente; ciò avviene grazie all’attivazione del circuito cortico-talamico ed aree associative corticali<br />
(Laureys, 2002).<br />
Ad analoghi risultati è giunto Kassubeck in uno studio su 7 pazienti anossici in SV (Kassubeck,<br />
2003 in Schnakers, 2009).<br />
Al contrario Boly (2008), studiando pazienti in SMC ha documentato un’attivazione delle aree<br />
cerebrali non dissimile dalle risposte presentate dai controlli, a dimostrazione che in questi pazienti<br />
c’è un’attivazione delle aree associative, contrariamente ai pazienti in SV. Pertanto i pazienti in<br />
SMC possono provare coscienza di dolore e quindi meritano, a maggior ragione, di essere trattati<br />
con analgesici e, prima ancora, accuratamente indagati circa la presenza di sintomi sentinella di<br />
possibili stati dolorosi (De Tanti e Bertolino, 2012).<br />
Questi studi hanno dimostrato che esistono aree corticali in grado di esprimere frammenti di attività<br />
cerebrale nei pazienti con danno cerebrale acuto che pur sono ritenuti incoscienti, ma proprio la<br />
mancanza di attivazione di una vasta rete corticale che coinvolge le aree primarie e secondarie,<br />
corticali e sottocorticali non consente lo sviluppo di contenuti di coscienza.<br />
Le tecniche di neuroimmagine risultano, quindi, potenzialmente utili per migliorare le capacità<br />
diagnostiche, volte principalmente ad una corretta diagnosi differenziale fra pazienti in SV e SMC.<br />
7
Di frequente le risposte fornite da questi pazienti, in corso di osservazione/valutazione clinica, sono<br />
ambigue; a volte è difficile discriminare fra un movimento riflesso e una risposta motoria<br />
spontanea, volontaria e ciò spiega l’alta percentuale di errori di inquadramento diagnostico.<br />
Vari studi hanno cercato di confrontare l’accuratezza diagnostica basata su osservazione clinica<br />
con quella fornita da esami strumentali evoluti.<br />
Il gruppo di Liegi ha condotto uno studio su 54 pazienti in SV e SMC (Monti, 2010). I ricercatori<br />
hanno utilizzato la fRMN ed una serie di test necessari per verificare il livello di coscienza. La fRMN<br />
è servita per documentare l’attivazione di determinate aree corticali durante l’esecuzione dei tests.<br />
Nella prima parte dell’esperimento ai pazienti è stato chiesto di immaginare di giocare a tennis o di<br />
camminare in un luogo noto, come per esempio la propria casa. L’applicazione di questi test<br />
coinvolgeva anche la sfera emotiva e cognitiva, in quanto il paziente dimostrava di capire il<br />
contenuto della richiesta che gli veniva fatta, di ricordare tale richiesta e di visualizzarla nella sua<br />
mente, cioè nel suo immaginario. Gli studiosi hanno verificato che 5 pazienti con diagnosi clinica di<br />
SV erano in grado di controllare volontariamente la loro attività cerebrale. Questi 5 pazienti erano<br />
rimasti vittima di trauma cranico.<br />
Nella seconda parte dell’esperimento si è voluto verificare se le attivazioni cerebrali ottenute nella<br />
prima parte del test potessero essere utilizzate dal paziente per comunicare una risposta di “si” o di<br />
“no”. In particolare uno di questi 5 pazienti, un ragazzo di 22 anni, precedentemente ritenuto in SV,<br />
è risultato molto reattivo ai test. Il paziente doveva immaginare di giocare a tennis nel caso volesse<br />
rispondere “si” alla domanda e di immaginare la sua abitazione se volesse rispondere “no”. Il<br />
paziente ha risposto a 5 domande su 6; ciò significa che era in grado di sentire, capire e riusciva ad<br />
immaginare sia di fare cose che di trovarsi in determinate situazioni, ma non poteva esprimersi<br />
mediante i normali canali comunicativi.<br />
Analogamente Owen (2006) descrisse il caso di un paziente considerato in SV che, sottoposto a<br />
fRMN, si è rivelato capace di rispondere mentalmente ad alcuni comandi che gli sono stati dati<br />
dagli esaminatori, dimostrando sia la presenza di attività corticale anche complessa (gli veniva<br />
chiesto di immaginare un’azione), sia la capacità di eseguire un ordine verbale e, pertanto, che il<br />
paziente non poteva, per definizione essere in SV.<br />
Anche questo lavoro dimostra l’utilità sperimentale delle tecniche di neuroimmagine come<br />
strumento efficace per comunicare con pazienti con disordini della coscienza.<br />
Tuttavia, tali metodi di indagine non sono, attualmente, proponibili su larga scala e, soprattutto,<br />
sono gravati da un numero elevato di problemi applicativi, che non consente di introdurli in uso<br />
clinico routinario (Owen, 2009, Coleman, 2009).<br />
Esiste poi ampia letteratura sull’uso di indagini neurofisiologiche (EEG, potenziali evocati<br />
somatosensoriali, potenziali evocati evento correlati) per indagare il livello di compromissione dello<br />
stato di coscienza e per ricercare indici prognostici precoci. Successivamente ai lavori della terza<br />
Conferenza Nazionale di Consenso di Salsomaggiore (Giuria 3 a CC), alle cui conclusioni<br />
rimandiamo per l’analisi della letteratura esistente sul tema, è stato pubblicato un lavoro di<br />
Rosanova e coll (2012) che propongono l’utilizzo di uno stimolatore magnetico transcranico (TMS)<br />
associato ad un elettroencefalografo ad alta intensità come metodica diagnostica eseguibile al letto<br />
8
del paziente per valutare la connettività corticale di soggetti non in grado di comunicare e con<br />
alterazione della coscienza. Gli autori sono partiti dal presupposto teorico e sperimentale che<br />
l’attività cosciente debba essere sostenuta dalla connessione rapida ed efficace di multiple aree<br />
corticali specializzate. I primi risultati presentati dagli autori sono interessanti, perché mostrano che<br />
nei soggetti in SV la TMS evoca solo risposte locali che testimoniano l’interruzione di network<br />
corticali complessi, analogamente a quanto accade in soggetti anestetizzati. Al contrario nei<br />
soggetti in SMC la TMS evoca risposte complesse che progressivamente si diffondono ad aree<br />
corticali lontane ipsi e contro laterali, analoghe a quelle documentate in soggetti sani di controllo o<br />
con Locked-in Syndrome. Al di là della possibile funzione di supporto strumentale alla diagnosi<br />
clinica, resta però ancora da dimostrare se la metodica presentata da Rosadini sia in grado di<br />
fornire elementi prognostici utili in anticipo rispetto alla clinica.<br />
Dall’analisi attenta anche della letteratura più recente viene confermata la conclusione riportata<br />
dalla giuria della Conferenza di Salsomaggiore che, ad oggi, il goal standard nella valutazione del<br />
disturbo di coscienza dei pazienti con GCA resta una accurata valutazione clinica svolta da<br />
personale specificamente addestrato, che si avvale di scale strutturate come la CRS-R. Si<br />
raccomandata che il giudizio finale non si basi su un'unica valutazione, ma su una osservazione<br />
longitudinale, meglio se eseguita da diversi operatori, così da poter cogliere la miglior prestazione<br />
possibile di pazienti che sono, per loro natura, soggetti a grandi oscillazioni, anche circadiane, del<br />
loro livello di “responsività”. Un’accurata intervista ai familiari del paziente, e il loro possibile<br />
coinvolgimento nell’analisi delle risposte comportamentali dei propri cari, può costituire un utile<br />
strumento aggiuntivo per cogliere, ad esempio, variazioni legate a stimoli con diversa valenza sul<br />
piano emotivo personale (De Tanti e Bertolino, 2012).<br />
E’ possibile promuovere il recupero della coscienza?<br />
Per favorire la ripresa del contatto con l'ambiente dei pazienti in coma/SV molti autori hanno<br />
sostenuto l'utilità di programmi riabilitativi di stimolazione sensoriale. Un tale approccio riabilitativo<br />
sarebbe supportato sia dalla dimostrazione che la deprivazione sensoriale produce negli animali<br />
perdita di funzione neurologica, come pensavano i primi autori che le hanno proposte (Le Winn e<br />
Dimancescu, 1978), sia dalle teorie sulla plasticità sinaptica (Albensi e Janigro, 2003). È<br />
necessario sottolineare però che, secondo la teoria sulla plasticità neuronale, non tutti gli stimoli<br />
sensoriali sono per propria natura positivi rispetto alla produzione di legami sinaptici stabili. Una<br />
parte delle critiche ai programmi di stimolazione sensoriale, intesi come somministrazione<br />
intensiva e contemporanea di stimoli a massima intensità applicati in successione sui recettori<br />
sensoriali (Doman et al, 1993), sono state incentrate proprio sul rischio che stimolazioni intense,<br />
prolungate e indiscriminate producano in fase iniziale un temporaneo incremento del livello di<br />
attivazione (arousal) che, di per sé, non è in grado di suscitare o incrementare possibilità di<br />
esperienza cosciente; il prolungarsi di tale stimolazione porta poi rapidamente a fenomeni di<br />
«abitudine» (o «assuefazione») psicologica al rumore di fondo (noise habituation) con<br />
corrispondente calo della capacità di elaborazione delle informazioni (Wood, 1991) Passando dal<br />
9
piano dei modelli teorici a quello della ricerca scientifica, dalle conclusioni di una revisione<br />
sistematica della letteratura sull'efficacia delle stimolazione sensoriali per favorire il risveglio dal<br />
coma (Lombardi et al, 2002) emerge che non esiste evidenza a supporto della efficacia, ma<br />
neppure di controindicazioni, circa l’uso di programmi di stimolazione multisensoriale in pazienti in<br />
coma o SV. E’ attualmente in corso una nuova ricerca Cochrane per verificare se nel decennio<br />
trascorso dal lavoro precedente siano emersi nuovi dati significativi sul tema.<br />
Allo stato attuale delle conoscenze riteniamo che il compito del team riabilitativo, in questo ambito,<br />
sia quello di esprimere adeguata competenza nel saper cogliere e amplificare i primi segni di<br />
contatto intenzionale del paziente, rappresentati spesso da reazioni neurovegetative a stimoli<br />
emotivamente significativi e da iniziale capacità di fissazione e inseguimento visivo<br />
dell’esaminatore. Per ottenere questo risultato occorre organizzare un setting strutturato di<br />
osservazione e trattamento in cui il paziente sia posto nelle condizioni più favorevoli: in assenza di<br />
complicanze cliniche disturbanti, dopo aver contrastato e rimosso qualunque spina irritativa<br />
algogena, in postura confortevole, in condizioni di veglia e a riposo, in ambiente privo di stimoli<br />
interferenti, cercando di ridurre al minimo possibile l’effetto potenzialmente negativo di farmaci ad<br />
azione sedativa.<br />
Esiste poi una ampia letteratura sull’utilizzo di farmaci per promuovere il recupero della coscienza.<br />
Rimandando al lavoro del gruppo tecnico 3 della CC di Salsomaggiore per una analisi dettagliata<br />
dei limiti metodologici dei lavori pubblicati su questo tema fino al 2010, in questa sede ci preme<br />
ricordare come vari autori sostengano che la dopamina svolga un ruolo centrale sulla vigilanza,<br />
l’attenzione, la concentrazione, la velocità di esecuzione motoria, le abilità visuospaziali e<br />
linguistiche, la motivazione, le funzioni esecutive e sul tono dell’umore. I principali farmaci in grado<br />
di influenzare primariamente i sistemi dopaminergici sono l’amantadina, gli agonisti dopaminergici<br />
e L-dopa (Krimchansky B., et al. 2004). L’amantadina è quello che ha riscosso più successo (Patrik<br />
et al, 2003): essa agisce presinapticamente sia facilitando il rilascio della dopamina dai terminali<br />
sinaptici, sia bloccandone il reuptake incrementandone così i valori a livello sinaptico. In un lavoro<br />
di recente pubblicazione Giacino (2012) ha dimostrato un miglioramento, misurato mediante la<br />
Disability Rating Scale (DRS), di un gruppo di soggetti TCE trattati per quattro settimane con<br />
amantadina in fase precoce (4-16 settimane dal trauma) e confrontato ai soggetti trattati con<br />
placebo. Il miglioramento ottenuto andava però annullandosi a distanza di due settimane dalla<br />
sospensione del trattamento stesso e, a 6 settimane dall’inizio dello studio i due gruppi di pazienti<br />
non differivano più per punteggio alla DRS .<br />
Come si può capire anche dalle conclusioni di quest’ultimo e interessante lavoro, ancora molta<br />
ricerca deve essere sviluppata, prima di poter affermare con certezza che esistono farmaci in<br />
grado di garantire un effetto terapeutico duraturo nel promuovere recupero di coscienza in soggetti<br />
con esiti di GCA. Ciò non toglie che si possa, sul piano clinico, continuare a provare l’efficacia dei<br />
farmaci più promettenti, quali l’amantadina, nella consapevolezza però che si agisce su base<br />
empirica e utilizzando sempre farmaci of-label, ovvero al di fuori dalle indicazioni ufficialmente<br />
riconosciute.<br />
10
Coscienza Sonno/<br />
Veglia<br />
Attività motoria Sensibilità Comunicazione<br />
Coma Assente Assente Assente Assente Assente<br />
Stato<br />
Vegetativo<br />
(SV)<br />
Stato di Minima<br />
Coscienza<br />
(SMC)<br />
Mutismo<br />
acinetico<br />
MA<br />
Loked-in<br />
Syndrome<br />
LYS<br />
Assente Presente<br />
Parziale Presente<br />
Parziale Presente<br />
Presente Presente<br />
Apertura spontanea degli occhi<br />
Movimenti<br />
riflessi/afinalistici<br />
Localizzazione di stimoli nocicettivi<br />
Possibile toccare, raggiungere e<br />
tenere oggetti in modo corretto<br />
rispetto a dimensione/forma<br />
Esecuzione di ordini incostante<br />
Minimo grado di movimento e di<br />
esecuzione di ordini, dipendente<br />
dalla natura ed intensità dello<br />
stimolo<br />
Quadriplegia<br />
Conservati i movimenti di<br />
verticalità degli occhi e di chiusura<br />
delle palpebre a comando<br />
Reazione di allerta a<br />
stimoli uditivi/visivi<br />
Localizzazione della<br />
provenienza dei suoni<br />
Fissazione e<br />
inseguimento visivo<br />
conservati<br />
Inseguimento visivo<br />
conservato<br />
Conservata<br />
Tab. 3 Segni clinici associati agli alterati stati di coscienza. [modificato da De Tanti, 2012]<br />
Fattori prognostici e aspettative di vita<br />
Assente<br />
Produzione verbale<br />
incomprensibile<br />
(occasionali vocalizzi)<br />
Comunicazione<br />
gestuale inconsistente<br />
Minimo grado di<br />
comunicazione<br />
verbale, dipendente<br />
dalla natura ed<br />
intensità della<br />
stimolazione<br />
Afonia/Anartria<br />
Comunicazione<br />
possibile per mezzo di<br />
movimenti oculari e<br />
apertura/chiusura<br />
palpebrale<br />
Rispetto al rischio di decesso in seguito a GCA, tutti gli autori concordano sul fatto che c’è una<br />
prima fase precoce con probabilità di decesso per i pazienti con TCE, tra il 51 e il 19% (Dance et<br />
al, 1994) Dopo tale periodo le probabilità che il decesso avvenga in fase tardiva tendono a ridursi<br />
di quattro-cinque volte rispetto al periodo precedente (Jennet, 2002). Tuttavia, i dati attuali sulla<br />
mortalità in fase «tardiva» sono poco affidabili, vista l’assenza di follow up a lungo termine e il dato<br />
che le moderne tecnologie di nursing favoriscono la buona gestione a lungo termine e quindi<br />
progressivamente aumentano le aspettative di sopravvivenza anche dei più gravi.<br />
Rispetto alla prognosi dello SV, la Multy-Society Task Force (1994) ha prodotto un’esaustiva e<br />
autorevole revisione della letteratura esistente nel mondo anglosassone, riportando i dati di circa<br />
754 casi di soggetti risultanti in SV a un mese da un insulto acuto (traumatico o non). Rispetto alla<br />
sottopopolazione dei soggetti di origine traumatica e di età adulta, la Task Force ha calcolato che<br />
la probabilità di outcome a un anno per i soggetti in SV da un mese comporta una percentuale del<br />
11
15% di permanenza in SV; viene stimata intorno al 52% la possibilità di recupero della coscienza,<br />
che si accompagna a buon recupero di indipendenza solo nel 24% dei casi. La prognosi si fa<br />
progressivamente più severa con il trascorrere dei mesi: dopo tre mesi di SV aumenta il rischio di<br />
persistere in SV (30%) Le previsioni sono ancora più critiche per uno SV perdurante a sei mesi,<br />
con 52% di probabilità di rimanere in SV a un anno.<br />
Dalla disamina della letteratura si deve concludere che, con l’eccezione della cerebropatia<br />
anossica, in cui l’assenza bilaterale dei potenziali evocati somatosensoriali e l’assenza di reattività<br />
pupillare costituiscono indice prognostico negativo precoce (Robinson, 2003, Log, 2003,<br />
Zandbergen, 2006) non sono ad oggi disponibili indagini strumentali o indici prognostici attendibili,<br />
soprattutto in fase precoce, in grado di predire quale sarà l’outcome dei nostri pazienti (Giuria CC<br />
di Modena, 2001). Fatta questa premessa, secondo vari autori si può ritenere la prognosi di<br />
recupero migliore:<br />
1) nei casi a eziologia traumatica rispetto a quelli di natura vascolare e anossica (MSTF, 1994);<br />
2) per minor gravità iniziale del coma, misurato con la Glasgow Coma Scale (GCS), in<br />
particolare il sub-item motorio (Lee, 2010);<br />
3) minor intervallo di tempo evento/ricovero riabilitativo; maggiore è il livello funzionale al<br />
ricovero (DRS) e l’entità del cambiamento funzionale (delta DRS) nelle prime 2 settimane di<br />
ricovero (White, 2005), migliore sarà la prognosi di recupero favorevole;<br />
4) nei casi in cui vi sia stata una minor durata del periodo di non responsività (coma e SV) e di<br />
(PTA);<br />
5) nei casi di pazienti in MCS rispetto a quelli in SV (Giacino, 2006, Taylor, 2007);<br />
6) nei soggetti di età inferiore rispetto ai più anziani, con un’età cut-off intorno ai 40-45 anni, con<br />
l’eccezione dei primi anni di vita.<br />
I dati che abbiamo appena riportato ci impongono alcune considerazioni conclusive:<br />
a) il progressivo aumento dell’età media dei nostri pazienti e la prevalenza delle GCA non<br />
traumatiche sono due elementi indicativi di una maggior complessità clinico-assistenziale e di<br />
una peggior prognosi di recupero dei pazienti che accedono nei reparti di riabilitazione<br />
intensiva, con tutte le conseguenze organizzative, economiche e sociali che ne derivano,<br />
anche quelle a lungo termine, tanto che risulta in aumento il numero di persone con<br />
grave/gravissima disabilità residua che necessitano di accoglienza in strutture<br />
extraospedaliere ad alta valenza assistenziale, non potendo essere riaccolti a domicilio;<br />
b) la conferma del fatto che non disponiamo di indici prognostici precoci in grado di fornirci una<br />
previsione attendibile delle possibilità di recupero del singolo paziente conferma, anche sul<br />
piano etico, la raccomandazione della Giuria della prima Conferenza di Consenso di<br />
Modena, nel 2000, secondo cui occorre garantire a tutti i pazienti con GCA, salvo poche<br />
controindicazioni maggiori, almeno una prima fase di ricovero in strutture riabilitative di alta<br />
specialità, per evitare che la decisione di una prognosi precoce troppo negativa e una<br />
altrettanto prematura sospensione di terapie si traduca in una profezia negativa che si autoavvera.<br />
12
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
Albensi B.C., Janigro D., Traumatic brain injury and its effects on synaptic plasticity, 2003. In:<br />
Brain Injury; 17(8), pp. 653-663<br />
Apolone G., Boldrini P., Avesani R., De Tanti A. et al. (2007) 2° Conferenza Nazionale di<br />
Consenso. Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità da grave<br />
cerebrolesione acquisita (GCA) e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera, 2007 Ital J<br />
Rehab Med - MR; 21, pp. 29-51<br />
Boly M. et al., Perception of pain in the minimally conscious state with PET activation: on<br />
observational study, 2008. In: Lancet Neurol; 7 (11), pp.1013-20<br />
Brooks J. et al., From nociception to pain perception: imaging the spinal and supraspinal pathways,<br />
2005. In: J. Anat; 207, pp. 19-33<br />
Bruns J. Jr., Hauser W.A., The epidemiology of traumatic brain injury: a review. Epilepsia, 2003. In:<br />
44 suppl 10, pp. 2-10<br />
Coleman et al., Towards the routine use of brain imaging to aid the clinical diagnosis of disorders of<br />
consciousness, 2009. In: Brain; 132, pp. 2541-2552<br />
Danze F., Veys B., Lebrun T. et al., Prognostic factors of post-traumatic vegetative states: 522<br />
cases, 1994. In: Neuro-Chirurgie; 40, pp. 348-357<br />
De Tanti A., Eziopatopegenesi delle sindromi neuropsicologiche post-traumatiche,. In: Cattellani R.,<br />
Neuropsicologia delle sindromi post-traumatiche, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2006, pp. 31-58<br />
De Tanti A., Avesani R., Khansefid K., Formisano R., Boldrini R., Zampolini M., Ferro S., The<br />
Italian National Registry For Severe Acquired Brain Injury: first data. 1° European<br />
NeuroRehabilitation Congress. Merano 20-22 ottobre 2011<br />
De Tanti A., Bertolino C., Valutazione e trattamento del dolore nei disordini della coscienza. In: De<br />
Tanti A., Matozzo F., Saviola D. (a cura di) Dolore e Trauma Cranico. Indicazioni e prassi per<br />
operatori e familiari, Franco Angeli, Milano, 2012, pp. 124-138<br />
Di Carlo A., Baldereschi M., Gandolfo C., Candelise L., Ghetti A., Maggi S., Scafato E., Carbonin<br />
P., Amaducci L., Inzitari D., Group I.W., Stroke in an elderly population: incidence and impact on<br />
survival and daily function. The Italian Longitudinal Study on Aging, 2003. In: Cerebrovasc Dis.;<br />
16, pp.141-150<br />
Doman G., Wilkinson R., Dimancescu M.D., Pelligra R., The effect of intense multisensory<br />
stimulation on coma arousal and recovery, 1993. In: Neuropsychological Rehabilitation; 3(2), pp.<br />
203-212<br />
13
Giacino J.T., Diagnostic and prognostic assessment pf patients in the vegetative state and<br />
minimally conscious states, 2004. In: L’Arco di Giano; Supplemento al n 39, pp. 71-75<br />
Giacino J.Y. et al., The minimally conscious state. Definition and diagnostic criteria, 2002. In:<br />
Neurology; 58, pp. 49-353<br />
Giacino J.T., The JFK Coma Recovery Scale–Revised: Measurement Characteristics and<br />
Diagnostic Utility, 2004. In: Arch Phys Med Rehabil; vol. 85<br />
Giacino J.T., Whyte J., Bagiella E. et al., Placebo-controlled trial of amantadine for severe<br />
traumatic brain injury, 2012. In: N Engl J Med., Mar 1; 366(9), pp. 819-26<br />
Giuria della Consensus Conference, Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato<br />
cranioencefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi<br />
appropriati. Documento conclusivo della Giuria e Raccomandazioni, 2001. In: Giornale Italiano di<br />
Medicina Riabilitativa; 15(1), pp. 29-42<br />
Giuria della Consensus Conference, Conferenza Nazionale di Consenso. Buona pratica clinica<br />
nella riabilitazione ospedaliera delle persone con GCA, 2011. In: MR Giornale Italiano di<br />
Medicina Riabilitativa. Ottobre; 25(5), pp.191-232<br />
Hagen C. et al., Cognitive assessment and goal setting. In: Rehabilitation of the head injured adult:<br />
comprehensive management. Dowenwy Ca: Professional staff association of Rancho Los<br />
Amigos Hospital, 1979<br />
Jennet B. et al., Assessment of outcome after severe brain damage, 1975. In: Lancet; 1, pp. 480-<br />
484<br />
Jennet B., Consensus statement on criteria for the persistent vegetative state is being developed,<br />
1997. In: BMJ; 31; 314 (7094), pp. 1621-2<br />
Jennet B., The vegetative state. Medical facts, ethical and legal dilemmas, Cambridge University<br />
Press, Cambridge, 2002<br />
Kassubeck J. et al., Activation of a residual cortical network during painful stimulation in long-term<br />
postanoxic vegetative state: a 150-H2O PET study, 2003. In: J Neurol Sci; 212 (1-2), pp. 85-91<br />
Krimchansky B. et al., Differential time and related appearance of signs, indicating improvement in<br />
the state of consciousness in vegetative state traumatic brain injury patients after initiation of<br />
dopamine treatment, 2004. In: Brain Inj; 18(11), pp. 1099-1105<br />
Lannoo E., Brusselmans W., Van Eynde L. et al., Epidemiology of acquired brain injury (ABI) in<br />
adults: prevalence of long-term disabilities in the resulting needs for ongoing care in the region of<br />
Flanders, Belgium, 2004. In: Brain Injury; 18 (2), pp. 203-211<br />
Laureys S. et al., Cortical processing of noxious somatosensory stimuli in the persistent vegetative<br />
state, 2002. In: Neuroimage; 17(2), pp. 732-741<br />
14
Laureys S., Giacino J.T., Schiff N.D., Schabus M., Owen A.M., How should functional imaging of<br />
patients with disorders of consciousness contribute to their clinical rehabilitation needs?, 2006.<br />
In: Curr Opin Neurol.; December 19(6), pp. 520–527<br />
Lee et al., Accuracy of clinical signs, SEP and EEG in predicting outcome of hypoxic coma. A<br />
meta-analysys, 2010. In: Neurology; 74, pp. 572-580<br />
Levy D.E., Bates D., Caronna J.J. et al., Prognosis in nontraumatic coma, 1981. In: Ann Intern<br />
Med; 94, pp. 293-301<br />
Le Winn E. B., Dimancescu M. D., Environmental deprivation and enrichment in coma, 1978. In.<br />
Lancet; 2, pp. 156-157<br />
Logi F., The prognostic value of evoked responses from primary somatosensory and auditory<br />
cortex in comatose patients, 2003. In: Clin Neurophysiol; 114(9), pp. 1615-1627<br />
Lombardi F., Taricco M., De Tanti A., Telaro E., Liberati A., Sensory stimulation of brain injured<br />
individuals in coma or vegetative state, 2002. In: Cochrane Database Syst Rev; (2): CD001427<br />
Lombardi F., Gatta G., Sacco S. et al., The Italian version of the Coma Recovery Scale-Revised<br />
(CRS-R), 2007. In: Functional Neurology; 22 (1), pp. 47-61<br />
MacKay L.E., Bernstein B.A., Chapman P.E. et al., Early intervention in severe heah injury: longterm<br />
benefits of a formal program, 1992. In: Archives of Physical Medicine and Rehabilitation;<br />
73, pp. 635-641<br />
Masson F., Thicoipe M., Mokni P., Dabadie P. et al., Epidemiology of traumatic coma: a<br />
prospective population-based study, 2003. In: Brain Injury; 17 (4), pp. 279-293<br />
Monti M. et al., Willful Modulation of Brain Activity in Disorders of Consciousness, 2010. In: The<br />
new England journal of medicine; 362, pp. 579-589<br />
MSTF Multi-Society Task Force on Persistent Vegetative State, Statement on medical aspects of<br />
the persistent vegetative state, 1994. In: New England Journal of Medicine; 333, pp. 1499-1508<br />
Owen A.M. et al., Detecting awareness in the vegetative state, 2006. In: Science; 313, p. 1402<br />
Owen A. M., Schiff N., Laureys S., The assessment of Conscious Awareness in the Vegetative<br />
State. In: Laureys S., Tononi G .(Eds), The Neurology of Consciousness, Elsevier, London,<br />
2009, pp. 163-172<br />
Pickett W., Ardern C., Brison R.J., A population-based study of potential brain injuries requiring<br />
emergency care, 2001. In: Canadian Medical Association Journal; August 7; 165 (3), pp. 288-<br />
292<br />
Patrik P.D., Bruck M.L., Conawey M.R., Brackman J.A., The use of dopamine enhancing<br />
medications whit children in low response states following brain jniury, 2003. In: Brain Injury; 17,<br />
pp. 497-506<br />
15
Rappaport M. et al., Disability Rating Scale for severe head trauma: coma to community, 1982. In:<br />
Arch Phys Med Rehabil; 63, pp. 118-123<br />
Rappaport M. et al., Evaluation of coma and vegetative state, 1992. In: Arch Phys Med Rehabil;<br />
73, pp. 628-634<br />
Robinson L., Lew H., Predictive value of somatosensory evoked potentials for awakening in coma,<br />
1993. In: Crit Care Med; 31(3), pp. 960-967<br />
Rosanova M., Gosserier O., Casarotto S. et al., Recovery of cortical effective connectivity and<br />
recovery of consciousness in vegetative patients, 2012. In: Brain; January 6, pp. 1 -13<br />
Schnakers C. et al., Diagnostic accuracy of the vegetative and minimally conscious state: clinical<br />
consensus versus standardized neurobehavioral assessment, 2009. In: BMC Neurology; 9, p.35<br />
Servadei F., Verlicchi F., Soldano F. et al., Descriptive epidemiology of head injury between two<br />
geographically different Italian regions, 2002. In: Neuroepidemiology; Nov-Dec; 21 (6), pp. 297-<br />
304<br />
Servadei F., Begliomini C., Gardini E. et al., Effect of Italy’s motorcycle helmet law on traumatic<br />
brain injuries, 2003. In: Injury Prevention; Sep 9 (3), pp. 257-260<br />
Taylor C.M., Aird V.H., Robyn L., Tate R.L., Lammi M.H., Sequence of Recovery During the<br />
Course of Emergence From the Minimally Conscious State, 2007. In: Arch Phys Med Rehabil;<br />
vol. 88, April, pp. 521-525<br />
Zampolini M., Zaccaria B., Tolli V., Frustaci A., Franceschini M., GISCAR Group, Rehabilitation of<br />
traumatic brain injury: a multi-centred study, 2012. In: Brain Injury; 26(1), pp. 27-35<br />
Zandbergen E., Prediction of poor outcome within 3 days of post-anoxic coma, 2006. In:<br />
Neurology; 66(1), pp. 62-68<br />
Whyte J. e al., Predictors of outcomes in prolonged post traumatic disorders of consciousness and<br />
assessment of medications effects:a amulticeter study, 2005. In: Arch Phys Med Rehab; 86<br />
marzo<br />
Wood R.L., Critical analysis of the concept of sensory stimulation for patients in vegetative states,<br />
1991. In. Brain Injury 1991; 4, pp.401-10<br />
16
LE <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong><br />
Giovanni Pietro Salvi 1 e Marcello Simonini 2<br />
Il termine Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) comprende una varietà di lesioni cerebrali acute a<br />
eziologia traumatica e non, caratterizzate da uno stato di coma più o meno prolungato, e dalla<br />
contemporanea presenza di menomazioni motorie, sensoriali, cognitive e/o comportamentali.<br />
L’inquadramento nosologico delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite è caratterizzato da una comune<br />
gravità delle fasi iniziali (stato di coma) ma presenta una evoluzione tale da dar luogo a una<br />
molteplicità di sindromi. Nella maggior parte dei casi, infatti, permangono sequele che rendono<br />
necessari interventi di carattere sanitario e sociale a lungo termine, volti ad affrontare menomazioni<br />
e disabilità presenti e difficoltà di reinserimento famigliare, sociale, scolastico e lavorativo. Sono<br />
tutti aspetti che spesso provocano importanti cambiamenti dello stile e della qualità della vita sia<br />
del soggetto che del nucleo famigliare.<br />
Per questo è importante comprendere i bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone affette da<br />
Gravi Cerebrolesioni Acquisite e delle loro famiglie sia nella fase acuta, sia in fase post-acuta e<br />
soprattutto nella fase degli esiti.<br />
Le principali associazioni e società scientifiche italiane interessate alla riabilitazione delle Gravi<br />
Cerebrolesioni Acquisite hanno affrontato questi problemi promuovendo diverse “Consensus<br />
Conference”.<br />
La scelta della procedura della Consensus Conference indica il riconoscimento che un problema,<br />
così complesso e significativo per la vita di molte persone, debba essere affrontato con un<br />
approccio multidisciplinare, interprofessionale, sistematico, metodologicamente rigoroso e radicato<br />
nei progressi scientifici più recenti. La Consensus Conference ha, infatti, lo scopo di produrre<br />
raccomandazioni “attraverso un processo formale di accordo tra diverse figure rispetto a questioni<br />
sanitarie particolarmente controverse e complesse, favorendo la scelta di orientamenti il più<br />
possibile uniformi nella pratica clinica, nell’ottica di fornire ai pazienti la migliore qualità di cura in<br />
rapporto alle risorse disponibili”.<br />
Il lavoro degli esperti focalizzato sulle domande critiche identificate dai comitati scientifici promotori<br />
delle Consensus e attraverso l’analisi della letteratura scientifica ha portato alla stesura di revisioni<br />
sistematiche secondo gli standards della Evidence-Based Medicine (EBM).<br />
Riguardo all’Evidence-Based Medicine, va ricordato che si tratta di un approccio alla pratica clinica<br />
in cui le decisioni derivano dall’integrazione tra l’esperienza del medico e l’utilizzo coscienzioso,<br />
1 Neurologo, Responsabile dell’Unità operativa di Recupero e Riabilitazione funzionale, Casa di cura “Quarenghi”, San<br />
Pellegrino Terme (BG); Presidente della Rete (Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni<br />
Acquisite)<br />
2 Medico, Casa di cura “Quarenghi”, San Pellegrino Terme (BG)<br />
17
esplicito e giudizioso delle migliori evidenze scientifiche disponibili, mediate dalle preferenze del<br />
paziente.<br />
La multidisciplinarietà è stata ricercata coinvolgendo nei lavori i rappresentanti di tutte quelle<br />
professionalità e funzioni che, in diversi momenti, possono essere implicati nella riabilitazione delle<br />
Gravi Cerebrolesioni Acquisite.<br />
Punti di riferimento importanti sono stati i risultati della Conferenza Nazionale di Consenso su<br />
“Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio-encefalico in fase acuta, criteri di<br />
trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi appropriati”, svoltasi a Modena nel 2000<br />
e della Conferenza di Consenso su “Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità<br />
da Grave Cerebrolesione Acquisita e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera”, svoltasi a<br />
Verona nel 2005.<br />
Altra importante Consensus Conference è stata quella sulla riabilitazione neuropsicologica della<br />
persona adulta svoltasi a Siena nel febbraio 2010 (La riabilitazione neuropsicologica della persona<br />
adulta).<br />
Ultima in ordine di tempo la terza Conferenza Nazionale di Consenso su “Buona pratica clinica<br />
nella riabilitazione ospedaliera delle persone con Gravi Cerebrolesioni Acquisite” tenutasi a<br />
Salsomaggiore nel novembre 2010. Da questi incontri sono scaturite delle indicazioni e<br />
raccomandazioni di massima da seguire per le diverse tematiche che possono coinvolgere le<br />
persone affette da Gravi Cerebrolesioni Acquisite, i sanitari ed i famigliari.<br />
Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite rappresentano un problema di notevole rilevanza sanitaria e<br />
sociale nelle società moderne. Va considerata l’elevata incidenza e prevalenza, specialmente tra<br />
adulti e giovani in piena età scolastica o lavorativa. Inoltre, la numerosità e complessità delle<br />
conseguenze di tipo senso-motorio, comportamentale e cognitivo, sono spesso disabilitanti nella<br />
vita quotidiana. Importanti sono anche le ripercussioni emotive e materiali che vanno a gravare sul<br />
sistema famigliare della persona colpita. Le conseguenze sociali, in termini di difficoltà di<br />
reinserimento famigliare, scolastico o lavorativo, richiedono la necessità di un elevato impegno di<br />
risorse, in ambito sociale e sanitario, con interventi complessi e prolungati nel tempo, che spesso<br />
devono essere modulati e diversificati in funzione degli specifici bisogni della persona cerebrolesa<br />
e del suo nucleo famigliare. Quest’ultimo aspetto, soprattutto, costituisce un compito estremamente<br />
impegnativo sul piano tecnico-professionale, organizzativo e relazionale.<br />
Vorremmo segnalare la grande importanza delle conferenze di consenso e della elaborazione di<br />
linee guida che, magari lentamente e con molta difficoltà, alla fine ci auguriamo diventino operative<br />
e traccino davvero la strada del percorso di questi pazienti.<br />
Questo manuale vuol avere la funzione di informare, con parole facilmente comprensibili, gli<br />
operatori di sanità e desidera approfondire i principali temi che riguardano la cura, l’assistenza e la<br />
riabilitazione delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite.<br />
Gli stessi pazienti ed i loro familiari possono trovare in questo testo informazioni aggiornate ed<br />
esaurienti su questi temi.<br />
18
1 a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO<br />
Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranio encefalico in fase acuta,<br />
criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi appropriati<br />
Sintesi delle principali raccomandazioni<br />
Modena, 20-21 giugno 2000<br />
Per avviare una corretta programmazione dei servizi e definite il livello di assistenza più<br />
appropriato alle diverse fasi della malattia, è urgente migliorare le conoscenze<br />
epidemiologiche sulle Gravi Cerebrolesioni Acquisite.<br />
Pur non esistendo prove scientifiche di buona qualità circa la efficacia di trattamenti precoci<br />
e/o intensivi, la Giuria raccomanda che, in fase acuta, l’intervento riabilitativo sia attivato<br />
precocemente allo scopo di prevenire i danni secondari, minimizzare le menomazioni e<br />
facilitare la ripresa di contatto con l’ambiente.<br />
Sulla base dell’analisi delle prove scientifiche disponibili la Giuria ritiene che l’uso delle<br />
tecniche di stimolazione multisensoriale intensiva e i programmi di regolazione sensoriale non<br />
debbano essere raccomandanti.<br />
A giudizio della Giuria devono essere considerati interventi minimi essenziali per il paziente<br />
con Grave Cerebrolesione Acquisita: a)variazioni periodiche di posture nell’arco della giornata<br />
e mobilizzazione passiva pluriarticolare; b)monitoraggio strutturato della responsività e<br />
strutturazione di un ambiente favorevole al manifestarsi delle prime capacità di<br />
comunicazione; c) interventi di riabilitazione respiratoria mirati al drenaggio bronchiale e<br />
all’insegnamento delle tecniche di svezzamento progressivo dalla respirazione controllata a<br />
quella assistita e autonoma; d) omogeneizzazione all’interno del team che ha in carico il<br />
paziente, del tipo di informazione da fornire alla famiglia e dei supporti psicologici e logistici.<br />
La Giuria ha ritenuto utile definire precisi criteri di trasferibilità da strutture di terapia intensiva<br />
e neurochirurgia a strutture riabilitative suddividendoli in “criteri di sufficiente stabilizzazione<br />
medica” e “criteri di sufficiente stabilizzazione neurochirurgica” (assenza di instabilità<br />
cardiocircolatoria, respiro autonomo e stabilità metabolica, assenza di insufficienza d’organo,<br />
di stato settico, di problemi chirurgici). La Giuria si è altresì trovata concorde nel<br />
raccomandare che la presenza di cannula tracheostomica, di catetere venoso centrale, di<br />
sondino nasogastrico o gastrostomia (PEG) (Percutaneous Endoscopic Gastrostomy) e di<br />
crisi epilettiche non ancora completamente controllate dalla terapia non devono essere<br />
considerati criteri di controindicazione al trasferimento.<br />
La Giuria raccomanda che per quanto riguarda la identificazione dei percorsi dei pazienti con<br />
Grave Cerebrolesione Acquisita vengano considerate tre tipologie distinte definite in base al<br />
19
grado di responsività, alle condizioni medico internistiche, al tipo e grado delle complicanze<br />
nonché alla stima delle possibilità di recupero (vedi figure 1-2-3-4).<br />
La Giuria raccomanda che la problematica della informazione e del coinvolgimento della<br />
famiglia del paziente con Grave Cerebrolesione Acquisita venga assunto come elemento<br />
centrale di una buona qualità della assistenza e che le équipe si attrezzino in modo strutturato<br />
perché la informazione e la presa in carico diventi un elemento costante nelle diverse fasi<br />
della assistenza a questi pazienti.<br />
Pur in assenza di dati empirici relativi alla efficacia di differenti modelli organizzativi, la Giuria<br />
raccomanda come riferimento il modello “a reti integrate con livelli di responsabilità<br />
differenziati” basati su livelli principali e decentrati sia per le Unità Operative per Acuti (UOA)<br />
che per le Unità Operative di Medicina Riabilitativa (UOMR) (vedi figura 5).<br />
La Giuria ritiene urgente segnalare ai responsabili delle Aziende Sanitarie ed alle Autorità<br />
Sanitarie Regionali la necessità di promuovere momenti di valutazione e monitoraggio degli<br />
interventi mirati a migliorare la conoscenza delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite.<br />
La Giuria raccomanda ai promotori della Conferenza di consenso di indentificare le modalità<br />
più efficaci perché le raccomandazioni emerse da essa vengano discusse e, se condivise,<br />
implementate dalle Aziende Sanitarie Locali e dalle Autorità Regionali competenti.<br />
2 a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO<br />
Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con disabilità da Grave<br />
Cerebrolesione Acquisita (GCA) e delle loro famiglie, nella fase post-ospedaliera<br />
Verona, giugno 2005<br />
Definizione, epidemiologia e bisogni informativi<br />
Considerando le criticità che sono state descritte, relative alla conoscenza delle dimensioni del<br />
fenomeno, la Giuria ritiene che tre approcci di studio, con un livello di fattibilità diverso e crescente,<br />
dovrebbero essere condotti per migliorare le conoscenze epidemiologiche.<br />
Un primo approccio si dovrebbe basare sull’utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili.<br />
In tal senso si raccomanda la conduzione di analisi su database integrati ricavati da flussi<br />
informativi ospedalieri o socio-anagrafici. L’utilizzo di nuovi sistemi classificativi che<br />
permettano una migliore aggregazione delle diagnosi e co-diagnosi attraverso algoritmi<br />
flessibili, che classificano il paziente in funzione della severità all’interno di ogni specifico<br />
DRG (Diagnosis Releated Groups) potrebbe aumentare la capacità di identificare i ricoveri<br />
20
ilevanti, per poi tracciarne la successiva evoluzione attraverso le altre fonti informative<br />
amministrative.<br />
Un secondo livello prevede la raccolta di informazioni aggiuntive nella Scheda di Dimissione<br />
Ospedaliera (SDO), in forma di aggregati diagnostici od altri tipi di informazione rilevante, che<br />
consenta di identificare con maggior precisione questa categoria di casi.<br />
Un terzo livello si fonda sulla creazione di registri, a livello locale, regionale o nazionale, in<br />
grado di identificare e classificare al meglio tutti i casi eleggibili, con l’utilizzo di strumenti che<br />
permettono di stratificare i casi in funzione dei livelli di gravità/complessità e di fabbisogno<br />
riabilitativo e assistenziale a breve e lungo termine.<br />
Evoluzione, pianificazione, realizzazione ed efficacia dei modelli di intervento<br />
riabilitativo<br />
La Giuria raccomanda di evitare la separazione temporale delle fasi degli interventi riabilitativi<br />
sanitari da quelli socio-assistenziali: interventi a valenza sociale ed assistenziale devono<br />
essere effettuati fin dalla fase acuta, e svilupparsi in misura progressivamente maggiore nelle<br />
fasi successive (post acuta precoce e tardiva, degli esiti); e, d’altra parte, interventi a valenza<br />
sanitaria, che sono prevalenti nella fase acuta e post-acuta, possono essere necessari anche<br />
nelle fasi tardive della presa in carico.<br />
Oltre al superamento della divisione temporale fra interventi a valenza sanitaria e sociale, è<br />
necessario perseguire la integrazione fra i due livelli di intervento.<br />
E’ raccomandabile una organizzazione in rete di tutte le strutture ed i soggetti che, in un dato<br />
ambito territoriale, sono coinvolte nella presa in carico della persona con Grave<br />
Cerebrolesione Acquisita dopo la fase di ospedalizzazione, ed uno stretto raccordo fra tale<br />
rete di servizi e le strutture ospedaliere di riabilitazione.<br />
E’ opportuna la conduzione di studi di outcome (effectivenss) su ampie casistiche che siano<br />
rappresentative della popolazione di interesse.<br />
Data la numerosità dei fattori che influiscono sul profilo di bisogno riabilitativo ed assistenziale<br />
nella fase post-ospedaliera, la Giuria ritiene opportuno che la valutazione delle persone con<br />
Grave Cerebrolesione Acquisita e dei fattori ambientali che condizionano la loro salute, sia<br />
multidimensionale, inter-professionale, ed effettuata con il coinvolgimento attivo della persona<br />
o della famiglia. Nella valutazione del profilo di bisogno , è necessario tener conto in egual<br />
modo dei fattori clinici e di quelli personali (individuali) e ambientali.<br />
Nel pianificare gli interventi riabilitativi ed assistenziali per la persona con Grave<br />
Cerebrolesione Acquisita e la sua famiglia, è necessario perseguire il criterio della<br />
21
personalizzazione degli interventi. Tale personalizzazione non va intesa come un semplice<br />
processo di selezione fra le diverse opzioni di intervento disponibili, in funzione delle singole<br />
aree di bisogno, ma anche nella loro coordinazione ed integrazione. La Giuria ritiene<br />
necessario che per garantire tale integrazione sia necessario assicurare una funzione di<br />
case-management a supporto di ogni persona e nucleo famigliare.<br />
Ogni intervento dovrebbe essere basato su conoscenze condivise dalla comunità scientifica.<br />
Ogni intervento dovrebbe essere basato su una valutazione effettuata da operatori<br />
competenti, con la partecipazione del paziente quando possibile e della famiglia, e dovrebbe<br />
definire obiettivi, tempi e modalità di effettuazione.<br />
Ogni intervento sanitario, riabilitativo, assistenziale, dovrebbe essere integrato in un progetto<br />
di presa in carico individuale, pianificato e condotto attraverso una funzione di “case<br />
management” personalizzato.<br />
E’ necessario, anche al fine di non alimentare aspettative non realistiche, che il paziente e la<br />
famiglia siano adeguatamente informati sulle finalità degli interventi, in particolare su quale sia<br />
la reale finalità: - terapeutica, intesa come azione volta a modificare positivamente una<br />
alterazione strutturale, funzionale, o una limitazione di attività e partecipazione; - assistenziale<br />
intesa come azione volta a mantenere una determinata condizione di alterazione strutturale,<br />
funzionale o una limitazione di attività e partecipazione; - educativa, intesa come azione volta<br />
a trasmettere conoscenze e competenze utili a gestire una determinata condizione di<br />
alterazione strutturale, funzionale o una limitazione di attività e partecipazione.<br />
Classificazione delle strutture e dei servizi, nella fase post-ospedaliera e modelli<br />
organizzativi generali e locali<br />
E’ necessaria una revisione ed armonizzazione delle denominazioni dei servizi e delle<br />
strutture in modo da rendere più agevole lo scambio di informazioni ed il confronto fra realtà<br />
diverse.<br />
E’ opportuno favorire la costituzione di registri ed osservatori locali che possano rilevare le<br />
necessità in ambito assistenziale e sociale.<br />
E’ opportuno favorire la massima diffusione di informazioni sui servizi esistenti, cui possano<br />
accedere le persone con Grave Cerebrolesione Acquisita e le loro famiglie, operatori<br />
professionali e del volontariato amministratori, associazioni coinvolte in queste problematiche<br />
attraverso lo sviluppo di banche dati sui servizi a livello locale e nazionale.<br />
E’ necessario dare ulteriore sviluppo alla integrazione socio-sanitaria attraverso la creazione<br />
di reali percorsi di rete attivati fin dalle prime fasi riabilitative, sulla base di criteri generali<br />
22
condivisi a livello nazionale, e adattati a livello locale, e che prevedano investimenti economici<br />
congruenti a tutti i livelli d’intervento.<br />
E’ opportuno sostenere la domiciliazione attraverso programmi di supporto alla persona che<br />
prevedano interventi finanziari specifici, peraltro già attuati in alcune Regioni.<br />
E’ opportuno sviluppare programmi assistenziali individualizzati con standards minimi garantiti<br />
per i pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita, fissati in funzione dei diversi livelli di<br />
disabilità secondo le varie scale di misurazione adottabili.<br />
E’ necessario incentivare la creazione di servizi non residenziali dedicati con programmi di<br />
supporto specifico in grado di sollevare la famiglia garantendo attività mirate al reinserimento<br />
sociale.<br />
Percorsi di riqualificazione professionale<br />
Si raccomanda di perseguire una maggiore integrazione e coordinamento fra i servizi che<br />
intervengono nelle diverse tappe del processo di reinserimento (team riabilitativi ospedalieri e<br />
territoriali), commissioni di valutazione, servizi per l’inserimento lavorativo, servizi handicap,<br />
ecc).<br />
E’ opportuno perseguire una migliore ed univoca specificazione dei ruoli rivestiti dai diversi<br />
operatori nel processo di reinserimento, nonché l’adozione di una terminologia comune e<br />
condivisa.<br />
Il processo di reinserimento professionale della persona con Grave Cerebrolesione Acquisita<br />
deve essere personalizzato ed adattato alle specifiche situazioni e necessità; è quindi<br />
necessario garantire flessibilità nei tempi di accesso ai diversi servizi e tutoraggio individuale.<br />
La possibilità di un percorso di riqualificazione /reinserimento professionale andrebbe valutata<br />
precocemente, fin dalla fase riabilitativa ospedaliera; è raccomandabile che i team riabilitativi<br />
che operano nella fase intensiva intraospedaliera stabiliscano relazioni stabili con i servizi che<br />
operano nell’ambito del reinserimento lavorativo e professionale.<br />
Va posta maggior attenzione alle relazioni fra servizi per il reinserimento professionale ed il<br />
mondo delle aziende , promuovendo specifiche azioni di informazione e consulenza.<br />
E’ necessario sviluppare la rete delle strutture transizionali extraospedaliere specificatamente<br />
dedicate alle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita (centri per attività occupazionali<br />
senza scopi lavorativi; strutture di preparazione ai tirocini lavorativi, strutture per il lavoro<br />
protetto a tipo delle cooperative).<br />
23
Famiglie ed associazioni<br />
Per garantire la continuità dell’intero percorso riabilitativo del paziente, in particolare nella<br />
fase post-ospedaliera, è necessario che i Dipartimenti di Riabilitazione e le Unità Operative di<br />
riabilitazione intensiva si “raccordino “ strettamente con le strutture/servizi territoriali del<br />
proprio bacino d’utenza, elaborando protocolli condivisi (anche con le famiglie) di definizione<br />
di percorsi assistenziali specifici per ogni tipologia di esito.<br />
L’informazione/coinvolgimento della famiglia rimane il cardine di buon processo assistenziale:<br />
il nucleo famigliare e, quando possibile il paziente, devono essere informati, addestrati e<br />
coinvolti nelle varie opzioni di scelta del percorso post ospedaliero.<br />
E’ necessario da parte delle Regioni, un potenziamento delle strutture di<br />
assistenza/riabilitazione a lungo termine, basata sui dati epidemiologi locali, per alleviare il<br />
carico dei famigliari nelle situazioni di maggior gravità degli esiti. In particolare: -strutture<br />
degenziali specializzate per i casi gravi in cui il rientro a domicilio dopo la fase ospedaliera<br />
non sia sostenibile; – strutture di riabilitazione sociale come “Centri Diurni” per pazienti<br />
definitivamente dimessi dalle strutture sanitarie ma con gravi esiti motori e/o cognitivi<br />
cronicizzati, in cui operatori specificamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria<br />
assistenza e le adeguate stimolazioni; – strutture di sollievo temporanee per dare le<br />
possibilità ai famigliari di recuperare energie e mantenere la qualità di vita del nucleo<br />
famigliare.<br />
E’ indispensabile garantire una funzione di “case management” con la individuazione di una o<br />
più figure con funzione di coordinatore/i formato e informato (es. assistente sociale,<br />
assistente sanitario ecc) in grado di assicurare il sostegno alle famiglie nell’individuare il<br />
percorso riabilitativo da seguire, nel suggerire le opportunità assistenziali ed economiche<br />
nella fase post-acuta, e nel coadiuvare il disbrigo delle varie incombenze di tipo<br />
amministrativo e giuridico e nel mantenere i collegamenti e la integrazione fra i diversi servizi<br />
coinvolti.<br />
Si sollecita da parte delle istituzioni un maggior sostegno sociale alle famiglie attraverso<br />
l’applicazione di misure di politica assistenziale e sanitaria quali: - facilitazioni per il<br />
tempestivo riconoscimento d’invalidità e relativa indennità di accompagnamento fin dalla fase<br />
acuta; - deducibilità fiscale di tutte le spese sostenute per l’assistenza del paziente a<br />
domicilio; - applicazione diffusa delle normative sulla Assistenza Domiciliare Integrata; -<br />
riconoscimento di aiuti economici per le famiglie a basso reddito o che si trovino in particolari<br />
situazioni di disagio.<br />
E’ fondamentale l’acquisizione di dati attraverso l’implementazione di studi di survey su una<br />
più ampia popolazione di pazienti/nuclei famigliari/caregiver e di associazioni, basati sia sulla<br />
24
ilevazione di informazioni (report) come opinioni, preferenze ecc. sia sulla valutazione diretta<br />
(rating) di aspetti riguardanti outcomes soggettivi come la soddisfazione e la qualità di vita.<br />
E’ auspicabile una maggior collaborazione e integrazione tra le diverse associazioni.<br />
Normativa e welfare<br />
E’ necessario sviluppare azioni di omogeneizzazione ed armonizzazione della nomenclatura<br />
utilizzata nella valutazione, nella pianificazione e nello sviluppo degli interventi riabilitativi<br />
svolti da tutte le figure professionali ed istituzioni che a vario titolo sono coinvolti nei percorsi<br />
assistenziali e riabilitativi delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita; tali azioni sono<br />
necessarie in modo particolare nell’ambito delle attività a carattere sociosanitario o sociale.<br />
E’ necessario sviluppare azioni di armonizzazione nella interpretazione delle normative.<br />
E’ necessario sviluppare azioni di raccordo e di scambio attivo di informazioni fra le diverse<br />
istituzioni.<br />
E’ necessario aggiornare la attuale normativa in tema di prescrizione, autorizzazione e<br />
fornitura di ausili.<br />
E’ necessario definire l’assetto normativo relativo alle risorse destinate alle persone non<br />
autosufficienti.<br />
E’ necessario sperimentare modalità innovative indirizzate alla tutela delle persone con Grave<br />
Cerebrolesione Acquisita, anche attraverso forme di partnership fra soggetti pubblici e privati<br />
e forme di previdenza integrativa.<br />
Informazione<br />
Attività strutturate di informazione e supporto alle persone con Grave Cerebrolesione<br />
Acquisita e alle loro famiglie debbono essere inserite nel progetto di presa in carico<br />
individuale della persona con Grave Cerebrolesione Acquisita nella fase successiva alla<br />
ospedalizzazione.<br />
E’ necessario promuovere attività di informazione strutturate, consistenti in raccolta,<br />
elaborazione e diffusione di informazioni, fruibili da tutti i soggetti (persone ed istituzioni)<br />
coinvolti nella presa in carico delle persone con Grave Cerebrolesione Acquisita; tali attività<br />
dovrebbero essere sviluppate e gestite sia a livello centrale che a livello locale.<br />
25
Ricerca<br />
Ogni intervento (di ricerca, valutazione e cura) dovrebbe essere basato su una attenta<br />
valutazione delle conoscenze disponibili e condivise dalla comunità scientifica. Questo implica<br />
una attività Evidence Based Medicine (EBM) prospetticamente implementata da Istituzioni o<br />
Gruppi in grado di sostenerla nel tempo.<br />
E’ necessario sviluppare azioni che favoriscano la omogeneizzazione ed armonizzazione<br />
della nomenclatura utilizzata, con particolare attenzione alle attività in ambito socio-sanitario e<br />
sociale.<br />
E’ opportuno un utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili nei vari data-base. Questo<br />
implica un censimento dei dati a disposizione e un tentativo di creare un data-base unico ed<br />
integrato.<br />
E’ opportuno sviluppare nuovi sistemi classificativi standardizzati, basati sulle informazioni già<br />
disponibili nella SDO (Scheda Dimissione Ospedaliera), che ottimizzino le capacità di<br />
identificare e classificare al meglio il caso (nuovi DRG (Diagnosis-Releated-Groups) che<br />
permettano nuove aggregazioni diagnostiche o stratificazioni in funzione della severità).<br />
E’ opportuno individuare un set minimo di nuove informazioni da includere nella SDO (Scheda<br />
di Dimissione Ospedaliera) per migliorare la capacità classificativa.<br />
E’ raccomandabile la creazione di registri locali, regionali o nazionali che condividano un core<br />
di strumenti classificativi comuni, orientati a rilevare le necessità in ambito assistenziale e<br />
sociale.<br />
E’ raccomandabile la conduzione di surveys (valutazioni cross-sectional di campioni<br />
rappresentativi della popolazione di interesse) (caregivers, pazienti, famigliari, decisori) al fine<br />
di raccogliere informazioni e valutazioni su aspetti rilevanti della Grave Cerebrolesione<br />
Acquisita.<br />
E’ raccomandabile la conduzione si studi prospettici di outcome (effectiveness) su ampie<br />
casistiche, che siano rappresentative della popolazione di interesse, descritte con strumenti<br />
standardizzati, e con periodicità e durata di valutazione appropriati alle modificazioni dello<br />
status della situazione e della persona.<br />
26
3 a CONFERENZA NAZIONALE DI CONSENSO<br />
Buona pratica clinica nella riabilitazione ospedaliera delle persone con Gravi<br />
Cerebrolesioni Acquisite<br />
Salsomaggiore Terme, novembre 2010<br />
Gestione delle menomazioni parossistiche intese come crisi neurovegetative<br />
La Giuria raccomanda che:<br />
sia adottata una nomenclatura univoca della sindrome, in linea con le indicazioni della<br />
letteratura più recente (Iperattività Simpatica Parossistica), anche al fine di non ingenerare<br />
confusione con sindromi disautonomiche di altra origine (secondarie ad es. a mielopatie,<br />
neuropatie periferiche, malattie degenerative);<br />
una specifica segnalazione di episodi di iperattività simpatica parossistica, e della loro<br />
frequenza , sia contenuta nella lettera di dimissione dal reparto per acuti;<br />
sia posta particolare attenzione ai soggetti a rischio (in età giovanile, con lesione anossia, o<br />
traumatica con danno assonale diffuso, con Levels of Cognitive Functioning
Nel caso di iposodiemia deve essere differenziato il deficit di ormoni surrenalici da altre<br />
condizioni (SIADH) (Syndrome of Inappropriate Antidiuretic Hormone Secretion).<br />
La diagnosi e la terapia dei deficit ormonali, in particolare del deficit di GH (ormone della<br />
crescita), dovrebbe essere sempre concordata con gli specialisti endocrinologi.<br />
In caso di trauma cranico grave o Emorragia Subaracnoidea (ES), nella lettera di dimissione<br />
dall’Unità Gravi Cerebrolesioni (UGC) dovrebbe essere consigliato un controllo degli ormoni<br />
ipofisari a distanza di un anno dall’evento acuto.<br />
Valutazione e gestione della nutrizione<br />
La Giuria raccomanda che venga eseguita un’accurata valutazione dello stato nutrizionale nei<br />
soggetti reduci da grave lesione cerebrale (in particolare Trauma Cranio Encefalico (TCE)<br />
grave con GCS (Glasgow Coma Scale)
Si raccomanda che la valutazione della deglutizione “bedside” e con blue dye test sia<br />
eseguita con medico o da un logopedista esperto.<br />
E’ raccomandato un approfondimento diagnostico con FEES (Fiberoptic Endoscopic<br />
Evalutation of Swallowing) e/o Videofluorografia soprattutto nei casi di sospetta aspirazione<br />
silente. La FEES è preferibile in soggetti scarsamente collaboranti.<br />
Si raccomanda di iniziare il training della deglutizione solo in presenza di un adeguato livello<br />
di vigilanza (LCF 4 o superiore).<br />
Si raccomanda che il trattamento della disfagia sia eseguito da un logopedista esperto in<br />
disfagia, anche con l’impiego di appropriate strategie compensatorie.<br />
Nel training della deglutizione di pazienti portatori di tracheostomia si raccomanda, in assenza<br />
di controindicazioni, l’uso della valvola fonatoria.<br />
E’ indispensabile fornire precocemente informazioni ai familiari sul timing di svezzamento per<br />
minimizzare i rischi di alimentazioni improprie.<br />
Valutazione e gestione della ventilazione/respirazione<br />
La Giuria raccomanda:<br />
che le pressioni di aspirazione siano mantenute al livello più basso efficace, e comunque non<br />
superiori (a sondino occluso) a 150-200 mmHg;<br />
che la cannula tracheale venga sostituita (a meno che non si tratti di modelli “long-life) almeno<br />
ogni 30 giorni;<br />
il ricorso di routine all’umidificazione passiva (“naso artificiale”), ritenendo tale metodica<br />
maggiormente compatibile con il setting riabilitativo, riservando l’umidificazione attiva<br />
riscaldata a casi selezionati ed assicurando in ogni caso un’adeguata umidificazione<br />
ambientale;<br />
che la cannula non venga mantenuta cuffiata, soprattutto in pazienti non costantemente<br />
monitorati;<br />
che si proceda alla decannulazione in soggetti con adeguato livello di coscienza, dopo<br />
valutazione clinica della tolleranza alla chiusura della cannula (per periodi progressivamente<br />
più lunghi fino ad almeno 48 ore consecutive) e quando siano rispettati i seguenti criteri:<br />
saturazione di O2>92% in aria ambiente, sufficiente efficacia della tosse con riduzione e/o<br />
capacità di autogestione delle secrezioni, assenza di infezioni e Rx torace negativa, efficacia<br />
almeno parziale della deglutizione, assenza di ostruzione delle vie aeree superiori,<br />
soddisfacenti condizioni di nutrizione.<br />
29
E sottolinea:<br />
come la decannulazione sia possibile anche in casi selezionati di pazienti in stato vegetativo o<br />
di minima coscienza, dopo aver verificato la presenza di una ragionevole efficacia tosse e<br />
della deglutizione automatica;<br />
che venga eseguita, prima della decannulazione, una valutazione fibrobroncoscopica per<br />
valutare in maniera accurata la regione sovraglottica ed il piano glottico, e per escludere la<br />
presenza di stenosi tracheale, granulomi ostruenti e tracheomalacia.<br />
Modalità cliniche e strumentali per la diagnosi e la prognosi di stato vegetativo e<br />
stato di coscienza minima<br />
La Giuria raccomanda:<br />
di valutare e trattare i fattori clinici potenzialmente interferenti con il recupero della<br />
responsività (idrocefalo, sepsi, stato di male non convulsivo, dolore, spasticità, sindromi<br />
parkinsoniane);<br />
che i pazienti con disturbo prolungato della coscienza vengano esaminati periodicamente da<br />
un medico esperto e da team multidisciplinare;<br />
che nella valutazione della responsività (in particolare nel passaggio tra SV (Stato Vegetativo)<br />
e SMC (Stato di Minima Coscienza) si tenga conto del parere dei familiari e di osservazioni<br />
relative alla variazione dei parametri vegetativi in loro presenza;<br />
che ai pazienti classificabili nelle categorie SV (Stato Vegetativo) e SMC (Stato di Minima<br />
Coscienza) vengano somministrate in modo seriale e da valutatori esperti scale<br />
comportamentali validate. In particolare viene indicato l’uso della CRS-Revised. (Coma<br />
Recovery Scale Revised);<br />
la valutazione neurofisiologica seriata PESS (Potenziali Evocati Somato Sensitivi) e ERP<br />
(Evocated-Related-Rotential) in particolare in collaborazione con gli specialisti della<br />
neurofisiologia clinica;<br />
che, nella comunicazione con i familiari, sia considerata la difficoltà interpretativa dei risultati<br />
degli esami;<br />
che l’outcome dei pazienti con disturbo prolungato di coscienza venga monitorato con followup<br />
periodici (6-12-24 mesi);<br />
altresì un raccordo con gli esperti della fase acuta al fine di contribuire alla definizione degli<br />
elementi prognosticamente più sensibili. In particolare si sottolinea l’utilità di protocolli<br />
condivisi per le indagini neurofisiologiche sviluppate longitudinalmente.<br />
30
Facilitazione riabilitativa e farmacologica per la ripresa di contatto con l’ambiente<br />
La Giuria raccomanda:<br />
prima di utilizzare farmaci attivanti, di valutare l’interferenza negativa sul recupero della<br />
coscienza della terapia in atto (antiepilettica, antispastica, antidolorifica…);<br />
in particolare di evitare l’uso profilattico di farmaci anticonvulsivanti in assenza di definita<br />
epilessia;<br />
di considerare giustificato il ricorso all’amantadina quale farmaco di prima scelta per favorire il<br />
recupero della vigilanza, pur tenendo conto dei potenziali rischi epilettogeni;<br />
di ritenere che l’impiego di altre metodiche non farmacologiche necessiti di prove di efficacia<br />
sostenute da studi clinici consistenti;<br />
di ritenere giustificata, ancorchè regolamentata, l’integrazione dei familiari nel processo di<br />
stimolazione dei pazienti.<br />
Complicanze neurochirurgiche e idrocefalo<br />
La Giuria raccomanda che:<br />
ogni paziente trasferito in unità di riabilitazione post-acuta dopo craniectomia/cranioplastica,<br />
deve essere attentamente monitorato per il possibile sviluppo di complicanze precoci e<br />
tardive;<br />
per ogni paziente con craniectomia trasferito in Riabilitazione post-acuta, dovrebbe essere<br />
concordato prima possibile col neurochirurgo il timing della cranioplastica che non dovrebbe<br />
comunque eccedere le 12 settimane dopo la craniectomia;<br />
dopo la cranioplastica è indicata una TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) cerebrale e il<br />
monitoraggio clinico e radiologico;<br />
ogni paziente che presenti arresto o rallentamento del recupero o deterioramento neurologico<br />
e/o cognitivo dovrebbe essere sottoposto a indagini per escludere idrocefalo.<br />
Per la non rara presenza di idrocefalo a bassa pressione, la Giuria ritiene preferibile<br />
l’adozione di shunts con valvola programmabile.<br />
31
Menomazioni e disabilità’ sensomotorie e metodologie di trattamento riabilitativo<br />
La Giuria raccomanda:<br />
che data la complessità e varietà della patologia, è necessario adottare dei sistemi di<br />
misurazione univoci che possano essere utilizzati su gran parte dei pazienti;<br />
la necessità individuare quali sistemi di valutazione utilizzare, anche rispetto alla fase del<br />
percorso riabilitativo in cui si trova il paziente;<br />
che mentre per le menomazioni motorie vi sono già scale che permettono di effettuare<br />
un’adeguata valutazione, bisogna trovare gli strumenti per la misurazione delle menomazioni<br />
sensoriali e delle funzioni;<br />
che il trattamento riabilitativo delle Gravi Cerebrolesioni Acquisite risulta più efficace,<br />
particolarmente nei giovani adulti, quando iniziato più precocemente, in degenze ospedaliere<br />
dedicare e quando è seguito da una équipe multidisciplinare;<br />
un aumento dell’intensità del trattamento, quando possibile, risulta idoneo per un recupero<br />
funzionale precoce;<br />
l’utilizzo di training robotizzati non è stato ancora sufficientemente studiato nelle Gravi<br />
Cerebrolesioni Acquisite, tuttavia l’impiego di queste metodiche è risultato efficace nei<br />
pazienti con ictus.<br />
Tossina botulinica<br />
La Giuria raccomanda:<br />
la riduzione della spasticità modifica in maniera significativa la posturale, quando possibile, la<br />
deambulazione, in soggetti con esiti di Grave Cerebrolesione Acquisita;<br />
il trattamento riabilitativo da solo non è in grado di controllare soddisfacente la spasticità;<br />
i farmaci somministrati per via sistemica sono utili particolarmente nelle persone che hanno<br />
una spasticità lieve;<br />
che nella grave spasticità generalizzata, trova indicazione l’utilizzo del Baclofen per via intratecale.<br />
che la tossina botulinica è indicata nelle spasticità focali;<br />
32
che alcune volte è indispensabile utilizzare ortesi, cast e splinting, per stabilizzare la riduzione<br />
della spasticità; l’utilizzo degli stessi, accompagnato da un training riabilitativo, migliora<br />
l’effetto decontratturante della tossina.<br />
Prevenzione complicanze secondarie<br />
Non vi sono prove convincenti sull’efficacia dei vari farmaci proposti, pertanto il loro utilizzo ha<br />
un significato prevalentemente sintomatico.<br />
Nelle fasi iniziali delle POA (ParaOsteoArtropatia) va presa in considerazione la<br />
sintomatologia algica.<br />
Il trattamento chirurgico, in alcuni casi, è indispensabile e risolutivo, resta incerto il ruolo della<br />
radioterapia<br />
Valutazione e trattamento delle menomazioni e disabilità cognitivo-comportamentali<br />
La Giuria raccomanda:<br />
che vengano individuati quanto più precocemente possibile i disturbi comportamentali,<br />
attraverso l’osservazione sistematica e con l’ausilio di scale appropriate;<br />
che sia preso in considerazione un intervento farmacologico con beta-bloccanti ove sia<br />
opportuno attenuare l’intensità di episodi di agitazione per rendere il paziente più gestibile<br />
(anche se meno efficiente dal punto di vista cognitivo);<br />
di programmare quanto più precocemente possibile una valutazione della PTA (Post<br />
Traumatic Amnesia);<br />
di utilizzare in modo sistematico scale che monitorino una PTA anterograda e retrograda;<br />
di utilizzare modificazioni ambientali e ausili esterni passivi per favorire l’orientamento spaziotemporale<br />
e la memoria prospettica;<br />
di monitorare con attenzione l’evoluzione del paziente per evidenziare la risoluzione della<br />
PTA e valutare l’opportunità di iniziare in modo tempestivo un trattamento neuropsicologico<br />
specifico;<br />
di individuare quanto più precocemente possibile disturbi della consapevolezza di malattia<br />
(sia di tipo anosognosico che di negazione).<br />
33
Metodologia e organizzazione dei percorsi assistenziali<br />
La Giuria raccomanda:<br />
di implementare modelli organizzativi che si basino sul concetto di “reti integrate di servizi” in<br />
grado di seguire l’intero percorso del paziente dalla fase acuta al rientro sul territorio Tale<br />
organizzazione può ottimizzare l’utilizzo delle risorse garantendo l’appropriato utilizzo di posti<br />
letto nel territorio;<br />
di concentrare nelle strutture specializzate il più alto livello di expertise possibile;<br />
di garantire un’efficiente gestione del passaggio dalla fase acuta alla fase riabilitativa precoce<br />
attraverso il governo e integrazione della rete dei servizi per l’emergenza, per acuti e della<br />
riabilitazione;<br />
la presa in carico multiprofessionale ed elaborazione di un Progetto Riabilitativo<br />
Personalizzato condiviso con il paziente e la famiglia;<br />
l’implementazione di un processo strutturato e integrato nell’assistenza di informazione e<br />
coinvolgimento del paziente e della famiglia/caregiver;<br />
l’approccio EBM (Evidence Based Medicine) da parte di tutti gli operatori del team con scelta<br />
di interventi orientati a criteri di efficacia riconosciuta e di essenzialità;<br />
l’adozione, in tutte le fasi del percorso assistenziale, di indicatori di esito e di processo<br />
monitorati in modo continuativo almeno su base annuale;<br />
la formazione continua di tutti gli operatori, privilegiando la formazione sul campo con<br />
particolare riguardo alle competenze relazionali; promozione di specifici percorsi formativi per<br />
gli infermieri, finalizzati a fornire conoscenze cliniche avanzate e capacità che permettano di<br />
garantire adeguate prestazioni di nursing riabilitativo;<br />
l’implementazione sull’intero territorio nazionale di registri che condividano un core di in<br />
indicatori comuni orientati a rilevare i bisogni in ambito assistenziale e sociale e gli esiti.<br />
Modalita’ di informazione ed integrazione dei famigliari e caregiver nel percorso<br />
riabilitativo del paziente<br />
La Giuria raccomanda:<br />
di garantire l’informazione/formazione del paziente (quando possibile) e della<br />
famiglia/caregiver relative alle condizioni cliniche, alla prognosi riabilitativa, alle attività<br />
strutturate e integrate nell’assistenza;<br />
34
che l’attività informativa deve essere attuata da tutti gli operatori sanitari con coerenza rispetto<br />
alle valutazioni e obiettivi condivisi e deve avere caratteristiche di continuità, chiarezza ed<br />
onestà;<br />
che compatibilmente con le modalità organizzative proprie di ogni reparto, si raccomanda<br />
l’introduzione della figura del case-manager, come punto di riferimento della famiglia durante<br />
le varie fasi del processo/percorso riabilitativo;<br />
di prevedere attività formative specifiche per tutti gli operatori sui temi della comunicazione e<br />
sulle modalità più appropriate per dare le informazioni e per fronteggiare i conflitti e burnout;<br />
di attuare forme di coinvolgimento attivo dei famigliari e caregiver, attraverso modalità<br />
strutturate che si basino sui principi della TPE (Educazione Terapeutica al paziente),<br />
finalizzate a migliorare la valorizzazione del loro punto di vista nella gestione quotidiana e le<br />
loro capacità di autogestione della disabilità del paziente a lungo termine;<br />
di garantire durante tutto i percorso di riabilitazione un supporto specifico alla famiglia e ai<br />
caregiver, mettendo a disposizione le figure dello psicologo e dell’assistente sociale con ruoli<br />
definiti all’interno del team;<br />
di garantire un’organizzazione flessibile degli orari di visita e delle modalità assistenziali del<br />
reparto, che permetta ai famigliari e caregiver una reale possibilità di stare accanto al<br />
paziente e di effettuare i training necessari;<br />
una maggior integrazione tra le diverse associazioni e la loro presenza attiva nei reparti di<br />
riabilitazione come punto di riferimento per le famiglie.<br />
35
Decessi in fase acuta:<br />
7-8/100.000ab./anno<br />
PERCORSO ASSISTENZIALE DEL PAZIENTE CON TCE, CON STIME DEL FABBISOGNO<br />
BASATE SUI <strong>DA</strong>TI EPIDEMIOLOGICI ATTUALMENTE DISPONIBILI<br />
Decessi extraospedalieri per<br />
TCE :11-12/100.000ab./anno<br />
SV persistente per<br />
oltre 6 mesi:<br />
1-2/100.000ab./anno<br />
Pazienti con TCE nella intera<br />
popolazione: da 600 a 4000 ogni<br />
100.000 abitanti/anno<br />
Pazienti che arrivano al Pronto Soccorso<br />
per TCE: 400-800/100.000 ab./anno<br />
Pazienti ricoverati per TCE: dai 100 ai<br />
300/100.000 ab./anno<br />
Pazienti ricoverati in Rianimazione-<br />
Neurochirurgia: 22/100.000 ab./anno<br />
Necessità di trattamento<br />
riabilitativo in regime di<br />
ricovero dopo la fase acuta:<br />
3-5/100.000 ab.anno<br />
Fig. 1<br />
36<br />
Dopo la fase riab.intensiva:<br />
GOOD RECOVERY<br />
1-2/100.000ab./anno<br />
MODERATE DISABILITY<br />
Pazienti con Good<br />
recovery o Moderate<br />
Disability all’uscita<br />
dalla fase acuta:
C<strong>LA</strong>SSE I pazienti<br />
do<br />
ve<br />
Servizi ambulatoriali<br />
o Day Hospital<br />
Obiettivi<br />
Fig 2<br />
Good Recovery or Moderate Disability<br />
DRS
C<strong>LA</strong>SSE II pazienti<br />
do<br />
ve<br />
Riabilitazione<br />
intensiva<br />
Obiettivi<br />
Fig. 3<br />
Moderate or Severe Disability<br />
DRS
C<strong>LA</strong>SSE III pazienti<br />
do<br />
ve<br />
Strutture<br />
di riabilitazione<br />
intensiva<br />
Obiettivi<br />
Fig 4<br />
Vegetative state or minimally<br />
Conscious patients<br />
DRS > 21<br />
LCF < 3<br />
Completamento della stabilizzazione clinica<br />
Valutazione longitudinale della responsività e<br />
facilitazioni al contatto con l’ambiente<br />
Assistenza medico specialistica<br />
infermieristica dedicata 24 ore<br />
Recupero delle autonomie possibili<br />
(respiratorie, nutrizionali ecc)<br />
Prevenzione-Gestione delle complicanze<br />
Informazione, supporto ed educazione<br />
terapeutica ai famigliari e care-givers<br />
39
C<strong>LA</strong>SSE III PAZIENTI<br />
dove<br />
Riabilitazione<br />
intensiva<br />
Recupero<br />
responsività<br />
< 6 mesi<br />
NO<br />
Vegetative state or<br />
minimally conscious<br />
DRS > 21<br />
LCF < 3<br />
SI<br />
Necessità di<br />
assistenza sanitaria<br />
continua<br />
Fig 5<br />
40<br />
NO<br />
Permanenza in strutture di<br />
riabilitazione intensiva fino al<br />
completamento dei programmi non<br />
erogabili in modalità extra ospedaliere<br />
SI<br />
Strutture sanitarie<br />
di lungodegenza o<br />
riabilitazione<br />
estensiva<br />
Domicilio con supporti<br />
Strutture residenziali
Introduzione<br />
EPIDEMIOLOGIA DELLE <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong> <strong>ACQUISITE</strong><br />
<strong>IN</strong> PROV<strong>IN</strong>CIA DI BERGAMO NEL PERIODO 2006-2011<br />
Alberto Zucchi 1 e Gennaro Esposito 2<br />
Per “Grave Cerebrolesione Acquisita” (GC<strong>LA</strong>) si intende un danno cerebrale, dovuto a trauma o ad<br />
altre cause (anossia cerebrale, emorragia/ischemia cerebrale), tale da determinare una condizione<br />
di coma di durata non inferiore alle 24 ore, e menomazioni sensomotorie, cognitive o<br />
comportamentali permanenti, tali da comportare disabilità. Da questa condizione vengono escluse<br />
le situazioni di danno cerebrale congenito o ad insorgenza perinatale, o a carattere degenerativoprogressivo.<br />
Il termine GC<strong>LA</strong> è spesso intercambiabile con la forma abbreviata GCA.<br />
Nell’ambito delle GCA si impone una distinzione, applicata anche in questo lavoro, in base alla<br />
origine eziologica. Si riconoscono pertanto GCA di origine traumatica (grave trauma cranioencefalico)<br />
e non traumatica (a loro volta suddivise in vascolare emorragica, ischemica, ipossicoanossica).<br />
La definizione proposta implica la presenza di condizioni immediatamente correlate al danno<br />
cerebrale (coma), di esiti a distanza (menomazioni multiple) e di esiti funzionali (disabilità). Tale<br />
definizione comporta alcune difficoltà tassonomiche, che hanno importanti conseguenze sulle stime<br />
di frequenza ed impatto del fenomeno a livello di popolazione. Infatti una corretta identificazione e<br />
descrizione richiede dati che derivano da fonti diverse (ricoveri in unità per acuti, o presso strutture<br />
di riabilitazione od altre strutture) relativi a momenti diversi (fase acuta, post-acuta e degli esiti) e<br />
derivate dalla applicazione di strumenti valutativi e classificativi diversi. In prima istanza si<br />
considera accettabile, secondo le esperienze riscontrate in letteratura, fondare un’iniziale stima<br />
valutativa sull’analisi delle SDO.<br />
La patologia da GCA (Traumatica e Non Traumatica) produce esiti di notevole impatto sociale, sia<br />
per il tipo di disabilità conseguente (cognitiva, neuromotoria, comportamentale), sia perché tra le<br />
fasce di età più colpite appare rilevante quella dei giovani adulti, in particolare per le lesioni da<br />
Trauma Cranio Encefalico (TCE). Ciò implica dunque quindi estese compromissioni di ruolo e di<br />
produttività sociale. Numerosi studi evidenziano che, tra coloro che subiscono una GCA, la<br />
maggior parte presenta conseguenze moderate sul piano neuromotorio, ma associate a gravi esiti<br />
sul piano cognitivo e comportamentale, tali da produrre la perdita del ruolo lavorativo.<br />
1<br />
Epidemiologo, Responsabile dell’Osservatorio Socio Sanitario – Direzione Sociale, ASL di Bergamo<br />
2 Sociologo, Responsabile del Servizio Disabili – Dipartimento ASSI, ASL di Bergamo<br />
41
Rilevare prevalenza ed incidenza delle GCA, individuarne le cause più frequenti, qualificare il tipo e<br />
l'entità delle disabilità conseguenti, sono quindi azioni utili per valutare più correttamente le<br />
necessità terapeutico riabilitative e permettere la formulazione di interventi più efficaci in ambito<br />
sanitario e sociale.<br />
Gli studi epidemiologici condotti sulle GCA nella letteratura nazionale non sono molti, e talora<br />
restituiscono poche informazioni circa gravità, incidenza, prevalenza e la valutazione dei fattori di<br />
rischio. Si può tuttavia stimare che ogni anno in Italia (dati della 3.a Consensus Conference sulle<br />
GCA) vi siano almeno 10-15 nuovi casi anno/100.000 abitanti di GCA che rispondono ai criteri<br />
sopra esposti.<br />
Sulla base dei dati preliminari derivati da progetti di ricerca prospettici su base nazionale e<br />
regionale, si può affermare che vi sia una tendenza ad un progressivo aumento di incidenza delle<br />
GCA di origine non traumatica. In termini di prevalenza, si può ipotizzare che un numero di persone<br />
compreso fra i 300 e 800/100.000 abitanti presenti una GCA; questa stima suggerisce un numero<br />
di almeno 150.000 casi nel nostro paese; ciò corrisponde ad un numero di casi attesi in provincia di<br />
Bergamo tra 3200 e 8000. Per quanto riguarda le GCA a maggiore impatto disabilitante (stati<br />
vegetativi protratti) in Italia si può ritenere che vi siano circa 6 casi/100.000, che corrispondono a<br />
circa 3000 casi complessivi in Italia, e a 60 casi attesi in provincia di Bergamo.<br />
Per quanto concerne, in specifico, lo studio epidemiologico dei TCE, una valutazione<br />
epidemiologica condotta negli USA (Kraus J.F., Sorenson S.B., 1994) indica una stima di incidenza<br />
del TCE pari a circa 200 casi su 100.000 abitanti l'anno; la mortalità sarebbe tra 14 e 30 casi per<br />
100.000 abitanti l'anno e le fasce di età a maggior rischio sono indicate tra i 15 e i 24 anni e dopo i<br />
65 anni; il rapporto maschi/femmine è tra 2.0 e 2.8 a 1 per i maschi. Si rileva inoltre una forte<br />
correlazione con l'uso di alcool ed una maggiore incidenza nelle classi socioeconomiche più basse.<br />
La causa più frequente è rappresentata da incidenti con mezzi di trasporto (correlati ad eccesso di<br />
velocità, abuso di alcolici, mancato uso del casco e delle cinture di sicurezza), e dalle cadute<br />
accidentali più frequenti nei bambini e negli anziani. In accordo con i criteri di gravità della GCS, le<br />
prevalenze dei traumi cranici si suddivisono in lievi (80%), moderati (10%), gravi (10%) (Kraus J.F.<br />
et al. The incidence of acute brain injuries and serious impairment in a defined population. Am.<br />
Epidemiol. 119:186-201, 1984).<br />
Relativamente agli esiti, il 10% dei traumi lievi, il 60% dei traumi moderati ed il 100% dei traumi<br />
gravi presentano sequele permanenti. Il costo per ciascun paziente nel corso della vita, si aggira<br />
tra i 73.000 e i 93.000 dollari nelle forme lievi e moderate ed intorno ai 350.000 dollari nelle forme<br />
gravi (Max W. et al.: Head injuries: Cost and consequences. Journal of head trauma rehabilitation<br />
6: 76-91, 1991). In Italia, alcuni studi (Servadei et al, 1988; Study Group of Head Brain Injuries of<br />
the Italian Society for Neurosurgery, 1996) hanno stimato che ogni anno circa 300-400 persone su<br />
100.000 abitanti subiscano un ricovero per trauma cranico; nel 66% di tali casi il trauma è dovuto a<br />
incidente stradale. Dati ISTAT relativi al periodo 1969-1990 rilevano che il 70% dei decessi nell'età<br />
compresa tra i 15 e i 19 anni è dovuto a incidenti automobilistici ed il TCE è responsabile di tali<br />
42
decessi nel 65% dei casi. E’ interessante notare come tali tassi risultino in notevole decremento<br />
dall’introduzione obbligatoria dell’uso del casco in motocicletta e delle cinture di sicurezza sugli<br />
autoveicoli.<br />
Finalità<br />
Questo studio si propone di effettuare un rilevamento epidemiologico retrospettivo delle GCA in<br />
provincia di Bergamo, relativamente al periodo 2006-2011, utilizzando le Schede di Dimissione<br />
Ospedaliera (SDO) prodotte dalle strutture di degenza e inviate alla Regione Lombardia attraverso<br />
l’apposito flusso di rendicontazione.<br />
Tramite le informazioni così derivate è stato possibile definire un archivio di pazienti univocamente<br />
identificati, sulla cui base costruire tutte le valutazioni epidemiologiche susseguenti, anche<br />
attraverso successivi record-linkage con altre fonti dati (ad es., riabilitazione, mortalità, etc.).<br />
Per i limiti intrinseci alle analisi retrospettive, i dati raccolti sono volti ad una ragionevole stima, e<br />
non ad una valutazione precisa quale potrebbe essere, ad esempio, quella derivante da un formale<br />
Registro di Patologia; essi tuttavia consentono di ricavare informazioni utili alla pianificazione dei<br />
percorsi di cura in questo settore, contribuendo a favorire la progettazione e la realizzazione della<br />
rete dei servizi in modo adeguato al fabbisogno.<br />
Materiali e metodi<br />
L’analisi è stata condotta sulle SDO relative al periodo 2006-2011, relative ad assistiti della<br />
provincia di Bergamo con ricovero presso una struttura pubblica o privata accreditata in Regione<br />
Lombardia, con lo scopo di determinare il numero di soggetti con una diagnosi di GCA. Per la<br />
costruzione dei tassi di popolazione si è utilizzato, come denominatore, il dato ufficiale ISTAT dei<br />
residenti in provincia di Bergamo al 31/12 dei relativi anni. L’identificazione univoca dei pazienti è<br />
avvenuta tramite l’utilizzo congiunto dei campi ‘Codice Fiscale’ e ‘Data di nascita’.<br />
Sono stati considerati, e conseguentemente classificati nei gruppi sopra descritti, i seguenti codici<br />
di diagnosi ICD-9-CM:<br />
TCE<br />
da 800 a 804 compreso (fratture del cranio)<br />
da 850 a 854 compreso (traumatismi intracranici esclusa frattura del cranio)<br />
GCA Emorragiche/Anossiche<br />
348.1 (anossia cerebrale)<br />
430 (emorragia subaracnoidea)<br />
43
431 (emorragia cerebrale)<br />
432 (ematoma subdurale/emorragia intracerebrale/emorragia intracranica NS)<br />
GCA Ischemiche<br />
433 (Infarto cerebrale)<br />
434 (Trombosi/Embolie Cerebrali)<br />
I codici considerati sono quelli che identificano le patologie compatibili con la definizione di GCA<br />
riportata più sopra e condivisa nella Consensus Conference citata.<br />
Come condiviso in sede di Tavolo di lavoro provinciale, e secondo le indicazioni di molti lavori<br />
italiani riportati in bibliografia, sono state incluse tutte le SDO che riportavano i codici diagnostici<br />
individuati, sia in diagnosi principale sia in diagnosi secondaria. Sono state escluse alcune cause di<br />
danno cerebrale (da etiologia infettiva, ad es.) che possono, per caratteristiche cliniche, assimilarsi<br />
alle categorie di danno valutate in questa indagine. Sono stati considerati, per la fase descrittiva<br />
finalizzata alla produzione dell’indicatore di prevalenza, anche i pazienti deceduti durante il<br />
ricovero. Attraverso il codice fiscale di ogni paziente si è “purificato” il campione dai ricoveri ripetuti.<br />
Le mappe di patologia a livello prvinciale, basate sulla prevalenza comunale, sono state analizzate,<br />
per la ricerca di cluster (cfr. capitolo “Mappatura territoriale della prevalenza per categoria di GCA<br />
ed analisi dei cluster”) atrraverso la metodologia Spatial Scan Statistic.<br />
Per poter contestualizzare a livello regionale i dati dell’ASL di Bergamo, si è infine prodotta<br />
un’analisi specifica, utilizzando un’identica metodologia di classificazione dei casi, attraverso lo<br />
strumento ALEE-AO (Atlante Lombardo Epidemiologico ed Economico dell'Attività Ospedaliera v.<br />
5.1). In questo caso, l’analisi è stata effettuata sul quinquennio 2005-2009, per la relativa<br />
disponibilità dei dati al momento dell’analisi. Le mappe di patologia prodotte in questo modo<br />
presentano la prevalenza di ricovero per singoli pazienti (depurandola cioè dai ricoveri ripetuti),<br />
attraverso indicatori kernel, su base comunale. I denominatori sono costituiti dalle relative<br />
componenti per sesso della popolazione regionale lombarda nei medesimi anni in studio. Gli<br />
indicatori kernel sono una tecnica atta a rappresentare una distribuzione di eventi “puntiformi” (eg,<br />
singoli tassi comunali) trasformata in superficie continua di rischio di patologia, permettendo così di<br />
far emergere un’eventuale componente di clustering territoriale (cfr. capitolo specifico).<br />
Risultati<br />
Nel periodo 2006-2011 si sono identificati 19.969 soggetti univoci che abbiano avuto almeno un<br />
ricovero con una delle diagnosi sopra descritte; la media annua di soggetti è pari a 3.328, con un<br />
trend in modico decremento (per le relative stime di prevalenza si veda il capitolo “Analisi di<br />
popolazione e territoriale”. La tabella 1.0 mostra come il peso complessivo dei ricoveri per GCA, sul<br />
totale dei ricoveri annui degli assistiti bergamaschi, sia pressoché costantemente pari al 2,1%. La<br />
44
distribuzione per genere (tab. 1.1) vede una sostanziale prevalenza quantitativa del genere<br />
maschile (58% vs 42%). Il rapporto medio annuo M:F è pari ad 1,38. Tale distribuzione è identica,<br />
sostanzialmente, in tutti gli anni considerati.<br />
Tab. 1.0<br />
GCA su totale<br />
Altri ricoveri GCA Totale<br />
ricoveri<br />
% casi<br />
% casi<br />
N.casi riga N.casi % casi riga N.casi riga<br />
Anno 2006 193186 97,9% 4108 2,1% 197294 100,0%<br />
2007 180419 97,8% 4077 2,2% 184496 100,0%<br />
2008 179169 97,9% 3921 2,1% 183090 100,0%<br />
2009 176938 97,9% 3723 2,1% 180661 100,0%<br />
2010 166090 97,8% 3688 2,2% 169778 100,0%<br />
2011 162898 97,8% 3715 2,2% 166613 100,0%<br />
Totale 1058700 97,9% 23232 2,1% 1081932 100,0%<br />
Tab. 1.1<br />
Genere<br />
N. soggetti<br />
ricoverati da GCA<br />
per anno e genere<br />
Maschi<br />
% casi<br />
N.casi riga<br />
Femmine<br />
N.casi % casi riga<br />
Totale<br />
% casi<br />
N.casi riga<br />
Anno 2006 2154 57,4% 1596 42,6% 3750 100,0%<br />
2007 2116 59,2% 1457 40,8% 3573 100,0%<br />
2008 1936 57,4% 1438 42,6% 3374 100,0%<br />
2009 1836 58,3% 1314 41,7% 3150 100,0%<br />
2010 1796 58,3% 1284 41,7% 3080 100,0%<br />
2011 1747 57,4% 1295 42,6% 3042 100,0%<br />
Totale 11585 58,0% 8384 42,0% 19969 100,0%<br />
Il rispettivo numero di ricoveri è presentato nella tabella 1.2.<br />
45
Tab. 1.2<br />
Genere<br />
N. ricoveri per<br />
anno e genere<br />
Maschi<br />
N.casi % casi riga<br />
Femmine<br />
N.casi % casi riga<br />
Totale<br />
N.casi % casi riga<br />
Anno 2006 2382 58,0% 1726 42,0% 4108 100,0%<br />
2007 2417 59,3% 1660 40,7% 4077 100,0%<br />
2008 2279 58,1% 1642 41,9% 3921 100,0%<br />
2009 2211 59,4% 1512 40,6% 3723 100,0%<br />
2010 2168 58,8% 1520 41,2% 3688 100,0%<br />
2011 2175 58,5% 1540 41,5% 3715 100,0%<br />
Totale 13632 58,7% 9600 41,3% 23232 100,0%<br />
Vi sono dunque, determinati da un evento legato a GCA, 3.328 ricoverati/anno che producono<br />
3.872 ricoveri/anno. Il rapporto medio annuo ricoveri/ricoverati è complessivamente pari a 1,10<br />
(1,18 nei maschi, 1,15 nelle femmine). Le tabelle successive evidenziano il numero di ricoveri e di<br />
ricoverati per le singole GCA e per il genere. Si evidenzia la costante preminenza di eventi legati al<br />
genere maschile.<br />
Tab.1.3<br />
Genere<br />
Ricoveri TCE<br />
per anno<br />
Maschi<br />
N.casi % casi riga<br />
Femmine<br />
N.casi % casi riga<br />
Totale<br />
N.casi % casi riga<br />
Anno 2006 1033 66,6% 517 33,4% 1550 100,0%<br />
2007 1039 66,5% 524 33,5% 1563 100,0%<br />
2008 921 63,2% 537 36,8% 1458 100,0%<br />
2009 910 64,8% 494 35,2% 1404 100,0%<br />
2010 822 65,0% 443 35,0% 1265 100,0%<br />
2011 811 64,4% 448 35,6% 1259 100,0%<br />
Totale 5536 65,1% 2963 34,9% 8499 100,0%<br />
46
Tab.1.4<br />
Ricoveri GCA<br />
Emorragiche/<br />
Maschi<br />
Genere<br />
Femmine Totale<br />
Anossiche N.casi % casi riga N.casi % casi riga N.casi % casi riga<br />
Anno 2006 306 53,3% 268 46,7% 574 100,0%<br />
2007 277 51,6% 260 48,4% 537 100,0%<br />
2008 294 52,6% 265 47,4% 559 100,0%<br />
2009 326 54,7% 270 45,3% 596 100,0%<br />
2010 317 51,2% 302 48,8% 619 100,0%<br />
2011 345 55,1% 281 44,9% 626 100,0%<br />
Total 1865 53,1% 1646 46,9% 3511 100,0%<br />
Tab.1.5<br />
Genere<br />
Ricoveri GCA<br />
Ischemiche<br />
Maschi<br />
N.casi % casi riga<br />
Femmine<br />
N.casi % casi riga<br />
Totale<br />
N.casi % casi riga<br />
Anno 2006 1043 52,6% 941 47,4% 1984 100,0%<br />
2007 1101 55,7% 876 44,3% 1977 100,0%<br />
2008 1064 55,9% 840 44,1% 1904 100,0%<br />
2009 975 56,6% 748 43,4% 1723 100,0%<br />
2010 1029 57,0% 775 43,0% 1804 100,0%<br />
2011 1019 55,7% 811 44,3% 1830 100,0%<br />
Totale 6231 55,5% 4991 44,5% 11222 100,0%<br />
Le tabelle che seguono mostrano la distribuzione, sul periodo, dei ricoverati per le differenti<br />
specifiche tipologie di GCA, in totale, per genere e singolo anno.<br />
47
Tab.1.6<br />
Ricoverati TCE<br />
Maschi<br />
Genere<br />
Femmine<br />
% casi<br />
Totale<br />
N.casi % casi riga N.casi riga N.casi % casi riga<br />
Anno 2006 949 66,2% 484 33,8% 1433 100,0%<br />
2007 938 66,1% 480 33,9% 1418 100,0%<br />
2008 816 62,7% 485 37,3% 1301 100,0%<br />
2009 805 64,7% 440 35,3% 1245 100,0%<br />
2010 714 64,2% 398 35,8% 1112 100,0%<br />
2011 693 63,4% 400 36,6% 1093 100,0%<br />
Totale 4915 64,7% 2687 35,3% 7602 100,0%<br />
Tab.1.7<br />
Genere<br />
Ricoverati GCA<br />
Emorragiche/<br />
Anossiche<br />
Maschi<br />
N.casi % casi riga<br />
Femmine<br />
% casi<br />
N.casi riga<br />
Totale<br />
N.casi % casi riga<br />
Anno 2006 260 54,4% 218 45,6% 478 100,0%<br />
2007 231 52,4% 210 47,6% 441 100,0%<br />
2008 217 49,3% 223 50,7% 440 100,0%<br />
2009 238 52,0% 220 48,0% 458 100,0%<br />
2010 220 48,7% 232 51,3% 452 100,0%<br />
2011 231 51,6% 217 48,4% 448 100,0%<br />
Totale 1397 51,4% 1320 48,6% 2717 100,0%<br />
48
Tab.1.8<br />
Genere<br />
Ricoverati GCA<br />
Maschi Femmine Totale<br />
Ischemiche<br />
% casi<br />
N.casi % casi riga N.casi riga N.casi % casi riga<br />
Anno 2006 945 51,4% 894 48,6% 1839 100,0%<br />
2007 947 55,3% 767 44,7% 1714 100,0%<br />
2008 903 55,3% 730 44,7% 1633 100,0%<br />
2009 793 54,8% 654 45,2% 1447 100,0%<br />
2010 862 56,9% 654 43,1% 1516 100,0%<br />
2011 823 54,8% 678 45,2% 1501 100,0%<br />
Totale 5273 54,6% 4377 45,4% 9650 100,0%<br />
Distribuzione per tipologia di GCA, genere e anno<br />
Le tabelle (2.x) che seguono mostrano il peso percentuale, totale ed entro genere, dei singoli tipi di<br />
GCA sul totale delle GCA. E’ evidente il rilievo quantitativo delle forme ischemiche (48%), seguito<br />
dai TCE (38%). Interessante come nei maschi il peso dei TCE salga fino al 42,4%, mentre nelle<br />
femmine aumenti lo sbilanciamento delle forme ischemiche, che pesano per il 52%.<br />
Tab. 2.0<br />
Soggetti ricoverati per tipo GCA<br />
e genere<br />
Tipo di<br />
GCA:<br />
N.casi<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
% casi<br />
colonn<br />
a N.casi<br />
% casi<br />
colonn<br />
a N.casi<br />
% casi<br />
colonn<br />
TCE 4915 42,4% 2687 32,0% 7602 38,1%<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche<br />
1397 12,1% 1320 15,7% 2717 13,6%<br />
GCA Ischemiche 5273 45,5% 4377 52,2% 9650 48,3%<br />
Totale 11585 100,0% 8384 100,0% 19969 100,0%<br />
49<br />
a
Queste proporzioni si mantengono simili durante tutti i 6 anni di osservazione (cfr tabelle<br />
successive).<br />
Interessante tuttavia notare (tab. 2.1 e grafico 1) come, in termini di casi assoluti, si mostri<br />
chiaramente nei 6 anni di osservazione una discreta diminuzione per TCE e GCA ischemiche (TCE<br />
in particolare nei maschi), a fronte di una sostanziale stabilità per le GCA emorragiche.<br />
Tab. 2.1<br />
Soggetti<br />
ricoverati per<br />
tipo GCA, TCE<br />
anno e generetotale<br />
Anno<br />
N.casi<br />
% casi<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale<br />
% casi<br />
% casi<br />
riga N.casi % casi riga N.casi riga N.casi riga<br />
2006 1433 38,2% 478 12,7% 1839 49,0% 3750 100,0%<br />
2007 1418 39,7% 441 12,3% 1714 48,0% 3573 100,0%<br />
2008 1301 38,6% 440 13,0% 1633 48,4% 3374 100,0%<br />
2009 1245 39,5% 458 14,5% 1447 45,9% 3150 100,0%<br />
2010 1112 36,1% 452 14,7% 1516 49,2% 3080 100,0%<br />
2011 1093 35,9% 448 14,7% 1501 49,3% 3042 100,0%<br />
Totale 7602 38,1% 2717 13,6% 9650 48,3% 19969 100,0%<br />
50
Graf. 1 Trend casi 2006-2011 per tipologia GCA e genere<br />
Tab. 2.2<br />
Soggetti<br />
ricoverati<br />
per tipo<br />
TCE<br />
Tipo di GCA:<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale<br />
GCA, anno<br />
e genere-<br />
%<br />
casi<br />
% casi<br />
%<br />
casi<br />
% casi<br />
Maschi N.casi riga N.casi riga N.casi riga N.casi riga<br />
Anno 2006 949 44,1% 260 12,1% 945 43,9% 2154 100,0%<br />
2007 938 44,3% 231 10,9% 947 44,8% 2116 100,0%<br />
2008 816 42,1% 217 11,2% 903 46,6% 1936 100,0%<br />
2009 805 43,8% 238 13,0% 793 43,2% 1836 100,0%<br />
2010 714 39,8% 220 12,2% 862 48,0% 1796 100,0%<br />
2011 693 39,7% 231 13,2% 823 47,1% 1747 100,0%<br />
Totale 4915 42,4% 1397 12,1% 5273 45,5% 11585 100,0%<br />
51
Tab. 2.3<br />
Soggetti<br />
ricoverati<br />
per tipo<br />
TCE<br />
Tipo di GCA:<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale<br />
GCA, anno<br />
e genere-<br />
%<br />
casi<br />
% casi<br />
%<br />
casi<br />
% casi<br />
Femmine N.casi riga N.casi riga N.casi riga N.casi riga<br />
Anno 2006 484 30,3% 218 13,7% 894 56,0% 1596 100,0%<br />
2007 480 32,9% 210 14,4% 767 52,6% 1457 100,0%<br />
2008 485 33,7% 223 15,5% 730 50,8% 1438 100,0%<br />
2009 440 33,5% 220 16,7% 654 49,8% 1314 100,0%<br />
2010 398 31,0% 232 18,1% 654 50,9% 1284 100,0%<br />
2011 400 30,9% 217 16,8% 678 52,4% 1295 100,0%<br />
Totale 2687 32,0% 1320 15,7% 4377 52,2% 8384 100,0%<br />
Distribuzione per età e tipologia di GCA<br />
La distribuzione complessiva per classi di età (tab.3) vede la chiara prevalenza complessiva dei<br />
pazienti di età superiore a 70 anni; ciò è determinato dalla numerosità importante delle GCA di<br />
origine non traumatica.<br />
Analizzando le singole tipologie è impressionante verificare come nei TCE il 33,4% dei casi sia<br />
determinato da pazienti sotto i 24 anni, ed addirittura più del 50% sia entro i 45 anni. Un nuovo<br />
picco si ripresenta poi negli ultra settantenni. GCA emorragiche ed ischemiche, come atteso, sono<br />
invece eventi sostanzialmente rari prima dei 35-40 anni, in quanto chiaramente correlati<br />
all’aumento dell’età stessa. Si veda anche il grafico 2 al proposito.<br />
52
Tab. 3<br />
Tipologia<br />
GCA per<br />
classi di<br />
TCE<br />
Tipo di GCA:<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche Totale<br />
età e<br />
% casi<br />
% casi<br />
% casi<br />
% casi<br />
genere N.casi colonna N.casi colonna N.casi colonna N.casi colonna<br />
0-17 1699 22,3% 44 1,6% 10 ,1% 1753 8,8%<br />
18-24 841 11,1% 20 ,7% 13 ,1% 874 4,4%<br />
25-34 842 11,1% 61 2,2% 61 ,6% 964 4,8%<br />
35-45 795 10,5% 151 5,6% 198 2,1% 1144 5,7%<br />
46-59 844 11,1% 386 14,2% 820 8,5% 2050 10,3%<br />
60-69 620 8,2% 493 18,1% 1830 19,0% 2943 14,7%<br />
70+ 1961 25,8% 1562 57,5% 6718 69,6% 10241 51,3%<br />
Totale 7602 100,0% 2717 100,0% 9650 100,0% 19969 100,0%<br />
Il grafico 2, a seguire, evidenzia la differente tipologia di distribuzione delle singole classificazioni di<br />
GCA rispetto alle età. Si noti, come detto, l’evidente correlazione tra GCA ischemiche ed aumento<br />
dell’età, così come i due picchi di età contrapposti per i TCE: in età giovanissima ed in età<br />
avanzata.<br />
53
Graf.2 Dist. Per classi età e tipologia GCA<br />
Se effettuiamo una valutazione comparativa tra i gruppi di patologie (grafico 2), emerge una<br />
diversa tipologia di distribuzione. Infatti, mentre il rischio di trauma cranico è prevalente per gli<br />
uomini per quasi tutto l’arco della vita, con un chiarissimo picco in età giovanile-adulta, in età senile<br />
il rischio diventa prevalente per il sesso femminile. Tale inversione potrebbe essere correlabile alla<br />
maggiore longevità del sesso femminile, ma anche altri fattori potrebbero essere chiamati in causa,<br />
come per esempio l’abbattimento per il sesso maschile del rischio lavorativo, o la diminuzione<br />
all’uso dell’auto, mentre continuerebbe costante il rischio per le donne di incidente domestico. Per<br />
quanto concerne il rischio da ricovero per GCA emorragiche, si evidenzia una sostanziale identità<br />
distributiva tra i generi, mentre per le GCA ischemiche il rischio è costantemente più elevato per gli<br />
uomini fino ai 75 anni, quando prevale in ambito femminile. Anche in questo caso la spiegazione<br />
più plausibile riporta alla maggior longevità femminile.<br />
I grafici 3-5 dettagliano l’andamento delle singole tipologie di GCA come singole classi di età<br />
nell’arco dei sei anni di osservazione.<br />
54
Grafico n.3 TCE-Distr. Freq. per età e anni di osservazione<br />
Il grafico 3 mostra la distribuzione dei casi di TCE per classi di età e anni di osservazione.<br />
Interessante notare come vi siano trend in decremento per quasi tutte le classi di età<br />
(particolarmente importante la riduzione della classe 0-17), con l’eccezione dell’aumento per classi<br />
over 60 –con incremento particolarmente significativo per gli over 70.<br />
55
Grafico n.4 GCA emorragiche-Distr. Freq. per età e anni di osservazione<br />
Nel grafico 4 riscontriamo un aumento costante solo nella classe over 70, a fronte di andamenti<br />
sostanzialmente stabili nelle altre età.<br />
56
Grafico n.5 GCA ischemiche-Distr. Freq. per età e anni di osservazione<br />
Nel grafico 5 riscontriamo sostanziali stabilità in quasi tutte le classi di età, con l’eccezione di un<br />
trend in modesta diminuzione per l’età 60-69; la classe di età over 70 presenta un andamento<br />
complessivamente decrescente, ma caratterizzato da una netta ripresa negli ultimi tre anni.<br />
Come indicatori sintetici, riscontriamo che l’età media dei soggetti identificati è di 57 anni per gli<br />
uomini e di 68 anni per le donne (61 complessivamente). Le rispettive età mediane sono 65, 76 e<br />
70 (tab.4). Vi sono, come già accennato, rilevanti differenze tra le diverse patologie: il TCE, in<br />
particolare, riguarda maggiormente le classi giovanili (in particolare nei maschi), mentre le GCA<br />
ischemiche sono più frequenti nelle persone di età elevata.<br />
57
Tab.4<br />
Età-Indicatori<br />
di sintesi per<br />
genere e<br />
tipologia di<br />
GCA Media Mediana<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
Deviazione<br />
standard Media Mediana<br />
Deviazione<br />
standard Media Mediana<br />
Deviazione<br />
standard<br />
TCE 39 34 25 52 62 31 44 40 28<br />
GCA<br />
Emorragiche<br />
GCA<br />
Ischemiche<br />
66 70 17 71 76 17 68 73 17<br />
71 72 11 76 79 12 73 75 12<br />
Totale 57 65 24 68 76 23 61 70 24<br />
La distribuzione di dettaglio per gruppo di patologia e classi di età, nel sessennio, è presentata<br />
nelle tabelle che seguono.<br />
Tab.5<br />
Distr. freq. classi<br />
età e genere –<br />
TCE<br />
Classi di<br />
età<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
% casi<br />
% casi<br />
% casi<br />
N.casi colonna N.casi colonna N.casi colonna<br />
0-17 1126 22,9% 573 21,3% 1699 22,3%<br />
18-24 684 13,9% 157 5,8% 841 11,1%<br />
25-34 675 13,7% 167 6,2% 842 11,1%<br />
35-45 618 12,6% 177 6,6% 795 10,5%<br />
46-59 603 12,3% 241 9,0% 844 11,1%<br />
60-69 401 8,2% 219 8,2% 620 8,2%<br />
70+ 808 16,4% 1153 42,9% 1961 25,8%<br />
Totale 4915 100,0% 2687 100,0% 7602 100,0%<br />
58
Tab.6<br />
Genere<br />
Distr. freq. classi età e<br />
genere – GCA<br />
Emorragiche/Anossiche<br />
Maschi<br />
% casi<br />
N.casi colonna<br />
Femmine<br />
% casi<br />
N.casi colonna<br />
Totale<br />
% casi<br />
N.casi colonna<br />
Classi di età 0-17 31 2,2% 13 1,0% 44 1,6%<br />
18-24 12 ,9% 8 ,6% 20 ,7%<br />
25-34 33 2,4% 28 2,1% 61 2,2%<br />
35-45 82 5,9% 69 5,2% 151 5,6%<br />
46-59 234 16,8% 152 11,5% 386 14,2%<br />
60-69 287 20,5% 206 15,6% 493 18,1%<br />
70+ 718 51,4% 844 63,9% 1562 57,5%<br />
Totale 1397 100,0% 1320 100,0% 2717 100,0%<br />
Tab.7<br />
Genere<br />
Distr. freq. classi età e<br />
genere – GCA<br />
Ischemiche<br />
Maschi<br />
% casi<br />
N.casi colonna<br />
Femmine<br />
% casi<br />
N.casi colonna<br />
Totale<br />
% casi<br />
N.casi colonna<br />
Classi di età 0-17 5 ,1% 5 ,1% 10 ,1%<br />
18-24 6 ,1% 7 ,2% 13 ,1%<br />
25-34 31 ,6% 30 ,7% 61 ,6%<br />
35-45 120 2,3% 78 1,8% 198 2,1%<br />
46-59 605 11,5% 215 4,9% 820 8,5%<br />
60-69 1272 24,1% 558 12,7% 1830 19,0%<br />
70+ 3234 61,3% 3484 79,6% 6718 69,6%<br />
Totale 5273 100,0% 4377 100,0% 9650 100,0%<br />
59
Tipologia dimissioni<br />
Relativamente alla tipologia di dimissione riscontrata nei soggetti alla fine del ricovero incidente (il<br />
primo ricovero per ogni paziente univocamente tracciato), le tab.8.x mostrano le distribuzioni<br />
riscontrate per i singoli gruppi di GCA. Le valutazioni sul percorso “riabilitazione”, ovviamente<br />
connesse anche alla tipologia di dimissione, saranno effettuate nel capitolo specifico.<br />
Tab. 8.1<br />
Tipo di GCA: TCE - Tipo dimissione n. casi % casi colonna<br />
1-ordinaria al domicilio del paziente 6383 84,0%<br />
2-volontaria (su decisione paziente) 184 2,4%<br />
3-trasferimento a altro istituto ricovero cura,<br />
pubbl. o privato<br />
279 3,7%<br />
4-deceduto 202 2,7%<br />
5-dim ordinaria presso RSA 95 1,2%<br />
6-dim a domicilio paziente con attivazione H<br />
domiciliare<br />
7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero<br />
(dh-ord-riab)<br />
1 ,0%<br />
296 3,9%<br />
8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione 149 2,0%<br />
9-dim ord. con attivazione di ADI 13 ,2%<br />
Totale 7602 100,0%<br />
La dimissione ordinaria risulta di gran lunga prevalente nei TCE. Il 2,7% dei casi decede in sede di<br />
ricovero. Nelle TCE, l’elevata quantità di dimissioni ordinarie è rappresentativa di quei ricoveri in cui<br />
il trauma è stato presumibilmente di entità lieve (questo dato è corroborato anche dalla media di<br />
giornate di degenza per gruppo GCA presentato nella tab. 11, nonché dal basso numero di<br />
deceduti intra-ricovero).<br />
60
Tab. 8.2<br />
Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche - Tipo<br />
dimissione n. casi % casi colonna<br />
1-ordinaria al domicilio del paziente 1025 37,7%<br />
2-volontaria (su decisione paziente) 26 1,0%<br />
3-trasferimento a altro istituto ricovero cura,<br />
pubbl. o privato<br />
290 10,7%<br />
4-deceduto 725 26,7%<br />
5-dim ordinaria presso RSA 59 2,2%<br />
6-dim a domicilio paziente con attivazione H<br />
domiciliare<br />
7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero<br />
(dh-ord-riab)<br />
1 ,0%<br />
360 13,2%<br />
8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione 216 7,9%<br />
9-dim ord. con attivazione di ADI 15 ,6%<br />
Totale 2717 100,0%<br />
Per le GCA emorragiche, la dimissione ordinaria risulta prevalente (37,7%), ma su dimensioni<br />
molto differenti dai TCE e dalle GCA ischemiche; più di un paziente su quattro (26,7%) decede in<br />
sede di ricovero, e molto rilevante è la quantità di coloro che vengono trasferiti per altro ricovero o<br />
per terapia riabilitativa.<br />
61
Tab. 8.3<br />
Tipo di GCA: Ischemiche - Tipo dimissione n. casi % casi colonna<br />
1-ordinaria al domicilio del paziente 6874 71,2%<br />
2-volontaria (su decisione paziente) 59 ,6%<br />
3-trasferimento a altro istituto ricovero cura,<br />
pubbl. o privato<br />
396 4,1%<br />
4-deceduto 683 7,1%<br />
5-dim ordinaria presso RSA 135 1,4%<br />
6-dim a domicilio paziente con attivazione H<br />
domiciliare<br />
7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero<br />
(dh-ord-riab)<br />
1 ,0%<br />
666 6,9%<br />
8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione 764 7,9%<br />
9-dim ord. con attivazione di ADI 72 ,7%<br />
Totale 9650 100,0%<br />
Nelle GCA ischemiche decede il 7% dei pazienti durante il ricovero, mentre il 71% esce con<br />
dimissioni ordinarie.<br />
62
Tab. 8.4<br />
Tipo di GCA: tutte - Tipo dimissione n.casi % casi colonna<br />
1-ordinaria al domicilio del paziente 14282 71,5%<br />
2-volontaria (su decisione paziente) 269 1,3%<br />
3-trasferimento a altro istituto ricovero cura,<br />
pubbl. o privato<br />
965 4,8%<br />
4-deceduto 1610 8,1%<br />
5-dim ordinaria presso RSA 289 1,4%<br />
6-dim a domicilio paziente con attivazione H<br />
domiciliare<br />
7-trasf a altro regime o tipologia di ricovero<br />
(dh-ord-riab)<br />
3 ,0%<br />
1322 6,6%<br />
8-trasf a altro ist.pubbl. o priv. riabilitazione 1129 5,7%<br />
9-dim ord. con attivazione di ADI 100 ,5%<br />
Totale 19969 100,0%<br />
La tabella 8.4 descrive le modalità di dimissione per tutte le GCA. Per quanto sia meno rilevante<br />
rispetto alla valutazione che nasce dalle singole GCA, è interessante notare come, a fronte del<br />
71,5% di pazienti che esce con dimissione ordinaria a domicilio, vi sia una quota pari a 8,0% di<br />
decessi intra-ospedalieri (tra cui prevale il 26,7% dei decessi per il gruppo delle GCA emorragiche)<br />
ed un 12% che viene indirizzato su un percorso di terapia riabilitativa (regime 7 sommato a regime<br />
8). In realtà tale dato merita un approfondimento a parte, per la complessità di tracciatura all’interno<br />
dei vari flussi dei dimessi in riabilitazione.<br />
Durata dei ricoveri<br />
La tabella che segue presenta alcune statistiche di sintesi sulla durata dei ricoveri (sono esclusi dal<br />
calcolo i ricoveri in regime di day-hospital).<br />
63
Tab.9<br />
Statistiche descrittive<br />
n.giornate di degenza<br />
per GCA Media<br />
Deviazione<br />
n. giorni degenza<br />
standard Percentile 25 Mediana Percentile 75<br />
TCE 7,1 13,6 2 4 8<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche<br />
14,9 16,7 4 11 19<br />
GCA Ischemiche 9,8 8,3 4 8 12<br />
Totale 9,5 12,2 3 6 12<br />
E’ molto evidente, dalle statistiche presentate, come gran parte dei ricoveri (12 giorni come<br />
75esimo percentile) tenda a risolversi nelle prime due settimane (con l’eccezione delle GCA<br />
emorragiche); il 50% si risolve entro 6 giorni.<br />
Il grafico successivo (Graf. 6) mostra la media delle giornate di degenza per sesso e classi di età.<br />
Vi è una tendenza all’aumento della durata di ricovero con l’età del paziente, con picco intorno ai<br />
40-45, e successivo decremento per le età più avanzate.<br />
64
Graf. 6 – GCA complessive-giornate di degenza: distribuzione della media per<br />
sesso e classi di età<br />
Il grafico 7 evidenzia un andamento sovrapponibile per TCE e GCA Ischemiche (con l’area sottesa<br />
alla curva comunque prevalente nell’arco della prima settimana), mentre per le GCA emorragiche<br />
la distribuzione è maggiormente “spalmata” su un arco temporale più ampio, sia pur su livelli<br />
quantitativi, come numerosità di casi, sempre più marginale.<br />
65
Graf. 7 distr. freq. gg degenza per gruppo GCA<br />
Altre variabili di interesse<br />
Nelle tabelle 12.x sono rappresentate le afferenze dei ricoveri per territorio. Il 91% complessivo è<br />
avvenuto presso strutture localizzate nel territorio dell’ASL di Bergamo. Quote sostanzialmente<br />
identiche si riscontrano nelle analisi per singola GCA che seguono.<br />
66
Tab. 12.1<br />
Tipo di GCA: Totale - ASL di localizzazione della<br />
struttura di ricovero N.casi % casi colonna<br />
ASL<br />
A01 PROV. BERGAMO 21161 91,1%<br />
A02 PROV. BRESCIA 723 3,1%<br />
A08 MI<strong>LA</strong>NO 492 2,1%<br />
A05 PROV. LECCO 247 1,1%<br />
A15 VALCAMONICA-SEB<strong>IN</strong>O 186 ,8%<br />
A11 PROV. MONZA E BRIANZA 114 ,5%<br />
A10 MI<strong>LA</strong>NO PR. 2 (MELEGNANO) 77 ,3%<br />
A03 PROV. COMO 60 ,3%<br />
A04 PROV. CREMONA 54 ,2%<br />
A12 PROV. PAVIA 36 ,2%<br />
A13 PROV. SONDRIO 27 ,1%<br />
A09 MI<strong>LA</strong>NO PR. 1 (LEGNANO) 27 ,1%<br />
A14 PROV. VARESE 12 ,1%<br />
A06 PROV. LODI 6 ,0%<br />
A07 PROV. MANTOVA 5 ,0%<br />
Dato mancante 5 ,0%<br />
Totale 23232 100,0%<br />
67
Tab. 12.2<br />
Tipo di GCA: TCE - ASL di localizzazione della<br />
struttura di ricovero N.casi % casi colonna<br />
ASL<br />
A01 PROV. BERGAMO 7606 89,5%<br />
A02 PROV. BRESCIA 355 4,2%<br />
A08 MI<strong>LA</strong>NO 94 1,1%<br />
A05 PROV. LECCO 95 1,1%<br />
A15 VALCAMONICA-SEB<strong>IN</strong>O 116 1,4%<br />
A11 PROV. MONZA E BRIANZA 63 ,7%<br />
A10 MI<strong>LA</strong>NO PR. 2 (MELEGNANO) 38 ,4%<br />
A03 PROV. COMO 25 ,3%<br />
A04 PROV. CREMONA 40 ,5%<br />
A12 PROV. PAVIA 17 ,2%<br />
A13 PROV. SONDRIO 20 ,2%<br />
A09 MI<strong>LA</strong>NO PR. 1 (LEGNANO) 11 ,1%<br />
A14 PROV. VARESE 11 ,1%<br />
A06 PROV. LODI 4 ,0%<br />
A07 PROV. MANTOVA 3 ,0%<br />
Dato mancante 1 ,0%<br />
Totale 8499 100,0%<br />
68
Tab. 12.3<br />
Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche - ASL di<br />
localizzazione della struttura di ricovero N.casi % casi colonna<br />
ASL<br />
A01 PROV. BERGAMO 3197 91,1%<br />
A02 PROV. BRESCIA 118 3,4%<br />
A08 MI<strong>LA</strong>NO 70 2,0%<br />
A05 PROV. LECCO 62 1,8%<br />
A15 VALCAMONICA-SEB<strong>IN</strong>O 17 ,5%<br />
A11 PROV. MONZA E BRIANZA 9 ,3%<br />
A10 MI<strong>LA</strong>NO PR. 2 (MELEGNANO) 4 ,1%<br />
A03 PROV. COMO 13 ,4%<br />
A04 PROV. CREMONA 5 ,1%<br />
A12 PROV. PAVIA 9 ,3%<br />
A13 PROV. SONDRIO 3 ,1%<br />
A09 MI<strong>LA</strong>NO PR. 1 (LEGNANO) 2 ,1%<br />
A14 PROV. VARESE 0 ,0%<br />
A06 PROV. LODI 0 ,0%<br />
A07 PROV. MANTOVA 0 ,0%<br />
Dato mancante 2 ,1%<br />
Totale 3511 100,0%<br />
69
Tab. 12.4<br />
Tipo di GCA: Ischemiche - ASL di localizzazione<br />
della struttura di ricovero N.casi % casi colonna<br />
ASL<br />
A01 PROV. BERGAMO 10358 92,3%<br />
A02 PROV. BRESCIA 250 2,2%<br />
A08 MI<strong>LA</strong>NO 328 2,9%<br />
A05 PROV. LECCO 90 ,8%<br />
A15 VALCAMONICA-SEB<strong>IN</strong>O 53 ,5%<br />
A11 PROV. MONZA E BRIANZA 42 ,4%<br />
A10 MI<strong>LA</strong>NO PR. 2 (MELEGNANO) 35 ,3%<br />
A03 PROV. COMO 22 ,2%<br />
A04 PROV. CREMONA 9 ,1%<br />
A12 PROV. PAVIA 10 ,1%<br />
A13 PROV. SONDRIO 4 ,0%<br />
A09 MI<strong>LA</strong>NO PR. 1 (LEGNANO) 14 ,1%<br />
A14 PROV. VARESE 1 ,0%<br />
A06 PROV. LODI 2 ,0%<br />
A07 PROV. MANTOVA 2 ,0%<br />
Dato mancante 2 ,0%<br />
Totale 11222 100,0%<br />
Le tab. 13.x presentano la distribuzione dei pazienti per tipologia di struttura presso cui il ricovero è<br />
avvenuto. E’ chiaro come, sulla base della gravità e, sovente, della subitaneità dell’accadimento<br />
delle patologie di cui stiamo trattando, vi sia una distribuzione che conduce il paziente in prima<br />
istanza verso una struttura di AO (68,0%), probabilmente per una presenza più frequente del PS.<br />
Ciò si riscontra particolarmente nel caso dei TCE (76%) e delle GCA emorragiche (74%).<br />
70
Tab. 13.1<br />
Tipo di GCA: Totale –distr. freq. per tipologia<br />
struttura di ricovero N.casi % casi colonna<br />
Tipologia<br />
Struttura di A.O. 15770 67,9%<br />
Casa di Cura Accreditata 6762 29,1%<br />
IRCCS Privato 366 1,6%<br />
Struttura di A.S.L. 186 ,8%<br />
IRCCS Pubblico 77 ,3%<br />
Ospedale Classificato 63 ,3%<br />
Dato mancante 5 ,0%<br />
Casa di Cura non Accreditata 3 ,0%<br />
Totale 23232 100,0%<br />
Tab. 13.2<br />
Tipo di GCA: TCE –distr. freq. per tipologia<br />
struttura di ricovero N.casi % casi colonna<br />
Tipologia<br />
Struttura di A.O. 6473 76,2%<br />
Casa di Cura Accreditata 1820 21,4%<br />
IRCCS Privato 32 ,4%<br />
Struttura di A.S.L. 116 1,4%<br />
IRCCS Pubblico 29 ,3%<br />
Ospedale Classificato 28 ,3%<br />
Dato mancante 1 ,0%<br />
Casa di Cura non Accreditata 0 ,0%<br />
Totale 8499 100,0%<br />
71
Tab. 13.3<br />
Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche –distr. freq.<br />
per tipologia struttura di ricovero N.casi % casi colonna<br />
Tipologia<br />
Struttura di A.O. 2588 73,7%<br />
Casa di Cura Accreditata 805 22,9%<br />
IRCCS Privato 60 1,7%<br />
Struttura di A.S.L. 17 ,5%<br />
IRCCS Pubblico 16 ,5%<br />
Ospedale Classificato 23 ,7%<br />
Dato mancante 2 ,1%<br />
Casa di Cura non Accreditata 0 ,0%<br />
Totale 3511 100,0%<br />
Tab. 13.4<br />
Tipo di GCA: Ischemiche –distr. freq. per tipologia<br />
struttura di ricovero N.casi % casi colonna<br />
Tipologia<br />
Struttura di A.O. 6709 59,8%<br />
Casa di Cura Accreditata 4137 36,9%<br />
IRCCS Privato 274 2,4%<br />
Struttura di A.S.L. 53 ,5%<br />
IRCCS Pubblico 32 ,3%<br />
Ospedale Classificato 12 ,1%<br />
Dato mancante 2 ,0%<br />
Casa di Cura non Accreditata 3 ,0%<br />
Totale 11222 100,0%<br />
72
Modalità di accesso al ricovero<br />
Le tabelle 14.x descrivono, complessivamente e per singola GCA, le modalità di accesso al<br />
ricovero. Le modalità prevalenti sono quelle in regime di urgenza o tramite Pronto Soccorso, come<br />
prevedibile in particolare per TCE e GCA emorragiche. Le altre modalità fanno riferimento<br />
soprattutto ai trasferimenti, interni o verso altro istituto o regime (ad esempio, riabilitazione).<br />
Tab. 14.1<br />
Tipo di GCA: Totale -modalità di accesso N.casi % casi colonna<br />
01-accessi diretti e ricoveri tramite PS 8806 44,1%<br />
08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata<br />
118)<br />
5094 25,5%<br />
02-inviato da medico di base 2305 11,5%<br />
03-ricovero programmato da stesso istituto di<br />
cura<br />
1961 9,8%<br />
04-trasferito da Osp. Pubblico 1108 5,5%<br />
09-Altro 360 1,8%<br />
05-trasferito da struttura privata accreditata 278 1,4%<br />
07-trasferito da altro regime (DH-RicOrd-<br />
Riab-LD) entro Ist.<br />
43 ,2%<br />
06-trasferito da struttura privata non<br />
accreditata<br />
10 ,1%<br />
Dato mancante 4 ,0%<br />
Totale 19969 100,0%<br />
73
Tab. 14.2<br />
Tipo di GCA: TCE -modalità di accesso N.casi % casi colonna<br />
01-accessi diretti e ricoveri tramite PS 3950 52,0%<br />
08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata<br />
118)<br />
2142 28,2%<br />
03-ricovero programmato da stesso istituto<br />
di cura<br />
773 10,2%<br />
04-trasferito da Osp. Pubblico 428 5,6%<br />
09-Altro 114 1,5%<br />
02-inviato da medico di base 112 1,5%<br />
05-trasferito da struttura privata accreditata 62 ,8%<br />
07-trasferito da altro regime (DH-RicOrd-<br />
Riab-LD) entro Ist.<br />
12 ,2%<br />
06-trasferito da struttura privata non<br />
accreditata<br />
5 ,1%<br />
Dato mancante 4 ,1%<br />
Totale 7602 100,0%<br />
Tab. 14.3<br />
Tipo di GCA: Emorragiche/Anossiche -<br />
modalità di accesso N.casi % casi colonna<br />
01-accessi diretti e ricoveri tramite PS 1373 50,5%<br />
08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata<br />
118)<br />
724 26,6%<br />
04-trasferito da Osp. Pubblico 255 9,4%<br />
03-ricovero programmato da stesso istituto<br />
di cura<br />
129 4,7%<br />
02-inviato da medico di base 126 4,6%<br />
09-Altro 50 1,8%<br />
05-trasferito da struttura privata accreditata 47 1,7%<br />
07-trasferito da altro regime (DH-RicOrd-<br />
Riab-LD) entro Ist.<br />
8 ,3%<br />
06-trasferito da struttura privata non<br />
accreditata<br />
5 ,2%<br />
Dato mancante 0 ,0%<br />
Totale 2717 100,0%<br />
74
Tab. 14.4<br />
Tipo di GCA: Ischemiche -modalità di accesso N.casi % casi colonna<br />
01-accessi diretti e ricoveri tramite PS 3483 36,1%<br />
08-da rete Emergenza/Urgenza (chiamata 118) 2228 23,1%<br />
02-inviato da medico di base 2067 21,4%<br />
03-ricovero programmato da stesso istituto di<br />
cura<br />
1059 11,0%<br />
04-trasferito da Osp. Pubblico 425 4,4%<br />
09-Altro 196 2,0%<br />
05-trasferito da struttura privata accreditata 169 1,8%<br />
07-trasferito da altro regime (DH-RicOrd-Riab-LD)<br />
entro Ist.<br />
23 ,2%<br />
06-trasferito da struttura privata non accreditata 0 ,0%<br />
Dato mancante 0 ,0%<br />
Totale 9650 100,0%<br />
Descrizione evento traumatico (tce)<br />
Le tab. 15.x mostrano, per i pazienti con diagnosi di TCE, la modalità di accadimento dell’evento<br />
traumatico che ha dato luogo al ricovero, dettagliando quindi le distribuzioni di frequenza per<br />
genere e per classi di età. Nonostante vi sia una quota elevata di descrizioni mancanti o non<br />
definite, rispetto agli items, alcuni elementi sono evidenziabili: chiara prevalenza delle cause per<br />
traffico e sul lavoro nei maschi, così come accadimenti in ambiente domestico per le donne; si<br />
veda anche il grafico a seguire ed il relativo commento di dettaglio (grafico n. 8).<br />
Tab. 15.1<br />
TCE-descrizione evento traumatico N.casi % casi colonna<br />
altro 3481 45,8%<br />
da traffico 1821 24,0%<br />
in ambiente domestico 1364 17,9%<br />
sul lavoro 452 5,9%<br />
violenza altrui 266 3,5%<br />
Dato mancante 205 2,7%<br />
autolesione o tentato suicidio 13 0,2%<br />
Totale 7602 100,0%<br />
75
Tab. 15.1<br />
TCE-descrizione evento<br />
traumatico per genere<br />
Genere<br />
Maschi Femmine<br />
N.casi % casi colonna N.casi % casi colonna<br />
Altro-non noto 2277 46,3% 1204 44,8%<br />
da traffico 1294 26,3% 527 19,6%<br />
in ambiente domestico 597 12,1% 767 28,5%<br />
sul lavoro 408 8,3% 44 1,6%<br />
violenza altrui 231 4,7% 35 1,3%<br />
Dato mancante 99 2,0% 106 3,9%<br />
autolesione o tentato<br />
suicidio<br />
9 ,2% 4 ,1%<br />
Totale 4915 100,0% 2687 100,0%<br />
Tab. 15.2<br />
TCE-descrizione evento<br />
traumatico per età e genere<br />
Genere<br />
Maschi Femmine<br />
- Sul lavoro N.casi % casi colonna N.casi % casi colonna<br />
Classi di età 0-17 21 5,1% 7 15,9%<br />
18-24 50 12,3% 4 9,1%<br />
25-34 74 18,1% 8 18,2%<br />
35-45 101 24,8% 12 27,3%<br />
46-59 141 34,6% 12 27,3%<br />
60-69 18 4,4% 1 2,3%<br />
70+ 3 ,7% 0 ,0%<br />
Totale 408 100,0% 44 100,0%<br />
76
Tab. 15.2<br />
TCE-descrizione evento<br />
traumatico per età e<br />
genere - In ambiente<br />
Genere<br />
Maschi Femmine<br />
domestico N.casi % casi colonna N.casi % casi colonna<br />
Classi di età 0-17 210 35,2% 184 24,0%<br />
18-24 17 2,8% 12 1,6%<br />
25-34 18 3,0% 18 2,3%<br />
35-45 37 6,2% 26 3,4%<br />
46-59 57 9,5% 43 5,6%<br />
60-69 75 12,6% 60 7,8%<br />
70+ 183 30,7% 424 55,3%<br />
Totale 597 100,0% 767 100,0%<br />
Tab. 15.3<br />
TCE-descrizione evento<br />
traumatico per età e<br />
Genere<br />
Maschi Femmine<br />
genere - Da traffico N.casi % casi colonna N.casi % casi colonna<br />
Classi di età 0-17 241 18,6% 95 18,0%<br />
18-24 218 16,8% 93 17,6%<br />
25-34 223 17,2% 57 10,8%<br />
35-45 218 16,8% 68 12,9%<br />
46-59 156 12,1% 79 15,0%<br />
60-69 94 7,3% 46 8,7%<br />
70+ 144 11,1% 89 16,9%<br />
Totale 1294 100,0% 527 100,0%<br />
Tab. 15.4<br />
TCE-descrizione evento<br />
traumatico per età e<br />
Genere<br />
Maschi Femmine<br />
genere - Da violenza altrui N.casi % casi colonna N.casi % casi colonna<br />
Classi di età 0-17 27 11,7% 0 ,0%<br />
18-24 65 28,1% 4 11,4%<br />
25-34 66 28,6% 6 17,1%<br />
35-45 41 17,7% 9 25,7%<br />
46-59 17 7,4% 8 22,9%<br />
60-69 11 4,8% 4 11,4%<br />
70+ 4 1,7% 4 11,4%<br />
Totale 231 100,0% 35 100,0%<br />
77
Il successivo graf. 8 mostra come, con l'età, variino anche le cause di traumatismo. I traumi da<br />
incidente stradale sono prevalenti nell'età adulta, con un picco particolarmente rilevante nell’età<br />
compresa tra 15 e 24 anni, sia per i maschi che per le femmine. Nell'età infantile e nell'età senile<br />
risultano prevalenti gli infortuni domestici. Gli infortuni sul lavoro sono prevalenti negli uomini in età<br />
compresa tra i 20 ed i 55 anni, con un picco intorno ai 40. Queste evidenze appaiono importanti in<br />
un’ottica di pianificazione di interventi di prevenzione.<br />
Graf.8 Distr. Freq. tipologia traumatismi per età e sesso<br />
78
Descrizione soggetti per condizione lavorativa<br />
Le tabelle successive (tab. 16.x) mostrano la distribuzione dei soggetti per condizione lavorativa<br />
per le GCA in totale e per singola tipologia, nei due generi; il dato rilevato è relativo al primo<br />
ricovero in assoluto dei soggetti nell’arco dell’intero sessennio. I dati relativi alla condizione<br />
lavorativa sono coerenti con quanto ci si attenderebbe sulla base della distribuzione per età già<br />
presentata. Di particolare interesse, per i TCE (tab. 16.2), la notazione che per gli uomini la<br />
prevalenza maggiore si riscontri nelle categorie “operai/salariati agricoli”, “bambini/studenti” e<br />
“pensionati/invalidi”, identificando nuovamente gli incidenti stradali, gli infortuni lavorativi e gli<br />
incidenti domestici come momenti critici su cui intervenire come prevenzione primaria.<br />
16.1<br />
GCA totali- condizione<br />
lavorativa al momento del<br />
primo ricovero<br />
N<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna<br />
1-Imprenditore/Dirigente 318 2,8% 31 ,4% 349 1,8%<br />
2-Impiegato/Insegnante 312 2,7% 221 2,6% 533 2,7%<br />
3-Artigiano/Coltivatore<br />
diretto<br />
4-Operaio/Salariato<br />
agricolo<br />
5-Altra condizione<br />
lavorativa<br />
486 4,2% 66 ,8% 552 2,8%<br />
1827 15,9% 371 4,4% 2198 11,1%<br />
18 ,2% 13 ,2% 31 ,2%<br />
6-Casalinga 10 ,1% 1151 13,8% 1161 5,8%<br />
7-Pensionato/Invalido 6535 56,7% 5572 66,6% 12107 60,9%<br />
8-Disoccupato/in cerca di<br />
prima occup.<br />
683 5,9% 289 3,5% 972 4,9%<br />
9-Studenti/Scolari/Bambini 1337 11,6% 649 7,8% 1986 10,0%<br />
Totale 11526 100,0% 8363 100,0% 19889 100,0%<br />
79
16.2<br />
TCE - condizione lavorativa<br />
al momento del primo<br />
ricovero<br />
N<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna<br />
1-Imprenditore/Dirigente 127 2,6% 12 ,4% 139 1,8%<br />
2-Impiegato/Insegnante 192 3,9% 124 4,6% 316 4,2%<br />
3-Artigiano/Coltivatore diretto 258 5,3% 33 1,2% 291 3,9%<br />
4-Operaio/Salariato agricolo 1376 28,2% 238 8,9% 1614 21,4%<br />
5-Altra condizione lavorativa 14 ,3% 6 ,2% 20 ,3%<br />
6-Casalinga 1 ,0% 312 11,6% 313 4,1%<br />
7-Pensionato/Invalido/Inabile 1195 24,5% 1200 44,8% 2395 31,7%<br />
8-Disoccupato/in cerca di<br />
prima occup.<br />
418 8,6% 134 5,0% 552 7,3%<br />
9-Studenti/Scolari/Bambini 1291 26,5% 621 23,2% 1912 25,3%<br />
Totale 4872 100,0% 2680 100,0% 7552 100,0%<br />
80
16.3<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche -<br />
condizione lavorativa al<br />
momento del primo ricovero<br />
N<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna<br />
1-Imprenditore/Dirigente 42 3,0% 7 ,5% 49 1,8%<br />
2-Impiegato/Insegnante 34 2,4% 43 3,3% 77 2,8%<br />
3-Artigiano/Coltivatore diretto 52 3,7% 12 ,9% 64 2,4%<br />
4-Operaio/Salariato agricolo 152 10,9% 57 4,3% 209 7,7%<br />
5-Altra condizione lavorativa 0 ,0% 3 ,2% 3 ,1%<br />
6-Casalinga 2 ,1% 211 16,0% 213 7,9%<br />
7-Pensionato/Invalido/Inabile 989 71,2% 896 68,1% 1885 69,7%<br />
8-Disoccupato/in cerca di<br />
prima occup.<br />
84 6,0% 68 5,2% 152 5,6%<br />
9-Studenti/Scolari/Bambini 35 2,5% 18 1,4% 53 2,0%<br />
Totale 1390 100,0% 1315 100,0% 2705 100,0%<br />
81
16.4<br />
GCA Ischemiche -<br />
condizione lavorativa al<br />
momento del primo ricovero<br />
N<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna<br />
1-Imprenditore/Dirigente 149 2,8% 12 ,3% 161 1,7%<br />
2-Impiegato/Insegnante 86 1,6% 54 1,2% 140 1,5%<br />
3-Artigiano/Coltivatore diretto 176 3,3% 21 ,5% 197 2,0%<br />
4-Operaio/Salariato agricolo 299 5,7% 76 1,7% 375 3,9%<br />
5-Altra condizione lavorativa 4 ,1% 4 ,1% 8 ,1%<br />
6-Casalinga 7 ,1% 628 14,4% 635 6,6%<br />
7-Pensionato/Invalido/Inabile 4351 82,7% 3476 79,6% 7827 81,3%<br />
8-Disoccupato/in cerca di<br />
prima occup.<br />
181 3,4% 87 2,0% 268 2,8%<br />
9-Studenti/Scolari/Bambini 11 ,2% 10 ,2% 21 ,2%<br />
Totale 5264 100,0% 4368 100,0% 9632 100,0%<br />
82
Descrizione Reparto Accettazione e Dimissione<br />
Le distribuzioni di frequenza relative al reparto di accettazione e dimissione dei pazienti sono<br />
naturalmente determinate dalla situazione in essere: il momento iniziale, l’andamento del ricovero<br />
rispetto al caso specifico (trasferimenti interni, trasferimenti ad altre strutture meglio attrezzate,<br />
etc.), le diverse modalità di dimissione, i casi in cui si rendano necessari ricoveri successivi al<br />
primo ricovero post-evento per la stabilizzazione di situazioni particolari.<br />
Reparto Accettazione<br />
Tab. 17.1<br />
Tipo di GCA: TCE N % casi colonna<br />
32-NEUROLOGIA 1651 19,4%<br />
39-PEDIATRIA 1145 13,5%<br />
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA<br />
CHIRURGIA URGENZA)<br />
990 11,6%<br />
10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE 781 9,2%<br />
38-OTOR<strong>IN</strong>O<strong>LA</strong>R<strong>IN</strong>GOIATRIA,<br />
AUDIOLOGIA<br />
773 9,1%<br />
30-NEUROCHIRURGIA 727 8,6%<br />
49-TERAPIA <strong>IN</strong>TENSIVA, ANESTESIA E<br />
RIANIMAZIONE<br />
655 7,7%<br />
26-MEDIC<strong>IN</strong>A GENERALE (NON<br />
ALTRIMENTI SPECIFICATA)<br />
627 7,4%<br />
36-ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA 558 6,6%<br />
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 422 5,0%<br />
ALTRI REPARTI 170 2,0%<br />
Totale 8499 100,0%<br />
83
Tab. 17.2<br />
Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche N % casi colonna<br />
32-NEUROLOGIA 1124 32,0%<br />
30-NEUROCHIRURGIA 739 21,0%<br />
49-TERAPIA <strong>IN</strong>TENSIVA, ANESTESIA E<br />
RIANIMAZIONE<br />
670 19,1%<br />
26-MEDIC<strong>IN</strong>A GENERALE (NON<br />
ALTRIMENTI SPECIFICATA)<br />
597 17,0%<br />
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 225 6,4%<br />
75-NEURO-RIABILITAZIONE 22 ,6%<br />
60-RIABILITAZIONE GENERALE E<br />
GERIATRICA<br />
19 ,5%<br />
ALTRI REPARTI 115 3,3%<br />
Totale 3511 100,0%<br />
Tab. 17.3<br />
Tipo di GCA: GCA Ischemiche N % casi colonna<br />
32-NEUROLOGIA 4647 41,4%<br />
26-MEDIC<strong>IN</strong>A GENERALE (NON ALTRIMENTI<br />
SPECIFICATA)<br />
3118 27,8%<br />
14-CHIRURGIA VASCO<strong>LA</strong>RE 2350 20,9%<br />
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA<br />
CHIRURGIA URGENZA)<br />
349 3,1%<br />
08-CARDIOLOGIA 326 2,9%<br />
49-TERAPIA <strong>IN</strong>TENSIVA, ANESTESIA E<br />
RIANIMAZIONE<br />
75 ,7%<br />
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 69 ,6%<br />
30-NEUROCHIRURGIA 47 ,4%<br />
60-RIABILITAZIONE GENERALE E<br />
GERIATRICA<br />
31 ,3%<br />
ALTRI REPARTI 210 1,9%<br />
Totale 11222 100,0%<br />
84
Tab. 17.4<br />
Tipo di GCA: Totale N % casi colonna<br />
32-NEUROLOGIA 7422 31,9%<br />
26-MEDIC<strong>IN</strong>A GENERALE (NON<br />
ALTRIMENTI SPECIFICATA)<br />
4342 18,7%<br />
14-CHIRURGIA VASCO<strong>LA</strong>RE 2351 10,1%<br />
30-NEUROCHIRURGIA 1513 6,5%<br />
49-TERAPIA <strong>IN</strong>TENSIVA, ANESTESIA E<br />
RIANIMAZIONE<br />
1400 6,0%<br />
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA<br />
CHIRURGIA URGENZA)<br />
1356 5,8%<br />
39-PEDIATRIA 1158 5,0%<br />
38-OTOR<strong>IN</strong>O<strong>LA</strong>R<strong>IN</strong>GOIATRIA, AUDIOLOGIA 788 3,4%<br />
10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE 781 3,4%<br />
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 716 3,1%<br />
ALTRI REPARTI 1405 6,0%<br />
Totale 23232 100,0%<br />
Reparto Dimissione<br />
Tab. 17.5<br />
Tipo di GCA: TCE N % casi colonna<br />
32-NEUROLOGIA 1720 20,2%<br />
39-PEDIATRIA 1182 13,9%<br />
30-NEUROCHIRURGIA 1000 11,8%<br />
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA<br />
CHIRURGIA URGENZA)<br />
973 11,4%<br />
10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE 805 9,5%<br />
38-OTOR<strong>IN</strong>O<strong>LA</strong>R<strong>IN</strong>GOIATRIA,<br />
AUDIOLOGIA<br />
775 9,1%<br />
26-MEDIC<strong>IN</strong>A GENERALE (NON<br />
ALTRIMENTI SPECIFICATA)<br />
636 7,5%<br />
36-ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA 600 7,1%<br />
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 422 5,0%<br />
49-TERAPIA <strong>IN</strong>TENSIVA, ANESTESIA E<br />
RIANIMAZIONE<br />
202 2,4%<br />
ALTRI REPARTI 184 2,2%<br />
Totale 8499 100,0%<br />
85
Tab. 17.6<br />
Tipo di GCA: GCA Emorragiche/Anossiche N % casi colonna<br />
32-NEUROLOGIA 1175 33,5%<br />
30-NEUROCHIRURGIA 963 27,4%<br />
26-MEDIC<strong>IN</strong>A GENERALE (NON ALTRIMENTI<br />
SPECIFICATA)<br />
584 16,6%<br />
49-TERAPIA <strong>IN</strong>TENSIVA, ANESTESIA E<br />
RIANIMAZIONE<br />
419 11,9%<br />
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 225 6,4%<br />
75-NEURO-RIABILITAZIONE 22 ,6%<br />
60-RIABILITAZIONE GENERALE E GERIATRICA 19 ,5%<br />
08-CARDIOLOGIA 15 ,4%<br />
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA<br />
CHIRURGIA URGENZA)<br />
13 ,4%<br />
ALTRI REPARTI 76 2,2%<br />
Totale 3511 100,0%<br />
Tab. 17.7<br />
Tipo di GCA: GCA Ischemiche N % casi colonna<br />
32-NEUROLOGIA 4755 42,4%<br />
26-MEDIC<strong>IN</strong>A GENERALE (NON ALTRIMENTI<br />
SPECIFICATA)<br />
3044 27,1%<br />
14-CHIRURGIA VASCO<strong>LA</strong>RE 2404 21,4%<br />
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA<br />
CHIRURGIA URGENZA)<br />
332 3,0%<br />
08-CARDIOLOGIA 332 3,0%<br />
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 69 ,6%<br />
49-TERAPIA <strong>IN</strong>TENSIVA, ANESTESIA E<br />
RIANIMAZIONE<br />
63 ,6%<br />
30-NEUROCHIRURGIA 40 ,4%<br />
60-RIABILITAZIONE GENERALE E GERIATRICA 31 ,3%<br />
ALTRI REPARTI 152 1,4%<br />
Totale 11222 100,0%<br />
86
Tab. 17.8<br />
Tipo di GCA: Totale N % casi colonna<br />
32-NEUROLOGIA 7650 32,9%<br />
26-MEDIC<strong>IN</strong>A GENERALE (NON ALTRIMENTI<br />
SPECIFICATA)<br />
4264 18,4%<br />
14-CHIRURGIA VASCO<strong>LA</strong>RE 2406 10,4%<br />
30-NEUROCHIRURGIA 2003 8,6%<br />
09-CHIRURGIA GENERALE (COMPRESA<br />
CHIRURGIA URGENZA)<br />
1318 5,7%<br />
39-PEDIATRIA 1198 5,2%<br />
10-CHIRURGIA MAXILLO-FACCIALE 805 3,5%<br />
38-OTOR<strong>IN</strong>O<strong>LA</strong>R<strong>IN</strong>GOIATRIA, AUDIOLOGIA 783 3,4%<br />
56-RIABILITAZIONE SPECIALISTICA 716 3,1%<br />
49-TERAPIA <strong>IN</strong>TENSIVA, ANESTESIA E<br />
RIANIMAZIONE<br />
684 2,9%<br />
ALTRI REPARTI 1405 6,0%<br />
Totale 23232 100,0%<br />
I decessi<br />
L’analisi dei decessi connessi ad una GCA è di notevole rilevanza, soprattutto se si consideri che,<br />
in particolare per i TCE, è riconosciuto un peso decisivo come causa di morte nelle classi di età; La<br />
lesione traumatica rappresenta infatti la prima causa di morte e di invalidità nell’infante e nei<br />
giovani adulti (15-45 anni).<br />
I decessi intra-ospedalieri in fase acuta<br />
In questo paragrafo si descrivono i decessi avvenuti in sede di ricovero. La tabella 18.1 descrive, in<br />
termini assoluti e percentuali, i decessi dichiarati come “tipo di dimissione” avvenuti in sede di<br />
ricovero (numerosità 1837, pari a 7,9%). La tab. 18.2 mostra come l’87,6% di questi decessi<br />
(numerosità pari a 1610) sia avvenuto durante il ricovero incidente, mentre la tabella 18.3 evidenzia<br />
una sostanziale continuità nel trend delle quote percentuali di decessi tra il ricovero incidente e gli<br />
eventuali ricoveri successivi nel corso dei sei anni analizzati.<br />
La tab. 18.4, che analizza la distribuzione per classi di età, pone in luce come il fenomeno del<br />
decesso durante un ricovero ripetuto sia, almeno in parte, correlabile all’avanzare dell’età, mentre il<br />
87
decesso intra-ospedaliero durante il ricovero incidente (primo ricovero), sia pur nell’ambito di valori<br />
costantemente elevati, è in qualche misura prevalente nelle classi di età giovani-adulte.<br />
La tabella 18.5 descrive le quote di decessi intra-ospedalieri relativamente ai tre diversi gruppi di<br />
GCA: il livello di decesso più elevato è presente nei ricoveri per GCA Emorragiche/Anossiche<br />
(23%).<br />
Tab. 18.1<br />
Decesso in sede di<br />
ricovero<br />
Frequenza Percentuale<br />
Non deceduto 21395 92,1<br />
decesso 1837 7,9<br />
Totale 23232 100,0<br />
Tab. 18.2<br />
Decesso in sede di<br />
ricovero –confronto<br />
ricoveri incidenti ed<br />
eventuali ricoveri<br />
successivi N<br />
decesso<br />
no si Totale<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna N<br />
% casi<br />
colonna<br />
Ricovero ripetuto 3036 14,2% 227 12,4% 3263 14,0%<br />
Ricovero incidente 18359 85,8% 1610 87,6% 19969 86,0%<br />
Totale 21395 100,0% 1837 100,0% 23232 100,0%<br />
88
Tab. 18.3<br />
Decesso in sede di<br />
Decesso durante:<br />
ricovero –confronto<br />
ricoveri incidenti ed<br />
Ricovero ripetuto Ricovero incidente Totale<br />
eventuali ricoveri<br />
successivi per anno<br />
di dimissione N % casi riga N<br />
% casi<br />
riga N % casi riga<br />
Anno<br />
2006 27 9,1% 269 90,9% 296 100,0%<br />
2007 32 10,8% 264 89,2% 296 100,0%<br />
2008 39 12,1% 284 87,9% 323 100,0%<br />
2009 29 8,9% 298 91,1% 327 100,0%<br />
2010 45 15,6% 243 84,4% 288 100,0%<br />
2011 55 17,9% 252 82,1% 307 100,0%<br />
Totale 227 12,4% 1610 87,6% 1837 100,0%<br />
Tab. 18.4<br />
Decesso in sede di<br />
Decesso durante:<br />
ricovero –confronto<br />
ricoveri incidenti ed<br />
eventuali ricoveri<br />
successivi per classi<br />
Ricovero ripetuto Ricovero incidente Totale<br />
di età N % casi riga N % casi riga N % casi riga<br />
Classi di età<br />
0-17 0 ,0% 6 100,0% 6 100,0%<br />
18-24 1 9,1% 10 90,9% 11 100,0%<br />
25-34 1 5,0% 19 95,0% 20 100,0%<br />
35-45 3 7,7% 36 92,3% 39 100,0%<br />
46-59 20 14,1% 122 85,9% 142 100,0%<br />
60-69 34 16,0% 179 84,0% 213 100,0%<br />
70+ 168 11,9% 1238 88,1% 1406 100,0%<br />
Totale 227 12,4% 1610 87,6% 1837 100,0%<br />
89
Tab. 18.5<br />
Decesso in sede di ricovero –confronto<br />
tipologia GCA<br />
Tipo di GCA:<br />
Decesso intra-ospedaliero<br />
no si<br />
N % casi riga N % casi riga<br />
TCE 8245 97,0% 254 3,0%<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche<br />
2702 77,0% 809 23,0%<br />
GCA Ischemiche 10448 93,1% 774 6,9%<br />
Totale 21395 92,1% 1837 7,9%<br />
I decessi nei ricoveri incidenti<br />
Nelle tabelle 18.6, 18.7, 18.8 e 18.9 sono presentati i dati relativi ai decessi intra-ospedalieri, per i<br />
1610 soggetti incidenti, nei tre gruppi, rispetto alle classi di età e per genere.<br />
Tab. 18.6<br />
GCA totali<br />
Genere<br />
Decesso in sede di<br />
ricovero incidente–<br />
Maschi Femmine Totale<br />
confronto per genere e<br />
% casi<br />
% casi<br />
% casi<br />
classi di età N colonna N colonna N colonna<br />
Classi di 0-17 5 ,6% 1 ,1% 6 ,4%<br />
età<br />
18-24 8 1,0% 2 ,2% 10 ,6%<br />
25-34 14 1,7% 5 ,6% 19 1,2%<br />
35-45 24 3,0% 12 1,5% 36 2,2%<br />
46-59 82 10,1% 40 5,0% 122 7,6%<br />
60-69 112 13,9% 67 8,4% 179 11,1%<br />
70+ 563 69,7% 675 84,2% 1238 76,9%<br />
Totale 808 100,0% 802 100,0% 1610 100,0%<br />
90
Tab. 18.7<br />
TCE Decesso in sede<br />
Genere<br />
di ricovero incidente–<br />
confronto tipologia<br />
Maschi Femmine Totale<br />
GCA per genere e<br />
% casi<br />
% casi<br />
% casi<br />
classi di età N colonna N colonna N colonna<br />
Classi di 0-17 4 3,1% 1 1,4% 5 2,5%<br />
età<br />
18-24 5 3,9% 0 ,0% 5 2,5%<br />
25-34 9 7,0% 2 2,7% 11 5,4%<br />
35-45 7 5,5% 1 1,4% 8 4,0%<br />
46-59 20 15,6% 2 2,7% 22 10,9%<br />
60-69 19 14,8% 6 8,1% 25 12,4%<br />
70+ 64 50,0% 62 83,8% 126 62,4%<br />
Totale 128 100,0% 74 100,0% 202 100,0%<br />
Tab. 18.8<br />
GCA<br />
Genere<br />
Emorragiche/Anossiche<br />
Decesso in sede di<br />
ricovero incidente –<br />
confronto tipologia<br />
Maschi Femmine Totale<br />
GCA per genere e<br />
% casi<br />
% casi<br />
% casi<br />
classi di età N colonna N colonna N colonna<br />
Classi di età 0-17 1 ,3% 0 ,0% 1 ,1%<br />
18-24 3 ,8% 2 ,6% 5 ,7%<br />
25-34 5 1,3% 3 ,9% 8 1,1%<br />
35-45 15 4,0% 11 3,2% 26 3,6%<br />
46-59 47 12,4% 28 8,1% 75 10,3%<br />
60-69 60 15,8% 40 11,6% 100 13,8%<br />
70+ 248 65,4% 262 75,7% 510 70,3%<br />
Totale 379 100,0% 346 100,0% 725 100,0%<br />
91
Tab. 18.9<br />
GCA Ischemiche<br />
Genere<br />
Decesso in sede di<br />
ricovero incidente –<br />
confronto tipologia<br />
Maschi Femmine Totale<br />
GCA per genere e<br />
% casi<br />
% casi<br />
% casi<br />
classi di età N colonna N colonna N colonna<br />
Classi di 0-17 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0%<br />
età<br />
18-24 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0%<br />
25-34 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0%<br />
35-45 2 ,7% 0 ,0% 2 ,3%<br />
46-59 15 5,0% 10 2,6% 25 3,7%<br />
60-69 33 11,0% 21 5,5% 54 7,9%<br />
70+ 251 83,4% 351 91,9% 602 88,1%<br />
Totale 301 100,0% 382 100,0% 683 100,0%<br />
I decessi in fase post-ricovero<br />
Una seconda modalità di analisi dei decessi è relativa alla valutazione complessiva della mortalità<br />
dei soggetti anche extra ricovero, definendo come parametro di interesse l’intervallo temporale (in<br />
giorni) trascorso tra la data del ricovero incidente e l’eventuale decesso. Lo scopo di questo<br />
paragrafo è sostanzialmente descrittivo, non essendo disponibili, nei dati di routine, un singolo<br />
indice o un insieme di elementi che possano fungere da fattori prognostici predittivi di mortalità a<br />
distanza.<br />
Alla conclusione del periodo di identificazione dei soggetti, ricostruita l’esistenza in vita dal 1<br />
gennaio 2006 al 31 dicembre 2011 attraverso il match dei soggetti con la fonte dati “Anagrafe<br />
Assistiti Regionale”, si può vedere dalla tabella 19.1 come il 20,5% sia deceduto. La tabella 19.2<br />
descrive il medesimo parametro per le singole GCA. Le GCA Emorragiche/Anossiche, come<br />
previsto, costituiscono la causa in cui la mortalità è maggiore. Nelle tab. 19.3-19.6 sono presentati<br />
questi dati per età e genere, sia totali, sia per tipologia di GCA.<br />
92
Tab. 19.1<br />
Decessi sui soggetti singolarmente<br />
identificati Frequenza Percentuale<br />
Vivi 15871 79,5<br />
Deceduti 4098 20,5<br />
Totale 19969 100,0<br />
Tab. 19.2<br />
Decessi sui soggetti identificati per tipo<br />
di GCA<br />
Tipo di GCA:<br />
flag decesso<br />
vivo deceduto<br />
N % casi riga N % casi riga<br />
TCE 6960 91,6% 642 8,4%<br />
GCA<br />
Emorragiche/Anossiche<br />
1607 59,1% 1110 40,9%<br />
GCA Ischemiche 7304 75,7% 2346 24,3%<br />
Totale 15871 79,5% 4098 20,5%<br />
Tab. 19.3<br />
Decessi sui soggetti identificati per<br />
Maschi<br />
Genere<br />
Femmine Totale<br />
età e genere<br />
% casi % casi % casi<br />
N colonna N colonna N colonna<br />
Classi 0-17 8 ,4% 1 ,0% 9 ,2%<br />
di età<br />
18-24 9 ,4% 3 ,1% 12 ,3%<br />
25-34 23 1,1% 7 ,3% 30 ,7%<br />
35-45 36 1,8% 20 1,0% 56 1,4%<br />
46-59 153 7,6% 63 3,0% 216 5,3%<br />
60-69 299 14,9% 143 6,8% 442 10,8%<br />
70+ 1477 73,7% 1856 88,7% 3333 81,3%<br />
Totale 2005 100,0% 2093 100,0% 4098 100,0%<br />
93
Tab. 19.4<br />
TCE Decessi sui soggetti identificati<br />
per tipo GCA, età e genere<br />
Classi<br />
di età<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
% casi % casi % casi<br />
N colonna N colonna N colonna<br />
0-17 5 1,5% 1 ,3% 6 ,9%<br />
18-24 6 1,8% 0 ,0% 6 ,9%<br />
25-34 18 5,3% 4 1,3% 22 3,4%<br />
35-45 12 3,5% 3 1,0% 15 2,3%<br />
46-59 39 11,5% 4 1,3% 43 6,7%<br />
60-69 44 12,9% 15 5,0% 59 9,2%<br />
70+ 216 63,5% 275 91,1% 491 76,5%<br />
Totale 340 100,0% 302 100,0% 642 100,0%<br />
Tab. 19.5<br />
Genere<br />
GCA Emorragiche/Anossiche<br />
Decessi sui soggetti identificati per<br />
tipo GCA, età e genere<br />
Maschi<br />
% casi<br />
N colonna<br />
Femmine<br />
% casi<br />
N colonna<br />
Totale<br />
% casi<br />
N colonna<br />
Classi 0-17 3 ,5% 0 ,0% 3 ,3%<br />
di età<br />
18-24 3 ,5% 3 ,6% 6 ,5%<br />
25-34 5 ,9% 3 ,6% 8 ,7%<br />
35-45 18 3,1% 14 2,6% 32 2,9%<br />
46-59 66 11,5% 42 7,8% 108 9,7%<br />
60-69 104 18,2% 61 11,4% 165 14,9%<br />
70+ 374 65,3% 414 77,1% 788 71,0%<br />
Totale 573 100,0% 537 100,0% 1110 100,0%<br />
94
Tab. 19.6<br />
GCA Ischemiche Decessi sui<br />
soggetti identificati per tipo GCA, età<br />
e genere<br />
Classi<br />
di età<br />
Genere<br />
Maschi Femmine Totale<br />
% casi % casi % casi<br />
N colonna N colonna N colonna<br />
0-17 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0%<br />
18-24 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0%<br />
25-34 0 ,0% 0 ,0% 0 ,0%<br />
35-45 6 ,5% 3 ,2% 9 ,4%<br />
46-59 48 4,4% 17 1,4% 65 2,8%<br />
60-69 151 13,8% 67 5,3% 218 9,3%<br />
70+ 887 81,2% 1167 93,1% 2054 87,6%<br />
Totale 1092 100,0% 1254 100,0% 2346 100,0%<br />
Le tabelle 19.7 e 19.8 sintetizzano l’andamento della mortalità per cut-off temporali dei pazienti<br />
identificati come deceduti, a partire dalla mortalità intra-ricovero fino alla mortalità oltre l’anno<br />
successivo alla data di primo ricovero.<br />
Si sottolinea l’elevatissima quota di decessi entro le prime due settimane (già evidenziata<br />
dall’analisi dei decessi entro ricovero) per le GCA Emorragiche (62,4%). In generale, la quota<br />
maggiore di decessi avviene entro le prime due settimane (di fatto, intra-ricovero), per crescere<br />
ancora entro il primo semestre dalla data di ricovero incidente. Il dato si stabilizza, con incrementi<br />
contenuti, entro il primo anno. Una valutazione più dettagliata è presentata nel paragrafo<br />
successivo.<br />
95
Tab. 19.7<br />
Tipo di GCA:<br />
Andamento cumulativo<br />
GCA<br />
decessi sui soggetti<br />
TCE Emorragiche/Anossiche GCA Ischemiche<br />
identificati per tipo<br />
GCA per cut-off<br />
% cum<br />
casi<br />
% cum casi<br />
% cum<br />
casi<br />
temporali N colonna N colonna N colonna<br />
decesso entro 2<br />
settimane<br />
187 29,10% 693 62,40% 615 26,20%<br />
decesso da 2 sett a 1<br />
mese<br />
232 36,10% 782 70,40% 800 34,10%<br />
decesso entro 2 mesi 275 42,80% 844 76,00% 1004 42,80%<br />
decesso entro 6 mesi 365 56,80% 941 84,70% 1391 59,30%<br />
decesso da 6 mesi a 1<br />
anno<br />
434 67,50% 997 89,70% 1629 69,40%<br />
decesso da 1 a 2 anni 533 82,90% 1050 94,50% 1960 83,50%<br />
decesso oltre 2 anni 642 99,90% 1110 99,90% 2346 100,00%<br />
Tab. 19.8<br />
Andamento cumulativo decessi sui<br />
soggetti identificati per per cut-off<br />
temporali N<br />
vivo<br />
% casi<br />
colonna<br />
deceduto<br />
% casi<br />
N colonna<br />
Tempo vivi 15871 100,0% 0 0,0%<br />
decesso<br />
decesso entro 2 settimane 14376 90,6% 1495 9,4%<br />
decesso da 2 sett a 1 mese 14057 88,6% 319 11,4%<br />
decesso entro 2 mesi 13748 86,6% 309 13,4%<br />
decesso entro 6 mesi 13174 83,0% 574 17,0%<br />
decesso da 6 mesi a 1 anno 12811 80,7% 363 19,3%<br />
decesso da 1 a 2 anni 12328 77,7% 483 22,3%<br />
decesso oltre 2 anni 11773 74,2% 555 25,8%<br />
Totale 15871 100,0% 4098 100,0%<br />
Analisi della sopravvivenza: differenza tra GCA<br />
Le evidenti differenze negli andamenti della mortalità tra i gruppi di GCA meritano un<br />
approfondimento, sia pur limitato, come già accennato, dall’impossibilità attuale di effettuare analisi<br />
sui fattori prognostici non già presenti nei tracciati record standard utilizzati in questo studio. Si è<br />
così effettuata un’analisi di sopravvivenza il modello di Cox per rischi proporzionali (per verificare<br />
eventuali differenze significative tra le tre tipologie di GCA) e attraverso il metodo di Kaplan-Meier<br />
96
(per il confronto delle sopravvivenze generali per genere e per classi di età). Il tempo massimo di<br />
osservazione è pari a 72 mesi.<br />
Analisi di sopravvivenza per tipologia di GCA<br />
Per l’analisi di sopravvivenza per tipologia di GCA si è utilizzato un modello di Cox per rischi<br />
proporzionali, poiché tale modello permette di valutare la significatività di eventuali differenze di<br />
sopravvivenza tra i parametri in studio, al netto di possibili effetti di confondimento determinati da<br />
altri fattori (in particolare, sulla base dei dati già presentati nei paragrafi precedenti, è ragionevole<br />
attendersi un impatto importante dell’età e della gravità di presentazione del paziente al ricovero<br />
incidente post-evento). Al fine di includere nel modello di regressione finale solo i predittori<br />
significativi, si è fatto uso di una procedura backward di massima verosimiglianza. La<br />
sopravvivenza maggiore (al termine dei 72 mesi di osservazione) è stata quella relativa ai casi di<br />
TCE: 67 mesi come media. 59 mesi, invece, il relativo dato per i casi di GCA ischemica. La<br />
mortalità maggiore si osserva nei casi di CGA emorragica/anossica: la sopravvivenza media è<br />
infatti pari a 49 mesi, ma già esplorando il grafico 1, che mostra la distribuzione delle probabilità di<br />
sopravvivenza per i tre tipi di GCA, si nota come solo il 25% dei pazienti sia ancora in vita a 3 mesi<br />
dalla data indice.<br />
Le uniche covariate significative si sono rivelate essere età (come ci si attendeva, aumentando l’età<br />
aumenta il rischio di decesso) e genere (in parte inatteso: vi è rischio aumentato, statisticamente<br />
significativo, nel genere femminile; ciò potrebbe essere parzialmente determinato dal peso<br />
importante dei decessi femminili nelle GCA di tipo emorragico e di tipo ischemico). Non sembra<br />
rivestire significato particolare sulle probabiltà di sopravvivenza, invece, la durata della degenza del<br />
ricovero incidente (coerentemente, per certi versi, con l’evidenza già citata del fatto che uno dei<br />
momenti in cui si addensano i decessi sono le prime due settimane dall’evento indice). La tabella<br />
20.1, infatti, mostra una quantità di giornate di degenza maggiore per il TCE (12,6 vs 6,6) e per le<br />
GCA Ischemiche (11.97 vs 9,04), mentre è esattamente l’opposto per le GCA emorragiche (10.6 vs<br />
17.8).<br />
Tab. 20.1<br />
Media giornate di degenza per<br />
Tipo di GCA e stato in vita<br />
Stato in vita<br />
vivo deceduto Totale<br />
Media Media Media<br />
TCE 6,64 12,61 7,14<br />
GCA Emorragiche/Anossiche 17,85 10,61 14,90<br />
GCA Ischemiche 9,04 11,97 9,75<br />
Totale 8,88 11,70 9,46<br />
97
Tab. 20.2a<br />
Variabile di stratificazione: tipo<br />
di GCA Evento Troncati (a.) Percentuale troncati<br />
TCE 642 6960 91,6%<br />
GCA Emorragiche/Anossiche 1110 1607 59,1%<br />
GCA Ischemiche 2346 7304 75,7%<br />
Totale 4098 15871 79,5%<br />
a. Troncati (censored): sono i casi vivi al termine del periodo di osservazione o persi al follow up<br />
Tab. 20.2b<br />
Media sopravvivenza in<br />
a (limitata al tempo massimo di<br />
mesi<br />
osservazione se caso troncato)<br />
per<br />
Media a<br />
Intervallo di confidenza 95%<br />
tipo GCA Stima Errore std. Limite inferiore Limite superiore<br />
TCE 66,92 ,189 66,551 67,293<br />
GCA Emorragiche/Anossiche 48,72 ,554 47,635 49,807<br />
GCA Ischemiche 58,52 ,249 58,031 59,006<br />
Globale 60,11 ,167 59,785 60,440<br />
98
G.1 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per tipo GCA (72 mesi di<br />
osservazione)<br />
Analisi di sopravvivenza per genere<br />
Le tabelle a seguire mostrano i dettagli rispetto alla sopravvivenza differenziata per genere. Nel<br />
grafico si vede molto chiaramente come già in periodo molto precoce le femmine (linea<br />
tratteggiata) presentino una probabilità inferiore di sopravvivenza nei confronti dei maschi (linea<br />
continua). Tale differenza è statisticamente significativa (p< 0,0001; test log-rank di Mantel-Cox).<br />
99
Tab. 20.3<br />
Riepilogo<br />
dell'elaborazione<br />
dei casi per<br />
Troncati<br />
Genere N totale N. di eventi N Percentuale<br />
Maschi 11585 2005 9580 82,7%<br />
Femmine 8384 2093 6291 75,0%<br />
Globale 19969 4098 15871 79,5%<br />
Genere<br />
Totale<br />
Tab. 20.4<br />
Variabile di stratificazione: genere<br />
Maschi<br />
Femmine<br />
Tab. 20.5<br />
Media<br />
sopravvivenza in<br />
a (limitata al<br />
mesi<br />
tempo massimo di<br />
osservazione se caso<br />
flag decesso<br />
vivo deceduto Totale<br />
N 9580 2005 11585<br />
% entro Genere 82,7% 17,3% 100,0%<br />
N 6291 2093 8384<br />
% entro Genere 75,0% 25,0% 100,0%<br />
N 15871 4098 19969<br />
% entro Genere 79,5% 20,5% 100,0%<br />
Intervallo di confidenza 95%<br />
troncato) - Genere Stima Errore std. Limite inferiore Limite superiore<br />
Maschi 61,06 ,228 60,611 61,504<br />
Femmine 56,13 ,309 55,521 56,731<br />
Globale 58,98 ,186 58,623 59,351<br />
100
Tab. 20.6<br />
Test per l'uguaglianza delle<br />
distribuzioni di sopravvivenza per i<br />
diversi livelli di Genere. Chi-quadrato df Sig<br />
Log Rank (Mantel-Cox) 175,806 1 ,0001<br />
G.2 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per genere (72 mesi di<br />
osservazione)<br />
Analisi di sopravvivenza per classi di età<br />
Le tabelle a seguire mostrano i dettagli rispetto alla sopravvivenza differenziata per classi di età.<br />
Nel grafico si vede come vi siano forti differenze tra le classi d’età più avanzata e le altre; la prima<br />
rilevante discontinuità è a partire dalla classe 46-59, per proseguire linearmente con probabilità<br />
sempre decrescenti di sopravvivenza rispetto fino alla classe over 70. Anche in questo caso le<br />
differenze di sopravvivenza media sono statisticamente significative (p
Tab. 20.7<br />
Riepilogo<br />
dell'elaborazione<br />
dei casi per classi<br />
Troncati<br />
di età N totale N. di eventi N Percentuale<br />
0-17 1753 9 1744 99,5%<br />
18-24 874 12 862 98,6%<br />
25-34 964 30 934 96,9%<br />
35-45 1144 56 1088 95,1%<br />
46-59 2050 216 1834 89,5%<br />
60-69 2943 442 2501 85,0%<br />
70+ 10241 3333 6908 67,5%<br />
Globale 19969 4098 15871 79,5%<br />
Tab. 20.8<br />
Media<br />
sopravvivenza in<br />
a (limitata al<br />
mesi<br />
tempo massimo di<br />
osservazione se caso<br />
troncato)<br />
Intervallo di confidenza 95%<br />
-Classi di età Stima Errore std. Limite inferiore Limite superiore<br />
0-17 71,66 ,116 71,429 71,884<br />
18-24 71,06 ,271 70,530 71,592<br />
25-34 69,99 ,368 69,267 70,710<br />
35-45 68,67 ,438 67,814 69,531<br />
46-59 64,94 ,459 64,044 65,844<br />
60-69 62,78 ,418 61,958 63,596<br />
70+ 51,39 ,302 50,797 51,981<br />
Globale 58,99 ,186 58,623 59,351<br />
102
Tab. 20.9<br />
Test per l'uguaglianza delle<br />
distribuzioni di sopravvivenza per i<br />
diversi livelli di Classi di età Chi-quadrato df Sig<br />
Log Rank (Mantel-Cox) 2006,15 6 ,0001<br />
G.3 Distribuzione delle probabilità di sopravvivenza per classi di età (72 mesi di<br />
osservazione)<br />
La riabilitazione in regime di ricovero<br />
I caratteri distintivi del problema di riabilitazione del TCE sono riassunti nel documento della Giuria<br />
della Consensus Conference a titolo “Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranioencefalico<br />
in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi<br />
103
appropriati - Documento conclusivo della Giuria e Raccomandazioni” (Giornale Italiano di Medicina<br />
Riabilitativa, 15(1), 29-42, 2001).<br />
Viene in particolare utilizzata una definizione di Trauma Cranio Encefalico (TCE) utile sul piano<br />
riabilitativo, in quanto sottolinea le possibili sequele disabilitanti del trauma e le sue conseguenze<br />
sociali, ripresa dalla National Head Injury Foundation: “Il trauma cranio encefalico è un danno<br />
cerebrale di natura non degenerativa né congenita, ma causato da una forza esterna. Tale danno<br />
può determinare una diminuzione od una alterazione del livello di coscienza, e menomazioni a<br />
livello cognitivo, emotivo, fisico. Tali menomazioni possono essere temporanee o permanenti e<br />
determinare disabilità parziale o completa e/o difficoltà di adattamento psicosociale”.<br />
Il percorso del TCE viene di norma suddiviso in diverse fasi temporali, che, unitamente alle<br />
categorie del modello ICIDH (classificazione delle conseguenze degli eventi morbosi della<br />
Organizzazione Mondiale della Sanità nelle dimensioni principali di: Danno, Menomazione,<br />
Disabilità ed Handicap) costituiscono una utile griglia di riferimento per la pianificazione e la<br />
realizzazione degli interventi riabilitativi (vedi tabella 19).<br />
Le tre fasi principali sono la fase acuta (o rianimatoria, e/o neurochirurgica), la fase post-acuta (o<br />
riabilitativa) e la fase degli esiti. Nell'ambito della fase post-acuta, o riabilitativa, è possibile fare una<br />
ulteriore distinzione fra fase post-acuta precoce, assimilabile alla fase denominata “acute<br />
rehabilitation” della letteratura anglosassone, e fase post-acuta tardiva. Di regola, nella fase postacuta<br />
precoce gli interventi sono svolti in regime di ricovero, in strutture di riabilitazione intensiva,<br />
come le strutture di riabilitazione di III livello (Unità di alta specialità riabilitativa per le Gravi<br />
Cerebrolesioni) o le strutture di riabilitazione di II livello (De Tanti A., Gatta G., Emanuel C., Actis<br />
M.V, et al. La Riabilitazione della Grave Cerebrolesione. Conferenza di Consensus. Documento<br />
del Gruppo di Lavoro Medico, Modena, 2000 (www.simfer.it).<br />
104
Tabella 21.1<br />
Percorso riabilitativo del Trauma Cranio-Encefalico nelle diverse fasi temporali.<br />
FASE DIMENSIONE DI DURATA STRUTTURE OVE F<strong>IN</strong>ALITA’<br />
MAGGIORE<br />
SI EFFETTUANO PR<strong>IN</strong>CIPALI DEGLI<br />
<strong>IN</strong>TERESSE<br />
GLI <strong>IN</strong>TERVENTI <strong>IN</strong>TERVENTI<br />
RIABILITATIVI<br />
ACUTA<br />
Dal momento del<br />
trauma fino alla<br />
risoluzione delle<br />
problematiche<br />
rianimatorie e<br />
neurochirurgiche<br />
POST-ACUTA O<br />
RIABILITATIVA<br />
1. PRECOCE<br />
Dalla<br />
stabilizzazione<br />
delle funzioni<br />
vitali al<br />
raggiungimento<br />
del massimo<br />
livello di<br />
autonomia<br />
primaria<br />
POST-ACUTA O<br />
RIABILITATIVA<br />
<strong>DA</strong>NNO<br />
MENOMAZIONE<br />
MENOMAZIONE<br />
(ABILITA’)<br />
Da alcune<br />
ore ad alcune<br />
settimane<br />
Da alcune<br />
settimane ad<br />
alcuni mesi<br />
105<br />
Rianimazione<br />
Neurochirurgia<br />
Unità per acuti<br />
Unità di<br />
Riabilitazione<br />
Intensiva<br />
(specializzata<br />
e non)<br />
Unità di<br />
Riabilitazione<br />
Estensiva<br />
Unità di<br />
Riabilitazione<br />
Supporto agli<br />
interventi<br />
rianimatori e<br />
neurochirurgici<br />
nella prevenzione<br />
del danno<br />
secondario<br />
Minimizzazione<br />
delle menomazioni<br />
Facilitazione della<br />
ripresa di contatto<br />
ambientale<br />
Trattamento delle<br />
menomazioni<br />
Minimizzazione<br />
della disabilità<br />
residua<br />
Attività di Vita<br />
Quotidiana<br />
Primarie<br />
Informazione e<br />
addestramento<br />
alla gestione delle<br />
problematiche<br />
disabilitanti<br />
Minimizzazione<br />
della disabilità
2. TARDIVA<br />
Dal livello di<br />
autonomia<br />
primaria al<br />
raggiungimento<br />
del massimo<br />
livello di<br />
autonomia<br />
secondaria<br />
(MENOMAZIONE)<br />
ABILITA’<br />
Da alcuni<br />
a vari mesi<br />
Intensiva<br />
(specializzata)<br />
Unità di<br />
Riabilitazione<br />
Estensiva<br />
residua<br />
Attività di Vita<br />
Quotidiana<br />
Secondarie<br />
Informazione e<br />
addestramento<br />
alla gestione delle<br />
problematiche<br />
disabilitanti<br />
Alla luce di queste definizioni, è opportuno definire quali siano le fonti dati routinariamente<br />
interrogabili dall’ASL (in Regione Lombardia) per costruire un quadro statistico su questo tema<br />
(tabella 21.2).<br />
Tab. 21.2<br />
Fonti dati ASL rispetto alla fase<br />
FASE STRUTTURE OVE SI<br />
EFFETTUANO GLI<br />
<strong>IN</strong>TERVENTI<br />
ACUTA Rianimazione<br />
Neurochirurgia<br />
POST-ACUTA O<br />
RIABILITATIVA<br />
1. PRECOCE<br />
POST-ACUTA O<br />
RIABILITATIVA<br />
2. TARDIVA<br />
Unità per acuti<br />
Unità di Riabilitazione<br />
Intensiva (specializzata e non)<br />
Unità di Riabilitazione<br />
Estensiva<br />
Unità di Riabilitazione<br />
Intensiva (specializzata e non)<br />
Unità di Riabilitazione<br />
Estensiva<br />
FONTE <strong>DA</strong>TI ASL<br />
Archivio SDO<br />
Archivio SDO<br />
Archivio SDO-FAM<br />
Archivio RIA-FAM<br />
Archivio SDO<br />
Archivio SDO-FAM<br />
Archivio RIA-FAM<br />
La terza fase sopra definita, legata agli esiti (outcome), richiede, al momento, l’implementazione di<br />
studi ad hoc, non essendo tracciabile da nessun tipo di archivio routinario.<br />
Nella nostra osservazione, limitata alla fase di ricovero, sono stati individuati 1137 pazienti, pari al<br />
5,7% complessivo, avviati, post-dimissione, verso un percorso riabilitativo (tab. 21.3). Ciò<br />
corrisponde ad un tasso di 21 per 100.000 abitanti/anno.<br />
106
La tab. 21.4 mostra la distribuzione per genere (4,9% nei maschi rispetto a 6,8% nelle femmine),<br />
mentre la successiva tab. 21.5 descrive la distribuzione per classi di età (la distribuzione per età di<br />
questi soggetti è rappresentata anche nel grafico 4). In tabella 21.6 viene definita la distribuzione<br />
per gruppo di GCA.<br />
Tab. 21.3<br />
Freq. soggetti in riabilitazione post-dimissione Frequenza Percentuale<br />
Tab. 21.4<br />
Freq. dimissione<br />
soggetti in<br />
riabilitazione per<br />
genere<br />
Genere<br />
Altro tipo di dimissione 18832 94,3<br />
Dimissione in riabilitazione 1137 5,7<br />
Totale 19969 100,0<br />
Altro tipo dimissione<br />
Dimissione in<br />
riabilitazione Totale<br />
N % casi riga N % casi riga N % casi riga<br />
Maschi 11015 95,1% 570 4,9% 11585 100,0%<br />
Femmine 7817 93,2% 567 6,8% 8384 100,0%<br />
Totale 18832 94,3% 1137 5,7% 19969 100,0%<br />
107
Tab. 21.6<br />
Freq. dimissione soggetti in<br />
riabilitazione per classi di età<br />
Classi di<br />
età<br />
Altro tipo<br />
dimissione<br />
N<br />
% casi<br />
riga N<br />
Dimissione in<br />
riabilitazione Totale<br />
% casi<br />
riga N<br />
% casi<br />
0-17 1745 99,5% 8 ,5% 1753 100,0%<br />
18-24 864 98,9% 10 1,1% 874 100,0%<br />
25-34 941 97,6% 23 2,4% 964 100,0%<br />
35-45 1109 96,9% 35 3,1% 1144 100,0%<br />
46-59 1945 94,9% 105 5,1% 2050 100,0%<br />
60-69 2799 95,1% 144 4,9% 2943 100,0%<br />
70+ 9429 92,1% 812 7,9% 10241 100,0%<br />
Totale 18832 94,3% 1137 5,7% 19969 100,0%<br />
Tab. 21.5<br />
Freq. dimissione soggetti<br />
incidenti in riabilitazione per<br />
tipo GCA<br />
N<br />
Altro tipo<br />
dimissione<br />
% casi<br />
riga N<br />
Dimissione in<br />
riabilitazione Totale<br />
% casi<br />
riga N<br />
riga<br />
% casi<br />
TCE 7448 98,0% 154 2,0% 7602 100,0%<br />
GCA Emorragiche 2501 92,1% 216 7,9% 2717 100,0%<br />
GCA Ischemiche 8883 92,1% 767 7,9% 9650 100,0%<br />
Totale 18832 94,3% 1137 5,7% 19969 100,0%<br />
108<br />
riga
Graf. 4 Distr. Freq. per età e gruppo GCA dei pazienti inviati in riabilitazione<br />
E’ del tutto evidente come il percorso riabilitativo, nella sua interezza, non si possa e non si debba<br />
esaurire in questa prima analisi descrittiva. Per poter valutare adeguatamente questo tema,<br />
tuttavia, sarà opportuno disporre di dati individuali, anche raccolti ad hoc, e non esclusivamente<br />
derivanti dai database amministrativi.<br />
GCA e accessi al Pronto Soccorso<br />
L’evento acuto che determina l’inizio del percorso diagnostico, terapeutico e riabilitativo, conduce<br />
pressochè sempre il paziente ad un accesso al Pronto Soccorso.<br />
La tabella che segue mostra, per l’anno 2010, utilizzato a titolo di esempio, la dimensione<br />
quantitativa degli accessi ai Pronto Soccorso delle strutture in provincia di Bergamo (fonte dati:<br />
flusso di cortesia PS –Dipartimento PAC ASL di Bergamo). Il dato è dunque, in qualche misura,<br />
109
sottostimato rispetto al dato reale, in quanto mancano le informazioni sugli assistiti dell’ASL di<br />
Bergamo aventi avuto accesso ai PS extra-provincia.<br />
Tab.22<br />
N. accessi e tassi accesso a PS per tipo<br />
GCA –anno 2010<br />
n. accessi Tasso accesso<br />
100.000 abitanti)<br />
(per<br />
TCE<br />
3938<br />
358,4<br />
GCA Emorragiche/Anossiche<br />
428<br />
39,0<br />
GCA Ischemiche<br />
213<br />
19,4<br />
Totale 4579 416,8<br />
Analisi di popolazione e analisi territoriale<br />
L’applicazione dei dati alla popolazione dei residenti in provincia di Bergamo ha portato alla<br />
definizione dei principali indicatori epidemiologici di popolazione per le GCA totali e per i tre gruppi<br />
distinti. Il calcolo delle stime di sopravvivenza alle coorti dei casi incidenti annui ha permesso<br />
inoltre di produrre i rapporti di prevalenza (gli indicatori sono per 100.000 residenti). Le tabelle che<br />
seguono presentano quindi i tassi di incidenza e di ricovero negli anni in osservazione (e le relative<br />
medie annue) e, infine, il rapporto di prevalenza puntuale al 31/12/2011.<br />
Il grafico 5 evidenzia una sostanziale diminuzione dei tassi di incidenza complessiva nel sessennio<br />
osservato. Tale trend in decremento appare discretamente importante nelle GCA Ischemiche e nei<br />
TCE, mentre si configura un trend sostanzialmente stabile nelle GCA Emorragiche.<br />
Anno<br />
Tab. 23.1<br />
GCA COMPLESSIVE<br />
Tasso Incidenza Tasso ricovero<br />
2006 358,9 393,2<br />
2007 337,2 384,8<br />
2008 313,7 364,5<br />
2009 289,7 342,4<br />
2010 280,3 335,7<br />
2011 273,8 334,4<br />
Media annua 308,9 359,2<br />
Prevalenza a fine 2011 1428,8<br />
110
Tab. 23.2<br />
TCE<br />
Anno Tasso Incidenza Tasso ricovero<br />
2006 137,2 148,4<br />
2007 133,8 147,5<br />
2008 121,0 135,6<br />
2009 114,5 129,1<br />
2010 101,2 115,1<br />
2011 98,4 113,3<br />
Media annua 117,7 131,5<br />
Prevalenza a fine 2011 626,8<br />
Anno<br />
Tab. 23.3<br />
GCA Emorragiche/Anossiche<br />
Tasso Incidenza Tasso ricovero<br />
2006 45,7 54,9<br />
2007 41,6 50,7<br />
2008 40,9 52,0<br />
2009 42,1 54,8<br />
2010 41,1 56,3<br />
2011 40,3 56,3<br />
Media annua 42,0 54,2<br />
Prevalenza a fine 2011 144,5<br />
Anno<br />
Tab. 23.4<br />
GCA Ischemiche<br />
Tasso Incidenza Tasso ricovero<br />
2006 176,0 189,9<br />
2007 161,8 186,6<br />
2008 151,8 177,0<br />
2009 133,1 158,5<br />
2010 138,0 164,2<br />
2011 135,1 164,7<br />
Media annua 149,3 173,5<br />
Prevalenza a fine 2011 657,5<br />
111
400,0<br />
350,0<br />
300,0<br />
250,0<br />
200,0<br />
150,0<br />
100,0<br />
50,0<br />
0,0<br />
Incidenza TCE (x 100.000/anno)<br />
Incidenza GCA Emorr (x 100.000/anno)<br />
Incidenza GCA Ischem (x 100.000/anno)<br />
Incidenza GCA totale/anno (x 100.000)<br />
2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />
Grafico 5. Trend temporale tassi incidenza GCA complessive e singole tipologie<br />
Mappatura territoriale della prevalenza per categoria di gca ed analisi dei cluster<br />
La sorveglianza “spaziale” nasce con lo scopo ultimo di ottenere un’informazione sintetica ed<br />
efficiente in base ai dati provenienti dagli indicatori statistici più adeguati rispetto al fenomeno in<br />
studio e dalla prossimità geografica, producendo mappe relative a qualunque evento di natura<br />
sanitaria, come la mortalità o i ricoveri o altro, purchè “georeferenziabile” (Kulldorff M, William FA,<br />
Feuer EJ, Miller BA, and Key CR. Evaluating cluster alarms: A space-time scan statistic and brain<br />
cancer in Los Alamos, New Mexico. American Journal of Public Health, 1998; 8(9): 1377-1380).<br />
L’interpretazione dei dati geografici (al di là di problemi tecnici quali il tipo di statistiche da utilizzarsi<br />
e le loro proprietà, la definizione delle aree, la scala, lo schema colorimetrico, etc.), coinvolge la<br />
definizione di almeno tre problematiche:<br />
La casualità o meno nella differenza dei tassi rilevati in aree diverse.<br />
La definizione di aree ad alto o basso rischio.<br />
112
L’esistenza o meno di aggregati anomali di casi di patologia (“detection of cluster”) o<br />
viceversa di un certo pattern che esprima la tendenza ad una aggregazione spaziale<br />
particolare (“clustering”).<br />
E’ dunque apparso interessante procedere, sulla distribuzione territoriale dei casi, ad una<br />
valutazione più approfondita della possibile aggregazione (cluster) dei casi stessi.<br />
“Cluster”: nell’accezione ormai comunemente accettata in ambito epidemiologico, indica<br />
un’aggregazione inusuale di casi di patologie relativamente poco comuni (Last, 1988).<br />
Le caratteristiche iniziali di un cluster sono generalmente individuate dalla seguente lista:<br />
è presente un evento sanitario “definibile”;<br />
sono presenti (di solito) almeno due casi del suddetto evento;<br />
è presente (o è percepita come tale da chi sospetta il cluster, in inglese definito “informant”)<br />
una vicinanza dei casi rispetto all’area spaziale e/o ad un periodo temporale;<br />
si sospetta una potenziale esposizione, ed una presunta correlazione tra l’esposizione e<br />
l’evento;<br />
la situazione è di solito inusuale o inaspettata;<br />
l’“informant” o la comunità interessata richiedono spiegazioni sull’evento sanitario.<br />
Tre tipologie di cluster sono generalmente riportate:<br />
cluster temporali – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un periodo definito<br />
di tempo;<br />
cluster spaziali (“hot spots”) – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un’area<br />
definita;<br />
cluster spazio-temporali – un numero inusualmente elevato di casi è avvenuto in un periodo<br />
definito di tempo, in una certa area definita.<br />
L’investigazione di un sospetto cluster, in particolare di eventi relativi a patologie cronicodegenerative<br />
o più genericamente non trasmissibili, quali patologie oncologiche o malformazioni<br />
congenite, è sempre un processo complesso, che richiede un uso intenso di risorse, un’accurata<br />
pianificazione ed un’attenta valutazione sia della metodologia da applicarsi che della gestione dei<br />
risultati ottenuti. Particolarmente delicato è il trattare l’argomento rispetto al pubblico ed ai media.<br />
Il processo di investigazione di un cluster si dovrebbe sviluppare in almeno quattro fasi:<br />
1. Valutazione preliminare di un presunto cluster.<br />
2. Verifica del/dei caso/casi indice e delle relative sospette esposizioni .<br />
3. Individuazione completa dei casi (Full Case Ascertainment).<br />
4. Studio di sorveglianza o studio di epidemiologia analitica.<br />
Ogni fase presuppone la raccolta e la validazione di dati sempre più specifici, ma ovviamente i<br />
confini tra queste fasi sono relativi alla situazione locale in termini di esperienza e risorse<br />
disponibili. In teoria, ogni passaggio da una fase alla successiva presuppone la stesura di un<br />
113
apporto che giustifichi sia la scelta di procedere, che quella di non procedere oltre. Tale rapporto<br />
non dovrebbe avere come destinatario solo la Direzione strategica dell’area di sanità pubblica cui è<br />
stato affidato il presunto problema, ma anche la comunità ed altri eventuali soggetti interessati.<br />
La sequenza di fasi deve seguire i principi basilari della ricerca in epidemiologia:<br />
stabilire l’esistenza del problema;<br />
confermare l’omogeneità degli eventi;<br />
raccogliere e validare i dati relativi all’evento;<br />
caratterizzare gli eventi rispetto a fattori di tipo;<br />
valutare patterns e trends;<br />
formulare un’ipotesi;<br />
verificare l’ipotesi;<br />
scrivere un rapporto, sottoporlo alla critica tra pari, comunicarne i risultati.<br />
Metodologia utilizzata nell’analisi spaziale delle GCA<br />
Spatial Scan Statistic (SSS)<br />
Le analisi sono state effettuate mediante il metodo Spatial Scan Statistic (SSS) di Kulldorf (Kulldorff<br />
M, William FA, Feuer EJ, Miller BA, and Key CR. Evaluating cluster alarms: A space-time scan<br />
statistic and brain cancer in Los Alamos, New Mexico. American Journal of Public Health, 1998;<br />
8(9): 1377-1380.; Kulldorff, M. 1999. Spatial scan statistics: models, calculations, and applications,<br />
in Scan Statistics and Applications. Glaz, J & Balakrishnan (eds.), Birkhauser, Boston, pp.303-322),<br />
con le seguenti specificità:<br />
Obiettivo: individuazione delle aree ad alto tasso, i.e. cluster spaziali “puri”<br />
In questa analisi si utilizza come area minima spaziale il territorio areale di residenza del caso; il<br />
numero di casi in ogni area si assume distribuito secondo una distribuzione di Poisson. L'ipotesi<br />
nulla sottende che il numero di casi attesi in ogni area sia proporzionale alla massa di anni-persona<br />
dell'area stessa. La SSS sovrappone una finestra circolare alla mappa dell’area in studio (fig. I). La<br />
finestra si posiziona a turno su ognuno dei possibili centroidi dell'area in studio. Per ogni centroide,<br />
il raggio della finestra varia in continuo come dimensione da 0 ad un limite superiore (posto in<br />
questo caso al 50% della popolazione complessiva).<br />
Il metodo crea così un numero infinito di differenti cerchi geografici, con differenti aree all'interno, e<br />
su ognuno calcola un rapporto osservati/attesi.<br />
114
L'ipotesi alternativa per ogni finestra è che il tasso sia estremamente elevato rispetto all'esterno<br />
della finestra stessa. Sotto l'assunto di Poisson, l'ipotesi viene testata con un Likelihood Ratio test<br />
(LR). La funzione di verosimiglianza per ogni finestra è la seguente:<br />
dove N è il n° tot. di casi dell'area, e n e il n° di casi della finestra.<br />
Il valore di log likelihood ratio (LLR) richiesto per la significatività di un sospetto cluster è stato<br />
rispettivamente posto a:<br />
per p=0.01: LLR=9.79;<br />
per p=0.05: LLR=7.52.<br />
Fig. 1<br />
Spatial Scan statistic – esempio di movimento della finestra circolare<br />
115
Analisi dei cluster: risultati<br />
Le mappe che seguono presentano i rapporti di prevalenza (x 1.000 residenti) delle GCA in base<br />
alla residenza comunale del paziente. In sequenza sono rappresentate le le tre tipologie di GCA.<br />
Lo schema di presentazione prevede la mappa complessiva e le due relative mappe per sesso. La<br />
scala colorimetrica rappresenta le classi di aggregazione dei tassi standardizzati per età in quintili<br />
di distribuzione.<br />
Le mappe dedicate all’individuazione della presenza di eventuali cluster sono così caratterizzate:<br />
Cluster spaziali: pattern grafico a graticcio, con linee bianche su fondo nero, posizionati sulle aree<br />
comunali incluse nel cluster (Most Likely Cluster-cluster primario); ove esistessero cluster<br />
secondari (Secondary Cluster), i pattern grafici sono di tipo griglia trasversale a linee bianche su<br />
fondo grigio.<br />
Il termine Most Likely Cluster indica la presenza di un’area in cui l’aggregazione inusuale di casi,<br />
sottoposta a formale test statistico, raggiunge il livello previsto di significatività statistica. In altri<br />
termini, questo è il cluster riscontrato che, in base al valore del test statistico formale, minimizza il<br />
rischio di un’occorrenza fortuita, casuale di casi.<br />
Il termine Secondary Cluster indica un territorio circoscritto in cui vi sono evidenze di aggregazione<br />
inusuale di casi, ma senza che il test scan statistic raggiunga un livello di significatività statistica<br />
paragonabile al Most Likely Cluster.<br />
Nell’ambito della presentazione della mappa complessiva, inoltre, qualora vi siano evidenze di<br />
cluster possibili o statisticamente certi, sono posti in calce gli output di descrizione, in sequenza,<br />
della scan statistic relativi all’analisi in oggetto:<br />
Location-ID –rappresenta l’identificativo dell’area mediante il codice dell’area secondo la<br />
classificazione del Comune-; coordinate/raggio; arco temporale (Time frame); popolazione dell’area<br />
inclusa nel cluster; n. casi osservati e n. casi attesi; n. casi annui per 100.000 residenti; rischio<br />
relativo overall dell’area inclusa nel cluster rispetto all’intera città; valore del test Log likelihood ratio<br />
e rango del test di Montecarlo; valore di probabilità p del cluster osservato.<br />
116
Mappa 1<br />
TCE totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
117
TCE TOTALI<br />
Si riscontrano un cluster principale, localizzato nei Comuni del nord-est della Valle<br />
Brembana, ed un cluster secondario nei Comuni di Zogno, Ubiale, Sedrina.<br />
MOST LIKELY CLUSTER<br />
1.Location IDs included.: 16164, 16227, 16014, 16166, 16151, 16165, 16092, 16191, 16061,<br />
16090, 16136, 16121, 16125, 16145, 16190, 16229, 16039, 16048<br />
Coordinates / radius..: (2.547222 N, 1.362778 E) / 27.79 km<br />
Population............: 21444<br />
Number of cases.......: 187<br />
Expected cases........: 121.86<br />
Annual cases / 100000.: 145.4<br />
Observed / expected...: 1.53<br />
Relative risk.........: 1.55<br />
Log likelihood ratio..: 15.225684<br />
P-value...............: 0.000065<br />
SECON<strong>DA</strong>RY CLUSTERS<br />
2.Location IDs included.: 16221, 16196, 16246<br />
Coordinates / radius..: (2.146667 N, 1.366944 E) / 3.95 km<br />
Population............: 16486<br />
Number of cases.......: 151<br />
Expected cases........: 93.68<br />
Annual cases / 100000.: 152.7<br />
Observed / expected...: 1.61<br />
Relative risk.........: 1.62<br />
Log likelihood ratio..: 14.983320<br />
P-value...............: 0.000081<br />
118
Mappa 2<br />
TCE - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
MASCHI<br />
119
Mappa 3<br />
TCE - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
FEMM<strong>IN</strong>E<br />
120
Mappa 4<br />
GCA Emorragiche totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
GCE EMORRAGICHE TOTALI<br />
Si riscontra un cluster principale, localizzato in quattro Comuni del nord-est della Valle<br />
Brembana (Taleggio, Vedeseta, Camerata Cornello, Blello).<br />
121
MOST LIKELY CLUSTER<br />
1.Location IDs included.: 16210, 16027, 16230, 16048<br />
Coordinates / radius..: (2.278056 N, 1.285556 E) / 5.19 km<br />
Population............: 2040<br />
Number of cases.......: 14<br />
Expected cases........: 4.14<br />
Annual cases / 100000.: 114.4<br />
Observed / expected...: 3.38<br />
Relative risk.........: 3.39<br />
Log likelihood ratio..: 7.205923<br />
P-value...............: 0.089<br />
122
Mappa 5<br />
GCA Emorragiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
MASCHI<br />
123
Mappa 6<br />
GCA Emorragiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
FEMM<strong>IN</strong>E<br />
124
Mappa 7<br />
GCA Ischemiche totali - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
GCA ISCHEMICHE TOTALI<br />
Si riscontra un grande cluster (probabilmente somma di più cluster locali sovrapposti) che ingloba<br />
buona parte del nord della provincia di Bergamo, comprendendo pressochè per intero le valli<br />
Brembana e Seriana. Un cluster secondario comprende invece tre comuni del distretto della Bassa<br />
Bergamasca (Caravaggio, Misano, Casirate).<br />
125
MOST LIKELY CLUSTER<br />
1.Location IDs included.: 16184, 16158, 16175, 16012, 16121, 16100, 16168, 16125, 16145,<br />
16080, 16070, 16060, 16163, 16147, 16111, 16199, 16116, 16173, 16247, 16234, 16179, 16004,<br />
16118, 16146, 16148, 16227, 16035, 16164, 16201, 16110, 16225, 16197, 16092, 16236, 16107,<br />
16136, 16191, 16144, 16071, 16241, 16151, 16067, 16166, 16169, 16077, 16244, 16014, 16025,<br />
16249, 16190, 16205, 16039, 16069, 16165, 16178, 16048, 16055, 16216, 16108, 16160, 16124,<br />
16099, 16008, 16239, 16214<br />
Coordinates / radius..: (2.476111 N, 1.636111 E) / 44.48 km<br />
Population............: 238187<br />
Number of cases.......: 2034<br />
Expected cases........: 1718.15<br />
Annual cases / 100000.: 142.4<br />
Observed / expected...: 1.18<br />
Relative risk.........: 1.23<br />
Log likelihood ratio..: 33.773432<br />
P-value...............: 0.0000000000029<br />
SECON<strong>DA</strong>RY CLUSTERS<br />
2.Location IDs included.: 16135, 16059, 16053<br />
Coordinates / radius..: (1.713889 N, 1.230000 E) / 8.16 km<br />
Population............: 28008<br />
Number of cases.......: 256<br />
Expected cases........: 202.04<br />
Annual cases / 100000.: 152.4<br />
Observed / expected...: 1.27<br />
Relative risk.........: 1.27<br />
Log likelihood ratio..: 6.793714<br />
P-value...............: 0.034<br />
126
Mappa 8<br />
GCA Ischemiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
MASCHI<br />
127
Mappa 9<br />
GCA Ischemiche - Prevalenza per 10.000 su base comunale<br />
FEMM<strong>IN</strong>E<br />
128
La tabella 24.1 mostra la distribuzione dei casi di GCA per ambito.<br />
Tab. 24.1<br />
distr. Freq. GCA per<br />
Ambito e tipo GCA<br />
(2006-2011)<br />
N<br />
TCE<br />
% casi<br />
colonn<br />
a N<br />
GCA<br />
Emorragiche/An.<br />
Tipo di GCA:<br />
% casi<br />
colonna N<br />
GCA<br />
Ischemiche Totale<br />
% casi<br />
colonn<br />
a N<br />
% casi<br />
colonn<br />
01-Bergamo 835 11,0% 443 16,3% 1556 16,1% 2834 14,2%<br />
02-Dalmine 805 10,6% 313 11,5% 1148 11,9% 2266 11,3%<br />
03-Seriate 457 6,0% 133 4,9% 553 5,7% 1143 5,7%<br />
04-Grumello 294 3,9% 104 3,8% 360 3,7% 758 3,8%<br />
05-Valle Cavallina 358 4,7% 140 5,2% 404 4,2% 902 4,5%<br />
06-Monte Bronzone-<br />
Basso Sebino<br />
241 3,2% 63 2,3% 265 2,7% 569 2,8%<br />
07-Alto Sebino 292 3,8% 86 3,2% 227 2,4% 605 3,0%<br />
08-Valle Seriana 680 8,9% 269 9,9% 1130 11,7% 2079 10,4%<br />
09-Valle Seriana Sup<br />
e Val di Scalve<br />
339 4,5% 115 4,2% 465 4,8% 919 4,6%<br />
10-Valle Brembana 483 6,4% 147 5,4% 451 4,7% 1081 5,4%<br />
11-Valle Imagna e<br />
Villa Almè<br />
336 4,4% 147 5,4% 441 4,6% 924 4,6%<br />
12-Isola Bergamasca 922 12,1% 308 11,3% 1022 10,6% 2252 11,3%<br />
13-Treviglio 974 12,8% 268 9,9% 1008 10,4% 2250 11,3%<br />
14-Romano di<br />
Lombardia<br />
586 7,7% 181 6,7% 620 6,4% 1387 6,9%<br />
Totale 7602 100,0% 2717 100,0% 9650 100,0% 19969 100,0%<br />
129<br />
a
Analisi delle GCA su base regionale (ricoveri quinquennio 2005-2009)<br />
Le due mappe e la tabella che seguono contestualizzano il fenomeno GCA su base regionale,<br />
attraverso l’utilizzo del sistema ALEE-AO (cfr. materiali e metodi).<br />
La provincia di Bergamo risulta sostanzialmente in linea con la prevalenza ospedaliera media<br />
regionale. L’analisi geografica mostra invece alcune aree specifiche della provincia di Bergamo, in<br />
buona parte già evidenziatesi nelle mappe locali, come risultanti di livelli di prevalenza<br />
particolarmente elevati.<br />
Mappa 13<br />
GCA totali - Prevalenza per 100 su base comunale attraverso stimatore Kernel<br />
MASCHI (anni 2005-2009)<br />
130
Mappa 14<br />
GCA totali - Prevalenza per 100 su base comunale attraverso stimatore Kernel<br />
FEMM<strong>IN</strong>E (anni 2005-2009)<br />
131
ASL DI<br />
APPARTENENZA<br />
Numero di osservati per ASL-2005-2009<br />
NUMERO<br />
OSSERVATI<br />
- maschi<br />
NUMERO<br />
OSSERVATI<br />
- femmine<br />
NUMERO<br />
OSSERVATI<br />
- totale<br />
Prevalenza<br />
annua (x<br />
1000) - M<br />
Prevalenza<br />
annua (x<br />
1000) - F<br />
Prevalenza<br />
annua (x<br />
1000) - Tot<br />
301 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
BERGAMO 6.366 4.611 10.977 2,50 1,78 2,14<br />
302 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
BRESCIA 7.045 5.353 12.398 2,65 1,96 2,30<br />
303 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI COMO<br />
3.511 2.804 6.315 2,55 1,94 2,24<br />
304 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
CREMONA 2.634 2.004 4.638 3,11 2,26 2,67<br />
305 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI LECCO<br />
1.973 1.588 3.561 2,49 1,93 2,20<br />
306 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI LODI<br />
1.673 1.291 2.964 3,12 2,33 2,72<br />
307 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
MANTOVA 2.870 2.426 5.296 3,00 2,41 2,70<br />
308 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
CITTA DI MI<strong>LA</strong>NO<br />
8.799 7.535 16.334 2,86 2,19 2,51<br />
309 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
MI<strong>LA</strong>NO 1 6.139 4.512 10.651 2,61 1,85 2,22<br />
310 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
MI<strong>LA</strong>NO 2 3.483 2.430 5.913 2,64 1,78 2,20<br />
311 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
MI<strong>LA</strong>NO 3 7.122 5.342 12.464 2,78 2,00 2,38<br />
312 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI PAVIA<br />
4.000 3.136 7.136 3,23 2,37 2,78<br />
313 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
SONDRIO 1.348 972 2.320 3,07 2,12 2,59<br />
314 - A.S.L. DEL<strong>LA</strong><br />
PROV<strong>IN</strong>CIA DI<br />
VARESE 4.967 4.015 8.982 2,42 1,85 2,12<br />
315 - ASL DEL<strong>LA</strong><br />
VALCAMONICA-<br />
SEB<strong>IN</strong>O 596 403 999 2,45 1,62 2,03<br />
Totale 62.526 48.422 110.948 2,72 2,00 2,35<br />
132
Conclusioni<br />
Anche se la nostra valutazione è, per certi versi, da considerarsi preliminare, in quanto effettuata<br />
solo attraverso l’utilizzo di dati di routine, si sono comunque evidenziate alcune peculiarità<br />
territoriali, che puntualizzano molte diversificazioni dalle casistiche note in letteratura anche in<br />
elementi di rilievo, come il quoziente uomini/donne, le cause di traumatismo (concentrate<br />
fondamentalmente in traumi della strada, incidenti domestici ed infortuni sul lavoro), oltre ad una<br />
differenziazione in base all'età del soggetto.<br />
Le principali evidenze emerse sono le seguenti:<br />
1. Dimensione del fenomeno in generale<br />
a. Il fenomeno GCA è di particolare rilevanza quantitativa in provincia di<br />
Bergamo, in quanto il “Burden of Disease” indotto da circa 3300 pazienti<br />
all’anno è certamente da valutare approfonditamente per l’impatto sul<br />
sistema sanitario, sul sistema riabilitativo e sulle famiglie, oltre che sul<br />
paziente stesso.<br />
b. Una quota pari ad 8% dei ricoverati decede entro la durata del ricovero<br />
stesso (ma con un livello di decesso pari al 23% nei ricoveri per GCA<br />
Emorragiche/Anossiche). In generale, la quota maggiore di decessi<br />
avviene entro le prime due settimane (di fatto, intra-ricovero), per<br />
crescere ancora entro il primo semestre dalla data di ricovero incidente.<br />
c. La sopravvivenza long-term varia in misura ampia; la sopravvivenza<br />
maggiore (al termine dei 72 mesi di osservazione) è quella relativa ai<br />
casi di TCE: 67 mesi come media. 59 mesi, invece, il dato per i casi di<br />
GCA ischemica. La sopravvivenza minore si osserva nei casi di CGA<br />
emorragica/anossica, in cui più dell’80% decede entro sei mesi<br />
dall’evento.<br />
d. Il 6% dei ricoverati viene indirizzato ad un percorso riabilitativo dopo la<br />
dimissione dalla struttura per acuti; questo dato tuttavia può arrivare al<br />
12%, se si considerino anche i trasferimenti interni. Per la complessità<br />
della tematica, appare tuttavia opportuno un successivo<br />
approfondimento ad hoc.<br />
e. Le cause dei traumatismi sono differenti con le età. I traumi da incidente<br />
stradale sono prevalenti nell'età adulta, con un picco particolarmente<br />
rilevante nell’età compresa tra 15 e 24 anni, sia per i maschi che per le<br />
femmine. Nell'età infantile e nell'età senile risultano prevalenti gli<br />
infortuni domestici. Gli infortuni sul lavoro sono prevalenti negli uomini<br />
133
in età compresa tra i 20 ed i 55 anni, con un picco intorno ai 40. Queste<br />
evidenze appaiono importanti in un’ottica di pianificazione di interventi<br />
di prevenzione.<br />
f. Vi sono alcune aree peculiari, nella provincia di Bergamo, in cui la<br />
concentrazione dei casi è al di là del puro effetto stocastico (cluster); su<br />
tali aree appare opportuno approfondire le evidenze, per sviluppare<br />
progetti di tipo preventivo.<br />
2. Dimensione del fenomeno ASL BG vs Regione Lombardia<br />
a. L’ASL di Bergamo si presenta, per i cinque anni analizzati nel confronto,<br />
sostanzialmente in linea con i tassi medi regionali<br />
b. L’analisi geografica mostra invece alcune aree specifiche della provincia<br />
di Bergamo, in buona parte già evidenziatesi nelle mappe locali, con<br />
livelli di prevalenza particolarmente elevati.<br />
In termini di sviluppo della ricerca, sia a livello regionale, sia di ASL, è opportuno riprendere le<br />
raccomandazioni emergenti dalla citata 3.a Consensus Conference: tre approcci di studio, con un<br />
livello di fattibilità diverso e crescente, che dovrebbero essere condotti per migliorare le<br />
conoscenze epidemiologiche.<br />
1) Un primo approccio si dovrebbe basare sull’utilizzo al meglio delle informazioni già disponibili.<br />
In tal senso si raccomanda la conduzione di analisi su database integrati ricavati da flussi<br />
informativi ospedalieri o socio-anagrafici. L’utilizzo di nuovi sistemi classificativi che<br />
permettano una migliore aggregazione delle diagnosi e co-diagnosi attraverso algoritmi<br />
flessibili, che classificano il paziente in funzione della severità all’interno di ogni specifico<br />
DRG potrebbe aumentare la capacità di identificare i ricoveri rilevanti, per poi tracciarne la<br />
successiva evoluzione attraverso le altre fonti informative amministrative.<br />
2) Un secondo livello prevede la raccolta di informazioni aggiuntive nella scheda di dimissione<br />
ospedaliera (SDO), in forma di aggregati diagnostici od altri tipi di informazione rilevante, quali<br />
i punteggi di alcune scale (DRS, Glasgow Coma Scale, etc.) o l’esistenza di alcuni fattori<br />
prognostici importanti (PEG, Tracheostomia, etc.), che consentano di identificare con maggior<br />
precisione questa categoria di casi.<br />
3) Un terzo livello si fonda sulla creazione di registri, a livello locale, regionale o nazionale, in<br />
grado di identificare e classificare al meglio tutti i casi eleggibili, con l’utilizzo di strumenti che<br />
permettano di stratificare i casi in funzione dei livelli di gravita/complessità e di fabbisogno<br />
riabilitativo e assistenziale a breve e lungo termine. Ciò faciliterebbe, inoltre, la conduzione di<br />
134
survey sulle popolazioni di interesse (pazienti, familiari, caregiver), la raccolta di informazioni<br />
su aspetti rilevanti della presa in carico riabilitativa, nonché la conduzione di studi prospettici<br />
di outcome (effectiveness) su ampie casistiche, per valutare le modificazioni nel tempo dello<br />
stato di salute e di qualità di vita delle persone con GCA.<br />
Questa necessità è rivolta soprattutto all'ottimizzazione dell'outcome del paziente con TCE,<br />
laddove cioè si può agire in termini di riduzione della disabilità. A tal proposito, la programmazione<br />
sanitaria deve essere incentrata sull'appropriatezza recettiva e sulla qualità di intervento delle<br />
strutture e dei percorsi assistenziali implicati nelle fasi successive all'emergenza. L’evoluzione<br />
epidemiologica e demografica e lo sviluppo di nuove tecnologie, che consentono il superamento di<br />
fasi critiche di patologie ad evoluzione cronica con disabilità acquisita, determinano infatti la<br />
crescita del problema delle criticità post-acuzie.<br />
Una migliore conoscenza del fenomeno, fondata su dati più ampi e più<br />
solidi, può consentire una migliore pianificazione sanitaria e sociale per far<br />
fronte a questo tipo di patologia che rischia di assumere le dimensioni di una<br />
vera e propria emergenza (22.000 ricoveri per GCA all’anno in Lombardia,<br />
3700 in provincia di Bergamo).<br />
135
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
Alexander F.E., Cuzick J., Methods for the assessment of disease clusters; in “Geographical and<br />
environmental epidemiology: methods for small-area studies”. In: Elliott P., Cuzick J., English D.,<br />
Stern R., WHO Europe, Oxford University Press, 1992<br />
Bernardinelli L., Clayton D., Montomoli C., Bayesian estimates of disease maps: how important are<br />
priors?, 1995. In: Statistics in Medicine; 14, pp. 2411-2432<br />
Boldrini P., Basaglia N., GRACER (Gravi Cerebrolesioni Emilia Romagna). Un progetto di rete<br />
integrata regionale di strutture, presidi e servizi riabilitativi per le persone affette da Gravi<br />
Cerebrolesioni Acquisite, 2002. In: Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa; 16, pp. 61-77<br />
Boldrini P., Epidemiologia del trauma cranio-encefalico. Allegato ai Documenti tecnici preparatori<br />
della Consensus Conference: Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranioencefalico<br />
in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi<br />
appropriati, 2001. In: Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa; 15(1), pp. 67-71<br />
Brianti R. et al., Indagine epidemiologica EBIS. In: Rago, et al., Trauma Cranico: conseguenze<br />
neuropsicologiche e comportamentali, Bollati Boringhieri, Torino, 1996<br />
De Tanti A., Gatta G., Emanuel C., Actis M.V. et al., La riabilitazione della Grave Cerebrolesione.<br />
Conferenza di Consensus, Documento del Gruppo di Lavoro Medico, Modena, 2000,<br />
(www.simfer.it)<br />
Faccani G. et. al., Epidemiologia dei traumi cranici nell'anziano. I traumi cranici dell'anziano,<br />
Libreria Cortina, Torino, 1989<br />
Giuria della Consensus Conference, Modalità di trattamento riabilitativo del traumatizzato cranioencefalico<br />
in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e indicazioni a percorsi<br />
appropriati. Documento conclusivo della Giuria e Raccomandazioni, 2001. In: Giornale Italiano di<br />
Medicina Riabilitativa; 15(1), pp. 29-42<br />
HELIOS II Thematic Group n.11, Brain Injury Rehabilitation. Guidelines for Good Practice.<br />
Achievement of the Exchange and Information Activities of the Helios II Programme, 1993-1996,<br />
European Commission DG V/Integration of Disabled People<br />
Indrayan A., Kumar R., Statistical choropleth cartography in epidemiology, 1996. In: Int J<br />
Epidemiol; 25, pp. 181-189<br />
Jennet B., Teasdale G., Management of head injuries, FA. Davis, Philadelphia, 1981<br />
Kraus J.F., Epidemiology of head injury. In: Cooper P.R., Head Injury 2nd ed., William Wilkins,<br />
Baltimore, 1987<br />
Kraus J.F. et al., The incidence of acute brain injuries and serious impairment in a defined<br />
population, 1984. In: Am. Epidemiol; 119, pp. 186-201<br />
136
Kulldorff M., William F.A., Feuer E.J., Miller B.A., Key C.R., Evaluating cluster alarms. A space-time<br />
scan statistic and brain cancer in Los Alamos, New Mexico, 1998. In: American Journal of Public<br />
Health; 8(9), pp. 1377-1380<br />
Kulldorff M., Spatial scan statistics: models, calculations, and applications, 1999. In: Scan Statistics<br />
and Applications, Glaz, J & Balakrishnan ed., Birkhauser, Boston, pp.303-322<br />
Max W. et al., Head injuries. Cost and consequences, 1991. In: Journal of head trauma<br />
rehabilitation; 6, pp. 76-91<br />
Servadei F. et al., A perspective clinical and epidemiological study of head injuries in northern Italy,<br />
1999. In: Italian Journal of Neurological Sciences, pp. 449-457<br />
Servadei F., Ciucci G., Piazza G. et al., A prospective clinical and epidemiological study of head<br />
injuries in Northern Italy: the Comune of Ravenna, 1988. In: Italian Journal of Neurological<br />
Sciences; 9, pp. 449-457<br />
Sosin D. et al., Head injury, associated deaths in the United States from 1979 to 1986, 1989. In:<br />
Jama; 262, pp. 2251-2255<br />
Study Group on head injury of the Italian Society for neurosurgery, Guideline for minor head injury<br />
patients management in adult age, 1996. In: J. Neurosurgery Sc.; 40, pp.11-15<br />
Thornhill S., Teasdale G.M., Gordon M.D. et al., Disability in young people and adults one year<br />
after head injury: prospective cohort study, 2000. In: British Medical Journal; 320, pp. 1631-1635<br />
Wade D.T., Hewer R.L., Epidemiology of some neurological diseases with special reference to<br />
work load on the NHS, 1987. In: International Journal of Rehabiitation Medicine; 8, pp. 129-137<br />
Zucchi A., Casazza C., La mortalità oncologica in provincia di Bergamo. Applicazione di nuove<br />
tecniche di epidemiologia geografica, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2000<br />
Zucchi A., ASL provincia di Bergamo, Atlante dei ricoveri 1997-2001. Il ricovero come modello di<br />
analisi della domanda e dell’offerta, ASL di Bergamo, Bergamo, 2002<br />
137
IL TAVOLO DEL<strong>LA</strong> PROV<strong>IN</strong>CIA SULLE <strong>GRAVI</strong> <strong>CEREBROLESIONI</strong>:<br />
UNO SPAZIO DI <strong>IN</strong>TERAZIONE E CONDIVISIONE TRA SOCIALE E SANITARIO<br />
Simona Colpani 1 e Silvano Gherardi 2<br />
Il “Tavolo Provinciale per la disabilità acquisita da trauma cerebrale e vertebromidollare”,<br />
costituitosi nel 2003/2004 presso l’allora Settore Politiche Sociali della Provincia di Bergamo, ha<br />
l’obiettivo di favorire, in un luogo estraneo ai contesti già connotati in modo significativo, un dialogo<br />
tra soggetti che, per motivi diversi, sono stati coinvolti dallo stesso avvenimento: l’evento<br />
traumatico generatore di grave disabilità. La Provincia, nelle sue attività sul territorio, non è<br />
deputata né alla cura, né alla riabilitazione, ma si impegna per il raggiungimento dell’integrazione<br />
sociale. Inoltre, fra i suoi obiettivi programmatici, vi sono la formazione e la promozione di buone<br />
prassi. Il coordinamento territoriale, permette di leggere i bisogni che emergono nelle fasi di<br />
passaggio da un luogo ad un altro, da un percorso tipo quello medico ad uno come quello sociale.<br />
Abbiamo la fortuna di avere sul territorio provinciale professionisti validi e riconosciuti a livello<br />
nazionale. Tra questi, quelli che hanno fatto parte di gruppi di lavoro della Consensus Conference,<br />
partecipano al Tavolo Provinciale. Abbiamo, anche, la fortuna di avere genitori che si sono attivati e<br />
associati, ed abbiamo cooperative che hanno maturato competenze specifiche a fronte di<br />
investimenti di pensiero, di riflessione, di conoscenza.<br />
Sicuramente ognuno dei membri del Tavolo, tra i quali anche rappresentanti delle famiglie, ha una<br />
conoscenza approfondita del “proprio pezzo”, del proprio compito, delle piccole azioni che fanno la<br />
differenza qualitativa e che solo tra “addetti ai lavori” sono visibili e riconoscibili: i medici, per la<br />
capacità diagnostica e di cura; la cooperazione, per tutto ciò che attiene la quotidianità del dopo le<br />
dimissioni, incluso il sostegno ai familiari, e per l’integrazione sociale; le famiglie, per la<br />
conoscenza dell’individuo, per la dimensione di cura e per la dimensione della speranza che<br />
consente di intuire al di là del percepibile.<br />
Dall’esterno si vede sempre solo una parte del lavoro dell’altro. La specializzazione ha creato<br />
competenze rilevanti e pregevoli il cui punto debole, lo sappiamo tutti, è la frammentazione. Il<br />
Tavolo è nato con lo scopo di offrire un luogo in cui i “frammenti” potessero, per un attimo, provare<br />
a guardarsi reciprocamente, anche affrontando il nodo problematico della zona cerniera tra sociale<br />
e sanitario, quella terra di tutti e di nessuno nella quale consuetudini, saperi e linguaggi diversi<br />
dovrebbero comprendersi per dialogare ma, spesso, non si conoscono neppure.<br />
Dal proprio osservatorio ognuno è convinto di fare tutto e di farlo correttamente. Non solo, spesso<br />
si vedono con chiarezza quali sono le mancanze e i possibili spazi di miglioramento d’azione degli<br />
1 Psicopedagogista, Coordinatrice del “Tavolo provinciale per la disabilità acquisita da trauma cerebrale e<br />
vertebromidollare” per la Provincia di Bergamo – Settore Politiche Sociali e Salute<br />
2 Dirigente del Settore Politiche Sociali e Salute della Provincia di Bergamo<br />
138
altri soggetti della rete. Ci sono stati momenti in cui una parte affermava con sicurezza di<br />
aggiungere, allo svolgimento del proprio compito, azioni ed attenzioni che dall’altra parte non erano<br />
assolutamente percepite, anzi venivano lamentate come fortemente mancanti.<br />
Solo provando a guardare ciò che facciamo da altre prospettive possiamo riflettere uscendo da una<br />
logica autoreferenziale per cogliere spazi di miglioramento, passaggi particolari da presidiare con<br />
attenzione e che ci riguardano.<br />
L’esperienza del Tavolo prosegue con continuità e presenza costante da parte di tutti i partecipanti.<br />
Crediamo che questo dato possa essere letto come una conferma del bisogno da una parte e<br />
dall’altra della validità della proposta.<br />
La scelta dei membri<br />
La scelta dei componenti del Tavolo provinciale tra differenti Enti e strutture di riferimento è stata<br />
effettuata tenendo conto del percorso che la persona segue a partire dall’evento traumatico.<br />
I medici<br />
A partecipare al Tavolo sono stati invitati i medici delle tre strutture di riferimento a livello<br />
provinciale in materia di riabilitazione delle persone con disabilità acquisita: l’Unità di Riabilitazione<br />
di Mozzo che aveva 3 maturato alcune attenzioni innovative per la riabilitazione soprattutto motoria;<br />
la Clinica Quarenghi di San Pellegrino Terme che si caratterizza per una forte attenzione al tema<br />
della riabilitazione cognitiva; il Centro Don Orione di Bergamo che si occupa dell’accoglienza degli<br />
“Stati vegetativi” o dei minimo responsivi. Queste non sono le uniche tre strutture che si occupano<br />
di trauma cranico o di lesioni vertebromidollari sul territorio provinciale, ma chiamare tutte le<br />
strutture ospedaliere che si occupano di questi soggetti avrebbe significato sovrapporsi a situazioni<br />
già esistenti e dare un taglio sanitario alla composizione del Tavolo che ha preferito invece una<br />
connotazione prettamente sociale. Nonostante questo, la presenza della componente medica,<br />
quindi del versante sanitario per definizione, è stata ed è un tassello indispensabile per affrontare<br />
le problematiche connesse alla disabilità acquisita in termini di continuità, di “progetto di vita”,<br />
senza separazioni teoriche/tecniche tra un prima e un dopo. Quando le conseguenze del trauma<br />
sono severe, la presenza del medico diventa una costante. Non sempre i medici di famiglia sanno<br />
o possono dare risposta ai bisogni specifici di queste situazioni. Le strutture che in qualche modo<br />
hanno “ridato” o “consentito nuovamente” la vita restano presenti per mesi, a volte per anni, in<br />
modo forte nella vita delle famiglie. Il ritorno a casa porta infatti con sé, in una certa misura, il<br />
3 L’utilizzo del verbo all’imperfetto è dovuto al fatto che al tempo della costituzione del Tavolo gli ospedali avevano<br />
alcune caratteristiche proprie. In parte queste sono rimaste ma il dialogo costante ha sicuramente favorito una<br />
circolazione delle competenze. Ne è un esempio la figura della neuropsicologa che ora appartiene alle equipe sia del<br />
centro di riabilitazione di Mozzo che della Clinica Quarenghi<br />
139
trauma della separazione ed il rapporto con l’ospedale si connota di sentimenti contrastanti. Questo<br />
è stato uno dei temi affrontati dal Tavolo che ha portato a produrre alcuni strumenti dedicati che<br />
sono stati sperimentati con l’obiettivo di introdurre quelle buone prassi che, nella loro semplicità,<br />
riescono a cambiare la qualità della vita delle persone.<br />
I familiari<br />
La presenza delle persone toccate quotidianamente, emotivamente ed affettivamente dal trauma<br />
con conseguenza invalidante, porta con sé la Domanda 4 con la maiuscola, quella concreta e reale,<br />
quella vera, quella non mediata dalle teorie e dai saperi, quella raccontata a volte in modo<br />
improprio o nascosta dietro ad altre domande, ma l’unica non eludibile.<br />
Seguendo il motto del movimento per la Vita Indipendente “Nulla su di noi senza di noi”, l’ideale<br />
sarebbe stato avere al Tavolo i soggetti direttamente interessati. Se è stato possibile un confronto<br />
diretto con le persone con disabilità acquisita da trauma vertebromidollare, non è stato – e non è –<br />
altrettanto possibile avere come interlocutori persone con disabilità cognitiva a causa delle<br />
caratteristiche proprie del trauma cranico. Sono i loro familiari, genitori, fratelli, mariti o mogli, figli,<br />
ad essere coinvolti direttamente e quotidianamente.<br />
La voce delle persone con disabilità acquisita è rappresentata ed espressa dalle associazioni. Sul<br />
territorio provinciale però, a differenza di quanto accade per le disabilità congenite, non ci sono<br />
sufficienti realtà associative a sostegno dei numerosi soggetti con disabilità acquisita.<br />
Quando il Tavolo si è costituito, esistevano solo due associazioni di familiari di persone con<br />
disabilità acquisita da trauma cranico ed una per persone con disabilità acquisita da trauma<br />
vertebromidollari. Tutte e tre facevano capo alle strutture sanitarie che, in ordine temporale, si<br />
erano occupate per ultime – o che ancora si stavano occupando – dei propri cari. Le associazioni<br />
erano: l’Associazione Amici Traumatizzati Cranici (AATC) e l’Associazione Disabili Bergamaschi<br />
(ADB) collegate alla Unità di riabilitazione di Mozzo, e l’Associazione Genesis collegata alla Clinica<br />
Quarenghi. Solo negli ultimi tempi si sono aggiunte due ulteriori associazioni delle quali una<br />
costituita da familiari di persone con disabilità acquisita da trauma cranico e l’altra da familiari di<br />
persone in stato vegetativo. La Provincia ha ritenuto che fosse fondamentale la presenza al Tavolo<br />
di un rappresentante di ciascuna di queste realtà. La scelta è stata motivata anche dalla storia delle<br />
associazioni familiari per persone con disabilità maturata in provincia e sostenuta in primis anche<br />
dal Settore Politiche sociali e salute della Provincia di Bergamo. Infatti, come traguardo importante<br />
di un lungo percorso di informazione e formazione tenuto dalla Provincia per le associazioni<br />
familiari di persone con disabilità, queste ultime hanno costituito il Coordinamento Bergamasco per<br />
l’Integrazione (CBI), coordinamento delle associazioni familiari a livello provinciale. Al CBI<br />
aderiscono associazioni di familiari di persone sia con disabilità congenita che con disabilità<br />
4 Consapevoli della distinzione tra bisogno e domanda, abbiamo preferito qui utilizzare il termine “domanda” perché è ciò<br />
che i familiari portano al Tavolo. Non sempre la domanda racconta dei bisogni e di tutti i bisogni. Sta agli altri componenti<br />
accogliere le domande leggendo anche i bisogni sottesi, quelli negati come quelli enfatizzati<br />
140
acquisita. Quello è sembrato essere il luogo migliore di confronto e di dialogo tra associazioni<br />
familiari, oltre che di passaggio d’informazioni relativo agli oggetti discussi e alle proposte elaborate<br />
dal Tavolo.<br />
I Comuni e gli Assistenti sociali<br />
Dopo il periodo di ricovero dell’assistito in ospedale, le famiglie, con il loro fardello di<br />
preoccupazioni e d’impegni quotidiani di assistenza, devono affrontare il ritorno a casa 5 . A questo<br />
punto sono due gli interlocutori importanti: il medico di famiglia e l’assistente sociale del Comune di<br />
riferimento o, eventualmente, dell’Ambito Territoriale d’appartenenza. Per la realizzazione<br />
dell’opuscolo informativo “Sostenere Percorsi dentro e fuori casa” è stato realizzato, all’interno del<br />
Tavolo, un sottogruppo di lavoro al quale sono stati invitati tutti gli Ambiti Territoriali e che ha visto<br />
la partecipazione di una rappresentanza di assistenti sociali dell’Ambito di Romano di Lombardia e<br />
di Seriate. La presenza delle assistenti sociali è sfociata nella partecipazione dell’assessore ai<br />
Servizi sociali del Comune di Seriate al Convegno provinciale del 2007 ed in una più matura<br />
consapevolezza, almeno da parte di un gruppo di essi, di un bisogno formativo ed informativo.<br />
Gli assistenti sociali non sono percepiti come un riferimento dalla maggior parte delle famiglie<br />
aventi un caro con disabilità acquisita. Ciò deriva da un problema culturale del nostro territorio<br />
legato in parte alla fatica/vergogna nel chiedere aiuto, e in parte al fatto che sono pochi gli<br />
assistenti sociali che conoscono gli aspetti normativi e legislativi in materia di disabilità acquisite ai<br />
quali fare riferimento. L’affermazione precedente non ha alcuna intenzione di essere giudicante: le<br />
competenze richieste ad un assistente sociale comunale ricomprendono situazioni riguardanti i<br />
minori, gli anziani, la disabilità congenita (minori e anziani con disabilità), le situazioni di fragilità<br />
sociale, etc. L’elenco è lungo e le competenze, per mantenersi tali, hanno bisogno di essere<br />
esercitate ed aggiornate. Avendo poco tempo a disposizione, ci s’impone di operare delle scelte, e<br />
la quantità di persone con un problema simile con le quali si entra in contatto segna “il valore di<br />
merito”. Gli assistenti sociali quindi, pur essendo un tassello importantissimo nella cerniera tra<br />
sociale e sanitario, non sono stati mai presenti al Tavolo. 6 È stato invece invitato un membro del<br />
Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci.<br />
5<br />
Sono purtroppo escluse dal ritorno a casa le situazioni di stato vegetativo, che nella maggioranza dei casi passano<br />
dall’ospedale a strutture dedicate, come ad esempio il don Orione<br />
6<br />
Il problema va ben oltre quello della rappresentanza al Tavolo. È effettivamente impossibile essere competenti rispetto<br />
a situazioni che magari nella propria carriera lavorativa non verranno mai affrontate o, al limite, affrontate per un numero<br />
molto circoscritto di situazioni. A questo proposito la Consensus Conference di Verona del 2005 ha proposto di istituire la<br />
figura del Case manager specializzato in disabilità acquisita. “La giuria ritiene necessario adottare comunque una<br />
funzione di case manager che aiuti la persona e la sua famiglia a districarsi tra le diverse opzioni in ambiente sanitario e<br />
sociale, proprio vista la complessità dei bisogni e la difficoltà del muoversi soprattutto dopo la fase ospedaliera”. Si veda:<br />
A. De Tanti, Analisi dei profili di bisogno sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie. Individuazione<br />
dei criteri per la definizione dei percorsi di presa in carico, in: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita<br />
tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre 2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009<br />
141
La cooperazione sociale<br />
Oggi, con forme diverse, le attività rivolte alle persone con disabilità - dall’assistenza scolastica alla<br />
direzione di strutture residenziali - sono gestite, per la quasi totalità, da cooperative. L’unica<br />
cooperativa riconosciuta sul territorio provinciale con una competenza specifica è la Cooperativa<br />
Progettazione. Oltretutto, alla data della prima convocazione del Tavolo, la cooperativa collaborava<br />
già, con iniziative interne alla struttura, con il centro di riabilitazione di Mozzo ed aveva attivato<br />
presso sedi proprie progetti diurni diversificati 7 di sostegno alle famiglie e iniziative sperimentali di<br />
residenzialità etc. Le esperienze e le competenze specifiche maturate erano patrimonio quasi<br />
esclusivo di questa cooperativa e di un’altra cooperativa ad essa collegata, la Paul Wittgenstein.<br />
Uno tra i valori del lavoro delle cooperative sociali consiste nella territorialità. I progetti di<br />
socializzazione, realizzati nei territori di residenza delle persone con disabilità, consentono di<br />
costruire una nuova appartenenza, oltre alla possibilità che si attivino reti di sostegno spontanee o<br />
legate alle associazioni di volontariato 8 .<br />
Per questo motivo molte delle persone con disabilità acquisita non usufruiscono delle competenze<br />
tecniche di una cooperativa specializzata (sempre che ne conoscano l’esistenza), ma si<br />
appoggiano alle proposte che offrono i servizi sociali del territorio ove risiedono. Negli anni questo<br />
ha portato a chiedere la presenza al Tavolo, oltre che della cooperativa Progettazione, di un<br />
rappresentante di Confcooperative – Federsolidarietà. La valorizzazione di competenze specifiche<br />
in seno a Confcooperative ha portato alla maturazione di consapevolezza di bisogni formativi e alla<br />
progettazione e realizzazione di percorsi formativi dedicati condivisi.<br />
L’ASL<br />
È l’altro Ente istituzionale, insieme alla Provincia, che opera sul territorio con particolare attenzione<br />
e competenze. Tra queste la programmazione, il controllo, la possibilità di accedere ai dati sanitari,<br />
la conoscenza diretta di tutte le strutture sia sanitarie che sociali: l’essere soggetto proponente e<br />
coordinatore di altri tavoli di lavoro su tematiche simili, ha reso la sua presenza non solo utile, ma<br />
anche insostituibile e preziosa. La Pubblicazione nasce con la priorità di rendere pubblico il lavoro<br />
del Tavolo Provinciale. Grazie alla disponibilità dell’ASL di Bergamo nel mettere a disposizione il<br />
proprio epidemiologo (senza il quale questo lavoro non sarebbe stato possibile perché è colui che<br />
concretamente ha cercato ed elaborato i dati), si è realizzato il primo atlante epidemiologico delle<br />
7 I progetti diurni possono coprire una vasta gamma di bisogni: da quello più prettamente riabilitativo, a quello lavorativo<br />
o socio-occupazionale, a quello sociale<br />
8 Il valore dei progetti a valenza territoriale richiederebbe ben altri spazi e ben altre parole, ma non crediamo sia questo il<br />
luogo per un approfondimento. Era però indispensabile citare questa caratteristica perché di fatto, al di là delle teorie, ci<br />
sono molte persone con disabilità acquisita che frequentano i servizi territoriali che non hanno specializzazioni specifiche<br />
traendone beneficio e dichiarando apprezzamento e soddisfazione per le proposte<br />
142
persone con Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) in provincia di Bergamo. Questo risultato ci<br />
rende particolarmente orgogliosi – e di questo siamo riconoscenti all’ASL ed al suo epidemiologo<br />
dott. Alberto Zucchi – perché siamo riusciti a realizzare la prima tra le raccomandazioni della prima<br />
Conferenza Nazionale di Consenso, ovvero la conoscenza dei dati epidemiologici. Infatti gli unici<br />
dati sui quali sino ad ora era stato possibile lavorare – a livello nazionale - erano quelli della<br />
Regione Emilia Romagna. Mariangela Taricco ci ricordò, durante il Convengo del 2007, che tra le<br />
questioni di prioritaria importanza - e su cui lavorò il suo gruppo di lavoro - vi è proprio la<br />
“conoscenza dei dati epidemiologici con particolare riguardo alla prevalenza dei differenti esiti a<br />
lungo termine delle cerebrolesioni e all’analisi dell’offerta di servizi esistenti.”.<br />
Il Tavolo provinciale costituitosi inizialmente era composta da:<br />
- Ospedali Riuniti di Bergamo - Unità di Medicina Fisica e Riabilitazione presidio di Mozzo:<br />
Ivo Ghislandi, Gianni Melizza;<br />
- Clinica Quarenghi - Unità Operativa di Recupero e Riabilitazione funzionale: G. Pietro<br />
Salvi;<br />
- Centro Don Orione: Giovanni Battista Guizzetti;<br />
- Cooperativa Sociale Progettazione: Giancarla Panizza;<br />
- Associazione Genesis; Associazione Amici Traumatizzati Cranici: Stefano Pelliccioli;<br />
- Associazione Disabili Bergamaschi: Alberto Bacchini;<br />
- ASL provincia di Bergamo: Gennaro Esposito e Alberto Zucchi;<br />
- Provincia di Bergamo: Silvano Gherardi, dirigente del Settore e Simona Colpani,<br />
consulente.<br />
A distanza di alcuni anni, la partecipazione al Tavolo dei membri degli Enti rappresentati ha visto la<br />
conferma sostanziale della composizione precedente con l’aggiunta di:<br />
- Confcooperative – Federsolidarietà: Omar Piazza;<br />
- Consiglio di Rappresentanza dei Sindaci.<br />
Le questioni guida nella scelta delle diverse iniziative<br />
Un evento traumatico, tale da determinare una disabilità acquisita, coinvolge la persona che riporta<br />
il trauma direttamente e i familiari stretti, modifica i rapporti tra nucleo familiare e famiglie di origine,<br />
inficia rapporti di amicizia, richiede cambiamenti lavorativi, stravolge progetti di vita. Questo vale<br />
nel caso in cui la disabilità acquisita sia “solo” di tipo motorio, sia nel caso in cui coinvolga anche<br />
aspetti cognitivi. Questo non significa che tutte le disabilità siano uguali e che il loro impatto possa<br />
essere sovrapponibile. Un ventenne allettato e che non ricorda nulla non è paragonabile ad un<br />
cinquantenne che ha perso l’uso delle gambe, ma che ha mantenuto tutte le competenze cognitive;<br />
eppure, per entrambi, la vita cambia radicalmente.<br />
Gli eventi della vita ci cambiano. Cambiano il nostro carattere, le nostre motivazioni, il nostro ordine<br />
valoriale. Una persona che ha subito un trauma vertebromidollare può diventare completamente<br />
143
diversa rispetto a ciò che era prima, e chi sta con lei può non riconoscerla più come il compagno<br />
che ha sposato, come il figlio che ha cresciuto.<br />
Certo, in termini oggettivi e scientifici, la gravità di una lesione vertebromidollare non è<br />
paragonabile a quella di un trauma cranico grave. L’ho sentito dire tante volte dai familiari. È<br />
un’affermazione per certi aspetti vera ma, se si seguono questi ragionamenti, il rischio è di finire a<br />
fare una guerra tra poveri. Qual è il dolore che pesa di più? Sì, non è negabile che una disabilità<br />
cognitiva, oltre che motoria, sia peggio della “sola” disabilità motoria, ma non credo che per questo<br />
se a noi dovesse capitare una disabilità motoria, la prenderemmo positivamente perché “è meno<br />
grave di altre disabilità”. La quantità di barriere architettoniche esistenti è tale che, per noi che<br />
camminiamo, è difficile rendersene conto. Sono innumerevoli le situazioni nelle quali è presente<br />
l’ascensore ma per raggiungerlo c’è un piccolo gradino, così piccolo che chi ha le gambe<br />
funzionanti non lo avverte neppure. Oppure di un negozio che ha abbattuto le barriere<br />
architettoniche ma il marciapiede su cui insiste l’ingresso non ha lo scivolo o lo stesso è stato<br />
realizzato male, oppure una sala per convegni che è completamente accessibile tranne che per il<br />
palco accessibile solo attraverso le scale. Le persone con disabilità da trauma vertebromidollare<br />
possono avere capacità cognitive intatte, ma sperimentare che è per loro è impossibile utilizzarle è<br />
un’esperienza simile ad un lutto, ritrovarsi con un corpo che non consente loro di essere e di<br />
riconoscersi per ciò che erano è estremamente difficile.<br />
Avere come oggetto di riflessione le persone con disabilità acquisita da trauma sia<br />
vertebromidollare che cerebrale ha significato, in questi anni, mantenere alta l’attenzione sulle<br />
conseguenze sociali dell’evento traumatico. Questo ha favorito un dialogo tra le stesse<br />
associazioni di familiari, dialogo che all’inizio della storia del Tavolo non era per nulla scontato. Ci<br />
sono stati momenti di forte scontro tra i diversi punti di vista.<br />
Da parte dei diversi attori ci sono state situazioni nelle quali ognuno voleva che gli altri<br />
riconoscessero la bontà del proprio lavoro evidenziando al contempo le fragilità e le mancanze<br />
delle altre parti. Durante i primi anni, a fianco degli incontri ufficiali, spesso ci sono stati incontri<br />
chiesti dai singoli partecipanti perché, fuori del luogo di confronto, potessero raccontare la loro<br />
verità su di sé e sugli altri. Di fronte ad interessi forti - e nulla è forte come la vita e la<br />
sopravvivenza dignitosa propria e/o di un familiare - erano presenti posizioni molto lontane.<br />
Trincerati in posizione difensiva, vi erano incomprensioni reciproche, occlusioni al dialogo e al<br />
reciproco ascolto.<br />
Una delle questioni centrali nel lavoro del Tavolo è stata dunque il favorire un riconoscimento ed<br />
una visibilizzazione delle problematiche, tra le quali quelle personali e familiari, ma anche quelle<br />
organizzative ed economiche, senza eludere quelle di politica dei servizi.<br />
Le scelte operative hanno seguito due linee guida: l’attenzione al bisogno personale e l’attenzione<br />
sul piano nazionale.<br />
La presenza dei genitori, ma anche della cooperazione sociale, ricollocava puntualmente il Tavolo<br />
nel bisogno di concretezza; la presenza dei medici che, oltre al lavoro quotidiano, facevano e fanno<br />
parte di gruppi di lavoro nazionale, rinviava a collocarsi dentro scenari di scelte organizzate e<br />
condivise tra strutture e gruppi di lavoro nazionali.<br />
144
La “Guida al ritorno a casa”, per citare un esempio, è stata pensata a partire dal bisogno espresso<br />
dai familiari che lamentavano di aver vissuto le dimissioni come un salto nel vuoto, nel buio. La sua<br />
costruzione ha tenuto conto del bisogno di continuità assistenziale dell’individuo e della necessità<br />
di sostenere la famiglia oltre che sollecitarla a chiedere aiuto ai servizi sociali territoriali per uscire<br />
da una frequente forma di isolamento e schiacciamento sul piano medico–riabilitativo.<br />
Contestualmente, la consegna dello strumento avrebbe sollecitato i servizi sociali territoriali a<br />
conoscere la presenza di un bisogno e a farsi carico della questione spesso non presente con una<br />
domanda. Nella costruzione ci si è avvalsi di spunti e guide di altri documenti presenti e<br />
sperimentati fuori regione in centri di eccellenza 9 .<br />
Ogni investimento va commisurato con l’entità del bisogno e l’entità del bisogno è fatta di<br />
“individualità” e di quantità. La progettazione sociale, la programmazione dei servizi, non possono<br />
prescindere dai numeri, ovvero dal sapere quante persone necessitano di un certo tipo di<br />
intervento. Chi ha l’onere di scegliere quale percentuale, dei soldi a disposizione, distribuire tra le<br />
fasce di bisogno deve basarsi sulla quantità e sulla gravità delle situazioni.<br />
Una questione che, accanto alle riflessioni e alle progettualità inerenti la Guida al ritorno a casa, al<br />
sollievo, alla Conferenze di Consenso, è sempre stata presente è quella del numero di persone con<br />
disabilità acquisita presenti sul territorio. L’espressione spesso usata in testi scientifici e articoli<br />
divulgativi, per riferire delle disabilità acquisite, è quella di “epidemia silenziosa” perché è una<br />
popolazione in continuo aumento. Come verbalizzò con chiarezza il dr. Giambattista Guizzetti nella<br />
sua relazione al Convegno che la Provincia organizzò a Bergamo nel 2007, molte delle situazioni di<br />
stato vegetativo accolte dal Centro Don Orione sono il frutto avvelenato della grande tecnologia<br />
medica che ha dato dei risultati straordinari, che ha contribuito a salvare un’enorme quantità di vite<br />
umane e a migliorare la qualità di queste vite, ma che forse a volte sconfina nell'accanimento o in<br />
quella che si chiama medicina difensiva. Le stesse innovazioni della tecnologia e dei saperi in<br />
medicina che producono i frutti avvelenati, salvano molte vite che un tempo erano destinate a non<br />
farcela. Questo si traduce per qualcuno nel poter riprendere la vita di sempre, per altri ad iniziare a<br />
fare i conti con una disabilità. Una stima grossolana portata dai medici ai primi Tavoli di lavoro<br />
raccontava di circa 40 soggetti l’anno che, a fronte di evento traumatico, riportavano gravi<br />
conseguenze invalidanti. Ogni anno, dunque, la popolazione delle persone con disabilità acquisita<br />
incrementa il proprio numero. Nel corso degli anni, Questa consapevolezza ha sollecitato il Tavolo<br />
a trovare una modalità per capire quante persone con disabilità acquisita sono presenti sul territorio<br />
provinciale, come vivono, quali sono le conseguenze socioeconomiche, di quale tipologia di servizi<br />
hanno usufruito o se ne hanno usufruito, di quale necessita, quanti sono sopravvissuti e quanti<br />
hanno avuto altri ricoveri, magari in altri ospedali, per patologie conseguenti la disabilità. Le<br />
risposte a queste domande potrebbero raccontarci dei costi economici, personali o relazionali che<br />
un evento invalidante comporta al di là di quelli quantificabili in un tempo a breve e medio termine.<br />
9 Soprattutto il "Diario di Bordo", elaborato dall’Unità Gravi Cerebrolesioni e l’Unità di Medicina Riabilitativa del<br />
Dipartimento di Neuroscienze/Riabilitazione dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara, pensato inizialmente per<br />
familiari ed i pazienti ricoverati. La Guida se ne discosta in parte perché l’idea era di fornire anche, quando valutato<br />
opportuno dai medici, il “Diario di Bordo”<br />
145
La dimensione quantitativa, a cui l’indagine coordinata dal dr. Alberto Zucchi ha iniziato a dare<br />
risposta, necessita di criteri di lettura per tradursi, senza tradire, in comprensione dei bisogni<br />
presenti, indipendentemente dalle domande tanto urlate quanto taciute.<br />
Il rischio delle indagini epidemiologiche è che le persone si traducano in numeri. Come scrisse E.<br />
Lussu nel romanzo “Un anno sull’altipiano”: “un soldato morto al confine è una tragedia, mille<br />
soldati morti sono una statistica”. Non dobbiamo cadere nel rischio di trasformare l’analisi<br />
epidemiologica in statistica cruda. La sua collocazione all’interno del lavoro del Tavolo ha favorito<br />
una lettura del materiale a partire dalle motivazioni che avevano ingaggiato la ricerca. Ora<br />
abbiamo a disposizione un materiale che nei prossimi mesi potremo analizzare anche alla luce<br />
delle richieste esplicitate, come già è stato sottolineato, dalle Conferenze di Consenso nazionali.<br />
Sollievo, disabili e servizi: una lettura esplorativa<br />
La prima azione compiuta dal Tavolo è stata produrre un sintetico documento condiviso da tutti i<br />
membri e firmato dalle reciproche istituzioni di riferimento nel gennaio 2005 dal titolo “Osservazioni<br />
sulla situazione presente in provincia di Bergamo e prime ipotesi di lavoro”, con la finalità di fare un<br />
quadro delle realtà esistenti sul territorio provinciale e delineare ipotesi di lavoro in relazione ai<br />
bisogni individuati.<br />
Quel primo documento ha aperto la strada ad una serie di riflessioni ed iniziative alcune delle quali<br />
pensate appositamente per le persone con disabilità acquisita ed altre per la disabilità congenita.<br />
Un primo esempio è la pubblicazione "Sollievo, disabili e servizi: una lettura esplorativa". A fronte di<br />
iniziative volte a sensibilizzare e sostenere progetti di sollievo per famiglie di persone con disabilità,<br />
ci si è chiesti se anche i bisogni delle famiglie delle persone con disabilità acquisita fossero<br />
sovrapponibili a quelli della disabilità congenita. Molto brevemente, la riflessione che è stata fatta è<br />
che per la disabilità congenita ha senso parlare di sollievo solo in relazione alla famiglia, per la<br />
disabilità acquisita invece il bisogno di sollievo è si della famiglia, ma a volte anche della persona<br />
che ha acquisito la disabilità: tornare in un mondo nel quale tutti ti conoscono e riconoscono per il<br />
tuo aspetto fisico attendendosi che anche “il resto” sia “riconoscibile”, può rendere molto difficile<br />
trovare ed esprimere quella che per alcuni è una identità radicalmente nuova. In altre parole, il<br />
mondo attorno ti riconosce e continua a chiederti di essere “quello di prima”, mentre tu hai bisogno<br />
di tempi e di spazi per sperimentarti in una dimensione che non conosci, non immagini e che deve<br />
essere scoperta. In termini di linee guida condivise a livello provinciale, le considerazioni a cui si<br />
giunse con quella ricerca fu che, relativamente alla disabilità congenita, aveva senso parlare di<br />
sollievo alla famiglia, mentre per le situazioni con disabilità acquisita poteva essere corretto<br />
pensare, oltre che a progetti di sollievo per la famiglia, anche a progetti di sollievo per le persone<br />
con disabilità.<br />
Da queste riflessioni, con il velo di quell’ironia che a volte aiuta a suggerire dei pensieri senza<br />
legittimarsi ad esprimerli compiutamente, ci si è chiesti se anche alcune delle persone con<br />
disabilità congenita non potessero aver bisogno saltuariamente di un …. “sollievo dalla famiglia”!<br />
146
“Guida al ritorno a casa”<br />
Nei primi mesi del 2006 è stata avviata una nuova fase di lavoro: la raccolta e l'analisi dei<br />
documenti ufficiali e delle esperienze significative a livello nazionale tra le quali il documento<br />
conclusivo della Commissione tecnico scientifica (istituita con Decreto Ministeriale del 12 settembre<br />
2005) "Stato vegetativo e stato di minima coscienza” - datato Roma 14 dicembre 2005 - e i temi<br />
della Conferenza Nazionale di consenso conclusasi a Verona nel 2005.<br />
Questi approfondimenti e il "Diario di Bordo” - curato dall'Unità Operativa di alta specialità per la<br />
riabilitazione delle gravi cerebrolesioni dell'Azienda Ospedaliera Universitaria "Sant'Anna” di<br />
Ferrara - sono alla base del "Progetto dimissioni” all'interno del quale è stata predisposta la “Guida<br />
per il ritorno a casa”. La Guida ha avuto una prima fase di sperimentazione, avvenuta con la<br />
collaborazione dell’Unita di Riabilitazione di Mozzo e con la Clinica Quarenghi, che ha consentito di<br />
apportare alcune migliorie. È così stata redatta la nuova “Guida al ritorno a casa”. Il dato che è<br />
stato assunto, nel tentativo di affrontarlo, è quello legato alla percezione di una frattura tra il dentro<br />
- l'ospedale, la fase acuta - e la realtà esterna, "il mondo”, frattura riconducibile in parte ai diversi<br />
linguaggi, riferimenti ed obiettivi che differenziano il contesto sanitario da quello sociale. L'obiettivo<br />
è che ci sia uniformità sul territorio provinciale rispetto allo strumento adottato ma, soprattutto, che<br />
sia le informazioni contenute che la terminologia utilizzata siano comprensibili e fruibili anche da<br />
parte di familiari, assistenti sociali, insegnanti ed educatori.<br />
La costruzione dello strumento è stata peraltro assolutamente in linea con quanto prescritto dalla<br />
seconda Conferenza Nazionale di Consenso. Riporto uno stralcio della relazione del dr. Antonio De<br />
Tanti perché tematizza esattamente gli obiettivi della Guida: “Ecco allora la prima<br />
raccomandazione della giuria che dice che, vista la numerosità dei fattori che influenzano il profilo<br />
del bisogno, è opportuno che la valutazione dei soggetti sia multidimensionale, interprofessionale e<br />
con il coinvolgimento attivo della persona e della sua famiglia. Altro elemento di complessità è la<br />
variabile temporale. Sicuramente, a questo punto, occorre adottare una prospettiva dinamica che<br />
superi i concetti di cronico, di stabile, perché assolutamente insufficienti e fuorvianti nella ricerca<br />
della meta, che deve essere continuamente perseguita, del migliorare, dell’aiutare la persona a<br />
integrarsi, a partecipare di più. Quindi la raccomandazione della giuria è che la valutazione dei<br />
bisogni riabilitativi e assistenziali debba essere prolungata nel tempo, aggiornata e verificata con<br />
frequenza, adeguata alle possibili modificazioni della persona e dell'ambiente in cui essa abita.<br />
Perché anche l'ambiente cambia: pensiamo solo al problema del dopo di noi, le famiglie dei nostri<br />
pazienti che invecchiano e quindi cambia totalmente il panorama in cui dobbiamo inserire il nostro<br />
intervento” 10 .<br />
Cambiare le routine ed introdurre nuove prassi è difficile per tutti. La Guida voleva essere uno<br />
strumento che consentisse di tradurre le indicazioni mediche in parole riconducibili ad azioni<br />
concrete, che potesse costituire una sorta di promemoria scritto delle parole dette in stanze che<br />
10 In: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre<br />
2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009<br />
147
trasudano lacrime e sofferenze in tal quantità da rendere offuscato l’ascolto. Al tempo stesso<br />
l’indicazione di recarsi con la Guida dall’assistente sociale offriva alla famiglia un motivo per<br />
contattare i servizi limitando al minimo la fatica di dover dire dei propri dolori. Le assistenti sociali<br />
dal canto loro, avrebbero saputo che sul loro territorio c’era una persona con un bisogno<br />
assistenziale da tenere monitorato. L’aver introdotto una parte dedicata alle annotazioni della<br />
famiglia, così come richiesto dalla Conferenza di Consenso, significava legittimare la famiglia a dire<br />
dei bisogni e delle speranze, delle fatiche e dei dolori come dei progressi perché la situazione non<br />
venisse letta come cronica, ma in evoluzione. Le annotazioni della famiglia avrebbero favorito una<br />
valutazione “prolungata nel tempo, aggiornata e verificata con frequenza”, oltre che costituire<br />
materiale utile per una lettura in follow up utile ad esempio per affiancare un’indagine<br />
epidemiologica con alcune più riflessioni qualitative.<br />
Il bisogno di una continuità e di una guida è stato sottolineato anche dalla sollecitazione, venuta<br />
sempre dalla Conferenza di Consenso, di identificare un professionista con la “funzione di case<br />
manager 11 che aiuti la persona e la sua famiglia a districarsi tra le diverse opzioni in ambiente<br />
sanitario e sociale, proprio vista la complessità dei bisogni e la difficoltà del muoversi soprattutto<br />
dopo la fase ospedaliera” 12 .<br />
Nonostante il progetto rispondesse alle linee guida identificate dalla Conferenza di Consenso<br />
senza chiedere il forte investimento economico presente invece nell’istituzione del Case Manager,<br />
le strutture che collaborano con il Tavolo hanno fatto fatica ad assumere lo strumento costruito ad<br />
hoc che di fatto è ancora in attesa di venire valorizzato adeguatamente.<br />
“Sostenere percorsi dentro e fuori casa”<br />
Sempre nell'ambito del “Progetto dimissioni” si è lavorato per predisporre un breve opuscolo<br />
informativo, “Sostenere percorsi dentro e fuori casa” da destinarsi ai familiari, agli assistenti sociali<br />
del territorio, ma anche alla gente che per diversi motivi ha avuto occasione di incontrare persone<br />
con disabilità acquisita, con l’obiettivo di favorire un riconoscimento e una visibilizzazione di<br />
problematiche personali e familiari, che spesso sfociano in solitudini ed isolamenti. Molte volte di<br />
fronte a questi problemi si assiste a dei ritiri o a dei percorsi di solitudine centrati quasi unicamente<br />
sulle dimensioni tecniche e riabilitative. A nostro avviso, i motivi sono principalmente due: il primo è<br />
il noto e documentato desiderio di “aggiustare” ciò che si è rotto; il secondo è dovuto alla facilità nel<br />
frequentare luoghi conosciuti, che non guardano con occhi indaganti o giudicanti perché lì “si è tutti<br />
così” e tutti più o meno tutti sanno com’è, perché chi pratica quei posti ha già guardato tutto, è stato<br />
11 La figura del Case manager è peraltro oggetto di studio oggi da parte della Regione e delle ASL anche per quanto<br />
attiene la disabilità congenita<br />
12 A. De Tanti, Analisi dei profili di bisogno sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie.<br />
Individuazione dei criteri per la definizione dei percorsi di presa in carico, in: “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire<br />
qualità di vita tra sociale e sanitario Atti del convegno del 6 novembre 2007”, Provincia di Bergamo, Bergamo, 2009<br />
148
costretto a guardare per conoscere e quindi ora non ha più nulla da voler guardare.<br />
Far girare questo opuscolo ha significato iniziare a provare a scalfire l’omertà e la paura nel dire,<br />
perché questi temi arrivino ad essere sempre più legittimati e se ne possa parlare senza vergogna<br />
e senza comportamenti di ritiro.<br />
Convegno organizzato dalla Provincia e presentazione degli Atti dello stesso<br />
Con il duplice obiettivo di sensibilizzare il territorio e di proseguire nel percorso di radicamento delle<br />
scelte quotidiane in un indirizzo di orizzonte nazionale nel novembre del 2007 è stato organizzato il<br />
convegno “La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario”. La<br />
finalità era quella di portare a Bergamo i contenuti della Conferenza Nazionale di Consenso<br />
svoltasi a Verona nel 2005. Coerentemente con le finalità del Tavolo sono stati invitati, tra gli altri, i<br />
coordinatori dei due gruppi di lavoro che più specificamente avevano affrontato tematiche sociali o<br />
sociosanitarie: Mariangela Taricco che aveva coordinato il gruppo di lavoro avente per oggetto<br />
“Qualità di vita , autodeterminazione, ruolo della famiglia” e Antonio De Tanti per l’oggetto “Analisi<br />
dei profili di bisogno, sociale e sanitario, delle persone con GCA e delle loro famiglie.<br />
Individuazione dei percorsi di presa in carico”. Giambattista Guizzetti ha portato le linee guida della<br />
conferenza di Roma sugli stati vegetativi e Pietro Salvi ha contestualizzato gli interventi riportando<br />
la storia delle Conferenze di Consenso. Il pomeriggio è stato tutto dedicato alla dimensione locale,<br />
ovvero a come e quali delle teorie e delle indicazioni esposte la mattina erano state accolte<br />
dall’operatività attivata nella nostra provincia. Non ci dilunghiamo sul racconto dei contenuti perché<br />
una pubblicazione, curata e presentata dalla Provincia nel 2009, ha reso disponibili gli Atti di quella<br />
giornata.<br />
Iniziative formative<br />
All’interno di progetti di formazione e di sensibilizzazione ci sono state due diverse iniziative.<br />
Un’altra iniziativa, che rispetto al convegno ha coinvolto un numero ridotto di persone, ma che ha<br />
rappresentato una prima apertura verso un tema mai preso in considerazione, neppure a livello<br />
nazionale, è stato quello di un’ iniziativa per siblings 13 resa possibile grazie all’impegno della<br />
Provincia.<br />
Infatti, un significativo gruppo di fratelli o sorelle di persone con disabilità acquisita compilò un<br />
questionario elaborato dal settore Politiche Sociali e Salute della Provincia e diffuso attraverso le<br />
associazioni di genitori ed i servizi; questo ha consentito di organizzare alcuni incontri dedicati a<br />
loro. La differenza tra questo gruppo e quelli dei siblings con disabilità congenita è stata forte, ma<br />
13 Il termine inglese consente di indicare, con una sola parola, i fratelli e le sorelle di persone con disabilità<br />
149
per le considerazioni specifiche rinviamo ai Report pubblicati sul sito della Provincia. Il dato che<br />
sinteticamente può essere riportato è quello della presenza, molto di più che negli altri gruppi, della<br />
componente della rabbia.<br />
La seconda iniziativa, costruita con Confcooperative e con un ruolo forte della cooperativa<br />
Progettazione, è stato un percorso di formazione dedicato agli operatori.<br />
La Conferenza Nazionale di Consenso chiedeva servizi dedicati per le persone con disabilità<br />
acquisita, ma i numeri presenti sui territori non riescono a permettere la sostenibilità di iniziative di<br />
questo genere, così le persone con disabilità acquisita frequentano i centri nati per le persone con<br />
disabilità congenita, a meno che non si tratti di un percorso individuale.<br />
Piuttosto che sollecitare le cooperative della provincia all’ideazione di strutture e proposte dedicate<br />
che non avrebbe trovato alcuna risposta soprattutto in questi tempi di scarsità di risorse, si è<br />
pensato di costruire una proposta formativa indirizzata alle cooperative che si occupano di<br />
disabilità congenita per intercettare tutti quegli operatori che hanno in carico, tra i loro utenti, anche<br />
persone con disabilità acquisita. Il primo obiettivo è stato sicuramente quello di iniziare a dare loro<br />
alcune indicazioni specifiche relative alle caratteristiche che differenziano questa tipologia di<br />
disabilità da altre. La speranza è che, in futuro, la consapevolezza dei bisogni specifici, ma anche il<br />
raccordo con comuni confinanti, possa far nascere alcune iniziative dislocate sull’intero territorio<br />
provinciale senza la caratteristica dell’offerta a macchia di leopardo che un po’ ci contraddistingue.<br />
Un’aspirazione più teorica, invece, è che i bisogni specifici delle persone con disabilità acquisita<br />
provochino una rilettura delle progettualità consolidate dedicate alle disabilità congenite perché si<br />
ritiene che ciò possa essere vantaggioso per entrambi: da un lato convogliare e valorizzare<br />
esperienze e reti consolidate, dall’altro interrogarsi sui significati e su possibili modalità<br />
complementari.<br />
Prospettive di lavoro<br />
Sarebbe utile incrociare i dati dell’indagine epistemologica con la Mappatura Provinciale che<br />
racconta di quali sono le persone conosciute o/e in carico ai servizi sociali. Quante delle persone<br />
che dovrebbero essere sul territorio sono note? Quante di queste godono di offerte di servizi? Quali<br />
sono i bisogni accolti e quali quelli che non hanno ancora trovato spazio?<br />
Certamente, se ci sarà una divergenza tra quello che dovrebbe essere e ciò che per il territorio è,<br />
servirà attivarsi per capire quali sono le cause e quali le modalità per superarle. Un’analisi<br />
congiunta dei dati raccolti ci potrà raccontare la dimensione del bisogno e quanto questo è<br />
coerente con la domanda consapevole ed esplicitata. Tra le proposte formative in cantiere vi è una<br />
giornata di formazione alle assistenti sociali.<br />
Quello che è certo è la volontà della Provincia, Settore Politiche Sociali e Salute, nel volere<br />
continuare l’esperienza di collaborazione con gli Enti che partecipano al Tavolo al fine di garantire<br />
alle persone con disabilità acquisita prospettive di una vita migliore e di qualità.<br />
150
NECESSITÀ DI UNA RETE TERRITORIALE A SUPPORTO DEL<strong>LA</strong> CONT<strong>IN</strong>UITÀ<br />
ASSISTENZIALE DEL PAZIENTE CON GRAVE CEREBROLESIONE ACQUISITA<br />
<br />
Giovanni Melizza 1 e Lorella Algeri 2<br />
Nella provincia di Bergamo risiedono oltre un 1.000.000 persone. La rilevanza epidemiologica<br />
presentata impone la necessità di offrire interventi sanitari e sociali che possano rispondere ai<br />
bisogni di salute dei pazienti e delle loro famiglie poichè la Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA)<br />
è la causa più frequente di disabilità nella fascia di età relativa alla popolazione attiva. Uno dei<br />
bisogni è certamente il recupero dell’autonomia possibile che si realizza con il contributo della<br />
riabilitazione sia sanitaria che sociale. Attualmente gli interventi in ambito sanitario ed in quello<br />
sociale sono orientati al modello bio-psico-sociale, che pone al centro del sistema il cittadino<br />
disabile e il suo contesto familiare nella loro interazione con l’ambiente sociale e con le istituzioni<br />
orientando conseguentemente tutte le attività rispetto a tale priorità e verificandone i risultati.<br />
Affrontare gli aspetti legati alla riabilitazione delle persone con disabilità acquisita significa<br />
innanzitutto averne una visione globale che a partire dalla valutazione del dato oggettivo (la<br />
menomazione) vanno al di là di questo e toccano il vissuto di ogni singolo soggetto nel suo<br />
peculiare contesto, chiamando in causa non solo singoli campi di specializzazione, ma l’insieme<br />
delle strutture e dei servizi dedicati. In questo contesto il termine riabilitazione indica un processo di<br />
soluzione dei problemi nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di<br />
vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, sia mediante attività sanitarie di<br />
riabilitazione (interventi valutativi, diagnostici, terapeutici finalizzati a contenere o minimizzare la<br />
disabilità) sia mediante attività di riabilitazione sociale (azioni e interventi finalizzati a garantire al<br />
disabile la massima partecipazione possibile alla vita sociale con la minor restrizione possibile delle<br />
sue scelte operative indipendentemente dalla gravità delle menomazioni e delle disabilità al fine di<br />
contenere la condizione di handicap). Analogo approccio globale ed integrato è adottato<br />
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che ha elaborato una classificazione del<br />
Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF). Anche in questa classificazione è prospettato<br />
il modello bio-psico-sociale della disabilità che si basa sull’integrazione del modello medico (che<br />
tradizionalmente vede la disabilità come problema personale, causato da malattie, traumi o altre<br />
condizioni di salute che necessitano di assistenza medica individuale) con il modello sociale (che<br />
vede la disabilità principalmente in termini di limitazione alla piena integrazione degli individui nella<br />
società, e non come attributo di un individuo, ma piuttosto come un insieme complesso di<br />
condizioni, sia personali che sociali). In altri termini secondo il modello bio-psico-sociale la disabilità<br />
<br />
1Fisiatra, Responsabile U.S.C. Medicina fisica e Riabilitazione, Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo<br />
2 Psicologa, U.S.S.D. Psicologia Clinica - U.S.C. Medicina Fisica e Riabilitazione, Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di<br />
Bergamo<br />
151
è il risultato di una complessa relazione tra l’individuo e i fattori personali e ambientali che<br />
rappresentano le circostanze in cui vive l’individuo stesso, secondo una visione complessiva a<br />
livello biologico, individuale e sociale; tale modello mette in evidenza come ciascun soggetto<br />
disponga di abilità e/o disabilità solo in rapporto con l’ambiente in cui interagisce. In questo senso<br />
non si parla più di “handicap” inteso come situazione di svantaggio, ma di “partecipazione sociale”<br />
intendendo il livello di coinvolgimento di un individuo nelle situazioni di vita. In questo quadro lo<br />
scopo dell'intervento riabilitativo è “guadagnare salute”, in un'ottica che vede la persona con<br />
disabilità e limitazione della partecipazione non più come “malato”, ma come “persona avente<br />
diritti” (conferenza di Madrid del 2002, anno europeo della persona con disabilità). Quindi compito<br />
dell'intervento riabilitativo è definire la “persona”, per poi realizzare tutti gli interventi sanitari<br />
necessari a far raggiungere alla persona stessa, nell'ottica del reale empowerment, le condizioni di<br />
massimo livello possibile di funzionamento e partecipazione, in relazione alla propria volontà ed al<br />
contesto. Il “percorso assistenziale integrato” è il riferimento complessivo che rende sinergiche le<br />
componenti sanitarie e non sanitarie dell'intervento riabilitativo. In tale ambito il Progetto<br />
Riabilitativo Individuale (PRI) rappresenta lo strumento specifico, sintetico ed organico per tutto ciò,<br />
unico per ciascuna persona, definito dal medico specialista in medicina fisica e riabilitazione in<br />
condivisione con gli altri professionisti coinvolti nel team riabilitativo. Elementi essenziali sono<br />
sempre rappresentati da una buona informazione e dalla partecipazione consapevole ed attiva alle<br />
scelte ed agli interventi da parte della persona che ne è al centro, della famiglia e del suo contesto<br />
di vita. Gli interventi derivanti dal progetto riabilitativo, incentrati sui diversi problemi rilevati,<br />
necessitano di una valutazione sistematica della performance e della definizione di obiettivi ed<br />
indicatori di processo, al fine della verifica del raggiungimento del risultato atteso. II PRI,<br />
applicando i parametri di menomazione, limitazione di attività e restrizione di partecipazione sociale<br />
elencati nella International Classification of Function (ICF), definisce la prognosi, le aspettative e le<br />
priorità del paziente e dei suoi familiari; viene condiviso con il paziente, quando possibile, con la<br />
famiglia ed i caregiver, definisce le caratteristiche di congruità ed appropriatezza dei diversi<br />
interventi, nonché la conclusione della presa in cura sanitaria in relazione agli esiti raggiunti (Piano<br />
di indirizzo per la riabilitazione. Ministero della Salute 2011).<br />
Il grafico sottostante rappresenta l’andamento temporale del bisogno riabilitativo di tipo sanitario e<br />
di tipo sociale: la linea tratteggiata indica il bisogno di tipo sanitario, la linea continua il bisogno di<br />
tipo sociale.<br />
<br />
152
E’ evidente come ad una maggiore partecipazione sanitaria nelle fase acuta del danno, si<br />
inseriscano precocemente e progressivamente le necessità di interventi sociali che diventano<br />
preponderanti nella fase degli esiti. Come costruire allora un percorso che possa prevedere<br />
l’integrazione delle necessità sanitarie e di quelle sociali ovvero una rete territoriale a supporto<br />
della continuità assistenziale del paziente con GCA? Le indicazioni delle Linee Guida Nazionali del<br />
trattamento del trauma cranico minore e severo, le tre Conferenze di Consenso sulla Grave<br />
Cerebrolesione Acquisita, la Conferenza di Consenso sulla Riabilitazione Neuropsicologica della<br />
persona adulta e le Linee Guida del Ministero della Salute relative alla riabilitazione, permettono di<br />
delineare un percorso socio-sanitario integrato che prevede compiti e caratteristiche della struttura<br />
sanitaria riabilitativa. Nella fase acuta, la gestione dell’emergenza viene realizzata attraverso<br />
l’attivazione dei Dipartimenti di Emergenza (DEA). Il DEA di 2° livello è fornito di Centro Traumi<br />
Alta Specializzazione (CTS) e di riabilitazione per costruire da subito un percorso sanitario e<br />
sociale integrato nelle prime fasi al fine di facilitare la comunicazione e l’informazione con i parenti<br />
sulla situazione clinica, gli esiti e delineare una possibile prognosi. Tale organizzazione facilita il<br />
contatto con i servizi sociali, l’individuazione di strutture riabilitative di riferimento dopo<br />
l’emergenza, migliora gli indici di sopravvivenza. L’attivazione della riabilitazione in tale ambito<br />
porta più facilmente a prevenire danni terziari, minimizzare le menomazioni, facilitare la ripresa di<br />
contatto. L’attuazione di pratiche di fisioterapia respiratoria, controllo posture, monitoraggio della<br />
responsività e rapido passaggio in degenza riabilitativa consente inoltre un miglioramento della<br />
prognosi ed una riduzione dei giorni di degenza (1° Conferenza di Consenso sulle GCA, Linee<br />
Guida Nazionali di riferimento per il trattamento del trauma cranico minore e severo, riferimenti<br />
normativi accordo Stato Regioni del 04.04.2002 e Accordo Stato Regioni del 29.04.2004,<br />
Conferenza Stato Regioni del 03.02.2005). Viene stabilita la classificazione dei pazienti in tre livelli<br />
<br />
153
di gravità che consente di meglio definire l’allocazione in ambito riabilitativo (1° Conferenza di<br />
Consenso sulle GCA):<br />
soggetti con disabilità di grado lieve o moderata secondo la Glasgow Outcome Scale (GOS)<br />
– Disability Rating Scale (DRS) 6;<br />
soggetti con disabilità moderata o grave secondo la GOS – Level Cognitive Functional (LCF)<br />
3 e DRS 21;<br />
soggetti in stato vegetativo e o minima responsività secondo la GOS – LCF 3 e DRS > 22.<br />
Il passaggio alla riabilitazione può essere preceduto da una collocazione temporanea in unità subintensive<br />
ad alta valenza riabilitativa, affiancata alla rianimazione. In ambito riabilitativo l’intervento<br />
si realizza con la formulazione di un progetto riabilitativo personalizzato (orientato all’individuo)<br />
con programmi specifici, attuato da figure professionali diverse inserite in team e che lavorano<br />
insieme in modo interprofessionale, cioè per obiettivi comuni in base all’ outcome globale e<br />
funzionale, ma anche multiprofessionale multidisciplinare (3° Conferenza di Consenso GCA). In<br />
tale progetto riabilitativo vengono identificate le seguenti figure professionali: fisiatra, infermiere,<br />
fisioterapista, terapista occupazionale, neuropsicologo, logopedista, psicologo clinico, assistente<br />
sociale (1° e 3° Conferenza di Consenso GCA). E’ necessario che la Riabilitazione sia dotata<br />
anche di un progetto riabilitativo di struttura quali spazi adeguati, arredamento, organizzazione del<br />
lavoro e delle modalità operative orientato alla protezione ed alla stimolazione delle capacità<br />
funzionali e relazionali dei malati. La struttura riabilitativa deve essere in grado di fornire delle<br />
garanzie di base, la possibilità di seguire pazienti anche in stato vegetativo (SV) con cannula<br />
tracheale, bisogno di ossigenoterapia anche in continuo, alimentati con Gastrostomia Percutanea<br />
Endoscopica (PEG), dotati di catetere venoso centrale (1° Conferenza di Consenso GCA).<br />
Deve altresì essere in grado di gestire un numero consistente di pazienti ogni anno (si parla di<br />
numero non inferiore a 30 gravi cerebrolesioni annue), deve inoltre avere il supporto di molte<br />
specialità e la possibilità di effettuare indagini strumentali con facilità. (Neurochirurgia, Neurologia,<br />
Otorinolaringoiatria, Oculistica, Neuroradiologia , Neurofisiopatologia, Dietologia,<br />
Gastroenterologia, Ortopedia, etc.).<br />
La struttura riabilitativa deve anche essere in grado di affrontare le comuni problematiche e<br />
complicanze legate alla grave cerebrolesione quali: crisi neurovegetative; problematiche<br />
neuroendocrine; gestione della ventilazione della respirazione; autonomia respiratoria, nutrizionale<br />
e sfinterica con svezzamento dai presidi; fornire adeguato apporto nutrizionale; valutare e gestire la<br />
deglutizione; monitoraggio dello stato vegetativo e della responsività; facilitazione riabilitativa e<br />
farmacologica alla ripresa di contatto; controllo dei possibili rischi legati all’insorgenza<br />
dell’idrocefalo; gestione delle menomazioni e disabilità sensomotorie compresa la spasticità;<br />
valutazione e trattamento delle menomazioni e disabilità cognitivo- comportamentali (1°e 3°<br />
Conferenza di Consenso GCA, 1° Conferenza di Consenso sulla Riabilitazione Neuropsicologica).<br />
La struttura riabilitativa deve poi occuparsi della realizzazione di un piano di dimissione strutturato,<br />
formulato tempestivamente, condiviso con il paziente e i familiari e con il coinvolgimento delle<br />
<br />
154
strutture e operatori del territorio, per garantire la continuità assistenziale e il processo di reintegro<br />
(1° e 3° Conferenza di Consenso GCA).<br />
Viene raccomandata un’organizzazione in rete con tutte le strutture ed i soggetti che, in un dato<br />
ambito territoriale, sono coinvolte nella presa in carico della persona con GCA dopo la fase della<br />
ospedalizzazione, con uno stretto raccordo fra tale rete di servizi e le strutture ospedaliere di<br />
riabilitazione. Tale integrazione diviene fondamentale perché una delle caratteristiche di questa<br />
patologia é la facile modificazione nel tempo del profilo di bisogno della persona con GCA e della<br />
sua famiglia. Occorre quindi adottare una prospettiva dinamica nelle valutazioni, pianificazioni e<br />
realizzazione degli interventi derivata dai fattori clinici, personali ed ambientali. La necessità di<br />
personalizzare gli interventi non va intesa solo come possibile scelta tra opzioni possibili in<br />
funzione dei bisogni, ma anche la loro coordinazione ed integrazione. Ne consegue la necessità di<br />
assicurare una funzione di case management a supporto di ogni persona e nucleo familiare. Si<br />
raccomanda che i trattamenti vengano attuati da operatori competenti e che venga fornita al<br />
paziente ed ai familiari una completa informazione rispetto ai risultati attesi ( 2° Conferenza di<br />
Consenso GCA).<br />
Vengono fornite indicazioni alla diffusione delle informazioni dei servizi esistenti ed i programmi di<br />
supporto alla persona per facilitare la domiciliazione tramite interventi finanziari specifici. Si devono<br />
realizzare percorsi che facilitino nel complesso la formazione lavorativa, l’inserimento al lavoro con<br />
tirocini, il tutoraggio o percorsi presso strutture a lavoro protetto come ad esempio le cooperative di<br />
tipo B (2° Conferenza Consenso GCA).<br />
Vengono fornite alle regioni indicazioni per:<br />
- l’attivazione di strutture degenziali specializzate qualora non sia possibile il rientro al domicilio<br />
al termine della fase ospedaliera;<br />
- l’attivazione di strutture di riabilitazione sociale identificate come Centri Diurni per pazienti<br />
definitivamente dimessi dalle strutture sanitarie, ma con gravi esiti motori e/o cognitivi<br />
cronicizzati in cui operatori specificatamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria<br />
assistenza e le adeguate stimolazioni;<br />
- l’attivazione di strutture di sollievo temporaneo per salvaguardare la qualità di vita dei<br />
familiari.<br />
Viene segnalata la necessità della funzione del case management con la individuazione di una o<br />
più figure con funzione di coordinatore formato e informato (assistente sociale, assistente sanitario,<br />
etc.) in grado di assicurare il sostegno alle famiglie nell’individuare il percorso riabilitativo da<br />
seguire, nel suggerire le opportunità assistenziali ed economiche nella fase post acuta, nel<br />
coadiuvare il disbrigo di pratiche amministrative e giuridiche e nel mantenere i collegamenti e le<br />
integrazioni fra i diversi servizi coinvolti. Si sollecitano inoltre le istituzioni a fornire maggior<br />
sostegno sociale alle famiglie per le pratiche di invalidità, di attivazione dell’Assistenza Domiciliare<br />
Integrata (ADI), di deducibilità fiscale ed eventuali riconoscimenti economici.<br />
Nelle conferenze di consenso la normativa nazionale per le GCA appare sufficientemente<br />
esaustiva, ma vengono parimenti evidenziate disomogenee applicazioni ed interpretazioni nelle<br />
<br />
155
diverse realtà regionali e locali delle normative, insufficiente raccordo fra le diverse agenzie,<br />
strutture ed istituzioni coinvolte nell’applicazione delle normative.<br />
Vengono pertanto suggerite lo sviluppo di azioni di raccordo e di scambio attivo di informazioni fra<br />
le diverse istituzioni. E’ necessario inoltre sperimentare modalità innovative anche attraverso<br />
partnership fra soggetti pubblici e privati (2° Conferenza di Consenso GCA).<br />
Date tali indicazioni, è possibile con la normativa attuale costruire questo percorso? La creazione<br />
di un percorso sanitario per le GCA trova supporto legislativo nella seguente legislazione:<br />
<br />
- La legge 595 /85 “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale<br />
1986-1988” definisce, all’art. 5, i presidi e i servizi di alta specialità come le attività che<br />
richiedono particolare impegno di qualificazione,mezzi, attrezzature e personale<br />
specificatamente qualificato e, all’art 8 viene individuato il progetto-obiettivo “ la prevenzione<br />
degli handicap, la riabilitazione e la socializzazione dei disabili fisici, psichici e sensoriali”.<br />
- Nel Decreto Ministeriale della Sanità del 29.01.1992 sono riconosciuti nelle attività di alta<br />
specialità della riabilitazione due tipologie di presidi neuroriabilitativi “riabilitazione delle para<br />
e tetraplegie acute e del coma apallico” e la “riabilitazione dei cerebrolesi” definite come<br />
strutture riabilitative di terzo livello o presidi di alta specialità. Tale decreto pone delle<br />
indicazioni alla dotazione obbligatoria di servizi e delle funzioni erogabili per ogni tipologia di<br />
strutture di alta specialità. Definisce la tipologia di pazienti ammessi e prevede la<br />
realizzazione di: 1) unità per para e tetraplegie e del coma apallico; 2) unità per la<br />
riabilitazione dei cerebrolesi, destinati al trattamento delle gravi cerebrolesioni<br />
prevalentemente post traumatiche caratterizzate da un periodo protratto di coma GCS < 8. In<br />
tale presidio non sono di norma trattati gli esiti di ictus (stroke ed altre cerebropatie<br />
degenerative). Il bacino d’utenza effettivo deve essere compreso tra 6 e 9 milioni per le<br />
cerebropatie e tra 14 e 17 milioni per para e tetraplegie e coma apallici. Dati oggettivamente<br />
poco consoni all’entità epidemiologica ed alla fattiva possibilità di rieducare con il<br />
coinvolgimento dei familiari e l’ attivazione dei percorsi sociali.<br />
- La legge finanziaria 1996 (legge 549 del 28.12.1995) introduce nell’organizzazione interna<br />
degli ospedali il modello dipartimentale al fine di consentire ai servizi affini e complementari di<br />
operare in forma coordinata per evitare ritardi, disfunzioni e distorto utilizzo di risorse<br />
finanziarie.<br />
- Per gli aspetti economici il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 prevedeva per l’alta<br />
specialità riabilitativa “l’analisi di consumo di risorse e costi associati ai diversi tipi di<br />
intervento, per consentire valutazioni sistematiche, anche al fine di pervenire ad una<br />
tariffazione per livelli e per tipologie di intervento”.<br />
- Nelle linee guida del Ministero della Sanità per le attività di Riabilitazione del 1998<br />
(Conferenza Stato Regioni e Prov. Aut. del 07.05.1998 pubblicato sulla Gazzetta serie<br />
generale n° 124 del 30.05.1998, viene ampliata l’offerta per l’alta specialità riabilitativa con la<br />
possibilità di istituire: 1) unità spinali per le lesioni midollari; 2) unità per le gravi<br />
156
cerebrolesioni; 3) unità per le disabilità gravi in età evolutiva; 4) le unità per la rieducazione<br />
delle turbe neuropsicologiche acquisite. Tali linee guida individuano “l’unità operativa per le<br />
gravi cerebrolesioni acquisite ed i gravi traumi cranio encefalici alla presa in carico di pazienti<br />
affetti da esiti di grave cerebrolesione acquisita (di origine traumatica o di altra natura) e/o<br />
caratterizzata nell’evoluzione clinica da un periodo di coma più o meno protratto (GCS < 8) e<br />
dal coesistere di gravi menomazioni comportamentali che determinano disabilità multiple e<br />
complesse e che necessitano di interventi valutativi e terapeutici non realizzabili presso le<br />
altre strutture che erogano interventi di riabilitazione intensiva”. L’alta specialità riabilitativa<br />
deve dotarsi di un’area sub intensiva ad alta valenza di recupero e rieducazione funzionale e<br />
deve coordinare il proprio intervento con i servizi di riabilitazione estensiva o intermedia o<br />
intensiva con i quali dovrà raccordarsi per il ritorno in tempi adeguati del disabile nel proprio<br />
territorio garantendo il completamento del percorso riabilitativo. E’ bene evidenziare che l’alta<br />
specialità riabilitativa con le Linee Guida del 1998 si arricchisce della creazione della Unità<br />
per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite da realizzarsi all’interno di un<br />
presidio ospedaliero dove siano presenti le seguenti specialità: neurologia, medicina fisica e<br />
riabilitazione, neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica e<br />
dotata di personale specificatamente addestrato e qualificato e numericamente adeguato.<br />
Sempre le Linee Guida del 1998 per la riabilitazione quantificano le attività svolte in<br />
riabilitazione intensiva in tre ore giornaliere omnicomprensive (infermiere, medico, terapista,<br />
logopedista, etc.) con progetti e programmi contenuti in 120 giorni da realizzarsi in presidi<br />
ospedalieri plurispecialistici e monospecialistici ove siano già presenti funzioni di ricovero e<br />
cura ad alta intensità diagnostica ed assistenziale o nei quali si sia costituita una specifica<br />
unità operativa, in grado di garantire la presa in carico multicomprensiva di individui di tutte le<br />
età. Le attività di riabilitazione ospedaliera sono prevalentemente effettuate nelle Unità di<br />
Recupero e Riabilitazione Funzionale e di Alta Specialità in particolare neuro riabilitativa. Le<br />
Linee Guida del 1998 non pongono l’obbligo ma forniscono solo indirizzi tecnico-organizzativi,<br />
non prescrittivi, ferma restando l’autonomia delle regioni nel definire i contenuti e le procedure<br />
di accreditamento, nonché la loro allocazione sul territorio in coerenza con la<br />
programmazione regionale e nazionale. Altro limite è che non forniscono indicazioni su come<br />
realizzare un’integrazione con il sociale.<br />
- Il Piano sanitario Nazionale 1998-2000 richiama l’attenzione alla continuità terapeutica e<br />
descrive l’assistenza riabilitativa corrispondente a strutture e servizi a diversi livelli<br />
(distrettuale, sotto-distrettuale e multizonale) e con diversa modalità di organizzazione<br />
dell’offerta (ospedaliera, extraospedaliera, di natura residenziale, semiresidenziale).<br />
- In relazione alla valutazione e riabilitazione neuropsicologica dei deficit cognitivi e<br />
comportamentali la prima Conferenza di Consenso “Riabilitazione neuropsicologica della<br />
persona adulta” svoltasi a Siena nel febbraio 2010, individua come figura elettiva per la<br />
valutazione e riabilitazione neuropsicologica lo specialista in neuropsicologia e conferma che<br />
il modello delineato dalle Linee Guida ministeriali sulla riabilitazione, che prevede l’esistenza<br />
157
di unità per la riabilitazione delle turbe neuropsicologiche acquisite integrate all’interno di<br />
strutture specialistiche ospedaliere, risponde all’esigenza di presa in carico globale del<br />
paziente in modo coerente con il modello bio-psico-sociale in riabilitazione.<br />
- Le recenti Linee Guida 2011 accordo Stato Regioni 10.02.2011, il Piano di indirizzo per la<br />
Riabilitazione - Gruppo di Lavoro sulla Riabilitazione-, il Ministero della Salute introducono<br />
ufficialmente il modello bio-psico-sociale (ICF) “che pone al centro al centro il cittadino con<br />
disabilità e la sua famiglia nella loro interazione con l’ambiente sociale e con le istituzioni e<br />
che conseguentemente orienta tutte le attività a tale priorità verificandone i risultati. Lo<br />
strumento principale per concretizzare questa impostazione unitaria è il percorso<br />
assistenziale integrato basato sulla valutazione multidimensionale e sociale”.<br />
- Il percorso assistenziale integrato è il riferimento complessivo che rende sinergiche le<br />
componenti sanitarie e non sanitarie dell’intervento riabilitativo. In tale ambito il Progetto<br />
Riabilitativo Individuale rappresenta lo strumento specifico sintetico ed organico per tutto ciò.<br />
Il documento segnala l’importanza di un governo clinico dei diversi professionisti coinvolti che<br />
richiede cultura, strumenti, metodi, organizzazione e modalità di remunerazione specifiche<br />
non mutuabili da quelle della fase acuta; introduce il concetto di “persona ad alta complessità”<br />
(PAC) necessitante di una collocazione riabilitativa adeguata; delinea un percorso riabilitativo<br />
unico per il paziente e conferma le necessità di un progetto di struttura; richiama la necessità<br />
di un dipartimento di riabilitazione che garantisce la clinical governance del percorso<br />
garantendo la continuità ospedale territorio sul piano riabilitativo. Viene riconfermata la<br />
suddivisione tra Riabilitazione Intensiva e Riabilitazione Intensiva ad Alta Specializzazione<br />
(secondo L.G. 1998) e fa risultare in 19 su 21 regioni e province autonome, la presenza delle<br />
Unità per Gravi Cerebrolesioni (UGC) e in 6 su 21 le Unità per la riabilitazione delle turbe<br />
neuropsicologiche acquisite (URNA).Tali dati sono peraltro non rilevabili. Viene comunque<br />
evidenziato tra i punti deboli dalla situazione attuale che la continuità assistenziale è ottenuta<br />
attraverso la somma di molteplici interventi singoli non realizzando una completa e precoce<br />
presa in carico globale della persona. Il documento ha molte valenze positive ma fornisce<br />
informazioni solo nell’ambito del percorso riabilitativo medico mentre non spiega come<br />
integrare il percorso sociale, né richiama l’utilità del case management.<br />
Le Regioni hanno preso atto dei modelli teorici di riferimento, delle indicazioni scientifiche e delle<br />
normative ministeriali per decretare l’attuazione di procedure organizzative del percorso integrato<br />
riabilitativo al fine di fornire a tutti i soggetti pari opportunità di cura, ma hanno costituito modelli<br />
diversi di risposta al bisogno di un percorso integrato socio-sanitario e secondo i riferimenti ICF.<br />
Nell’attuazione delle norme, il modello meglio definito è il Modello Gracer dell’Assessorato<br />
Politiche alla Salute della Regione Emilia Romagna denominato “Il percorso Assistenziale Integrato<br />
nei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita. Fase acuta e post acuta.” (Progetto di ricerca<br />
finalizzata 2005 Ex art 12 e 12 bis del D. Lgs 502/99). In tale documento oltre agli aspetti<br />
epidemiologici e la possibile evoluzione clinica, vengono fatte proprie le indicazioni del modello<br />
ICF-OMS e del progetto europeo Elios II per l’integrazione sociale dei disabili ed i riferimenti delle<br />
158
conferenze di consenso in materia. Vengono individuate le figure professionali indispensabili al<br />
progetto riabilitativo, delineati i fabbisogni ed i percorsi integrati tra le varie riabilitazioni (intensive<br />
ed estensive). Tra le indicazioni il modello propone un ponte al collegamento con le strutture<br />
sociali, richiama l’importanza del case management e l’attivazione, alla dimissione ospedaliera,<br />
della Unità di Valutazione Multiprofessionale della Disabiltà (UVMD) della AUSL di riferimento nel<br />
caso di Stati vegetativi, Minima Responsività e grave disabilità.<br />
Un altro esempio di modello di rete attuato, realizzato su scala provinciale, è quello che è stato<br />
istituito a Treviso dopo una preventiva indagine sui bisogni di un territorio di 410.000 abitanti.<br />
L’emergenza viene gestita dall’Ospedale di Treviso come centro DEA di 2° livello, accanto alla<br />
terapia intensiva sono stati attivati 5 letti ad alta valenza riabilitativa e ciò ha consentito la riduzione<br />
del consumo di 2 posti letto di rianimazione con contenimento della spesa sanitaria. Il passaggio in<br />
riabilitazione avviene con il ricovero all’Ospedale Riabilitativo di Alta Specialità con 20 posti letto<br />
dedicati per le GCA (Ospedale di Motta di Livenza). Vi è poi alla dimissione da questa unità un<br />
invio, secondo i bisogni del percorso riabilitativo, a strutture che offrono il trattamento riabilitativo<br />
distribuite nella provincia avvalendosi anche di strutture private accreditate. La rete è collegata con<br />
i servizi sociali territoriali. Viene garantita la gestione unitaria del percorso di cura attraverso<br />
procedure e sistemi di comunicazione condivisi. I servizi che vengono offerti riguardano pertanto<br />
tutte le fasi della presa in carico riabilitativa della persona con GCA e delle loro famiglie: fase acuta<br />
rianimatoria, fase riabilitativa intraospedaliera, ambulatoriale, territoriale. I punti di forza<br />
organizzativi sono la creazione nel 2009 di un Dipartimento Funzionale Interaziendale di<br />
Riabilitazione e la gestione dell’Ospedale di Treviso è realizzata direttamente dalla USSL locale.<br />
Le indicazioni del gruppo di lavoro ministeriale del 2011 danno forse troppo per scontato l’esistenza<br />
di una rete integrata effettiva per le gravi cerebrolesioni tanto che esso sollecita la formazione di<br />
unità per lesioni midollari, per patologie cardiache e respiratorie ed inoltre non fornisce più alcun<br />
riferimento sulla utilità e presenza delle unità di per la riabilitazione dei disturbi neuropsicologici<br />
acquisiti (URNA).<br />
Quello appena illustrato è il panorama delle normative nazionali ed alcuni esempi su dove e come<br />
siano stati attivati dei percorsi di rete per le gravi cerebrolesioni. Per vedere lo stato del nostro<br />
territorio dobbiamo riferirci però alla normativa della Regione Lombardia qui di seguito riportata:<br />
<br />
- Il DGR n.7 /19883 del 16.12.2004 ha ridefinito l’organizzazione della riabilitazione in ambito<br />
regionale. Ha posto come obiettivo la creazione di un modello di percorso integrato e continuo<br />
suddiviso in: sanitario, socio- sanitario e socio assistenziale. In tale ambito la riabilitazione<br />
veniva suddivisa in: specialistica (codice 56 e 75), generale geriatrica (codice 60) e di<br />
mantenimento (non per stati vegetativi). Nella riabilitazione specialistica vengono garantiti 160<br />
minuti di assistenza, per la riabilitazione generale geriatrica 120 minuti. Vengono considerate<br />
come necessarie le seguenti figure professionali: medico, terapista della riabilitazione,<br />
logopedista, terapista occupazionale, educatore, ortottista, podologo, tecnico della<br />
riabilitazione psichiatrica.<br />
159
- Nel DDG 12376/05 viene attuata una valutazione delle attività di degenza in area riabilitativa,<br />
già accreditate nel sopracitato decreto, classificando gli interventi riabilitativi per DRG,<br />
sistema basato su raggruppamenti omogenei di diagnosi, su informazioni ricavate dalle<br />
schede di dimissione ospedaliera (SDO) e con remunerazione con tariffe predeterminate. La<br />
classificazione diagnostica è attuata secondo la Classificazione Internazionale delle Malattie<br />
(ICD CM). La tariffa remunerativa è stabilita in base alle giornate di degenza. Esiste un limite<br />
temporale di degenza oltre al quale vi è un importante riduzione della remunerazione<br />
giornaliera.<br />
- Viene introdotta negli anni successivi una normativa regionale a parte per gli stati vegetativi<br />
inviati in strutture assistenziali residenziali o che vengono accolti dai parenti al domicilio: in tal<br />
caso la regione eroga un contributo extra con voucher mensile (Deliberazione della Giunta n°<br />
IX/2633 del 06.12.2011 Regione Lombardia e DGR n 2124/2011). Questo crea gravi disparità<br />
con le persone in condizione di minima responsività che hanno lo stesso tipo di bisogno<br />
assistenziale (vedi anche profilo dei bisogni secondo ICF) senza un adeguato sostegno.<br />
La scelta della Regione Lombardia di individuare un percorso nel settore della “riabilitazione<br />
specialistica” ha varie conseguenze con aspetti di vantaggio e di criticità per la creazione di una<br />
rete territoriale a supporto della continuità assistenziale del paziente con GCA. Tra i vantaggi<br />
possiamo individuare i seguenti punti:<br />
- aumenta teoricamente la possibilità sul territorio di trovare una risposta in ambito riabilitativo<br />
in senso “intensivo” anche vicino al domicilio, facilitando così i familiari e la comunicazione<br />
con le istituzioni locali;<br />
- consente anche a chi ha una GCS > 8 di poter accedere a strutture con requisiti omogenei di<br />
accreditamento, anche perché non è scontato che avere una GCS > 8 non produca grave<br />
disabilità meritevole di un intenso impegno riabilitativo;<br />
- permette il superamento dei 120 giorni di riferimento per il trattamento per le patologie<br />
meritevoli di un intervento “intensivo” secondo le Linee Guida Ministeriali 1998.<br />
Tra gli aspetti critici possiamo evidenziare:<br />
- i compiti devoluti dalle Linee Guida Ministeriali alle strutture con Codice 75 non sono realizzati<br />
(attività di raccordo con la riabilitazione estensiva, addestramento formalizzato ai parenti per<br />
l’assistenza domiciliare per alimentazione e assistenza respiratoria, problematiche cognitive e<br />
del comportamento, assistenza ortesica, attività di consulenza);<br />
- vengono ridotti i minuti di assistenza minima da 180 minuti delle linee guida relative alla<br />
riabilitazione intensiva a 160 minuti die (quando è noto che l’impegno organizzativo e<br />
professionale di norma rende insufficienti i 180 minuti. E’ possibile erogare alta specialità con<br />
tali parametri?). Si può arrivare al paradosso che possono essere riconosciuti nella<br />
assistenza degli stati vegetativi presso le RSA e RSD anche 2200 minuti alla settimana nei<br />
160
soggetti classificati in classe A secondo DGR 19.12.2007, n. VIII /6220 e Circolare<br />
28.01.2008, n.2 della regione Lombardia Direzione Generale famiglia e Solidarietà;<br />
- non vengono richieste figure professionali indispensabili per la gestione di queste patologie<br />
quali neuropsicologi e psicologi per la valutazione e riabilitazione degli aspetti cognitivi,<br />
comportamentali e l’eventuale supporto psicologico ai pazienti e ai familiari, né vengono<br />
attivate le URNA che affianchino le strutture riabilitative. Peraltro l’assenza dei neuropsicologi<br />
nel team riabilitativo difficilmente si concilia con un moderno concetto, almeno sul piano<br />
funzionale se non normativo, di alta specialità riabilitativa;<br />
- vi è il rischio documentabile della disparità che si può realizzare tra strutture accreditate<br />
pubbliche bloccate nelle assunzioni del personale e quelle private che possono scegliere le<br />
figure professionali da assumere in funzione dei bisogni, anche se le strutture pubbliche sono<br />
mediamente le più coinvolte nella fase acuta e post acuta, perché le strutture di emergenza si<br />
trovano più facilmente in tali ambiti (DEA di 2° livello);<br />
- non vengono richieste caratteristiche di accreditamento che siano relative alla riabilitazione di<br />
struttura o all’organizzazione interna per la gestione di questa patologia così complessa, né<br />
vengono richieste specifiche attività di integrazione con il territorio;<br />
- non viene ad ora introdotto in concreto il concetto di Persona ad Alta Complessità (PAC)<br />
previsto dal Piano di indirizzo per la Riabilitazione - Ministero della Salute 2011;<br />
- non viene perseguita la creazione di una rete integrata di servizi in ambito riabilitativo;<br />
- nel piano Socio Sanitario 2007-2009 viene indicato come obiettivo il superamento della<br />
distinzione, all’interno delle reti di riabilitazione, tra assistenza ospedaliera ed<br />
extraospedaliera, perché tale suddivisone non è più ritenuta fondata “né sul piano<br />
assistenziale né su quello organizzativo”. Lo stesso piano pone anche l’obiettivo<br />
imprescindibile di realizzare “l’integrazione della riabilitazione dei settori sanitario e sociosanitario<br />
e la necessità di creare un modello di percorso integrato e continuo sanitario, socio<br />
sanitario e sociale, ove i servizi di riabilitazione si modulano alle differenti condizioni di fragilità<br />
di pazienti” con gli obiettivi tra gli altri di “monitorare l’implementazione della riabilitazione di<br />
mantenimento per il reinserimento e la riabilitazione generale geriatrica in ciclo diurno<br />
continuo, governare la complementarietà dell’intervento riabilitativo, la sua appropriatezza ed<br />
i suoi costi”;<br />
- non vengono incentivate nonostante quanto sopra riportato, sul piano remunerativo, le<br />
strutture che meglio si organizzano nella gestione della riabilitazione delle gravi<br />
cerebrolesioni. Dato rilevato anche dal Ministero della Salute è che “un limite è rappresentato<br />
dai regimi di rendicontazione e tariffazione differenti che non sono basate sul reale utilizzo<br />
delle risorse assegnate, ma che si basano solo su codici di malattia”;<br />
- non viene proposta l’adozione di un case management sanitario come di seguito definito: “Il<br />
case management rappresenta una metodologia di gestione dell’assistenza sanitaria che<br />
161
utilizza un processo di miglioramento dell’efficacia ed efficienza dell’assistenza, basandosi<br />
sulla logica del coordinamento delle risorse da utilizzare per trattare la specifica patologia di<br />
un paziente e coinvolgendo le diverse strutture e organizzazioni del sistema sanitario in cui si<br />
trova” (Mazzucchi, 2011);<br />
- non vengono concentrati i pazienti nelle strutture specializzate al più alto livello di expertise<br />
possibile (3° Conferenza di Consenso GCA) impedendo di fatto di mettere tutti i cittadini nelle<br />
stesse possibilità paritarie di cura;<br />
- non ultimo, il modello scelto dalla Regione Lombardia che suddivide il ruolo di erogatore dei<br />
servizi, cioè le strutture accreditate, da quello del controllore ASL limita, in assenza di obiettivi<br />
comuni e di una regia, la realizzazione di un percorso socio-sanitario unitario delle GCA;<br />
- non vengono recepite a livello normativo le indicazioni del modello bio-psico-sociale ICF in<br />
ambito sanitario, mentre il suo utilizzo in ambito sociale viene introdotto, almeno nelle<br />
intenzioni, con il Piano d’Azione Regionale per le persone con disabilità 2010 -2020;<br />
- le Linee Guida Ministeriali del 1998 prevedono la creazione della Unità per la riabilitazione<br />
delle turbe neuropsicologiche acquisite come unità di bacini sovra regionali. Tale indicazione<br />
pare alquanto inopportuna rispetto all’entità epidemiologica presentata ed inoltre non<br />
permette la fattiva possibilità di rieducare con il coinvolgimento dei familiari, l’attivazione dei<br />
percorsi sociali ed il reinserimento lavorativo, modello ICF, nella realtà territoriale del<br />
paziente. La criticità maggiore è data dalla loro quasi totale assenza dopo quattordici anni<br />
dall’emissione delle Linee Guida e soprattutto nella struttura pubblica. Vi sono alcune<br />
realizzazioni di URNA solo in alcune regioni (Veneto) e all’interno di strutture private<br />
convenzionate e IRCSS. Tali unità sono previste all’interno di un presidio ospedaliero dove<br />
fossero presenti le seguenti specialità: neurologia, medicina fisica e riabilitazione,<br />
neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica con posti letto o<br />
in neurologia o in medicina fisica e riabilitazione e devono essere dotate di personale<br />
specificatamente addestrato,qualificato e numericamente adeguato. Anche la conferenza di<br />
consenso di Siena 2010 conferma che “il modello delineato dalle linee guida ministeriali sulla<br />
riabilitazione, che prevede l’esistenza di unità per la riabilitazione delle turbe<br />
neuropsicologiche acquisite integrate all’interno di strutture specialistiche ospedaliere,<br />
risponde all’esigenza di presa in carico globale del paziente in modo coerente con il modello<br />
bio-psico-sociale in riabilitazione. La giuria ritiene inoltre opportuno che a tali centri ospedalieri<br />
siano affiancati strutture ambulatoriali territoriali, dove sia possibile effettuare una<br />
riabilitazione cognitiva particolarmente indicata per disturbi neuropsicologici selettivi e meno<br />
gravi”. Ma, oltre alla non esistenza delle Unità per la riabilitazione delle turbe<br />
neuropsicologiche acquisite, anche i centri ambulatoriali sul territorio sono pressoché<br />
inesistenti, soprattutto nelle nostre aree. Questo comporta che la struttura di degenza si<br />
accolli per lungo tempo, anche per anni, la riabilitazione cognitiva e comportamentale del<br />
paziente e, con la scarsità di risorse disponibili, ciò comporta una riduzione dell’intervento<br />
162
iabilitativo e la scarsissima possibilità di rapporti di continuità assistenziale con le strutture<br />
sociali territoriali. In relazione poi ai disturbi comportamentali, qualora come spesso accade, ci<br />
sia la necessità di un supporto farmacologico, esiste una grave criticità nella presa in carico di<br />
questi pazienti perché la patologia che determina il disturbo comportamentale è organica e<br />
pertanto i Centri Psico-Sociali (CPS) di competenza territoriale spesso non hanno risorse e<br />
disponibilità. La conferenza di consenso di Siena 2010 individua come “figura elettiva per la<br />
valutazione e riabilitazione neuropsicologica dei deficit cognitivi e comportamentali lo<br />
specialista neuropsicologo”. La realtà a tutt’oggi è ben diversa: la riabilitazione<br />
neuropsicologica è prevalentemente fornita da altre figure professionali (logopediste e<br />
terapisti della riabilitazione); dove poi esistono psicologi con formazione neuropsicologica la<br />
loro posizione contrattuale è quanto mai precaria e tale da non poter garantire una continuità<br />
del servizio.<br />
E’ dunque opportuno porre alcune domande: è possibile istituire la figura del case management in<br />
ambito sociale in tempi rapidi in considerazione del fatto che è già previsto dal Piano d’Azione<br />
Regionale 2010-2020 per le persone con disabilità ? Può la soluzione dei voucher (rimborsi<br />
regionali) consentire un’adeguata gestione delle problematiche socio-sanitarie della GCA in<br />
assenza di strutture che non abbiano valenza sanitaria e che non hanno la vocazione verso<br />
questa patologia?<br />
Nella realtà del territorio lombardo non appaiono sufficientemente presenti:<br />
strutture degenziali specializzate in cui non sia sostenibile il rientro al domicilio al termine<br />
della fase ospedaliera, ad esempio residenze socio- sanitarie (RSD) orientate alla disabilità;<br />
strutture di riabilitazione sociale come Centri Diurni per pazienti definitivamente dimessi dalle<br />
strutture sanitarie, ma con gravi esiti motori e/o cognitivi cronicizzati in cui operatori<br />
specificatamente addestrati siano in grado di offrire la necessaria assistenza e le adeguate<br />
stimolazioni;<br />
strutture di sollievo temporaneo per salvaguardare la qualità di vita dei familiari.<br />
Alcune norme più recenti possono forse offrire l’occasione per creare una rete efficiente.<br />
Il Piano Socio Sanitario della Regione Lombardia 2010–2014 ha come sottotitolo “Programmazione<br />
sanitaria e socio sanitaria, reti di patologia e piani di sviluppo” e recita “Far crescere il benessere<br />
sociale e promuovere la salute: sanità d’avanguardia per garantire la salute: dalla cura al prendersi<br />
cura”. Fornisce indicazioni per la realizzazione di “reti di patologia” che rappresenta un “ modello di<br />
integrazione all’offerta in grado di coniugare esigenze di specializzazione delle strutture sanitarie e<br />
socio sanitarie, diffusione sul territorio di centri di eccellenza e di tecnologie ad elevato standard,<br />
sostenibilità economica, fabbisogni della collettività e dei professionisti che operano in ambito<br />
sanitario e sociale”. Si conferma che “la risposta al bisogno di unitarietà del processo di cura, si<br />
realizza attraverso lo sviluppo di percorsi integrati multidisciplinari e di continuità delle cure, che<br />
garantiscono la centralità del paziente” e in questa ottica “la rete di patologia rappresenta la<br />
163
naturale risposta a queste esigenze, in grado di garantire la continuità delle cure, l’individuazione e<br />
l’intercettazione della domanda di salute con presa in carico globale del paziente ed il governo dei<br />
percorsi sanitari, socio sanitari e sociali, in una rigorosa linea di appropriatezza degli interventi e di<br />
sostenibilità economica”.<br />
Il prendersi cura si realizza nell’evitare “vuoti” assistenziali che possono ripercuotersi in modo<br />
negativo sul sistema con ricorsi inappropriati ai servizi. Per questo in ambito di interventi di sollievo<br />
e pronto intervento sociale viene incentivata la comunicazione e l’integrazione della rete con<br />
accompagnamento dei pazienti e delle famiglie da un nodo all’altro della rete, promuovendo<br />
modalità uniformi di accesso ai servizi attraverso il collegamento e la collaborazione tra i servizi<br />
territoriali delle ASL e dei comuni.<br />
In relazione alle reti di patologia per ora non è prevista alcuna rete per le gravi cerebrolesioni<br />
acquisite.<br />
Nel complesso la percezione è che a livello regionale non sia compresa la rilevanza epidemiologica<br />
e clinica e quindi la diretta ricaduta sul sistema sanitario e l’impatto sul sociale che la grave<br />
cerebrolesione acquisita comporta.<br />
Come costruire allora una rete territoriale a supporto della continuità assistenziale del paziente con<br />
GCA nell’ambito della provincia di Bergamo?<br />
La proposta potrebbe essere quella di costituire anche da noi un Dipartimento funzionale<br />
interaziendale che possa fungere da regia alla creazione di una gestione unitaria dei percorsi di<br />
cura. Il dipartimento riabilitativo è per altro lo strumento ritenuto indispensabile per la clinical<br />
governance dal Piano di Indirizzo per la Riabilitazione del Ministero della Salute del Febbraio 2011<br />
che ha evidenziato, come anche in ambito nazionale, che “la continuità assistenziale è perseguita,<br />
ma non sempre ottenuta, attraverso la concatenazione di diversi interventi singoli, senza realizzare<br />
una completa e precoce presa in carico globale della persona”. La Regione, dal suo canto, alla luce<br />
dei dati epidemiologici, dovrà favorire la creazione di una rete di patologia per le GCA al fine di<br />
orientare investimenti adeguati che consentano anche l’istituzione di centri ambulatoriali per il<br />
proseguimento della riabilitazione soprattutto dei disturbi cognitivi ed emotivo-comportamentali,<br />
causa delle principali disabilità di questa patologia.<br />
<br />
164
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
AA.VV., Atti della 1 a Conferenza Nazionale di Consenso “Modalità di trattamento riabilitativo del<br />
traumatizzato cranio encefalico in fase acuta, criteri di trasferibilità in strutture riabilitative e<br />
indicazioni a percorsi appropriati”, Modena, 2000<br />
AA.VV., Atti della 2 a Conferenza Nazionale di Consenso “Bisogni riabilitativi ed assistenziali delle<br />
persone con disabilità ad grave cerebrolesione acquisita (GCA) e delle loro famiglie nella fase<br />
post-ospedaliera”, Verona, 2005<br />
AA.VV., Atti della 3 a Conferenza Nazionale di Consenso “Buona pratica clinica nella riabilitazione<br />
ospedaliera delle persone con gravi cerebrolesioni acquisite”, Salsomaggiore Terme, 2010<br />
AA.VV., Atti della Conferenza Nazionale di Consenso “La riabilitazione neuropsicologica<br />
dell’adulto”, Siena, 2010<br />
AA.VV., Atti del Convegno “Le gravi cerebrolesioni acquisite: i problemi aperti” 30.03.2012,<br />
Fondazione Don Gnocchi, Rovato (Bs)<br />
AA.VV., Il percorso Assistenziale Integrato nei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita. Fase<br />
acuta e post acuta, Progetto di ricerca finalizzata 2005 ex art 12 e 12 bis del D. Lgs 502/99<br />
AA.VV, Trattamento del Trauma Cranico minore e severo. Linee Guida nazionali di riferimento,<br />
Roma<br />
Basaglia N., Trattato di Medicina Riabilitativa. Medicina fisica e riabilitazione, Idelson-Gnocchi,<br />
2000<br />
Basaglia N., Progettare la riabilitazione, Edi-Ermes, 2002<br />
Engel G.L.,The need a new medical model:a challenge for biomedicine. Science, 1977;196: 129-<br />
136<br />
Mazzucchi A., La riabilitazione delle gravi cerebrolesioni acquisite. Percorsi sanitario assistenziali<br />
problematiche gestionali evidenza dei risultati, Giunti Organizzazioni Speciali, 2011<br />
OMS, ICF Classificazione Internazionale del Funzionamento della disabilità e della salute,<br />
Erickson, 2001<br />
Vallar G., Cantagallo A., Cappa S.F., Zoccolotti P., La riabilitazione Neuropsicologica. Un’analisi<br />
basata sul metodo evidence based medicine, Springer, 2011<br />
<br />
165
RIFERIMENTI NORMATIVI<br />
Circolare n. 2 del 28.01.2008, - Direzione Generale famiglia e Solidarietà, Indicazione in ordine alla<br />
applicazione DGR n. 8/6220 del 19.12.2007, Regione Lombardia<br />
Decreto Direttore Generale n. 12376/05 del 05.08.05, Regione Lombardia<br />
Decreto Ministero della Sanità del 29.01.1992<br />
DGR n. VII/1988 del 16.12.2004, Regione Lombardia<br />
DGR n. VIII/6220 del 19.12.2007, Determinazione in ordine alla assistenza di persone in stato<br />
vegetativo nelle strutture di competenza - Direzione Generale Famiglia e Solidarietà e Sociale<br />
(Finanziamento a carico del Fondo Sanitario- Regione Lombardia)<br />
Deliberazione della Giunta n. IX/2633 del 6.12.2011, Regione Lombardia<br />
Linee guida del Ministero dalla Sanità per le attività di riabilitazione, Gazzetta Ufficiale n. 124 del<br />
30.05.1998<br />
Piano di indirizzo per la Riabilitazione - Gruppo di Lavoro sulla Riabilitazione, Ministero della<br />
Salute, febbraio 2011<br />
Piano Socio Sanitario 2007-2009 della Regione Lombardia<br />
Piano Socio Sanitario 2010-2014 della Regione Lombardia<br />
<br />
166
<strong>LA</strong> RIABILITAZIONE NEUROPSICOLOGICA NEL PAZIENTE CON GRAVE<br />
CEREBROLESIONE ACQUISITA: <strong>DA</strong>L<strong>LA</strong> CONSENSUS CONFERENCE DI<br />
SIENA 2010 AI BISOGNI TERRITORIALI<br />
Maria Grazia Inzaghi 1 e Lorella Algeri 2<br />
La riabilitazione neuropsicologica è un processo terapeutico per migliorare la capacità di un<br />
soggetto con danno cerebrale nell’elaborare ed usare le informazioni e per permettere un migliore<br />
funzionamento nella vita di tutti i giorni (Wilson, 2003a; Sohlberg e Mateer, 1989). Si pone<br />
l’obiettivo di eliminare, ridurre o evitare l’aggravarsi di deficit causati da una compromissione<br />
cerebrale.<br />
Negli ultimi anni sempre più numerose ricerche condotte dagli psicologi hanno messo in luce quali<br />
effetti produce una lesione cerebrale sulle funzioni cognitive. I riabilitatori hanno quindi compreso<br />
che un progetto riabilitativo non può più basarsi sulla sola analisi di abilità residue o compromesse<br />
di natura motoria e sensoriale. Se le conoscenze di base dei riabilitatori in ambito neuropsicologico<br />
si limitavano a constatare la presenza dei disturbi del linguaggio (in caso di cerebrolesione<br />
sinistra), ora è sempre più evidente la necessità di acquisire conoscenze relative ad altre funzioni<br />
(attenzione, funzioni esecutive, memoria, cognizione spaziale, ecc..) che possono influire<br />
negativamente sul processo di recupero motorio e che richiedono di modificare le condotte da<br />
attuare, le modalità di interazione col paziente e la pianificazione stessa degli 'esercizi'.<br />
I deficit delle funzioni cognitive inoltre presentano una ripercussione negativa anche sulle attività<br />
della vita quotidiana e possono determinare notevoli difficoltà in riferimento al reinserimento<br />
familiare, sociale e lavorativo.<br />
La richiesta di riabilitazione neuropsicologica deriva oltre che da una maggiore consapevolezza<br />
dell’importanza degli aspetti cognitivi nel raggiungimento dell’autonomia, nella vita di relazione,<br />
nella vita sociale, anche dal numero crescente di soggetti interessati a causa dall’aumento della<br />
sopravvivenza dopo grave lesione cerebrale, dal miglioramento nelle terapie di alcune malattie<br />
neurologiche e dall’invecchiamento della popolazione.<br />
Negli ultimi anni, a fronte dello sviluppo di numerose procedure riabilitative e alla conduzione di<br />
studi ed esperienze di rilievo nel campo della riabilitazione neuropsicologica, in ambito scientifico e<br />
clinico è stata avvertita l’esigenza della definizione di linee guida relative alle evidenze di efficacia<br />
per gli interventi.<br />
1 Psicologa, Responsabile del Laboratorio di Neuropsicologia, Casa di Cura Quarenghi, S. Pellegrino Terme, Bergamo;<br />
Presidente SPAN, Società degli Psicologi dell’Area Neuropsicologica<br />
2 Psicologa, USSD Psicologia Clinica,USC Medicina Fisica e Riabilitazione Azienda ospedaliera Ospedali Riuniti di<br />
Bergamo<br />
167
Tra i lavori di rilievo relativi alla revisione delle evidenze disponibili in letteratura per l’efficacia della<br />
riabilitazione neuropsicologica e la valutazione della qualità dei singoli studi, si collocano le<br />
raccomandazioni per la pratica clinica del gruppo coordinato da Cicerone (Cicerone et al,2000;<br />
2005) e le linee guida della Task Force della European Federation of Neurological Societies<br />
(Cappa et al, 2003;2005).<br />
Alcune Società Scientifiche italiane (Associazione Italiana di Psicologia, AIP; Gruppo<br />
Interprofessionale di Riabilitazione in Neuropsicologia, GIRN; Società Italiana di Neurologia, S<strong>IN</strong>;<br />
Società Italiana di Neuropsicologia, S<strong>IN</strong>P; Società di riabilitazione Neurologica, SIRN, Società<br />
Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa, SIMFER; Società degli Psicologi nell’Area della<br />
Neuropsicologia, SPAN) nel 2007 hanno iniziato una collaborazione per reperire non solo le<br />
evidenze di efficacia della riabilitazione neuropsicologica ma anche le implicazioni sociali, gli<br />
aspetti organizzativi, normativi e formativi.<br />
L’analisi della letteratura è stata condotta seguendo il modello proposto dal gruppo SPREAD: una<br />
procedura avanzata di Evidence Based Medicine che considera come ‘gold standard’ il Trial Clinico<br />
Randomizzato (RCT) e come livello più avanzato di evidenza la metaanalisi.<br />
Dopo 3 anni di lavoro, i documenti redatti sono stati illustrati nella Conferenza di Consenso a<br />
Siena, nel 2010 e successivamente ad un aggiornamento dei dati derivante dall’analisi della<br />
letteratura sino al 2010, pubblicati in lingua italiana (Vallar et al, 2012) e inglese (Ladavas et al,<br />
2011).<br />
Di seguito vengono presentate le conclusioni emerse dai diversi gruppi di lavoro presentati nella<br />
Conferenza di Consenso di Siena.<br />
I disturbi dell’attenzione e delle funzioni esecutive<br />
(P. Zoccolotti, M. De Luca, C. Guariglia, P. Ianes, L. Trojano)<br />
I disturbi dell’attenzione e delle funzioni esecutive determinano un impatto significativo nella vita di<br />
relazione del paziente, in particolare sulle prospettive di reintegro nel mondo del lavoro. I disturbi<br />
della sfera attentiva si manifestano con l’incapacità di filtrare e selezionare adeguatamente<br />
dall’ambiente l’informazione che deve essere elaborata dal cervello. I disordini disesecutivi si<br />
esprimono con difficoltà di pianificazione delle attività quotidiane, ridotta efficienza della memoria<br />
prospettica e deficit nella selezione e nel controllo delle azioni appropriate in funzione del contesto.<br />
Nel lavoro le due funzioni sono state considerate separatamente<br />
Trattamento dei disordini dell’attenzione<br />
Le conclusioni delle precedenti review (Cicerone et al. 2000; 2005 Cappa et al. (2003 e 2005)<br />
sono relativamente simili. Secondo Cicerone et al. (2000) le prove sostengono l’efficacia di un<br />
training specifico dell’attenzione nella fase post-acuta della malattia e suggeriscono questa forma<br />
d’intervento come Practice guideline. Nella fase acuta, invece, a causa di una non chiara<br />
168
separazione tra recupero spontaneo e recupero indotto dal trattamento, secondo Cicerone et al.<br />
(2000) non vi sono prove convincenti che un intervento specifico dei disturbi dell’attenzione sia<br />
indicato. La conclusione che il training dell’attenzione sia più efficace quando si utilizzano compiti<br />
complessi con una valenza funzionale (compiti strategici) piuttosto che compiti attenzionali di base<br />
(come tempi di reazione a stimoli semplici o vigilanza) è condivisa dalle due review di Cappa et al.<br />
(2003, 2005). Nella loro sintesi successiva, Cicerone et al. (2005) sottolineano la maggiore<br />
efficacia di interventi di tipo strategico e propongono un modello di intervento basato più sullo<br />
sviluppo di strategie per compensare i deficit cognitivi residui (“strategy training”) che sul tentativo<br />
di recuperare la funzione danneggiata (“restitution training”).Nel presente lavoro sono stati<br />
revisionati 15 lavori originali pubblicati dal 2000 al 2007 (tra cui una revisione, una meta-analisi e 2<br />
case report). In generale, la maggior parte degli studi sostiene la validità degli interventi, pur<br />
riconoscendone alcuni limiti metodologici; in alcuni casi, infatti, nonostante l’esito efficace,<br />
l'attendibilità dello studio è minata da debolezze metodologiche diverse (assenza di gruppo di<br />
controllo, possibile effetto della pratica, utilizzo di compiti “trained” per valutare l'outcome, effetto<br />
aspecifico del trattamento, effetto non significativamente diverso rispetto all'effetto di un intervento<br />
di controllo, etc.).<br />
Raccomandazioni: Coerentemente con gli esiti delle review di Cappa et al. (2003, 2005) e Cicerone<br />
et al. (2000, 2005), in generale, si può concludere che i trattamenti riabilitativi formalizzati mirati alla<br />
riabilitazione delle capacità attentive si dimostrano efficaci soprattutto nei casi in cui il trattamento è<br />
stato adattato al profilo neuropsicologico e soprattutto attenzionale del paziente e quando il metodo<br />
è basato su strategie piuttosto che sull’addestramento a compiti o abilità specifici. Permane<br />
l’esigenza di un maggior numero di studi con trial clinico randomizzato e con valutazione del<br />
mantenimento a lungo termine degli effetti dell’intervento. Inoltre, essendo la casistica composta<br />
per la maggior parte da pazienti con trauma cranico, l’estensione di questi trattamenti ad altre<br />
tipologie di pazienti deve ancora essere supportata da ulteriori verifiche. L’efficacia é più chiara nel<br />
caso di pazienti con una sintomatologia relativamente stabile o post-acuta. In sintesi, le evidenze<br />
disponibili indicano che trattamenti mirati producono una riduzione apprezzabile dei disturbi.<br />
Rispetto agli standard SPREAD questi interventi nel loro complesso sono codificabili con una<br />
raccomandazione di grado A. Risultati quindi positivi, ma con i limiti metodologici precedentemente<br />
descritti; tra questi, la scarsità di follow-up e la possibile non specificità dell’effetto del trattamento<br />
sono i più rilevanti.<br />
Trattamento dei disordini disesecutivi acquisiti<br />
Quasi tutti gli studi revisionati sono stati rivolti alla riabilitazione dei pazienti con esiti di trauma<br />
cranico. In tutti gli studi sono stati evidenziati risultati favorevoli statisticamente significativi, ma<br />
nella gran parte di essi manca una verifica nel tempo della stabilizzazione degli effetti ottenuti. Non<br />
è possibile un’analisi comparativa o cumulativa dei diversi studi, in quanto essi differiscono molto<br />
per obiettivi, metodologia, tipo di trattamento e misure utilizzate per verificarne l’efficacia. Gli<br />
elementi scaturiti dalla revisione bibliografica si sovrappongono in gran parte a quelli evidenziati<br />
169
nelle due recenti revisioni sistematiche sull’argomento (Cicerone et al., 2005; Geusgen et al.,<br />
2007). Attualmente sono disponibili almeno alcuni studi randomizzati e controllati a favore di<br />
un’efficacia significativa di alcuni trattamenti riabilitativi per le funzioni esecutive. Poiché quasi tutti<br />
gli studi , sono stati rivolti a pazienti con esiti di trauma cranico, le principali conclusioni che si<br />
possono trarre riguardano questo tipo di pazienti.<br />
In sintesi:<br />
- i trattamenti riabilitativi formalizzati mirati alla riabilitazione delle capacità di pianificazione<br />
delle attività quotidiane sembrano godere di un grado di evidenze sufficiente a definirli come<br />
raccomandati in presenza di disturbi disesecutivi;<br />
- i trattamenti mirati a riabilitare specifiche attività, pur nel contesto generale del recupero di<br />
abilità di pianificazione, hanno finora ricevuto dimostrazioni di efficacia non rigorosamente<br />
controllate;<br />
- l’utilizzo di computer nel contesto della riabilitazione dei disturbi disesecutivi non sembra<br />
generare uno specifico vantaggio.<br />
Come per i disturbi attenzionali, vi sono alcuni limiti: per esempio, la scarsa casistica (casi singoli o<br />
piccolissimi gruppi), l’esiguità dei dati sulla generalizzazione dei risultati al contesto quotidiano e la<br />
scarsezza delle verifiche della stabilizzazione nel tempo dei risultati ottenuti. Inoltre, è ancora da<br />
dimostrare l’eventuale efficacia dei trattamenti riabilitativi in caso di eziologie diverse dal trauma<br />
cranico.<br />
Raccomandazioni<br />
Purtroppo allo stato attuale non è possibile suggerire raccomandazioni basate su evidenze<br />
convergenti. Pertanto, le raccomandazioni proponibili sono fondate su singoli studi ben controllati.<br />
Sulla base di uno studio randomizzato e controllato si può assegnare una raccomandazione di<br />
grado A al training per l’utilizzo di un’agenda-organizzatore di attività, con lo scopo di migliorare la<br />
capacità di pianificare le attività quotidiane in pazienti con trauma cranico o con lesione cerebrale<br />
ischemica; tale trattamento garantirebbe una generalizzazione alle attività quotidiane almeno fino a<br />
due mesi, ma sono necessarie ulteriori verifiche empiriche. Un livello inferiore di raccomandazione<br />
(B) può essere assegnato ai due trattamenti dimostratisi efficaci in studi con livello di evidenza 1+ .<br />
Combinando questi studi, sebbene condotti con metodi diversi, si suggerisce che il trattamento dei<br />
deficit di pianificazione in pazienti con traumi cranici sia da considerare efficace. Le evidenze<br />
raccolte dagli altri studi, sebbene incoraggianti, non indicano che specifici trattamenti possano<br />
essere considerati efficaci rispetto agli standard SPREAD.<br />
170
L’eminattenzione spaziale unilaterale o neglect<br />
(E. Làdavas, A. Berti, N. Beschin, G. Bottini, L. Magnotti, A. Serino)<br />
Il neglect, è un disturbo neuropsicologico conseguente a lesione cerebrale caratterizzato<br />
dall’incapacità di percepire, elaborare e rispondere a stimoli presentati nell’emispazio contro<br />
lesionale. Il neglect è un fenomeno molto comune in fase acuta, con un’incidenza riportata fra il 40<br />
e 80 % dei pazienti colpiti da ictus. Solitamente, si verifica un recupero spontaneo della<br />
sintomatologia nel corso dei primi tre mesi dall’evento morboso; tuttavia il deficit persiste in<br />
maniera cronica in circa un terzo dei pazienti.<br />
Negli ultimi 20 anni circa sono stati tentati diversi approcci per riabilitare il neglect. Alcuni si basano<br />
su esercizi volti ad insegnare esplicitamente al paziente ad orientarsi attivamente ed esplorare<br />
l’emicampo negletto. In questo caso si parla di strategie top-down , implementate attraverso metodi<br />
visuo-esplorativi. Altri approcci si basano su forme di stimolazione sensoriale e motoria volti ad<br />
indurre un orientamento implicito verso il lato negletto (strategie bottom-up). Ciò può essere<br />
ottenuto attraverso diversi metodi, quali: l’Adattamento Prismatico, il Nistagmo Optocinetico, la<br />
Stimolazione Calorica Vestibolare, la Stimolazione Elettrica Transcutanea, il Feedback e l’Eye<br />
pathching. Infine, sono stati sperimentati anche alcuni trattamenti farmacologici.<br />
Trattamento visuo immaginativo: Grado di raccomandazione A<br />
Il trattamento dell’eminattenzione con metodi visuo-esplorativi si è dimostrato efficace nel<br />
recupero del neglect, come riportato da diversi studi, che prevedono gruppi di controllo e<br />
randomizzazione dei soggetti. Dai diversi studi considerati si evince che il trattamento deve<br />
prevedere diversi tipi di attività, proposte per un periodo sufficientemente lungo (dalle 4 alle 8<br />
settimane) e con una frequenza giornaliera (5 sedute a settimana). L’associazione del training<br />
visuo-esplorativo con altre metodiche di stimolazione sensoriale non sembra apportare<br />
ulteriori benefici significativi. Raccomandazioni: si sente la necessità di studi che valutino<br />
l’efficacia a lungo termine del trattamento mediante valutazioni follow up a tre, sei mesi ed un<br />
anno.<br />
Trattamento di Adattamento Prismatico (AP): Grado di raccomandazione B<br />
E’ una procedura di rapida somministrazione, non invasiva ed efficace per la riabilitazione<br />
delle capacità visuo-spaziali La ripetizione del trattamento per un arco di tempo di due<br />
settimane è in grado di indurre un recupero a lungo termine, mostrato fino a 6 mesi. L’AP<br />
ottiene un grado di raccomandazione di tipo B. Raccomandazioni: Per ottenere il grado A i<br />
lavori necessitano di un adeguato gruppo di controllo, selezionato in maniera randomizzata<br />
rispetto al gruppo sperimentale.<br />
Nistagmo optocinetico: Grado di raccomandazione C<br />
E’ una procedura di rapida somministrazione e non invasiva; la tecnica non è attualmente da<br />
considerarsi efficace per la riabilitazione.<br />
Stimolazione calorica vestibolare (SET): Grado di raccomandazione B<br />
171
Dal punto di vista sperimentale e di ricerca di base gli studi considerati mostrano l’efficacia di<br />
questo approccio nel migliorare il neglect. Tuttavia non ci sono evidenze disponibili circa la<br />
rilevanza clinica dell’approccio, per quanto concerne gli effetti a lungo termine ed il<br />
reinserimento del paziente nel contesto ecologico.<br />
Stimolazione elettrica transcutanea : Grado di raccomandazione B<br />
Dal punto di vista sperimentale e di ricerca di base gli studi considerati mostrano l’efficacia<br />
della SET nel migliorare il neglect. Tuttavia non ci sono evidenze disponibili circa la rilevanza<br />
clinica dell’approccio, per quanto concerne gli effetti a lungo termine ed il reinserimento del<br />
paziente nel contesto ecologico.<br />
Eye Patch e trattamento farmacologico<br />
Non essendo stato riportato un chiaro miglioramento del neglect , risultano non consigliati.<br />
In sintesi, fra i metodi di riabilitazione del neglect, i trattamenti Visuo-esplorativi hanno ricevuto il<br />
maggior supporto sperimentale, anche se al momento mancano valutazioni accurate a lungo<br />
termine soprattutto riguardo alla generalizzazione dei risultati alle attività della vita quotidiana.<br />
L’Adattamento Prismatico si è mostrato uno strumento di rapida somministrazione, non invasiva ed<br />
efficace, che ha mostrato effetti positivi a lungo termine. Tuttavia manca una dimostrazione certa<br />
dell’efficacia derivante da studi RCT. La Stimolazione Calorica Vestibolare e la Stimolazione<br />
Elettrica Transcutanea si sono dimostrati interventi efficaci in singole sedute sperimentali, senza<br />
tuttavia mostrare una reale applicabilità in ambito clinico-riabilitativo. Gli studi sperimentali effettuati<br />
sui metodi del Nistagmo Optocinetico e dell’Eye Patch non hanno mostrato benefici significativi<br />
stabili, mentre i risultati ottenuti mediante il metodo del Feedback sono rimasti sempre limitati al<br />
contesto ed al compito sperimentale utilizzato durante il trattamento, senza generalizzazione ad<br />
altri indici. Infine gli interventi farmacologici non si sono dimostrati efficaci.<br />
I disturbi di campo visivo sono deficit sensoriali elementari conseguenti a una lesione acquisita<br />
post-chiasmatica, e si manifestano come perdita o alterazione del campo visivo in una porzione<br />
dell’emispazio controlesionale che corrisponde retinotopicamente all’area danneggiata. Gli<br />
interventi riabilitativi attualmente in uso sono volti a ridurre le conseguenze disabilitanti del disturbo,<br />
che coinvolgono lo scanning visivo, la ricerca spaziale, la lettura e gli spostamenti nello spazio. I<br />
trattamenti sviluppati fino ad oggi sono riconducibili a tre principali approcci: restituivo,<br />
compensativo, e di adattamento mediante ausili ottici.<br />
L’approccio restituivo, rappresentato dalla Vision Restoration Therapy, è sostenuto da almeno tre<br />
studi randomizzati-controllati-doppio cieco che ne hanno documentato gli effetti positivi.<br />
Nonostante il rigore metodologico adottato, le evidenze a sostegno di tale tecnica non risultano<br />
sufficientemente convincenti e la genuinità dell’effetto restituivo è stata messa in dubbio da studi<br />
che hanno impiegato più rigorosi sistemi di controllo dei movimenti oculari . Di conseguenza,<br />
l’approccio restituivo ottiene un grado di raccomandazione di tipo B. Gli interventi di tipo<br />
compensativo risultano meno rigorosi sul piano metodologico: mancano studi controllatirandomizzati-doppio<br />
cieco, i pazienti reclutati sono spesso eterogenei in termini di tempo dalla<br />
172
lesione, la cecità del valutatore non è quasi mai specificato. Tuttavia, gli interventi compensativi<br />
hanno ottenuto maggiori evidenze di successo per i seguenti motivi: i benefici osservati sono<br />
consistenti, clinicamente rilevanti, e in alcuni casi supportati da misure dirette degli effetti indotti sul<br />
sistema oculomotore ; l’effect size è testato con analisi statistiche di tipo parametrico;la trasferibilità<br />
dei benefici è generalmente valutata con prove non direttamente impiegate nella fase di training ; il<br />
mantenimento dell’outcome è stato quasi sempre valutato in follow-up da 1 a 12 mesi.<br />
Complessivamente, l’approccio compensativo ottiene un grado di raccomandazione di tipo B.<br />
L’impiego di ausili ottici richiede una più chiara definizione degli effetti di tali sistemi per una serie di<br />
limitazioni che hanno caratterizzato gli studi presentati: non sono presenti condizioni di controllo<br />
adeguate; gli effetti osservati sui pazienti sono eterogenei e i lavori si presentano come case series<br />
piuttosto che studi di coorte; la valutazione dei benefici funzionali nella vita quotidiana è di tipo<br />
aneddotico, affidata prevalentemente a report soggettivi; il follow up, laddove presente, è limitato<br />
ad un numero insufficiente di casi. Nonostante sia riportato uno studio di classe II sull’uso dei<br />
prismi in soggetti con emianopsia (Rossi et al., 1990), la presenza di effetti collaterali disturbanti<br />
non consente di stabilire un grado di raccomandazione per questo intervento.<br />
Sia i training restitutivi che quelli compensativi ottengono un grado di raccomandazione di tipo B.<br />
Tuttavia, la possibilità di applicare metodi compensativi è preferibile rispetto ai metodi restitutivi, sia<br />
per qualità metodologica degli studi analizzati (l’efficacia è stata replicata da gruppi di studio<br />
differenti) che per il loro significato clinico (maggior numero di pazienti idonei al training, minore<br />
durata del training, maggiore effect size, trasferibilità degli effetti ad altri test, mantenimento a lungo<br />
termine). All’interno dei metodi compensativi, si rileva una pari efficacia delle tecniche bottom-up<br />
(Bolognini et al., 2005) e top-down (Zihl, 1995) nel recupero e mantenimento delle abilità di<br />
esplorazione e ricerca visiva. Al momento mancano trial clinici di confronto tra le due tecniche nello<br />
stesso gruppo di pazienti. Per quanto riguarda il recupero della dislessia da emianopsia, ottiene la<br />
più alta evidenza il metodo optocinetico (Spitzyna et al. 2007). L’utilizzo degli ausili ottici non<br />
ottiene al momento alcuna raccomandazione anche per la presenza di significativi effetti collaterali<br />
negativi.<br />
L’aprassia dell’arto superiore<br />
(R. I. Rumiati, M. Maini, A. Cantagallo)<br />
L’aprassia è un disturbo primitivo dell'attività motoria che insorge durante l'esecuzione di un<br />
movimento finalizzato, avviato intenzionalmente per compiere un'azione o un gesto, sulla scorta di<br />
uno scopo. Il disturbo aprassico può manifestarsi in assenza di: deficit di input, o deficit di output,<br />
deficit di orientamento spaziale, deficit di schema corporeo, o inerzia frontale. Secondo una<br />
classificazione clinica ancora oggi largamente in uso, le principali forme di aprassia sono<br />
l’ideomotoria (deficit di produzione di gesti su imitazione e su comando verbale) e l’ideativa (deficit<br />
d’uso di oggetti). I trattamenti cognitivi presi in esame fanno riferimento esclusivamente all’aprassia<br />
dell’arto superiore, sia essa ideomotoria (di imitazione) o ideativa (di utilizzo).<br />
173
Dai lavori analizzati emerge un’estrema variabilità nel trattamento del disturbo aprassico. Sono stati<br />
identificati due approcci “restitutivo” e “compensativo”, che però non sono stati applicati in modo<br />
uniforme. Ciascun gruppo di ricerca propone il proprio metodo, che, però, è spesso descritto in<br />
modo sommario e quindi non riproducibile. Spesso, inoltre, i criteri di scelta delle azioni da trattare<br />
sono lasciati alla valutazione del singolo terapista, senza indicazioni di base o linee guida da<br />
seguire. Quasi tutti gli studi testimoniano un beneficio del trattamento che si manifesta in una<br />
riduzione degli errori ai test di aprassia standard, nel miglioramento nelle attività della vita<br />
quotidiana (ADL), nella generalizzazione del trattamento alle azioni non trattate. In alcuni lavori non<br />
è possibile fissare il grado di raccomandazione in quanto il disegno sperimentale non consente di<br />
dimostrare l’efficacia o l’inadeguatezza del trattamento utilizzato. Prendendo in considerazione gli<br />
studi nell’insieme, il grado di raccomandazione per il trattamento dell’aprassia dell’arto superiore è<br />
stato fissato a C.<br />
I trial riabilitativi più efficaci sono quelli che hanno fatto ricorso a un metodo riabilitativo ispirato a<br />
modelli teorici della funzione oggetto di trattamento. Questi studi sono anche quelli che hanno<br />
seguito il metodo più corretto, quelli cioè che hanno utilizzato un gruppo sperimentale e uno di<br />
controllo, con assegnazione randomizzata ai due gruppi dei soggetti, che hanno valutato i pazienti<br />
con test standardizzati prima e dopo il trattamento, e che hanno spiegato esattamente in che cosa<br />
consista il trattamento. Questi risultati positivi possono essere ottenuti solo se questi progetti sono<br />
pensati, disegnati e realizzati da personale specializzato.<br />
I deficit della memoria<br />
(G. A. Carlesimo, F. Piras, C. Incoccia, E. Borella)<br />
I disturbi della memoria dichiarativa, cioè di quella componente della memoria implicata nella<br />
rievocazione consapevole di informazioni precedentemente acquisite , si rendono responsabili<br />
nella vita di tutti i giorni della ridotta abilità sia ad apprendere nuove informazioni (amnesia<br />
anterograda) che a ricordare informazioni apprese prima dell’insorgenza dell’evento patologico<br />
responsabile del deficit mnesico (amnesia retrograda). Il deficit di memoria può riguardare tanto<br />
eventi autobiografici (deficit della memoria episodica) che informazioni di carattere più generale (ad<br />
es., culturale o linguistico) non strettamente autobiografici (deficit della memoria semantica). I<br />
disturbi della memoria dichiarativa possono inoltre interferire con l’accurata realizzazione, al<br />
momento opportuno, di intenzioni precedentemente formulate (deficit della memoria prospettica). Il<br />
danno selettivo delle strutture che formano il network neuronale responsabile dei processi di<br />
memoria dichiarativa produce rari quadri di amnesia pura (cioè senza la simultanea presenza di<br />
altri deficit cognitivi). Molto più frequentemente, i deficit della memoria dichiarativa si osservano nel<br />
contesto di una compromissione più diffusa delle funzioni cognitive, sia come esito stabilizzato di<br />
pregressi eventi cerebrolesivi (es., traumatismi cranio-encefalici, stroke ischemici o emorragici,<br />
sofferenza diffusa dell’encefalo su base ipossica o infiammatoria) che come componente di un<br />
deterioramento progressivo delle funzioni cognitive nelle sindromi demenziali su base degenerativa<br />
174
(es., malattia di Alzheimer) o vascolare. Gli approcci alla riabilitazione dei deficit della memoria<br />
dichiarativa si sono prevalentemente concentrati sui disturbi di tipo anterogrado e prospettico e<br />
possono essere raggruppati in tre categorie.<br />
a) Metodiche finalizzate al rafforzamento delle capacità residue di apprendimento: tecniche per<br />
migliorare la qualità di codifica delle informazioni in entrata . Nei pazienti con deficit di<br />
memoria stabilizzati ci sono sufficienti evidenze per esprimere una forza di raccomandazione<br />
di tipo B relativamente alla riabilitazione dei compiti di memoria oggetto specifico del training.<br />
Relativamente alla permanenza a distanza di tempo del miglioramento ottenuto alle<br />
prestazioni ai test, le evidenze sono scarse. Le evidenze circa l’efficacia della riabilitazione<br />
per migliorare in questi stessi soggetti l’esecuzione di compiti di memoria non oggetto<br />
specifico del training sono contraddittorie e sostanzialmente inconcludenti. Non sussistono<br />
infine evidenze sperimentali sull’efficacia di questo tipo di riabilitazione nel migliorare<br />
l’autonomia nelle attività della vita quotidiana in questi pazienti.<br />
Non sussistono evidenze sperimentali per raccomandare questo tipo di riabilitazione della<br />
memoria in pazienti con sindrome demenziale.<br />
Mancano, infine, evidenze sperimentali per preferire trattamenti di breve o di lunga durata, a<br />
bassa o alta intensità, individuali o di gruppo.<br />
b) Addestramento all'uso di ausili esterni, concepiti come una sorta di "protesi cognitive", per<br />
ovviare alla ridotta funzionalità dei processi di memoria fisiologici (utilizzo di apparecchi<br />
elettronici, diari, agende, ecc).<br />
Ci sono evidenze sufficienti per esprimere una forza di raccomandazione di tipo A all’utilizzo<br />
del NeuroPage (ausilio esterno passivo) per il compenso dei disturbi della memoria in pazienti<br />
con esiti stabilizzati di danno cerebrale. Ci sono inoltre evidenze per esprimere una forza di<br />
raccomandazione di tipo B all’utilizzo di memory aids di tipo attivo, sempre in pazienti con<br />
esiti stabilizzati di danno cerebrale, alla riabilitazione, mediante ausili esterni, di pazienti con<br />
deficit organici della memoria. E’ infine possibile esprimere una raccomandazione di tipo D<br />
all’utilizzo di ausili esterni passivi per il compenso dei disturbi della memoria in pazienti con<br />
danno cerebrale evolutivo su base degenerativa (malattia di Alzheimer). Infine, nonostante<br />
pochi studi conducano follow-up a sei o più mesi, emerge un mantenimento dell’utilizzo<br />
dell’ausilio esterno attivo (notebook) a lungo termine.<br />
c) Metodiche finalizzate all'insegnamento di informazioni e/o procedure utili per l'effettuazione di<br />
specifici compiti (domain-specific knowledge).<br />
L’efficacia delle metodiche che consentono l’acquisizione di informazioni specifiche utili alla<br />
vita di tutti i giorni non sembra allo stato attuale essere supportata da forti evidenze<br />
sperimentali.<br />
175
I disturbi del linguaggio e del calcolo: afasie, alessie, agrafie, acalulia<br />
(A. Basso, S. Cattaneo, L. Girelli, C. Luzzatti, A. Miozzo, L. Modena, A. Monti)<br />
Il termine “afasia” si riferisce alla perdita, più o meno completa, della capacità di usare il linguaggio<br />
conseguente alla lesione delle aree cerebrali, generalmente localizzate nella metà sinistra del<br />
cervello, che presiedono alla nostra capacità di parlare, capire, leggere e scrivere; i termini<br />
“dislessia” e “disgrafia” sottolineano i disturbi della lettura o della scrittura. Il termine “acalculia”,<br />
infine, si riferisce a specifici disturbi nella elaborazione dei numeri e del calcolo che raramente si<br />
trovano isolati essendo quasi sempre associati a disturbi afasici.<br />
Tutti i lavori condotti su gruppi hanno dimostrato, in gruppi eterogenei di soggetti afasici, che la<br />
rieducazione è efficace e va consigliata, purché non sia di breve durata. Infatti la differenza tra<br />
soggetti rieducati e soggetti non rieducati non è risultata significativa quando i trattamenti sono stati<br />
brevi.<br />
In base ai lavori considerati e al loro livello di evidenza, il grado di raccomandazione è B.<br />
Vi sono inoltre delle indicazioni che l’effetto del trattamento riabilitativo non varia anche se iniziato a<br />
diversi anni di distanza dall’evento morboso (entro 7 anni). Segue l’elenco dei disturbi trattati e il<br />
grado di raccomandazione:<br />
produzione di parole: C<br />
ripetizione: D<br />
produzione di frasi: C<br />
comprensione di frasi: C<br />
lettura: C<br />
scrittura: C<br />
trattamenti con PC: D<br />
disturbi del calcolo: D<br />
Il livello di evidenza è buono (B) per quanto riguarda il trattamento non meglio specificato di gruppi<br />
di soggetti afasici. Da notare che in tutti i lavori “negativi” il trattamento è significativamente più<br />
breve che nei lavori “positivi”<br />
Non è invece possibile raggiungere alti livelli di evidenza e gradi di raccomandazione della tabella<br />
SPREAD quando si considerano trattamenti specifici per disturbi specifici, a causa dell’assenza di<br />
RCT. Tuttavia gli autori ritengono che per valutare l’efficacia del trattamento dei disturbi afasici gli<br />
RCT non siano lo strumento più adatto. Questi infatti richiedono, per esempio, la non-sostanziale<br />
dipendenza della resa dell’intervento dalla “competenza” dell’operatore mentre risulta ovvio che nel<br />
trattamento logopedico la relazione tra soggetto afasico e terapeuta è di vitale importanza. Inoltre,<br />
“afasia”, come già detto, è un termine che copre disturbi molto eterogenei. Mentre è relativamente<br />
facile fare dei gruppi di soggetti “afasici”, è estremamente difficile fare gruppi di soggetti che<br />
presentino lo stesso disturbo funzionale, tanto da poter essere analizzati insieme. Agli studi su<br />
gruppi di “afasici” si sono sostituiti nel tempo gli studi su casi singoli con specifici disturbi funzionali,<br />
trattati con motivati interventi mirati. In sintesi il grado delle raccomandazioni per i disturbi afasici<br />
176
del linguaggio è apparentemente piuttosto basso perché da molti anni il problema dell’efficacia del<br />
trattamento viene affrontato con lo studio di casi singoli e non viene più applicato il disegno RCT su<br />
gruppi di soggetti. Questo, nell’ambito degli studi afasiologici, è stato considerato un notevole<br />
passo avanti perché lo studio del caso singolo permette di identificare chiaramente il disturbo<br />
studiato e il trattamento messo in atto.<br />
L’aprassia dell’articolazione (apraxia of speech)<br />
(C. Luzzatti)<br />
L’aprassia dell’articolazione (AA) è un deficit della programmazione motoria articolatoria che<br />
consegue a una lesione unilaterale, solitamente dell’emisfero sinistro, che non consegue a paresi<br />
dei muscoli che controllano l’esecuzione dei movimenti necessari alla realizzazione dei suoni del<br />
linguaggio. In passato, il disturbo è stato descritto con il termine anartria e disintegrazione fonetica.<br />
L’AA è uno dei sintomi che solitamente caratterizzano l’afasia di Broca. Tuttavia, il deficit può<br />
comparire anche in forma pura. I pazienti affetti da AA controllano con fatica la programmazione<br />
dei movimenti articolatori bucco-faringo-laringei dando l’impressione di una lotta per la<br />
realizzazione delle sequenze sonore desiderate. Il meccanismo principale che sottostà al disturbo<br />
aprassico articolatorio è una perdita dell’abilità programmare (cioè di integrare spazialmente e<br />
temporalmente) l’azione dei muscoli che intervengono nella produzione dei suoni del linguaggio. A<br />
differenza della disartria, l’AA è un disturbo della programmazione motoria che coinvolge i soli<br />
movimenti che permettono la realizzazione sonora del linguaggio, lasciando generalmente intatte la<br />
abilità motorie elementari non articolatorie del distretto bucco-linguo-facciale (non paresi buccofacciale)<br />
e occasionalmente intatte quelle motorie complesse (il deficit può occasionalmente<br />
dissociare dall’aprassia aprassia bucco-facciale).<br />
Le tecniche utilizzate per trattare l’AA possono essere distinti in 4 categorie principali in relazione al<br />
focus del trattamento:<br />
1) tecniche che intervengono sulla cinematica articolatoria;<br />
2) tecniche che intervengono sul ritmo;<br />
3) tecniche che mirano alla facilitazione e riorganizzazione intersistemica;<br />
4) tecniche di comunicazione alternativa e aumentativa (CAA).<br />
Nessuno degli studi selezionati corrisponde ai criteri di un trial randomizzato caso-controllo.<br />
Data l’assenza di studi di gruppo, i criteri SPREAD per la verifica dell’adeguatezza metodologica<br />
paiono inadeguati per un giudizio sull’efficacia del trattamento dell’AA. D’altra parte, la variabilità di<br />
manifestazioni del deficit articolatorio (gravità del deficit stesso, gravità del deficit afasico<br />
eventualmente associato), rende difficile la definizione di uno specifico piano di trattamento da<br />
somministrare in modo standard per ogni soggetto.<br />
In sintesi il trattamento mirato dei deficit articolatori è dimostrato migliorare le abilità di produzione<br />
in soggetti affetti da AA cronica di entità media e grave. L’efficacia pare dipendere dall’intensità del<br />
trattamento svolto e pare generalizzare anche a materiale non trattato, ma con caratteristiche simili<br />
177
a quelle del materiale in trattamento, e mantenere la propria efficacia a lungo termine alla<br />
sospensione del percorso riabilitativo. Tuttavia, poiché la totalità degli studi descritti riporta<br />
trattamenti di casi singoli, non è possibile trarre conclusioni sulla generalizzabilità dell’efficacia del<br />
trattamento tra soggetti: gli studi non specificano in generale i criteri di inclusione ed esclusione dei<br />
pazienti e non riportano eventuali casi di drop-out e delle relative motivazioni. Per tali ragioni<br />
nessun lavoro è stato classificato di livello 1, corrispondente ad un randomized clinical standard<br />
(RCT). A causa di questa mancanza è possibile assegnare un grado di raccomandazione di livello<br />
B. Inoltre, gli effetti del trattamento sono stati mostrati sulle prestazioni ai test neurolinguistici, ma<br />
manca una valutazione appropriata dell’efficacia dei benefici ottenuti sul recupero della disabilità<br />
del paziente nella vita quotidiana.<br />
Il trauma cranio-encefalico lieve o mederato<br />
(A.Cantagallo, A. Di Santantonio, G. Mancini, R. Keim, F. Stablum, A. Vestri)<br />
La distinzione fra trauma cranio-encefalico (TCE) lieve, moderato e grave utilizzata è quella<br />
generalmente adottata sia a livello clinico che in letteratura. La gravità del trauma è definita in<br />
relazione alle condizioni del paziente nella fase acuta: livello di profondità del coma, misurato con<br />
la scala Glasgow Coma Scale (GCS), durata del coma, durata della fase di Amnesia Post-<br />
Traumatica o APT. Le ricerche esaminate comprendono, in genere, gruppi misti. In particolare, non<br />
è stato reperito nessun articolo che trattasse esclusivamente pazienti con TCE moderato: questo<br />
viene sempre presentato insieme al TCE grave proprio per la somiglianza clinica e prognostica.<br />
Dall’analisi della letteratura sono stati individuati il livello di efficacia ed il grado di evidenza dei<br />
diversi programmi riabilitativi:<br />
1) Gli studi di efficacia dei Programmi Riabilitativi Neuropsicologici riguardano sia approcci<br />
riabilitativi ad ampio spettro (programmi integrati che prevedono interventi di training cognitivo<br />
"diretto", insegnamento di tecniche di compensazione e di strategie, interventi psicoterapeutici<br />
e/o cognitivo-comportamentali, fisioterapia e terapia occupazionale, trattamento<br />
neurosensoriale ed interventi farmacologici) che programmi più specificatamente mirati a<br />
riabilitare la singola componente cognitiva deficitaria (la memoria di lavoro, ad esempio). Il<br />
grado di raccomandazione degli studi sui Programmi Riabilitativi Neuropsicologici sono<br />
presentati separatamente a seconda del gruppo di pazienti esaminati: TCE lievi B , TCE misti<br />
con lievi B, TCE misti moderato-gravi B.<br />
2) Programmi Riabilitativi delle Abilità Sociali. Le social skills non sono definite in modo univoco<br />
e in base ai lavori analizzati, comprendono aspetti legati ad indipendenza nelle situazioni di<br />
vita quotidiana fino a consapevolezza e autostima, considerati importanti per regolare il<br />
comportamento rispetto ai contesti di vita quotidiana. L’azione combinata tra l’intervento sulle<br />
abilità di vita quotidiana studiate e concordate con il paziente, e il lavoro metacognitivo sulla<br />
consapevolezza con la gestione degli aspetti comportamentali sembra avere effetti sulle<br />
178
capacità di indipendenza. Tuttavia vi è un solo studio controllato, non randomizzato. Inoltre,<br />
tale studio non riporta aspetti tecnici specifici di ambito neuropsicologico, ma cita interventi di<br />
metacognizione, sulla consapevolezza e sul problem solving senza entrare nel merito delle<br />
tecniche utilizzate. Dove citate, le tecniche sono diverse da uno studio all’altro. Questi<br />
approcci hanno in comune il fatto di essere basati sull’attenzione al feedback, alla graduale<br />
diminuzione dei prompt esterni e all’acquisizione di maggiore consapevolezza, ma non vi<br />
sono prove sul fatto che siano questi aspetti in particolare a migliorare l’indipendenza nei<br />
contesti sociali. Buona è l’attenzione generale di questi lavori alle attività di vita quotidiana,<br />
scarso invece il riferimento a modelli di funzionamento dei processi cognitivi. Grado di<br />
raccomandazione D.<br />
3) Interventi di Psicoterapia di tipo cognitivo comportamentale dopo un trauma cranico lieve<br />
possono diminuire il rischio di sviluppare un disturbo post-traumatico da stress e sembra<br />
anche utile per il trattamento dell'insonnia. Grado di raccomandazione B.<br />
4) Gli studi sull'outcome della Riabilitazione Neuropsicologica Olistica dimostrano senza<br />
eccezione un effetto positivo, sia subito dopo la conclusione del programma che nel follow-up<br />
fino a tre anni. Anche il numero dei pazienti trattati è abbastanza alto (range 18-113 casi<br />
trattati). Quattro degli studi analizzati hanno anche un gruppo di controllo, paragonabile con il<br />
gruppo sperimentale per gravità del trauma e fattori demografici. Infine, per definizione, tali<br />
programmi riguardano direttamente la ricaduta nelle ADL, pertanto la valutazione di questo<br />
aspetto è sempre presente. Grado di raccomandazione B.<br />
5) Nessuna delle pubblicazioni sulla Riabilitazione Sociale e Lavoro ha un gruppo di controllo,<br />
tutti si limitano a un pre-post design e le statistiche a volte sono soltanto descrittive. Grado di<br />
raccomandazione D.<br />
6) Emerge dai lavori analizzati l’utilità dei Programmi educativi nei pazienti con TCE lieve o<br />
moderato e per i loro familiari nel ridurre o prevenire i sintomi, non necessariamente nel<br />
migliorare le funzioni neuropsicologiche: essi dovrebbero essere precoci, semplici, precisi e<br />
magari forniti in modalità scritta, disponibili su richiesta del paziente. Grado di<br />
raccomandazione D.<br />
179
Gli interventi in ambito neuropsicologico nelle gravi cerebrolesione acquisite con<br />
stato di coscienza alterata<br />
(M. G. Inzaghi, M. Sozzi, J. Conforti, F. Lombardi)<br />
Per ‘grave cerebrolesione acquisita’ (GCA) si intende un danno cerebrale, dovuto a trauma cranio<br />
encefalico o ad altre cause tale da determinare una condizione di coma, più o meno protratto con<br />
Glascow Coma Scale iniziale 8, associato a menomazioni sensitivo-motorie, cognitive o<br />
comportamentali, che comportano una disabilità severa. Tutti i pazienti con grave cerebrolesione<br />
acquisita presentano disturbi della coscienza. Lungo il cammino verso il recupero della coscienza<br />
sono individuabili tre condizioni: Coma, Stato Vegetativo e Stato di Minima Coscienza. Scopo del<br />
lavoro è analizzare la letteratura riguardante le procedure di monitorizzazione e valutazione dello<br />
stato di coscienza e i trattamenti riabilitativi mirati ad ottenere significative modificazioni dello stato<br />
di coscienza rispetto al recupero spontaneo .<br />
Per gli strumenti di valutazione la ricerca è stata condotta dal 1981 (anno di pubblicazione del<br />
lavoro di Jennet & Teasdale, sulla definizione di coma) al 2007.<br />
Le scale di valutazione reperite, sono state suddivise in quattro gruppi:<br />
- Al primo gruppo appartengono le scale “descrittive” cioè caratterizzate da criteri tassonomici<br />
da applicare all’osservazione clinica del paziente; esse si rilevano strumenti vantaggiosi per la<br />
facilità e la rapidità di somministrazione tuttavia si dimostrano poco sensibili ai cambiamenti<br />
minimi dello stato di coscienza e non sono in grado di evidenziare le sottili modificazioni del<br />
quadro nel passaggio tra i vari stati di coscienza alterata a causa di un’eccessiva ampiezza<br />
delle categorie di punteggio.<br />
- Al secondo gruppo e ai successivi appartengono le scale che implicano la somministrazione<br />
di stimolazioni e l’analisi delle risposte. Nel secondo gruppo sono comprese le scale<br />
pubblicate prima del contributo teorico e delle definizioni fornite dal gruppo di Aspen (2002),<br />
pertanto non consentono di diagnosticare il passaggio da SV a SMC e da SMC a stato di<br />
coscienza. Tuttavia il punteggio globale ottenibile da queste può fornire indicazioni sullo stato<br />
di coscienza in termini di miglioramenti o regressioni. Il limite di queste scale risiede nel fatto<br />
di non prendere in considerazione la presenza di eventuali deficit cognitivi e sensoriali<br />
frequentemente presenti nelle gravi cerebrolesioni acquisite. Da questo punto di vista l’analisi<br />
del punteggio globale potrebbe essere inficiata dalla presenza di un deficit cognitivo o<br />
sensoriale che comporterebbe una sottostima dello stato di coscienza e di conseguenza<br />
condurrebbe ad una misdiagnosi.<br />
- Nel terzo gruppo è presente l’unica scala che tiene conto delle raccomandazioni dell’Aspen<br />
Workgroup, la JFK Coma Recovery Scale-R (Giacino et al., 2004).<br />
- Al quarto gruppo appartiene l’unica scala reperita, Preliminary Neuropsychological Battery<br />
(PNB), somministrabile ai pazienti già responsivi ma che per la loro gravità ancora non sono<br />
valutabili con test psicometrici strutturati.<br />
180
Un approccio valutativo diverso, ma molto accurato, per valutare lo stato di coscienza è quello<br />
proposto da Whyte, basato sul principio del disegno sperimentale sul singolo soggetto. Tuttavia<br />
questa modalità presenta il limite di non consentire confronti tra i vari pazienti poiché non è<br />
possibile generalizzare i risultati ottenuti.<br />
In sintesi dall’analisi delle caratteristiche delle scale di valutazione reperite emerge che molte<br />
contengono indicatori clinici che possono avere utilità prognostica esclusivamente nella fase acuta<br />
(es i riflessi corneali, la reattività pupillare, le risposte oculo motorie, l’apertura spontanea degli<br />
occhi), mentre altre scale, che potrebbero essere meglio applicate per esaminare l’evoluzione nel<br />
tempo, non consentono di classificare adeguatamente i pazienti e altre ancora si rivelano utili solo<br />
per valutare i pazienti già responsivi ma ancora non valutabili con test psicometrici strutturati.<br />
In considerazione delle limitazioni presenti nella totalità delle scale esaminate nessuno strumento<br />
si rivela del tutto adeguato per valutare pazienti con disturbi di alterata coscienza. Tuttavia è<br />
indispensabile che il Neuropsicologo esegua osservazioni e valutazioni periodiche che, tenendo<br />
conto delle raccomandazioni del gruppo di lavoro di Aspen e dei numerosi elementi che possono<br />
ostacolare la rilevazione/comprensione delle richieste e l’elaborazione/esecuzione delle risposte,<br />
consentano di cogliere i segnali di significativi cambiamenti del livello di coscienza. Per una più<br />
attenta monitorizzazione è auspicabile il coinvolgimento di tutte le persone che si accostano al<br />
soggetto.<br />
Per il trattamento riabilitativo la ricerca è stata ristretta al periodo 2002-2007 poiché i lavori<br />
precedenti utilizzavano modalità di classificazione dei pazienti non del tutto compatibili con i criteri<br />
a tutt’oggi ritenuti più adeguati, individuati dall’Aspen Workgroup (2002.)<br />
È disponibile una revisione Cochrane (Lombardi et al, 2002) dei lavori pubblicati dal 1966 al 2002<br />
sull'efficacia delle stimolazione sensoriali nei soggetti in coma o in SV; le conclusioni indicano che<br />
non vi sono evidenze attendibili a supporto dell’efficacia dei programmi di stimolazione sensoriale<br />
nei pazienti in coma e SV.<br />
Dalla nostra revisione dei dati di letteratura solo 2 articoli corrispondevano ai criteri stabiliti. Pur<br />
essendo successivi ai lavori dell’Aspen Workgroup, presentano un set di dati raccolti ed elaborati in<br />
epoca precedente pertanto i miglioramenti sono considerati con scale che prevedono intervalli<br />
eccessivamente ampi (GCS) o punteggi globali (WNSSP) che potrebbero non evidenziare sottili<br />
modificazioni dello stato di alterata coscienza.<br />
Sono ancora molto scarse quindi le evidenze scientifiche in grado di dimostrare l’efficacia di<br />
specifici interventi di riabilitazione e il confronto tra differenti approcci, in grado di dimostrare i<br />
vantaggi di un metodo sull’altro, non ha portato a conclusioni condivisibili.<br />
I miglioramenti nelle alterazioni dello stato di coscienza dovrebbero essere dimostrati sia nelle<br />
modificazioni dello stato di veglia che in quelli di contenuto, identificati con i processi superiori.<br />
Pertanto anche gli studi dovrebbero fornire indicatori di miglioramento sia dello stato di attivazione<br />
che dei processi cognitivi; questi ultimi tuttavia non sono ancora adeguatamente considerati né nei<br />
criteri di inclusione né nei protocolli sperimentali o nei risultati; infatti nel primo lavoro considerato<br />
gli autori paiono consapevoli della carenza dell’analisi e auspicano per i futuri lavori l’utilizzo di<br />
misure più complesse in grado di valutare anche le funzioni cognitive; il secondo lavoro, invece,<br />
181
che si pone come obiettivo l’incremento nell’utilizzo di una competenza comunicativa, non fornisce<br />
indicazioni sulle prestazioni nell’area cognitiva, non indica quali pazienti avrebbero potuto avere un<br />
deficit afasico nemmeno riportando il lato della lesione cerebrale e la lateralità manuale.<br />
Allo stato attuale non sono dunque reperibili in letteratura evidenze a supporto di programmi<br />
riabilitativi in grado di suscitare la coscienza o accelerare il passaggio tra i vari stati in modo<br />
significativo rispetto all’andamento del recupero spontaneo.<br />
I disturbi del comportamento<br />
(R. Cattelani, M. Zettin, P. Zoccolotti)<br />
La letteratura corrente classifica i disordini emotivo-comportamentali conseguenti a GCA in due<br />
categorie principali, a seconda delle caratteristiche cliniche prevalenti:<br />
a) internalizing behaviour, ovvero, comportamenti passivi, difettuali/insufficienti nelle loro varie<br />
manifestazioni, indicativi di ridotto dinamismo e di carente attitudine proattiva;<br />
b) externalizing behaviour, ovvero, eccessi comportamentali da discontrollo di azioni, pensieri ed<br />
emozioni, e condotte disorganizzate, inopportune e inappropriate alle circostanze per i modi<br />
con cui si manifestano<br />
I trattamenti delle sequele emotivo-comportamentali scaturiti da questa revisione bibliografica<br />
possono essere classificati in due categorie principali:<br />
1. Modelli teorici comportamentisti/cognitivisti<br />
Identificano tecniche e procedure di modificazione di specifici comportamenti disadattivi<br />
ispirate dai principi del condizionamento “classico” ed “operante”, mediante rigoroso<br />
monitoraggio delle caratteristiche ambientali, accurate analisi della relazione stimolo-risposta<br />
e rigorosa selezione delle procedure. Dall’analisi dei lavori emergono: grado di<br />
Raccomandazione C e D rispettivamente. Complessivamente considerati, gli interventi di<br />
modificazione di specifici comportamenti-problema non sono supportati da livelli di evidenza e<br />
di efficacia sufficienti/accettabili. La trentennale esperienza nell’applicazione clinica di<br />
tecniche e procedure ispirate ai modelli comportamentisti e cognitivisti suggerisce che questi<br />
interventi possono essere efficaci per soddisfare esigenze cliniche specifiche nel trattamento<br />
di casi singoli, mentre resta da dimostrare la loro efficacia in termini di<br />
generalizzazione/mantenimento dei risultati e, soprattutto, di integrazione delle abilità<br />
cognitive-comportamentali-affettive-psicosociali.<br />
2. Approcci olistici-integrati<br />
Si tratta di programmi basati sul presupposto secondo cui qualsiasi ipotesi di riabilitazione<br />
deve considerare la complessità delle caratteristiche umane e i vari ambiti in cui si realizza<br />
l’esistenza delle persone. Grado di Raccomandazione B e D . I tipi di intervento riabilitativo<br />
182
considerati rappresentano approcci terapeutici integrati/globali, sostanzialmente comparabili<br />
in termini di obiettivi generali (reinserimento lavorativo-formativo, adattamento psicosociale ed<br />
emotivo). L’unica variante può essere riconosciuta nella modalità di “strutturazione” del<br />
contesto clinico e nella rigorosità del “contratto” terapeutico che risultano più accentuate o<br />
meglio delineate nel “MORP”(Milieu-Oriented Rehabilitation Program) i cui obiettivi generali<br />
riguardano la produttività, l’adattamento psicosociale e l’adattamento emotivo del paziente<br />
mediante il recupero “integrato” delle componenti cognitive, comportamentali, psicosociali ed<br />
affettive. Nonostante tali minime differenze, i livelli di evidenza/efficacia emersi dalla revisione<br />
bibliografica avvalorano l’approccio più rigoroso e strutturato previsto dal MORP.<br />
In sintesi, l’eterogeneità/complessità dei quadri clinici dei disordini emotivo-comportamentali<br />
conseguenti a GCA, le oggettive difficoltà di controllo di tutte le variabili, le multiformi necessità<br />
psicosociali di ogni singolo “caso”, nonché le inevitabili questioni di etica sanitaria-assistenziale,<br />
rendono sostanzialmente improponibili rigorosi protocolli sperimentali (trials randomizzati,<br />
controllati e in ‘doppio cieco’) e programmi terapeutici rigidamente strutturati a livello di scelte<br />
tecniche e strategico-procedurali. Le lacune metodologiche riscontrate nella letteratura esaminata e<br />
la variabilità dei protocolli applicati nei singoli studi rendono difficilmente confrontabili i risultati di<br />
ciascuna ricerca. Le principali debolezze degli studi revisionati riguardano la limitata numerosità<br />
delle casistiche, la prevalenza di serie di casi descritti in forma sostanzialmente aneddotica o di trial<br />
non randomizzati .i criteri di randomizzazione non chiaramente definiti nei pochi studi clinici casocontrollo,<br />
la limitata verifica della generalizzazione dei risultati al contesto sociale e alle attività della<br />
vita quotidiana, la marcata eterogeneità/disomogeneità dei campioni (per es., per caratteristiche<br />
anagrafiche, gravità del disturbo, distanza dall’esordio, tecniche, obiettivi e durata dell’intervento,<br />
strumenti di misura dell’outcome).<br />
Le criticità emerse dai gruppi di lavoro<br />
Nella quasi totalità dei gruppi di lavoro si sono fatte considerazioni circa la problematicità di reperire<br />
in letteratura lavori accettabili secondo il modello SPREAD e quindi di poter esprimere giudizi<br />
dell’efficacia dei trattamenti riabilitativi in ambito neuropsicologico secondo le procedure della<br />
Evidence Based Medicine. Molti autori hanno espresso dubbi sulla possibilità di realizzare studi<br />
RCT ritenendoli strumenti non adatti per la ricerca dell’efficacia della riabilitazione neuropsicologica<br />
e prediligendo invece lo studio sul singolo soggetto. E’ emersa una serie di problemi specifici, che<br />
vanno tenuti in adeguata considerazione nella lettura dei risultati della revisione:<br />
- Cecità di chi eroga il trattamento e di chi lo riceve. La relazione tra paziente e terapeuta è di<br />
vitale importanza e solo un riabilitatore pienamente consapevole della natura e della tipologia<br />
di intervento è in grado di rendere più efficace il suo operato.<br />
- Standardizzazione dei trattamenti. Mentre la standardizzazione è facilmente realizzabile<br />
nell’ambito della sperimentazione farmacologica, è estremamente difficile da ottenere in un<br />
183
ambito in cui la peculiarità dell’interazione riabilitativa dipende strettamente dalle specifiche<br />
caratteristiche di ogni singolo paziente.<br />
- Omogeneità dei pazienti. Considerando l’estrema complessità dei processi mentali, le<br />
differenze nell’organizzazione cerebrale di ogni individuo, la multifattorietà dei quadri<br />
sindromici e l’estrema variabilità degli effetti di ogni lesione cerebrale è impossibile che i<br />
pazienti possano essere considerati omogenei circa la presenza e la gravità di un disturbo<br />
neuropsicologico oggetto di riabilitazione. Diventa quindi estremamente difficile se non<br />
impossibile creare dei gruppi di pazienti che presentino lo stesso disturbo funzionale tanto da<br />
poter essere analizzati in modo omogeneo.<br />
- Il trattamento placebo del gruppo di controllo. Diversamente dagli studi sulla sperimentazione<br />
farmacologica, in ambito neuropsicologico è problematico individuare i compiti da proporre ai<br />
soggetti del gruppo di controllo. Basti pensare all’attenzione: quale attività può essere svolta<br />
senza che l’attenzione sia implicata?<br />
Per quanto riguarda l’adeguatezza metodologica degli studi presi in considerazione, si sono<br />
riscontrati diversi problemi relativamente sia alla selezione e descrizione qualitativa dei pazienti<br />
oggetto degli studi che all’impostazione del disegno sperimentale ,rendendo così difficilmente<br />
confrontabili i risultati di ciascuna ricerca.<br />
Le principali “debolezze” degli studi revisionati sono sintetizzate di seguito:<br />
a) Limitata numerosità delle casistiche.<br />
b) Prevalenza di serie di casi descritti in forma sostanzialmente aneddotica o di trial non<br />
randomizzati , con criteri di inclusione/esclusione non chiaramente o per nulla definiti.<br />
c) Criteri di randomizzazione non chiaramente definiti nei pochi studi clinici caso-controllo.<br />
d) Marcata eterogeneità/disomogeneità dei campioni di soggetti in termini di criteri di<br />
inclusione/esclusione, quali:<br />
- caratteristiche anagrafiche dei soggetti;<br />
- eziologia dell’evento cerebrolesivo;<br />
- gravità clinica dei comportamenti-target e del quadro cognitivo-comportamentale<br />
complessivo, nonché dei deficit sensitivo-motori eventualmente associati;<br />
- intervallo temporale tra evento patologico e inizio del trattamento.<br />
e) Estrema eterogeneità di tecniche/procedure/protocolli utilizzati, caratteristiche del setting<br />
riabilitativo, obiettivi e durata dell’intervento terapeutico, frequenza/intensità dei trattamenti:<br />
scarsa descrizione degli interventi, tecniche di intervento non paragonabili, diversa durata del<br />
trattamento,diverso numero di sedute (1-2 al dì, 3-5 alla settimana), nessuna attività del<br />
gruppo di controllo, possibile effetto pratica, qualifica e competenza dell’operatore non<br />
specificata, ecc.<br />
f) Differenti parametri e strumenti di misura dell’outcome.<br />
g) Mancato controllo dei possibili effetti interferenti di terapie farmacologiche eventualmente<br />
associate.<br />
184
h) Limitata verifica della generalizzazione dei risultati al contesto sociale e alle attività della vita<br />
quotidiana.<br />
i) Valutazioni fatte sulla media dei dati dei gruppi Trattati e Controlli senza specificazione della<br />
percentuale dei soggetti che hanno beneficiato.<br />
j) Scarso o assente follow up.<br />
Aspetti normativi sull’attività di riabilitazione in Italia<br />
(A. Salvia, A. Cantagallo, A.Vestri, M.G. Inzaghi S.Paolucci)<br />
Un ulteriore gruppo di lavoro si è occupato dell’ analisi e della revisione dell’assetto normativo<br />
esistente nel nostro paese in relazione alla erogazione delle attività di riabilitazione<br />
neuropsicologica.<br />
Dall’analisi della normativa riguardante le attività di riabilitazione, si evince una quasi totale<br />
assenza di indicazioni circa l’organizzazione di servizi o unità per la riabilitazione neuropsicologica.<br />
Gli aspetti che risultano più problematici riguardano la costituzione e l’organizzazione di servizi e<br />
l’identificazione di quali figure professionali siano più appropriate.<br />
Servizi o Unità di Riabilitazione Neuropsicologica<br />
La normativa nazionale sull’alta specialità (Legge 595/85,codice75) (1) prevedeva che il Ministero<br />
della Sanità avrebbe fissato i requisiti minimi di personale, attrezzature, posti letto e le<br />
caratteristiche di professionalità richieste, tuttavia nei successivi provvedimenti legislativi mentre si<br />
ritrovano i requisiti delle strutture e delle attrezzature (DM 29/01/1992, allegato B)(2), non vi è<br />
alcuna indicazione riguardo alla qualificazione del personale operante presso le unità di<br />
riabilitazione. Pur specificando che tali strutture sono deputate al trattamento di pazienti affetti da<br />
gravi traumatismi cranio encefalici e altre gravi cerebrolesioni acquisite con gravi menomazioni<br />
fisiche, cognitive e comportamentali non stabilisce quali figure professionali debbano occuparsi dei<br />
diversi ambiti della riabilitazione. Anche quando la normativa sulla riabilitazione intensiva (codice<br />
56; DM 13/09/88) (4) definisce gli standard del personale, si trova la dicitura generica di “personale<br />
di riabilitazione” senza alcun ulteriore chiarimento.<br />
Il DPR 14/01/1997 (4) definisce gli standard per la riabilitazione intensiva: i requisiti minimi delle<br />
strutture sanitarie. Sono descritti nei particolari i requisiti minimi strutturali, impiantistici e<br />
tecnologici, mentre per quelli organizzativi solo un accenno aspecifico: ”la dotazione organica del<br />
personale addetto deve essere rapportata al volume delle attività”, anche in questo caso sembra<br />
che l’attenzione sia focalizzata sulla numerosità degli operatori piuttosto che sulla professionalità<br />
specifica richiesta per i diversi progetti di riabilitazione.<br />
Quando si affronta il tema della durata complessiva quotidiana del trattamento riabilitativo (Linee<br />
Guida del Ministero della Sanità 1998, punto b) (5) di disabilità importanti che richiedono un elevato<br />
impegno, e si identificano orientativamente 3 ore giornaliere di terapia specifica, la riabilitazione<br />
185
neuropsicologica non è neppure menzionata tra le attività riabilitative erogabili, poiché si fa<br />
riferimento esclusivamente al personale sanitario della riabilitazione quale “fisioterapista,<br />
logopedista, terapista occupazionale, educatore professionale e infermiere, in quegli atti finalizzati<br />
al miglioramento delle ADL- Attività della vita quotidiana”<br />
L’unico riferimento normativo alla riabilitazione neuropsicologica si trova nelle Linee Guida sulla<br />
Riabilitazione del 1998 (5) che prevede la costituzione di specifiche Unità per la riabilitazione delle<br />
turbe neuropsicologiche acquisite. Stabilisce che debba essere attivata all’interno di un presidio<br />
ospedaliero in cui siano disponibili attività specialistiche di neurologia, medicina fisica e riabilitativa,<br />
neuroradiologia, otorinolaringoiatria, oculistica, psichiatria e psicologia clinica e che non sia dotata<br />
di posti letto poiché in caso di necessità possono essere utilizzati posti letto di altre unità. Prevede<br />
sia dotata di personale specificatamente addestrato e qualificato, numericamente adeguato (senza<br />
ulteriore specificazione) comprendente: fisiatri, neurologi, psicologi, psichiatri, neuropsichiatri<br />
infantili, infermieri, logopedisti, terapisti della neuro e psicomotricità, terapisti occupazionali,<br />
operatori tecnici di assistenza, educatori professionali, assistenti sociali.<br />
L’attività prevista è quella di consulenza e valutazione finalizzata ad approfondimento diagnostico<br />
relativo a menomazioni e disabilità neuropsicologiche rare e complesse, a formulazione del<br />
progetto riabilitativo e del programma terapeutico, ecc.<br />
Ad oggi sul territorio nazionale sono presenti solo pochi esempi di tale Unità<br />
Figure professionali<br />
L’analisi dei profili professionali delle figure che a tutt’oggi si trovano frequentemente nelle strutture<br />
che erogano prestazioni di riabilitazione neuropsicologica per adulti, indica la necessità di<br />
provvedimenti che chiariscano meglio le diverse competenze e le mansioni che tale figure possono<br />
svolgere.<br />
In alcuni profili si trovano accenni ad interventi sugli aspetti cognitivi:<br />
Fisioterapista (decreto 741/94)(6): “svolge in via autonoma o in collaborazione con altre figure<br />
sanitarie interventi di cura e riabilitazione nelle aree della motricità, delle funzioni corticali<br />
superiori e di quelle viscerali conseguenti a eventi patologici, a varia eziologia, congenita o<br />
acquisita”.<br />
Logopedista (decreto 742/94)(7): “svolge la propria attività nella prevenzione e nel trattamento<br />
riabilitativo delle patologie del linguaggio e della comunicazione in età evolutiva, adulta e<br />
geriatrica”.<br />
Terapista Occupazionale (decreto 136/97)(8): “opera nell’ambito della prevenzione, cura e<br />
riabilitazione dei soggetti affetti da malattie e disordini fisici, psichici sia con disabilità<br />
temporanee che permanenti”.<br />
Tuttavia un’analisi degli strumenti di intervento previsti per ciascuna figura, chiarisce meglio le<br />
specifiche mansioni:<br />
186
Fisioterapista (decreto 741/94)(6): “terapie fisiche, manuali, massoterapiche e occupazionali”.<br />
Logopedista (decreto 742/94)(7): “terapie logopediche di abilitazione e riabilitazione della<br />
comunicazione e del linguaggio verbali e non verbali”.<br />
Terapista Occupazionale (decreto 136/97) (8): “attività espressive, manuali, rappresentative,<br />
ludiche, della vita quotidiana”.<br />
Come emerge dall’analisi dei relativi decreti, gli strumenti cognitivi (per es. tecniche di<br />
potenziamento del sistema attenzionale, mnesico, comportamentale ecc) non sono menzionati tra i<br />
loro strumenti di intervento; pertanto non si comprende come tali figure professionali possano<br />
praticare la riabilitazione neuropsicologica di deficit cognitivi, senza poter far ricorso a quegli<br />
strumenti che, come si evince dai contributi emersi nel contesto della Conferenza di Consenso, si<br />
sono dimostrati utili nel recupero funzionale delle varie funzioni cognitive lese in seguito ad uno<br />
specifico danno cerebrale.<br />
L’unico riferimento normativo riguardante la riabilitazione neuropsicologica è contenuto nel Decreto<br />
del Ministero dell’Università e della Ricerca 24 Luglio 2006 (9), relativo agli ordinamenti didattici di<br />
specializzazione di area psicologica, il cui accesso è consentito ai soli psicologi, nel quale si<br />
definisce che “Lo specialista in Neuropsicologia deve aver maturato conoscenze teoriche,<br />
scientifiche e professionali nel campo dei disordini cognitivi ed emotivo motivazionali associati a<br />
lesioni o disfunzioni del sistema nervoso nelle varie epoche di vita (sviluppo, età adulta ed<br />
anziana), con particolare riguardo alla diagnostica comportamentale mediante test psicometrici,<br />
alla riabilitazione cognitiva e comportamentale, al monitoraggio dell’evoluzione temporale di tali<br />
deficit, e ad aspetti subspecialistici interdisciplinari quali la psicologia forense”.<br />
Un ulteriore aspetto problematico riguarda la valutazione neuropsicologica.<br />
Nessuna delle figure professionali sopra citate è abilitata a svolgere attività finalizzate alla diagnosi<br />
dei disturbi cognitivi e comportamentali, che invece rientra nelle mansioni previste per la figura<br />
dello psicologo, come indicato nel decreto 24 Luglio 2006 (9): “identificare i deficit cognitivi ed<br />
emotivo-motivazionali determinati da lesioni o disfunzioni cerebrali (deficit del linguaggio, afasia e<br />
disordini della lettura e della scrittura; deficit della percezione visiva e spaziale, agnosia e<br />
negligenza spaziale unilaterale; deficit della memoria, amnesia; deficit dell'attenzione e della<br />
programmazione e realizzazione del comportamento motorio e dell'azione complessa), valutare i<br />
predetti deficit mediante test psicometrici, interviste e questionari; analizzare risultati quantitativi<br />
degli accertamenti mediante tecniche statistiche descrittive ed inferenziali e utilizzando le<br />
tecnologie informatiche”.<br />
In sintesi gli aspetti della riabilitazione neuropsicologica che necessitano di interventi normativi<br />
sono:<br />
riconoscere l’importanza della valutazione e riabilitazione neuropsicologica come uno degli<br />
aspetti fondamentali nel recupero dopo una cerebrolesione;<br />
definire l’organizzazione delle strutture, Unità o Servizi, deputate all’erogazione delle<br />
prestazioni di valutazione e riabilitazione neuropsicologica, sia quelle che necessitano di posti<br />
letto per i gravi cerebrolesi che hanno una importante compromissione anche motoria, che<br />
quelle ambulatoriali cui possono afferire soggetti cerebrolesi senza deficit di moto;<br />
187
definire le modalità e i criteri di accesso a tali strutture, sia per soggetti che hanno<br />
concomitanti deficit motori che per coloro che presentano solo deficit in ambito<br />
neuropsicologico;<br />
definire le figure deputate alla valutazione e alla riabilitazione neuropsicologica;<br />
definire la numerosità degli operatori necessari per la valutazione e la riabilitazione<br />
neuropsicologica in relazione alla popolazione residente sul territorio;<br />
definire la durata delle prestazioni erogate in ambito neuropsicologico, soprattutto per quelle<br />
in regime ambulatoriale.<br />
Riferimenti normativi<br />
1. Legge n. 595 del 23 ottobre 1985, “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano<br />
sanitario triennale 1986-88”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 260 del 5 novembre<br />
1985<br />
2. Decreto Ministro della Sanità del 29 gennaio 1992, “Elenco delle alte specialità e fissazione dei<br />
requisiti necessari alle strutture sanitarie per l’esercizio delle attività di alta specialità”,<br />
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 26 del 1 febbraio 1992<br />
3. Decreto Ministro della Sanità del 13 settembre 1988, “Determinazione degli standards del<br />
personale ospedaliero”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 225 del 24 settembre<br />
1988<br />
4. D.P.R. del 14 gennaio 1997, “Approvazione dell'atto di indirizzo e coordinamento alle regioni e<br />
alle province autonome di Trento e di Bolzano, in materia di requisiti strutturali, tecnologici ed<br />
organizzativi minimi per l'esercizio delle attività sanitarie da parte delle strutture pubbliche e<br />
private”, Supplemento Ordinario n. 37 alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 42 del<br />
20 febbraio 1997<br />
5. Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento<br />
e Bolzano. Provvedimento 7 maggio 1998, “Linee-guida del Ministro della Sanità per le attività<br />
di riabilitazione”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 124 del 30 maggio 1998<br />
6. Decreto n. 741 del 14 settembre 1994, “Profilo Professionale del Fisioterapista”, Gazzetta<br />
Ufficiale della Repubblica Italiana n. 6 del 9 gennaio 1995<br />
7. Decreto Ministeriale n. 742 del 14 settembre 1994, “Regolamento concernente l’individuazione<br />
della figura e del relativo profilo professionale del logopedista”, Gazzetta Ufficiale della<br />
Repubblica Italiana n. 6 del 9 gennaio 1995<br />
8. Decreto Ministero Sanità n. 136 del 17 gennaio 1997, “Regolamento concernente la<br />
individuazione della figura e relativo profilo professionale del terapista occupazionale”,<br />
188
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 119 del 24 maggio 1997<br />
9. Decreto Ministero dell’Università e della Ricerca 24 luglio 2006 “Riassetto delle scuole di<br />
specializzazione di area psicologica”, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 246 del 21<br />
Ottobre 2006<br />
La situazione della provincia di Bergamo<br />
Ancora non vi è una normativa che consenta a tutti i soggetti cerebrolesi di potersi sottoporre ad<br />
adeguata valutazione e, ove ve ne sia necessità, ad una specifica riabilitazione in ambito<br />
neuropsicologico.<br />
Non vi sono direttive regionali che richiedano la presenza del neuropsicologo nelle strutture<br />
dedicate alla riabilitazione. Tulle le strutture ricevono gli stessi compensi per ogni giornata di<br />
ricovero di un cerebroleso, ma solo poche hanno scelto di investire fondi per garantire la presenza<br />
costante del neuropsicologo: le più sensibili alle problematiche dei pazienti, le più attente alla<br />
globalità della persona, le più informate e aggiornate sulle implicazioni negative dei deficit<br />
cognitivo/comportamentali sulla vita dei soggetti cerebrolesi.<br />
È pur vero che ogni soggetto potrebbe scegliere in quale struttura ricoverarsi, ma non è diffusa la<br />
conoscenza specifica di tutto ciò che è necessario per una ‘buona riabilitazione’. Solitamente si<br />
sceglie la struttura più vicina al luogo di residenza, oppure quella che per prima offre un posto letto,<br />
così si è costretti ad affidarsi alle cure di un determinato centro, nella speranza che ogni luogo sia<br />
uguale all’altro.<br />
Il grafico 1 illustra la situazione delle 17 strutture della provincia di Bergamo, dedicate alla<br />
riabilitazione specialistica, come rilevata da un’indagine condotta nel mese di Marzo 2012:<br />
- In 5 strutture è presente uno psicologo-neuropsicologo, a tempo prolungato, inserito nel<br />
lavoro di équipe riabilitativa per la programmazione del progetto terapeutico.<br />
- In 7 strutture è presente:<br />
“al bisogno”, ma non viene specificato né per quante ore, né se la presenza è regolare;<br />
“2 ore settimanali” oppure “svolge attività in tutti i reparti”. Tale presenza è assolutamente<br />
insufficiente: solo la valutazione neuropsicologica di un paziente cerebroleso necessita<br />
di un periodo da 4 a 8 ore, a cui si aggiunge lo studio della documentazione, la<br />
correzione dei punteggi, la stesura della relazione, i colloqui con i familiari, quelli con il<br />
team riabilitativo, l’implementazione di progetti riabilitativi specifici, ecc ecc.;<br />
“presente in reparto di neurologia”, senza accesso sistematico ai degenti di riabilitazione.<br />
- 5 strutture non hanno uno psicologo con formazione neuropsicologica.<br />
Nel grafico 2 sono riportati i dati relativi ai posti letto dedicati alla riabilitazione specialistica (N°<br />
666), suddivisi in base alla presenza di un neuropsicologo :<br />
- per un numero adeguato di ore;<br />
- per un tempo solo parziale, insufficiente per risponde in modo adeguato alle esigenze;<br />
189
- se il neuropsicologo non è presente.<br />
I dati emersi dalla Conferenza di Consenso sulla riabilitazione neuropsicologica confermano<br />
l’importanza di un trattamento strutturato, ben calibrato sulle peculiari difficoltà che emergono solo<br />
dopo un’attenta valutazione neuropsicologica.<br />
Nel grafico 3 è illustrato il numero di posti letto in cui i pazienti ricoverati possono essere<br />
adeguatamente seguiti anche per questo aspetto cruciale (281 posti letto) e quello delle strutture<br />
che non prevedono il trattamento o si affidano esclusivamente all’attività isolata di logopedisti e<br />
fisioterapiste senza una pianificazione e una monitorizzazione che derivi dalla valutazione<br />
neuropsicologica (385 posti letto).<br />
In molti studi è emerso che il miglioramento in ambito neuropsicologico dipende dalla frequenza dei<br />
trattamenti (almeno 4 sedute settimanali di 1 ora) e dalla durata, ben oltre i 6 mesi di degenza<br />
massimi consentiti. Pertanto per ottimizzare gli interventi ed ottenere il miglior recupero è<br />
necessario garantire la prosecuzione delle cure dopo la dimissione.<br />
Nel grafico 4 è mostrata la situazione in provincia di Bergamo: solo 5 strutture garantiscono ai<br />
pazienti la possibilità di accessi ambulatoriali mentre 2 offrono solo trattamenti per logopedia.<br />
Conclusioni<br />
Le ricerche condotte dagli psicologi e da altri studiosi hanno messo in luce quali effetti devastanti<br />
produce una lesione cerebrale sulle funzioni cognitive. Si è quindi reso sempre più evidente che<br />
un progetto riabilitativo non possa più basarsi sulla sola analisi di abilità residue o compromesse di<br />
natura motoria e sensoriale, ma risulta essenziale l’intervento di uno psicologo con adeguata<br />
formazione. Mediante una valutazione neuropsicologica acquisisce conoscenze relative ad altre<br />
funzioni (linguaggio, attenzione, funzioni esecutive, memoria, cognizione spaziale, ecc..) che<br />
influiscono negativamente sul processo di recupero motorio e che richiedono un’attenta<br />
considerazione al fine si implementare un programma di riabilitazione più efficace. In molte<br />
patologie vi è un rapporto diretto tra la presenza/gravità del deficit e le conseguenze che ne<br />
derivano: maggior tempo di permanenza nelle strutture sanitarie per il percorso di riabilitazione,<br />
minor recupero funzionale, minor percentuale di rientro a domicilio del paziente.<br />
La valutazione neuropsicologica di tutti i soggetti cerebrolesi e in particolare di tutti i soggetti postcomatosi,<br />
si pone quindi come una necessità per poter meglio pianificare un adeguato progetto di<br />
riabilitazione globale e in molti casi può suggerire percorsi riabilitativi specifici per ridurre le<br />
influenze negative che i deficit hanno sulle potenzialità di recupero e di reinserimento sociolavorativo.<br />
Ogni struttura che si prende cura di soggetti cerebrolesi, dalla fase più precoce quando il soggetto<br />
si trova ancora in stato vegetativo fino al reinserimento socio-lavorativo, deve avvalersi di uno<br />
psicologo che indaghi le problematiche in ambito cognitivo-comportamentale-relazionale, verifichi<br />
le potenzialità di recupero residuo e pianifichi il percorso di riabilitazione più idoneo. Tale intervento<br />
190
consentirà di programmare meglio l’allocazione delle risorse necessarie a sostenere tutto il<br />
percorso di cura e assistenza, verificare l’efficacia dei progetti riabilitativi intrapresi e garantire una<br />
percorso di cura più attento ai bisogni del soggetto cerebroleso e del suo contesto familiare e<br />
sociale.<br />
Dall’analisi della situazione attuale della provincia di Bergamo scaturiscono le seguenti necessità:<br />
- sensibilizzare la popolazione sul diritto di poter accedere a specifiche valutazioni e trattamenti<br />
neuropsicologici adeguati: personale specificatamente formato, frequenza quotidiana dei<br />
trattamenti, durata del trattamento di 60 minuti, prolungamento del trattamento fino a quando<br />
vi sono margini di recupero, ecc;<br />
- sensibilizzare le strutture ad investire fondi per poter migliorare la qualità del servizio offerto,<br />
mostrando anche i vantaggi che si possono ottenere da una adeguata valutazione e<br />
riabilitazione in ambito neuropsicologico, sia nella gestione dei pazienti cerebrolesi in reparto<br />
che nel trattamento motorio;<br />
- sensibilizzare le istituzioni perché modifichino i criteri di accreditamento delle strutture,<br />
inserendo la figura del neuropsicologo, specificando la numerosità delle ore lavorative del<br />
personale specificatamente dedicato anche alla riabilitazione neuropsicologica, e definendo<br />
gli standard degli interventi.<br />
191
Grafico 1<br />
Grafico 2<br />
8<br />
7<br />
6<br />
5<br />
4<br />
3<br />
2<br />
1<br />
0<br />
350<br />
300<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
0<br />
Valutazione NPS: presenza di<br />
Neuropsicologo nella Struttura<br />
NO Dubbia/Insuffic Presente<br />
Valutazione NPS: Posti Letto 666<br />
presenza di Neuropsicologo<br />
NO Dubbia/Insuffic Presente<br />
192
Grafico 3<br />
Grafico 4<br />
300<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
12<br />
10<br />
8<br />
6<br />
4<br />
2<br />
0<br />
0<br />
Riabilitazione Neuropsicologica:<br />
Posti Letto 666<br />
Nessuno Logo/Fisio<br />
senza<br />
neuropsic<br />
Strutture che offrono<br />
Riabilitazione Neuropsicologica<br />
Ambulatoriale<br />
Trattam<br />
Strutturato<br />
Nessuno solo logopedia Trattam<br />
Strutturato<br />
193
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
Cappa S.F., Benke T., Clarke S., Rossi B., Stemmer B., Van Heugten C.M., EFNS Guidelines on<br />
cognitive rehabilitation: report of an EFNS Task Force, 2003. In: European Journal of Neurology;<br />
10, pp. 11-23<br />
Cappa S.F., Benke T., Clarke S., Rossi B., Stemmer B., Van Heugten C.M., Task Force on<br />
Cognitive Rehabilitation. EFNS guidelines on cognitive rehabilitation: report of an EFNS task<br />
force, 2005. In: European Journal of Neurology; Sep 12(9), pp.665-680<br />
Cicerone K.D., Dahlberg C., Kalmar K. et al, Evidence-based cognitive rehabilitation:<br />
recommendations for clinical practice, 2000. In: Archives Physical Medicine Rehabilitation; 81,<br />
pp. 1596-1615<br />
Cicerone K.D., Dahlberg C., Malec J.F., Langenbahn D.M., Felicetti T., Kneipp S., Ellmo W.,<br />
Kalmar K., Giacino J.T., Harley J.P., Laatsch L., Morse P.A., Catanese J., Evidence-based<br />
cognitive rehabilitation: updated review of the literature from 1998 through 2002, 2005. In:<br />
Archives of Physical Medicine Rehabilitation; 86, pp. 1681-1692<br />
Lombardi F., Taricco M., De Tanti A., Telaro E., Liberati A., Sensory stimulation of brain injured<br />
individuals in coma or vegetative state, 2002. In: Clinical Rehabilitation; 16, pp.465-473<br />
Sohlberg M.M., Mateer C., Intoduction to Cognitive Rehabilitation: theory and practice, Guilford<br />
Press, New York, 1989<br />
Vallar G., Cantagallo A., Cappa S., Zoccoletti P. (a cura di), La riabilitazione neuropsicologica,<br />
Sprinter-Verlag, Italia, 2012<br />
Làdavas E., Paolucci S., Umiltà C., European Journal of Physical and Rehabilitation Medicine, vol.<br />
47, 2011<br />
Wilson B.A., Neuropsychological rehabilitation: theory and practice. The Netherlands, Swets &<br />
Zeitlinger, 2003<br />
194
Premessa<br />
<br />
IDENTITÀ E D<strong>IN</strong>AMICHE FAMILIARI: IL CARICO DEL CARE GIVER<br />
E <strong>LA</strong> QUALITÀ DI VITA DEL<strong>LA</strong> FAMIGLIA<br />
Gennaro Esposito 1<br />
In questo contributo sarà presentata una breve ricerca realizzata avvicinando alcune famiglie con<br />
un componente con esiti di grave trauma cranico.<br />
Le Gravi Cerebrolesioni Acquisite, com’è confermato dalle riflessioni che accompagnano questo<br />
intervento, rappresentano un problema di estrema rilevanza che ancora oggi non riesce a ricevere<br />
un’adeguata attenzione, soprattutto per le sue fortissime implicazioni familiari e sociali, oltre che<br />
sanitarie.<br />
“Il Trauma Cranio-Encefalico è tra le più frequenti malattie disabilitanti dovute a danno del sistema<br />
nervoso, la sua incidenza è superiore a quella dell'emorragia cerebrale, in Europa Occidentale i<br />
ricoveri ospedalieri per Trauma Cranio-Encefalico sono un milione all'anno…. è, inoltre, tra le<br />
principali cause di morte in età giovanile-adulta” 2 .<br />
Le ragioni che giustificano una particolare attenzione per questa categoria di trauma, sono diverse<br />
e, nell’esperienza che si presenta in questa ricerca, riguardano le numerose e gravi ripercussioni<br />
sull’identità delle persone coinvolte e sulle dinamiche familiari.<br />
I dati esposti in questo stesso volume, dimostrano ampiamente l’elevata incidenza e prevalenza di<br />
queste tipologie di danno, esse colpiscono ogni fascia d’età e condizione professionale, non<br />
escluso i più giovani, i bambini in età scolastica e gli adulti in piena attività lavorativa, anche se,<br />
statisticamente, per il trauma cranico si rileva una prevalenza di maschi in età lavorativa.<br />
La numerosità e la complessità degli esiti disabilitanti hanno, a loro volta, numerosi risvolti, spesso<br />
non gestibili né prevedibili nella loro intensità, sugli aspetti comportamentali, cognitivi ed emotivi<br />
della persona coinvolta.<br />
Tra i problemi di comportamento, molti dei quali ritrovati durante le interviste, si evidenzia in<br />
particolare la possibilità di sviluppare aggressività e violenza, con modalità non coerenti con la<br />
situazione in atto, a volte impulsività o disinibizione e ridotto autocontrollo, con possibile alternanza<br />
di crisi emotive. Sono stati rilevati, con modi diversificati, fenomeni d’inadeguatezza sociale, forme<br />
di comportamento infantile, incapacità ad assumersi responsabilità o accettare critiche ed<br />
<br />
1 Sociologo, Responsabile del Servizio Disabili – Dipartimento ASSI, ASL di Bergamo; Docente di Sociologia, corso di<br />
Laurea in Scienze Infermieristiche, sede di Bergamo - Università “Bicocca” Milano <br />
2 http://www.traumacranico.net<br />
<br />
195
egocentrismo. Tutte condizioni che pesano sulla relazione di coppia e sullo svolgimento dei ruoli<br />
familiari di genitore, coniuge o fratello.<br />
L’attività sessuale può assumere forme inappropriate, si registrano casi sia di incapacità, sia di<br />
mancanza di dolcezza e amorevolezza fino a fenomeni di aggressività e violenza.<br />
I problemi di personalità di alcuni pazienti possono essere così gravi da essere diagnosticati, sul<br />
piano psichiatrico, con definizioni che rinviano al “disordine organico della personalità”.<br />
In ogni caso, anche quello che appare clinicamente rientrante nell’area della “normalità”, fa<br />
riscontrare, nell’esperienza soggettiva delle persone, una serie di difficoltà pesanti e spesso<br />
insostenibili nei rapporti di coppia e nelle relazioni all’interno della famiglia.<br />
Quando il trauma avviene in età giovanile o adolescenziale, talvolta si rileva un condizionamento<br />
dello sviluppo, in altre parole è compromessa la capacità di maturare emozionalmente,<br />
socialmente, e/o psicologicamente, mantenendo nel tempo atteggiamenti e comportamenti propri di<br />
un bambino o di un adolescente.<br />
La famiglia vive una serie di intensi accadimenti: dall’evento traumatico si passa alle successive<br />
fasi di ricovero, intervento chirurgico, rianimazione, riabilitazione, ritorno a casa e cure domiciliari.<br />
Questo susseguirsi di condizioni richiede, di conseguenza, rilevanti modificazioni e adattamenti<br />
nello stile di vita dei componenti e dello stesso sistema relazionale familiare.<br />
La presenza in famiglia di un soggetto con Trauma Cranio-Encefalico (TCE) crea quindi molteplici<br />
stress, di ordine gestionale, assistenziale e organizzativo che sconvolgono i ritmi di vita precedenti,<br />
i tempi di lavoro, di relazione, le dinamiche familiari e amicali.<br />
Le donne sono quasi sempre le prime, se non le uniche, a essere coinvolte nel ruolo di care giver<br />
che si aggiunge a quello sociale di mamma, moglie o sorella. Per il nucleo familiare interessato, il<br />
conseguente impatto emotivo, materiale e assistenziale assume l’aspetto di un vero e proprio<br />
trauma con il rischio di sviluppare stress post traumatico.<br />
Oltre agli aspetti definibili “materiali” però si chiamano in causa gli aspetti psicologici ed emotivi con<br />
le loro notevoli ripercussioni sulle relazioni intra ed extra-familiari e sulla propria identità.<br />
Il cambiamento dello stile di vita, che la famiglia si trova a dover gestire, è altamente<br />
destabilizzante, esso può comportare continue modificazioni: dell'immagine di sé, della<br />
considerazione e valutazione che si era fino allora creata del soggetto traumatizzato, delle<br />
aspettative nei suoi confronti, delle dinamiche di relazione interpersonali, dei rapporti di dipendenza<br />
e delle prospettive temporali.<br />
Questa destabilizzazione, probabilmente, costituisce il trauma maggiore e può diventare<br />
intollerabile per i familiari, portarli a vissuti d'impotenza, di senso di colpa, di angoscia, di<br />
depressione, di negazione del problema, numerosi sono i fenomeni di attacco di panico.<br />
Spesso le persone che assistono, in particolare le mamme e le mogli, sono orientate ad assumere<br />
nei confronti del traumatizzato atteggiamenti molto diversi e a volte contraddittori tra loro, che<br />
vanno dal rifiuto all’iperprotezione. L’atteggiamento più diffuso, in ogni caso, resta la presa in carico<br />
totale del proprio congiunto con assunzione di un compito che condiziona tutti gli aspetti della<br />
propria vita.<br />
<br />
<br />
196
Vi sono casi di disgregazione familiare e rottura dei rapporti di coppia, non solo quando persona<br />
con trauma cranico è il marito ma anche se è coinvolto il figlio o il fratello.<br />
Si riscontrano, inoltre, le conseguenze sociali in termini di difficoltà di reinserimento scolastico o<br />
lavorativo per la persona con TCE e per il suo nucleo familiare. Esse portano a una richiesta di un<br />
maggiore e diverso coinvolgimento del sistema del welfare locale, dei servizi sociali comunali e di<br />
Ambito Territoriale. Non sempre i servizi sono riconosciuti come adeguati o preparati, anzi a volte<br />
sono percepiti come del tutto assenti nell’offrire il sostegno necessario.<br />
Tutto questo rende evidente, in modo particolare, la necessità indifferibile di pensare a interventi<br />
complessi e prolungati nel tempo, modificati in funzione del bisogno specifico della persona con<br />
cerebrolesioni, all’interno della sua dinamica familiare.<br />
Ricerca qualitativa sulle persone che assistono congiunti con gravi cerebrolesioni<br />
Per una riflessione sulle dinamiche familiari, in seguito ad un evento critico come quello del Trauma<br />
Cranio-Encefalico, si è ritenuto più opportuno utilizzare l’approccio della Sociologia Qualitativa.<br />
Le radici della distinzione tra ricerca quantitativa e ricerca qualitativa risalgono a paradigmi di<br />
riferimento radicalmente differenti. La ricerca quantitativa, la più nota tra le tipologie di ricerca, è<br />
quella che più ha affinato tecniche, modelli matematici, statistiche complesse, etc. Essa è<br />
diventata, di fatto, lo strumento più diffuso per la ricerca orientata alla “verifica di ipotesi”.<br />
Alla ricerca quantitativa potremmo attribuire due presupposti impliciti fondamentali:<br />
a) la concezione che la realtà da conoscere sia meglio descritta dai fenomeni più diffusi, in altre<br />
parole, i fatti sociali significativi sono quelli di maggiore frequenza perché descrivono meglio<br />
come agiscono le persone;<br />
b) i fatti devono essere registrati nel modo più oggettivo possibile facendo si che il ricercatore<br />
non interagisca con i risultati della sua ricerca.<br />
Uno dei problemi fondamentali della ricerca quantitativa è la misurazione dei fenomeni, sociali che,<br />
in genere, sono frazionati operativamente in una serie di indici o indicatori empirici.<br />
Alla ricerca quantitativa fanno riferimento alcune tecniche di indagine, tra cui: questionari,<br />
censimenti, interviste strutturate.<br />
La ricerca qualitativa ha invece altri presupposti impliciti e cioè:<br />
a) se un fenomeno, un fatto sociale, è accaduto o vissuto da una persona, questo significa che è<br />
possibile che anche altre persone possano vivere la stessa esperienza;<br />
b) la ricerca sociologica non si pone su un piano diverso da quello dei suoi oggetti di ricerca, la<br />
possibilità di mantenere una distanza oggettiva e neutrale dalle cose studiate è ritenuta inutile<br />
o addirittura un’utopia, alcune volte dannosa.<br />
<br />
<br />
197
Per quanto riguarda quest’ultimo punto, accade che, proprio grazie al coinvolgimento, si possano<br />
vedere e comprendere dimensioni dell’agire umano che altrimenti non sarebbero rilevate, compresi<br />
i modi con cui le persone rielaborano soggettivamente la loro esperienza.<br />
<br />
I sociologi qualitativi rivendicano due principi fondamentali: (Schwartz, Jacobs, 1987).<br />
- l’indicalità: i risultati sono comprensibili solo in un certo contesto;<br />
- la riflessività: i risultati appartengono all’oggetto a cui si riferiscono.<br />
Alla ricerca qualitativa si associano altre tecniche, tra cui: l’etnometodologia, le interviste libere, le<br />
storie di vita, l’analisi del contenuto…<br />
Come è noto a chi fa ricerca sociale, queste distinzioni si realizzano in assoluto solo in teoria e<br />
nessuna indagine è interamente collocabile in una sola tipologia (Boudon, 1970).<br />
In ogni caso la ricerca proprio perché condotta con approccio sociologico ha l’obiettivo di trovare i<br />
rapporti tra:<br />
- le idee, individuando le rappresentazioni sociali, le ideologie, le opinioni e i valori che guidano<br />
le persone avvicinate;<br />
- le idee e i fatti, cercando di ricostituire i sistemi di azione, ovvero i modelli di riferimento e i<br />
percorsi fatti dalle persone.<br />
La comprensione del soggetto è dunque l’obiettivo dell’analisi qualitativa, essa mira alla<br />
costruzione di classificazioni e di tipologie; la presentazione dei dati è di tipo narrativo-descrittivo.<br />
L’ambito privilegiato dell’analisi qualitativa è la sfera del mondo della vita quotidiana; il ricercatore<br />
cerca di entrare in contatto diretto con questo mondo e con i soggetti che ne fanno parte affidando<br />
alla sua sensibilità sociologica la conduzione della ricerca; stabilire un’interazione diretta permette<br />
di entrare in empatia con il soggetto studiato e cogliere i significati più profondi.<br />
Le procedure che fanno capo alla ricerca qualitativa prese in considerazione per quest’indagine<br />
sono state di conseguenza basate:<br />
- sull’osservazione, considerata come analisi diretta degli eventi o dei comportamenti oggetto di<br />
studio; nel caso della riflessione qui presentata sono state utilizzate come tecniche<br />
l’osservazione partecipante, l’intervista discorsiva e il focus group;<br />
- sull’interazione verbale fra ricercatore e soggetto di ricerca, tramite conversazioni, colloqui,<br />
interviste aperte; nel nostro caso le persone coinvolte sono state avvicinate grazie alla<br />
Associazione Amici Traumatizzati Cranici di Bergamo (AATC) e all’Associazione Disabili<br />
Bergamaschi (ADB);<br />
- sull’attivazione di risposte in seguito a stimoli preordinati, nel nostro caso si è usata una<br />
traccia predisposta per accompagnare il percorso dialogico.<br />
Bichi (2002) utilizza il termine "intervista biografica" per indicare tutte quelle tipologie d'intervista<br />
che sono caratterizzate da bassa standardizzazione, bassa direttività e da una traccia altamente<br />
strutturata ma non somministrata.<br />
La traccia è, di fatto, una scheda che serve da guida al ricercatore durante le interviste che si<br />
svolgono all'interno di una situazione sociale particolare, la cosiddetta situazione d'intervista.<br />
<br />
198
Possiamo quindi individuare le fasi che caratterizzano la realizzazione di un'intervista biografica:<br />
a) costruzione della traccia d’intervista;<br />
b) costruzione del "campione" teorico – destinatari della intervista;<br />
c) realizzazione delle interviste biografiche;<br />
d) ascolto e trascrizione delle interviste;<br />
e) analisi delle interviste;<br />
f) costruzione del modello interpretativo e stesura del report finale.<br />
Il Metodo<br />
<br />
Schema di ricerca con i familiari di persone con Trauma Cranico<br />
Approccio Analisi qualitativa<br />
Finalità dell’indagine<br />
- Individuare i significati soggettivi che i care givers<br />
attribuiscono alle loro attività assistenziali, alle dinamiche<br />
familiari in atto e ai contesti di vita<br />
- Descrivere il modo in cui le persone reagiscono all’evento<br />
critico e ricostruiscono la loro dinamica relazionale<br />
(attraverso il linguaggio e la conversazione)<br />
Obiettivo specifico Individuare i processi di definizione/ ridefinizione delle identità<br />
dei care givers in seguito alle mutate condizioni relazionali<br />
Metodi Osservazione partecipante, intervista discorsiva, focus group<br />
Note di metodo<br />
La consapevolezza da parte del ricercatore di non essere<br />
neutrale sia dal punto di vista teorico che da quello<br />
metodologico.<br />
Utilizzare l’osservazione partecipante, cioè “far parte di”, anche<br />
se per un breve periodo, richiede, di fatto, un coinvolgimento e<br />
determina la creazione di “legami”, con le persone, crea<br />
esperienze emotive che condizionano inevitabilmente la lettura<br />
dei fatti.<br />
Si determina un’interdipendenza, una non separazione, tra<br />
ricercatore e soggetto studiato.<br />
Nello stesso tempo le tecniche qualitative come l’osservazione<br />
partecipante e il focus group permettono di cogliere dimensioni<br />
<br />
199
umane e relazionali che altrimenti sfuggirebbero nell’utilizzo di<br />
tecniche quantitative più “oggettive”.<br />
(In realtà le conclusioni di una ricerca sociale sono sempre in<br />
qualche modo condizionate dai propri schemi impliciti e modelli<br />
di riferimento).<br />
Approccio interpretativo finalizzato alla ricerca del significato che<br />
le persone danno della loro condizione, in modo da poter<br />
comprendere l’esperienza soggettiva dei care givers.<br />
Analisi dei dati Analisi del contenuto e delle narrazioni, osservazione<br />
dell’interazione, analisi del discorso e della conversazione.<br />
Percorso dialogico su<br />
Traccia dell’intervista/conversazione<br />
Evento L’arrivo della la notizia, le prime sensazioni, e la prima<br />
rielaborazione dell’esperienza (come ho vissuto gli<br />
eventi).<br />
I primi giorni, le cure sanitarie I vissuti personali, come si gestivano (vivevano) le<br />
informazioni cliniche, cosa accadeva dentro di se nella<br />
propria famiglia.<br />
La riabilitazione i percorsi fatti Il carico assistenziale e le ripercussioni emotive.<br />
Le dimissioni: è ora? Quale futuro ci si è rappresentati? (timori, speranze,<br />
rassegnazione, solidarietà, solitudine…)<br />
La dinamica familiare nei mesi seguenti<br />
e nel medio lungo periodo<br />
La trasformazione dell’Identità e le nuove relazioni<br />
interpersonali.<br />
La ridefinizione dei ruoli familiari di madre, moglie, figlio,<br />
padre.<br />
Il rapporto di coppia, crisi, rottura, ridefinizione.<br />
La relazione genitoriale.<br />
<br />
200
Il percorso dialogico è stato rivolto all’analisi dell’interazione sociale individuale, in base al<br />
paradigma che la realtà sociale, ogni realtà sociale, viene interpretata dai soggetti che la vivono.<br />
Secondo il metodo della comprensione proposto da Weber non è sufficiente individuare le relazioni<br />
quantitative, ma è necessario immedesimarsi, rivivere, intendere (Verstehen): si cerca allora di<br />
cogliere l’intenzionalità dell’agire umano, attraverso il senso soggettivo attribuito dall’individuo al<br />
proprio comportamento.<br />
Comprendere, allora, significa immedesimazione, capire il punto di vista dell’altro; il mondo dei fatti<br />
diventa conoscibile attraverso il significato attributo dagli individui. Questo senza cadere<br />
nell'individualismo soggettivista e nello psicologismo.<br />
Nelle analisi delle micro dinamiche relazionali il mondo che si conosce è quello del significato<br />
attribuito dagli individui, significato che varia fra gli individui a seconda delle loro esperienze e delle<br />
culture di appartenenza.<br />
Esiste una difficoltà della ricerca sociale di considerare la soggettività, essa è senza dubbio<br />
determinata dal fatto che “le problematiche relative all'identità si fondano su dei processi sociali,<br />
simbolici e psichici, collegati tra loro" 3 .<br />
Si tenta continuamente di chiarire la questione che oppone la sostanzialità dell'identità ai processi<br />
d'individualizzazione: la soggettività si struttura come uno spazio autonomo? O invece è fortemente<br />
legata alle reti di relazione e in particolar modo al rapporto con l’altro?<br />
Le ricerche in questo settore e l'interpenetrazione dei molteplici approcci che, nelle scienze umane<br />
e sociali, esaminano l'emergenza del soggetto tra costruzione dell'identità e legami sociali, si<br />
soffermano sull'analisi del linguaggio e della comunicazione come elementi fondamentali della<br />
costituzione del sociale.<br />
Il discorso, la narrazione, "sostituisce il vissuto", o meglio ridefinisce il vissuto e lo recupera in<br />
nuove dimensioni, inducendoci a considerare come "la soggettività e l'identità diventano<br />
linguaggio". Le donne intervistate hanno parlato più volte di un periodo vissuto in cui la parola era<br />
repressa. Il dolore era inenarrabile, perché nessuno avrebbe potuto comprenderlo. Parlarne allora,<br />
anche se a distanza di tempo e con persone che condividono almeno in parte questa esperienza,<br />
diventa “liberatorio”, ma soprattutto crea legami di appartenenza, ricostruisce il vissuto doloroso in<br />
una dimensione sopportabile, non più tragicamente distruttiva.<br />
Situandoci in questa dislocazione metodologica e teorica, dal registro esistenziale al registro<br />
narrativo, e considerando inoltre il linguaggio specificamente connesso alla socializzazione degli<br />
<br />
3 Orazio Maria Valastro (a cura di), Struttura del Linguaggio e Legame Sociale: Continuità tra Registro Simbolico,<br />
Immaginario e Reale”. Intervista a Luis Solano. In: http://www.analisiqualitativa.com/magma/0000/intervista.htm -<br />
m@gm@. Rivista Elettronica Trimestrale di Scienze Umane e Sociali, ottobre/dicembre, 2002<br />
<br />
<br />
201
individui, l’intervista permette un’interpretazione dei rapporti intersoggettivi solidamente strutturati<br />
nel discorso 4 .<br />
L'attenzione al linguaggio e ai processi di socializzazione e di integrazione nel gruppo, consente<br />
inoltre di considerare il discorso e la sua interpretazione relativamente a persone fortemente<br />
implicate in una relazione, nel caso della nostra ricerca fortemente compromessa e problematica.<br />
Diversi studiosi ritengono che comunque l'apparato psichico, in quanto organizzazione di diversi<br />
sistemi, ridefinisce i processi d'identificazione attraverso l'immagine e il discorso5 .<br />
L’attenzione alla centralità del soggetto fa emergere come le persone si confrontano con delle<br />
istanze intermedie, mentre con le scienze quantitative abbiamo invece che la ricerca porta ad un<br />
appiattimento delle differenze, spesso, nei valori “medi”, con la scomparsa della singolarità e<br />
l'eliminazione delle particolarità, tutti sono uguali e tutto è globale.<br />
Le interviste sono state rivolte ai soggetti selezionati secondo un piano di rilevazione, guidato<br />
dall’intervistatore e sulla base di uno schema di interrogazione flessibile, non standardizzato e non<br />
strutturato, se non minimamente.<br />
Le caratteristiche dell’intervista qualitativa sono state:<br />
- assenza di formalismo;<br />
- spiegazione e comprensione dell’obiettivo dell’intervista (contesto della scoperta);<br />
- assenza di campione rappresentativo (a differenza dell’intervista quantitativa che usa il<br />
questionario);<br />
- approccio centrato sul soggetto.<br />
Si è quindi utilizzata l’intervista a testimoni privilegiati e il gruppo (focus group) è stato avvicinato<br />
nel suo insieme; i soggetti sono state le Donne dell’Associazioni AATC di Bergamo (Associazione<br />
Amici Traumatizzati Cranici) e ADB (Associazione Disabili Bergamaschi); esse hanno sviluppato<br />
particolare esperienza sul campo, anche per l’impegno sociale e materiale nell’assistere le persone<br />
coinvolte.<br />
Il percorso dialogico<br />
Il materiale utile per condurre questa ricerca è stato raccolto grazie agli incontri, avuti in riunioni, in<br />
momenti informali e formali quando si è condotta per la vera è propria intervista.<br />
E’ chiaro, quindi, che le informazioni che ho potuto raccogliere, in un’indagine di tipo qualitativo,<br />
non sono state acquisite solo durante l’intervista ma in più occasioni, legate alle osservazioni, alle<br />
<br />
4 Orazio Maria Valastro (a cura di), Struttura del Linguaggio e Legame Sociale: Continuità tra Registro Simbolico,<br />
Immaginario e Reale”. Intervista a Luis Solano, op.cit.<br />
5 Meltzer D. M. Harris, Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento, Centro<br />
Scientifico, Torino, 1990 (1983)<br />
<br />
<br />
202
sensazioni, ai colloqui, avuti negli incontri precedenti e che si sono avute nei mesi antecedenti la<br />
stesura di questo contributo.<br />
L’indagine comprende di conseguenza anche tutte quelle riflessioni stimolate dall’osservazione<br />
partecipante e dai colloqui informali.<br />
In questo tipo di indagine non esiste uno spazio per chi detiene un sapere diverso da quello delle<br />
persone con cui si confronta.<br />
Nello stesso tempo si ritiene che le persone non possano essere studiate come esseri isolati<br />
essendo, al contrario, individui costantemente in relazione e in comunicazione, anche se<br />
conflittuale, all’interno di un sistema culturale carico di simboli 6 .<br />
Nel nostro caso i simboli sono le aspettative culturali del contesto di appartenenza sul ruolo di<br />
madre e moglie. Il lavoro di cura è fondato, ancora oggi, su una certa concezione del femminile;<br />
anche quando accade un evento di traumatico, il contesto sociale definisce un insieme di azioni di<br />
accettazione o di denigrazione intorno alle persone.<br />
L’apertura “formale” di questa fase della ricerca, è stato l’incontro in cui sono state raccolte,<br />
registrandole, le riflessioni, i pareri e lo stesso racconto degli eventi accaduti; questo ha permesso<br />
un confronto intenso con persone che hanno congiunti con trauma cranico.<br />
Una parte rilevante delle interviste è stata fatta presso l'abitazione di una mamma, che ha ospitato<br />
il gruppo per lo svolgimento della ricerca. La casa è attrezzata per poter meglio assistere il figlio: in<br />
un grande spazio abitativo c'era da un lato la sezione cucina, al centro il letto assistito con il<br />
ragazzo e d'altro lato la camera con il letto matrimoniale dei genitori, divisa da una struttura con<br />
parete mobile. Mentre noi conducevamo la nostra conversazione, la sorella del ragazzo continuava<br />
ad assisterlo, in particolare garantendogli l’igiene personale e imboccandolo poi per<br />
l’alimentazione.<br />
Le persone presenti, tutte donne, mamme o mogli di persone che avevano subito un trauma<br />
cranico, più un marito, ormai si conoscevano da qualche tempo e avevano una certa confidenza tra<br />
loro.<br />
Avere in comune un'esperienza così forte sicuramente ha permesso di costruire legami, intendersi;<br />
non è noto quanto del loro dolore sia stato già verbalizzato nelle loro interazioni precedenti, certo<br />
ogni tanto nei racconti esso affiorava attraverso momenti intensi di commozione.<br />
E’ probabile che la comprensione tra le persone sia favorita quando si condivide un dolore, in<br />
questi casi le parole richiamano più facilmente emozioni e processi di empatia.<br />
Ci si rispecchia nell'altro più facilmente, perché dentro di se si può pensare che l’altro mi capisce,<br />
sa di cosa sto parlando, sono le mie stesse sofferenze e mi può comprendere. Lo stesso gruppo<br />
delle donne intervistate riteneva che gli altri, il mondo esterno, non potranno mai capire come<br />
stanno veramente le cose.<br />
Si è partiti utilizzando la scheda-traccia dell’intervista, all'inizio chiedendo di raccontare come si era<br />
<br />
6 Tap P., Il potere e il senso. Studio sull’interdipendenza fra attore sociale e istituzioni, Centro Scientifico, 1990 (1988)<br />
<br />
<br />
203
saputo o era stato annunciato l'evento traumatico e/o l’incidente.<br />
Quasi sempre le prime notizie sono già di per se sconvolgenti, anche se, in genere, nei momenti<br />
iniziali si sentono parole abbastanza rassicuranti: “non preoccuparti” “il ragazzo sta bene” “lo hanno<br />
portato al pronto soccorso subito”, ma è proprio lì che si inizia a raccogliere la drammaticità di ciò<br />
che è accaduto, con le mamme che cominciano a sentir dentro qualcosa di strano, le prime<br />
sensazioni che le cose non sarebbero state così semplici.<br />
Frammenti di discorsi...<br />
1 – mamma, incidente con motorino<br />
2 – moglie, incidente sul lavoro<br />
3 – moglie, incidente d’auto<br />
4 – marito, (colpito da emorragia ischemica)<br />
5 – moglie, emorragia ischemica<br />
6 – mamma, incidente motorino<br />
7 – mamma, incidente d’auto<br />
8 – mamma, incidente con motorino<br />
9 – sorella, incidente d’auto<br />
I casi avvicinati riguardano quasi tutti esiti da incidenti stradali: per i più giovani, sul motorino o<br />
anche a piedi, due erano i minorenni; tra gli adulti c’è stato un caso di emorragia cerebrale e uno di<br />
incidente sul lavoro.<br />
Come è arrivata la notizia<br />
Quando accade l’incidente, la notizia arriva quasi sempre a telefono, a volte le parole sono: “Non si<br />
preoccupi, un piccolo incidente”;“Gli ho parlato prima che andasse via con l’ambulanza”.<br />
“Al telefono mi dicono abbiamo portato il figlio in ospedale”. (1- mamma)<br />
Qualche volta è una persona di famiglia, altre il datore di lavoro.<br />
<br />
<br />
204
Pensieri contrastanti, quando si tratta del figlio a volte vengono pensieri di rabbia, quasi di<br />
rimprovero, verso l’inavvedutezza del ragazzo, ma nello stesso tempo sopravviene la paura.<br />
“In genere uno si preoccupa quando il figlio esce di sera, non ci si aspetta che possono accadere<br />
all’una del pomeriggio”. (1 - mamma)<br />
“Mio marito è andato a lavorare, la notizia arriva da sua sorella, il datore di lavoro aveva un numero<br />
vecchio di prima il matrimonio, è accaduto dodici anni fa, a 48 anni”. (2 - moglie)<br />
“E’ stato un incidente sul lavoro a causa di un carico pendente, dopo il colpo si è perfino rialzato,<br />
ma dopo gli si è aperto il cranio”. (2 - moglie)<br />
“La notizia mi è venuta da mia suocera perché i vigili erano andati da lei”. (3 - moglie)<br />
“Mi ricordo ancora la strada che ho percorso per andare in ospedale, ma in quel momento ancora<br />
ho sempre sperato che si riprendesse, prima che passasse il momento tra la vita e la morte poi<br />
avevo sempre la speranza che poteva recuperare sempre di più”. (3 - moglie)<br />
“Per me è stata durissima però avevo la speranza che recuperava sempre un po’ di più”. (3 -<br />
moglie)<br />
“Mi hanno chiamata dal lavoro, mio marito aveva perso conoscenza, sono corsa all’ospedale e<br />
sono arrivata prima io all’ospedale dell’ambulanza”. (5 - moglie)<br />
“Quindi ero già li e il medico ha capito subito quello che era successo, era già in coma, intubato”. (5<br />
- moglie)<br />
“Mio figlio aveva 16 anni quando ha fatto l’incidente, sono venuti i suoi amici a darmi la notizia”. (6 -<br />
mamma)<br />
“Dentro di me qualcosa già saltava, mi avevano detto che parlava, quando sono andata al pronto<br />
soccorso mi hanno detto che non potevo vederlo”. (6 - mamma)<br />
“Non è stato un incidente è stata una ipertensione aggravata da farmaci inadatti. – la sua terapia<br />
era stata abolita perché non era più idonea e lui non l’aveva saputo. Avrebbe dovuto cambiare<br />
immediatamente la terapia. La lettera ha girato un mese prima di arrivare a casa, ed è arrivata<br />
proprio il giorno in cui lui ha avuto l’ictus”. (5 - moglie)<br />
“Il giorno dell’incidente aveva 16 anni , mi ha chiamato mio marito, io ero al lavoro”. (8 - mamma)<br />
“Mi dicono tranquilla è caduto dalla moto ma nulla di grave” Sono arrivata tranquilla fino al luogo<br />
dell’incidente, anche perché mio marito mi aveva rassicurato. Poi sono arrivata all’ospedale e<br />
avevo strani sentori”. (8 - mamma)<br />
“Mi hanno parlato per prima i vigili e mi hanno detto che la situazione era grave”. (8 mamma)<br />
<br />
<br />
205
Il ricovero e le cure<br />
“L’arrivo al pronto soccorso, si pensa di essere in un incubo, che si sta sognando, si passa il tempo<br />
pensando alla gravità delle cose. Si ha lo shock quando lo si vede rapato a zero, con i fili, con i<br />
primi macchinari. Le 72 ore per sciogliere la prognosi , o campa o muore”. (1 - mamma)<br />
“I primi giorni si vive nell’incredulità, sembra impossibile che accada una cosa del genere, mio figlio<br />
non ha mai più parlato. Dopo tre mesi è stato dimesso dall’Ospedale Maggiore, con informazioni<br />
appena sufficienti”. (1 - mamma)<br />
“Sentivamo di essere in buone mani ma passata la fase acuta, vista la gravità, nessuno lo voleva<br />
per la riabilitazione. E’ li che abbiamo sentito l’abbandono, non ci credevano neanche i<br />
medici…Verso la fine poche informazioni e mancata chiarezza di cosa dovevamo fare”. (1 -<br />
mamma)<br />
“Al pronto soccorso mi hanno detto solo stia seduta e aspetti… aspettavo” (2 – moglie).<br />
“C’è stato un consulto medic…poi sono usciti. Dopo ore è uscito il medico, mi ha fatto vedere tutte<br />
le carte , mi ha spiegato tutto, mi ha fatto entrare in una stanza e mi ha detto che non so se lo<br />
rivede. All’ospedale sono molto duri”. (2 - moglie)<br />
“L’ho visto sul lettino coperto, non aveva ferite visibili”. (2 - moglie)<br />
“Mi hanno dato le sue cose e detto che lo portavano in sala operatoria e mi hanno detto aspetti che<br />
“arriverà un medico per farle firmare l’espianto”. (2 – moglie)<br />
“Il mio pensiero era che avevo due figli di 7 e 10 anni a casa, …non avevamo mai neanche parlato<br />
di queste cose,…. espianto non espianto”. (2 - moglie)<br />
“La speranza che si sbagliavano non mi veniva neanche.. Mi avevano detto che era entrato<br />
materiale nel cranio, pezzi di casco, di osso, olio minerale… e che gli avrebbero lavato il cervello.<br />
Poi invece è uscito ed è andato in sala rianimazione e dopo 20 giorni ha cominciato ad aprire gli<br />
occhi”. (2 - moglie)<br />
“Mi hanno detto signora si aspetti di avere un vegetale”. (2 - moglie)<br />
“Allora gli ho detto ma se io gli registro le parole dei bambini per farle ascoltare per stimolarlo…, mi<br />
hanno risposto signora guardi che: ma se vuole…<br />
Allora l’ho fatto e per giorni gli facevo sentire la voce dei bambini, poi era in coma farmacologico<br />
per il dolore che poteva avere allora, non si sa se non sente per i farmaci o per la sue ferite.<br />
Allora gli ho fatto sentire le voci dei bimbi e lui si è scosso e un giorno è scattato e ha alzato la<br />
testa dal cuscino. Allora i medici sono corsi tutti e l’hanno sedato perché è era molto agitato”. (2 -<br />
moglie)<br />
<br />
<br />
206
“C’era sempre la speranza che migliorasse”. (3 - moglie)<br />
“Ha fatto mesi di coma vigile, poi per un anno ripeteva solo l’Ave Maria, poi ha cominciato a<br />
leggere e a parlare un po’ anche se con molte difficoltà. Nell’esprimere le sue opinioni ha<br />
ovviamente delle difficoltà”. (3 - moglie)<br />
“Da come loro mi avevano detto, che non si sapeva come si sarebbe svegliato questa per me è<br />
una grande conquista”. (3 - moglie)<br />
“In quel momento è uscito tutto intubato, ho seguito l’ambulanza allora con mia figlia, abbiamo<br />
seguito l’ambulanza fino a Bergamo e ancora non me lo lasciavano vedere”. (6 – mamma)<br />
“Poi sono entrata era tutto nudo, era freddo, gli usciva sangue dalle orecchie e dal naso, pieno di<br />
tubi mi sentivo morire. Dalle otto di sera è entrato in sala operatoria a mezzanotte, e mi hanno<br />
detto che non sapevano se usciva vivo”. (6 – mamma)<br />
“Mio marito è arrivato subito..., il curato della parrocchia con i ragazzi hanno fatto passare la voce,<br />
io non vivevo in quei momenti”. (6 – mamma).<br />
“Poi è uscito dalla sala operatoria è andato in rianimazione e il medico mi ha detto signora guardi<br />
non so se arriverà al mattino”. (6 - mamma)<br />
“Non sapevo più se a parlare o urlare, non sapevo cosa fare, mi hanno detto di andare a casa”. (6 -<br />
mamma)<br />
“Alle otto del mattino mi chiamano dall’ospedale e mi hanno detto che dovevano rioperarlo. Il<br />
cervello gli stava esplodendo e dovevano rioperarlo. E’ stato più il danno per questo che per<br />
l’incidente”. (6 – mamma)<br />
“E’ rimasto cieco per tanto tempo poi ha ripreso, è rimasto cieco per un occhio. L’hanno tenuto in<br />
come farmacologico per qualche giorno”. (6 - mamma)<br />
“Ogni tanto o faceva dei movimenti o riapriva gli occhi, allora speravo che si stesse risvegliando<br />
invece mi dicevano che erano solo dei movimenti involontari”. (6 - mamma)<br />
“Poi lo hanno operato alle altre fratture che aveva alle gambe e poi ha cominciato la riabilitazione”.<br />
(6 – mamma)<br />
“Quando l’ho visto cieco, ho perso le speranze che recuperava, poi lui non parlava e cominciava a<br />
piangere”. (6 – mamma)<br />
“Mi hanno accompagnato in una stanzina, mi hanno offerto qualcosa … dopo gli hanno fatto una<br />
risonanza e lo hanno portato di sopra verso le otto, mi pare, sono entrati in sala operatoria e dopo<br />
mi hanno detto non sappiamo se sopravvive. Io ho chiamato la mia famiglia, è arrivato mio fratello,<br />
è andato a prendere i ragazzi a casa, che non sapevano niente. Poi ho chiamato i fratelli di mio<br />
marito”. (5 - moglie)<br />
<br />
<br />
207
“E’ stato ricoverato per 26 giorni in terapia intensiva in coma, poi si è risvegliato. Quando lo hanno<br />
dimesso mi hanno detto esattamente quello che avrebbe avuto. I problemi di memoria, etc.,<br />
l’autonomia personale è fortemente condizionata”. (5 - moglie)<br />
“Il primo intervento è stato rene e milza, poi è entrato in coma durante l’intervento. Invece poi mi<br />
dissero che in chirurgia non c’era posto, c’erano stati incidenti in autostrada. Poi una persona<br />
anziana è stata spostata , col consenso dei parenti, per dare soccorso a mio figlio”. (8 - mamma)<br />
“Cominciarono a dire che se sopravvive rimarrà vegetale, ero li io e mio marito, mi parlarono di<br />
espianto”. (8 - mamma)<br />
“Io e mio marito eravamo in silenzio, non sono mai riuscita a condividere, io ho voluto sempre dire<br />
che mi davano fastidio le persone che mi stavano vicino”. (8 – mamma)<br />
“Poi ci hanno detto che probabilmente non sarebbe uscito dalla sala operatoria”. (8 - mamma)<br />
“Poi è uscito alle 3 e mezzo di notte ed è stato in coma diversi mesi”. (8 - mamma)<br />
“I primi mesi era anche sotto dialisi, poi abbiamo fatto il percorso di rianimazione a Mozzo, ha<br />
cominciato a riconoscermi”. (8 - mamma)<br />
“Quando sono andato dal medico a dirgli che mio figlio si stava risvegliando, il medico mi ha preso<br />
per matta, che aveva fatto tutti i test proprio qualche minuto prima, poi in rianimazione si stava solo<br />
un quarto d’ora e ti mandavano via. Molti medici non ascoltano mai i familiari”. (8 - mamma)<br />
Dopo le dimissioni<br />
“Nove anni fa ci hanno ridato un figlio e dimesso come se avesse avuto una appendicite, gli devo<br />
dire grazie perché sono stati bravissimi, ma al momento della dimissione mi hanno detto questo è<br />
vostro figlio, queste le medicine che sta prendendo. E poi niente”. (1 - mamma)<br />
“Poi ha avuto le prime crisi epilettiche, tre mesi dopo l’incidente”. (1 - mamma)<br />
“Avevo un ragazzo autonomo che si confidava, era un giovane adulto e poi mi ritrovo un figlio che<br />
non comunica. Ho un rapporto come tra una mamma e un neonato solo che lui è un adulto”. (1 -<br />
mamma)<br />
“Il primo anno vivevamo praticamente intorno all’ospedale e per l’ospedale, poi portato a casa<br />
sembrava che potevamo riposarci perché non dovevamo stare di notte, correre tutti i giorni, andare<br />
e venire. Portarlo a casa ci ha alleggerito anche se l’assistenza è 24 ore su 24, ma in ospedale<br />
non potevamo riposare”. (1 - mamma)<br />
“Il contesto familiare è stato un po’ rilassato, i primi tempi ti vengono a trovare, poi gli zii mollano,<br />
gli unici che in genere non mollano sono i nonni... Mio marito invece è figlio unico”. (1 - mamma)<br />
<br />
<br />
208
“I nonni reggono un po’ di più ma se prima si fermavano anche per la cena ora cercano di andare<br />
via prima”. (1 - mamma)<br />
“La vita quotidiana con un figlio, in realtà lui ora dopo tanti anni non è il problema maggiore ma il<br />
minore, restano un peso gli aspetti logistici, i giudici tutelari, le pratiche, fare le spese”. (1 -<br />
mamma)<br />
“Era rimasto però 4 mesi muto. Ora dopo anni è afasico ma parla, anche se con difficoltà, ha<br />
ripreso a camminare con tutte e due la gambe, ha una emiparesi sulla destra e non muove la<br />
mano”. (2 - moglie)<br />
“Lui ha sviluppato autonomie, a casa ha cominciato a camminare, ha ricominciato a scrivere con la<br />
sinistra e così a mangiare, ma la maggioranza dei medici non sapeva cosa dirmi”. (2 - moglie)<br />
“Avevo dei bimbi attaccatissimi al padre e lui lo era per i figli.” (2 - moglie)<br />
“Ho fatto tutto il percorso e un po’ l’avevo già davanti in quanto infermiera, lui ha recuperato<br />
sempre un po’ di più anche se non deambula ed è molto dipendente, cammina solo accompagnato<br />
ma non va da solo in bagno, non ce la fa, ha difficoltà nel mangiare e nella relazione“. (3 - moglie)<br />
“Capisce tutto, legge, fa i conti più veloce di me, ma ha problemi comportamentali facciamo<br />
moltissime passeggiate ma non in contesti con tanta gente, rumore, se incontriamo qualcuno non<br />
ci sta, si mette a urlare… Non vuol stare più in mezzo alla gente, se c’è rumore etc. se qualcuno<br />
parla con me comincia a urlare”. (3 - moglie)<br />
“Fino a 4 anni fa l’ho gestito da sola poi sono crollata, anch’io e ho dovuto prendere una badante<br />
che mi dia una mano. Ora con questa badante mi permetto di uscire da sola, di andare al cinema,<br />
in piscina, etc.”. (3 - moglie)<br />
“C’è stato un momento, adesso un po’ meno, che si è reso conto anche lui della mia presenza e<br />
ora se mi dovesse succedere qualcosa anche lui adesso dice cosa faccio io, ora sa che ha bisogno<br />
della mia presenza”. (3 - moglie)<br />
“Poi ha avuto reazioni aggressive, mi tormentava le mani, dopo tanto tempo ha ricominciato a<br />
vedere”. (6 - mamma)<br />
“Ora ha recuperato va a lavorare, in piscina, il problema è che ora è un bambinone, ha trent’anni<br />
ma ti abbraccia, gioca etc. se deve andare da qualche parte vuole essere accompagnato”. (6 -<br />
mamma)<br />
“Lui ha un carattere pacifico, gentile, era un una persona con lavoro importante, un lavoro in cui<br />
doveva sapere mediare e questa cosa gli è rimasta, andiamo a cinema, a teatro, etc.”. (5 - moglie)<br />
“E’ vero che a volte non trova neanche il bagno di casa però in un po’ di anni ha recuperato molta<br />
autonomia”. (5 - moglie)<br />
<br />
<br />
209
“Bisogna ricordargli di far la barba, la fa e poi esce, hai lavato i denti? li lava ed esce, fai la doccia e<br />
la fa, una cosa alla volta. Ora si veste da solo”. (5 - moglie)<br />
“Mio figlio si è ristabilito abbastanza bene, ora ha 30 anni, lavora ma amici niente. E’ stato investito<br />
da un motorino. All’inizio avevano detto speranze poche”. (6 - mamma)<br />
“Il problema adesso è che non ha veri amici e frequenta cattive compagnie, ho forti timori per lui. E<br />
vuol fare tutto quello che faceva prima, vuole compagnia ma si fida troppo degli amici, alcuni<br />
vivono, di fatto, alle sue spalle. Sono orientata a fare delle denunce per proteggerlo. Ci sono delle<br />
persone che temiamo”. (7 - mamma)<br />
“Lui ora ce l’ha su con la psichiatria, anche se negli ultimi tempi si sta ricredendo. Infatti vogliamo<br />
tornare a parlare con la assistente sociale della psichiatria dei problemi che sta vivendo”. (7 -<br />
mamma)<br />
“Non mi ha mai toccato ma a volte mi minaccia, quando ha quegli scatti mi fa paura, rientra spesso<br />
la notte tardi, ho intenzione di mettere le sbarre a porte e finestre”. (7 - mamma)<br />
“Poi man mano che si va avanti diventano aggressivi, quando è uscito faceva le prove con le mani<br />
e spappolava le mani a tutti stingendole troppo, ancora oggi ogni tanto si mozzica la mano anche<br />
se non sopporta il dolore e ha paura a tagliarsi le unghie”. (8 - mamma)<br />
“E rimasto sette mesi in terapia intensiva, non sopporta il dolore, anche per curare i denti abbiamo<br />
dovuto portarlo in ospedale”. (8 - mamma)<br />
“Ha recuperato e la sua memoria ha ripreso abbastanza, ama la musica, la storia, lavora”. (8 -<br />
mamma)<br />
“Si è sempre in ansia e si ha paura che possa succede qualcosa, anche se non ha avuto crisi<br />
epilettiche ho sempre paura che accadano, si tende sempre a proteggerli perché si vedono<br />
indifesi”. C’è questa protezione continua”. (8 - mamma)<br />
“Quando è stato dimesso dall’ospedale, era tutto una piaga, pannolini: poi ha recuperato, io<br />
lavoravo e sono rientrata a lavorare part time”. (8 - mamma)<br />
“Ormai ha recuperato, guida, però se deve cambiare la ruota non ci riesce, non potrà mai vivere da<br />
solo, non sa cambiarsi il catetere, ma cognitivamente è adeguato”. (9 - sorella)<br />
“…Va con gli amici, al cinema etc.”. (9 - sorella)<br />
“Esiste anche un problema legato a dove abita la gente. Mentre i corsi di nuoto, hanno avuto molto<br />
più successo, sono anche occasione di socializzare e incontrarsi, far passare informazioni in via<br />
informale”. (9 - sorella).<br />
<br />
<br />
210
Il legame familiare e di coppia<br />
Dopo le dimissioni ci sono stati i contrasti dopo tutto quello che avevo fatto per lui: “Mi ha anche<br />
detto che lui ha lottato per i figli e che se fosse stato con me non l’avrebbe fatto, visto che io avrei<br />
potuto rifarmi la vita”. (2 - moglie)<br />
“Questo mi ha scatenato una forte depressione, in parte ho recuperato ma solo perché ho<br />
imparato a gestire questa cosa con mio marito”. (2 - moglie)<br />
“La dinamica non è più tra marito e moglie ma tra mamma e figlio, abbiamo comunque problemi<br />
sulla sfera affettiva e sessuale e dobbiamo gestirla per non fargliela pesare”. (2 - moglie).<br />
“Ci sto per dovere? Per amore”. (2 - moglie)<br />
“Rimane il vecchio legame affettuoso, la promessa che hai fatto, nel bene e nel male nella malattia<br />
e nella salute”. (2 - moglie)<br />
“Si pensa che i figli abbiano bisogno che questo legame venga in qualche modo mantenuto”. (2 -<br />
moglie)<br />
“Avendo dei figli devi sempre farli vedere che il papà c’è e non ha perso tutte le qualità; i figli hanno<br />
già avuto una batosta di questo genere e allora si pensa di non aggiungere le altre”. (2 - moglie)<br />
“Cerchiamo di mantenere una parvenza di famiglia”. (2 - moglie)<br />
“Nel legame con le persone si sacrificano certe dimensioni personali per mantenere il legame<br />
familiare”. (2 - moglie)<br />
“Questo lo fa soprattutto la donna e lo fa soprattutto per i figli, non faccio niente se questo può<br />
portare anche una piccola sofferenza ai figli”. (2 - moglie)<br />
I figli sono sempre un po’ conservatori, cambiano, loro crescono ma quasi pretendono che la<br />
coppia genitoriale non si muova da li. E’ come se dicessero: non fate troppi litigi, non troppi<br />
battibecchi e cercate di stare buoni.<br />
“La donna è più forte, ha più senso del dovere verso il marito e figli, si carica anche di più<br />
sofferenza perché è più forte”. (2 - moglie)<br />
“Secondo me le donne sono la famiglia, veniamo anche da un’altra generazione”. (8 - mamma)<br />
Basta la spiegazione “che le donne sono più forti”? E’ sufficiente questa dimensione?<br />
“Forse le donne tra venti anni non faranno più questo, allora non saranno più così forti? Le più<br />
giovani piantano più facilmente il marito. Come per il divorzio le più giovani lo fanno più facilmente<br />
di quelle meno giovani”. (8 - mamma)<br />
<br />
<br />
211
“Nel mio caso, per me, è stato amore, io avevo 34 anni e lui 39, eravamo sposati da dodici anni,<br />
non ho neanche figli, il mio primo istinto non è riuscire ad abbandonare mio marito perché mi<br />
sentivo forse persa io senza di lui, era più forte questo amore”. (3 - moglie)<br />
“Forse il pensiero di fuga può venire dopo ma per me era solo amore, non c’era neanche il legame<br />
dei figli”. (3 - moglie)<br />
“Questo viene dopo con gli anni”. (8 - mamma)<br />
“Abbandonandolo mi sarei sentita persa nella mia identità di donna e di persona”. (3 - moglie)<br />
“Prima lavoravo poi ho smesso e ho cominciato a dedicarmi principalmente a lui”. (3 - moglie)<br />
Io sono quel che sono, donna, madre e moglie e ho costruito la mia identità che è anche la mia<br />
forza. In questo mio percorso, nella mia esperienza di vita, anche se non facile, ho cominciato ad<br />
assumere questi compiti man mano, perché sappiamo che non è così leggero il ruolo di una donna<br />
nella famiglia, anche se non c’è un trauma, con i suoi compiti da affrontare, i figli da assistere, la<br />
casa, etc.<br />
Poi c’è un evento forte che fa saltare tutto il mio equilibrio, rischio di perdermi, vado in depressione,<br />
però devo cercare di diventare ancora più forte. Io per riuscire a reggere, per tenere devo<br />
aumentare la mia forza, prendere parte delle mie dimensioni e accantonarle, per poter resistere, è<br />
anche per questo che non me ne vado via, non mollo per reggere come identità.<br />
Ma chi sono io se non accetto questo peso, che sarà di me e della mia identità se fuggo da questa<br />
responsabilità?<br />
Probabilmente perché questa mia storia personale mi ha portato a questa forza, è la mia identità,<br />
quindi se io rompo perché solo dico basta, perché sono stanca o perché ho trovato un’occasione<br />
di fuga, un’avventura, sarebbe come mettere in crisi non solo la mia relazione ma l’immagine che<br />
ho di me stessa: chi sono io se non faccio questa cosa, come mi considereranno? Come mi<br />
rapporterò? Chi sarò se pianto tutti in asso e cambio vita?<br />
“Ovviamente la vita di coppia non c’è più, ma ti arriva un macigno sulla testa e o ti butti dal ponte o<br />
resisti”. (3 - moglie)<br />
Quando c’è stata una fase del distacco?<br />
“Dopo il risveglio c’è stata una fase di parolacce di aggressività, cose pesanti”. (3 - moglie)<br />
Le prime reazioni aggressive sono legate al trauma, all’inizio non sono pienamente consapevoli, e<br />
solo dopo vengono reiterate con consapevolezza.<br />
“Ora mi dice anche che non siamo riusciti ad avere dei figli e li vorrebbe, anche con l’adozione e<br />
non si rende conto che non ci sono le condizioni”. (3 - moglie)<br />
<br />
<br />
212
“E’ molto dura, l’ansia c’è, anche la paura , cosa faccio? Mi costerebbe più fatica a costruirmi<br />
un'altra vita, come donna, come relazioni umane, con le cose da fare cerco di ritagliarmi degli<br />
spazi, di continuare la mia vita. Anche per questo ho cercato una badante”. (3 - moglie)<br />
“Io lo faccio perché mi sento ancora in grado di accudirlo. C’è anche un senso di affetto di sicuro,<br />
un legame, un coinvolgimento, siamo stati sposati, siamo una coppia”. (5 - moglie)<br />
“Quando ci si sposa si recita una formula in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, non<br />
credo per niente che sia una cosa banale questa formula. Noi ce la sentiamo, non è una cosa<br />
banale. Anche se la situazione chiede molto sacrificio”. (5 - moglie)<br />
“Io penso che dipende dal tuo rapporto come persona, se non hai un buon rapporto non credo che<br />
possa durare. Certo se non avessimo avuto un buon rapporto non so cosa sarebbe successo”. (5 -<br />
moglie)<br />
“I figli hanno cambiato atteggiamento anche loro. La figura del papà non è più riconosciuta, con<br />
l’età è diventato cosi”. (5 - moglie)<br />
“Ora sono più grandi e aiutano molto nel condurre, il supporto di qualcuno aiuta, si è un po’ tutti<br />
stanchi”. (5 - moglie)<br />
“Il ripetersi continuo e quotidiano delle cose che ti logora, ti porta ad un logoramento interno, che ti<br />
porta a non conoscere la figura paterna, capisci che quello che ti sta accadendo non è giusto, non<br />
hai una figura su cui puoi contare. I miei figli poi hanno cominciato a vedere uno a pari di loro... e<br />
non si intravede un miglioramento”. (5 - moglie)<br />
“Se si guarda indietro qualcosa è cambiato ma i figli sono più diretti non mediano sempre come gli<br />
adulti che hanno tante cose che si accumulano”. (5 - moglie)<br />
Ci troviamo di fronte a questioni nuove, il trauma cranico sta portando fenomeni nuovi che prima<br />
non c’erano.<br />
“Mio marito lo tratta di più da adulto ma la cosa mi fa arrabbiare . Io non posso mai discutere con<br />
mio marito, perché mio figlio ha paura, dice qualcosa nervosamente e poi se ne va”. (8 - mamma)<br />
“Padre e figlio escono insieme qualche volta, ma è mio figlio che ora non vuole, quando lo invitiamo<br />
a uscire è lui che preferisce star a casa da solo invece di venire con noi”. (8 - mamma)<br />
“La coppia, all’inizio avevo tanta rabbia perché pensavo che mio marito non avesse sofferto,<br />
egoisticamente credevo che lui non avesse sofferto così tanto, come avevo sofferto io come<br />
mamma”. (8 - mamma)<br />
“Pensiamo che la nostra storia di sofferenza non la possa vivere nessuno, che il nostro vissuto, sia<br />
il vissuto più atroce di tutti gli altri”. (8 - mamma)<br />
<br />
<br />
213
“Si rompe qualcosa anche all’interno della coppia non c’è più il legame come prima e non c’è più<br />
quella serenità”. (8 - mamma)<br />
“…Va bene così però non e più come prima”. (8 - mamma)<br />
“In vacanza si va pochissime volte, si vive un po’ separati, dopo 35 anni abbiamo un buonissimo<br />
rapporto però”. (8 - mamma)<br />
“Si vive insieme ma in solitudine”. (8 - mamma)<br />
Era meglio che tu non c’eri più è un pensiero e una frase gridata con rabbia, nei momenti di<br />
tensione.<br />
Si rilevano aspetti diversi nel caso di trauma da lesione midollare, questo spesso fa seguire una<br />
rottura dei legami esistenti, partner, amici, etc. ma con la stessa frequenza si rileva un recupero<br />
delle relazioni con la formazione di una nuova coppia e la frequentazione di nuovi amici.<br />
“Nel caso delle lesioni midollari però c’è quasi sempre la ricostruzione di altri legami validi e<br />
duraturi”. (9 - sorella)<br />
“Le ragazze sono poche, alcune non avevano relazioni prima…”. (9 - sorella)<br />
“Per una ragazza di 20 anni che rimane traumatizzata, accade regolarmente che trova un legame<br />
stabile dopo”. (9 - sorella)<br />
“Quelle sposate sono rimaste sposate e hanno avuto dei figli dopo l’incidente…”. (9 - sorella).<br />
Gli amici, gli altri parenti, il contesto di vita<br />
“Gli amici sono venuti i primi due tre anni a trovarlo, magari si incontravano qui prima di andare da<br />
qualche parte, poi eravamo stanchi noi stessi. Lui non interagisce, poi noi eravamo stanchi e i loro<br />
modi allegri e vocianti… e poi piano piano non sono più venuti”. (1 - mamma)<br />
“Noi abbiamo avuto tantissimo aiuto nel periodo dell’ospedale dalla sua famiglia, i suoi fratelli, che<br />
ci hanno aiutato il primo anno, ma dopo che è stato dimesso, anche tenerlo qualche ora nel<br />
pomeriggio, loro sono crollati e io ho dovuto stare a casa dal lavoro”. (3 - moglie)<br />
“I rapporti ho cercato di tenerli buoni ma io non posso pretendere niente, i fratelli hanno anche una<br />
loro famiglia, ora qualche volta ci vediamo ma i rapporti sono di cortesia”. (3 - moglie)<br />
“I primi mesi c’è qualche amico, ma poi non si è trovato più nessuno, c’è chi si è sposato, che ha i<br />
figli”. (3 - moglie)<br />
<br />
<br />
214
“Anche mio marito andava a sciare, faceva la settimana bianca gli hanno detto di riprendere, ma<br />
solo per aumentare la sua autostima, lui prima camminava in montagna anche con gli amici, si<br />
allevavano in palestra come presciistica”. (2 - moglie)<br />
“Ho provato a farlo frequentare, per qualche gita, lo portavo in palestra, ma hanno sempre chiesto<br />
anche la mia presenza, portalo io e stare li, perché avevano paura che si sentisse male, ecc...”. (2 -<br />
moglie)<br />
“Tu cerchi anche di staccare un attimo ma loro non hanno mai voluto portarlo con se da solo”. (2 -<br />
moglie)<br />
“Questa cosa fa anche molto male e stiamo parlando di adulti”…. “Vedere gli amici andar via,<br />
venivano la sera qua,. poi non si sono più visti”. Qualcuno che incontri fa anche finta di non vederti,<br />
di guardare da un’altra parte”. “Sembra che io abbia la lebbra, girano e vanno via”. (confermano un<br />
po’ tutte mamme e mogli)<br />
“Gli amici non si fidano a portarlo in giro perché temono che abbiano bisogno di qualcosa. Sono<br />
passati i tempi ma la disabilità da fastidio, la gente non vuole averci a che fare”. (6 - mamma)<br />
“Mi dà fastidio quando sei al centro commerciale e ci sono le persone che ti servono che ti<br />
sorridono e poi ti vedono passare e stanno zitti e tu vai avanti”. (5 - moglie)<br />
“Mi hanno detto una volta per strada: ...”. (6 -<br />
mamma)<br />
“I bambini chiedono ma gli adulti sono “feroci…”<br />
Lo sguardo è sempre uno specchio e il diverso fa sempre, in qualche modo paura, noi stessi prima<br />
degli incidenti non avremmo mai immaginato che mondo c’era dietro gli sguardi delle persone,<br />
verso i disabili che incontravamo.<br />
“Dopo 6 anni un po’ di amici si sono persi anche se c’è un gruppetto che viene sempre a prenderlo<br />
lui è di buona compagni,. gli piacciono le barzellette”. (5 - moglie)<br />
“Abbiamo qualche amico che ci viene a trovare, organizziamo la pizzata insieme, ma si tende a<br />
stare in casa, sul divano, ma senza parlare, come ai tempi di un incidente. (8 - mamma)<br />
“Il contesto anziché essere facilitante è castrante, se mia mamma che lo assiste tutto il giorno va<br />
al cinema riceve le critiche di essere una che trascura il proprio figlio.” (9 - sorella)<br />
“Il vissuto soggettivo è sentirsi in colpa, quando trovi uno spazio per te”. (9 - sorella)<br />
“L’esigenza difensiva distruttiva è quella che fa emarginare il diverso in un astratto tentativo che se<br />
allontano te allontano anche la paura che la stessa cosa possa succedermi”. (9 - sorella)<br />
<br />
<br />
215
E’ come se mettere in atto azioni di emarginazione, di critica, costituisca un ulteriore atto per<br />
distanziare l’altro, per allontanare da se quella esperienza. E’ irrazionale, ma è come se si<br />
cercasse una colpa, un motivo per spiegare perché quella cosa sia successa. Se l’altro ha delle<br />
“colpe” per cui è stato “punito” allora quella stessa cosa a me non succederà…Sembra che ci sia<br />
un bisogno disperato di differenziare l’esperienza del trauma dalla propria: quella famiglia doveva<br />
avere qualche colpa, per cui le è successo questa cosa. Allora allontanando la famiglia colpita mi<br />
illudo di tener lontano anche l’esperienza traumatica.<br />
Si fa fatica a pensare, invece, che le malattie, gli incidenti e il trauma hanno una distribuzione<br />
probabilistica, casuale, non così prevedibile, queste cose possono accadere a chiunque (salvo le<br />
condotte rischiose come il guidare ubriachi, non osservare il codice della strada o le regole della<br />
sicurezza sul lavoro).<br />
Abbiamo bisogno di etichettare e di emarginare, devo definire l’altro come diverso da me per<br />
difendermi da meccanismi di identificazione che altrimenti mi creerebbero angoscia.<br />
“La concezione pietistica richiede che devi fare un sacrificio totale e se la mamma si prende uno<br />
spazio per se, anche minimo è vista male come se dovesse vivere una vita di eterno dolore”. (9 -<br />
sorella)<br />
Quale rielaborazione del trauma?<br />
“Se avessi immaginato questo forse non avrei lottato tanto per la vita di mio figlio”. (8 - mamma)<br />
“Il peso è così alto che non so se avrei lottato tanto”, c’è una mamma che dice “invidio le persone<br />
che portano i fiori al cimitero”.<br />
“Per i religiosi la vita è davanti a tutto ma.. era meglio se andava peggio”.<br />
“Fa male solo a pensarlo ma se parli con una persona che ha avuto un lutto pensa che noi siamo<br />
fortunate, noi invece pensiamo che chi ha perso un figlio sia stato protetto dal Signore”. (8 -<br />
mamma)<br />
“Io non sono d’accordo con l’eutanasia, assolutamente, e non farei mai niente per far morire mio<br />
figlio, ma quando sarà e verrà la morte naturale io penso che ringrazierò il Signore”. (1 - mamma)<br />
“Quando era successa la storia di Manuela Englaro mi faceva una rabbia vedere tutti quei preti che<br />
dicevano la vita deve essere vissuta, ma loro che ne sanno cosa significa assistere una persona?<br />
Quanti pannoloni hai cambiato nella tua vita?”. (8 - mamma)<br />
“E’ pesante portare avanti un ragazzo per 16 - 17 anni, io non voglio sminuire la sofferenza di chi<br />
ha perso un figlio…. Io ho vissuto il dramma dell’incidente, sto vivendo il dramma della vita e dovrò<br />
vivere il dramma della morte, io penso che una mamma che ha avuto un lutto subito salta almeno<br />
un dramma”. (1 - mamma)<br />
<br />
<br />
216
Una donna che conosciamo ha avuto tutte e due le esperienze: un figlio morto in strada a 14 anni,<br />
portato a casa già morto, e una figlia più grande, di 18 anni, dopo due anni di stato vegetativo è<br />
morta anche lei. Una mamma molto religiosa, ha provato le due esperienze dello stato vegetativo e<br />
della morte istantanea, aveva detto all’inizio “perché mio figlio non mi ha salutata prima di andar<br />
via?” ma dopo ha detto anche che “questo è il figlio che mi ha voluto più bene perché mi ha<br />
risparmiato questa sofferenza”.<br />
Chi ha vissuto queste cose e ha perso un figlio in giovane età porta sempre una lacerazione anche<br />
a distanza degli anni. Ma noi crediamo che “non si soffre tanto con la morte ma con la vita”.<br />
“Certo ognuno ha sempre una lacerazione, ma noi il dolore lo viviamo tutti i giorni invece il lutto, la<br />
morte, il funerale, tu ti rendi conto che sono momenti, mentre noi il lutto lo viviamo tutti i giorni, è<br />
un lutto perenne, sempre presente. Poi c’è il confronto del prima col dopo, poi incontri i suoi amici<br />
che sono sposati, hanno la morosa…” (il gruppo).<br />
Un lutto mai rielaborato e un lutto che rinnovi tutti i giorni prima del lutto vero e proprio.<br />
“Abbiamo mentalmente fatto il funerale ai nostri figli e mariti”. (il gruppo)<br />
Da una parte c’è un lutto, il funerale, la liturgia etc., che serve per staccare, per rielaborare e<br />
reggere al dolore. Voi state comunque pensando che prima o poi ci sarà il distacco, e se non<br />
accade, se il figlio o il coniuge vi sopravvive?<br />
“Non ci pensiamo molto, ma lasceremo una bella eredità”. (il gruppo)<br />
“Mio figlio non sarebbe in grado di gestirsi da solo. Qualcuno potrebbe farcela qualche giorno da<br />
solo, non certamente tutta la vita.”<br />
“Ma non un mese o più restare da solo, anche solo per prendere le pastiglie…..anche quando esce<br />
con gli amici poi riporta a casa tutte le pastiglie”<br />
“Anche con la loro credulità sarebbero capaci di comprare e firmare ogni qualsiasi cosa dai<br />
venditori che vanno porta a porta o da chi propone loro dei contratti in strada.” (enciclopedie,<br />
abbonamenti televisivi, telefonici etc.)<br />
“Anche ad andare a lavoro, ci andrebbe ma ci arriverebbe ore dopo, con comodo, fermandosi a<br />
parlare con ognuno che incontra.”<br />
“Io ho detto ai miei figli di non occuparsi né del loro padre né della loro mamma, non mi hanno<br />
ancora detto niente, loro hanno taciuto”. (5 - moglie)<br />
“Non sono mai riuscita a condividere, c’era così tanto dolore… rimani un pochino interdetta.<br />
Secondo me non se ne parla per non ferire l’altro e l’altro lo fa per non ferire te”. (8 - mamma)<br />
“Si sta lì in silenzio,. cosa si pensa realmente non si dice…, e non si ha il coraggio neanche di<br />
chiedere al marito”. (8 - mamma)<br />
<br />
<br />
217
“Il fatto dell’accettazione dopo l’incidente, ho fatto fatica ad accettare il mio figlio, era un figlio nuovo<br />
da riamare.” ho fatto proprio tanta fatica a riamare il mio figliolo”. (8 - mamma)<br />
“Io non mi ricordo più di mio figlio, faccio fatica a pensare come era da bambino, ho fatto anche<br />
tanto lavoro su me stessa”. (8 - mamma)<br />
“Ho anche le cassette della sua infanzia , all’asilo cantava”. (8 - mamma)<br />
“Io non ho neanche le cassette e mi dispiace”. (1 - mamma)<br />
Ricordare come era prima è una sofferenza… Si rivede quello che si è perso e la cosa fa molto<br />
male…<br />
“Io invece mi ricordo dei giorni belli del passato”. (3 - moglie)<br />
C’è una differenza nel rapporto con la memoria: per essere moglie ho bisogno di qualcosa da<br />
recuperare, ricordare; il periodo del nostro innamoramento mi serve per avere la forza per<br />
resistere. Per il figlio invece il legame è preesistente e non ho bisogno del ricordo per resistere, il<br />
mio legame con lui è tutto interno.<br />
Con il marito è necessario ricordare, anche se richiamare alla memoria è sofferenza, perché è<br />
proprio il ricordo che permette di reggere.<br />
Con il figlio, invece, il legame va oltre il ricordo e in questo caso ricordare è solo sofferenza e non<br />
serve per avere più forza.<br />
“Io scrivevo dei diari e li ho riscoperti: ho degli scritti sul dolore che quasi mi piaceva piacere<br />
vivere, altrimenti non mi sentivo nessuno”. (8 - mamma)<br />
“Se non avevo rabbia o dolore ero morta mi sentivo morta. Il dolore mi faceva andare avanti”. (8 -<br />
mamma)<br />
“Il dolore mi faceva sentire viva”. (8 - mamma)<br />
“Avevo gli attacchi di panico, depressione, tanto caldo, sudorazioni…”.(8 - mamma)<br />
“La notte tengo sempre la luce attesa, ho paura se non ho chiaro dove mi trovo”. (8 - mamma)<br />
“Perfino in macchina avevo impressione che il sedile mi stringeva, anche quando sembrava tutto<br />
normale”. (8 - mamma)<br />
“Io allungavo la strada anche di molti chilometri, ma dovevo avere vie di uscita, andavo per strade<br />
alternative in caso di colonna.” ad ogni coda cambiavo direzione.” .…“ è solo ultimamente che ho<br />
ricominciato a usare l’ascensore”.<br />
“Ho passato 20 giorni sdraiata sul divano”, non riuscivo a fare niente”. (8 - mamma)<br />
<br />
<br />
218
(molte persone hanno avuto questi vissuti).<br />
“Si sono fatte esperienze di gruppo di auto aiuto, però non hanno funzionato, le persone non hanno<br />
avuto ricambio”. (9 - sorella)<br />
Il sistema del welfare è chiamato ad offrire una assistenza diversa, che possa continuare negli<br />
spazi esterni alle strutture sanitarie, questo non toglierà il dolore del trauma e il lavoro per la sua<br />
ridefinizione però, di sicuro, offrirebbe un forte contributo per evitare di perdersi, perché c’è un<br />
sostegno generale.<br />
Non vai in angoscia nel dire come farò, perché percepisci che c’è una rete. Non vai in angoscia<br />
perché ti sembra una esperienza unica, al contrario senti che ci sono molte altre persone che<br />
hanno fatto esperienze simili e ti ritrovi.<br />
E’ evidente che nel sistema di welfare attuale si fa fatica ad immaginare la disponibilità di risorse<br />
sufficienti per accompagnare le persone nel post-trauma, che avvicinino anche forme non<br />
strettamente sanitarie; però il ruolo dell’associazionismo va considerato come formidabile.<br />
L’associazione aiuta? Come ne usciamo?<br />
A volte è per primo il gruppo che aiuta a uscirne.<br />
“Per me questa associazione è stata un punto di riferimento, parliamo la stessa lingua. Ma se parlo<br />
con una amica mi accorgo che non può capirmi e non vede la gravità della cosa”. (8 - mamma)<br />
“Ci sono poi tutti i problemi del rapporto con i medici, quando hanno qualcosa, anche se non<br />
c’entrano col trauma, non capiscono cosa può vivere la persona con trauma, non interpretano i<br />
sintomi in modo giusto, anche perché i ragazzi non si sanno spiegare, non ascoltano i familiari. Poi<br />
bisogna restar loro vicini in reparto tutto il tempo altrimenti non ci stanno e si possono far male”.<br />
“Passiamo dei momenti allucinanti quando qualcuno di noi viene ricoverato”.<br />
Come se ne esce da queste cose? Resistendo, facendo gruppo.<br />
“Io viaggio spesso… tutti i giorni , guardo Alle falde del Kilimangiaro, così vado in Polinesia, ai<br />
Caraibi…vogliamo andar un paio di giorni in una beauty farm?”. (1 - mamma)<br />
“No, io ho un pessimo rapporto col mio corpo”.<br />
“Vorrei andare al mare tre giorni, senza dover lavorare, stirare, cucinare”.<br />
“Io vorrei andare di inverno così non vedo nessuno coi culi in aria”. (8 - mamma)<br />
“Io sto bene da sola”.<br />
“Mi piacerebbe tornare a tanti anni fa quando avevo i bimbi piccoli, uno da andare a prendere da<br />
scuola, uno andava a calcio”.<br />
“Erano i momenti più belli di una vita e non lo si sapeva”.<br />
<br />
<br />
219
“Io vedo soluzioni solo personali, fai una buona analisi e ne esci”.<br />
Concetti chiave<br />
<br />
Caduta dei legami della famiglia allargata dopo qualche anno.<br />
Timore di perdere il proprio di equilibrio.<br />
Sofferenza nel legame di coppia, anche nel caso in cui sono i figli ad aver avuto un TCE.<br />
Senso di colpa che accompagna la ridefinizione della propria identità.<br />
Tentativo di ritagliarsi spazi personali.<br />
Fa molto male il senso di abbandono.<br />
Alcuni degli amici e dei parenti non si sono più fatti vedere, mai più visti.<br />
Far finta di non veder o guardare dall’altra parte (nel caso di amici o parenti).<br />
Ma anche lo sguardo che dà fastidio (nel caso di sconosciuti).<br />
Nel rapporto con i figli, il padre è il fratellino piccolo da curare, proteggere e guardare.<br />
Stanno meglio le persone che portano i fiori al cimitero per i propri figli.<br />
Non si è d’accordo con l’eutanasia. Ma la morte è una liberazione.<br />
Il lutto lo si vive tutto il giorno, perché il figlio non è più quello che avevi prima.<br />
Più di una persona ha citato la formula del matrimonio: “nella buona e nella cattiva sorte, nella<br />
ricchezza e nella povertà, nella malattia e nella salute, finché morte non ci separi.” Questa<br />
formula è una cosa che ricordano quasi tutte, resta questo obbligo morale dentro di se’<br />
C’è un patto che va mantenuto.<br />
Una riflessione sui discorsi: la ridefinizione delle identità<br />
Per quanto riguarda la dinamica familiare è importante ribadire che le conversazioni confermano<br />
come il trauma subito da un congiunto abbia avuto sempre una forte ripercussione sulla dinamica<br />
familiare.<br />
Esso è capace di sconvolgere tutti gli schemi e tutte le relazioni.<br />
Una mamma ha detto: “Ho dovuto innamorarmi di nuovo di mio figlio, perché quello uscito<br />
dall’ospedale non era più il mio bambino”.<br />
In genere gli interventi delle persone avvicinate hanno espresso opinioni molto simili e coerenti tra<br />
<br />
220
loro, anche per quanto riguarda i rapporti con i coniugi.<br />
Le differenze verbalizzate sono minime e comunque all’interno di un dialogo condiviso.<br />
Una cosa rilevante è che il rapporto tra coniugi viene spesso compromesso non solo quando una<br />
persona con trauma è il marito ma anche quando è il loro figlio.<br />
Quello che invece appare divergente riguarda l’atteggiamento in merito ai ricordi del passato.<br />
Le mogli tendono a rifarsi al passato, esprimono il bisogno di ricordare i momenti più belli dalla loro<br />
vita, questo è una azione molto dolorosa, però, in qualche modo, da la forza di continuare; dal<br />
passato si attinge un po’ di energia che permette di portare avanti il rapporto.<br />
Si resta insieme al marito e si resiste nell’estenuante lavoro di cura, anche grazie al ricordo dei<br />
giorni felici, dei momenti in cui si era innamorati. Perfino nel dolore di qualcosa che si è perso si<br />
trova la radice del proprio legame e, quindi, la forza di continuare.<br />
Per quanto riguarda le mamme invece, ricordare l’infanzia dei figli e un atto troppo doloroso.<br />
Alcune mamme hanno riferito che loro non riuscivano più a ricordare l’infanzia dei figli, come se<br />
avessero dimenticato tutto. Difficilmente riaffiorava alla mente il periodo di quando li assistevano<br />
da piccoli, quando andavano all'asilo, quando cantavano; non riuscivano a ricordarsi quasi più<br />
niente.<br />
Certo le mogli non hanno altro legame che la propria storia di coppia, il periodo dei primi anni<br />
dell’innamoramento è quello più rilevante per la costruzione di questo legame.<br />
Il vissuto di una mamma, invece, è molto diverso: il legame con i figli, con tutto quello che ne<br />
discende, è preesistente la loro infanzia. Non hanno bisogno di ricordarsi dei giorni più felici per<br />
sentirsi legate, e per certi versi obbligate, alla cura dei figli.<br />
Il ricordo in questo caso è solo un dolore, non aiuta, non aggiunge forza, è estraneo al senso del<br />
dovere.<br />
Il lavoro di cura è quasi sempre verbalizzato come dovere profondo, non solo come atto d'amore,<br />
anche se l’amore vissuto costituisce un collante necessario al legame coniugale. Il coniuge, dopo il<br />
trauma, è un altro, è una persona diversa ormai e non è più quello di cui ci si era innamorate.<br />
Questo perché il trauma lo ha profondamente cambiato, spesso reso aggressivo e a volte molto<br />
infantile, ma anche perché, quando la persona colpita è il figlio, il dolore diversamente vissuto ha<br />
cominciato ad aprire un solco tra i coniugi.<br />
Fin da quelle lunghe attese fuori dalla sala operatoria, quando non si riusciva dire una parola, e<br />
non si sapeva che fare, si è cominciato a tracciare un spaccatura tra due solitudini<br />
I due modi di sentire dolore, la paura della perdita del figlio, l’assenza di parole che possano<br />
contenere tutto, la mancanza di momenti o spazi da vivere da soli, per il carico di lavoro che<br />
sopravviene, fa costruire barriere e separazioni.<br />
Così quando i figli sono in rianimazione e poi quando tornano a casa, i coniugi sentono di<br />
differenziarsi sempre di più; forse ci si da una mano nel lavoro di assistenza, nella pulizia e<br />
nell’igiene personale, ma le emozioni viaggiano su piani differenti.<br />
<br />
<br />
221
Vivere difformemente il dolore, vivere una solitudine con angoscia, porta i coniugi ad allontanarsi,<br />
piano piano e a volte irrimediabilmente; dove ancora la coppia resiste, si convive mantenendo<br />
profondi solchi nella relazione.<br />
E’ stato chiesto cos'è che porta a resistere, quando non ci si sente più legate al marito; cosa dà la<br />
forza di continuare il rapporto, molti hanno risposto richiamando il patto matrimoniale “nella buona<br />
e cattiva sorte, nella malattia e nella salute…”.<br />
Ma è proprio questo senso del dovere che tiene uniti? Il vincolo sacro del matrimonio? O forse,<br />
ormai, è la mia stessa identità che si è costruita fortemente nel rapporto con il partner?<br />
E cosa sono io se rompo questo legame? Dove mi rispecchio se non nel rapporto con lui?<br />
L'identità è sempre una dimensione relazionale, quindi il mio sé non è immune dai cambiamenti<br />
della persona che mi è vicino.<br />
La formazione della personalità, in effetti, non può’ essere semplificata in una pura relazione tra sé<br />
e sé, dal corpo alle caratteristiche psichiche individuali. Essa si elabora necessariamente nelle<br />
relazioni con gli altri, nei processi interpersonali, in interazioni e comunicazioni, nel gioco di<br />
assunzione di ruoli e di rappresentazioni7. “La personalità di un individuo è uguale alla somma delle sue esperienze di vita, che possono<br />
averla segnata in vario modo: producendo modificazioni strutturali, alterando le tendenze<br />
dinamiche o provocando spostamenti nei principi economici o nei ricordi...” 8 .<br />
L’individuo, quindi, non è comprensibile al di fuori del sistema nel quale agisce e il processo di<br />
individuazione non si raggiunge da soli, una persona si individua anche perché gli altri lo<br />
consentono. La persona non è un’identità astratta, fluttuante nel vuoto sociale, ma è sempre un<br />
attore sociale ancorato saldamente ad appartenenze etniche, relazionali, di piccolo gruppo che gli<br />
danno una dimensione storica e culturale ben precisa. Proprio per questo agiscono più<br />
profondamente di quando si possa credere l’ambiente di appartenenza, gli amici, la comunità<br />
locale. Nelle interviste emerge la presenza di questo contesto, così pressante e nello stesso tempo<br />
così assente e poco collaborante.<br />
Nel caso delle persone con TCE, quindi, non è solo la personalità dell’interessato a essere<br />
sottoposta a un processo di rielaborazione, ma tutta la sua famiglia, in un successione dinamica<br />
che coinvolge le relazioni con la madre, dei coniugi tra loro e con gli eventuali altri figli o fratelli.<br />
Attraverso un gioco complesso di regolazioni tra l’io, gli altri, i “noi” e le istituzioni, la formazione<br />
della personalità, si attiva, di fatto, in un costante sforzo di divisione e ripersonalizzazione, di lotta<br />
contro le separazioni interiori e le alienazioni esogene 9 .<br />
<br />
7 Tap P., Il potere e il senso. Studio sull’interdipendenza fra attore sociale e istituzioni, Centro Scientifico, 1990 (1988),<br />
p.41<br />
8 Meltzer D., Harris M., Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di apprendimento, Centro<br />
Scientifico Torino,1990 (1983), p. 15<br />
<br />
<br />
222
Scatta un processo conflittuale in cui si confrontano e si scontrano, da un lato, il sentimento<br />
d’identità e le rappresentazioni di sé, dall’altro lato, le spinte all’abbandono e all’annullamento di<br />
sé, a cui si è sottoposti dalla situazione stressante.<br />
Ma forse per la personalità e per le nostre identità non è mai possibile pensare ad uno stato o un<br />
punto di arrivo definitivo, come accade del resto nella vita ordinaria, ma dobbiamo ritenere<br />
esistente un sistema dinamico e sempre in fase di riassetto: una famiglia drammaticamente colpita<br />
ancora di più è chiamata a rideterminarsi sotto l’azione delle emozioni e dei sentimenti suscitati dal<br />
nuovo ruolo di cura.<br />
Nei processi di costruzione dell’identità e quindi nei meccanismi di identificazione, che permettono<br />
di chiedersi: chi sono io? che senso ha la mia vita? la fase costruttiva è proprio quella che permette<br />
di incrementare il senso di unità del sé interiorizzando le qualità, le competenze e le capacità<br />
affettive delle persone che ci circondano.<br />
Se l’altro diventa così profondamente fragile, diverso da quello che conoscevo ed amavo, così<br />
profondamente bisognoso di cure, allora il rapporto con lui non crea solo una crisi di relazione ma<br />
determina anche l’impossibilità di fare mie le sue qualità, di apprezzare le sue abilità e le sua<br />
affettività, di conseguenza sono costretto a ridefinire la mia stessa identità personale.<br />
Salta il progetto di vita, che si era immaginato insieme all’altro, vanno in crisi le definizioni delle<br />
esperienze vissute e quelle immaginate per il futuro da trascorrere insieme.<br />
Per le donne che assistono, si registra una dedizione sacrificale nell’impegnarsi<br />
incondizionatamente, e senza poter esigere contraccambio, nell’assistenza del congiunto; ma<br />
questa dedizione può essere pericolosa per l’io della donna, che molte volte paga con la<br />
depressione tale disponibilità.<br />
La trasformazione e il condizionamento della vita quotidiana è altissimo e la sofferenza psicologica<br />
si unisce ad un senso di profonda solitudine.<br />
Quale progetto è ora possibile fare per mio figlio? Per mio marito?<br />
Cosa dovrà abbandonare il proprio congiunto della sua vita, dello studio, del lavoro? E quanto<br />
dovrà farlo essa stessa? Un rischio che si corre è quello della iperprotezione, un ritorno ad un ruolo<br />
di eterna puerpera che deve proteggere e non può allontanarsi dal bimbo che ha attaccato al seno.<br />
Questo accade soprattutto quando si determina l’assenza di un valido dialogo e di una piena<br />
condivisione della sofferenza a livello familiare, a tutto questo le madri reagiscono con una<br />
iperattenzione del figlio, trascurando le altre dimensioni della vita relazionale.<br />
Il vincolo sociale, compreso quello che lega genitori e figli è per sua stessa natura essenzialmente<br />
conservatore, anche quando le esigenze e gli stessi obiettivi dichiarati del gruppo richiedono forti<br />
cambiamenti. Questo è dovuto al fatto che il gruppo oppone quasi sempre resistenza alle idee<br />
nuove; apportare modifiche o revisioni di una certa visione del mondo è sempre difficile, perché<br />
può mettere in discussione il legame del gruppo familiare e costituire un potenziale attacco alle<br />
singole identità.<br />
<br />
9 Tap P., op. cit.<br />
<br />
<br />
223
Per le madri è come se si verificasse la scomparsa del figlio precedente, un lutto che include la<br />
sparizione delle componenti immaginate per il possibile futuro che il ragazzo stava per<br />
intraprendere; per esse quindi è necessaria una forma di rielaborazione della separazione che è<br />
carica di angoscia. Il proprio figlio non maturerà pienamente verso una fase adulta e anche lei non<br />
potrà più crescere ed emanciparsi dal suo ruolo di nutrice.<br />
La fase depressiva potrebbe essere legata proprio al riassetto, oserei dire fisiologico, della sua<br />
relazione con il congiunto.<br />
Ma la differenza tra l’amato di prima e la persona che si ha ora davanti è incolmabile, il confronto è<br />
drammatico e colmo di sofferenza. Avviene il predominio del dolore, a volte è un vero e proprio<br />
panico.<br />
“Le sofferenze psichiche, generalmente denominate angosce, vengono affrontate per lo meno a<br />
partire dalla nascita… essa può venir ridistribuita tanto nel mondo interno che in quello esterno,….<br />
“Poiché all’interno di ogni gruppo sociale la sofferenza può essere trasmessa da un individuo<br />
all’altro…” 10 .<br />
Facendo nostro l’insegnamento di Meltzer possiamo ricordare come il funzionamento dinamico<br />
della personalità ha soprattutto lo scopo di modificare la sofferenza psichica, entro limiti che<br />
consentano l’assimilazione delle esperienze emotive. I livelli di funzionamento delle persone, sono<br />
da ritenersi estremamente variabili da un individuo all’altro, essi vengono per di più influenzati dalle<br />
condizioni fisiche e psichiche del momento.<br />
Le operazioni che le persone mettono in atto, allo scopo di modulare, modificare o evitare la<br />
sofferenza psichica, possono essere molto diverse, altrettanto diverso è il modo con cui queste si<br />
inseriscono in ciò che chiamiamo personalità, o struttura di carattere. La modulazione della<br />
sofferenza viene ottenuta soprattutto tramite processi mentali, che permettono di capire le azioni, e<br />
producono i cambiamenti positivi per un miglior adattamento al mondo esterno, o ancora attraverso<br />
un miglior degli oggetti interni, che aiutano a rafforzare la personalità 11 .<br />
“Noi riteniamo che le fantasie inconsce costituiscono il motore primo del pensiero e dell’azione e<br />
che pertanto la modulazione della sofferenza psichica debba passare attraverso l’azione del<br />
significato dell’esperienza nella fantasia e attraverso la creazione di pensieri onirici che danno<br />
forma attiva alle rappresentazioni simboliche…Le principali tecniche utilizzate per modulare la<br />
sofferenza psichica sono la fantasia, il pensiero, il pensiero verbale e la comunicazione,..., è il<br />
pensiero con la sua descrizione interiore, che precede la comunicazione con gli altri, è probabile<br />
che il pensiero verbale sia strettamente collegato alla coscienza, se si considera questa facoltà nel<br />
senso platonico, suggerito da Freud, cioè 12 .<br />
<br />
10 Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 17<br />
11 Meltzer D., Harris M., op. cit.<br />
12Meltzer D., Harris M., op. cit., p.19<br />
<br />
<br />
224
Una mamma ha riferito che alla fine aspettava che arrivasse il dolore, perché anche se era molto<br />
forte, almeno si accorgeva di vivere, altrimenti non sapeva chi era.<br />
Non si riesce neanche più a fantasticare di una possibile guarigione e un ritorno alla normalità.<br />
Proprio per questo a volte è necessario un lungo lavoro psicologico, per elaborare la perdita e<br />
accettare l’inatteso.<br />
I rapporti con l’esterno possono ridimensionarsi enormemente, forse ristringersi alle persone che<br />
“possono capire il problema” perché l’hanno vissuto.<br />
“…Si può capire come le persone vengono indotte a riunirsi in gruppi od organizzazioni sociali di<br />
vario tipo per due diversi motivi: perché spinti da necessità di trovare dei compagni con cui andare<br />
alla ricerca della verità, allo scopo di modulare la sofferenza psichica,...,nel tentativo di modificare<br />
la sofferenza o di evitarla” 13 .<br />
Non ci sono schemi o modelli educativi che possono fare da riferimento e facili da adottare, ogni<br />
esperienza, ogni persona nello stesso tempo è unica e ogni caso reagisce in un modo non<br />
prevedibile.<br />
Bisogna mettere in atto dei meccanismi di difesa ma si è chiamati anche a raggiungere un<br />
adeguato livello di accettazione della condizione del proprio figlio o marito.<br />
L’accettazione non è mai “completa” e quasi sempre ambivalente.<br />
Essa richiede l’accettazione dell’altro per quello che è, affrontare con realismo la condizione che si<br />
vive, senza negarlo ma senza farsene trascinare. Cercando di valorizzare i progressi, l’aumento<br />
delle autonomie, quando ci sono, ma anche costruendo spazi per la propria autonomia e la cura di<br />
se.<br />
Il tema della maternità “ferita” e della moglie “devota” deve uscire fuori dalle figure retoriche e va<br />
affrontato in modo più maturo dalla stessa rete di relazioni in cui si vive.<br />
Possono essere diversi i motivi che rendono difficile il dialogo in una coppia (il poco tempo, la<br />
perdita della tenerezza, la stanchezza, la pigrizia, ..), nello stesso tempo un figlio disabile è fonte di<br />
importanti discussioni tra i coniugi.<br />
Il trauma che colpisce un figlio colpisce anche la sua famiglia, obbliga i genitori a prendere<br />
decisioni sulla vita del congiunto che possono causare incomprensioni e queste a loro volta<br />
impediscono di entrare in sintonia, provocano squilibri nella valutazione delle migliori strade da<br />
intraprendere per il percorso che il figlio deve compiere..<br />
“Dal momento che il fattore centrale è quello della emotività e dal momento che questa è o sembra<br />
essere, un fenomeno trasferibile, la domanda cruciale che determina il passaggio tra due diverse<br />
posizioni sarà sempre: < chi si assumerà la sofferenza? >” 14 .<br />
Possiamo dire che la risposta più diffusa a questo tipo di domanda è : la donna.<br />
In diverse indagini è emerso come la presenza di un figlio disabile, indipendentemente dal tipo di<br />
limitazioni a cui è costretto, sottoponga ad un continuo logoramento la vita coniugale, anche se non<br />
<br />
13 Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 21 <br />
14 Meltzer D., Harris M., op. cit., p. 27<br />
<br />
<br />
225
mancano casi in cui questa si rafforza permettendo lo sviluppo di nuove sensibilità e attenzioni<br />
reciproche…<br />
"La coppia (...) è un campo mentale virtuale caratterizzato dalla sovrapposizione del mandato<br />
culturale della progettazione di una nuova generazione capace di gestire il senso del mondo e dello<br />
scorrere della vita come esperienza soggettuale e sociale. ….. La coppia non è definibile né dai<br />
ruoli né dalle funzioni, ma dall'essere consapevole cerniera tra due universi mentali: il<br />
transgenerazionale nel passato e il transgenerazionale nel futuro" 15 .<br />
In conclusione a queste brevi riflessioni non possiamo che ricordare come la sofferenza psichica<br />
rappresenti in ogni caso il fattore ultimo, indistruttibile e irriducibile a ulteriori suddivisioni. E’ con<br />
questa sofferenza che le persone coinvolte continuano a fare i conti. La capacità di tollerarla<br />
coincide con la possibilità reggere alle nuove responsabilità e rappresenta un elemento essenziale<br />
nel sistema di relazioni in cui si è inseriti. Nessuna dimensione adulta potrà realizzarsi in pieno se<br />
tenta di sfuggire a questa esigenza.<br />
Possiamo dire che assistere e servire significa essenzialmente condividere la sofferenza dell’altro,<br />
con l’obiettivo di ridurla entro limiti tollerabili; quando questo riesce si riduce anche la propria<br />
sofferenza entro un livello con cui si può convivere.<br />
Il senso di responsabilità e la resistenza alla fuga coincidono con la propria difesa dalla angoscia,<br />
anzi sono dei veri e propri strumenti per tutelarsi e, quindi, per proteggere la propria identità.<br />
Come aiutare le famiglie?<br />
I servizi disponibili sono pochi e privi di una reale integrazione, mentre i bisogni espressi dalle<br />
persone con GCA includono quelli dell’educazione, dell’istruzione, dell’assistenza sociale, del<br />
lavoro, dell’abitazione e non solo quelli della salute .<br />
I bisogni della famiglia con una persona con questo tipo di problema cambiano nel tempo, mentre<br />
nello stesso intervallo temporale appaiono statici e inadeguati i servizi sociali tradizionali.<br />
Tra le difficoltà che vivono le famiglie nel loro approccio con i servizi si possono individuare svariate<br />
dimensioni tra cui sono segnalate: la mancanza di coordinamento, i costi economici, gli<br />
atteggiamenti degli operatori professionali, il linguaggio specialistico, il tempo e le energie richieste<br />
e, non ultimo, lo stigma.<br />
Un atteggiamento sociale predominante, che in parte influenza l’agire degli operatori, è quello di<br />
considerare le persone che accedono ai servizi come “diverse”.<br />
Questo stigma influenza non poco gli atteggiamenti degli individui, talvolta è così forte che le<br />
famiglie non osano rivolgersi ai servizi, ma costringono il soggetto disabile a vivere in casa. Un<br />
<br />
15 Pontalti C., Le invarianti psichiche nella coppia progettuale. In: Melchiorre V. (a cura di), Maschio-Femmina: nuovi<br />
padri e nuove madri, CISF, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1992, pp. 85-87<br />
<br />
<br />
226
uon operatore professionale dovrebbe considerare le potenzialità delle persone, ascoltando,<br />
rispettando e rivalutando le questioni che gli vengono rivolte.<br />
Come aiutare la famiglia di una persona con Trauma Cranico?<br />
Si dovrebbero prendere in considerazione alcune necessarie strategie, per impostare gli interventi<br />
socio-sanitari e garantire un adeguato progetto di vita alla persona e un sufficiente supporto alla<br />
sua famiglia.<br />
Il mondo dei servizi però è ancora molto lontano da questa consapevolezza; tra gli elementi di<br />
principale attenzione si segnalano le seguenti necessità:<br />
Il sostegno precoce: le conoscenze attuali ci permettono di identificare il rischio di una<br />
forte disabilità molto tempestivamente, ma dobbiamo tenere presente che il nucleo familiare ha<br />
bisogno di tempo per prendere coscienza della reale situazione del congiunto e spesso ha delle<br />
resistenze. È opportuno che si aiuti individuando una figura di riferimento stabile che aiuti a far<br />
superare i vari momenti critici. Tale sostegno permetterebbe alla famiglia traumatizzata, ma non<br />
ancora logorata dall’handicap, di organizzarsi in modo adeguato. Tutto questo per garantire la<br />
qualità delle relazioni e per permettere un percorso assistenziale il più adeguato possibile.<br />
L’aiuto domiciliare: forse costituisce l’area di intervento più critica su cui si deve<br />
intervenire. E necessario rivedere e potenziare le attività domiciliari, sia di tipo assistenziale, sia<br />
sanitarie, per far fronte alla crescita dei nuovi bisogni di cui le persone con trauma sono<br />
portatrici.<br />
La necessità dei servizi professionali: in molti casi la famiglia, per poter soddisfare i propri<br />
bisogni, si deve rivolgere a servizi professionali ove le preoccupazioni e i problemi concreti<br />
possano essere risolti con l’aiuto di operatori competenti. Una esigenza che riguarda tutte le<br />
persone con handicap, ancora aperta nel sistema dei servizi socio-sanitari, è quella relativa alla<br />
necessita di individuare un case manager per l’accompagnamento nel progetto di vita della<br />
persona.<br />
Il sostegno ai genitori e ai coniugi: è un lavoro molto faticoso e consiste nell’affrontare<br />
con i genitori e/o coniugi della modalità di porsi nei confronti della persona con trauma cranico.<br />
Il sostegno può esser di tipo psicologico e nella forma del gruppo di auto aiuto. Tali momenti<br />
possono permettere la scoperta di nuove modalità di porsi, di creare un legame di fiducia con<br />
gli operatori e di diminuire sia il vissuto di solitudine, sia la dipendenza dei genitori nei<br />
confronti degli esperti.<br />
L’approccio psicoterapico: si è rilevato come in molte persone che assistono insorgano<br />
problemi di carattere funzionale, con la nascita di dinamiche che non aiutano una normale<br />
interazione del nucleo familiare. Di fronte a tale sofferenza psicologica può essere necessario<br />
un intervento terapeutico, che non tutte le famiglie richiedono, ma che dovrebbe essere<br />
previsto.<br />
227
L’aiuto organizzativo: accanto ad un sostegno psicologico, occorre garantire un aiuto più<br />
direttamente organizzativo. La persona con disabilità impone di riorganizzare la vita di tutti i<br />
giorni e in questo i genitori devono essere supportati da un operatore che sappia considerare i<br />
bisogni di ogni membro della famiglia. Si tratta di attivare una rete di supporto sulla base di una<br />
conoscenza diretta della famiglia e non basandosi su modelli teorici di funzionamento.<br />
L’aiuto nei momenti critici: i genitori, nello svolgimento di compiti di cura così gravosi, vivono<br />
come ulteriore peso il superamento di situazioni più ordinarie (un’influenza, un ricovero, un<br />
esame clinico di un altro figlio, …). Un ulteriore problema è che difficilmente si riesce ad<br />
interrompere il compito di cura per prendersi un periodo di vacanza, indispensabile per una<br />
necessaria ricarica. Per favorire questo vanno previsti quindi attività di sollievo, sia diurno sia<br />
residenziale, per i periodi più critici.<br />
La promozione della vita sociale: come si è rilevato la vita sociale della famiglia viene<br />
fortemente limitata dalla presenza di una persona con trauma cranico. I pregiudizi si diffondono<br />
e le azioni di esclusione e marginalizzazione si rilevano anche all’interno della cerchia degli<br />
amici e dei familiari. A volte sono di tale rilevanza che impediscono la partecipazione e la<br />
possibilità relazionarsi con gli altri.<br />
Vanno, quindi, strutturati momenti di partecipazione e di coinvolgimento sociale che si<br />
contrappongono ai meccanismi di esclusione.<br />
Le garanzie per il futuro: con l’invecchiare i genitori sentono sempre con maggior peso<br />
l’angoscia di quanto potrà accadere al figlio, dopo che loro con ci saranno più. Saranno<br />
necessarie, in misura sempre crescenti, forme di residenzialità, sia in comunità sia in abitazioni<br />
“protette”.<br />
L’importanza del lavoro di rete: la famiglia, il supporto relazionale, i servizi sociali<br />
Il primo aiuto alle famiglie è costituito dalla forza di ogni singolo componente anche se non è<br />
semplice riconoscere le risorse nascoste in ogni individuo.<br />
Ci sono altre persone (amici, parenti) che probabilmente possono offrire un valido supporto, anche<br />
se le esperienze rilevate per queste modalità di aiuto, fanno registrare la presenza di sostegni<br />
parziali, temporanei, spesso limitati alle prime fasi dell’emergenza.<br />
Tutte le persone con cui si viene a contatto, anche se non fanno parte della famiglia, potrebbero<br />
formare una rete di supporto sociale. Molti studi mostrano i numerosi benefici che il supporto<br />
sociale porta alle persone con funzioni di care givers: una riduzione dello stress, un miglioramento<br />
del benessere emotivo e una diminuzione dei problemi fisici.<br />
I soli operatori dei diversi servizi a sostegno delle famiglie, non possono ritenersi sufficienti e<br />
spesso non sono neanche adeguati sul piano professionale per il supporto alle famiglie.<br />
228
Il panorama esistente nella rete dei servizi sociali non è certamente confortante, frammentazione,<br />
personale precario e attenzione su altre priorità sono riportati come parte integrante dell’esperienza<br />
delle donne avvicinate in questa indagine, esse esprimono soprattutto un vissuto di solitudine,<br />
scoraggiamento, se non di abbandono.<br />
Entrare in contatto con molte persone permette la formazione spontanea dei gruppi di supporto fra<br />
famiglie con problemi simili, in essi si condividono le proprie sofferenze e si scambia ogni tipo di<br />
informazione.<br />
Sviluppare e mantenere una rete sociale non è però un obiettivo così semplice. Le reti in genere<br />
partono solo in condizioni di reciprocità.<br />
Occorre che amici, vicini e parenti vengano aiutati ad individuare nel nucleo familiare interessato le<br />
potenzialità di cui dispone, affinché possano essere rivalutate e sostenute al meglio. Prima però di<br />
ottenere questi supporti è necessario che la famiglia riesca a riconoscere i suoi punti di forza,<br />
anche perché, molte volte, essa stessa tende, consapevolmente o meno, ad autoescludersi, a<br />
cercare di chiudersi in se stessa e a far tutto da sola.<br />
Nella ricerca si è rilevato che la capacità di superare i momenti di sofferenza è legata sia alla<br />
possibilità di recuperare una serie di “energie interne”, a volte tramite complessi processi di<br />
rielaborazione, sia alla disponibilità di risorse da recuperare, dall’intero nucleo familiare, fino alla<br />
famiglia allargata e al contesto relazionale.<br />
Una volta condivisa la necessità di una rete di supporto sociale, è evidente che esistono ancora<br />
altri ostacoli che si possono incontrare. Le reti amicali qualitativamente valide hanno bisogno di<br />
impegno costante, che necessitano di tempi lunghi.<br />
Un’ulteriore problematicità è costituita dallo stigma, che le famiglie temono nel momento in cui si<br />
inseriscono in una rete di supporto. Tale stigma può aumentare man mano che gli anni passano e<br />
si rileva fino in fondo quando una completa “guarigione” risulta, di fatto, quasi impossibile,<br />
portando la famiglia ad un maggiore isolamento. Accade anche che l’aprirsi a persone esterne al<br />
nucleo possa essere visto come perdita di intimità.<br />
Gli stessi operatori spesso se ne dimenticano, entrando, a volte, con una certa invadenza se non<br />
impudenza nella vita privata ed emozionale delle persone. Del resto è anche essenziale fornire ai<br />
genitori gli strumenti utili per potenziare la loro capacità di rapportarsi con i servizi, dal momento<br />
che abilità contrattuali e atteggiamenti di fiducia possono riflettersi in modo complementare sulle<br />
risposte degli operatori. 16<br />
Un altro aspetto importante, infine, riguarda il ruolo che dovrebbero assumere le strutture sanitarie<br />
al momento della prima comunicazione di danni permanenti e di disabilità; la nostra ricerca ha<br />
rilevato un riconoscimento dei livelli di competenza e di professionalità, soprattutto per gli aspetti<br />
clinici e terapeutici, ma anche elementi di disorientamento per l'incertezza e la frammentarietà delle<br />
informazioni ricevute al momento delle dimissioni.<br />
<br />
16 Arrigoni G., Vita familiare e lavorativa in presenza di un figlio con disabilità, Tesi: Corso di laurea in Psicologia dello<br />
Sviluppo e dell’Educazione, Università di Padova, a.a. 2007/2008<br />
<br />
<br />
229
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
AA.VV., La grave cerebrolesione acquisita. Costruire qualità di vita tra sociale e sanitario, Provincia<br />
di Bergamo, Bergamo, 2009<br />
Arrigoni G., Vita familiare e lavorativa in presenza di un figlio con disabilità, Tesi: Corso di laurea in<br />
Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Università di Padova, a.a. 2007/2008<br />
Bailey K. D., Metodi della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1991<br />
Bichi R., La società raccontata, Franco Angeli, Milano, 2000<br />
Bichi R., L’intervista biografica, Vita e Pensiero, Milano, 2002<br />
Boudon R., Metodologia della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna 1970 (1969)<br />
Cipriani R.(a cura di), La metodologia delle storie di vita. Dall'autobiografia alla "Life History",<br />
Euroma, Roma, 1995<br />
De Baskey H., Il trauma cranico, aspetti medici, cognitivi e sociali. Guida per la famiglia, Calub.<br />
Ospedale S. Cuore Don Calabria di Negrar (VR), 1995<br />
Demazière D., Dubar C., Dentro le storie. Analizzare le interviste biografiche, Cortina, Milano, 2000<br />
Macioti M. I. (a cura di), La ricerca qualitativa nelle scienze sociali, Monduzzi, Bologna, 1997<br />
Melchiorre V. (a cura di), Maschio-Femmina: nuovi padri e nuove madri, CISF, Edizioni Paoline,<br />
Cinisello Balsamo, 1992<br />
Meltzer D., Harris M., Il ruolo educativo della famiglia. Un modello psicoanalitico dei processi di<br />
apprendimento, Centro Scientifico, Torino,1990 (1983)<br />
Olangero M., Saraceno C., Che vita è. L'uso dei materiali biografici nell'analisi sociologica, NIS,<br />
Roma, 1993<br />
Ricolfi L., La ricerca qualitativa, Carocci, Roma, 1998<br />
Silverman D., Come fare ricerca qualitativa, Carocci, Roma, 2002<br />
Schwartz H., Jacobs H., Sociologia qualitativa, Il Mulino, Bologna, 1987 (1979)<br />
Tap P., Il potere e il senso. Studio sull’interdipendenza fra attore sociale e istituzioni, Centro<br />
Scientifico, Torino, 1990 (1988)<br />
Weber M., Il metodo delle scienze storico-sociali, Mondadori, Torino, 1980<br />
Weber M., La scienza come professione, Armando Editore, Roma, 1997<br />
Zanobini M., Manetti M., Usai M.C., La famiglia di fronte alla disabilità: stress, risorse e sostegni,<br />
Erickson, Trento, 2002<br />
<br />
<br />
230
ATTIVITÀ ED ESPERIENZE DI UNA COOPERATIVA SOCIALE.<br />
ASPETTI SOCIOLOGICI RE<strong>LA</strong>TIVI A PAZIENTE, FAMIGLIA E<br />
CARE GIVER: SUPPORTO, D<strong>IN</strong>AMICHE DI QUALITÀ DI VITA,<br />
RE<strong>IN</strong>TEGRAZIONE SOCIALE E <strong>LA</strong>VORATIVA, RETI DI SUPPORTO<br />
FORMALI E <strong>IN</strong>FORMALI<br />
Il privato sociale in risposta ai bisogni<br />
Cooperativa Progettazione<br />
Progettazione Cooperativa Sociale nasce nel 1999, da numerose esperienze di corsi di<br />
formazione del Fondo Sociale Europeo, legati all’inserimento lavorativo di persone con<br />
trauma cranio encefalico.<br />
Il progetto si prefiggeva di delineare un percorso possibile finalizzato alla costituzione di un<br />
nucleo operativo permanente sul territorio della provincia di Bergamo, nucleo che, in stretta<br />
collaborazione con strutture riabilitative del territorio, potesse intervenire nella riabilitazione<br />
psico-sociale di soggetti con esiti di grave Trauma Cranio-Encefalico (TCE).<br />
Il pensiero di promuovere la nascita di un simile servizio trovava le sue radici:<br />
nell'esigenza di rispondere ai bisogni di un sempre crescente numero di popolazione: il<br />
TCE era, allora come oggi, una delle maggiori cause di disabilità acquisita. Inoltre, il<br />
peso sociale ed economico di queste disabilità avevano ed hanno una notevole<br />
rilevanza, a causa della lunga aspettativa di vita di questi giovani pazienti e delle gravi<br />
ripercussioni che si hanno sui vari componenti del nucleo familiare;<br />
nella consapevolezza, confermata dalla letteratura in materia, di quanto, anche in<br />
presenza di iniziali disabilità gravi e gravissime da TCE, un intervento riabilitativo<br />
precoce e globale potesse consentire importanti evoluzioni del quadro clinico,<br />
contribuendo a contenere gli esiti inabilitanti futuri. Per intervento riabilitativo globale si<br />
è da sempre inteso non solo quello relativo alla riabilitazione fisica, ma l’integrazione di<br />
questo con interventi psicologici, mirati al recupero cognitivo del soggetto, ed educativi,<br />
finalizzati a stimolare un percorso di “riapprendimento” di competenze;<br />
nell'imprescindibilità di un intervento a favore dell'integrazione di tali soggetti nella<br />
società, tramite la costruzione di una rete con le risorse del territorio, che consentisse<br />
un rientro in famiglia del congiunto ed il recupero di una qualità di vita sostenibile;<br />
nella disponibilità, su linee generali, dell’Azienda Sanitaria Locale di Bergamo di<br />
sostenere la progettualità ritenendola congruente con le indicazioni espresse dalla<br />
Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione.<br />
231
I Servizi riabilitativi e di reinserimento sociale attivi<br />
Progettazione Cooperativa Sociale oggi risponde operativamente ai bisogni di riabilitazione<br />
e reinserimento sociale, con un insieme d’interventi educativi, sociali e psicologici, compositi<br />
ed articolati, che hanno come base fondante il Progetto Educativo Individualizzato relativo<br />
ad ogni ospite/utente dei servizi proposti.<br />
Le azioni e gli interventi sono a carattere modulare nella frequenza, nel tempo e nelle<br />
attività e trovano la loro realizzazione presso il Centro Diurno, il Laboratorio Ergoterapico, il<br />
Centro Residenziale e, più in generale, sul territorio.<br />
Centro Diurno accreditato<br />
Collocato in una palazzina autonoma, sita a Pedrengo in Via Moroni n. 6, accoglie servizi<br />
accreditati dalla Regione Lombardia (CDD, CSE, SFA) per persone a disabilità acquisita in<br />
seguito a GCA. La scelta di accreditarsi sia per il CDD, che il CSE e lo SFA nasce<br />
dall’esigenza di rispondere a bisogni che non sempre riguardano aspetti educativoassistenziale,<br />
ma anche socializzanti, di potenziamento delle autonomie e di reinserimento<br />
familiare, sociale e/o lavorativo. Inoltre le persone prese in carico durante la permanenza al<br />
Centro svolgono attività socio-riabilitative che favoriscono un recupero delle abilità residue<br />
tali da favorire il passaggio da un servizio ad alto carico assistenziale (CDD) ad un servizio<br />
più territoriale che prevede lo sviluppo di autonomie (CSE e SFA) ed in seguito<br />
l’accompagnamento ad un reinserimento lavorativo.<br />
I servizi proposti oltre a promuovere l’attivazione di un percorso ponte tra l’ospedalizzazione<br />
e il reinserimento sociale offrendo spazi di sollievo alla famiglia, permettono alla persona di<br />
“sperimentarsi” e riaffrontare, con il sostegno psicologico e in un contesto di gruppo, le<br />
attività della vita quotidiana favorendo il rientro nella società. Alla base delle attività sono<br />
previsti interventi educativi individuali e di gruppo, finalizzati alla creazione di momenti di<br />
socializzazione, di sperimentazione di attività riferite all’immagine di sé e di rinforzo delle<br />
competenze residue.<br />
La tipologia del piccolo gruppo è determinata dall’esigenza di simulare un contesto con<br />
dimensioni non troppo distanti dall’ambito familiare e consentire l’uso di uno spazio in tutto<br />
simile ad un normale alloggio. La metodologia utilizzata, ispirata ai principi del cooperativelearning,<br />
comporta sia la predisposizione di momenti di confronto strutturati in gruppo, sia la<br />
creazione di un clima cooperativo trasversale alle attività.<br />
Centro Residenziale<br />
La struttura si configura in una RSD (Residenza Sanitaria Disabili) situata a Serina<br />
(Bergamo) e risponde alle caratteristiche definite dalla Regione Lombardia attraverso il DGR<br />
232
7 aprile 12620 del 7/4/2003, per persone con disabilità acquisita grave o gravissima, con età<br />
compresa fra i 18 e 65 anni che presentino compromissioni di natura fisica, psichica,<br />
cognitivo e/o comportamentale in seguito ad un evento traumatico.<br />
Il servizio dispone di 15 posti letto, ed è aperto 24 ore al giorno tutto l'anno. Oltre al Servizio<br />
Residenziale classico, sono attivi progetti sperimentali legati alla continuità assistenziale, al<br />
sollievo (per fine settimana o periodi più lunghi) e a percorsi di accompagnamento<br />
all’autonomia abitativa.<br />
La RSD è in rete con le strutture ospedaliere di riabilitazione della Provincia di Bergamo e<br />
della Regione Lombardia. Entra nel sistema dei servizi socio-sanitari per persone con GCA<br />
gestiti da Progettazione Cooperativa Sociale. Utilizza la rete del terzo settore per progettare<br />
percorsi post RDS, attraverso l’utilizzo di servizi a supporto della domiciliarità, appartamenti<br />
protetti e residenzialità autonoma.<br />
Progetti territoriali<br />
Si realizzano nel contesto di vita familiare e/o sul territorio di residenza. In base ai bisogni<br />
della persona e agli obiettivi prefissati nel progetto individualizzato i percorsi si differenziano<br />
in:<br />
assistenza domiciliare finalizzata al sostegno e alla cura della persona nel suo<br />
ambiente naturale di vita;<br />
assistenza educativa domiciliare che comprende tutte le normali attività di vita<br />
quotidiana realizzate nell’ambito familiare e sociale della persona al fine di recuperare<br />
le potenzialità, d’individuare le strategie utili a compensare i deficit per favorire lo<br />
sviluppo e/o il potenziamento delle autonomie;<br />
percorsi di socializzazione dove vengono sviluppate o rafforzate le abilità<br />
comunicative e comportamentali al fine di ri-costruire relazioni significative e il reinserimento<br />
sociale. Si cerca inoltre di accompagnare la persona a diventare<br />
protagonista di un processo decisionale dove vengano valorizzate le proprie<br />
competenze ed interessi;<br />
percorsi occupazionali presso il laboratorio ergoterapico della Cooperativa o<br />
strutture del territorio di residenza (biblioteche, Enti Comunali, attività commerciali,…)<br />
che permettono alla persona di sperimentare le proprie competenze lavorative in un<br />
contesto protetto.<br />
233
Laboratorio ergoterapico e Cooperativa LaB<br />
E’ un servizio a bassa protezione specifico per persone con disabilità acquisita in seguito a<br />
GCA. Obiettivo principale è l’acquisizione e il potenziamento di prerequisiti di abilità utili<br />
all’inserimento lavorativo: capacità produttiva, collaborazione, autonomia operativa,<br />
organizzazione e gestione dei tempi e spazi, riconoscimento dei ruoli/gerarchie e<br />
mantenimento di un comportamento adeguato in contesti sociali allargati. Prevede<br />
collaborazioni con Cooperative di tipo B ed Aziende che forniscono il lavoro (per lo più di<br />
assemblaggio).<br />
Il laboratorio ergoterapico è collegato ai servizi gestiti dalla Cooperativa LaB che promuove<br />
percorsi d’inserimento lavorativo per persone con disabilità acquisita in seguito a Grave<br />
Cerebrolesione Acquisita.<br />
234<br />
Contatti:<br />
Sito: www.cooperativaprogettazione.it<br />
e-mail: info@cooperativaprogettazione.it
Dall’individuazione dei bisogni alla creazione di un progetto di vita<br />
I dati riportati fanno riferimento alle persone e alle famiglie che hanno usufruito e/o<br />
usufruiscono dei servizi di Riabilitazione sociale della Cooperativa Progettazione.<br />
Si fa riferimento al periodo dal 2004 al 2011 per un totale di 127 persone; viene aggiunta<br />
un’indicazione specifica sulle persone attualmente in carico (45 – dato aggiornato a marzo<br />
2012).<br />
Genere<br />
17 femmine e 110 maschi<br />
Età dell’evento invalidante<br />
sino a 20 anni dai 20 ai 30 da 30 a 50 da 50 in poi<br />
20 60 34 13<br />
Scolarità<br />
non terminato l’obbligo Terminato l’obbligo Diploma Laurea<br />
Tipo lesione<br />
4 66 45 12<br />
Attualmente in carico<br />
(45 persone)<br />
Periodo complessivo<br />
TCE Incidente stradale 15 75<br />
TCE incidente domestico/sportivo 4 4<br />
TCE lavorativo 5 4<br />
Ischemia Cerebrale 7 17<br />
Emorragia Cerebrale 5 9<br />
Anossia Ipossia 6 9<br />
Tumore cerebrale 1 1<br />
Tentato suicidio 2 6<br />
Altro 0 2<br />
235
Percentuale d’invalidità e tipologia di pensione percepita<br />
Attualmente in carico<br />
(45 persone)<br />
Periodo complessivo<br />
Nessuna 0 0<br />
Invalidità minore o uguale a 75% 4 24<br />
Invalidità maggiore 75% 2 11<br />
Invalidità al 100% 17 30<br />
Invalidità al 100% con accomp. 22 62<br />
Attualmente in carico<br />
(45 persone)<br />
Periodo complessivo<br />
Nessuna 0 2<br />
Anzianità/vecchiaia 0 0<br />
Sociale 0 0<br />
Tipologia speciale 0 0<br />
Reversibilità 0 0<br />
Invalidità 26 77<br />
2 o più tipologie di pensione 11 36<br />
Rendita <strong>IN</strong>AIL 8 12<br />
I dati rilevati negli anni fanno emergere questi aspetti:<br />
le persone giungono sempre più ai servizi di riabilitazione sociale senza essere in<br />
possesso di un certificato d’invalidità e soprattutto senza aver mai preso contatto con<br />
l’assistente sociale del proprio comune di residenza. Questo accade anche dopo anni<br />
che si è conclusa la fase post-acuta in regime ospedaliero e dopo che i familiari hanno<br />
avuto accesso a diversi servizi sanitari ed assistenziali;<br />
nell’ultimo anno, in seguito alle revisioni d’invalidità, è aumentato notevolmente il<br />
numero di persone a cui è stata tolta la pensione di accompagnamento. Le motivazioni<br />
messe in luce dalle diverse commissioni riguardano il fatto che le persone prese in<br />
esame non hanno importanti limitazioni nella deambulazione e riescono, inoltre, ad<br />
alimentarsi e a vestirsi autonomamente. Questi dati mettono in evidenza come<br />
l’attenzione è sempre più centrata sugli aspetti motori e sulle autonomie funzionali e<br />
non sugli aspetti cognitivi-comportamentali che di fatto limitano notevolmente lo<br />
svolgimento delle attività della vita quotidiana in una persona con GCA su di un piano<br />
strumentale, relazionale e sociale.<br />
236
Stato di convivenza<br />
Situazione<br />
pre-trauma<br />
Attualmente in carico<br />
(45 persone)<br />
Situazione<br />
post-trauma<br />
Situazione<br />
pre-trauma<br />
Periodo complessivo<br />
Situazione<br />
post-trauma<br />
Solo 12 0 40 1<br />
Con badante 0 2 0 1<br />
Con coniuge/convivente 9 7 22 17<br />
Con coniuge e figli 7 5 13 11<br />
Con figli 0 0 1 0<br />
Con 1 genitore 4 7 2 14<br />
Con 2 genitori 5 13 26 53<br />
Con genitori e fratelli 8 6 24 23<br />
Con Parente 0 1 0 4<br />
In struttura 0 4 0 2<br />
Le gravi cerebrolesioni acquisite rappresentano una delle cause principali di disabilità fisica,<br />
cognitiva e psicologica, determinando profondi cambiamenti nello stile di vita della persona<br />
che ne è affetta, e comportano gravi “perturbazioni” all’interno del nucleo famigliare.<br />
Anche dal punto di vista economico i costi dei servizi di riabilitazione sociale si aggravano<br />
sul soggetto e sulla stessa struttura societaria. Le serie condizioni cliniche di queste<br />
persone, per il numero e la complessità degli elementi disabilitanti presenti di tipo<br />
sensomotorio, comportamentale, cognitivo richiedono rapide e funzionali risposte sia sul<br />
versante sanitario (risorse strutturali, tecnologie e competenze mediche di alto livello), che<br />
sociale (ad esempio per le difficoltà di reinserimento scolastico o lavorativo) e psicologico (le<br />
variabili psicologiche non sono dipendenti in modo diretto e sistematico dalle situazioni<br />
patologiche).<br />
La famiglia rappresenta, dunque, un luogo di mediazione tra bisogni e relazioni sociali e<br />
riproduce un microsistema (dove la totalità è diversa dalla somma delle parti) in evoluzione ;<br />
possiede capacità di coping (adattamento organizzato) e si trova a dover affrontare eventi<br />
stressanti che comportano un processo di riorganizzazione di compiti evolutivi, di ruoli e di<br />
crisi di transizione (ne sono un esempio le nascite, le uscite dei figli dal contesto domestico,<br />
i lutti, il pensionamento, la diminuzione dei ruoli sociali, i conflitti relativi ai temi<br />
dell’autonomia e della dipendenza).<br />
L’attenzione al contesto familiare deve dunque prendere in considerazione:<br />
la presenza di possibili differenze nella cura riconducibili al sesso del familiare<br />
impegnato in essa (differenze tra uomini e donne);<br />
237
le differenze nella cura riconducibili al ruolo che il paziente riveste, ossia figli, mariti,<br />
mogli, padri e madri;<br />
la presenza di familiari che si trovano ancora in una fase esistenziale generativa;<br />
l’esistenza del mutamento della cura a seconda del tempo trascorso dalla storia clinica<br />
del paziente.<br />
I macro-obiettivi diventano, dunque, quelli di:<br />
ridisegnare insieme ai familiari un percorso di cura che sia sostenibile dalla famiglia dal<br />
punto di vista organizzativo, lavorativo ed emotivo.<br />
riconoscere il bisogno dei familiari di trovare nuove modalità di comunicazione e<br />
relazione con il paziente. Ad esempio, la condizione di alcune situazioni cliniche molto<br />
gravi impone ai familiari di elaborare la perdita del paziente, del suo ruolo simbolico e<br />
della relazione che li legava a lui, ma al tempo stesso la dimensione della cura ha<br />
bisogno di una matrice relazionale sulla quale appoggiarsi.<br />
Rete d’aiuto<br />
Attualmente in carico<br />
(45 persone)<br />
Periodo complessivo<br />
Amici conoscenti 6 16<br />
Assistente familiare privata 3 6<br />
Familiari conviventi 30 116<br />
Familiari non conviventi 13 37<br />
Vicini di casa 0 1<br />
Volontari 0 4<br />
Altro 0 0<br />
Per quanto concerne la rete di aiuto si rendono necessarie alcune considerazioni sulla<br />
figura del caregiver. Infatti, la diade paziente-caregiver rappresenta un punto fondamentale<br />
ed un importante supporto per gli atti terapeutici e la loro evoluzione. In particolare,<br />
l’attenzione al ruolo familiare ricoperto da questa figura e il tempo trascorso dalla data<br />
dell’evento traumatico del proprio caro, rappresentano indubbiamente due variabili decisive<br />
nelle diverse modalità con cui i familiari si accostano alla cura di queste persone e al modo<br />
in cui sono “accessibili” ed eventualmente disponibili ad un lavoro di sostegno.<br />
L’età del caregiver risulta essere un dato di fondamentale importanza, in quanto consente di<br />
capire in quale fase del ciclo di vita egli rientra.<br />
Anche “il tempo della malattia” sembra avere un’enorme influenza nell’elaborazione e<br />
nell’auto-percezione “dell’essere caregiver”. Infatti, il lungo percorso che deve affrontare<br />
questa figura quando si deve occupare di un soggetto colpito da GCA, mette in discussione<br />
238
il senso della cura in uno dei suoi significati più remoti legati al contesto familiare, dove da<br />
sempre l’assistenza di ciascun membro assume l’immagine di reciprocità.<br />
Molte ricerche, d’altra parte, hanno individuato in alcuni caregivers e nel sistema familiare<br />
stesso forme di isolamento sociale, disturbi psicosomatici, sensazione di perdita di una<br />
parte di sé. Questi elementi continuano ad essere presenti anche quando subentra la<br />
possibilità di delega della cura o di parte di essa. Sono, inoltre, emersi sentimenti di<br />
ambivalenza tra speranza e rassegnazione, un’ambivalenza anche rispetto all’adeguatezza<br />
dei luoghi e degli operatori del sistema di cura e la presenza di una forte componente<br />
depressiva e ansiosa che permane nel tempo.<br />
D’altra parte le gravi cerebrolesioni hanno un tempo di cura infinito a cui segue una continua<br />
ricerca di organizzazione e riorganizzazione più o meno stabile della propria esistenza.<br />
Classificazione ICF e percorsi di reinserimento sociale<br />
Il progetto fa parte di una iniziativa avviata nel 2009 grazie, anche, al contributo dalla<br />
Fondazione della Comunità Bergamasca. Il Progetto del 2009 ed i suoi successivi sviluppi<br />
hanno consentito una importantissima sperimentazione, individuata come “buona prassi” nel<br />
“Documento di programmazione 2011 dell’Area Anziani e Disabili” dell’ASL di Bergamo.<br />
Su questa base si è continuato a sviluppare, diffondere ed attivare, l’utilizzo della<br />
classificazione ICF nelle attività riabilitative. Oggi, supportati dei numerosi Corsi di<br />
formazione sul tema, si utilizzano materiali divulgativi sull’ICF, schede semplificate per un<br />
primo approccio all’utilizzo e riferimenti teorici”.<br />
Lo scopo generale è quello di attivare sempre maggiori sperimanazioni nell’utilizzare un<br />
linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione delle<br />
componenti della salute, della riabilitazione e degli stati ad essa correlati. Infatti, il Progetto<br />
ICF opera affiche i Servizi del territorio di discipline e settori diversi (clinico, sociale, ma<br />
anche statistico, ricerca, ecc) utilizzino in maniera integrata questa classificazione.<br />
L’ICF si pone come strumento indispensabile per una migliore comprensione delle diverse<br />
forme di disabilità e di salute. Si tratta di una valutazione che tiene conto non solo dei fattori<br />
biologici di base dell’individuo, delle sue caratteristiche sensoriali, motorie e delle sue<br />
capacità comunicative e comportamentali, ma anche delle diversità culturali, sociali e<br />
linguistiche. Con l’ICF si rimanda dunque al concetto di persona nella sua globalità e si<br />
abbandona la teoria che la riabilitazione si esaurisca esclusivamente in un modello e in una<br />
dimensione di stampo prettamente “medico-organicista”.<br />
Questo Modello è fatto proprio dalla Cooperativa Progettazione che lo riconosce come<br />
fondamentale per tutta la filiera riabilitativa.<br />
239
Reciprocità unidirezionale o bidirezionale: tra capacità di adattamento<br />
individuale e partecipazione all’ambiente<br />
Da gennaio 2011 presso i servizi di Riabilitazione sociale di Cooperativa Progettazione<br />
viene utilizzato lo strumento “MAYO-Portland Adaptability Inventory (MPAI-4) quale<br />
strumento per:<br />
valutazione e monitoraggio delle abilità, limitazioni, potenzialità e bisogni di una<br />
persona con GCA e della propria rete familiare e sociale;<br />
identificazione dei programmi riabilitativi più idonei e monitoraggio degli obiettivi<br />
prefissati.<br />
Di seguito vengono riportati i valori di sintesi relativi a Indice di Abilità, Indice di Adattamento<br />
e Indice di partecipazione di 45 persone prese in carico.<br />
Indicazione indice di gravità:<br />
- grave: problema che interferisce con le attività oltre il 75% delle volte;<br />
- moderato grave: problema moderato che interferisce con le attività nel 25-75% delle<br />
volte;<br />
- lieve-moderato: interferisce con le attività nel 5-24% delle volte;<br />
- lieve: problema che non interferisce con le attività; possono essere necessari ausili o<br />
medicamenti.<br />
Grave 5<br />
Moderato Grave 11<br />
Lieve-moderato 17<br />
Lieve 12<br />
Indice di Abilità<br />
Mobilità, uso delle mani<br />
Vista, udito, abilità visuo-spaziali<br />
Articolazione della parola<br />
Attenzione/concentrazione, memoria<br />
Archivio nuove informazioni<br />
Soluzione di nuovi problemi<br />
Capogiri<br />
240
Indice di Adattamento<br />
Grave 9<br />
Ansia, depressione<br />
Irritabilità-collera-aggressività<br />
Moderato Grave 18<br />
Dolore/ mal di testa, sensibilità a lievi sintomi<br />
Fatica<br />
Lieve Moderato 10<br />
Interazioni sociali inappropriate<br />
Rapporti con familiari, contatti sociali<br />
Lieve 8<br />
Iniziativa<br />
Passatempi/attività ricreative e del tempo libero<br />
Indice di Partecipazione<br />
Grave 15<br />
Iniziativa<br />
Contatti sociali<br />
Moderato Grave 11<br />
Passatempi/attività ricreative e del tempo libero<br />
Cura della propria persona<br />
Lieve Moderato 6<br />
Abitazione<br />
Uso dei mezzi di trasporto<br />
Lieve 13<br />
Attività lavorativa retribuita o altre occupazioni<br />
Gestione del denaro e finanze<br />
L’Indice di Partecipazione rappresenta una misura di particolare utilità ai fini di uno degli<br />
obiettivi ultimi della riabilitazione: la presenza partecipe ed attiva di un soggetto sul piano<br />
sociale. Infatti, i dati riportati mettono in evidenza che uno dei principali ostacoli di una<br />
persona con GCA è l’integrazione sociale che risulta essere strettamente correlata alle<br />
caratteristiche sociali e fisiche dell’ambiente.<br />
Tra settembre 2011 e febbraio 2012, presso il Centro Diurno di Cooperativa Progettazione,<br />
è stata svolta una ricerca rivolta a persone con danno cerebrale traumatico (TBI_fase degli<br />
esiti) che ha avuto come obiettivo d’indagine il ruolo che l’ambiente di vita personale e<br />
sociale assume nella definizione della narrazione soggettiva e nella costruzione del senso di<br />
autostima di una persona con GCA.<br />
Attraverso la tecnica del focus group ideata per soggetti con trauma cranico sono emersi dei<br />
dati, messi poi in relazione con la classificazione ICF (Classificazione Internazionale del<br />
Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità).<br />
I dati conclusivi indicano come gli utenti che hanno partecipato al focus group mantenevano<br />
un’immagine ambigua e discordante nel concetto di ambiente, inteso nella sua doppia<br />
connotazione di barriera e/o risorsa. Infatti, descrivano lo stesso in termini di ricchezza,<br />
quando esso veniva identificato come risorsa esterna al proprio Sé. Al contrario, la<br />
241
dimensione ambientale percepita nella sua connotazione di limite coincideva, nella loro<br />
narrazione, solo in una dimensione autocentrata, dove gli aspetti di restrizione e blocco<br />
all’ambiente erano rappresentati da loro stessi con le conseguenze oggettive che il trauma<br />
aveva riportato a livello di menomazione cognitiva e motoria.<br />
Esiti degli interventi<br />
In carico<br />
Inserito in<br />
altra<br />
struttura<br />
Rientrato a<br />
scuola o in<br />
formazione<br />
Inserito al<br />
lavoro<br />
Rientro in<br />
famiglia<br />
Non<br />
terminato<br />
percorso*<br />
Non preso in<br />
carico<br />
45 18 8 49 8 36 3<br />
Inserimento in altra struttura:<br />
i servizi socio-riabilitativi erogati coprono un’area territoriale molto vasta (estesa non solo<br />
nella provincia di Bergamo, ma anche quelle limitrofe) e questo porta la rete familiare a<br />
scegliere un servizio sociale per persone con disabilità congenita e, quindi, meno idoneo<br />
più vicino al Comune di Residenza.<br />
Rientrato a scuola o in formazione:<br />
il numero risulta irrilevante perché le persone che giungono ai nostri servizi hanno già<br />
terminato le scuole dell’obbligo e la metà di essi hanno comunque conseguito un titolo<br />
superiore (45/127 diplomati, 12/127 laureati). Il tema dell’istruzione non risulta essere tra<br />
gli obiettivi principali all’interno del nuovo progetto di vita di una persona con GCA. Un<br />
dato oggettivo si riferisce anche ai corsi professionali che vengono proposti dai vari Enti<br />
formativi che non assicurano un inserimento lavorativo.<br />
Inserito al lavoro:<br />
per quanto riguarda il tema del reinserimento lavorativo si rimanda al paragrafo<br />
successivo in cui viene riportata una ricerca di follow-up effettuata da Cooperativa<br />
Progettazione nel 2007 “Lavorare dopo la Grave Cerebrolesione Acquisita”.<br />
Rientro in famiglia:<br />
solitamente rientrano in famiglia senza l’attivazione di un progetto lavorativo o territoriale<br />
le persone che appartengono ad una fascia di età compresa tra i 50 e i 60 anni. Per<br />
queste persone l’obiettivo ultimo dei percorsi socio-riabilitativi è quello di raggiungere il<br />
più alto livello d’autonomia nelle attività strumentali di base.<br />
Non terminato il percorso:<br />
242
il motivo principale per cui vi è stata l’interruzione del percorso socio-riabilitativo è legata<br />
all’onere economico dell’intervento che spesso grava quasi totalmente sull’economia<br />
familiare.<br />
Non preso in carico:<br />
il dato si riferisce a quelle persone che in seguito ad una GCA necessitano di un livello<br />
assistenziale e sanitario molto elevato (presenza di tracheotomia, PEG, …).<br />
Bisogni che richiedono un’attenzione particolare<br />
Sessualità<br />
La letteratura specifica in Italia sulla grave disabilità acquisita e la sessualità risulta<br />
pressoché nulla, sebbene anche recenti contributi delle neuroscienze e della psicobiologia<br />
hanno apportato ulteriori importanti contributi allo studio del rapporto mente-corpo ed al<br />
ruolo delle sensazioni corporee e delle emozioni nella costruzione del senso di sé.<br />
Infatti, il tema dell’affettività e sessualità nelle persone con GCA rimane un bisogno<br />
importante, che spesso viene manifestato da molti utenti esplicitamente sia attraverso la<br />
verbalizzazione diretta che indiretta.<br />
Va tenuto in considerazione che eventi traumatici così significativi richiedono per molto<br />
tempo interventi riabilitativi ed educativi che riguardano innanzitutto il recupero di funzioni di<br />
base e di una minima autonomia, ma un’educazione all’affettività ed alla sessualità non è<br />
per questo un intervento disgiunto.<br />
Nel 2011 attraverso “Bando L.23” dell’Asl di Bergamo Cooperativa Progettazione ha attivato<br />
una “Proposta formativa relativa all’educazione e gestione dell’affettività e sessualità in<br />
persone con disabilità acquisita”. Obiettivo dell’intervento è stato innanzitutto offrire uno<br />
spazio d’ascolto e di parola riguardo ad una sfera tanto delicata com’è quella della<br />
sessualità con persone con GCA; in secondo luogo quella di apportare informazioni e<br />
contribuiti teorici in merito alla sessualità secondo il modello dei cinque cerchi di Willy Pasini<br />
e ancora accogliere la voce dei protagonisti: le paure i desideri, le convinzioni attinenti tale<br />
tematica in un’ottica di “ricerca sul campo” qualitativa.<br />
Dal percorso è emerso che la non accettazione e di conseguenza la non elaborazione del<br />
trauma in relazione con la dimensione sessuale merita grande attenzione ed obbliga a<br />
profonde riflessioni per i seguenti motivi:<br />
di per sé rappresenta un fattore antagonista rispetto alla possibilità di vivere anche con<br />
i propri limiti la sessualità poiché quest’ultima si fonda innanzitutto sullo “star bene<br />
nella propria pelle”;<br />
il trauma non elaborato anche sugli aspetti che coincidono con la propria sessualità<br />
trova in sé elementi colpevolizzanti e depressivi;<br />
243
vi è il rischio che la persona stessa e chi le sta a fianco mettano in campo azioni<br />
educative che non rispondono a tale esigenza;<br />
la non accettazione di sé e la difficoltà a ritrovare una propria identità all’interno delle<br />
discontinuità causata dal trauma coinvolge innanzitutto il corpo ed inevitabilmente ha<br />
ripercussioni nel piano dell’autostima e delle relazioni interpersonali.<br />
Altro dato rilevante è legato al fatto di come l’identità maschile si fondi su quegli aspetti di<br />
autonomia e competenze lavorative (spesso invece compromessi) e che queste rimandano<br />
ad una dimensione di “virilità” prerequisito per una vita sessuale più appagante.<br />
Le riflessioni conclusive legate al percorso di formazione mettono in evidenza come con<br />
questa tipologia di utenti sia fondamentale dar spazio alla dimensione della sfera sessuale<br />
non tanto o almeno non solo sul piano dei comportamenti adeguati o disfunzionali, ma<br />
nell’ottica di rendere esplicito l’implicito. Indipendentemente dalla possibilità di vivere una<br />
vita sessuale attiva e dentro una relazione è importante riconoscere comunque il diritto alla<br />
sessualità anche nella grave disabilità. Ciò significa tener conto della persona nella sua<br />
globalità e nella sua corporeità attingendo al concetto di corpo non solo come organismo da<br />
sanare ma come “leib” (termine tedesco) come corpo che vive, sente, prova emozioni, il<br />
piacere ed è costantemente in relazione a sé ed al mondo esterno.<br />
Per chi lavora a fianco di persone così gravemente colpite ed ai loro familiari il compito di<br />
custodire un “atteggiamento erotico” verso la vita, lontano da agiti o negazioni di sorta e che<br />
si traduce in una fiducia nel cambiamento, nel rispetto e valorizzazione delle diverse<br />
soggettività, nel piacere di conoscere e del conoscersi, nell’educare ed educarsi alla<br />
bellezza.<br />
Continuità assistenziale<br />
Da quanto riportato dalle Linee Guida Sanitarie, la continuità assistenziale rappresenta a<br />
tutti gli effetti di un processo dove, individuati i bisogni del paziente, viene prestata<br />
assistenza continuativa da un livello di cura ad un altro. Questo comporta un’estensione non<br />
interrotta nel tempo degli obiettivi assistenziali attraverso una circolarità di svolgimento degli<br />
interventi fra i diversi livelli e ambiti di erogazione delle cure e dell’assistenza.<br />
In particolare, dopo una lunga degenza in ospedale il problema del “rientro a casa” è fonte<br />
di ansia e di estrema preoccupazione per il contesto familiare. Spesso al momento della<br />
dimissione ospedaliera la gestione organizzativa familiare e la struttura abitativa non sono<br />
adeguate alla situazione clinica della persona con GCA.<br />
Per rendere meno faticoso questo passaggio diviene necessario attivare un processo di<br />
continuità assistenziale che si muova su queste tre dimensioni:<br />
Informativa: relativa allo scambio di informazioni tra operatori sanitari, sociali e rete<br />
territoriale.<br />
Relazionale: relativa al rapporto tra operatori dei diversi servizi e contesto familiare e<br />
persona con GCA.<br />
244
Gestionale: relativa alla sequenza tempestiva e logicamente ordinata degli interventi. A<br />
questo proposito a partite da febbraio 2012 è stato attivato da Cooperativa<br />
Progettazione un Servizio Residenziale che risponde ai bisogni di continuità<br />
assistenziale. Nello specifico vengono offerti dei periodi di accoglienza per garantire ai<br />
familiari ed al coniuge di conciliare i nuovi compiti assistenziali con i tempi di vita e per<br />
favorire la sistemazione e l’adeguamento dell’abitazione.<br />
Re-inseirmento lavorativo<br />
In merito a questa tematica Cooperativa Progettazione nel 2007 ha realizzato una ricercastudio<br />
dal titolo “Lavorare dopo la Grave Cerebrolesione Acquisita”.<br />
Il progetto ha permesso di conoscere la complessità che i soggetti con disabilità acquisita<br />
portano nel mondo del lavoro, favorendo la costruzione di buone prassi che possono essere<br />
d'aiuto nell'integrazione lavorativa e nell'acquisizione del ruolo di lavoratore.<br />
Come è emerso dall’esito di questa indagine e confermato dalla letteratura scientifica,<br />
realizzare percorsi individualizzati considerando le potenzialità e le criticità della disabilità e<br />
in particolare della disabilità acquisita, permette di calibrare interventi mirati mettendo in<br />
prima linea la persona, la famiglia e l'azienda. In particolare nella disabilità acquisita si<br />
evidenzia la necessità di prestare attenzione alle variabili emotive e motivazionali, oltre che<br />
cognitive, in relazione al faticoso percorso di ricostruzione della propria identità che queste<br />
persone si trovano a dover affrontare, in una situazione di estrema vulnerabilità agli<br />
insuccessi e al riconoscimento dei nuovi limiti.<br />
La ricerca-studio si è focalizzata sulla stesura di un profilo d'orientamento, cercando<br />
d'integrare le conoscenze teoriche acquisite dai documenti raccolti e il sapere derivante<br />
dall'esperienza della Cooperativa Progettazione. Il confronto con altri Centri ha permesso di<br />
arricchire sia con riferimenti teorici che con esperienze dirette le procedure e gli strumenti di<br />
valutazione delle abilità residue e di formulare un insieme di strumenti per la valutazione<br />
delle variabili (anche emotive e motivazionali, alla luce della loro particolare importanza<br />
nella disabilità acquisita) che sono risultate significative nel reinserimento lavorativo. Questo<br />
nell’ottica di permettere alla persona di fruire di un percorso di riabilitazione che lavori sul<br />
riconoscimento dei limiti, ma anche delle risorse ancora disponibili, per recuperare un senso<br />
di autoefficacia e sviluppare strategie di compensazione e adattamento, trasferibili al mondo<br />
esterno, sociale e lavorativo, e alle sue richieste.<br />
Si è evidenziata infine la necessità del lavoro di rete come metodologia operativa<br />
nell’inserimento lavorativo, alla luce dell’importanza di accompagnare e sostenere i soggetti<br />
con disabilità acquisita nel lento e graduale riappropriarsi di un’identità lavorativa e sociale,<br />
determinante per una buona qualità di vita.<br />
245
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
Boldrini P., Basaglia N., GRACER (Gravi Cerebrolesioni Emilia Romagna), Un progetto di<br />
rete integrata regionale di strutture, presidi e servizi riabilitativi per le persone affette da<br />
gravi cerebrolesioni acquisite, 2002. In: Giornale Italiano di Medicina Riabilitativa; 16, pp.<br />
61-77<br />
Apolone G., Boldrini P., Avesani R., De Tanti A., Fogar P., Gambini M.G., Taricco M., 2 a<br />
Conferenza nazionale di consenso bisogni riabilitativi ed assistenziali delle persone con<br />
disabilità da grave cerebrolesione acquisita (GCA) e delle loro famiglie, nella fase postospedaliera,<br />
2007. In: Ital J Rehab Med–MR; 21, pp. 29-51; www.simfer.it; www.gcla.it;<br />
www.associazionitraumi.it<br />
Boldrini P., La riabilitazione del paziente con esiti di traumatismo cranio-encefalico e di altre<br />
gravi cerebrolesioni acquisite. In: Basaglia N., Trattato di Medicina Riabilitativa,<br />
IdelsonGnocchi Editore; Napoli, capitolo 35 in cs 2008<br />
Anderson M.I., Parmenter T.R., Mok M., The relationship between neurobehavioral problems<br />
of severe traumatic brain injury (TBI), family functioning and the psychological well-being of<br />
the spouse/caregiver: path model analysis, 2002. In: Brain Injury; 16 (9), pp. 743-757<br />
Bond M.R., Effects on the family system, in Rosenthal M., Griffith E.R., Bond M.R.,<br />
Rehabilitation of the head injured adult, F. A. Davis, Philadelphia, 1983<br />
Castelli G., Mariani V., L’educazione sessuale delle persone disabili, Ed. Ares, Città di<br />
Castello<br />
Cavallo M., Ezrachi, O., Problems and changes after traumatic brain injury: differing<br />
perceptions within and between family, 1992. In: Brain injury; 6, pp. 327-335<br />
Jackson A., Haverkamp B.E., Family response to traumatic brain injury, 1991. In: Counseling<br />
psychology Quarterly; vol. 4, issue 4, October 1991, pp. 355-366<br />
Kreutzer J.S., Primary caregivers’ psychological status and family functioning after traumatic<br />
brain injury, 1994. In: Brain Injury; vol.8, n.3, pp. 197-210<br />
Kreutzer J.S., Gervasio A.H., Camplair P.S., Caregivers' psychological status and family<br />
functioning after traumatic brain injury, 1994. In: Brain injury; 8, pp. 197-210<br />
Leonardi M., Libro bianco sull’invalidità civile in Italia, Franco Angeli, Milano, 2008<br />
Lezak M.D., Psychological implications of traumatic brain damage for the patient's family,<br />
1986. In: Rehabilitation psychology; 31, pp. 241-250<br />
Nabors N., Seacat J., Rosenthal M., Predictors of caregiver burden following traumatic brain<br />
injury, 2002. In Brain Injury; vol. 16, n. 12, pp. 1039-1050<br />
246
Pasini W., Crepault C., Galimberti U., L’immaginario sessuale, Raffaello Cortina, Milano 1998<br />
Pistarini C., Aiachini B., Coenen M., Pisoni C. Funzionamento e disabilità nel trauma cranico:<br />
la prospettiva paziente italiano nello sviluppo di set di base ICF, 2011; 33, pp. 23-24; 2333-<br />
2345, Epub 2011, Apr 18<br />
Romano M.D., Family response to traumatic head injury, 1974. In: Scandinavian Journal of<br />
Rehabilitation Medicine; 6, pp. 1-5<br />
Scabini E., Cigoli V. (1991), L’identità organizzativa della famiglia. In: Identità adulte e<br />
relazioni familiari. Studi interdisciplinari sulla famiglia; n. 10, Vita e Pensiero, Milano, pp.<br />
63-104<br />
Scabini E., Psicologia sociale della famiglia, Bollati Boringhieri, Torino, 1995<br />
Sinnakaruppan I., Downey B., Morrison S., Head injury and family carers: a pilot study to<br />
investigate and innovative community-based educational program for family carers and<br />
patients, 2005. In: Bran Injury, 2005; 19(4), pp. 283-308<br />
Veglia F., Handicap e sessualità: il silenzio, la voce, la carezza, Franco Angeli, Milano<br />
Zarski J.J., Depompei R., Zook A., Traumatic head injury: dimensions of family responsitivity,<br />
1988. In: Journal of Head Trauma Rehabilitation; 3(4), pp. 31-41<br />
Harris J.K. et al., Caregiver depression following traumatic brain injury (TBI): a consequence<br />
of adverse effects on family members?, 2001. In: Brain Injury; 15 (3), pp. 223-238<br />
Lefebvre H., Cloutier G., Levert M.J., Perspectives of survivors of traumatic brain injury and<br />
their caregivers on long-term social integration, 2008. In: Brain Injury; 22 (7-8), pp. 535-543<br />
Turner B. et al., A qualitative study of the transition from hospital to home for individuals with<br />
acquired brain injury and their family care givers, 2007. In: Brain injury; 21(11), pp. 1119-<br />
1130<br />
247
IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI CHE RAPPRESENTANO I FAMILIARI<br />
PER USCIRE <strong>DA</strong>L COMA E RIENTRARE NEL<strong>LA</strong> VITA<br />
Fulvio De Nigris 1<br />
Tutti coloro che hanno un familiare colpito da una grave cerebrolesione acquisita si trovano in una<br />
situazione difficile da affrontare. La loro vita viene completamente stravolta da problemi di diversa<br />
natura: Emozionali, Sociali, Economici, Burocratici.<br />
Nel “Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza” realizzato dal Ministero della Salute e<br />
che ho avuto l’onore di coordinare, per la prima volta, un gruppo di oltre 30 associazioni laiche,<br />
cattoliche e di tutte le religioni, appartenenti ai principali coordinamenti italiani (La Rete –<br />
Associazioni Riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite, FNATC –<br />
Federazione Nazionale Associazioni Traumi Cranici, Vi.Ve – Vita Vegetativa) hanno espresso il<br />
loro punto di vista associativo sui percorsi che devono tutelare i bisogni delle famiglie.<br />
Le associazioni in tutti questi anni hanno dimostrato di essere propositive, di interpretare un ruolo<br />
importante nella rappresentazione di familiari ed i temi espressi in questo libro rappresentano<br />
riflessioni e domande su obiettivi non ancora raggiunti. Sono problematiche che rimandano alla<br />
necessità di predisporre un’indagine/studio per identificare: la popolazione, il livello di assistenza<br />
(sanitaria e sociale) prima e dopo le dimissioni, le strutture preposte all’assistenza, le condizioni di<br />
vita di queste persone e delle rispettive famiglie, le implicazioni burocratiche, gli strumenti sanitari e<br />
sociali di supporto.<br />
In questo “Libro bianco”, si è cercato di fotografare la situazione esistente, elaborando al tempo<br />
stesso il vissuto personale nei confronti del sistema socio-sanitario, sia per poter indicare alle<br />
autorità competenti i migliori percorsi e le pratiche più efficaci da mettere in atto che per informare<br />
l’opinione pubblica e mettere a disposizione direttamente il proprio punto di vista.<br />
Un libro bianco dunque per comprendere la realtà delle persone in stato vegetativo e d minima<br />
coscienza. Perché le persone con cerebrolesioni meritano risposte di sistema e prestazioni che<br />
rispondano a livelli essenziali di assistenza, rappresentando una delle componenti importanti della<br />
non autosufficienza sulla quale è determinante, anche per quanto riguarda i pazienti con esiti di<br />
coma e stato vegetativo, avere voce in capitolo.<br />
1 Direttore Centro Studi per la Ricerca sul Coma – Gli amici di Luca onlus; Componente <strong>LA</strong> RETE (associazioni riunite<br />
per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite); Membro dell’“Osservatorio nazionale sulla condizione delle<br />
persone con disabilità”; Membro dell’“Osservatorio nazionale sul volontariato”<br />
248
La Carta di San Pellegrino<br />
Le associazioni dei familiari riunite nei coordinamenti nazionali La RETE- Associazioni Riunite per il<br />
Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite e FNATC - Federazione Nazionale<br />
Associazioni Trauma Cranico, operanti nel "Seminario permanente sugli stati vegetativi" del<br />
Ministero della Salute, al fine di tutelare la dignità, la libertà e i diritti delle persone in stato<br />
vegetativo e minima coscienza, le condizioni di grave disabilità acquisite, in sintonia con gli<br />
operatori sanitari in un percorso di alleanza terapeutica, concordano i seguenti punti:<br />
1) Nessuna discriminazione deve essere attuata in base alle condizioni di età, salute fisica e/o<br />
mentale.<br />
2) Le persone che non hanno la capacità di decidere devono essere tutelate e protette.<br />
3) Qualsiasi intervento medico o assistenziale deve essere un aiuto alla vita.<br />
4) La tutela del paziente deve prevalere su ogni altro interesse.<br />
5) L'alimentazione e la idratazione sono atti dovuti.<br />
6) Il paziente ha diritto alle migliori cure mediche e riabilitative.<br />
7) La ricerca clinica e scientifica sugli stati vegetativi e di minima coscienza deve essere<br />
promossa e sostenuta.<br />
8) La famiglia ha diritto ad una sistematica informazione corretta, comprensibile e completa e<br />
deve avere libera scelta del posto di cura.<br />
9) La famiglia ha il diritto di essere tutelata ed assistita nel percorso di cura e di disabilità.<br />
10) Le associazioni devono essere riconosciute a supporto e in rappresentanza delle famiglie<br />
come risorsa qualificata, durante tutto il percorso.<br />
249<br />
San Pellegrino Terme, 5 aprile 2009
Nel “Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza” sono riportate in un capitolo specifico<br />
buone pratiche a livello nazionale. Da “Casa Palazzolo” presso la Clinica Quarenghi in<br />
collaborazione con l’associazione “Genesis” di San Pellegrino Terme, a “Villa Elena” a Pegli con<br />
l’associazione “Rinascita e Vita” di Genova, a “Casa Dago” con l’associazione Arco 92 di Roma, a<br />
“Casa Iride” con l’associazione Risveglio di Roma e tante altre.<br />
Una di queste eccellenze, un modello di riferimento a livello nazionale, è la Casa dei Risvegli Luca<br />
De Nigris dell’Azienda Usl di Bologna che ne persegue gli obiettivi con l’associazione “Gli amici di<br />
Luca onlus”.<br />
Casa dei Risvegli Luca De Nigris - modello assistenziale<br />
La particolarità di questa struttura pubblica dell’Azienda Usl di Bologna che ne condivide gli obiettivi<br />
in convenzione di intenti con l’associazione Gli amici di Luca (per attività di assistenza, formazione,<br />
sostegno e reinserimento sociale) è nell'intersezione tra diversi progetti sulla persona che<br />
comprendono: il contesto ambientale, la riabilitazione, l'integrazione e l'inclusione sociale. E’ un<br />
lavoro in sintonia, in alleanza terapeutica. L’associazione raccoglie fondi anche per la ricerca<br />
espletata dal Centro Studi per la Ricerca sul Coma. Recentemente è stato donato uno “stimolatore<br />
cerebrale” all’Azienda Usl di Bologna.<br />
Ormai è riconosciuto che il “coma” è una sintomatologia della famiglia e come tale è tutto l'ambito<br />
familiare, la rete amicale e affettiva che deve esserne coinvolta. Questo vuol dire affrontare il tema<br />
in maniera multidisciplinare, da vari punti di vista, tenendo conto che il fattore ambientale è molto<br />
importante. Bisogna dire che l'incontro tra chi “sa di coma” e chi “vive il coma” diventa molto<br />
significativo. Il sapere e il vivere sono due competenze che a volte si incontrano, spesso si<br />
scontrano. Il sapere, la teoria, prescinde dall'esperienza privata, ma in questo particolare ambito,<br />
come anche in altri, viene arricchita dall'esperienza personale. C'è una competenza della famiglia,<br />
che viene riconosciuta anche dalla comunità europea, è la competenza affettiva,<br />
dell'accompagnamento, il sapere dettato dal punto di vista, dalla formazione personale e da altro<br />
ancora.<br />
E’ un mondo che qui non è chiuso, ma si apre con la famiglia, con il volontariato, con chi sa di<br />
sociale per tentare 'impresa più difficile, quella del ritorno. Per ritornare c'è bisogno di un team<br />
multidisciplinare la comunicazione l'investimento anche economico. C'è il desidero di fornire un<br />
buon, ottimo grado di autosufficienza. Sapendo che la famiglia potrà traghettare queste persone<br />
fuori dalla struttura, nel mondo sociale, possibilmente al domicilio dove si continuerà quella<br />
battaglia che un centro di eccellenza non può compiere da solo.<br />
La Casa dei Risvegli Luca De Nigris è un Centro di riabilitazione post-acuta di livello ospedaliero<br />
appositamente progettato per soggetti gravemente disabili completamente non autosufficienti e<br />
richiedenti trattamenti riabilitativi continuativi, nell’ambito di un percorso integrato di assistenza e<br />
riabilitazione. La struttura, attiva dal Marzo 2005, è un nodo del percorso Bolognese per le gravi o<br />
250
gravissima lesioni acquisite che, nel territorio coperto dalla Azienda USL di Bologna, assiste circa<br />
200 persone all’anno fra le quali almeno 40 necessitano di assistenza protratta. Come tale, è una<br />
struttura riabilitativa per pazienti con GCA, specializzata per le condizioni a bassa responsività<br />
protratta (SV e MCS) e per le gravissime disabilità “slow to recover”.<br />
Negli ultimi anni si è imposta in modo sempre più evidente l’attenzione al problema dei percorsi di<br />
assistenza per i pazienti con esiti di grave e gravissima cerebrolesione acquisita. Emerge ormai un<br />
ampio consenso sul fatto che sono necessari percorsi di qualità specificamente dedicati,<br />
caratterizzati da competenze tecnico professionali specializzate, e che, dopo la rianimazione e/o<br />
neurochirurgia, deve essere garantito un accesso tempestivo alla riabilitazione.<br />
E’ dimostrato dalla nostra esperienza che la fase di riabilitazione postacuta sia più efficace per il<br />
paziente e per la sua famiglia se condotta all’interno di aree ospedaliere meno caratterizzate dal<br />
punto di vista dei modelli ambientali ed organizzativi tipici dell’ospedale per acuti ma più<br />
riconducibili al funzionamento di un domicilio o di una piccola comunità. Dal 2005 ad oggi oltre 130<br />
ospiti la maggior parte uomini (età media 36 anni). L’80% è tornato al domicilio “risvegliato”, dando<br />
il giusto significato a questa parola, al suo grado di autosufficienza, con i segni più o meno gravi di<br />
disabilità. Durante questo lungo percorso la presa in carico dei familiari è un elemento prioritario<br />
quanto la stessa gestione clinica e riabilitativa del paziente, al fine di consentire una efficace<br />
restituzione al domicilio al termine della fase riabilitativa. Questa ipotesi è il cuore del progetto<br />
sperimentale della Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna.<br />
Nel nome “Casa dei Risvegli” la parola “casa” evoca un modello di ecologia sociale diverso dai<br />
contesti ospedalieri tradizionali ed il plurale “risvegli” nella metafora di questa parola evoca una<br />
molteplicità di soggetti potenzialmente coinvolti in un necessario processo di cambiamento e<br />
conquista di consapevolezza: dalla persona alla sua famiglia e fino alla rete delle relazioni attorno<br />
ad essa.<br />
Nell’ambito del progetto di sperimentazione assistenziale e nell’accreditamento della Regione<br />
Emilia Romagna recentemente raggiunto è equiparata ad una struttura ad alta specialità<br />
neuroriabilitativa (codice di disciplina 75, posti letto 10).<br />
La Casa dei Risvegli Luca De Nigris persegue esplicitamente l’obiettivo di fornire alle famiglie aiuto<br />
e formazione specifica con un approccio strutturato. interagire con loro vuol dire fare una buona<br />
accoglienza ai genitori, ai figli, ai parenti, al care giver, il che significa che la struttura considera di<br />
non doversi prendere cura soltanto del paziente ma anche del suo ambito familiare che ha forti<br />
interessi nei suoi confronti, interessi inalienabili e che possiamo definire “curanti”. La permanenza<br />
dei familiari accanto all’assistito si allontana da una degenza intesa come “tempo passivo”, ma<br />
bensì prevede un lavoro sulla relazione, sull’identità, sui ritmi, sulla percezione e sul<br />
comportamento con un apprendimento operativo nella quotidianità per far maturare nella famiglia<br />
anche solo un po’ più di consapevolezza della sua centralità e un po’ più di abilità concrete di<br />
gestione della vita.<br />
251
Il volontariato è un’altra risorsa della struttura. La motivazione che muove verso l’azione volontaria<br />
rappresenta il motore che permette ad un’associazione di volontariato di esistere e crescere,<br />
poiché attiva a livello individuale e sociale quel processo che amplifica il coinvolgimento e la<br />
partecipazione della società civile.<br />
La Casa dei Risvegli Luca De Nigris è inoltre il luogo della vita e delle arti. Il coinvolgimento dei<br />
familiari e del loro contesto socio-relazionale attiva momenti artistico – socio -culturali, con lo scopo<br />
di riorganizzare i tempi della quotidianità mediante attività educative, ricreative e culturali con<br />
momenti di musica, arte, scrittura, lettura, spettacoli teatrali.<br />
La dimissione dalla Casa Dei Risvegli Luca De Nigris non significa conclusione del progetto<br />
riabilitativo e assistenziale. La riabilitazione e le attività di cura possono proseguire a domicilio<br />
come altra fase del percorso riabilitativo, in base alle necessità e alle disabilità residue.<br />
Le persone provenienti da altre regioni rientrano al loro domicilio nel territorio di residenza<br />
assicurando, per quanto possibile, i percorsi della continuità terapeutica.<br />
Per tutti i pazienti dimessi dalla Casa Dei Risvegli Luca De Nigris viene inoltre assicurata una<br />
continuità di contatto, relazione ed aiuto alla famiglia da parte della Associazione Gli amici di Luca<br />
anche attraverso il numero verde Comaiuto (800998067).<br />
I bisogni di una persona che permane in stato vegetativo (SV)<br />
L'approccio assistenziale e riabilitativo di queste persone è un problema di grande rilevanza<br />
medica e sociale, poiché la loro aspettativa di vita è in progressivo aumento in tutti i paesi<br />
industrializzati. L’attesa di vita si attesta tra l’uno e i cinque anni, con casi, abbiamo visto non così<br />
rari, che superano i dieci e più anni. Trascorsi i primi mesi dopo l’evento acuto tra la terapia<br />
intensiva e il successivo ricovero in un centro di riabilitazione, perseguendo l’obiettivo del miglior<br />
recupero possibile, il paziente, pur con gravissima disabilità, ha concluso il suo percorso e può<br />
quindi essere dimesso.<br />
Ma come dimettere una persona così fragile? Verso quale soluzione indirizzarla?<br />
La scelta fra il rientro al proprio domicilio o l’inserimento in una struttura residenziale rappresenta<br />
un’alternativa difficilissima per la famiglia (ma anche per l’équipe che lo ha avuto in cura) e non<br />
solo per le implicazioni emotive e psicologiche di un tale cambiamento. Si tratta infatti di una scelta<br />
condizionata da numerosi fattori tra cui le condizioni cliniche del paziente stesso, le risorse emotive<br />
e fisiche della famiglia, le disponibilità sul territorio di strutture atte all’accoglienza o di servizi<br />
domiciliari cui appoggiarsi.<br />
Se in passato, quando i casi di pazienti in queste condizioni erano estremamente rari e avevano<br />
un’aspettativa di vita molto più modesta, l’unica alternativa al momento della dimissione era il<br />
rientro al proprio domicilio, oggi non è necessariamente così. Sempre più frequentemente ci<br />
troviamo di fronte a persone le cui condizioni sono tali da non poter essere gestite al domicilio, o<br />
252
che non hanno un nucleo familiare in grado di riaccoglierli a casa (famiglie mono-parentali, genitori<br />
anziani…). Fattori sociali, culturali, ambientali, ma anche strettamente clinici impongono.<br />
C’è dunque la necessità di prevedere alternative al domicilio, ricoveri ad libitum in strutture<br />
adeguate all’accoglienza.<br />
Da una indagine conoscitiva di un gruppo di lavoro della Conferenza di Consenso di Verona 2005,<br />
è emerso che nel territorio nazionale esiste una notevole disomogeneità per quanto riguarda le<br />
strutture residenziali post-ospedaliere tra le varie Regioni Italiane. Disomogeneità che riguarda sia<br />
la programmazione di unità dedicate con un numero di posti letto in linea con le osservazioni<br />
epidemiologiche, sia l’esistenza e l’impiego di linee guida regionali per la definizione e la<br />
standardizzazione degli approcci assistenziali. Secondo alcuni dati disponibili l’incidenza annua in<br />
Italia si aggira sui 1.500 casi adulti. Per quanto riguarda la prevalenza, la stima è ancora più difficile<br />
perché mancano informazioni certe sulla sopravvivenza. Orientativamente uno studio Ministeriale<br />
riteneva che la prevalenza potesse essere di 6.000 casi, con una tendenza all’aumento. Si<br />
evidenzia quindi un primo dato significativo: la disponibilità di posti letto in strutture residenziali è<br />
attualmente inferiore alle necessità stimate e, soprattutto, la disomogenea distribuzione di tali posti<br />
sul territorio nazionale è tale da costringere molte famiglie alla scelta obbligata di un ricovero<br />
lontano dalla propria area territoriale o di un forzoso rientro al domicilio.<br />
La sfida della residenzialità<br />
La tradizione e l’esperienza italiana nell’assistenza extra-ospedaliera affondano le proprie radici<br />
nelle istituzioni storiche degli ospizi dove tradizionalmente trovavano ricovero e assistenza le<br />
persone anziane o senza famiglia. L’evoluzione di queste strutture, sulla spinta soprattutto<br />
dell’invecchiamento della popolazione e dei cambiamenti dell’organizzazione della società, le ha<br />
portate negli ultimi anni a una crescente diffusione e a una professionalizzazione sempre<br />
maggiore. All’impegno strettamente assistenziale si è andata aggiungendo una competenza<br />
professionale sanitaria crescente in grado di rispondere alle sempre più frequenti richieste di una<br />
utenza anziana con pluripatologia. La specificità per l’assistenza all’anziano è stata, e in molti casi<br />
è ancora, l’elemento caratterizzante di queste strutture, che però negli anni si sono trovate sempre<br />
più spesso pressate da richieste di ricoveri che, per quella che era la loro tradizione, potrebbero<br />
definirsi impropri. Tra questi anche la sempre più comune richiesta di inserire, in un luogo nato per<br />
gli anziani, persone in SV o di SMC, indipendentemente dall’età.<br />
Partendo dall’esperienza derivata dal ricovero di singoli casi, molte strutture sono andate<br />
gradatamente costruendosi una competenza nella gestione anche di questi pazienti.<br />
Parallelamente le istituzioni locali hanno iniziato a contrattualizzare con delibere ad hoc la loro<br />
gestione in termini di spesa, minutaggio del personale richiesto, indicazioni di professionalità<br />
coinvolte.<br />
253
L’acquisizione di competenze e capacità critica negli anni ha portato alcuni gestori alla scelta di<br />
costituire nuclei omogenei di pazienti al fine di ottimizzare le ricorse necessarie per la loro<br />
quotidianità. Permangono ancora casi, non rari, di strutture che, pur rimanendo principalmente<br />
dedicate all’accoglienza di ospiti anziani, accettano di ricoverare anche solo un paziente in SV al<br />
fine di favorire la famiglia con una prossimità territoriale a discapito di una maggior professionalità.<br />
Attualmente le persone in SV o di SMC in Italia sono quindi accolte anche in strutture per anziani<br />
quali le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), dove si ricoverano genericamente pazienti over<br />
65 e in strutture dedicate all’handicap quali le Residenze Sanitarie per Disabili (RSD) e dove<br />
l’utenza è generalmente rappresentata da disabili psichici o fisici di varia portata. In altri casi<br />
ancora possono essere accolti in strutture di riabilitazione generale e geriatrica senza vincoli<br />
temporali per la durata del ricovero. Tale varietà di alternative tende a generare, più che un ampio<br />
ventaglio di opportunità per la famiglia, una caotica confusione e una parcellizzazione sul territorio<br />
di questi pazienti contribuendo ulteriormente alla difficoltà di un monitoraggio nel tempo<br />
dell’evoluzione delle loro condizioni e alla difficoltà da parte degli enti competenti di attuare<br />
adeguate verifiche impostando standard di qualità più omogenei sul territorio nazionale.<br />
Qualunque sia la natura originaria della struttura di accoglienza territoriale, per anziani o per<br />
disabili, è importante che sia ben chiara all’équipe la specificità di questi ospiti. Accogliere una<br />
persona in SV o SMC pone la struttura di fronte alla necessità di riflettere sulla complessità dei loro<br />
bisogni sanitari e assistenziali, ma non solo. La criticità di questi reparti si articola su più fronti:<br />
Una persona in SV è portatore di bisogni sanitari: si tratta infatti di persone le cui condizioni cliniche<br />
sono generalmente stabilizzate, ma la cui fragilità le pone sempre a rischio di ricadute o<br />
complicanze. Ai bisogni sanitari si aggiungono quelli di natura più strettamente assistenziali, che<br />
rappresentano la maggior parte delle necessità delle persone in SV. Essere lavati e vestiti tutti i<br />
giorni, alzati dal letto e posturati in carrozzina, essere accompagnati fuori dalla propria stanza per<br />
poter variare ambiente e quindi colori, suoni, odori rappresenta una necessità che permette di<br />
garantire un benessere fisico e una dignità della persona stessa.<br />
La famiglia del paziente è l’altro elemento di cui la struttura deve farsi carico. Portatore di un<br />
bisogno insaziabile di essere ascoltato, informato, accompagnato, il nucleo familiare, a volte<br />
costituito da un'unica persona rimasta tenacemente accanto al paziente, a volte da un gruppo poco<br />
coeso sul modo di vivere la realtà vegetativa ma granitico nelle richieste di qualità della cura e<br />
dell’assistenza, deve essere accolto e debitamente formato. Il rischio altrimenti è di una<br />
contrapposizione che non giova né al paziente né agli operatori.<br />
Una struttura residenziale socio-sanitaria deve tenere in considerazione e saper gestire anche i<br />
cambiamenti dei suoi ospiti. Cambiamenti che vanno nelle direzioni opposte del peggioramento<br />
della condizione clinica, un peggioramento dettato dall’invecchiamento del paziente stesso, ma<br />
anche cambiamenti intesi come miglioramento delle condizioni cliniche, con un’attesa di vita che si<br />
allunga. Non sono così rari i casi di SV cronici in cui dopo anni, si riscontrano lievi, ma significativi<br />
cambiamenti delle capacità di reagire all’ambiente e agli stimoli presentati. In questi casi non si può<br />
254
parlare di veri e propri risvegli, anche se qualche caso aneddotico è riportato in letteratura, ma più<br />
comunemente di modificazioni che determinano capacità di reazione maggiori agli stimoli esterni e<br />
che assumono un’importanza enorme per i familiari e gli operatori che vi si dedicano<br />
quotidianamente.<br />
Una sopravvivenza in continua crescita e un aumento dell’aspettativa di vita creano i presupposti<br />
per un impegno sempre maggiore nell’organizzare risposte adeguate ed economicamente<br />
sostenibili per accompagnare il paziente e la sua famiglia negli anni a venire.<br />
Tornare a casa: ma quale casa?<br />
“La possibilità che una persona torni a domicilio dipende dalla condizione sociale della famiglia e<br />
dalla disponibilità dei familiari a partecipare al lavoro di cura. Accompagnare la famiglia, formarla e<br />
renderla partecipe è un lavoro che accomuna associazioni, operatori sanitari, non sanitari e<br />
volontari”.<br />
Nel documento della Conferenza di Consenso di Verona del 2005 – che affronta con molta<br />
attenzione la problematica dei bisogni riabilitativi e assistenziali delle persone con disabilità da<br />
grave cerebrolesione acquisita e delle loro famiglie nella fase post-ospedaliera – le Associazioni<br />
dei familiari esprimono in maniera chiara il disagio vissuto dalla famiglia nel percorso del dopo<br />
ospedale: “A tutt'oggi – scrivono – il reinserimento socio-familiare delle persone con esiti gravi o<br />
gravissimi costituisce l'ennesimo momento di ‘crisi’ per la famiglia poiché quasi sempre si trova<br />
all'improvviso privata del sostegno di un'équipe medica competente e sprovvista di mezzi per<br />
affrontare la complessità e la gravità del compito”. Il documento descrive anche, in maniera<br />
convincente, lo stravolgimento della loro vita lavorativa e di relazione proprio in un momento in cui<br />
maggiore è la necessità di un sostegno psicologico ed economico: “E' inevitabile che almeno uno<br />
dei membri della famiglia debba dedicare la maggior parte del proprio tempo e delle proprie<br />
energie al lavoro di assistenza ed è costretto a rinunciare a qualsiasi attività professionale, di svago<br />
e inerente il tempo libero. I parenti prossimi, gli amici, i colleghi, i vicini di casa, col passare del<br />
tempo, diradano le loro visite, gli atteggiamenti di interessamento e di solidarietà dimostrati nelle<br />
fasi acute si riducono e, quindi, i legami si allentano fino a rompersi definitivamente”.<br />
E’ evidente l’urgente necessità di istituire ufficialmente un’adeguata pianificazione della gestione di<br />
tale condizione di gravissima disabilità con definizione di linee guida per organizzare e agevolare<br />
un’appropriata “domiciliazione” che possa essere inquadrata come “protetta” o in modalità di<br />
accoglienza transitoria che sia finalizzata a preparare la famiglia alla domiciliazione del congiunto<br />
ed alleviarla in periodi di “sollievo”.<br />
L’impegno quotidiano nell’assistere una persona in SV è rilevante sul piano sia fisico che<br />
psicologico. Da un conto di massima e da esperienze condotte sul campo, si può dire che<br />
l’incremento economico mensile delle spese che una famiglia deve sostenere si aggira intorno ai<br />
3.000–3.500 euro.<br />
255
Per questo, forti anche del dibattito aperto all’interno dell’”Osservatorio nazionale sulla condizione<br />
delle persone con disabilità” abbiamo promosso il progetto della prima “Conferenza nazionale di<br />
consenso delle associazioni” che abbiamo messo in campo come coordinamento “La RETE” con la<br />
collaborazione degli altri coordinamenti con i patrocini, tra gli altri, della FIASO e FNOMCeO. In<br />
questa iniziativa cercheremo di rispondere alla domanda: “QUALI I FATTORI DI<br />
QUALITA’CONDIVISI NELL’ACCREDITAMENTO DEI SERVIZI?”. E’ una domanda alla quale<br />
cercheremo di rispondere con incontri che, oltre al convegno di Bergamo, avrà appuntamenti già<br />
calendarizzati ad Exposanità (maggio 2012), San Pellegrino (giugno 2012) alla “Giornata nazionale<br />
dei risvegli” (ottobre 2012) e sulla quale stanno riflettendo gruppi di lavoro che analizzano temi<br />
quali:<br />
1) i diritti delle persone con disabilita’- tutela giuridica e normativa;<br />
2) 2)il ruolo delle associazioni che rappresentano i familiari;<br />
3) standard di qualità nelle strutture di accoglienza;<br />
4) possibile standar di qualità nel rientro a domicilio;<br />
5) corretta comunicazione tra sanitari e familiari.<br />
Un problema di comunicazione e sensibilizzazione<br />
La persona in SV può comunicare? A quest’ultima domanda abbiamo, come associazioni,<br />
avanzato alcune risposte. La persona in SV può sviluppare un suo protocollo di comunicazione non<br />
verbale, elementare ed essenziale e affinarlo nel tempo. Non possiamo sapere se questa è una<br />
comunicazione intenzionale, ma sta di fatto che sono tante le persone in SV che spesso riescono a<br />
far capire il loro stato di serenità, di disagio, o di sofferenza con l’espressione degli occhi, della<br />
bocca, del viso, con la postura, il respiro, l’aumento dei battiti del cuore.<br />
Io sono testimone di quel “Sento che ci sei” che è un’affermazione, una convinzione dei familiari<br />
che convivono con una persona in SV o di minima coscienza.<br />
La persona in SV è quindi potenzialmente in grado di manifestare emozioni semplici e può<br />
accadere che, nell’arco della giornata, apra alcune “finestre” e riesca a stabilire, seppur in forma<br />
minima e quasi impercettibile, un contatto con l’ambiente e/o le persone che la circondano.<br />
Una cosa è certa: occorre che ci sia la presenza di qualcuno disponibile ad andare loro incontro<br />
imparando il loro linguaggio, senza pretendere che “tornino” da noi comunicando con la nostra<br />
forma convenzionale. Man mano che passa il tempo, i familiari imparano sempre di più a<br />
interpretare ogni forma espressiva della persona in SV che vive insieme con loro.<br />
Ma oggi la disabilità sembra essere uscita dal panorama della comunicazione. Come si comunica<br />
all’esterno il coma? Dove finisce il diritto di cronaca e cominciano la privacy, il rispetto. Il silenzio<br />
del dolore? Sono domande che ci siamo posti molte volte e che per la“Giornata dei risvegli” del 7<br />
ottobre del 2005, ha fatto nascere con l’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna, la Rete Italiane<br />
Città Sane, l’Azienda Usl di Bologna, l’Università di Bologna ed il Segretariato Sociale della Rai la<br />
256
carta “Comunicare il coma” (www.comunicareilcoma.it) una dichiarazione d’intenti che comprende<br />
norme sulla redazione e diffusione di notizie sul coma e sulla malattia in generale.<br />
257
258
La carta “Comunicare il coma” dovrebbe sì tutelare i soggetti deboli (come la “Carta dei doveri del<br />
giornalista” e la “Carta di Treviso”) ma dovrebbe cercare di ampliare il concetto di normalità come<br />
oggi acquisito e perseguito nell’ottica dell’indirizzo espresso in strutture di cura come la Casa dei<br />
Risvegli Luca De Nigris. La carta è stata diffusa in tutti i Comuni aderenti alla Rete Italiana Città<br />
Sana, a tutte le redazioni. Sono stati promossi momenti di riflessione e discussione. Si è cercato di<br />
far capire che, oltre ai risvegli miracolosi, oltre alla malasanità, esiste una notiziabilità più diffusa,<br />
più quotidiana, del coma e dello stato vegetativo. E’ quel percorso che le famiglie vivono spesso in<br />
solitudine, con grandi difficoltà. Dove emerge la voglia di farsi ascoltare, di essere rappresentati,<br />
per raccontare la loro “normalità”: E’ questo lo scoglio ancora arduo da superare.<br />
Le associazioni perseguono questi obiettivi attraverso iniziative dedicate. La “Giornata nazionale<br />
dei risvegli per la ricerca sul coma” testimonial Alessandro Bergonzoni, la "Giornata nazionale sui<br />
traumi cranici”, la “Giornata nazionale sugli stati vegetativi”. Attraverso convegni scientifici,<br />
spettacoli teatrali, appuntamenti pubblici e campagne di comunicazione si cerca di far riflettere<br />
attorno al coma e promuovere una nuova alleanza terapeutica tra strutture sanitarie, famiglie e<br />
associazioni.<br />
Conclusioni<br />
Quando la vita incontra la malattia genera migliaia di persone che imparano a convivere con la<br />
malattia. E' una convivenza fatta di emozioni e di praticità. E' fatta di tanti sentimenti diversi e a<br />
volte contrapposti. E' fatta anche di disagio, dolore, a volte disperazione. E' fatta di speranza. E'<br />
fatta di coraggio di vivere, organizzando i momenti pratici che aiutano la persona in difficoltà e la<br />
sua famiglia a vivere. Chi vive queste situazioni sa di cosa parlo. La famiglia a volte si chiude come<br />
un bozzolo d'amore che protegge, e proteggendo spesso non permette ad altri di entrare. Le reti<br />
amicali, le associazioni, la società ha questo compito, quello di aprire, di non ghettizzare di far sì<br />
che i luoghi dove si convive con la malattia siano i posti che sono più uguali agli altri luoghi della<br />
comunità. Dove non ci sono tutte differenze, ma queste e uguaglianze come negli altri posti.<br />
C'è un proverbio africano che dice :“Per educare un bambino non bastano due genitori, ci vuole<br />
tutto il villaggio”. Adattandolo alle nostre tematiche potremmo dire: “Per riabilitare (aiutare,<br />
accompagnare) un paziente in coma e stato vegetativo non basta la famiglia, ci vuole l'intera<br />
comunità”. Questa comunità molto spesso ha difficoltà a riunirsi ed agire intorno a questo specifico<br />
problema.<br />
Ma come associazioni siamo impegnate in alcune significative proposte affinché:<br />
- le Regioni riconoscano lo Stato Vegetativo e di minima coscienza come uno degli elementi<br />
della rete delle gravi cerebrolesioni quale problematica rilevante del territorio nazionale. Con<br />
conseguente immediata applicazione delle “Linee guida sugli stati vegetativi e di minima<br />
coscienza” ratificate dalla conferenza Stato/Regioni compresa l’indicazione che vede la<br />
259
consultazione delle associazioni di riferimento. L’applicazione di queste linee guida<br />
renderebbe omogeneo lo standard di assistenza su tutto il territorio nazionale;<br />
- si mettano insieme i dati per uno studio epidemiologico complessivo delle persone in Sv e<br />
minima coscienza. Si parla di 3.000-3.500 persone in queste condizioni, ma si tratta di una<br />
stima, servirebbe un vero e proprio studio sistematico. Da un recente progetto di ricerca<br />
tracciato dall’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano sugli stati vegetativi e di minima<br />
coscienza, finanziato dal Ministero della Salute, si attesta il profilo del paziente tipo: Il 59%<br />
sono uomini, hanno in media 55 anni, nel 54,8% dei casi sono sposati e vivono in questa<br />
condizione mediamente da 5 anni;<br />
- si istituisca una legge sugli stati vegetativi e si istituisca un fondo ad hoc per sostenere le<br />
famiglie, la domiciliarità dei pazienti e la ricerca scientifica;<br />
- si condivida la creazione di una rete di luoghi di “sollievo” e di lungo assistenza nel territorio<br />
nazionale; con la possibilità di promuovere nei Piani Regolatori la costruzione di “condomini<br />
solidali” con l’integrazione di nuclei familiari al cui interno ci sono persone in stato vegetativo e<br />
di minima coscienza;<br />
- si istituiscano in ogni territorio regionale le SUAP (Speciali Unità di Accoglienza Permanente<br />
che in teoria dovrebbero specializzarsi su questo tipo di pazienti e che oggi si contano, a<br />
livello nazionale, sulle dita di una mano;<br />
- si sostenga la diffusione del percorso domiciliare del progetto speciale “COMAIUTO” per il<br />
sostegno alle persone con esiti di coma e le loro famiglie. Un progetto che l’associazione “Gli<br />
amici di Luca onlus” ha attivato come sperimentazione grazie ai fondi raccolti<br />
dall’associazione “Trenta ore per la vita”.<br />
Le cittadinanze onorarie in questi ultimi tempi consegnate dal Comune di Bologna a Cristina<br />
Magrini, in stato vegetativo da oltre 30 anni e dal Comune di Pavia a Max Tressoli, ragazzo<br />
risvegliatosi dopo 10 anni, sono segni di grande civiltà e di democrazia.<br />
Ma bisogna sempre dimostrare una eccezionalità per essere riconosciuti. E purtroppo, non basta<br />
che Simona Atzori, splendida danzatrice disabile, vada in prima serata al festival di Sanremo per<br />
sdoganare la disabilità.<br />
La disabilità si accetta quando diventa normalità. Quando le uguaglianze sono riconosciute e non<br />
più marginalizzate.<br />
A questo servono le associazioni: a vigilare, ad essere sentinelle, a rendere visibili percorsi<br />
invisibili.<br />
E ad aspettare il momento in cui, senza alcun pericolo per le famiglie, potranno fare<br />
tranquillamente un passo indietro.<br />
260
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />
De Nigris F (coordinatore), Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza. Il punto di vista<br />
delle associazioni, Ministero della Salute, Roma, 2010<br />
De Nigris F., Sento che ci sei:dal silenzio del coma alla scoperta della vita, Bur Rizzoli, (collana “I<br />
libri della speranza” diretta da Davide Rondoni), Milano, 2011,<br />
Piperno P., Casa dei Risvegli Luca De Nigris: modello assistenziale. In: Documenti Azienda Usl di<br />
Bologna, Associazione “Gli amici di Luca onlus”, Bologna, 2004<br />
Vaccari M., Percorso familiare e sostegno del volontariato, In: Documenti Azienda Usl di Bologna,<br />
Associazione “Gli amici di Luca onlus”, Bologna, 2004<br />
261
IL RUOLO DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO<br />
E DELLE ASSOCIAZIONI DI FAMILIARI<br />
Paola Dellera 1<br />
Per GCA s’intende un danno cerebrale, dovuto a trauma cranioencefalico o ad altre cause (anossia<br />
cerebrale, emorragia, etc.etc.) tale da determinare una condizione di coma, e menomazioni<br />
sensomotorie, cognitive-comportamentali, che comportano disabilità grave. La persona con GCA,<br />
seppur curata e riabilitata con tutta la professionalità che i vari centri di riferimento offrono, viene<br />
restituita alla famiglia e alla società come una persona fragile. Un’analisi dei bisogni ha imposto<br />
una riflessione sull’individuazione di setting appropriati nelle varie fasi (fase acuta, fase riabilitativa<br />
e fase degli esiti) cercando di evidenziare le problematiche più salienti e le risposte alle necessità<br />
dei pazienti e dei familiari.<br />
I diversi momenti che interessano l’assistenza delle persone con GCA - quello clinico, quello<br />
riabilitativo e quello del reinserimento sociale - coinvolgono un insieme di strutture e di funzioni<br />
differenti. La ricchezza d’interventi, anche molto qualificati, che hanno il vantaggio di offrire<br />
prestazioni specialistiche di elevata qualità può, però, talvolta tradursi in un’eccessiva<br />
frammentazione del problema, a causa dell’assenza di collegamenti tra i vari soggetti coinvolti nelle<br />
diverse fasi del percorso riabilitativo. E’ pertanto fondamentale la costruzione di una rete di<br />
continuità assistenziale che coinvolga lo specialista ospedaliero, le risorse sanitarie territoriali<br />
riabilitative di competenza, le associazioni e le famiglie.<br />
Riflettendo sulla nostra esperienza ci siamo accorte che non di rado Comune servizio educativo,<br />
servizi riabilitativi non dialogano tra di loro: manca un lavoro di rete con i soggetti di cui si<br />
occupano i servizi.<br />
A volte paradossalmente, è la famiglia che fa il famoso lavoro di rete, è l’utente che mette in<br />
relazione organizzazioni diverse presenti sullo stesso territorio. Non va però dimenticato che per la<br />
famiglia questo è un compito particolarmente pesante soprattutto nella fase di passaggio da un<br />
servizio ad un altro. Siamo ancora nella logica del bisogno invece di lavorare sulla mappa delle<br />
relazioni che aiutano il disabile e la sua famiglia a rimanere in contatto con le persone e la società<br />
per essere aiutati a costruire condizioni di vita migliori.<br />
Sempre di più in questi anni è emerso il bisogno di lavorare con le istituzioni locali per favorire la<br />
“continuità terapeutica” che corrisponde alla necessità di costruire servizi sul territorio per favorire<br />
la continuità dell’assistenza dopo le dimissioni dalla struttura ospedaliera senza dover disgregare<br />
la famiglia sia sul lato affettivo che economico. A causa della mancanza di tali sevizi spesso le<br />
1 Presidente dell’ A.A.T.C. – Associazione Amici Traumatizzati Cranici, Bergamo<br />
262
famiglie in questi anni hanno cercato risposte, non sempre idonee, in strutture quasi sempre private<br />
fuori dalla Lombardia con gravi costi per la famiglia, nella speranza di riportare il proprio caro alla<br />
completa guarigione.<br />
Partendo dal percorso assistenziale – riabilitativo effettuato da ogni singolo paziente si ritiene<br />
importante valutare i bisogni specifici dei soggetti con GCA e dei loro familiari e la reale<br />
risposta che viene data dall’offerta socio-sanitaria. Occorre valutare il grado di reinserimento<br />
sociale e lavorativo, in quanto questo aspetto gioca un ruolo notevole nel recupero del soggetto e<br />
della propria famiglia, nonché le eventuali situazioni di disabilità nello svolgimento della normale<br />
vita quotidiana derivanti sia da deficit motori che cognitivo – comportamentali.<br />
Concentrandoci inoltre sulla fase degli esiti, risulta fondamentale chiedersi quale sia il reale livello<br />
di offerta e di utilizzo, da parte dei pazienti dimessi dalle strutture riabilitative e mediche per<br />
controlli periodici necessari considerata la disabilità permanente.<br />
Riteniamo necessario che i pazienti possano accedere, dopo le dimissioni dalla struttura<br />
riabilitativa, a servizi ambulatoriali che garantiscano interventi adeguati e individualizzati grazie alla<br />
presenza di un‘equipe medico specialistica in grado di fornire una risposta competente alle varie<br />
necessità (es. psichiatra che abbia competenze per patologia organica, fisiatra, neuropsicologo,<br />
psicologo, neurologo etc).<br />
Un’altra delle necessità emerse dalle famiglie è quella di essere accolte e accompagnate dentro le<br />
scelte delicate che devono affrontare per i loro cari. Non è sufficiente elargire solo aiuti di tipo<br />
economico che risultano a volte ridicoli e offensivi per la dignità di una persona che si trova in uno<br />
stato di fragilità.<br />
Le famiglie sentono il bisogno di entrare più attivamente nei progetti pensati e valutati per i loro<br />
familiari, con l’idea di una condivisione che parta dal concetto di corresponsabilità. Si auspicano<br />
inoltre incontri tematici organizzati con le famiglie, incontri di formazione, di orientamento e di<br />
informazione per diffondere la conoscenza dei servizi, delle opportunità, delle risorse e delle<br />
normative.<br />
E’ necessario inoltre costruire un percorso di accompagnamento della persona con disabilità<br />
acquisita e della sua famiglia tale da costruire occasione di integrazione sociale, di inclusione, che<br />
come familiari auspichiamo sempre sia al più alto livello possibile.<br />
Queste riflessioni nascono dal desiderio, di cui l’Associazione si fa portavoce, di superare le<br />
resistenze poste dalla disabilità e valorizzare le capacità residue del soggetto andando ad incidere<br />
il più possibile sul miglioramento della qualità di vita.<br />
Le famiglie hanno quindi la necessità di essere supportate nel loro lavoro di cura. Hanno bisogno di<br />
uscire dall’isolamento, devono avere l’opportunità di condividere le loro esperienze, di riconoscere<br />
le risorse dei loro familiari, di sentire l’unione come forza per favorire la difesa dei diritti e la presa in<br />
carico della persona a livello bio-psico-sociale.<br />
Anche alla famiglia quindi vanno prestate particolari attenzioni in quanto sono i coprotagonisti,<br />
insieme al paziente, di un percorso di riabilitazione che può durare, nei casi più seri, anche tutta la<br />
263
vita. A partire da ciò che in questi anni abbiamo vissuto personalmente abbiamo deciso di fare<br />
questa breve introduzione per mettere in risalto i bisogni dei pazienti e dei loro familiari per arrivare<br />
a descrivere come le Associazioni presenti a livello locale ed in particolare la nostra Associazione<br />
tentino di dare una risposta necessaria, seppur parziale, ad alcune di queste necessità.<br />
Le Associazioni presenti al Tavolo della Grave Cerebrolesione Acquisita ella Provincia di Bergamo<br />
che negli anni hanno avuto un ruolo chiave nell’individuazione di strategie e strumenti per<br />
rispondere ai bisogni dei pazienti disabili e dei loro familiari sono:<br />
- Associazione Disabili Bergamaschi - ADB di Bergamo;<br />
- Associazione Genesis di San Pellegrino Terme;<br />
- Associazione Amici Traumatizzati Cranici - AATC di Bergamo.<br />
L’associazione Amici Traumatizzati Cranici di Bergamo<br />
Nasce nel 2001 perché uno dei principali bisogni emersi nell’assistere un caro traumatizzato, è<br />
quello di aver vicino qualcuno con cui condividere l’ansia, l’angoscia, i dubbi e le perplessità. La<br />
nostra Associazione nasce dalla voglia di trovare serenità oltre che un aiuto tangibile, nella<br />
convinzione che i sentimenti siano l’unico e vero patrimonio che possediamo.<br />
I servizi che l’AATC offre sono i seguenti:<br />
- Dal 2009 siamo presenti presso l’USC di Medicina Fisica e Riabilitazione degli OORR con<br />
uno Sportello <strong>IN</strong>FO-PO<strong>IN</strong>T per essere in contatto con le famiglie dei degenti.<br />
Durante questi anni abbiamo avuto modo di essere testimoni della fatica dei familiari legata<br />
alle incertezze del rientro a casa del paziente, della difficoltà dei familiari nell’accettazione del<br />
cambiamento, del dolore della famiglia che non trova condivisione e vive in solitudine il<br />
problema. Emergono anche problematiche di natura economica per la perdita del lavoro di un<br />
coniuge (spesso è la donna che rinuncia alla vita lavorativa per dedicarsi interamente<br />
all’accudimento del proprio congiunto). La domanda più difficile che ci viene rivolta è la<br />
seguente: “Chi si prenderà cura del nostro caro quando l’età o una malattia non ti permetterà<br />
più di continuare ad assisterlo?”. E’ il problema del “dopo di noi”.<br />
“Chi se ne prenderà carico? L’Ente Pubblico o Ente Privato?”.<br />
Ed ancora: “Può bastare una pensione d’invalidità di € 260,00 mensili dato che l’assegno di<br />
accompagnamento non viene elargito nel caso in cui la persona deambula?”.<br />
Queste sono le domande che spesso ci sentiamo fare sperimentando l’impotenza del non<br />
avere risposte da dare né a loro né a noi.<br />
- E’ presente al Tavolo della disabilità dell’ASL di Bergamo in qualità di Rappresentante del<br />
Forum delle Associazioni per essere portavoce diretto delle necessità delle persone con<br />
disabilità adulta e dei loro familiari.<br />
- In base alla disponibilità dei volontari, organizza vacanze estive e/o invernali in villaggi<br />
attrezzati per offrire sollievo alle famiglie. Quest’anno abbiamo proposto una nuova tipologia<br />
264
di vacanza per fornire un’esperienza di autogestione della quotidianità con la presenza di un<br />
volontario sul territorio con funzione di supervisione.<br />
- Organizza corsi di acquaticità. Il corso che l’Associazione propone è organizzato da<br />
volontari e da istruttori che, nel rispetto di ogni persona, propongono un nuovo approccio con<br />
l’acqua con l’obiettivo di offrire l’occasione ai ragazzi di vivere una nuova esperienza, inoltre,<br />
in questo modo, si permette alle famiglie di potersi dedicare del tempo per sé.<br />
- Dai genitori è emersa la difficoltà di dare un senso alle giornate dei ragazzi con GCA che<br />
hanno a disposizione molte ore libere. Tre anni fa è nata la necessità di inventare qualcosa di<br />
positivo e gratificante. Una mamma nostra associata, ha messo a disposizione circa 600 mq.<br />
di terreno coltivabile. E così è nato, dal motto “Riseminiamoci la vita”, l’orto, un’attività che<br />
ha lo scopo di terapia occupazionale e di confronto con i ragazzi, un luogo d’incontro e<br />
confronto tra i genitori, un posto per stare insieme. La gestione dell’orto per opera dei<br />
volontari dell’AATC potrebbe diventare parte integrante del percorso riabilitativo dei pazienti<br />
colpiti da Grave Cerebrolesione.<br />
- Sostiene gli Ospedali Riuniti di Bergamo nella realizzazione di progetti rivolti ai bisogni<br />
psicologici del nucleo familiare del paziente in cura presso dell’USC Medicina Fisica e<br />
Riabilitativa.<br />
- L’USC Medicina Fisica e Riabilitativa, grazie alla collaborazione con l’USSD di Psicologia<br />
Clinica, ha sempre offerto un servizio di supporto psicologico ai pazienti e ai loro familiari. Dal<br />
2009 grazie ai contributi dell’AATC, ha potuto potenziare tale servizio. In particolare, sono<br />
stati finanziati due progetti volti al sostegno dei bisogni psicologici dei pazienti e dei loro<br />
familiari e finalizzati alla promozione della salute e del benessere dei soggetti in cura, dei loro<br />
familiari e degli operatori sanitari. Il progetto “Sostegno psicologico ai pazienti con<br />
celebrolesione acquisita e ai loro familiari” prevede la presenza in reparto di una<br />
psicologa a disposizione dei pazienti e dei familiari con esiti. L’intervento psicologico prevede<br />
una prima fase di consultazione psicologica, svolta mediante colloqui clinici, a cui fa seguito,<br />
qualora ritenuto necessario l’avvio di percorsi individuali di supporto psicologico.<br />
Accanto a questa attività, a partire dal mese di maggio 2011 si è attivato il Progetto:<br />
“Prendersi cura di chi si prende cura. Gruppo di sostegno psicologico a tempo<br />
determinato rivolto ai familiari di pazienti con grave cerebro lesione acquisita ”concluso<br />
nel mese di marzo 2012. Il gruppo si è proposto un intento terapeutico in quanto ha offerto ai<br />
familiari uno spazio protetto in cui sentirsi riconosciuti e legittimati nelle proprie fatiche e<br />
sofferenze, connesse al delicato processo di presa di consapevolezza delle menomazioni e<br />
delle disabilità del proprio congiunto. Il gruppo è stato inoltre il luogo in cui si sono attivati,<br />
attraverso il confronto tra le diverse esperienze personali, processi di apprendimento<br />
interpersonale e processi creativi/riparativi che hanno permesso ai familiari di accedere a<br />
nuove strategie di adattamento alla nuova condizione di vita. L’obiettivo principale è stato<br />
quello di favorire la riorganizzazione della propria quotidianità in relazione ad una migliore<br />
265
qualità di vita che tenga conto degli esiti del trauma e delle modificazioni dell’esistenza che in<br />
misura diversa si impongono a tutti i membri del nucleo familiare.<br />
I progetti sopracitati sono stati realizzati grazie alla partecipazione a bandi indetti dalla<br />
Fondazione della Comunità Bergamasca e dalla Provincia di Bergamo.<br />
Ci sembra opportuno sottolineare che l’Associazione non ha il ruolo di sopperire alle carenze<br />
dell’Ospedale, ma di creare progetti innovativi che producono servizi che, se danno buoni<br />
risultati dovrebbero essere fatti propri dalla struttura per far si che l’Associazione possa<br />
portare avanti altri progetti.<br />
Inoltre non risulta possibile da parte dell’Associazione ripresentare lo stesso progetto per<br />
annualità successive in quanto sono sempre richiesti aspetti di innovazione.<br />
Ipotesi di futuri progetti dell’Associazione<br />
In collaborazione con L’Associazione Disabili Bergamaschi (presente sia sul Tavolo delle GCA<br />
della Provincia sia nella struttura di Mozzo) sono stati presentati e sono in attesa di finanziamento<br />
due progetti in favore delle persone con disabilità acquisita:<br />
- “Il Terapista Occupazionale nel progetto multidisciplinare per la riabilitazione dei<br />
pazienti con GCA presso USC di Medicina Fisica e Riabilitazione”. L’inserimento del<br />
terapista occupazionale all’interno dell’equipe riabilitativa è finalizzata a riportare la persona<br />
ad un’autonomia che le consenta di reinserirsi nel suo ambiente socio familiare anche se con<br />
modalità diverse da quelle in atto prima dell’evento traumatico.<br />
- “Possibilità espressive” - Sviluppo di laboratori di teatro per la cura delle persone con<br />
lesione midollare e GCA loro familiari e operatori durante la degenza presso l’USC di<br />
Medicina Fisica e Riabilitazione.<br />
Conclusioni<br />
La nostra relazione ha cercato di mettere in evidenza le criticità, i bisogni e le difficoltà che<br />
sperimentano le persone con GCA e i familiari che se ne prendono cura con l’obiettivo di mettere in<br />
risalto gli aspetti che spesso non emergono e che rimangono celati all’interno di ogni nucleo<br />
familiare. Come Associazione ci auguriamo di poter dare continuità alle attività avviate e di poter<br />
collaborare in modo integrato con le Istituzioni presenti sul nostro territorio.<br />
266
<strong>LA</strong> DOMOTICA, ETERNA SCONOSCIUTA, OVVERO L’<strong>IN</strong>TERAZIONE<br />
CON UNA TAPPAREL<strong>LA</strong>…<br />
Carlo Viganò 1<br />
Parlare di domotica oggi non è così facile, anche perché la congiuntura attuale, seria e pressante a<br />
causa di una crisi economica dirompente e disgregatrice, comporta di doversi misurare con sempre<br />
più limitate risorse che non prevedono il ricorso ad ausili, non ritenuti essenziali, e tendono ad<br />
assicurare, quando ci riescono, il solo soddisfacimento di bisogni primari.<br />
Quando mi confronto con la gente che incontro tutti i giorni, senza frequentare il variegato mondo<br />
dei cosiddetti “soliti introdotti”, in genere mi ritrovo sempre ad un livello di conoscenza che implica<br />
di dover partire, in una dissertazione sulla domotica, con l’ABC, quasi che la parola stessa, la<br />
definizione di domotica (dal neologismo francese “domotique”, a sua volta derivante dall’unione<br />
della parola greca “domos”o latina “domus” e “informatique”, ossia letteralmente casa informatica o,<br />
nell’accezione, automatica), già da sola, incominci a ingenerare una sorta di meccanismo di<br />
autodifesa nelle persone cui viene esternata.<br />
In certi casi, poi, l’utilizzo di queste che possiamo definire “tecnologie atte alla gestione coordinata,<br />
integrata e computerizzata degli impianti tecnologici (climatizzazione, distribuzione acqua, gas ed<br />
energia, impianti di sicurezza), delle reti informatiche e delle reti di comunicazione, allo scopo di<br />
ottimizzare la flessibilità di gestione, il comfort, la sicurezza, il risparmio energetico degli immobili e<br />
per migliorare la qualità dell'abitare all'interno di una casa” è ancora visto come appannaggio di<br />
una certa classe sociale, ancor più inarrivabile in momenti in cui già riuscire a far quadrare il<br />
proprio risicato bilancio domestico, arrivando senza patemi all’ultima settimana del mese, può<br />
essere definito una conquista “epocale”.<br />
Non si vuole oltretutto qui inneggiare a quella che un caro amico, che da anni si interessa di<br />
domotica, chiama tecnologia da “villopoli”, a quegli effetti speciali che, posti in atto con il semplice<br />
sfioramento di un touch screen di ultima generazione posto all’ingresso della propria casa, servono<br />
esclusivamente a innalzare e gratificare il proprio ego per il raggiungimento di un certo livello<br />
sociale, dove la disponibilità di certe tecnologie viene quasi considerata un trofeo da ostentare, per<br />
suscitare “oh” di stupore ed ammirazione da parte di amici o di conoscenti che si sottopongono alla<br />
preprogrammata visita guidata della nuova casa, sollecitati ed ammansiti da un insieme di<br />
“bombardamenti sensoriali” predisposti in uno “scenario” che cambia, tramite giochi di luce, suoni<br />
ovattati, sensazioni “epidermiche“ di caldo e di freddo all’interno di un percorso tra le mura negli<br />
ambienti di un’abitazione, fino ad arrivare magari al clou dell’home theater, dove la massima<br />
<br />
1 Ingegnere, Esperto di Domotica per la disabilità<br />
267
aspirazione è quella ad ottenere “sensazioni uditive e visive il più possibile fedeli a quelle percepite<br />
in un teatro o in una sala cinematografica”…<br />
Io, in effetti, non assurgendomi né al ruolo di esperto conoscitore, né alla visione così spesso<br />
contrabbandata di “guru” depositario delle ultime novità tecnologiche, a volte poi accompagnato da<br />
lingua lunga (e naso altrettanto), autoreferenziale in maniera che giudico sempre smodata, forse<br />
perché mi sento quantomeno persona che si ritiene “informata dei fatti”, vorrei solo cercare di<br />
spiegare quello che è possibile concepire di supporto alla nostra usuale vita domestica, quando<br />
fattori, anche momentanei e passeggeri, ci impediscono di interagire in modo “normale” (ma, oserei<br />
dire, rinforzando il concetto, in maniera quasi automatica) con le cose che ci circondano nell’ambito<br />
della nostra scontata vita domestica.<br />
A volte, per le vicissitudini della vita, ci troviamo proiettati in situazioni e accadimenti con cui, a<br />
mente sgombra e con ragionamenti razionali, avremmo tutti volentieri fatto a meno di<br />
confrontarci…<br />
La vita riserva sorprese inaspettate (anche se, in ogni caso, prevedibili, riscontrabili e verificabili<br />
solo guardandosi un po’ di più attorno) che ci scombussolano, a volte, un tran-tran quotidiano che<br />
ci appartiene, forse non esaltante e soddisfacente, ma comunque nostro e, per come lo<br />
intendiamo, governabile e gestibile con tutte le risorse a nostra disposizione, fisiche, intellettuali,<br />
economiche, ecc…<br />
Quando ci si trova catapultati in momenti a noi sconosciuti di malessere “diffuso” (anche perché<br />
mai verificato per diretta esperienza), tutte le nostre sicurezze vengono in qualche modo meno,<br />
sconquassate dalla presenza di fattori che la normale esperienza di vita vissuta si rifiuta a volte di<br />
riconoscere come propri.<br />
Senza addentrarci in complessi meccanismi psichici e psicologici (della cui conoscenza,<br />
ovviamente, non ci sentiamo padroni e su cui, pertanto, a questo livello sorvoliamo, ma che devono<br />
essere ovviamente e comunque tenuti sempre in debito conto, da coloro che sono preposti per<br />
aiutarci a gestirli), senza negare che tali meccanismi intervengono a aggrovigliare ancor più il<br />
bandolo della matassa di una situazione che sembra a prima vista irrisolvibile, già qualsiasi<br />
movimento naturale, appreso e testato nel corso di anni convissuti con il nostro corpo in maniera a<br />
volte anche disordinata e pretenziosa, sembra diventare impraticabile, pervasi come siamo dal<br />
senso di sconforto che si è insinuato in noi.<br />
Ci ritroviamo con una parte di noi quasi relegata sotto una cappa ovattata che, dall’esterno<br />
possiamo a volte valutare, anche con freddezza e razionalità, ma non gestire perché qualcosa<br />
nelle “comunicazioni” si è interrotto, non riuscendo più a promuovere quelle interazioni naturali tra<br />
cervello e corpo (e viceversa) che ci sono state proprie fino a poco prima, che ci hanno magari<br />
accompagnato per anni senza essere considerate un plus incredibile della nostra vita, che sono<br />
state solo considerate magari degli automatismi naturali.<br />
Alzarsi, lavarsi, vestirsi, allacciarsi le scarpe, camminare, correre, sedersi, riposare, mangiare,<br />
bere, (e, in alcune operazioni, viceversa), è un elenco sicuramente non esaustivo ma già<br />
numericamente esteso del complesso intersecarsi di azioni che pervadono la nostra vita di tutti i<br />
giorni: di altre cose, per finto pudore o ritrosia normalmente non si parla ( in particolare in forma<br />
<br />
268
esplicita, ma sono sicuramente conosciute dalla totalità di tutti noi), senza minimamente<br />
dimenticarsi di quanto va poi a interfacciarsi con sfere più prettamente intellettive, psichiche,<br />
sentimentali…<br />
Già qui iniziamo ad ampliare la nostra sfera di interazione, magari coinvolgendo anche altre<br />
persone (lavorare, conoscersi, amare), andando ad interagire anche con altre cose (guidare,<br />
utilizzare un pc, un telefonino, usare un aspirapolvere, cucinare…)<br />
A volte il confrontarci con queste “ordinarie” azioni diventa problematico, vuoi per una malattia, vuoi<br />
per il sopraggiungere di un trauma, che può essere solo fisico (ad esempio, anche nel caso di<br />
trauma cranico encefalico, tra le modificazioni indotte, oltre a quelle dello stato di coscienza,<br />
cognitive, sociali, comportamentali e sensoriali, ci sono anche quelle motorie), vuoi (e questo è<br />
ancor più traumatico, a volte, in particolare per determinate persone) quando ciò deriva dall’ordine<br />
naturale delle cose che prevede che anche il nostro corpo sia stato progettato a tempo e, lo dice la<br />
parola stessa, il tempo è tiranno!<br />
Tutti invecchiamo e, pur con gli accorgimenti da poter porre in atto, naturali o meno, dobbiamo<br />
arrivare a confrontarci con un corpo, con meccanismi e impianti che non riescono più a seguirci e<br />
sopportare le nostre “nefandezze”, i nostri “fuori giri”, come abituati in precedenza…<br />
Le considerazioni che accompagnano tali “rivelazioni” sono un po’ come la scoperta dell’acqua<br />
calda: “una volta si che….” – “e già, il recupero non è più quello di una volta!” – “ma che ti credi? di<br />
avere ancora vent’anni?” – “stai pretendendo un po’ troppo dal tuo fisico!“.<br />
Ora, considerando che le statistiche confermano che, nonostante tutti gli sforzi che, anche<br />
inconsapevolmente, facciamo per contrastare la tendenza (volendoci a volte anche un po’ di male),<br />
l’aspettativa di vita tende ad aumentare, ci ritroveremo tutti, prima o poi, a confrontarci con una<br />
limitata operatività del nostro corpo, non magari così drastica e tragica come quella imposta da un<br />
trauma od una patologia, ma lo stesso invalidante e limitante nel nostro normale modo di vivere.<br />
Senza confrontarci con l’approccio con il mondo esterno, in caso di presenza già solo di piccole<br />
difficoltà motorie, “muoverci” negli ambiti ristretti del nostro mondo domestico può diventare<br />
estremamente difficoltoso: una semplice infiammazione all’articolazione della spalla (che può<br />
degenerare in artrosi), ad esempio, può inibire molte delle normali interazioni con alcuni dei<br />
componenti della nostra casa.<br />
Abbassare una tapparella può diventare un ostacolo insormontabile, anche se magari la mia spalla<br />
è in perfette condizioni, ma sono obbligato a viaggiare per casa su una sedia a rotelle, per cui le<br />
mie nuove “dimensioni di ingombro” non mi consentono di aggirare il divano dietro il quale è<br />
posizionata la finestra con il suo meccanismo di movimentazione della tapparella stessa (il cintino).<br />
Anche altre cose mi risultano impossibili: magari sono ad una altezza (sempre causata dalla<br />
carrozzina) che non mi permette di controllare neppure quanto visualizzato sul video di un normale<br />
impianto videocitofonico, oppure il riarmo del mio quadro elettrico generale della casa è stato<br />
posizionato all’interno di uno stretto armadio (perché, “esteticamente”, stava bene così!), o<br />
qualsiasi altra normale operazione di governo della casa mi è preclusa da altre “infermità”.<br />
<br />
269
Tante quotidianità in effetti diventano non più così banali, tante operazioni normalmente eseguite si<br />
scontrano con disabilità che non ci permettono di usufruire della normalità con cui avevamo<br />
concepito e progettato la nostra casa.<br />
Cosa fare? Beh… innanzitutto cercare di guarire!!! E già qui una folta schiera di risorse, dal punto<br />
medico, chirurgico, psicologico, riabilitativo, ecc.. è disponibile per riacquistare il senso della<br />
propria mobilità, per riuscire a superare un’impasse temporanea.<br />
A volte, però, non sempre è possibile un normale rientro, nella consueta routine quotidiana, senza<br />
strascichi.<br />
Già superare il problema psicologico di confrontarsi con qualcosa di sconosciuto è di per se stesso<br />
un trauma da superare con difficoltà, figuriamoci poi se una normalissima operazione di tutti i giorni<br />
ci è preclusa per la nuova condizione fisica con cui siamo costretti a misurarci.<br />
Non vogliamo entrare nuovamente in un campo che non è nelle nostre corde professionali, ma la<br />
conoscenza con molti “traumatizzati” ci ha reso quanto meno consapevoli della difficoltà di gestione<br />
di una nuova situazione, senza la possibilità di controlli che ci erano propri in precedenza.<br />
L’autostima è destinata a scontrarsi con piccole situazioni quotidiane che comunque vanno ad<br />
intaccare la propria consapevolezza di gestirsi autonomamente.<br />
Sosteniamo che l’interazione con le persone sia sempre il processo primario auspicabile, anche nel<br />
caso di sopraggiunta invalidità: la famiglia, gli amici, le conoscenze, il volontariato di persone che<br />
prima non sapevamo neppure esistessero, il rientro nel proprio mondo lavorativo, la riscoperta<br />
delle proprie precedenti aspirazioni (magari prima un po’ trascurate), possono essere molle da<br />
sfruttare per il recupero.<br />
Però poi mi devo sempre confrontare con la tapparella! Quando mia moglie o mia mamma non ci<br />
sono, perché sono a fare la spesa, quando mio figlio è a scuola, quando la badante è uscita<br />
(perché ovviamente non posso rinchiuderla anche lei in casa), quando ho voglia di fare entrare un<br />
po’ più di luce nella mia stanza, non potendomi spostare dalla posizione lettizzata a cui sono<br />
costretto (senza per questo dover costringere ad intervenire un membro della mia famiglia, se<br />
presente), quando sono seduto sul divano a guardare la televisione o a leggere un libro e quel<br />
raggio di sole bastardo mi colpisce proprio gli occhi…<br />
Beh, la domotica non ci aiuta solo a confrontarci e a risolvere il problema sorto con la tapparella:<br />
basterebbe la progettazione preventiva di un’automazione elettrica del movimento del serramento<br />
tapparella, con la disponibilità di un telecomando sotto mano…<br />
Ma non è solo con “quella tapparella” che dobbiamo confrontarci, nella nostra attuale situazione di<br />
“pazienti”, impazienti di districarci tra nuove e sconosciute difficoltà.<br />
E finalmente parliamo di domotica, ossia della possibilità di gestire i vari aspetti dell’impiantistica e<br />
delle attrezzature di una casa con una nuova modalità di integrazione, sia dal punto di vista del<br />
comando, sia dal punto di vista dell’automazione di una serie di operazioni, complementari le une<br />
alle altre: ecco, questa è in sintesi la facoltà concessa, la novità trascinante rispetto al nostro<br />
preesistente modo di interagire.<br />
Invece di accendere o spegnere la luce, agendo meccanicamente su di un interruttore, posso<br />
ovviamente prevedere di farlo ancora con la stessa modalità, posso predisporre un sensore che al<br />
<br />
270
mio passaggio accenda la luce, lo posso fare a distanza, seduto comodamente sul divano, lo<br />
posso fare dall’esterno della mia abitazione, dall’ufficio con la predisposizione attuata tramite un<br />
telefonino… Posso, a distanza, attuare tutta una serie di cose, legate o disgiunte dall’accensione<br />
della luce, alquanto banale: alzare di un paio di gradi il riscaldamento, perché sto rientrando…<br />
predisporre alla chiusura “tutte” le tapparelle, perché sta per scoppiare un temporale e non voglio,<br />
che ne so, che i vetri di sporchino… fintare una presenza in casa, con accensioni e spegnimenti in<br />
vari locali, come deterrente alle incursioni di qualche ladruncolo, ovviamente predisponendo anche<br />
l’entrata in funzione di un impianto antifurto, perché al momento della mia uscita di casa, dovendo<br />
rientrare subito, non avevo pensato fosse il caso di inserirlo e, invece, sono costretto (non sempre<br />
a malincuore, però) a restarmene fuori più a lungo…<br />
Parliamo pertanto di quello che è concepibile, mediante un impianto domotico, ottenere all’interno<br />
della propria abitazione, con un particolare riguardo alle persone che subiscono momentanee o<br />
durature variazioni delle proprie possibilità di interazione con il mondo circostante.<br />
Proviamo ad ipotizzare la genesi di un progetto.<br />
Deve tutto partire presupponendo di poter trovare soluzioni per favorire l’autonomia e la sicurezza<br />
di una persona, analizzando, in collaborazione con la stessa, i suoi famigliari ed il progettista degli<br />
interni, la possibilità di utilizzo della domotica, possibilmente in forma completamente integrata,<br />
potendo così offrire funzioni utili sempre più articolate ed innovative.<br />
La conoscenza della tecnologia serve per scegliere funzioni adeguate, mettendo al centro la<br />
persona: è necessario pertanto un cammino di conoscenza da parte del system integrator (il cui<br />
compito è quello di far dialogare impianti diversi tra di loro, per creare una nuova struttura<br />
funzionale, e di trovare la soluzione di gestione degli stessi, in presenza di situazioni particolari),<br />
prima ancora del progettista dell’impianto, con il committente, portatore di caratteristiche ed<br />
esigenze personali, valutandone come utente finale i desideri, le capacità di comprendere e di<br />
relazionarsi con le tecnologie e le esigenze pratiche, le abitudini di vita quotidiana e le modalità di<br />
abitare la casa, anche in rapporto al contesto ambientale, ai vincoli tecnico impiantistici e alle<br />
disponibilità economiche.<br />
In casi particolari di disabilità accentuata l’attenzione all’utente nella progettazione del sistema<br />
domotico deve essere ancora maggiore e più accurata, per capire meglio i bisogni, le difficoltà e le<br />
abilità residue, valutando il contesto familiare e considerando le possibilità di cambiamento futuro,<br />
ritenendo pertanto utile chiedere il supporto di professionisti del mondo sociosanitario che già lo<br />
seguono e lavorando in equipe multidisciplinare con il progettista e direttore dei lavori (nel caso di<br />
nuova casa o ristrutturazione dell’esistente).<br />
Il primo progetto che ne scaturisce parte dalle scelte iniziali di architettura del sistema (standard di<br />
comunicazione o protocollo – sistema di cablaggio) ed arriva alla definizione di funzioni di primo<br />
livello (quelle semplici, dirette: azionando un comando, ad esempio un pulsante, accendo una luce<br />
– con un altro comando apro una porta) in modo da dare all’utente ed ai suoi conviventi la<br />
possibilità di un comando diretto per le singole funzioni, e di funzioni di secondo livello (più<br />
articolate, proprie dei sistemi domotici, dove ad esempio comandi e sensori interagiscono fra loro,<br />
<br />
271
anche mediante programmazione a schemi logici, per definire un effetto output che può azionare<br />
uno o più dispositivi).<br />
Senza addentrarci in complesse discussioni sugli standard di comunicazione e i sistemi di<br />
cablaggio, proviamo ad addentrarci negli aspetti funzionali di un progetto domotico, senza<br />
avanzare pretese di essere completi ed esaustivi con quanto permesso dalla moderna tecnologia.<br />
Nei vari locali di un’abitazione occorre individuare le esigenze legate all’utilizzo degli stessi, da cui<br />
far scaturire un’elencazione di apparecchiature elettriche (e non), necessarie per l’espletamento di<br />
funzioni elementari elettriche e di funzioni più complesse, gestite dall’impianto.<br />
Riarmo automatico in seguito di black-out energetici: l’installazione nel quadro elettrico di un<br />
dispositivo "Auto-Restart” in grado di riattivare automaticamente i contattori differenziali,<br />
scattati in seguito ad esempio di black-out energetico imprevisto dovuto a condizioni<br />
atmosferiche avverse, può garantire l’operatività degli elettrodomestici in uso, dell’impianto<br />
luci, del computer e delle funzionalità domotiche, anche senza raggiungere, magari a fatica, la<br />
postazione del quadro elettrico per effettuare il riarmo manuale.<br />
Gestione dei carichi elettrici: un dispositivo può permettere in automatico la gestione dei<br />
carichi e di staccare i carichi non prioritari, in modo da prevenire superamenti di soglie<br />
previste dal contratto di fornitura, garantendo la prevenzione dello sgancio dell’interruttore<br />
generale. Inoltre, tramite la programmazione dell’impianto domotico, possono essere<br />
assegnate priorità di funzionamento e/o tempistiche che possono abbassare la potenza<br />
installata o permettere l’utilizzo di determinati impianti o attrezzature solo in orari di più basso<br />
costo energetico, con diminuzione dei costi di approvvigionamento energia.<br />
Dotazione di UPS: l’installazione di un gruppo di continuità, opportunamente dimensionato,<br />
garantisce nel caso di back-out energetici, per una durata limitata, l’operatività di<br />
apparecchiature elettriche “salva-vita” e di funzionalità domotiche considerate prioritarie.<br />
Interfacce di comando: l’impianto domotico standard non è diverso da quanto individuato nei<br />
passi precedenti, ma deve solo diventare “fruibile”, cambiando solo la modalità di interazione.<br />
Oltre alla normale pulsanteria, devono essere previsti in combinazione dispositivi che<br />
permettano, in funzione delle abilità residue dell’utente, di comandare il sistema domotico. Tra<br />
gli altri si ricordano: la normale tastiera di un PC se, tramite opportuni accorgimenti, l’utente è<br />
in grado di utilizzarla - touch screen - telecomandi “domotici” (ne sono stati ideati di semplici,<br />
con tasti grandi o con possibilità di personalizzazione mediante icone riconducibili alle<br />
funzioni - sono disponibili applicazioni che trasformano in telecomando telefonini e<br />
smartphone, ma anche lettori di musica digitale evoluti e dotati di ampio schermo e<br />
connessione wi-fi –alcuni sistemi di comando della movimentazione di una carrozzina, tipo<br />
joystick, possono essere riconosciuti ed interfacciati) – altri sistemi più complessi che<br />
possono adattarsi a persone con difficoltà motorie gravi e sono attivabili tramite sensori<br />
esterni legati ai movimenti che il soggetto è in grado di fare, come il movimento della mano o<br />
della testa, delle dita e perfino delle palpebre, oppure dispositivi di controllo vocale (dotati di<br />
<br />
272
funzioni di feedback che, con la ripetizione del messaggio, permettono la correzione di<br />
eventuali errori di interpretazione).<br />
Non dimentichiamo, nelle ricerche eseguite nel contesto dell'ingegneria biomedica e della<br />
neuroingegneria, il ruolo svolto dalle BCI (Brain-computer interface - letteralmente "interfaccia<br />
cervello-computer" o interfacce neurali), nella direzione di sistemi di supporto funzionale e<br />
ausilio per persone con disabilità, che operano con il riconoscimento delle onde cerebrali,<br />
ovvero onde elettromagnetiche che si formano nel nostro cervello per permettere ai neuroni di<br />
comunicare. Ma qui, pur non essendo nella fantascienza, siamo ancora un po’ nel campo di<br />
possibilità futuristiche…<br />
Comfort – Luci: viene prevista la gestione delle apparecchiature illuminanti, interne ed<br />
esterne, tramite pulsanti e/o interfacce particolari di comando, sensori e programmazione che<br />
interagiscono tramite il sistema domotico, ottenendo l’accensione e lo spegnimento delle luci<br />
in maniera manuale od automatica (con possibilità, in alcuni ambienti, di regolare<br />
manualmente e automaticamente l’accensione delle luci tramite dimmer, per regolare<br />
l’intensità luminosa). Può essere prevista la realizzazione di “scenari” luminosi (ad esempio lo<br />
spegnimento di tutte le luci quando si deve uscire di casa, oppure l’automatismo di alcune luci<br />
nella fase notturna, legate ai sensori di presenza, ad esempio nei corridoi, ecc.).<br />
Comfort – Riscaldamento e condizionamento: la buona gestione del microclima è in grado di<br />
migliorare il comfort degli abitanti della casa. In particolare ad alcune forme di disabilità sono<br />
associati problemi di termoregolazione corporea e/o problematiche respiratorie.<br />
Al sistema domotico è demandato, tramite l’analisi dei valori registrati da sonde di temperatura nei<br />
locali, il mantenimento delle condizioni richieste, con possibilità di regolazione del microclima<br />
all’interno di scenari. Con remotizzatore GSM o tramite Internet è possibile attivare e regolare<br />
il microclima dell’abitazione da remoto.<br />
Automazione – Cancelli esterni carrai e/o pedonali: l’automazione è anche in questo caso<br />
gestita dall’impianto domotico, in quanto deve permettere l’accesso all’utente disabile, in<br />
forma completamente autonoma. In tali casi anche la movimentazione di cancelli pedonali<br />
può essere prevista in maniera motorizzata. Al sistema domotico è demandato anche<br />
l’interfacciamento con il sistema videocitofonico, per permettere all’utente l’apertura dei<br />
cancelli esterni autonomamente, verificata l’identità dei visitatori.<br />
Automazione – Portoncini d’ingresso: gestita dall’impianto domotico, in quanto deve<br />
permettere l’accesso all’utente disabile, in forma completamente autonoma. In tal caso anche<br />
la movimentazione dei portoncini d’ingresso è prevista in maniera motorizzata. Collegabile a<br />
scenari automatici.<br />
Automazione – Porte interne: è gestita dall’impianto domotico, in quanto deve permettere<br />
l’accesso all’utente, in forma completamente autonoma, a tutti gli ambienti della casa. È<br />
273
prevista, in alcuni casi, la motorizzazione delle porte e dei serramenti ed è gestibile anche da<br />
scenari automatici.<br />
Automazione – Finestre, porte-finestre, oscuramenti: è gestita dall’impianto domotico, in<br />
quanto deve permettere l’apertura, chiusura e regolazione all’utente, in forma completamente<br />
autonoma, in tutti gli ambienti della casa. È prevista, in alcuni casi, la motorizzazione degli<br />
stessi ed è gestibile anche da scenari automatici.<br />
Automazione – Letto motorizzato (se presente): si deve prevedere di interfacciare all’impianto<br />
domotico la centralina dedicata alle movimentazioni del letto, con un comando vocale (od<br />
analogo comando di cui ci sia piena possibilità di uso da parte dell’utente disabile) per ogni<br />
comando disponibile sulla pulsantiera manuale in dotazione. Viene così consentito di variare<br />
la posizione di decubito, indipendentemente dalla presenza di famigliari/badanti, anche e<br />
soprattutto durante le ore notturne.<br />
Comunicazione – Videocitofonia: il videocitofono deve essere anche gestito dal sistema<br />
domotico, per cui l’utente disabile può, anche lettizzato, essere avvisato della chiamata<br />
dall’esterno e verificare l’identità dei visitatori, sugli ulteriori sistemi di visualizzazione<br />
collegati all’impianto domotico (TV, smartphone, ecc.), operando gli opportuni comandi di<br />
apertura.<br />
Comunicazione – Telefonia: l’installazione di sistemi particolari di comunicazione (tipo VOIP),<br />
oltre all’interfacciamento con le linea di telefonia fissa, può permettere all’utente, anche se<br />
lettizzato, di video comunicare con l’esterno (esempio, con il proprio medico, famigliari assenti<br />
e/o lontani, conoscenti). L’eventuale presenza di cablaggio strutturato permette<br />
l’interfacciamento con eventuali apparecchiature/apparati destinati alla telemedicina.<br />
Sicurezza ambientale – Allarmi tecnici: sono previsti allarmi per il controllo automatico delle<br />
anomalie della casa (sensori allagamento - sensori fuga di gas – sensori antincendio).<br />
Sicurezza ambientale – Antintrusione: l’impianto antintrusione esterno/interno, integrato con<br />
impianto di videosorveglianza, in quanto interfacciato con sistema domotico, è gestibile con le<br />
normali interfacce di comando ed è verificabile anche da remoto.<br />
Sicurezza della persona – Sensori di rilevamento presenza: utilizzabili dall’impianto domotico<br />
per consentire automazioni in genere (aperture di porte al passaggio, accensione di luci),<br />
nonché per il controllo delle intrusioni e la verifica di situazioni di allarme (abbinati a sensori di<br />
movimento, a timer, a sistemi di ascolto ambientale, possono rilevare la situazione di una<br />
persona, caduta per un malore o uno svenimento, o che non si è alzata dal letto entro un<br />
determinato orario, la mattina, ed inviare opportune segnalazioni d’allarme, anche telefoniche<br />
o tramite sms, a famigliari o centri di ascolto preposti).<br />
Sicurezza della persona – Videosorveglianza interna: l’impianto di videosorveglianza interna,<br />
interfacciato con sistema domotico, permette un controllo dei locali dove non si è presenti,<br />
274
anche da remoto, ed è impiegabile anche per la videocomunicazione e per il controllo<br />
dall’esterno da parte di famigliari, ecc...<br />
Sicurezza della persona – Automazione chiamate di emergenza: è possibile integrare nel<br />
sistema domotico la programmazione di un combinatore telefonico per consentire la<br />
trasmissione e la ricezione automatica di messaggi SMS, nonché l’automazione di chiamate<br />
di emergenza su eventi critici.<br />
Arrivati a questo punto, consapevoli della propria limitatezza e lungi dall’aver definito una<br />
elencazione completa di caratteristiche usufruibili in un impianto domotico, dobbiamo anche<br />
mettere in risalto altre peculiarità che derivano in cascata quali, fondamentalmente: risparmio di<br />
energia, semplificazione nella progettazione, installazione, manutenzione e utilizzo della<br />
tecnologia, riduzione dei costi di gestione.<br />
Se poi le soluzioni tecnologiche adottate per la realizzazione di un sistema domotico sono<br />
caratterizzate da peculiarità d'uso proprie dei normali oggetti domestici, quali semplicità, stabilità di<br />
funzionamento, affidabilità, basso costo, automazione e semplificazione di ripetitive azioni<br />
quotidiane, allora lo scopo è stato raggiunto, ricordando che non tutta la progettazione deve essere<br />
attuata in tempi stretti, bensì la possibilità di step by step (di scalabilità di esecuzione dell’impianto)<br />
consente di implementare le prestazioni previste nel tempo, poco alla volta, partendo da quelle<br />
ritenute essenziali, con ovvia rateizzazione dei costi totali.<br />
La domotica è un po’ tutta qui, niente di particolarmente difficile da “ intendere e volere”. Al centro,<br />
comunque, è necessario mettere sempre la persona, facendo in modo di costruire quel rapporto di<br />
conoscenza, di fiducia e di amicizia che permette di riuscire a calarsi nelle difficoltà e possibilità<br />
concesse al singolo per riuscire a farlo interfacciare con il sistema e così utilizzare tutte le<br />
tecnologie disponibili.<br />
Il futuro<br />
I numeri della disabilità sono impressionanti (anche solo facendo riferimento a statistiche ormai<br />
datate). L’ulteriore preoccupazione nasce dalla aumentata aspettativa di vita: STIAMO<br />
<strong>IN</strong>VECCHIANDO e, se saremo fortunati, col progredire dell’età, diventeremo però tutti un po’<br />
disabili…<br />
Se è pur vero che siamo tutti felici di invecchiare senza problemi, è anche vero che purtroppo il<br />
nostro corpo, come una normale vettura o organo meccanico, è soggetto ad usura più o meno<br />
pronunciata.<br />
Le conseguenze derivanti dall’impossibilità di svolgere autonomamente attività che hanno da<br />
sempre costituito la quotidianità di un individuo condizionano la vita di una persona e,<br />
generalmente dell’intera famiglia, non solo dal punto di vista economico. Da tali condizioni di vita,<br />
infatti, può derivare una profonda perdita di autostima, che alle già gravi problematiche legate alla<br />
275
fisicità aggiunge turbe psicologiche e stati depressivi, rendendo così più lungo e complesso il<br />
processo riabilitativo, ove possibile. E questo vale sia per il disabile che per l’anziano.<br />
Il problema<br />
<br />
Oltre noi, dopo di noi…<br />
Per chi disabile lo è già (o lo è diventato), fin quando c’è la famiglia che fa da supporto,<br />
limitando quelle che sono le carenze dell’assistenza pubblica e/o volontaristica, “problemi non<br />
ce ne sono” – lo dico ovviamente tra virgolette, in quanto dietro l’angolo ci sono tutte le<br />
normali preoccupazioni di qualsiasi buon padre di famiglia (l’aspetto affettivo, economico,<br />
ecc.).<br />
Le scelte del settore pubblico, orientato al sociale<br />
Richiamo quello che è emerso ultimamente durante i vari seminari e convegni a cui ho<br />
partecipato o i contatti con le istituzioni pubbliche, ma anche le fondazioni, gli istituti autonomi<br />
per la costruzione di edilizia residenziale, le imprese private.<br />
Non è più così facile ipotizzare il supporto pubblico nelle RSA o nei luoghi predisposti all’uopo<br />
(sempre più costosi ed economicamente insostenibili). I numeri in aumento delle persone da<br />
assistere non lo permetteranno.<br />
Il volontariato<br />
Non riusciremo a far tutto con il volontariato (sempre più disponibile in numero ma, ahimè, a<br />
sua volta sempre più anziano), occorre ridimensionare i tempi e la frequenza di copertura<br />
degli intervalli dedicati alle persone con disabilità: meno tempo a disposizione di ognuno, nel<br />
totale del tempo riuscire a visitare più persone.<br />
Occorre fin d’ora prevedere altre possibilità, che si ritiene possano essere messe a disposizione<br />
delle persone che, per un motivo o per l’altro, devono confrontarsi con handicap motori di vario<br />
genere: già in altri paesi europei si punta (oltre noi e dopo di noi, ma anche per noi) sulla<br />
microresidenzialità assistita, su appartamenti protetti o destinati alla realizzazione di interventi di<br />
sollievo, dove l’ausilio tecnologico è sfruttato a fondo.<br />
La sfida<br />
Da noi questo ancora non avviene: come al solito non si riesce a guardare al di là del proprio<br />
naso… Se questo non è un paese per vecchi, si sta però avviando a divenire un paese di vecchi….<br />
Ma quando ci decideremo ad incominciare a valutare attentamente quello che ci aspetta, appena<br />
dietro l’angolo?<br />
276
Noi, voi, le vostre associazioni, tutti insieme dobbiamo fare in modo di sfruttare a nostro favore<br />
quanto la tecnologia ci offre e che tutto ciò (che noi dobbiamo ben conoscere) venga il più in fretta<br />
possibile utilizzato da chi gestisce, in parte, il nostro futuro. Dovremmo fare in modo che la<br />
predisposizione dell’utilizzo della tecnologia (intesa come progettazione e realizzazione di<br />
canalizzazioni, vani tecnici, scatole di derivazione e incassi finali - in pratica la struttura fisica di<br />
base del sistema domotico), nel corso della costruzione delle nuove case, diventi obbligatoria,<br />
permettendo in un secondo tempo, anche a distanza di anni, di agire sull’impianto senza elevati<br />
costi di intervento.<br />
Non possiamo negare che ultimamente qualcosa si è mosso: per quanto riguarda la certificazione<br />
degli impianti elettrici, da settembre dell’anno scorso è entrata in vigore la Variante V3 della Norma<br />
Italiana CEI 64-8 ”Impianti elettrici….”, dove sono riportate importanti novità. In particolare,<br />
nell’allegato A, il livello prestazionale 3, oltre alle dotazioni previste, considera l’esecuzione<br />
dell’impianto con integrazione domotica e, per essere considerato domotico, deve gestire come<br />
minimo quattro delle seguenti funzioni:<br />
<br />
1) anti intrusione;<br />
2) controllo carichi;<br />
3) gestione comando luci;<br />
4) gestione temperatura (se non è prevista una gestione separata );<br />
5) gestione scenari (tapparelle, ecc,);<br />
6) controllo remoto;<br />
7) sistema diffusione sonora;<br />
8) rilevazione incendio (UNI 9795) se non è prevista gestione separata;<br />
9) sistema antiallagamento e/o rilevazione gas.<br />
La Dichiarazione di Conformità alla Norma 64-8 rilasciata dall’installatore al proprietario dell’unità<br />
immobiliare dovrà segnalare anche il livello prestazionale e di fruibilità dell’impianto e,<br />
evidentemente, come nel caso della certificazione energetica, il valore commerciale dell’unità<br />
immobiliare aumenterà all’aumentare del livello prestazionale dichiarato. Ma ciò non basta…<br />
Esistono leggi statali e regionali per il superamento delle barriere architettoniche e la dotazione di<br />
ausili tecnologici che non sono a conoscenza di tutti, ancorché limitate nella dotazione di fondi:<br />
devono essere comunque sempre sfruttate nella loro completezza.<br />
Sto parlando di tecnologia, a volte di alta tecnologia, scoperta quotidianamente con stupore e<br />
meraviglia, anche attraverso le nuove metodologie di ricerca disponibili tramite il web, e poi,<br />
periodicamente, come membro della commissione barriere architettoniche dell’Ordine degli<br />
Ingegneri della Provincia di Bergamo (attiva nel campo della formazione per il superamento delle<br />
barriere architettoniche previsto da leggi statali e regionali), a distanza di anni dall’approvazione<br />
delle leggi inerenti, mi trovo a dovermi confrontare con casi in cui le più basilari norme di<br />
progettazione e realizzazione non vengono tenute in conto (ancora su elementari componenti<br />
architettoniche, quali dislivelli, gradini, scivoli!), con interpretazioni stiracchiate che tengono solo<br />
conto di sfruttamento massimo di superfici e volumetrie.<br />
277
Rimango ancora sorpreso, incredulo, deluso, tutto questo con buona pace dell’interazione con una<br />
tapparella…<br />
Anche il mio piccolo contributo vuole essere una goccia…<br />
<br />
278
Conclusioni<br />
I contributi presentati in questo volume credo che possano pienamente confermare l’esigenza di<br />
promuovere una approfondita riflessione sulle GCA.<br />
Esse rappresentano una delle maggiori cause di disabilità acquisita e, come si evince dai dati<br />
epidemiologici presentati, il peso sanitario, sociale ed economico di queste disabilità ha una<br />
notevole rilevanza sia, come nel caso dei TCE, per la giovane età della maggioranza dei pazienti,<br />
sia per le gravi ripercussioni che si hanno sui componenti del nucleo familiare.<br />
L’approccio di intervento deve necessariamente essere di rete, nel senso di équipe multiprofessionali<br />
che dialogano con un linguaggio comune e condiviso, ma anche di organizzazione<br />
integrata tra ospedale e territorio, nelle varie componenti che, come emerge dai numerosi ed<br />
interessanti contributi di questo lavoro, devono contribuire al raggiungimento della miglior qualità di<br />
vita possibile per il paziente colpito da GCA.<br />
L’ASL di Bergamo è chiamata a rispondere ai bisogni sempre più complessi, espressi da una parte<br />
della popolazione, che richiedono, da un lato, un intervento riabilitativo precoce e globale<br />
mirato al recupero cognitivo del soggetto, dall’altro un progetto di integrazione che preveda la<br />
costruzione di una rete con le risorse del territorio.<br />
Un ulteriore aspetto importante riguarda anche il ruolo che dovrebbero assumere le strutture<br />
sanitarie al momento della prima comunicazione alla famiglia della presenza di una danno<br />
permanente. I diversi interventi hanno infatti fatto emergere la disponibilità di elevati livelli di<br />
competenza e professionalità, soprattutto per gli aspetti clinici, ma anche elementi di<br />
disorientamento per l'incertezza e la frammentarietà delle informazioni ricevute al momento delle<br />
dimissioni. La 2° Conferenza Nazionale di Consenso di Verona, già nel Giugno 2005, ribadiva la<br />
necessità di favorire la massima diffusione di informazioni sui servizi esistenti e dare ulteriore<br />
sviluppo alla integrazione socio-sanitaria. Era ritenuto altresì opportuno sostenere i servizi<br />
domiciliari attraverso programmi di supporto alla persona e sviluppare programmi assistenziali<br />
individualizzati con standard minimi garantiti. La stessa Conferenza invitava le Regioni a un<br />
potenziamento delle strutture basato sui dati epidemiologi locali.<br />
Oggi possiamo affermare che è su queste linee che l’ASL di Bergamo si sta muovendo, rilanciando<br />
il proprio ruolo programmatorio e di accompagnamento dei servizi e cercando di potenziare il più<br />
possibile, come da indicazioni regionali, la domiciliarità e i progetti integrati.<br />
L’azione di regia e di sviluppo di risposte adeguate, da parte dell’ASL di Bergamo, è sostenuta<br />
anche attraverso la costituzione di un Osservatorio socio-sanitario con la funzione di analizzare ed<br />
integrare dati sanitari e socio-sanitari. Tra gli elementi fondanti si è sviluppata una Anagrafe della<br />
Disabilità, di cui la ricerca epidemiologica presentata in questo volume è uno dei primi e più<br />
importanti risultati.<br />
Il Direttore Sociale dell’Asl di Bergamo<br />
Francesco Locati<br />
279
Finito di stampare nel mese di Giugno 2012<br />
da Presservice 80 s.r.l. - Seriate (BG)