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Oberto famiglie di fatto.pdf - Persona e Danno

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Solo raramente, al fine <strong>di</strong> rigettare l’azione, ci si premura anche <strong>di</strong> porre in luce come, nella<br />

specie, pur non collocandosi le «prestazioni» al <strong>di</strong> fuori della proporzionalità, vi fosse stato durante<br />

il ménage un adempimento reciproco dell’obbligazione naturale su entrambi gravante, con<br />

conseguente giustificazione dei reciproci arricchimenti ( 45<br />

).<br />

Una decisione del Tribunale <strong>di</strong> Firenze dell’anno 2000, ha invece ammesso il rime<strong>di</strong>o in<br />

<strong>di</strong>scussione in relazione ad un caso originato da una convivenza ultraventennale da cui erano nati<br />

due figli e nel corso della quale entrambe le parti avevano svolto attività lavorativa alle <strong>di</strong>pendenze<br />

46<br />

<strong>di</strong> terzi ( ). È interessante rimarcare nella decisione in esame il <strong>fatto</strong> che l’effettuazione <strong>di</strong> un<br />

apporto in denaro è stato presunto sulla base della prova del red<strong>di</strong>to da lavoro <strong>di</strong>pendente della<br />

convivente non intestataria. Peraltro nessun’indagine risulta essere stata compiuta sull’effettiva<br />

si prospettano spese sproporzionate, né esse emergono dall’esame degli estratti del conto corrente bancario depositati<br />

quale doc. 1. La circostanza che l’attrice abbia maggiormente contribuito alle spese della famiglia è pacificamente<br />

dovuta alla maggiore retribuzione dalla medesima percepita rispetto a quella del convenuto, la cui attività lavorativa e<br />

capacità red<strong>di</strong>tuale doveva essere ben nota all’attrice prima della convivenza, avendo la stessa in<strong>di</strong>cato nell’atto <strong>di</strong><br />

citazione <strong>di</strong> essersi innamorata <strong>di</strong> Ca. vent’anni prima e che la convivenza era seguita ad un lungo periodo <strong>di</strong><br />

fidanzamento. Da tale premessa, consegue che il convenuto non è tenuto all’obbligo <strong>di</strong> restituzione delle somme spese<br />

in modo spontaneo dall’attrice a suo favore, poiché tali prestazioni furono eseguite in adempimento della predetta<br />

obbligazione naturale».<br />

( 45 ) App. Firenze, 4 novembre 2010, in Leggi d’Italia professionale, archivio Corti <strong>di</strong> merito. In motivazione leggesi<br />

quanto segue: «In realtà infatti in base ai risultati dell’istruttoria e alle ammissioni rese dalla stessa attrice si deve<br />

concludere che entrambe le parti insieme hanno lavorato, insieme hanno provveduto ai bisogni della famiglia e della<br />

prole, insieme hanno comprato casa ed insieme hanno allevato ed educato i figli. L’attrice, alla fine del rapporto, si<br />

ritrova comproprietaria <strong>di</strong> un immobile che, per affermazione non contestata <strong>di</strong> controparte, ha un valore <strong>di</strong> circa 400<br />

milioni delle vecchie lire; per sua stessa <strong>di</strong>chiarazione il (...) contribuiva regolarmente alle necessità del nucleo familiare<br />

e quando ha lasciato il lavoro part-time (secondo il convenuto per essersi <strong>di</strong>messa e comunque non è provato che sia<br />

stata licenziata né si conoscono i motivi dell’eventuale licenziamento) ha continuato a ricevere regolarmente dal<br />

convivente Lire 2 milioni al mese per provvedere ai bisogni propri e della famiglia. Se ne trae la ricostruzione <strong>di</strong> un<br />

quadro familiare nell’ambito del quale entrambi hanno contributo ciascuno con i propri mezzi e le proprie capacità alle<br />

esigenze della famiglia e dei figli in adempimento dei doveri morali <strong>di</strong> assistenza reciproca, senza che possa ravvisarsi,<br />

in conseguenza dei rispettivi apporti, un arricchimento “ingiustificato” dell’uno a danno dell’altra.<br />

( 46 ) Cfr. Trib. Firenze, 12 febbraio 2000 (ine<strong>di</strong>ta, n. 594/2000, in proce<strong>di</strong>mento n. 15/1997 R.G., A. c/ M.). La<br />

sentenza è stata confermata in sede d’appello (cfr. App. Firenze, 18 ottobre 2002, ine<strong>di</strong>ta), la quale a sua volta è stata<br />

confermata da Cass., 22 marzo 2007, n. 6976, cit. Nella specie, nel 1980 l’uomo, in costanza <strong>di</strong> convivenza, aveva<br />

proceduto all’acquisto, a suo esclusivo nome, della casa <strong>di</strong> abitazione destinata a <strong>di</strong>ventare la residenza della famiglia <strong>di</strong><br />

<strong>fatto</strong>. Due anni dopo la cessazione della convivenza, intervenuta nel 1995, la donna aveva chiesto una somma a titolo <strong>di</strong><br />

arricchimento ingiustificato, proprio in relazione all’acquisto della casa, facendo presente che l’acquisto era avvenuto<br />

«con i proventi della attività lavorativa <strong>di</strong> entrambi» e che l’ex convivente intestatario della stessa «da solo non sarebbe<br />

stato in grado <strong>di</strong> acquistarla, posto che godeva del solo stipen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> [lavoratore] <strong>di</strong>pendente». Il Tribunale, dopo aver<br />

constato che nella specie si era trattato «<strong>di</strong> una stabile relazione affettiva, che non ha rivestito i caratteri della<br />

occasionalità, che viene qualificata come convivenza more uxorio e alla quale l’or<strong>di</strong>namento ricollega talune<br />

conseguenze giuri<strong>di</strong>che, ritenendola per alcuni aspetti meritevole <strong>di</strong> tutela» e che la donna, per tutta la durata del<br />

rapporto, aveva sempre svolto «continua attività lavorativa», ha rimarcato che essa «lavorava e guadagnava e che<br />

comunque essa ha investito nel ménage familiare tutta la sua attività anche <strong>di</strong> casalinga (comunque suscettibile <strong>di</strong><br />

valutazione patrimoniale: si veda sul punto la giurisprudenza sul danno patrimoniale da r.c.a. della casalinga)». Da tale<br />

premessa se ne è tratta la conseguenza dell’esclusione dell’inquadramento dell’attribuzione tra gli atti <strong>di</strong> adempimento<br />

<strong>di</strong> obbligazione naturale, perché tale qualificazione sarebbe «da circoscriversi alle prestazioni che abbiano <strong>di</strong>rettamente<br />

ad oggetto il mantenimento della famiglia, e che pertanto siano imme<strong>di</strong>atamente utilizzate (in questo senso sarebbe da<br />

ritenersi inesistente un <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to per le somme spese per vitto e alloggio inteso come canone <strong>di</strong> locazione o spese<br />

afferenti alla abitazione comune) e non rapportabile all’adempimento <strong>di</strong> un obbligo morale laddove le somme siano<br />

spese in un bene duraturo che permanga nella <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> uno solo dei conviventi». In secondo luogo si è pure<br />

escluso – come si avrà modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re (v. infra, Cap. III, § 4) – il ricorso alla figura della donazione, «mancando lo spirito<br />

<strong>di</strong> liberalità, laddove si debba ritenere, in assenza <strong>di</strong> prova contraria, che colui che investe il proprio danaro in un bene<br />

primario come la casa del proprio nucleo familiare ciò faccia, nella previsione che <strong>di</strong> quella casa continuerà ad usufruire<br />

e non con l’intento <strong>di</strong> donarla alla sola altra parte». Ciò premesso il Tribunale ha concluso che «Se le dette ipotesi non si<br />

sono integrate è giuoco forza ritenere che la titolarità esclusiva <strong>di</strong> un bene immobile acquistato col danaro anche del<br />

convivente, configuri un ingiustificato arricchimento con correlativo depauperamento dell’altro convivente che le<br />

prestazioni in danaro abbia erogato, senza ottenerne adeguata contropartita. D’altra parte la non giustificabilità della<br />

attribuzione emerge dalla assenza della qualificabilità della stessa, come sopra motivato, in termini <strong>di</strong> liberalità o <strong>di</strong><br />

adempimento <strong>di</strong> obblighi morali e/o sociali». In applicazione <strong>di</strong> tali principi l’ex convivente intestatario è stato<br />

condannato al pagamento <strong>di</strong> una somma equivalente alla metà del valore del bene.<br />

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