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http://www.gaffi.it<br />
© <strong>Gaffi</strong> 2007<br />
www.gaffi.it<br />
ancora alla mia Fiore<br />
«Ignoro <strong>il</strong> corso della Storia. So solo<br />
la bestia che è in me e latra.»<br />
DARIO BELLEZZA
Collana GODOT<br />
IL SORCIO<br />
di Andrea Carraro<br />
GAFFI
Prologo<br />
Il pranzo dalla madre
IL SORCIO 9<br />
Il martedì non è un giorno come tutti gli altri per Nicolò<br />
Consorti. Dopo <strong>il</strong> lavoro infatti ha due fondamentali appuntamenti<br />
settimanali: <strong>il</strong> pranzo da sua madre e la seduta dallo<br />
psicologo. Sua madre vive ancora, sola, nella sua vecchia<br />
casa, all’ultimo piano di un palazzone di fronte alla libreria<br />
Eritrea, in una zona di confine fra <strong>il</strong> ricco quartiere Trieste e<br />
<strong>il</strong> popolare quartiere africano. La donna, settantacinquenne,<br />
ha più di un acciacco, prende una valanga di medicine, ma<br />
considerato che fuma due pacchetti di sigarette al giorno,<br />
per la sua età le cose non vanno tanto male.<br />
Nicolò parcheggia la Vespa nell’isola pedonale alberata al<br />
centro della carreggiata, per pigrizia non la lega, la chiude<br />
solo con <strong>il</strong> bloccasterzo. «Non legare la Vespa è un lusso che<br />
non mi voglio più negare», ha confessato recentemente al<br />
suo analista. Lascia che due o tre autobus in coda sf<strong>il</strong>ino nella<br />
loro corsia riservata, mastodontici, rumorosi e puzzolenti,<br />
poi attraversa la strada, fa passare uno sciame di pedoni<br />
malvestiti, citofona all’interno 19, sua madre risponde come<br />
sempre dopo un bel po’ perché ci sente poco, e finalmente<br />
scatta la serratura dell’alto e massiccio portone di legno con<br />
<strong>il</strong> riquadro a vetri che hanno cambiato da poco, da quando
10 PROLOGO<br />
l’immob<strong>il</strong>e è stato messo in vendita. Sale quattro scalini di<br />
marmo ed entra nell’ingresso oblungo e spartano, che, per<br />
quanto imbiancato di fresco, ha un aspetto ineluttab<strong>il</strong>mente<br />
popolare. Nicolò si vergognava di quel vestibolo e di tutta la<br />
sua casa, ancora oggi gli dà un senso di oppressione e anche<br />
di colpa transitare nell’androne o nei pianerottoli. La salita<br />
in ascensore – stretto e inciso di scritte sul soffitto e sul controsoffitto<br />
di legno – dura un minuto intero d’orologio.<br />
Quando sali con qualcuno è piuttosto imbarazzante. Il tempo<br />
non ti passa mai e bisogna dirsi qualcosa. Oggi grazie a<br />
Dio non c’è nessuno e può salire da solo. Alcune di quelle<br />
scritte sul soffitto le ha incise lui da ragazzo con le chiavi,<br />
alcune falci e martello, anche un I love Stella, che ogni volta<br />
gli dà un brivido di imbarazzo, adornato dai cazzetti che vi<br />
disegnarono i suoi amici tutto intorno a forma di cuore.<br />
Ogni piano, contrassegnato da una sigla in lettere romane<br />
dipinta sul muro grezzo del marcapiano, I II III… fino a X,<br />
vibra un suono come di corde metalliche che stridono e si<br />
sciolgono.<br />
Sua madre non lo fa aspettare alla porta, è restata in attesa<br />
nel vano dell’ingresso, affacciata sul pianerottolo. L’odore<br />
del fumo fresco e stantio si sente subito, in varie gradazioni,<br />
appena metti <strong>il</strong> naso fuori dell’ascensore. Nicolò la bacia sulla<br />
guancia ancora incredib<strong>il</strong>mente fresca, le mette in mano la<br />
borsa blu dei panni sporchi e poi va regolarmente in bagno<br />
per lavarsi le mani e aggiustarsi i pochi capelli biondi e sciupati<br />
che <strong>il</strong> casco gli ha arruffato sul capo. Percorrendo <strong>il</strong> corridoio,<br />
<strong>il</strong> gatto nero di sua madre emerge improvvisamente<br />
dalla penombra e gli salta addosso, azzannandolo sulla gamba.<br />
Lui come sempre lo scaccia rabbioso e quasi impaurito.<br />
IL SORCIO 11<br />
«Cristo, ma questo è pazzo – dice, scalciando forte – mamma,<br />
questo gatto è fuori di testa, ma perché non lo dai via,<br />
finalmente, questo bastardo!?»<br />
Sua madre, che ha le gambe segnate dalle ferite procuratele<br />
dal gatto, dice:<br />
«E che faccio? Lo metto per strada? Morirebbe subito…»<br />
«E chissene frega! Ma morisse una buona volta!»<br />
Sua madre aspetta che lui sia entrato nella piccola cucina<br />
perfino più impregnata di fumo dell’ingresso, prima di<br />
chiudergli la porta alle spalle, per evitare che <strong>il</strong> gatto si intrufoli<br />
e si piazzi trionfante sopra <strong>il</strong> frigo o <strong>il</strong> piccolo televisore<br />
come è accaduto tante volte.<br />
Il tavolinetto traballante, marrone tigrato, è apparecchiato<br />
per due, nudo, senza neppure una tovaglia. Appoggiato sul<br />
lato destro del tavolo è rimasto <strong>il</strong> ferro da stiro, messo in piedi<br />
su un panno ripiegato. Sopra al suo piatto vuoto, ancora<br />
sig<strong>il</strong>lata, la busta del prosciutto crudo che la madre gli ha<br />
comperato al mattino alla Conad. Sempre e solo una busta<br />
di prosciutto di Parma del supermercato. Sua madre da<br />
qualche tempo, diciamo dalla morte di suo padre, avvenuta<br />
sei anni fa, ha smesso di cucinare. Ha smesso di fare un po’<br />
tutto, a dire <strong>il</strong> vero, pure di comprare <strong>il</strong> giornale. Nicolò si<br />
siede, mentre sua madre traffica ancora qualche istante per<br />
l’angusto spazio della cucina con la sigaretta in mano. Infine<br />
la vecchia donna prende posto al suo fianco e schiaccia accuratamente<br />
la cicca nel portacenere rosso di plastica con i<br />
bordi consumati e <strong>il</strong> fondo annerito. Le unghie lunghe e le<br />
dita affusolate di sua madre appaiono ingiallite e annerite<br />
dalla nicotina. Nicolò prende in mano la busta troppo fredda<br />
del prosciutto, poi l’unico panino nel cestello del pane.
12 PROLOGO<br />
Ormai non le chiede più, posso prenderlo? perché sa che è per<br />
lui, la madre non mangia pane.<br />
In tutto si trattiene meno di un’ora. Eppure sostenere una<br />
conversazione con sua madre è faticoso. Ormai parla soltanto<br />
lui. Quando le narra di faccende legate alla sua attività di<br />
scrittore, Nicolò si sente in colpa perché sa che a sua madre<br />
non gliene frega nulla. Allora le racconta le beghe dell’ufficio,<br />
o qualcosa sul figlio piccolo F<strong>il</strong>ippo, con risultati appena<br />
più apprezzab<strong>il</strong>i. Sua madre vorrebbe parlare di suo padre,<br />
forse, del passato, a tutti i vecchi piace ricordare. Ma a lui<br />
non piace farlo, non con sua madre almeno. Fatto è che la<br />
conversazione è sempre sul punto di spirare.<br />
«Vuoi che la prendo io quella belva? Me lo inf<strong>il</strong>i tu nella<br />
gabbietta? Poi lo libero a V<strong>il</strong>la Chigi o a V<strong>il</strong>la Ada, nel verde,<br />
non ti preoccupare… Che vuoi che gli succeda? Troverà altri<br />
gatti… Starà benissimo.»<br />
«No, no, lascia perdere…»<br />
«Così poi ti compro un cucciolo di cane, un barboncino, te<br />
lo regalo <strong>il</strong> prossimo Natale, okay?»<br />
«No, no…»<br />
«Ma perché mi vuoi togliere questo piacere di regalarti un<br />
cucciolo a Natale?»<br />
«No, no, Nicolò, lascia stare…»<br />
Ecco <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio. Un s<strong>il</strong>enzio che gli parla di incancrenita<br />
solitudine, sempre più avara di parole e di sentimenti. Nicolò<br />
osserva sua madre china sul piatto da mangiare e un morso<br />
gli stringe <strong>il</strong> petto.<br />
«Sei triste, mamma?», le dice infine per scaricare <strong>il</strong> senso<br />
di colpa.<br />
«No, no, perché? Be’, che vuoi, un po’ più di compagnia…<br />
IL SORCIO 13<br />
Tua sorella prima veniva qualche pomeriggio, adesso mai, la<br />
trattengono fino a tardi in ufficio poveraccia… La giornata è<br />
lunga…»<br />
Nicolò cambia discorso. Lui le dedica solo un’ora a settimana<br />
alla madre, ed è la stessa volta che le porta le mutande<br />
e le camicie da lavare. Lo psicologo ha fatto di tutto per farlo<br />
vergognare della cosa, ma invano. Nicolò continua alla sua<br />
età di 45 anni a portare la roba sporca a sua madre con un<br />
sopportab<strong>il</strong>e senso di colpa. In fondo è una delle cose che la<br />
tengono occupata, si dice. L’alternativa è la televisione (o <strong>il</strong><br />
solitario).<br />
«Sai, mamma, <strong>il</strong> piccolo ieri mi ha detto che sono <strong>il</strong> papino<br />
migliore del mondo…»<br />
«Ah, sì?»<br />
«Be’, non arriva a fare versi da babbuino come quando<br />
vede la madre, però un po’ deve volermi bene…»<br />
Sua madre accenna un sorriso assai tirato, si vede che le fa<br />
fatica sorridere.<br />
«Per forza dice che sono <strong>il</strong> papino migliore del mondo, ha<br />
avuto solo me!…»<br />
«Anche tuo padre ti voleva bene…»<br />
«Lo so, lo so… Hai sentito zio Fernando? È tornato dall’Argentina?»<br />
«Sì.»<br />
«E ti ha raccontato qualcosa?»<br />
«Dice che hanno visto i pinguini…»<br />
«Ah.»<br />
I fratelli di sua madre e sua sorella Sara costituiscono i cardini<br />
nascosti della sua conversazione con la madre. Le chiede<br />
sempre di loro quando non sa più a che santo votarsi.
14 PROLOGO<br />
«Tutto qua? Non ti ha detto altro?»<br />
Certe volte quasi lo irritano i s<strong>il</strong>enzi di sua madre. Ma si<br />
sforza di non farlo vedere.<br />
Prima di andare via bacia di nuovo in mezzo all’ingresso<br />
dalle gialle pareti sua madre, che gli mette in mano la sacca<br />
della roba pulita e stirata da portare via.<br />
«Ci sentiamo stasera, chiudi, chiudi pure la porta che c’è<br />
corrente…»<br />
Durante la lunga discesa in ascensore, apre la sacca e odora<br />
dentro, per sentire in che misura le camicie abbiano assorbito<br />
l’odore del fumo.<br />
Riprende la Vespa. Neppure un isolato e raggiunge <strong>il</strong> Centro<br />
di Igiene Mentale nel quale si tengono le sue sedute con<br />
lo psicologo. Il Centro – situato in un bel posto, non lontano<br />
da Santa Agnese e dal mausoleo di Santa Costanza dove<br />
Nicolò si è sposato sedici anni fa – è arroccato su una collinetta<br />
di tufo che si ascende attraverso una scalinata immersa<br />
nel verde, oppure attraverso un percorso asfaltato che gira<br />
tutto intorno al poggio. Parcheggia la Vespa in cima alla salita,<br />
nel secondo cort<strong>il</strong>e. Dal quale scende una rampa di scale e<br />
penetra in un ambiente interrato, arredato con mob<strong>il</strong>ia fin<br />
troppo essenziale da ufficio. Si vede subito che si tratta di<br />
una struttura pubblica. Avanza lungo <strong>il</strong> breve corridoio portando<br />
con sé la borsa dei panni puliti (che oggi è quella gialla<br />
con i gladioli bianchi), bussa alla porta del dottor Monaco,<br />
<strong>il</strong> suo analista. Ma nessuno risponde. Si vede che non è<br />
ancora rientrato dal pranzo, del resto Nicolò è arrivato come<br />
sempre in anticipo di una decina di minuti e allora aspetta<br />
nel corridoio seduto su un divanetto foderato di lanosa stoffa<br />
verde, non troppo dissim<strong>il</strong>e dal divano del suo ufficio.<br />
IL SORCIO 15<br />
Mentre aspetta invia al suo amico Miccia questo messaggio<br />
telefonico: «Test omosex – Inf<strong>il</strong>ati un dito nel culo. Puzza di<br />
minchia?» e ride un bel po’ del suo umorismo da caserma.<br />
Invia quel messaggio ad altri amici, anche a un paio che non<br />
frequenta più. Poi si mette a leggere distrattamente una rivista<br />
di quartiere buttata sul tavolino di vetro insieme a dei<br />
rotocalchi. È un mens<strong>il</strong>e ben fatto graficamente, ma davvero<br />
povero nei contenuti. Ci scrive <strong>il</strong> sindaco, che gli dà un lustro<br />
immeritato. A pagina 28 la firma del suo amico Dario campeggia<br />
sopra un articolo che parla di barche a vela e panf<strong>il</strong>i<br />
da diporto. Si sta specializzando, Dario. Nicolò si legge tutto<br />
<strong>il</strong> pezzo, che è ben scritto quanto noioso per lui che nulla sa<br />
di nautica. Le fotografie patinate che lo corredano – scattate<br />
sempre da Dario – rappresentano gli interni lussuosi di un<br />
paio di mega-yacht. Si sistema meglio a sedere e resta per<br />
qualche istante imbambolato a pensare con pena al suo amico<br />
che non vuole più vederlo, poi arriva <strong>il</strong> dottore e allora<br />
molla la rivista sul divano, raccoglie la sua vezzosa borsa<br />
gialla ed entra nello studio.
PARTE PRIMA
IL SORCIO 19<br />
«Lavoro in banca da sedici anni, dottore, e mi deve credere<br />
se le dico che, fino a un anno fa, non avevo mai avuto problemi<br />
seri con nessuno dei miei colleghi…»<br />
«Questo sappiamo che non è del tutto esatto…»<br />
Ha pochi capelli lisci spartiti lateralmente, l’analista. Gli<br />
occhialetti con sott<strong>il</strong>e e quasi invisib<strong>il</strong>e montatura sul naso<br />
aff<strong>il</strong>ato, la figura asciutta e magra, la posa quasi sempre<br />
riflessiva e seria, ma pronta ad aprirsi al sorriso come in questo<br />
momento. Volendolo descrivere una volta per tutte, si<br />
potrebbe dire che rientra benissimo nel tipo dello psicanalista,<br />
almeno secondo <strong>il</strong> canone di Nicolò, coltivato più al<br />
cinema e nei libri che nella realtà. Magro ma non smunto,<br />
nel suo completo di velluto a coste con le immancab<strong>il</strong>i<br />
Clarks o con i mocassini Lotus color testa di moro ai piedi.<br />
Si veste proprio come si vestiva Nicolò prima che gli venisse<br />
la pancia. Gli occhialetti tondi gli danno, all’analista, una<br />
certa aria intellettuale che non guasta. Non è soltanto un<br />
uomo colto e intelligente che è piacevolissimo sentir parlare.<br />
Dev’essere anche un uomo che acchiappa, come si dice.<br />
Nicolò ci giurerebbe. E questo gli conferisce un ulteriore elemento<br />
di fascino.
20 PARTE PRIMA<br />
«Be’, diciamo che ho attraversato, come tutti, qualche piccola<br />
scaramuccia, qualche frizione, sono stato oggetto di pettegolezzi<br />
acidi, maldicenze, ho subìto più di una rampogna<br />
dai capi… Roba insomma di normale amministrazione…»<br />
«Più che sufficiente comunque a indurle una certa… come<br />
vogliamo chiamarla… alienazione?»<br />
«Già, ma niente però che minacciasse seriamente me stesso,<br />
la mia dignità, come succede quasi quotidianamente<br />
oggi…»<br />
Nicolò racconta, partendo dall’inizio, parte sempre dall’inizio<br />
lui, per non sbagliare, per non tralasciare niente, sa<br />
bene che anche le cose che non gli sembrano dapprincipio<br />
importanti nella terapia possono avere molto valore. E allora<br />
comincia da quando è stato di fatto declassato, trasferito<br />
dal Centro Elaborazione Dati della banca al Back Office<br />
(rapporti con la clientela).<br />
Ha cambiato posto di lavoro, Nicolò Consorti, finendo,<br />
assieme agli altri dieci impiegati del settore, in una sede<br />
periferica, un enorme scantinato che nasconde malamente<br />
la sua originale destinazione di garage condominiale, non<br />
lontano dall’ospedale S. Giovanni. I nuovi proprietari della<br />
sua azienda per prima cosa hanno pensato bene di chiudere<br />
al pubblico la sede centrale – un palazzotto del Seicento<br />
appena restaurato vicino a piazza di Pietra – per togliersi di<br />
torno la questuante clientela dei mutuatari, dirottandola ai<br />
loro uffici distaccati. Ma le rogne pur sensib<strong>il</strong>i del lavoro, la<br />
scomodità e la lontananza della sede, non c’entrano quasi<br />
nulla con <strong>il</strong> problema di Nicolò. Il suo problema si chiama<br />
Sorcio, soprannome di Eraldo Martelli, un collega di lavoro<br />
basso, pelato, panciuto, che per oscure ragioni lo disprezza e<br />
IL SORCIO 21<br />
quasi quotidianamente gli infligge grevi minacce, ingiurie,<br />
maledizioni varie. Il nomignolo – di cui va fierissimo (lui<br />
stesso si chiama così, Sorcio, o per fare dello spirito, dottor<br />
Sorcio) – gliel’ha affibbiato qualcuno in relazione alla sua<br />
attività di responsab<strong>il</strong>e del CRAL aziendale. Quando Nicolò<br />
fu assunto in azienda lui ricopriva da anni questo incarico, <strong>il</strong><br />
Sorcio era già un’istituzione nell’Istituto. Non ha mai capito<br />
come un essere così rozzo, ignorante e volgare possa aver<br />
conquistato la stima e la fiducia di tanti colleghi che anno<br />
dopo anno l’hanno sempre riconfermato nel suo incarico.<br />
Vero è che Nicolò non ha una grande considerazione dei<br />
suoi colleghi.<br />
«Si sente superiore a loro?»<br />
«Be’, che vuole che le dica…»<br />
«La verità, dica la verità, a noi ci interessa la verità!»<br />
«Allora è esatto.»<br />
Di nemici <strong>il</strong> Sorcio ne ha sempre avuti molti. Anche quel<br />
poveraccio di Sergio Lerici, <strong>il</strong> collega sordomuto, si becca un<br />
giorno sì e l’altro pure le sue battute volgari, i suoi lazzi e i<br />
suoi moccoli. Forse li odia entrambi perché non hanno mai<br />
aderito al CRAL aziendale, già, questa potrebbe essere una<br />
ragione. Ma a che serve rimontare alle originali motivazioni:<br />
<strong>il</strong> suo odio si nutre di ancestrali e irragionevoli furori. Lui li<br />
disprezza, perché li vede diversi e deboli, fuori dal gregge (<strong>il</strong><br />
sordomuto a causa del suo handicap, Nicolò per la sua morbosa<br />
riservatezza).<br />
«Che potremmo chiamare anche aristocratico distacco o<br />
alterigia…»<br />
Con Lerici <strong>il</strong> Sorcio diventa perfino demoniaco, dice su di<br />
lui le cose peggiori ad alta voce anche passandogli accanto,
22 PARTE PRIMA<br />
tanto non può sentire… Lerici si è più volte sfogato con<br />
Nicolò, finché in lacrime gli ha detto: «Ma ti rendi conto,<br />
passa davanti alla mia scrivania e mi spara una scoreggia,<br />
facendo anche la mossa…» Nicolò non ha assistito personalmente<br />
all’accaduto ma dei colleghi sì, e gliel’hanno confermato<br />
alla lettera. Ma poi ineffab<strong>il</strong>mente hanno concluso:<br />
«Ma sì, è fatto così, ma è un pezzo di pane, non farebbe male<br />
a una mosca!» Il Sorcio gli soffia <strong>il</strong> fumo del sigaro in faccia,<br />
al muto, come è solito chiamarlo, oppure smanaccia sopra la<br />
sua scrivania mettendogli in subbuglio le carte… Con Nicolò<br />
è appena più cauto. Si limita a insultarlo in modo indiretto,<br />
parlando con altri, anche al telefono: «Sta’ sicuro che prima<br />
d’annammene je rompo er culo a quer verme che scrive i<br />
libbri… M’abbasta una mano sola… Nun ce credi?»<br />
Un giorno che a Nicolò scorreva nelle vene un po’ di sangue<br />
in più del solito, ebbe <strong>il</strong> fegato di attaccare <strong>il</strong> calendario<br />
sul vetro del separé per nascondersi agli occhi del Sorcio. Lui<br />
se ne avvide immediatamente.<br />
«Me togli la luce, leva quer cazzo de calendario…»<br />
«Ma io ho bisogno di attaccare <strong>il</strong> calendario e questi fogli,<br />
sai, i numeri dei notai… Come si fa?» rispose Nicolò.<br />
Il Sorcio si alzò, afferrò con una mano <strong>il</strong> calendario e lo<br />
staccò dal vetro con violenza facendolo cadere per terra.<br />
«Ecco, se fa così…»<br />
Nicolò, anziché aggredirlo o riattaccare <strong>il</strong> calendario, si<br />
sedette e stette per dieci minuti a osservare lo screen saver<br />
del computer. Il Sorcio aveva ripreso <strong>il</strong> suo lavoro.<br />
«Be’, grazie a Dio mi sono spostato, almeno non ho più <strong>il</strong><br />
suo fiato velenoso sul collo: adesso fra noi c’è una mezza<br />
parete ricolma di faldoni e un paio di separé.»<br />
IL SORCIO 23<br />
Dovrebbe andarsene in pensione fra un paio d’anni, <strong>il</strong> Sorcio,<br />
cosicché Consorti e Lerici non possono che aspettare<br />
impazienti. Un giorno, davanti alle erogatrici automatiche<br />
dei caffè, Lerici gli ha detto: «Non reagire, Nicolò, dammi<br />
retta, ormai manca poco…» Ma Nicolò non ha seguito <strong>il</strong> suo<br />
consiglio. Si è più volte lamentato con <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e, un<br />
quadro mite e scoglionato, anch’egli vicino alla pensione,<br />
che non ha fatto mai nulla per far cessare quegli abusi. «Io<br />
vedo tutto – gli ha detto ambiguamente alludendo nella stessa<br />
misura al fatto che Nicolò scrive le sue cose nei tempi<br />
morti e alle reazioni scostumate e violente del Sorcio – non<br />
sembra, ma io vedo tutto e sento tutto.» Il responsab<strong>il</strong>e è<br />
uno che ne ha le palle piene di ogni cosa e non vuole grane,<br />
una scelta, da svariati punti di vista, del tutto rispettab<strong>il</strong>e,<br />
secondo Nicolò, che non si sente certo di biasimarlo.<br />
Due parole sul suo capo ch’è sottomesso con i superiori e<br />
spesso galante con le impiegate più giovani. Ha superato i<br />
sessanta, <strong>il</strong> suo capo, eppure è ancora un bell’uomo dall’aria<br />
vissuta. Ha capelli neri non più folti che ricadono in un ciuffo<br />
ribelle e un po’ anacronistico sulla fronte scolpita di rughe.<br />
Il volto è regolare, aff<strong>il</strong>ato, anch’esso segnato da rughe lunghe<br />
e profonde. In perfetta forma fisica, asciutto, senza un f<strong>il</strong>o di<br />
pancia. Vestito in modo convenzionale, quasi sempre in cravatta,<br />
estate e inverno con interi grigi di vari tessuti che gli<br />
assicurano un’aria compassata e affidab<strong>il</strong>e da travet.<br />
Lo ha dunque scavalcato, Nicolò, <strong>il</strong> suo capo, e si è rivolto<br />
al sindacato e per <strong>il</strong> suo tramite ha inviato vibrate proteste al<br />
capo del Personale, con cui ha poi avuto un breve scambio<br />
epistolare via ema<strong>il</strong>. «Fra poco, massimo fra una ventina di<br />
giorni, le assicuro che <strong>il</strong> Martelli verrà trasferito, per intanto
24 PARTE PRIMA<br />
mi curerò io stesso di richiamare l’interessato.» Nicolò non<br />
sa se <strong>il</strong> Sorcio sia mai stato richiamato, fatto sta che non è<br />
stato ancora trasferito e continua a insultarlo e sbeffeggiarlo<br />
impunemente.<br />
Sua moglie, Stella, gli ha consigliato di prenderlo di petto,<br />
ma lui ha paura, da sempre, dello scontro fisico.<br />
«Lei ha piuttosto paura di aver paura, perdoni <strong>il</strong> gioco di<br />
parole…»<br />
«Comunque <strong>il</strong> risultato è che abbozzo, consumandomi <strong>il</strong><br />
fegato.»<br />
Una ventina di giorni fa <strong>il</strong> sordomuto gli ha posato sulla<br />
scrivania un foglietto pubblicitario azzurro di una certa<br />
Patrizia Coraggio, maga e cartomante. Gli ha fatto cenno di<br />
leggerlo e poi di raggiungerlo al bagno. Così ha fatto. Lo ha<br />
preso per un braccio e si è guardato attorno circospetto nella<br />
bianca sala da bagno di fronte ai candidi e traslucidi pisciatoi.<br />
Poi gli ha detto con la sua inconfondib<strong>il</strong>e voce satura di<br />
vibrazioni: «Ho preso appuntamento per domani pomeriggio,<br />
alle sei, è qui vicino… Tu vieni?» Non ha mai creduto a<br />
queste cose, Nicolò, un tempo lo facevano anche incazzare.<br />
Ma lo stesso ha fatto cenno di sì e gli ha dato una robusta<br />
stretta di mano, qualcosa di intimo e cameratesco. Il sordomuto<br />
non gli è simpatico, prova una istintiva diffidenza, e<br />
perfino repulsione, verso di lui: qualcosa di sconcio gli pare<br />
che sempre trasudi dal suo aspetto prospero, dal suo largo<br />
sorriso a comando. Non ha mai accettato prima d’ora niente<br />
di più di una formale e dignitosa confidenza. Ha rifiutato un<br />
sacco di volte i suoi inviti per <strong>il</strong> caffè alle macchinette. Cambia<br />
sempre discorso quando accenna alla sua incasinatissima<br />
vita privata (tradimenti f<strong>il</strong>mati, figli seviziati dai nonni,<br />
IL SORCIO 25<br />
robaccia del genere che sembra inventata lì per lì per stupirti<br />
e che invece probab<strong>il</strong>mente è vera).<br />
L’indomani i due colleghi si trovano in f<strong>il</strong>a in un’angusta e<br />
puzzolente scalinata di un vecchio palazzone popolare. L’ascensore<br />
è rotto e gli toccano sei piani a piedi. Nicolò si sente<br />
le narici intasate dall’odore del cavolo lesso, persistente e<br />
disgustoso, che ha appestato la tromba delle scale. Il sordomuto<br />
arriva abbastanza in forma, Nicolò ansima come un<br />
moribondo. Eppure ha solo quattro anni più di lui. Lerici gli<br />
dice qualcosa sullo sport e l’allenamento che Nicolò non<br />
ascolta mentre aspettano davanti alla porta ridipinta di rosa<br />
dell’appartamento.<br />
Appare sulla soglia un omino magro magro, sciupato, con<br />
un toupet corvino malamente calzato sul capo. Costui dopo<br />
alcune cerimonie scambiate con Lerici, li introduce in un<br />
largo e spoglio corridoio e poi in una rustica sala d’aspetto,<br />
con teste di animali impagliati alle pareti. Due donnette<br />
sedute su una panca di legno – una delle due di colore –<br />
aspettano <strong>il</strong> loro turno come fossero dal dentista. Nicolò<br />
dedica qualche istante del suo pensare al contrasto fra la<br />
porta rosa e quella sala d’aspetto campagnola. Si accomodano.<br />
Il suo collega non sta zitto un attimo, maledizione, è al<br />
settimo cielo per questo loro inaspettato rapporto che deve<br />
scambiare follemente per uno sbocciare di amicizia. Gli parla<br />
delle sue proprietà, si vanta di aver rifatto tutto l’impianto<br />
idraulico della sua casa in montagna da solo, e poi passa ai<br />
figli, che si fa tutto per loro, e poi alla politica…<br />
«Spara ovvietà, condite di stomachevole buonsenso, a raffica<br />
e in ogni direzione. È <strong>il</strong> classico rappresentante di quella<br />
che veniva un tempo chiamata con giusto disprezzo maggio-
26 PARTE PRIMA<br />
ranza s<strong>il</strong>enziosa.» Nicolò lo fredda così: «Stiamo un po’ zitti,<br />
vuoi, Lerici, così pensiamo a quello che cazzo dobbiamo<br />
dire…»<br />
«Gli si può dire qualunque cosa al sordomuto, tanto non si<br />
offende mai. Gli rimbalza tutto, è di gomma… Non so se ha<br />
presente <strong>il</strong> tipo, dottore?»<br />
Mezz’ora dopo l’omino (che somiglia in modo impressionante<br />
al pasticciere sotto casa sua, sia nei capelli posticci che<br />
nell’aspetto mac<strong>il</strong>ento) li accompagna dalla maga, che è una<br />
donna dall’aria qualunque, una cinquantenne minuta totalmente<br />
priva di appeal. Non hanno nulla di particolare,<br />
eccentrico o tanto meno sinistro né lei, né <strong>il</strong> locale nel quale<br />
riceve, un banale salottino finto coloniale con pochi ninnoli<br />
solo vagamente esoterici, proprio a volerli definire tali a tutti<br />
i costi, e quadri da quattro soldi – st<strong>il</strong>e metafisico con cavalli<br />
e rovine – alle pareti.<br />
Neppure un ritratto del demonio, pensa Nicolò. O forse sì,<br />
quel satiro fra le fronde potrebbe esserne una personificazione.<br />
Lei sta dietro una scrivania di rovere lunga e stretta<br />
con un riquadro di pelle bordeaux a fregi dorati. Il piano è<br />
ingombro di svariati oggetti di cancelleria, di qualche libro<br />
r<strong>il</strong>egato, dello schermo del computer, di alcuni vasetti di<br />
porcellana cinese, di una copia r<strong>il</strong>egata del Kamasutra. Poi<br />
c’è un minuscolo televisore tascab<strong>il</strong>e acceso su un programma,<br />
per l’appunto, di consigli astrologici ed esoterici, con <strong>il</strong><br />
volume tenuto al minimo.<br />
La donna fuma lunghe sigarette bianche e sott<strong>il</strong>i, di marca<br />
Capri. Lerici le <strong>il</strong>lustra la faccenda, con poche frasi evidentemente<br />
preparate. La donna guarda i due impiegati, un sorriso<br />
non molto convinto le indugia sugli zigomi pronunciati:<br />
IL SORCIO 27<br />
«Mi serve una foto del vostro collega, i suoi dati anagrafici e<br />
astrologici», dice. Quindi alza lo sguardo: «E poi, come vi ho<br />
già detto al telefono, qualcosa di personale, dei peli, dei capelli,<br />
un fazzoletto, che servono da oggetti di trasferimento…»<br />
Lerici si <strong>il</strong>lumina tutto (aspettava da un po’ questo momento)<br />
e cava dalla tasca della giacca una fotografia scattata<br />
durante l’ultimo rinfresco di Natale, nell’archivio, in una<br />
selva di faldoni grigi contenenti pratiche di mutuo sotto un<br />
neon giallastro da ospedale. «Ecco, è <strong>il</strong> terzo, quello pelato<br />
che non ride… La data di nascita è 5 novembre 1948, scorpione,<br />
ascendente toro.» Porge alla maga un pezzetto di stoffa,<br />
che sostiene appartenere a una giacca del Sorcio.<br />
La maga prende un pennarello rosso e fa un cerchio attorno<br />
al Sorcio sulla foto. Poi cava da un sacchetto del muschio<br />
grigio che ci spiega essere un misto di verbena e stramonio e<br />
petali di rosa canina, lo cosparge sulla foto, che poi copre<br />
con le due tozze mani appuntate sul piano della scrivania.<br />
Nicolò nota soltanto ora le unghie laccate di un colore neutro,<br />
trasparente.<br />
Sul grasso dito mignolo r<strong>il</strong>uce un anello d’argento tempestato<br />
di rubini.<br />
«Ha qualche malattia, che voi sappiate?»<br />
«È cardiopatico… Ha avuto due piccoli infarti…» lo anticipa<br />
puntualmente Lerici.<br />
La maga ci pensa un po’ su. Pronuncia una serie di parole<br />
incomprensib<strong>il</strong>i, ora in rima e ora no, che Nicolò non si<br />
sforza neanche di decifrare. Gli resta in testa qualcosa come:<br />
La nuvola del tetto magico letto arinui arinui…<br />
«Vi accontentate di un avvertimento, immagino… Come<br />
vogliamo regolarci per <strong>il</strong> momento?»
28 PARTE PRIMA<br />
«Morto!», scandisce Nicolò, prendendo finalmente la<br />
parola. La sua voce lascia nell’aria una nota solenne, così<br />
almeno gli pare. La donna deve averla colta, e lo guarda con<br />
affettazione di rispetto.<br />
«C’è qualcun altro che odiate così, oltre al vostro collega?»<br />
«No.» dice <strong>il</strong> sordomuto. Ma la maga continua a guardare<br />
Nicolò.<br />
«Be’, no.»<br />
«Ne è sicuro?… Guardi, non deve mentirmi…»<br />
Si alza ed esce dalla stanza. Ricompare due minuti dopo<br />
con un pupazzetto di crine inf<strong>il</strong>zato all’altezza del petto da<br />
uno sp<strong>il</strong>lone dorato. Estrae da un cassetto della scrivania<br />
una candela nera e chiede a Nicolò di accenderla. Si siede,<br />
posa l’oggetto sul tavolo, riempie l’interno della bamboletta<br />
col suo muschio olezzante e con <strong>il</strong> piccolo riquadro di stoffa.<br />
Ripete la formula esoterica di prima o forse è un’altra. Ora al<br />
pupazzo è attaccata non sa come la foto e nella stanza c’è<br />
penombra e odore di acido fenico. Lerici fissa la fiammella<br />
della candela con una faccia credulona e ammirata, da vero<br />
coglione, riflette Nicolò seguendone <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o tremolante<br />
alla luce della candela con tutto <strong>il</strong> disprezzo di cui è capace.<br />
Il suo disprezzo, se ne rende conto, è esorbitante.<br />
«Mi dà fastidio tutto di quell’handicappato, ma è soprattutto<br />
fisicamente che nasce la mia ripulsa. Quel suo corpo<br />
goffo, deformato dal grasso, quella sua faccia prospera che<br />
non sembra mai sfiorata dal dubbio, la sua smania di comunicare,<br />
quale patetica rivalsa sociale…»<br />
«Eppure lei ha deciso di seguirlo…»<br />
«Già… Questo può darle la misura di quello che provo per<br />
<strong>il</strong> Sorcio…»<br />
IL SORCIO 29<br />
«Sentite che qui, combinazione proprio sul cuore, è più<br />
molle <strong>il</strong> tessuto…» continua la maga. «Dovremmo avere i<br />
primi effetti <strong>il</strong> primo giorno di luna piena, che è sabato 10…»<br />
Estrae lo sp<strong>il</strong>lone e lo inf<strong>il</strong>a nuovamente nello stesso punto<br />
dicendo: «Sp<strong>il</strong>la, io ti prendo affinché tu possa servire ad<br />
allontanare e a causare del male a tutti coloro che io vorrò,<br />
nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.» Una<br />
pausa piuttosto lunga e poi esclama con la voce arrochita:<br />
«Fuland!, Surgat!, Mora<strong>il</strong>!», facendo gesti rituali in direzione<br />
della bamboletta. Lo sp<strong>il</strong>lone trapassa agevolmente la stoffa<br />
del pupazzo, sbucando sulla schiena. «Causa <strong>il</strong> male al Sorcio,<br />
fino a quando ti toglierò.»<br />
Nicolò scende in garage con <strong>il</strong> piccolo. Stella lo aspetta<br />
davanti all’ingresso di casa. Fa manovra con fatica perché<br />
tanto per cambiare è sbronzo.<br />
«Ti dispiace guidare tu?» chiede a Stella mentre monta in<br />
macchina. Da quando hanno litigato perché lui guidava<br />
fumato in una strada di montagna, sulle Dolomiti, le chiede<br />
spesso di guidare.<br />
«No, ti prego…» fa lei, e si accomoda la gonna sotto al<br />
sedere, e aggiunge a mezzavoce per non farsi udire dal piccolo:<br />
«Hai bevuto Nicolò?»<br />
«No, no, che palle!»<br />
Il piccolo gli chiede di accendere lo stereo.<br />
«No, F<strong>il</strong>ippo, ti prego…» dice Stella, annusando l’aria<br />
sospettosa.<br />
Ma lui ha già messo <strong>il</strong> frontalino dell’autoradio e ha inserito<br />
la prima cassetta che trova sotto <strong>il</strong> cruscotto, e cioè una
30 PARTE PRIMA<br />
comp<strong>il</strong>ation di Guccini. A metà del primo pezzo, Stella si fa<br />
muta e pensierosa. Stanno già sul raccordo all’altezza dei<br />
palazzoni universitari di Tor Vergata quando comincia la<br />
canzone Culodritto. È un pezzo dedicato alla figlia piccola<br />
del cantautore. Sul finestrino sf<strong>il</strong>ano, in una assorta e distonica<br />
sequenza, un campo arido, due vecchi operai su un’Ape<br />
arancione, e lungo la linea dell’orizzonte, alti palazzi di vetro<br />
che riflettono le gru e <strong>il</strong> cielo azzurro punteggiato di nubi.<br />
Alla fine del pezzo, che hanno ascoltato tutti, anche F<strong>il</strong>ippo,<br />
in religioso s<strong>il</strong>enzio, Stella fa:<br />
«Bella, eh?»<br />
«Carina, sì…»<br />
«No, non carina, bella, bellissima anzi. E tu è inut<strong>il</strong>e che<br />
dici carina con quell’aria di superiorità e degnazione, perché<br />
tu non saresti mai capace di scriverla!»<br />
«Non credo, infatti…»<br />
«Continui a fare dello spirito ma guarda che dico sul serio,<br />
tu non sei capace di raccontare quei sentimenti semplici,<br />
sani, naturali…»<br />
«Chi te l’ha detto che non sono capace?»<br />
«Lo so. Tu sai scrivere solo di mostri… E poi ti meravigli<br />
che non ti leggono!»<br />
Nicolò si mette con <strong>il</strong> muso. Intanto ascoltano altri gloriosi<br />
pezzi di Guccini: La locomotiva, Argentina, Eskimo…<br />
«Diciamo, dottore, che mi piace Guccini, ma non mi piace<br />
affatto la parte di quello a cui piace Guccini…»<br />
«Papà, leva questo strazio!» esclama <strong>il</strong> piccolo, F<strong>il</strong>ippo, che<br />
un mese fa ha compiuto sei anni.<br />
«No, no, no! – sbotta Stella – lo voglio sentire. Per una volta<br />
che voglio sentire io qualcosa accidenti…»<br />
IL SORCIO 31<br />
L’atmosfera immediatamente si guasta.<br />
«Papà, papà, metti Jesus Christ, dai, oppure Anime salve…»<br />
«No, F<strong>il</strong>ippo, lasciamole sentire Guccini ché le piace tanto…»<br />
«Sì, mi piace! E allora?»<br />
«E che soprattutto le fa bene all’umore…»<br />
«Pensa al tuo, di umore…»<br />
Ascoltano Eskimo, alla fine della canzone la donna ha gli<br />
occhi gonfi e si deve soffiare <strong>il</strong> naso. Lui vorrebbe trattarla<br />
male. Comincia a guidare a scatti per farla arrabbiare. Suona<br />
spesso <strong>il</strong> clacson. Fa sorpassi azzardati lungo la Pontina. Ma<br />
Stella non protesta, sta lacrimando, si soffia <strong>il</strong> naso più volte,<br />
si guarda nello specchietto del parasole, asciugandosi gli<br />
angoli degli occhi truccati.<br />
All’altezza di Pomezia e dei suoi sempre anonimi e tristi<br />
agglomerati, dice:<br />
«Commoventi queste canzoni, eh…»<br />
«Dipende chi le ascolta», le fa lui, mentre i colori accesi di<br />
un distributore della Esso chiazzano di rosso e nero <strong>il</strong> finestrino.<br />
Intanto le canzoni tristi e malinconiche di Guccini continuano<br />
a suonare.<br />
«Che vuoi dire?»<br />
«Niente.»<br />
Stella seguita a piangere fino a che non arrivano al mare.<br />
Mentre Nicolò fa manovra per entrare nel giardino, lei gli fa,<br />
soffiandosi <strong>il</strong> naso per l’ennesima volta:<br />
«A me Guccini mi fa piangere, che ti devo dire?»<br />
«Ah, sì? Non me n’ero accorto…»<br />
La donna scoppia a ridere. Bene, finalmente la smette,
32 PARTE PRIMA<br />
pensa Nicolò. E però si trova a dire, senza volerlo, severamente:<br />
«Non c’è un cazzo da ridere!»<br />
«Papà non dire le parolacce!» interviene da dietro <strong>il</strong> piccolo.<br />
«Ecco, te lo dice pure lui…» fa Stella mentre la risata le si<br />
squaglia sulla faccia come cera bruciata.<br />
Scaricano lo sm<strong>il</strong>zo bagaglio per <strong>il</strong> weekend, fanno le scale<br />
nel retro, e salgono in casa. Abitano al piano di sopra, che è<br />
stato costruito da poco da una ditta altoatesina ed è accogliente<br />
e ben messo, mentre l’appartamento di sotto è vecchio<br />
di trent’anni e cade a pezzi.<br />
Abbandonano <strong>il</strong> bagaglio sul pavimento dell’ampio<br />
ingresso e Nicolò accende la luce debole dei faretti d<strong>il</strong>igentemente<br />
allineati sul soppalco di legno. Quindi Stella gli si<br />
para davanti e gli fa: «Sei arrabbiato?»<br />
«Tu che dici?»<br />
«Be’, perché?, sentiamo…» fa lei, incrociando le gambe e<br />
dondolando appena su un’anca in una posa incrongruamente<br />
sensuale.<br />
«Sentiamo!? – esclama Nicolò – ti pare normale piangere<br />
per tutto <strong>il</strong> tragitto?… Dovrei essere contento?»<br />
«Tu non c’entri!»<br />
«Appunto, io non c’entro…»<br />
«Sono un po’ malinconica, che è?, non si può?… Il tuo<br />
romanzo non è nostalgico? Da quando sei in analisi non fai<br />
che ricordare, ricordare, ricordare…»<br />
«Okay, ma poi non è questo…» fa Nicolò, scacciando con<br />
un movimento secco della mano una ridda di pensieri<br />
molesti.<br />
«E cos’è allora?» fa Stella, ma già si allontana a sistemare <strong>il</strong><br />
bagaglio e a fare cose in cucina.<br />
IL SORCIO 33<br />
«Non te ne frega un cazzo, eh?» le fa affacciandosi alla porta.<br />
«Di cosa?»<br />
«Di sapere, di sapere che ho…»<br />
«No, dimmi, mi frega, mi frega, è solo che se non mi do da<br />
fare stasera non mangiamo.»<br />
«Intanto non sopporto quei ridicoli paragoni fra me e<br />
Guccini, ecco. Fino a questo punto non ami più quello che<br />
scrivo, fino al punto di paragonarlo a un cantautore?!…»<br />
Stella sbuffa seguitando a ficcare roba dentro <strong>il</strong> congelatore.<br />
«Anzitutto Guccini è anche uno scrittore… E comunque…<br />
Qual è <strong>il</strong> punto? Devo stare continuamente a farti i<br />
complimenti?»<br />
«Non ti piace più quello che scrivo, ecco <strong>il</strong> punto, e dunque<br />
non ti piaccio più io… Non mi ami più.»<br />
Nicolò, crogiolandosi nel suo umore nero e nel suo vittimismo,<br />
si chiude in camera, tira fuori la fiaschetta di vodka<br />
polacca dalla tasca esterna della borsa da viaggio, e se la ficca<br />
sotto la cintura.<br />
«Mi fumo un sigaro fuori…» le dice poi ed esce nel buio<br />
del giardino. C’è un odore forte di legna bruciata, di sambuco,<br />
di salsedine. È un odore che ama. La notte sta scendendo<br />
lentamente, <strong>il</strong> cielo grigio e blu è già crivellato di<br />
stelle ed è spettacoloso e immenso. In città non è mai così <strong>il</strong><br />
cielo notturno. È al contrario sempre un po’ sbieco, povero,<br />
spezzato.<br />
Rientra facendo attenzione a non barcollare. Siede sul<br />
divanetto giallo accanto al piccolo, e fissa lo schermo della<br />
tivù dove scorrono fotogrammi di uomini a cavallo, parrucche<br />
che volano fuori da una finestra, <strong>il</strong> fondo argenteo di<br />
una piscina attraversato da una pioggia di coriandoli rossi.
34 PARTE PRIMA<br />
Prende la mano del piccolo e la tiene stretta nella sua finché<br />
<strong>il</strong> bimbo non s’addormenta con la testa adagiata sulla sua<br />
gamba. Poco dopo gli chiede tutto impastato di sonno:<br />
«Mammina?»<br />
«È in bagno a prepararsi per la notte…»<br />
«A mammina non piacciono i tuoi romanzi, vero? Per<br />
questo avete litigato…»<br />
«Sì, ma adesso abbiamo fatto pace… Stai tranqu<strong>il</strong>lo, piccolo,<br />
dormi…»<br />
«Papà, puzzi di alcol, non ti far sentire da mammina.»<br />
«Okay, piccolo, grazie.»<br />
Nicolò ha cominciato a sognarselo la notte, <strong>il</strong> Sorcio, e sono<br />
quasi sempre incubi di sue grevi e pubbliche sopraffazioni.<br />
«Cristo, io non campo più!» ha sospirato stamattina a Stella<br />
dinanzi al caffè bollente e alla sua figura ancora stravolta dal<br />
sonno al di là del tavolo da cucina. Per Nicolò questo è uno<br />
dei momenti più piacevoli della giornata, malgrado la prospettiva<br />
del lavoro da cominciare. L’unico momento in cui<br />
sono davvero soli. Purtroppo dura solo un paio di minuti.<br />
«Ma ti puoi rovinare la vita per un collega?»<br />
«Non è un collega qualsiasi, è <strong>il</strong> Sorcio.»<br />
«Okay, è <strong>il</strong> Sorcio. E allora?»<br />
«E allora si tratta di un essere perfido, ripugnante, capace<br />
di tutto… Mi ha augurato di crepare in poche settimane di<br />
cancro al fegato. Ti rendi conto?»<br />
«Secondo me se tiri fuori i denti, lui s’ammoscia…»<br />
«Ecco perché parli!… Perché non sai!… Ti ho mai detto di<br />
Follini, quel collega piccolino mezzo alcolizzato col diabete?<br />
IL SORCIO 35<br />
Be’, un giorno ha provato a rispondergli male al Sorcio, che<br />
lo tiranneggiava anche a lui… Il Sorcio gli è saltato al collo, e<br />
ha cominciato a stringere, stringere… Se non interveniva <strong>il</strong><br />
capo e due altri colleghi lo strozzava…»<br />
«Ah!»<br />
«Quello è capace di tutto, per questo <strong>il</strong> capo stesso lo teme<br />
e non gli dice niente, e lo copre con <strong>il</strong> Personale… È uno<br />
matto, capisci?, uno che potrebbe fare qualunque cosa…<br />
anche manomettermi la Vespa, magari, oppure darmi una<br />
coltellata…»<br />
«Questa è paranoia. Ti senti perseguitato… Che dice lo<br />
psicologo freudiano?»<br />
Tiene per un po’ la tazza del latte a mezz’aria, riflettendo.<br />
«E se fosse l’alcol? è normale che… Guarda che si inizia<br />
così, e poi si comincia a odiare tutto <strong>il</strong> mondo…»<br />
Nicolò si è chiuso in bagno, ha aperto la doccia al massimo,<br />
per non sentire le geremiadi di sua moglie e cacciare<br />
nell’oblio le minacciose parole dello psichiatra: «Alla lunga<br />
mi chiede… Alla lunga si assume tutti lo stesso atteggiamento<br />
irritab<strong>il</strong>e e asociale…»<br />
Il solito imbarazzante s<strong>il</strong>enzio e lo psicologo che si guarda la<br />
punta delle scarpe.<br />
«Stava pensando a qualcosa?…»<br />
«Sì… Ripensavo a un momento magico con Dario, l’amico<br />
con cui ho rotto da un po’… Stavamo a Ostia con i tossici,<br />
quattro o cinque anni fa…»<br />
«Con i tossici?…»<br />
«Sì, eravamo andati a Ostia, allora eravamo amici, direi al
36 PARTE PRIMA<br />
massimo dell’amicizia… Prima che io gli rovesciassi addosso,<br />
tramite ma<strong>il</strong> e telefono, un mare di insulti…»<br />
«Non me ne ha mai parlato!»<br />
«Sì, non mi va di parlarne, forse un giorno lo farò. Comunque<br />
io dovevo scrivere un pezzo per un settimanale…»<br />
Era perfettamente a suo agio, Dario, del tutto presente a se<br />
stesso al contrario di Nicolò che se la faceva sotto. Quel fatto<br />
di presentarsi entrambi come giornalisti della carta stampata<br />
faceva chiaramente molto piacere a Dario, che aveva<br />
appena cominciato a collaborare al settimanale di quartiere<br />
e anche a Nicolò che poteva togliersi di dosso per qualche<br />
ora la divisa del bancario frustrato. I contatti con l’unità di<br />
strada li aveva presi Dario, che faceva le notti da un po’ in un<br />
ricovero di tossici. Aveva organizzato ogni cosa anche per<br />
Nicolò.<br />
«Era magnifico trovarsi la pappa pronta, e poi lavorare con<br />
<strong>il</strong> proprio migliore amico, naturalmente, ma non stavo bene<br />
e certi dettagli di Amore tossico e di Christiane F. e di Tondelli<br />
e chissà che altro, mi mulinavano sgradevolmente nella<br />
testa…»<br />
«Parla di f<strong>il</strong>m?»<br />
«Certo. Di f<strong>il</strong>m, di scrittori…»<br />
I due amici arrivano nel luogo convenuto alle undici di<br />
mattina. Il pulmino blu è già posizionato al margine di via<br />
Carolina, poco prima che la pineta sbocchi sulla zona abitata.<br />
Stanno per scendere quando uno degli operatori, quello<br />
che conosce Dario, gli viene incontro pregandoli di parcheggiare<br />
più lontano.<br />
IL SORCIO 37<br />
Dario sf<strong>il</strong>a lo stereo dalla guida interrompendo di botto<br />
l’assolo del sax di Donna Cuncè di Pino Daniele. Mentre<br />
scendono Nicolò sentenzia:<br />
«Pino Daniele oggi è <strong>il</strong> nulla, ma allora era davvero grande!»<br />
«Era grande anche perché noi eravamo giovani e le sue<br />
note si sono appiccate a immagini di noi che ci sono care…»<br />
Dice sempre cose sensate e interessanti, Dario, per questo<br />
gli vuole bene e sta bene con lui.<br />
L’unità di strada è composta da tre persone: un medico,<br />
uno psicologo e un operatore volontario ex tossico. «Se<br />
vedono altre macchine intorno possono insospettirsi – gli<br />
spiega quest’ultimo, che non porta affatto <strong>il</strong> marchio dell’eroina,<br />
deve aver smesso da parecchio – pensano subito alla<br />
polizia. E poi spesso arrivano che stanno proprio a rota e<br />
allora magari frenano sgommando e se non trovano la strada<br />
libera è un guaio, vanno a sbattere dove capita… È una<br />
precauzione per voi, capite?»<br />
Dario entra subito nella parte, comincia a parlare con <strong>il</strong><br />
medico, Ces<strong>il</strong>io, un ragazzo calvo che prima lavorava al Sert<br />
di Ostia, a pochi isolati da qui. Nicolò sulle prime ascolta<br />
distratto. È ancora sotto l’impressione della scena appena<br />
descritta. La mattinata che li aspetta non si annuncia come<br />
una passeggiata sotto <strong>il</strong> sole. L’istinto è andar via subito, al<br />
diavolo <strong>il</strong> reportage, ne farà un altro, ma deluderebbe Dario.<br />
Comunque, prima di poter prendere decisioni, già cominciano<br />
ad arrivare i primi gruppetti di tossici che gettano le<br />
siringhe usate in un secchio giallo posto sul marciapiede<br />
dove spicca la scritta Rifiuti ospedalieri trattati. I tre operatori<br />
li accolgono con sobria cordialità, gli danno le siringhe nel
38 PARTE PRIMA<br />
numero richiesto e accessori quali garze, kleenex inzuppati<br />
di spirito o di acqua ossigenata, raccoglitori di siringhe usate.<br />
Gli allungano un foglio dove sono tenuti a scrivere <strong>il</strong><br />
nome, <strong>il</strong> numero di siringhe fornite e quelle rese. La maggior<br />
parte si va a infrattare dietro un cespuglio di rovi poco<br />
distante, pochi riprendono la macchina per bucarsi altrove.<br />
«Ma non capita mai che chiedano le siringhe e poi non le<br />
restituiscano?» chiede Dario.<br />
«Altroché se capita! Almeno capitava.»<br />
Entra nel pulmino e ne riesce subito dopo con un una<br />
tabella che gli mostra tutto orgoglioso. «Vedete, siamo partiti<br />
due anni fa con una percentuale del 94 per cento di siringhe<br />
non restituite. Un valore altissimo. Scrivetelo sui vostri<br />
giornali. E oggi, guardate, lo scorso mese appena <strong>il</strong> 4 per<br />
cento.»<br />
I due amici si complimentano in un modo un po’ goffo,<br />
manieristico, quasi lo stessero prendendo per i fondelli. Lui<br />
sorride e dice – rivolto a Dario – che quel risultato è assai<br />
meno trascurab<strong>il</strong>e di quanto non sembri a prima vista. A<br />
parte l’ut<strong>il</strong>e servizio sociale di favorire lo smantellamento<br />
urbano delle siringhe usate, c’è un altro aspetto, più importante,<br />
che va considerato. E cioè che le unità di strada rappresentano,<br />
per i tossici, l’unico veicolo di comunicazione<br />
non conflittuale con <strong>il</strong> resto della società. «Noi mettiamo<br />
subito le cose in chiaro con loro. Se si rivolgono alla nostra<br />
struttura debbono sottostare alle regole che vigono qui. Prima<br />
regola, restituire le siringhe che gli forniamo. E poi, poca<br />
confidenza. Non facciamo gli amiconi, non gli offriamo<br />
sigarette o caffè. Rapporti di cordialità e di massimo rispetto,<br />
certo, ma niente di più. Se abbassassimo la guardia,<br />
IL SORCIO 39<br />
immediatamente entreremmo a far parte del loro mondo, e<br />
verrebbe meno quella distinzione dei ruoli che è <strong>il</strong> principio<br />
su cui si basa tutto <strong>il</strong> nostro lavoro, e che ci permette di rappresentare<br />
ai loro occhi una zona franca, un punto di riferimento<br />
e un eventuale punto di fuga.»<br />
Continuano ad affluire tossici come in un supermercato.<br />
Diffic<strong>il</strong>e trarne un identikit. Ce n’è di tutti i tipi. Dal ragazzetto<br />
con tutta la famiglia che lo aspetta in macchina, nonna<br />
compresa, sul lato opposto della strada, al quarantacinquenne<br />
meccanico in tuta da lavoro, al figlio di papà di Casal<br />
Palocco, che scende da un’auto di grossa c<strong>il</strong>indrata e si presenta<br />
con un’aria di degnazione e poi si va a bucare altrove,<br />
perché, spiega <strong>il</strong> medico, conserva ancora la nozione della<br />
propria superiorità sociale: «Ma già tende a omologarsi, fra<br />
qualche settimana o qualche mese, anche lui comincerà a<br />
comportarsi e perfino a vestirsi come loro e a bucarsi dietro<br />
la siepe.» Poi è la volta di una ragazza di colore, Esther,<br />
accompagnata dal pappone su una Thema verde metallizzato,<br />
un mingherlino slavato e mezzo calvo con occhiali scuri<br />
che gli nascondono gli occhi. L’uomo si tiene parecchio lontano<br />
dal pulmino, saluta la ragazza con un bacetto sulla<br />
guancia e aspetta di vederla arrivare a destinazione come un<br />
papà premuroso che accompagna la figlioletta a scuola.<br />
Tutti i clienti guardano i due giornalisti con aria un poco<br />
diffidente, sospettosa. Ma non è soltanto questo a rendere<br />
Nicolò inquieto. Il fatto è che da quando sono arrivati prova<br />
la sgradevolissima sensazione di navigare in un voyeurismo<br />
compiaciuto, morboso, come quando al cinema assisti a stupri<br />
e sbudellamenti seduto su una comoda poltrona. Nei gesti<br />
dei tossici e degli operatori, in quelli ansiosi dei primi e in
40 PARTE PRIMA<br />
quelli apparentemente neutri e asettici ed efficienti dei secondi,<br />
sembrano convivere in una perfetta sintesi la tragedia e la<br />
quotidianità, al punto da rendere impensab<strong>il</strong>e un mondo<br />
diverso da questo. Accentua questa sinistra impressione l’isolamento<br />
in cui sono calati. A via Carolina di gente normale ne<br />
passa davvero poca: tanto che lo stesso Ces<strong>il</strong>io è quasi trasecolato<br />
vedendo a un tratto passare una ragazzina con un cane al<br />
guinzaglio. «La gente ci è ost<strong>il</strong>e. Anche la polizia. Qualcuno ci<br />
ha perfino accusato di alimentare <strong>il</strong> fenomeno.»<br />
Si sente sopraggiungere un’Ape tutta sferragliante sull’altro<br />
lato della strada. «Scusate un attimo» gli fa Ces<strong>il</strong>io con<br />
un sorrisetto tirato. «Questi sono un po’ diffic<strong>il</strong>i, vi consiglio<br />
di…» Non riesce a concludere la frase, che i passeggeri dell’Ape<br />
sono già presso <strong>il</strong> pulmino. Si tratta di due fratelli sui<br />
vent’anni e una ragazzina, la moglie del più giovane. Tutti e<br />
tre sono piuttosto malridotti, specie Mimmo, <strong>il</strong> più estroso<br />
ed eccitato del gruppo, che si annuncia con un «Daje<br />
Roma!» e un sonoro fischio da pecoraro. Poi stringe la mano<br />
al medico, che gli porge la sua con una certa r<strong>il</strong>uttanza.<br />
Indossa jeans tutti sforacchiati e un camicione a righe lacero<br />
e, annondata attorno al collo, una vistosa sciarpa giallorossa.<br />
Dietro le spalle, uno zainetto, pure giallorosso. «Allora, tutto<br />
a posto?» fa al medico accostandoglisi sempre più sino ad<br />
alitargli in faccia. «Niente sigarette, eh? Niente caffè… Me<br />
dai la mano che pare che ci ho la lebbra…» Ride con un’aria<br />
spavalda, di sfida, mettendo in mostra uno scempio di denti<br />
guasti. Si rivolge agli altri due: «Ci avemo la lebbra…»<br />
Ces<strong>il</strong>io si prova a quietarlo: «No, Mimmo, no, così non va<br />
bene, che è questo atteggiamento oggi?»<br />
«Che atteggiamento, ma de che parla questo?»<br />
IL SORCIO 41<br />
«Okay, okay, lasciamo perdere, avete riportato le siringhe?»<br />
«Ce l’avemo, ce l’avemo…», fa Mimmo, consentendo<br />
pigramente con <strong>il</strong> capo e frattanto si toglie di dosso lo zainetto<br />
e comincia frugarvi dentro e a tirare fuori della roba<br />
che poggia sul cofano del pulmino: due panini, un barattolo<br />
vuoto, un paio di cucchiaini di metallo anneriti.<br />
«Nun ce stanno più…» Si rivolge al fratello: «Ahò, a Marco,<br />
’ndo cazzo l’hai messe…»<br />
«L’ho già buttate nel secchio.»<br />
«E dimmelo, no? Me fai tira’ fòri tutto, li mortacci tua…»<br />
Il medico lancia un’occhiata interrogativa ai suoi colleghi<br />
che confermano. Mimmo è l’ultimo a fare rifornimento,<br />
mentre Marco e la moglie ragazzina si sono già incamminati<br />
verso <strong>il</strong> cespuglione di rovi.<br />
«Damme una siringa, l’ovatta… Sì, così, bagna, bagna, de<br />
più, de più, vòi risparmia’? Eppoi un guanto…»<br />
«Un guanto?»<br />
«Sì, sì, hai capito, hai capito, un guanto, damme un guanto.»<br />
Interviene <strong>il</strong> medico:<br />
«Il guanto di gomma non è previsto. La lista la conosci:<br />
siringhe, preservativi, cotone idrof<strong>il</strong>o…»<br />
«Sì, sì, lo so, lo so… Me serve un guanto, avanti, non la fate<br />
tanto lunga, che ve frega…»<br />
«Ma a che ti serve?»<br />
«So’ cazzi mia…»<br />
Il medico fa cenno di assecondarlo. Presa tutta la roba,<br />
Mimmo si avvia verso la fratta, ma si arresta quasi subito e,<br />
tornando sui suoi passi e camminando all’indietro come un<br />
gambero, chiede al medico di tirargli su la manica della<br />
camicia e di versargli dello spirito: «Puoi farlo da solo.»
42 PARTE PRIMA<br />
«Ci ho le mano occupate, nun lo vedi?»<br />
Il medico lo asseconda ancora. Mimmo lo osserva canzonatorio,<br />
paraculo, mentre quello gli tira su con due dita le<br />
maniche sudice della camicia.<br />
«Te fa schifo, eh? Te cachi sotto…» poi, rivolto a noi, «E<br />
pure voi ve cacate sotto, ve’?, pure te, pennellone, che ridi<br />
con quella bella faccia da cazzo…»<br />
«Non va bene, Mimmo, – fa <strong>il</strong> medico, mentre Dario va<br />
perdendo i colori – oggi non va bene proprio. La prossima<br />
volta bisogna che facciamo un discorsetto noi due.»<br />
«Come no?, se dovemo di’ ’na cifra de cose…»<br />
Finalmente è pronto per andare. Ma esita, li guarda alternativamente,<br />
affettando stupore come se si fosse accorto di<br />
loro solo in quel momento.<br />
«E ’sti due?», dice.<br />
«Sono amici – gli fa <strong>il</strong> medico – non ti preoccupare, vai, vai<br />
pure…»<br />
«E chi se preoccupa… Però si so’ veramente amici, dateje<br />
’na spada pure a loro… Così devono torna’…» Poi, rivolgendosi<br />
a Dario: «La vòi ’na spada pennello’?»<br />
Dario fa cenno di no con <strong>il</strong> capo a lungo, con stolida insistenza.<br />
Mimmo corre verso la fratta, agitando con una mano<br />
la spada e con l’altra lo sciarpone giallorosso e gridando a<br />
pieni polmoni un motto da stadio. Mentre i tre si bucano<br />
dietro la siepe, <strong>il</strong> medico gli parla di Mimmo, ch’è malato di<br />
Aids da due anni e peggiora di salute di giorno in giorno e<br />
tuttavia continua a farsi come e più di prima non avendo più<br />
niente da perdere e per lo stesso motivo è assai diffic<strong>il</strong>e contenerlo<br />
nel comportamento. Il fratello invece è sieropositivo<br />
e tempo fa gli ha chiesto di informarne la moglie poiché lui<br />
IL SORCIO 43<br />
non ne aveva <strong>il</strong> coraggio. «Ci siamo rifiutati, naturalmente.<br />
Non sta a noi prendere decisioni del genere.»<br />
Quando tornano, Mimmo ha un braccio tutto insanguinato.<br />
Gli altri due gettano d<strong>il</strong>igentemente le siringhe usate nel<br />
secchio giallo. Mimmo esita.<br />
«Perché cazzo dovete mettelo laggiù!» dice dopo un po’,<br />
indicando <strong>il</strong> secchio posto a tre o quattro metri di distanza.<br />
Lo pregano di non fare storie. «’Sto cazzo! Lo vojo qua… È<br />
’na questione de principio…»<br />
«Adesso basta!» esplode <strong>il</strong> fratello rabbioso. «Va’ a butta’<br />
quella spada, stronzo!»<br />
Lui ubbidisce, guardandolo impaurito. Soltanto in questo<br />
momento sono emersi i reali rapporti di forza fra i due.<br />
«Mimmo fa solo teatro» gli spiegheranno più tardi. «Marco<br />
invece è violento e imprevedib<strong>il</strong>e e <strong>il</strong> fratello lo teme. Un<br />
giorno l’ha picchiato qui stesso, dopo <strong>il</strong> buco. Se non intervenivamo<br />
era capace d’ammazzarlo. Pareva impazzito.»<br />
A un certo punto Mimmo comincia a tossire forte, poi strabuzza<br />
gli occhi e per un paio di minuti se ne sta imbambolato,<br />
dondolando sulle anche e fissando <strong>il</strong> vuoto innanzi a sé come<br />
un demente. Dario domanda preoccupato se si sente male.<br />
«Un po’ sì, un po’ finge…», spiega Ces<strong>il</strong>io.<br />
«No, finge e basta! – dice <strong>il</strong> fratello Marco. – Forza, a Mimmo,<br />
che famo tardi, datte ’na mossa…»<br />
Quando Mimmo si riprende, prima di congedarsi, pretende<br />
di dare la mano a tutti. Si è pulito e disinfettato, pure<br />
mentre stringe quella mano gelida e rasposa, non riesce a<br />
censurarsi un moto quasi di terrore. Anche Dario ha ceduto<br />
ormai definitivamente all’angoscia: è terreo e ha la bocca<br />
impastata.
44 PARTE PRIMA<br />
Come l’Ape smarmittata e strombazzante si d<strong>il</strong>egua alla<br />
svolta della via, Nicolò domanda al medico se quella stretta<br />
di mano può comportare dei rischi. Il medico lo rassicura,<br />
ripetendogli cose che sa benissimo, e che magari ha anche<br />
detto a sua volta in qualche occasione, biasimando le forme<br />
di ghettizzazione verso i malati di Aids.<br />
Tornando a casa, Nicolò e Dario furono taciturni e pensierosi.<br />
«Ce la farai a scriverne?», gli disse Dario. Lui non rispose<br />
e si chiese a lungo <strong>il</strong> senso di quella domanda.<br />
Lo psicologo, le gambe accavallate dietro la scrivania, ha<br />
un sorriso di vanitosa soddisfazione sul volto, che soltanto<br />
adesso Nicolò si accorge quanto somigli a quello di Dario, la<br />
stessa radice del naso, la stessa piega malinconica del labbro.<br />
Senza dire nulla al sordomuto, Nicolò ha preso contatto<br />
nuovamente con la maga, con la quale si è lamentato per<br />
telefono dell’inefficacia della fattura.<br />
«E <strong>il</strong> Sorcio continua a schizzare veleno, oppure si è calmato?»<br />
gli ha chiesto, sorprendendolo per la memoria, ma non<br />
ha aspettato la sua risposta. «Parliamone a voce. L’aspetto<br />
venerdì alle diciotto, le va bene?»<br />
«Altri trem<strong>il</strong>a?»<br />
«Non per telefono, abbia pazienza, dottore…»<br />
«Mi scusi, allora okay. A venerdì.»<br />
«Venga da solo per favore. Ho bisogno di vederla da solo. Il<br />
suo amico è tornato e mi ha fatto strani discorsi… Vuole che<br />
si lavori anche sulla moglie e sul suocero…»<br />
«Sarei venuto solo comunque.»<br />
Arriva con mezz’ora abbondante di anticipo, Nicolò, sic-<br />
IL SORCIO 45<br />
ché aspetta come la prima volta nella sala d’attesa in piedi<br />
perché non gli va di sedersi. Ad attendere oltre lui stavolta<br />
c’è un prete, con vestiti civ<strong>il</strong>i e clergyman. Dopo dieci minuti<br />
di attesa, non ce la fa più a trattenere oltre la curiosità.<br />
«Ma anche lei sta aspettando per parlare con la maga<br />
Coraggio?»<br />
«Già.» risponde <strong>il</strong> prete laconicamente e con l’aria un po’<br />
seccata. Dopo l’arrivo di un terzo ospite, una signora molto<br />
elegante e scosciata sui quaranta, esclama:<br />
«Si può sapere che accidente ci venite a fare tutti qui? Che<br />
cosa vi aspettate di trovarci?»<br />
Immediatamente l’omino col toupet interviene:<br />
«Eh no, padre Ferruccio, lei non è qui per fare prediche…»<br />
«Lo dico anch’io!» esclama la donna scosciata che, Nicolò<br />
se ne accorge solo adesso, è proprio una bella fica e lo sta<br />
guardando in cerca di un assenso che lui però non se la sente<br />
di concederle, chissà perché.<br />
Il prete sbuffa rumorosamente, ma non replica.<br />
Quando l’omino si toglie di mezzo, Nicolò va a sedersi<br />
accanto al prete. La donna ora non lo guarda più e lui si sente<br />
più tranqu<strong>il</strong>lo.<br />
«Padre, – gli fa a bassa voce, accostandosi per non farsi<br />
sentire – mi scusi se glielo chiedo, ma perché lei è qui?»<br />
«Perché… – risponde senza abbassare <strong>il</strong> tono – Perché un<br />
cretino come voi ci è rimasto fregato… E adesso piange!»<br />
Ma non fa in tempo a spiegare oltre che l’omino – miracolosamente<br />
ricomparso alle sue spalle – lo interrompe: «Venga,<br />
padre, venga ad aspettare di qua, la prego…»<br />
«Oh, finalmente!», fa la donna sospirando. «Così la smette<br />
di insultare <strong>il</strong> prossimo!»
46 PARTE PRIMA<br />
Il prete li guarda con disprezzo, poi scompare dietro una<br />
tenda che Nicolò non aveva notato. Fissa a lungo la testa di<br />
un cervo impagliato sulla parete. Poi si mette a leggere una<br />
rivista di gossip. Ogni tanto lancia un’occhiata vaga alle<br />
cosce bianche e accavallate della donna, che calza scarpe<br />
appuntite, dal tacco assai alto, lucidissime, con un lembo di<br />
pelle nera stesa sopra la scarpa come una foglia.<br />
«Bel modo di fare <strong>il</strong> prete!» commenta quasi fra sé la donna,<br />
ma lui non solleva la testa.<br />
Finalmente è <strong>il</strong> suo turno.<br />
«Ha fatto bene a venire da solo…» lo accoglie la maga.<br />
«C’era un prete in anticamera…»<br />
«Sì, padre Ferruccio, è appena andato via… Abbiamo buoni<br />
rapporti con la parrocchia, anzi ottimi…»<br />
«Lui non sembrava tanto contento! Fra l’altro mi ha anche<br />
dato del cretino… Non a me direttamente, ma…»<br />
«Ha un brutto carattere…» taglia corto la donna. «Ma<br />
veniamo a noi, al nostro Sorcio… Che novità?»<br />
«Vede, – dice Nicolò – io sono tornato perché non ne posso<br />
davvero più, sono esasperato, anzi ossessionato, me lo<br />
sogno la notte, mi sta rovinando la vita, devo fare qualcosa…»<br />
Dicendo questo Nicolò nota che sulla scrivania c’è uno<br />
schema disegnato, ripartito per i giorni della settimana, delle<br />
ore magiche del giorno e della notte.<br />
«Vuole vedere, guardi, guardi pure – dice la donna porgendogli<br />
<strong>il</strong> foglio. – Vede, la prima ora del giorno è sempre quella<br />
dominata dal pianeta che regola l’intera giornata e gli altri<br />
pianeti si susseguono sempre nello stesso ordine…»<br />
Nicolò osserva senza capire ma consentendo con la testa.<br />
IL SORCIO 47<br />
«Lei ha uno sguardo scettico. Lei non crede a niente, vero?<br />
Non a Dio, non ai pianeti, né a me…»<br />
Nicolò prende la domanda molto seriamente. Così, fissando<br />
le mani tozze e inanellate della donna, dice: «Qualche<br />
anno fa le avrei risposto di sì, oggi non lo so, non so più…<br />
Non sopporto quelli che ostentano la loro fede come se fosse<br />
una griffe. Alla figura di Gesù però ci credo, ecco, diciamo<br />
questo. Credo alla sua soprannaturale pietà, credo alla sua<br />
passione.»<br />
Mentre lo dice, si accorge che non è quella la sede per<br />
strologare sulla Trinità, allora si blocca improvvisamente.<br />
«Lei ha una paura fottuta del Sorcio…», cambia infatti discorso<br />
la donna.<br />
«Sì.»<br />
«Perché? Il suo collega, vede, posso capirlo… È sordomuto,<br />
è in un perenne stato di inferiorità… Ma lei, alto, ben<br />
messo… bell’uomo…»<br />
«Grazie.»<br />
«Perché mai?»<br />
«Ma lei fa la maga o la psicologa?»<br />
«Vuole che la aiuti?»<br />
Nicolò fa cenno di sì, la donna pure:<br />
«Ho bisogno di capire fino a che punto, fino a che punto<br />
sarebbe disposto ad andare…»<br />
«Lei mi aveva promesso…» dice Nicolò abbassando un po’<br />
<strong>il</strong> tono di voce e accennando una croce nell’aria con l’indice.<br />
«Io non le ho promesso niente. Il Sorcio non è uno come<br />
tutti gli altri tanto per cominciare…»<br />
«Cioè?»<br />
«Cioè…»
48 PARTE PRIMA<br />
Resta sospesa inseguendo con gli occhi, come fosse un<br />
moscerino, un pensiero.<br />
«Parliamoci chiaro… <strong>il</strong> Sorcio è protetto dal malocchio<br />
come un blindato. Ma è bene essere consapevoli che, una<br />
volta lanciato un incantesimo, si dà inizio a una catena di<br />
eventi che non potrà più essere spezzata. Una volta in moto,<br />
non c’è più possib<strong>il</strong>ità di ritorno, e ogni eventuale sv<strong>il</strong>uppo<br />
dovrà essere affrontato con coraggio e salda fermezza. Si<br />
potranno alterare in misura limitata le conclusioni, ma non<br />
si potranno riportare le cose allo stato in cui erano all’inizio,<br />
prima dell’intervento. È chiaro questo?»<br />
Nicolò assente ancora pure se non riesce a capire dove<br />
intende arrivare la maga, la quale aggiunge che ci vuole del<br />
tempo perché faccia effetto la fattura, di questo sostiene che<br />
lo aveva avvertito.<br />
«Ma noi, se vogliamo qualche risultato subito, dobbiamo<br />
arrangiarci in un’altra maniera…»<br />
«Quale maniera? Una pozione?»<br />
«No, niente magia, potremmo dargli un avvertimento, una<br />
lezioncina, da fargli passare l’estro di rompere i coglioni,<br />
non so se mi spiego…»<br />
«Si spiega benissimo.»<br />
«Conosco qualcuno che potrebbe aiutarla.»<br />
«E cosa le fa credere che poi smetterà di molestarmi?»<br />
«Di solito si calmano…»<br />
«Potrebbe vendicarsi…»<br />
«Be’, questo non si può escludere.»<br />
«Voglio pensarci.»<br />
«Bene, intanto prenda questo.»<br />
Gli mette in mano un biglietto da visita smagliante di tipo-<br />
IL SORCIO 49<br />
grafia con la scritta in r<strong>il</strong>ievo: «Dottor Mike Lozzi. Investigatore.»<br />
Sotto c’è <strong>il</strong> numero di un cellulare e nessun indirizzo.<br />
Dopo l’ennesima um<strong>il</strong>iazione inflittagli dal Sorcio, ha aspettato<br />
<strong>il</strong> primo momento libero del telefono e ha composto<br />
quel numero di cellulare. C’è stato a lungo <strong>il</strong> messaggio di<br />
libero, poi è scattata una segreteria. Dopo <strong>il</strong> bip, ha detto:<br />
«Salve, sono Nicolò Consorti, questo numero me lo ha dato<br />
la signora Coraggio…»<br />
Ha indugiato un bel po’, alla fine ha attaccato senza lasciare<br />
alcun recapito telefonico. Certo, la maga conosce <strong>il</strong> suo cellulare,<br />
l’investigatore-picchiatore o quello che è potrebbe<br />
averlo da lei… Sicché forse gli telefonerà… Ma ha scartato<br />
come improbab<strong>il</strong>e l’ipotesi. Altre due o tre volte nel corso<br />
della mattinata è stato sul punto di rifare quel numero, ma le<br />
telefonate a ripetizione dei mutuatari gliel’hanno impedito.<br />
Al ritorno dal bagno <strong>il</strong> sordomuto gli ha fatto: «Se ne vanno<br />
tutti, rimaniamo solo noi due in questa fogna piena di merda,<br />
sei contento?»<br />
C’è stato un rinfresco all’ora di pranzo per l’addio a una collega<br />
che se ne va in pensione. Si tratta di una collega ancora<br />
giovane, ficcata nel fondo esuberi e spedita in prepensionamento.<br />
Se ne è andato in questo modo metà dell’Istituto.<br />
Tutta la fascia dei cinquantatreenni. La collega in questione<br />
– la sua amica Paola, una delle poche persone con cui Nicolò<br />
ha legato in azienda – finge di sentirsi sollevata dalla prospettiva<br />
di starsene a casa a poco più di cinquant’anni con <strong>il</strong>
50 PARTE PRIMA<br />
90 per cento dell’ultimo stipendio. Ma in realtà dentro è<br />
malcerta e assai preoccupata per <strong>il</strong> futuro.<br />
«Questa infernale macchina del lavoro le ha avvelenato <strong>il</strong><br />
sangue al punto che la libertà seppure sempre agognata le fa<br />
paura.»<br />
«Ma sì Nicolò, – gli ha detto abbracciandolo stretto – ho<br />
paura di non farcela. Sai, qui sai sempre cosa devi fare: ti<br />
devi alzare la mattina alle sei e correre in mezzo al traffico<br />
per timbrare in tempo <strong>il</strong> cartellino, poi devi rispondere sei<br />
ore al telefono, poi se ti avanza <strong>il</strong> tempo leggi <strong>il</strong> giornale, poi<br />
alle cinque nuovamente <strong>il</strong> cartellino. E poi finalmente a<br />
casa, ma alla sera, quando la giornata è finita o quasi… Bella<br />
vita di merda, sì, però intanto sai cosa devi fare. Da<br />
domani chi mi dice cosa cazzo devo fare? C’è da impazzire a<br />
pensarci…»<br />
«Non è fac<strong>il</strong>e scrollarsi di dosso questa divisa da carcerati.<br />
Comunque impazzirei volentieri al posto tuo…»<br />
«Lo so.»<br />
Nicolò si fa consolare, come se fosse lui ad andare via, e lei<br />
torna ad approntare <strong>il</strong> fondo della sala per <strong>il</strong> suo rinfresco.<br />
Ha portato tutto lei: la pasta e fagioli (cucinata dal marito:<br />
un gagliardo e atticciato sindacalista cinquantenne), i tramezzini,<br />
<strong>il</strong> salame piccante, <strong>il</strong> pane, <strong>il</strong> pecorino del suo paesello<br />
toscano… Ecco, <strong>il</strong> capo dà <strong>il</strong> segnale di via libera, sono<br />
le tredici e un quarto in punto, gli impiegati possono staccare.<br />
C’è un gran strisciare di seggiole sul pavimento, un<br />
contrappunto di sospiri più o meno catarrosi. Ci si avvicina<br />
alla zona rinfresco in fondo allo stanzone. Le vivande sono<br />
state sistemate sopra a una lunga tavolata ottenuta mettendo<br />
le scrivanie in f<strong>il</strong>a per lungo e vecchi, ingialliti tabulati<br />
IL SORCIO 51<br />
elettronici stesi sopra a mo’ di apparecchiatura. Paola fa le<br />
porzioni di pasta e fagioli assieme a un paio di colleghe.<br />
Nicolò si guarda intorno, sono tutti accalcati in un pugno<br />
di pochi metri quadri. Non vede <strong>il</strong> Sorcio. Si avvicina a Paola,<br />
le sussurra nell’orecchio: «Non hai invitato quella merda,<br />
grazie, sei stata un angelo…» Lei gli sorride: «No, Nicolò, io<br />
l’ho invitato ma lui non viene… A proposito, aspetta, aspetta<br />
che ci riprovo…» Si approssima con un piatto di pasta e<br />
fagioli alla scrivania del Sorcio, intento a leggere <strong>il</strong> giornale,<br />
in fondo allo stanzone.<br />
«Allora, Eraldo, che fai, vieni?»<br />
«No.» risponde a voce alta <strong>il</strong> Sorcio. «Ce sta brutta gente!<br />
Nun ce vengo!»<br />
«E dai vieni, Sorcio! non te fa’ prega’!» urla qualcuno.<br />
Ma lui continua a mugugnare nel suo angolo, rifiutando la<br />
porzione di pasta e fagioli fumante che Paola gli ha portato.<br />
«Vedi, – gli fa appena tornata, ancora con <strong>il</strong> piatto in mano –<br />
non viene, meglio così, io la mossa l’ho fatta… Capisci<br />
Nicolò, la dovevo fare la mossa…»<br />
«Ma certo, certo, hai fatto bene, l’importante è <strong>il</strong> risultato,<br />
cioè non avercelo fra i coglioni! Ma secondo te ce l’aveva con<br />
me dicendo brutta gente?»<br />
«Non credo. Ce l’ha con <strong>il</strong> capo che non gli ha dato la<br />
busta…»<br />
«Voleva pure la busta, ma li mortacci sua!» Nicolò non<br />
può fare a meno di esclamare.<br />
«Altroché, ha smadonnato tutto venerdì pomeriggio, tu<br />
non c’eri, gli ha augurato di spendere i prossimi stipendi in<br />
cicli di chemio…»<br />
«Conosco la minaccia…»
52 PARTE PRIMA<br />
La busta sarebbe un premio in denaro (striminzito per gli<br />
impiegati, sempre più cospicuo salendo di grado sino alle<br />
laute prebende dei funzionari di alto livello e dei dirigenti,<br />
accomunati ormai dalla livellante ma pure nob<strong>il</strong>itante etichetta<br />
di manager) che viene elargito ai dipendenti di ogni<br />
settore che hanno br<strong>il</strong>lato nel lavoro durante l’anno. Malgrado<br />
l’esiguità della somma, sono proprio gli impiegati che<br />
sbavano e si scannano per ottenerla.<br />
«Io non l’ho mai presa, e me ne frego», ha detto Nicolò allo<br />
psicologo con malcelata fierezza. «Gente come me, che non<br />
ha mai portato la cravatta, non ha mai fatto mezz’ora di<br />
straordinario, che diserta tutte le convention, che non ha<br />
mai leccato <strong>il</strong> culo a nessuno, come potrebbe prendere la<br />
busta? Ma se non la merito io, tanto meno la merita <strong>il</strong> Sorcio,<br />
che legge <strong>il</strong> giornale sportivo durante <strong>il</strong> lavoro, con le<br />
gambe piazzate sul tavolo e <strong>il</strong> sigaro in bocca, e risponde<br />
sistematicamente male ai clienti al telefono e non riesce neppure<br />
a leggere la posta elettronica… Be’, mi rendo conto che<br />
sono un giudice poco attendib<strong>il</strong>e, perché lo arrostirei nella<br />
brace, gli torcerei le budella se potessi…»<br />
«Certo, ma c’è una verità oggettiva inconfutab<strong>il</strong>e…»<br />
«Allora è proprio così, dottore…»<br />
«Può starne certo.»<br />
Anche Paola non lo regge <strong>il</strong> Sorcio. Lei è una femminista<br />
storica, impegnata nel sindacato rosso. A sua volta <strong>il</strong> Sorcio,<br />
fascistoide, l’ha sempre vista con <strong>il</strong> fumo negli occhi. Alludendo<br />
a lei, dice «quella troia comunista…» o «quella<br />
comunista troia». Con gli anni le asperità si sono addolcite<br />
ed entrambi si scambiano tiratissimi saluti al mattino quando<br />
entrano e alla sera quando escono.<br />
IL SORCIO 53<br />
«Parlo ancora al presente, proprio non riesco a convincermi<br />
che da domani Paola non verrà più e sparirà nell’ombra.<br />
È sempre così purtroppo: si dice ci sentiamo, certo, ci si<br />
scambiano numeri di telefono e indirizzi. Ma poi non se ne<br />
fa niente, ci si perde di vista, ci si incontra giusto ai funerali.»<br />
«C’è un colpevole fatalismo nelle sue parole, se ne rende<br />
conto?»<br />
Al sesto bicchiere di rosso, Nicolò comincia a essere piacevolmente<br />
disposto a partecipare alla festa, sicché scambia<br />
chiacchiere fatue con i colleghi e brinda ogni tanto a qualcosa<br />
e a qualcuno. Quando Paola incrocia <strong>il</strong> suo sguardo e gli<br />
sorride con <strong>il</strong> suo sorriso così grazioso, lui ricambia con più<br />
enfasi del solito. Gli dispiace che se ne vada. Gli mancheranno<br />
la sua aggraziata figura, i suoi vestiti freak sempre molto<br />
raffinati, i suoi discorsi appassionati su politica, buddismo,<br />
medicine alternative, depressione, massaggi (che pratica),<br />
cinema, letteratura…<br />
Adesso ha le lacrime agli occhi, un evento che aveva ampiamente<br />
previsto. Sta parlando fitto con Elena, la sua amica del<br />
cuore (almeno dentro la banca). Anche Elena è commossa.<br />
Elena ha la stessa età, cinquantadue anni, ma avrà lo scivolo fra<br />
un paio d’anni perché ha maturato meno contributi e anche<br />
perché sta brigando, con l’ufficio del Personale e con <strong>il</strong> sindacato,<br />
per ritardare quanto più possib<strong>il</strong>e l’evento che la spaventa.<br />
Pure Elena è amica di Nicolò: anche lei compagna, autoironica,<br />
bisbetica sul lavoro, zitella, meno bella d’aspetto di Paola<br />
e meno raffinata nel look, ma con una sua scabra e sgangherata<br />
intelligenza. A entrambe piacciono i libri di Nicolò e sostengono<br />
che prima o poi abbandonerà la banca. Questo, più che<br />
una condivisa appartenenza ideologica, gliele rende care, per
54 PARTE PRIMA<br />
quanto possano esserlo delle figure che comunque abitano,<br />
per così dire, la sua disgrazia, la parte grigia della sua vita.<br />
«Del resto è così che succede con tutti… Il mondo per lei si<br />
divide in coloro che hanno letto e apprezzato i suoi libri,<br />
degni della sua amicizia, e tutti gli altri…»<br />
«Mi lasciate col Sorcio e col Muto, ma vi rendete conto?»<br />
«Tu te ne andrai presto da qua, stai tranqu<strong>il</strong>lo!»<br />
Alle due colleghe non ha ancora detto nulla della maga, e<br />
dunque loro non l’hanno saputo, a meno che <strong>il</strong> sordomuto<br />
alla fine non abbia spifferato qualcosa, ma ne dubita, non c’è<br />
abbastanza confidenza. Il sordomuto diffida di loro perché<br />
hanno avuto entrambe a che fare con <strong>il</strong> sindacato e lui odia<br />
per principio tutti i sindacalisti.<br />
Ma oggi Nicolò le prende entrambe in disparte e racconta<br />
tutto precipitosamente. Mentre racconta pensa: «Cristo,<br />
comincio a fare quello che non voglio…»<br />
«Tu devi essere matto!», commenta Paola.<br />
«Io gliela darei proprio una bella lezione…»<br />
«E tu sei più matta di lui… Ma ragazzi, vi rendete conto,<br />
cazzo… Siete fuori di testa! Per cose così si va in galera!<br />
Meno male che me ne vado! Cristo…»<br />
«Se l’è meritata una bella lezione!» ripete Elena dando a<br />
Nicolò una pacca sulla spalla come a sottolineare la sua solidarietà.<br />
«Be’, vi terrò aggiornate!», dice lui, deluso da se stesso per<br />
aver parlato senza una reale motivazione, intenzionato a tornare<br />
in mezzo agli altri a bere, a mangiare, a chiacchierare,<br />
per non fare altri danni.<br />
«No, non ti mando via così – dice Paola. – Dimmi che hai<br />
intenzione di fare. Gli telefonerai a quello?»<br />
IL SORCIO 55<br />
«Non ho ancora deciso. Comunque penso di no.»<br />
Osserva le rughe sott<strong>il</strong>i sul collo, più marcate e abbondanti<br />
attorno agli occhi. A Paola quelle rughe la fanno soffrire<br />
molto, lo sa. È stata così bella e desiderata per tanti anni.<br />
Due o tre colleghi hanno perso la testa. Uno di loro ancora le<br />
sbava appresso. I belli faticano di più a invecchiare.<br />
«Lei crede?»<br />
«Lei no?»<br />
«Non so, ma è <strong>il</strong> suo punto di vista che ci interessa… Lei in<br />
quale categoria si metterebbe?»<br />
«Fra i belli, certamente, anche se non lo sono più.»<br />
«È interessante notare come lei sia passato da una rappresentazione<br />
di sé quale bello e rubacuori (nella sua adolescenza)<br />
a quella dello scrittore che osserva e giudica, dell’intellettuale,<br />
coscienza morale, e rompicoglioni, mi permetta,<br />
del gruppo.»<br />
Dopo <strong>il</strong> rinfresco, Nicolò esce per un caffè e si accorge che<br />
la sua macchina (oggi è venuto in auto, la sua Daewoo Nubira<br />
grigio metallizzato) è graffiata sul fianco, una lunga striscia<br />
prodotta con delle chiavi probab<strong>il</strong>mente. È stato <strong>il</strong> Sorcio,<br />
non ci sono dubbi. Non può essere che lui. L’odio gli<br />
monta, subito generoso, si va a lamentare con <strong>il</strong> capo che fa<br />
spallucce come sempre. Gli dice solo che non può dimostrare<br />
che sia stato lui. Se ne torna furioso al suo posto e comincia<br />
a scrivere reiteratamente su un documento aperto: «Il<br />
Sorcio deve morire, <strong>il</strong> Sorcio deve morire e morirà. Il Sorcio<br />
deve morire, <strong>il</strong> Sorcio deve morire e morirà…» E così via<br />
riempiendo tutta la pagina. Alla fine salva <strong>il</strong> documento sul<br />
desktop con <strong>il</strong> nome: morte del <strong>sorcio</strong>.doc.
56 PARTE PRIMA<br />
L’indomani arriva in Istituto alle otto e mezza come al solito.<br />
Registra <strong>il</strong> badge elettronico, raggiunge la propria scrivania,<br />
appoggia la tastiera in precario equ<strong>il</strong>ibrio sopra <strong>il</strong> video, e<br />
stende <strong>il</strong> giornale sul tavolo, come gli altri colleghi (almeno<br />
quei pochi che lo comprano, <strong>il</strong> giornale). Legge la prima<br />
pagina, le pagina della Cultura e poi la cronaca di Roma, ma<br />
subito la vociaccia del Sorcio squarcia <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio con un<br />
quarto d’ora di anticipo rispetto agli altri giorni:<br />
«Telefono, telefono…» urla, e riaggancia rumorosamente<br />
per fargli capire che deve rispondere. Così facendo, con siffatta<br />
rozzezza, gli passa la telefonata. Questo rituale si svolge<br />
da mesi ogni mattina. E lui ogni mattina abbozza, come si<br />
dice, fa pippa… Risponde al telefono, cioè ubbidisce all’ordine<br />
del Sorcio, che oltretutto è di grado inferiore al suo.<br />
Ma oggi Nicolò inaspettatamente non abbozza, non fa<br />
pippa, risponde, con voce forte e sicura:<br />
«Decido io quando rispondere. Digli di richiamare al mio<br />
numero verde dopo le nove.»<br />
«Che cosa?»<br />
«Hai capito benissimo.»<br />
Dopo averlo detto, si rende improvvisamente capace con<br />
terrore che <strong>il</strong> Sorcio non potrà sopportare l’affronto. Infatti<br />
lo sente bestemmiare e spostare rumorosamente la seggiola,<br />
quindi, invisib<strong>il</strong>e, avanzare con passo deciso lungo <strong>il</strong> linoleum<br />
scanalato verso la sua scrivania. Un tuffo al cuore, letteralmente.<br />
Ed eccolo di fronte, rosso come una barbabietola<br />
matura, tutto tremante di collera, un ghigno di disappunto<br />
sul volto paffuto:<br />
«Vieni, vieni de là!» gli fa, con voce strozzata, appuntandosi<br />
con <strong>il</strong> pugno chiuso sulla scrivania come <strong>il</strong> duce e indican-<br />
IL SORCIO 57<br />
do la porta che dà sullo stanzone dell’archivio. «Forza, annamo<br />
de là, che te rompo er culo…»<br />
«Non ho nessuna intenzione di battermi con uno del tuo<br />
livello. Ti rendi conto la distanza siderale che ci separa? Io<br />
sono uno scrittore, tu ti esprimi a stento…»<br />
Il Sorcio scuote la testa e morde i denti.<br />
«Vieni in archivio», ruggisce scoppiando d’ira ma senza<br />
riuscire a pronunciare altro. Nicolò resta immob<strong>il</strong>e mentre <strong>il</strong><br />
Sorcio fa per salire sulla scrivania. Lo raggiunge con una<br />
manata, una via di mezzo fra uno schiaffo e un pugno. Accorrono<br />
un paio di colleghi e <strong>il</strong> capo per trattenerlo. Alla fine si<br />
lascia convincere a mollare. Ma <strong>il</strong> capo trova parole di rimprovero<br />
solo per Nicolò: «Però, Consorti, non dare giudizi tu…»<br />
«Quali giudizi? Ma mi provoca, mi provoca sempre…»<br />
Per l’ennesima volta si sente um<strong>il</strong>iato in un modo intollerab<strong>il</strong>e.<br />
Allora manda una ma<strong>il</strong> al rappresentante sindacale, <strong>il</strong><br />
quale gli risponde a stretto giro: «Non ho ben capito perché <strong>il</strong><br />
Sorcio ti abbia aggredito, ma ho presentato per l’ennesima<br />
volta la cosa al capo del Personale. Credo che lo chiamerà.»<br />
Mezz’ora dopo Nicolò riceve una ma<strong>il</strong> dal capo del Personale,<br />
che come oggetto reca la scritta: «Convocazione» e recita:<br />
«Con riferimento a fatti gestionali accaduti in data odierna, Vi<br />
prego di predisporre la Vostra presenza presso gli uffici della<br />
Direzione del Personale alle ore 12.30 di oggi. Vi prego di confermare<br />
prontamente Vostra presenza. Grazie.» La ma<strong>il</strong> è indirizzata<br />
anche al capo e al Sorcio. Ma <strong>il</strong> Sorcio di sicuro non la<br />
leggerà giacché, come già si è detto, non sa leggere la posta<br />
elettronica. Già Nicolò si crogiola in questa idea di superiorità<br />
e vantaggio quando si accorge che <strong>il</strong> capo ha stampato la ma<strong>il</strong><br />
del capo del Personale e la sta mostrando al Sorcio.
58 PARTE PRIMA<br />
«Mi sono presentato all’appuntamento, negli eleganti e<br />
ordinatissimi uffici del ribattezzato Servizio Risorse Umane,<br />
con un po’ di anticipo.»<br />
Il capo del Personale – un gagliardo, strafico quarantenne<br />
in perfetta tenuta manageriale – gli viene incontro lungo <strong>il</strong><br />
corridoio. Ha un sorriso che vuol significare <strong>il</strong> piacere di<br />
vederlo, ma anche l’amarezza di doverlo fare in una situazione<br />
così incresciosa.<br />
«Ci vediamo fra pochi minuti, prego, intanto si accomodi<br />
qui nella sala riunioni…»<br />
«No, preferisco salutare i colleghi.»<br />
«Bene, aspettiamo gli altri.»<br />
Nicolò va a salutare Lucio, un collega simpatico che racconta<br />
barzellette surreali e tifa per la Lazio. Non gli dice nulla<br />
dell’incontro, spera che sia dalla sua parte, quantunque <strong>il</strong><br />
Sorcio con lui faccia sempre <strong>il</strong> compagnone.<br />
«Perché non scrivi un libro sulla vita mia? Sai le risate…»<br />
Nicolò si ritrova nella sala riunioni, al margine di un lungo<br />
tavolo ovale <strong>il</strong> cui piano lucido manda vivaci riflessi<br />
anche nell’ombra. Osserva per qualche istante un manifesto<br />
incorniciato a giorno dove, sullo sfondo di una giogaia<br />
dolomitica innevata, corre la scritta: SUCCESSO: Fate quel<br />
che potete, con ciò che avete, dove siete (T. Roosevelt). A fianco<br />
un altro manifesto, della medesima grandezza e di soggetto<br />
sim<strong>il</strong>e: OBIETTIVI: Nessuno può dirti a quale altezza<br />
potrai elevarti.<br />
Sul tavolo sono sistemati a ventaglio parecchi numeri di<br />
una rivista di economia e finanza. Prova a sfogliarne una,<br />
ma di questa roba davvero non gliene frega nulla, e soprattutto<br />
nulla capisce (a onta del suo mestiere di bancario) e<br />
IL SORCIO 59<br />
allora la rimette a posto. Molla <strong>il</strong> giornale appena preso in<br />
mano e lascia che l’emozione ansiosa che lo domina fluisca<br />
senza ostacoli o diversioni. In essa c’è anche <strong>il</strong> disagio di<br />
essere vestito peggio del solito, senza calzini. È vero che non<br />
vuole fare carriera, che lui è scrittore e non impiegatuccio,<br />
ma i calzini maledizione doveva metterli. Ma come poteva<br />
immaginare stamani quando si è vestito che ci sarebbe stata<br />
questa convocazione in sede? Alcuni minuti dopo nella sala<br />
riunioni entrano <strong>il</strong> capo del Personale, <strong>il</strong> capo area, <strong>il</strong><br />
responsab<strong>il</strong>e del Back Office cioè <strong>il</strong> suo capo diretto, e infine<br />
<strong>il</strong> Sorcio, che ha un’aria impacciata e um<strong>il</strong>e, gli occhi bassi, le<br />
braccia dietro la schiena. Se non fosse per la calvizie e la pancetta<br />
prominente, sembrerebbe uno scolaro in punizione.<br />
Non lo ha mai visto così. Il Sorcio gli si siede accanto, ma<br />
Nicolò è ostentatamente girato a tre quarti, verso <strong>il</strong> capo del<br />
Personale, per non guardarlo. Il capo del Personale fa un<br />
lungo discorso vago e inconcludente sulla situazione generale<br />
dell’Istituto, allora Nicolò lo interrompe e dice: «La mia<br />
dignità è stata troppe volte calpestata, dottor Riotta. Mi sono<br />
fatto cambiare anche di posto, ma questo signore continua<br />
imperterrito a minacciarmi, a insultarmi… Oggi mi ha messo<br />
le mani addosso…»<br />
«Quello che è accaduto stamani, come stavo per dirvi, –<br />
riprende <strong>il</strong> capo del Personale – non deve assolutamente<br />
ripetersi. Non stiamo in un baretto di borgata, né in un mercato<br />
rionale. Questo Istituto ha cento anni di storia, bisogna<br />
rispettarne l’immagine più che onorata. Non vorrei intraprendere<br />
delle azioni disciplinari proprio adesso che <strong>il</strong> mio<br />
rapporto con i sindacati è ottimo e le trattative procedono a<br />
gonfie vele…»
60 PARTE PRIMA<br />
Dopo di lui parla <strong>il</strong> capo area, un discorsetto breve di<br />
lamentazione verso <strong>il</strong> loro servizio distaccato. «I mutuatari<br />
non dovrebbero telefonare qui in sede lamentandosi con noi<br />
che i numeri verdi non rispondono mai oppure gli rispondono<br />
male…»<br />
«Io sto al telefono tutta la mattina! Non è colpa nostra se<br />
prima si rispondeva in dieci e oggi solo in tre…», fa Nicolò,<br />
con una sicurezza che quasi scandalizza i due dirigenti.<br />
Anche <strong>il</strong> suo capo, che è un semplice Quadro Super e perciò<br />
intimidito dal prestigioso consesso, lo guarda incredulo,<br />
facendo un sì ansioso con <strong>il</strong> capo e profferendo vaghe parole<br />
di consenso.<br />
«E comunque non sono io che tratto male i mutuatari al<br />
telefono!», aggiunge Nicolò per assestare l’ultimo colpo al<br />
suo nemico. Ma <strong>il</strong> Sorcio non reagisce, continua a tenere gli<br />
occhi bassi. Sul piano del tavolo c’è riflessa la sagoma deformata<br />
del suo capoccino calvo e del suo volto acceso da cardiopatico.<br />
«Sa quante ma<strong>il</strong> ho spedito a Dario ieri pregandolo di fare<br />
pace? Una ventina, più un paio di messaggi telefonici, dottore,<br />
si rende conto?… E da parte sua nessuna risposta…»<br />
«Non vuole rassegnarsi alla separazione…»<br />
«Non posso…»<br />
«Vuole dirmi che cosa ha detto a Dario per offenderlo<br />
così?!»<br />
«Gli ho dato del parassita, del fallito, del mantenuto… Gli<br />
ho detto che deve vergognarsi perché si sveglia a mezzogiorno…»<br />
IL SORCIO 61<br />
«Capisco.»<br />
Stanno zitti per un paio di minuti come per misurare la<br />
gravità di quelle parole.<br />
«E se staccassi la spina per qualche tempo? Se me ne<br />
andassi in vacanza per un po’?… Lontano dal Sorcio e da<br />
tutti… In Umbria, sì, in Umbria, nella mia Umbria verde e<br />
s<strong>il</strong>enziosa… Chissà se cambia qualcosa!»<br />
«Non è così lontana l’Umbria… Potrebbe spedire ma<strong>il</strong> a<br />
Dario anche da lì…»<br />
Ma Nicolò continua <strong>il</strong> suo ragionamento:<br />
«Così passo per Foligno e saluto i parenti… Lo psichiatra<br />
mi firmerebbe qualcosa per <strong>il</strong> lavoro, l’attestato di un esaurimento<br />
nervoso non lo si nega a nessuno, non voglio prendere<br />
ferie, sennò mi gioco le vacanze estive… Non verrei neanche<br />
qui da lei per un po’, dottore, questo è evidente…»<br />
«È evidente… Lei ritiene che potrebbe giovarle questo?»<br />
«Non lo so. E lei?»<br />
«Io credo che se lo desidera, vuol dire che è necessario che<br />
lei lo faccia.»<br />
Nicolò non lo ringrazia, ma vorrebbe farlo, perché è esattamente<br />
la risposta che voleva sentirsi dare.<br />
«Prima o poi lo farò…»<br />
A Venezia, due anni prima di morire, suo padre in abito<br />
scuro alla prima del f<strong>il</strong>m di De Santis in sala grande. Non sa<br />
cosa dicesse al suo vicino di posto, ma a lui ch’era in galleria<br />
(con Stella, <strong>il</strong> regista e <strong>il</strong> produttore) sembrò colmo di fierezza.<br />
Alla fine del f<strong>il</strong>m, fra i fischi del pubblico, suo padre<br />
gli si accostò e gli disse: «Questo tuo regista perbacco se
62 PARTE PRIMA<br />
conosce <strong>il</strong> cinema! Ci sono quelle riprese nel bosco che<br />
sono da antologia!»<br />
«Ah, bene, allora ti è piaciuto!»<br />
«Altroché…», poi in una risata di scherno trattenuta e una<br />
strizzata cameratesca alle spalle «Se lo vuoi sapere, è molto<br />
meglio del romanzo…»<br />
Quella precisazione finale, sebbene ingiusta, da lui bisognava<br />
accettarla: non poteva capitolare del tutto, doveva<br />
lasciare uno spiraglio al suo cronico scetticismo (che si<br />
esprimeva in ostentazione di superiorità). Era sempre così,<br />
lui se diceva qualcosa di buono su Nicolò, subito doveva<br />
rimangiarsela. Forse è proprio da questa modalità che è nata<br />
la formula psicologica che contraddistingue molte sue esperienze:<br />
l’attesa ansiosa della disfatta che segna tutti i<br />
momenti lieti e di vittoria. Anche nel coito gli succede così.<br />
Teme <strong>il</strong> dolore dell’eiaculazione (che talvolta davvero prova)<br />
e non si gode l’orgasmo.<br />
«E lei era fiero di se stesso a Venezia, mentre l’altoparlante<br />
diffondeva <strong>il</strong> suo nome e tutto <strong>il</strong> pubblico la applaudiva?»<br />
«No, ero solo confuso, stordito. Ero contento della fierezza<br />
di Stella, questo sì, ero contento che lei fosse al mio fianco in<br />
quel momento. Una sorta di vanità riflessa!»<br />
Tutto <strong>il</strong> giorno gli aveva ripetuto estasiata: «Ma ti rendi<br />
conto che è successa proprio a noi questa cosa? Mi sembra<br />
un sogno!»… Com’era felice! O almeno riusciva a fargli credere<br />
di essere felice e orgogliosa di lui, innamorata della sua<br />
fantasia e della sua immaginazione.<br />
«Come furono belli, malgrado i feroci dolori di pancia,<br />
quei giorni a Venezia con Stella…»<br />
«Mhhh… Ma mi diceva di suo padre al Festival…»<br />
IL SORCIO 63<br />
«Che dicevo? Boh!… Comunque ripenso spesso alle smargiassate<br />
sen<strong>il</strong>i di mio padre, sa, dottore… Una in particolare:<br />
la cena per <strong>il</strong> dottorato di Stella, in una trattoria in faccia a<br />
Palazzo Farnese.»<br />
La lunga tavolata era stata approntata all’aperto, stava<br />
facendo notte quando arrivarono. Rondini volteggiavano<br />
sulla piazza chiazzando d’ombra <strong>il</strong> selciato già scuro. Poca<br />
gente, luce artificiale e luce calante del giorno che disputano<br />
nell’aria grave e appiccicosa. Il prof<strong>il</strong>o elegante del rinascimentale<br />
palazzo che affoga nell’ombra. Una delle due fontane<br />
di marmo <strong>il</strong>luminata da uno strano fascio luminoso<br />
azzurro che non si capisce da dove provenga. C’erano tutti i<br />
parenti di Stella, qualche amico, i suoi… A un certo punto<br />
suo padre alzando la voce gli chiese, indicando la zia di Stella<br />
all’altro capo della lunghissima tavola:<br />
«Dimmi un po’, Nicolò, chi è quella bella fatalona laggiù?»<br />
«Piantala, papà, ti sentono» gli rispose Nicolò a mezzavoce,<br />
con tono e sguardo risentiti. Ma lui continuò, rivolgendosi<br />
a Stella, fingendo di non averlo udito.<br />
«Allora, chi è quella bella fatalona?»<br />
«Mia zia Franca» fece Stella in vistoso imbarazzo.<br />
«Proprio una bella… fatalona! fatalona, va, diciamo fatalona!<br />
ah, ah… Diglielo!»<br />
Lo sentirono tutti, Nicolò ci restò di merda e non gli rivolse<br />
la parola per tutta la cena che fu punteggiata di altre<br />
imbarazzanti esibizioni del vecchio. Avrebbe potuto fac<strong>il</strong>mente<br />
offenderlo, dicendogli solo: «Piantala, papà, ti tingi di<br />
ridicolo, alla tua età gli apprezzamenti sulle donne sono<br />
patetici!», ma non glielo disse. Non voleva farlo soffrire perché<br />
sapeva che su quella faccenda dell’età era quanto mai
64 PARTE PRIMA<br />
vulnerab<strong>il</strong>e. E così, quando faceva uscite sim<strong>il</strong>i, si limitava a<br />
tenergli <strong>il</strong> muso, quando avrebbe potuto farlo capitolare con<br />
una sola parola: vecchio.<br />
«Secondo lei perché si comportava a quel modo?»<br />
«Me lo sono chiesto molte volte <strong>il</strong> perché. So solo che gli<br />
piaceva che stessero tutti a disagio a causa sua, soprattutto<br />
io. Ne traeva un sinistro godimento. Aveva <strong>il</strong> mito dell’anticonformismo,<br />
che doveva ritenere la massima forma di<br />
intelligenza. Sicché cercava sempre l’occasione di esibirlo, <strong>il</strong><br />
suo sprezzante anticonformismo, di farne teatro. Lo esibiva<br />
di preferenza quando Stella era presente. Mio padre si sentiva<br />
<strong>il</strong> fustigatore fiero e inflessib<strong>il</strong>e di tutte le convenzioni<br />
borghesi. Riteneva di poterselo permettere perché lui era un<br />
artista, un intellettuale. È fin troppo fac<strong>il</strong>e cogliere delle analogie<br />
con me, me le risparmi…»<br />
«Era colto suo padre?»<br />
«Molto più di me…»<br />
«Lei glielo riconosceva?»<br />
«Sì, altroché… Be’, in realtà su alcuni argomenti c’era<br />
competizione…»<br />
«…»<br />
«…»<br />
«Non è Joyce, papà – gli dissi – <strong>il</strong> più grande scrittore del<br />
Novecento. Non è Joyce e non è Faulkner, è Proust, è Céline…»<br />
«Ma vattene, non dire sciocchezze… Proust non lo sopporto!<br />
Non riesco a leggerlo! È troppo… troppo piagnone!»<br />
«Sai perché non lo leggi, perché ti fa soffrire!»<br />
«Non dire sciocchezze. Tutti i grandi fanno pensare alla<br />
morte.»<br />
IL SORCIO 65<br />
Le loro erano petizioni di principio, anche i giudizi di<br />
valore. Battagliavano dinanzi alla femmina, a Stella. Facevano<br />
i galli. Si vedeva che segretamente anche suo padre la corteggiava.<br />
Le battaglie i venerdì duravano da quando arrivava a casa<br />
dei suoi a quando se ne andava. Si passava da un programma<br />
televisivo che <strong>il</strong> vecchio aveva giudicato interessante, e allora<br />
Nicolò: «Pessimo… Buono per le sciampiste, le segretarie e<br />
zio Fernando!», all’ultimo f<strong>il</strong>m di Bergman, che <strong>il</strong> vecchio<br />
neppure andava a vedere, per quanto lo detestava, allora<br />
Nicolò gli diceva: «Tu come ti permetti di non andarci? Tutti<br />
gli uomini di cultura dovrebbero andarlo a vedere. È un<br />
dovere.»<br />
«Ma quale dovere! Tu sei pazzo…»<br />
«No, papà, sei tu <strong>il</strong> pazzo che non capisce…»<br />
«Mi avessi detto Buñuel, tanto tanto…»<br />
Le posizioni erano del tutto casuali, almeno per quel che<br />
riguardava Nicolò: purché fosse opposta a quella di suo<br />
padre, avrebbe sposato qualunque causa. Avrebbe gridato al<br />
genio per un f<strong>il</strong>m di Greenaway, pur di dare contro al padre<br />
(successe davvero)! Se suo padre amava Visconti e lui Fellini,<br />
era capace di dichiarare qualsiasi cosa contro Visconti, e suo<br />
padre contro Fellini.<br />
«Il primo Fellini lo detesto. Mi fa schifo! È retorico e piagnucoloso<br />
e falso, proprio come <strong>il</strong> suo amico Bergman.»<br />
«Non sono amici, papà, si conoscono appena! Si vedono ai<br />
Festival.»<br />
«Non è vero, sono culo e camicia!»<br />
«Papà, vuoi scommettere?»<br />
«Piantala!»
66 PARTE PRIMA<br />
Stella assisteva, faceva sì con la testa ora per lui, ora per suo<br />
padre. Aff<strong>il</strong>ava le loro corna, per così dire. Li incitava a continuare,<br />
a mostrare altri colpi.<br />
«A un certo punto mio cognato e mia sorella si stancarono<br />
e non vennero più, forse già gliel’ho detto. Dissero a mia<br />
madre che io e mio padre eravamo degli insopportab<strong>il</strong>i palloni<br />
gonfiati. Tornarono qualche venerdì sera dai miei quando<br />
mio padre si ammalò.»<br />
Stanno zitti qualche istante, forse un intero minuto. Poi<br />
l’analista decide di fare <strong>il</strong> punto: «Suo padre, che nella vita<br />
ha sempre dichiarato di essere scappato di casa all’età di<br />
diciassette anni, in realtà era stato scacciato dal padre per<br />
una reiterata bocciatura a scuola. Be’, c’è una certa differenza<br />
fra le due cose… Lei si rende conto quanto è stato più fortunato<br />
di suo padre? Suo padre si portò sulle spalle per tutta la<br />
vita quell’enorme macigno della cacciata da casa del proprio<br />
padre. Un gesto spietato ed estremo… un gesto biblico.»<br />
«Quasi da suicidio!»<br />
«Assolutamente!»<br />
Come si può giudicare un uomo – come lui fa continuamente<br />
con <strong>il</strong> padre – quando si conosce la verità?<br />
«Quell’uomo dovrebbe suscitare sempiterna pietà sui suoi<br />
sim<strong>il</strong>i, nient’altro!»<br />
Comunque suo padre si ribellò a questa verità così<br />
meschina: cacciato da casa per due bocciature. Si inventò la<br />
romantica fuga da casa, la precoce presa di responsab<strong>il</strong>ità e<br />
di coscienza, la bohème a Roma, l’università a Napoli…<br />
l’impegno politico, la guerra partigiana, i suoi racconti<br />
apprezzati dalla Aleramo, le donne a carrettate, le canzoni<br />
che componeva e interpretava ai Café Chantant…<br />
IL SORCIO 67<br />
Qualcosa di vero c’era, naturalmente, ma la verità era virata<br />
in mito.<br />
«Lo fece per non suscitare pietà, lui non sopportava la pietà<br />
di nessuno, tanto meno dei figli. Ma quello che voleva era<br />
dimostrare al mondo, in realtà solo a suo padre (come successe<br />
anche a me), che lui qualcosa nella vita, e da solo, era<br />
riuscito a farla. Il padre di mio padre – <strong>il</strong> Maestro Omero,<br />
come lo chiamavano tutti, <strong>il</strong> calvo e ieratico Omero – era<br />
stato direttore di banda a Montefalco, Matelica, Camerino…<br />
che a quell’epoca, e in quella zona dell’Italia centrale, era un<br />
mestiere molto meno folcloristico di quanto potrebbe apparire<br />
oggi. Allora guadagnava benino, mio nonno, ma soprattutto<br />
godeva di un ragguardevole prestigio sociale.»<br />
«Suo padre per rimuovere quell’ingombrante figura paterna<br />
dovette faticare, e fece <strong>il</strong> passo più rischioso, cercò di battere<br />
<strong>il</strong> proprio padre proprio sul suo campo: la musica.<br />
Infatti cercò di fare <strong>il</strong> cantante, l’autore di canzoni, senza<br />
sfondare mai. Non è così?»<br />
«Proprio così, dottore… Scrisse anche delle belle canzoni…<br />
Una che si chiama Piazza Navona, che nulla aveva da<br />
invidiare a Arrivederci Roma…»<br />
«Con quel macigno addosso, fu già un miracolo che non<br />
deragliasse completamente, verso <strong>il</strong> crimine o <strong>il</strong> suicidio,<br />
mantenendosi sempre su un livello di normalità… Insomma<br />
quella normalità che conosciamo…»<br />
«Già.»<br />
«E lei ha riproposto una generazione dopo lo stesso schema:<br />
ha combattuto suo padre sullo stesso suo terreno: la letteratura.<br />
Sconfiggendolo. Diventando più bravo e più famoso<br />
di lui. Demolendo la sua figura nei suoi libri.»
68 PARTE PRIMA<br />
«Non sono affatto contento di aver vinto!»<br />
«Lo immagino. Tuttavia pensi che uomo crudele doveva<br />
essere suo nonno! Eppoi rifletta sul tipo di rapporto padrefiglio<br />
che dovevano avere instaurato!»<br />
«Cristo, come poteva non venire marcio, quel povero diavolo?!…<br />
La famiglia lo aveva scacciato, e lui disprezzava la<br />
(nostra) famiglia. Lui era stato bocciato, e noi (io e Sara)<br />
eravamo i lavativi, i ciuchi, i complessati, i conformisti…<br />
Già, tutto torna. Rovesciava tutto su di noi: i suoi mostri, le<br />
sue magagne, le sue sconfitte. Lui al dunque non era nessuno,<br />
aveva fallito, era rimasto un anonimo impiegato ministeriale,<br />
ma com’era più lieve <strong>il</strong> fardello se la colpa era della<br />
moglie, dei figli, della famiglia…»<br />
«Dovette fingere tutta la vita, costruirsi un altro destino più<br />
benevolo, per accettare la sorte maligna che gli era capitata.<br />
Questo deve servirci per capire che in fondo suo padre non<br />
fu quel mostro di cattiveria che lei tende a rappresentarsi, o<br />
almeno non lo fu come lo era stato suo padre Omero con lui.<br />
Insomma non si può non riconoscergli alcune attenuanti.»<br />
Più ci pensa e meno lo odia, per i complessi che gli ha trasmesso,<br />
per la sua inclemente severità. Lo ha fatto diventare<br />
un codardo piagnucoloso, ma non poteva fare altrimenti. Il<br />
male che aveva ricevuto doveva liberarlo su qualcuno.<br />
«Accidenti, come basta un particolare alle volte per ribaltare<br />
<strong>il</strong> giudizio di tutta una vita!»<br />
«Bisognerebbe conoscere di più, immaginare gli scontri,<br />
che devono essere stati feroci, brutali. Perfino più feroci e<br />
brutali di quelli che avete avuto voi due tanti anni dopo. Suo<br />
padre era fascista e suo nonno antifascista: altro motivo di<br />
litigio e incomprensione…»<br />
IL SORCIO 69<br />
Suo nonno non poteva non detestare quel figlio adolescente<br />
che andava male a scuola e manifestava precoci simpatie<br />
per <strong>il</strong> fascio. Non mancava un raduno, esibiva gagliardetti.<br />
Lui che era un convinto e stimato antifascista, un<br />
uomo di cultura, un uomo di fede, non poteva tollerare che<br />
in casa sua si professassero idee sim<strong>il</strong>i. Anche su questo suo<br />
padre mentì con i figli. Amava ripetere che lui era comunista<br />
e suo padre moderato.<br />
«Questo è stato vero dopo forse, durante la lunga e solitaria<br />
vecchiaia di Omero, ma prima? Non diceva nulla del prima,<br />
<strong>il</strong> paraculo!»<br />
Non raccontava, se non per brevi e confusi accenni, che lui<br />
era stato un fascista m<strong>il</strong>itante, sia pure in giovanissima età,<br />
un bal<strong>il</strong>la. Come poteva fare altrimenti? Il mito doveva consegnarsi<br />
ai figli integro, senza macchie, senza incrinature. E<br />
così lui era comunista, puro come l’acqua della fonte, da<br />
sempre. Aveva una fede marxista incrollab<strong>il</strong>e, monolitica.<br />
Era stato valoroso partigiano (c’erano i libri memoriali dei<br />
partigiani deportati, con la dedica firmata, nella loro libreria),<br />
aveva salvato tanta gente (correva sui tetti ad avvisarli<br />
dell’arrivo dei tedeschi al tempo delle retate a Roma), aveva<br />
rischiato di finire alle Ardeatine. Aveva sfidato la morte più<br />
di una volta per salvare <strong>il</strong> prossimo. Forza di carattere, saldezza<br />
di principi, coraggio e perfino certi tratti di eroismo:<br />
questi erano i medaglioni che si era affisso al petto. Uomo<br />
d’arte e uomo d’azione. Mica scemo.<br />
Certo, qualunque figlio vorrebbe vivere con una siffatta<br />
immagine del padre. Si era costruito una bella storia, un<br />
passato ricco di fascino (certo assai più fascinoso della grigia<br />
esperienza di sua madre, figlia di un tassista geloso, malato
70 PARTE PRIMA<br />
ai polmoni e iscritto al fascio). Ma quanta verità c’era in<br />
quella epica storia per immagini che lui ha consegnato ai<br />
figli?<br />
«Se è stato capace di mentire su un punto, può aver mentito<br />
su tutto. Chi era dunque mio padre?»<br />
Si è messo in malattia per un po’. Poi, dopo pochi giorni dal<br />
rientro al lavoro, gli è tornata la fobica paura del Sorcio che,<br />
indifferente al rischio di un’azione disciplinare, continua a<br />
molestarlo anche dopo l’incontro al Personale. Evidentemente<br />
ha qualche santo in paradiso. Nicolò ormai si cucca<br />
insulti e minacce senza reagire né con <strong>il</strong> suo capo, né con<br />
nessuno. «Lo rovino, quel verme del San Leone Magno, lo<br />
giuro su Dio! Sapessi quanto mi stanno sul cazzo gli stronzetti<br />
del San Leone e delle Orsoline!»<br />
Nicolò è stufo di raccomandarsi a destra e a manca. Deve<br />
reagire da solo, cioè rispondere a tono, battersi. Smetterla di<br />
vivere come un lombrico, maledizione! Deve fare in modo<br />
che li separino loro, i capi, per evitare gesti dissennati dentro<br />
le centenarie e onorate mura dell’Istituto. Sì, deve provocarlo,<br />
dar la stura alla rissa.<br />
«Credo che lei possa farlo, deve solo vincere la paura di<br />
aver paura.»<br />
«Capisco che cosa vuol dire.»<br />
«Ne abbiamo già parlato…»<br />
«È un blocco mentale…»<br />
«Proprio così. Perché, parliamoci chiaro, lei cosa rischia<br />
nella peggiore delle ipotesi? Seppure lui la aggredisse fisicamente,<br />
vi separerebbero subito…»<br />
IL SORCIO 71<br />
Tutte le sere, prima di addormentarsi, Nicolò prega Dio di<br />
dargli la forza, <strong>il</strong> coraggio di reagire.<br />
«Una decina di anni fa, un motociclista cui avevo tagliato<br />
la strada con la macchina mi si avventò contro e mi pestò<br />
per bene, tuffandosi letteralmente dentro l’abitacolo, e come<br />
sempre io non mossi un dito, tutto accartocciato sul sed<strong>il</strong>e<br />
del guidatore, tremebondo, immob<strong>il</strong>e. Finirà così anche col<br />
Sorcio, lo sento…»<br />
«Dipende da lei più di quanto creda in questo momento.»<br />
Da ragazzino faceva lo stesso, Nicolò, quando qualcuno lo<br />
provocava: ricusava di battersi, si bloccava. Lo psicologo gli<br />
ha spiegato che molti animali si immob<strong>il</strong>izzano, è una loro<br />
tecnica mimetica di sopravvivenza.<br />
«Io fossi in lei non mi definirei vigliacco, codardo, questi<br />
sono giudizi morali di cui deve riuscire a liberarsi, sia quando<br />
parla di sé sia degli altri.»<br />
«Non ho avuto occasione di dimostrarlo, perché la mia<br />
generazione è stata sinora risparmiata da eventi bellici, ma<br />
sono convinto di essere uno di quelli che in guerra scappano.»<br />
Quand’era ragazzino, un altro ragazzino della sua età, non<br />
molto più grosso di lui, lo provocava tutte le sere che tornava<br />
a casa dopo la scuola. Lo fermava per strada, cominciava a<br />
spingere, a insultarlo. Ma lui non reagiva. Ogni giorno si<br />
faceva trovare nello stesso posto e riprendeva dal punto<br />
lasciato in sospeso <strong>il</strong> giorno precedente. «Checchina, vieni<br />
qua, fatti toccare…» Una volta gli sputò persino addosso,<br />
Nicolò continuò a camminare come se non fosse accaduto<br />
nulla. Poi a casa raccontò tutto ai suoi scoppiando in singhiozzi.<br />
Suo padre gli fece giurare che se fosse accaduto
72 PARTE PRIMA<br />
un’altra volta ancora, lui avrebbe reagito. Ma spergiurò: si<br />
prese altri insulti e altre molestie, senza fiatare. Non reagì<br />
mai, nemmeno l’ombra di una reazione. Ancora oggi se lo<br />
sogna la notte quel ragazzone bruno con una tuta rossa e<br />
nera, la borsa del nuoto a tracolla, un’espressione intrepida e<br />
strafottente.<br />
L’immaginazione è sempre più epica e poetica della realtà…<br />
IL SORCIO 73<br />
TORNANDO A CASA<br />
La strada è rischiarata da uno scialbo chiaro di luna. Sulle<br />
spalle premono le due bretelle dello zaino, gli scarponcini<br />
pestano <strong>il</strong> selciato ed io seguo quel loro ritmo cadenzato,<br />
gaio, colpendo ogni tre passi col pugno <strong>il</strong> muricciolo di cinta<br />
del circolo sportivo che sto costeggiando. Di lontano s’intravede<br />
l’ultimo lembo della strada, scosceso e <strong>il</strong>luminato dai<br />
lampioni. Sei in gamba, perdinci, in gamba. La voce di<br />
Manuel, vicecapo squadriglia e <strong>il</strong> suo viso bonario che mi<br />
fanno compagnia mentre torno a casa dall’Istituto dopo la<br />
riunione settimanale degli scout.<br />
La mano affondata nella tasca del giubbetto d’ordinanza<br />
stringe l’impugnatura calda e dura del coltellino a serramanico,<br />
anch’esso d’ordinanza. Quel contatto, insieme ai colpi<br />
dell’altra mano sul muricciolo, trasmette al mio corpo in<br />
movimento una gradevole vibrazione, un’acuta sensazione<br />
di resistenza e forza fisica. Gli hai rotto <strong>il</strong> culo a quei bastardi!<br />
Se non c’eri tu…<br />
Adesso trotterello, caracollo un po’ per celia, caccio urletti<br />
malandrini, senza senso, come fanno i marmocchi. Prendo a<br />
calci un barattolo di coca, ricomincio a colpire <strong>il</strong> muretto. Il<br />
cuore è gonfio di felicità, negli occhi un balenare variopinto
74 PARTE PRIMA<br />
di immagini, quelle della mia corsa vittoriosa, le facce intente<br />
e provate dei miei rivali, l’orgoglio dipinto sul faccione di<br />
Manuel, <strong>il</strong> festone rosso tutto sfrangiato del traguardo presso<br />
la scalinata del cort<strong>il</strong>e.<br />
Una cinquantina di passi, e ci sarà la luce, un muro di luce,<br />
e più giù la piazza, e poi la mia via, anch’essa <strong>il</strong>luminata. Mia<br />
madre sulla porta che vuol sapere com’è andata, le dirò tutto!<br />
Lei mi ascolterà, le br<strong>il</strong>leranno gli occhi. Sono stato <strong>il</strong><br />
migliore, dovevi vedermi, li ho distaccati di mezzo giro…<br />
Gli ho rotto <strong>il</strong> culo a quei bastardi, <strong>il</strong> culo! No, questo non<br />
glielo dirai, ah, ah, che ridere, pensa se lo facessi…<br />
Ma ecco uno dei bastardi, un altro, camminano lungo <strong>il</strong><br />
marciapiedi opposto, guardano dalla mia parte. È scuro, ma<br />
non posso ingannarmi… Luigi, lui che abita vicino a me… e<br />
l’altro? Mah, chi lo sa, avanti, vai avanti, fai finta di niente…<br />
Come prima, colpisci <strong>il</strong> muretto. Mi vengono incontro, ho<br />
una fifa matta. Luigi sorride: i denti bianchi, radi e corti, le<br />
labbra aff<strong>il</strong>ate, la faccia camusa, i capelli biondi e grassi,<br />
rasati, una colata di stagno. Dietro di lui, uno che non conosco,<br />
chi è, chi è… Grande, maledizione…<br />
«Ti presento Armando, mio fratello.»<br />
«Piacere.»<br />
«Lui è la checca, la checca dell’Istituto. Che ti dicevo: guarda<br />
com’è bello, biondo occhi azzurri bel culo, non fa mica<br />
differenza con una femmina.»<br />
«Lasciami passare!»<br />
«Perché vuoi passare? Lascia che ti tocchi. Lo sanno tutti<br />
che ti piace.»<br />
«Vaffanculo! Fammi passare, che vuoi?»<br />
«Allora hai fatto vincere i Daini, con la tua prova strepitosa.»<br />
IL SORCIO 75<br />
«Così pare. Non è colpa mia se t’è andata male.»<br />
«No, no davvero. E tu che c’entri, tu hai fatto la tua prova.<br />
Non sono mica qua per recriminare. Ma solo per toccarti. Ti<br />
va se ti tocco un po’ le chiappe?»<br />
«Lascia toccare anche me, non fare l’egoista.»<br />
«Andatevene, lasciatemi in pace, via, via ’ste mani cazzo, e<br />
tu, e tu sei grande, fac<strong>il</strong>e, fac<strong>il</strong>e per te, lasciatemi andare o<br />
grido… grido, cristo, giuro che grido!»<br />
«E grida, grida… Grida su ’sto cazzo!»<br />
E se lo tirano fuori, e mi s’accostano e mi si strofinano contro.<br />
Mi dimeno, grido ma l’urlo sfiata in gola in un sib<strong>il</strong>o roco.<br />
Il coltello, forza non esitare, caccialo fuori, nessuna pietà, dai,<br />
se li fai fuori, legittima difesa o qualcosa del genere. Ma aspetto<br />
ancora un po’. Li osservo che svolgono quelle schifose operazioni.<br />
Si masturbano, mi toccano, fanno per togliermi i calzoni.<br />
E se provo a liberarmi e a fuggire mi riacchiappano,<br />
mollandomi cazzotti sui denti. Grondo sangue e fra poco, fra<br />
poco… Il congegno scatta nella tasca. È un attimo. I due fratelli<br />
impietriti in una posa da fantocci, gli occhi fissi sul taglio<br />
obliquo della tasca. S<strong>il</strong>enzio. Solo i colpi martellanti del mio<br />
cuore sim<strong>il</strong>i a un rotolio di ciottoli. Un refolo di vento e un<br />
leggero ansimare. Poi <strong>il</strong> tempo ricomincia a scorrere.<br />
Nel pugno di una mano sanguinante c’è una lama corta e<br />
tozza che br<strong>il</strong>la. È mia, la mano. Si ritraggono, si rivestono<br />
alla meglio, mi minacciano di avere anche loro l’arma cacciata<br />
da qualche parte, negli zaini. Me ne fotto, gli faccio,<br />
cercatelo adesso, forza… Non cacatevi addosso, ora, forza!<br />
Il più grande scruta col panico negli occhi <strong>il</strong> fratello che<br />
svuota precipitosamente la sacca dello zaino sul selciato. Poi<br />
l’urlo, <strong>il</strong> rantolo, quei due che fuggono a brache mezze calate
76 PARTE PRIMA<br />
in un cerimoniale da operetta. Io che m’accascio, la selce<br />
dura e fredda del marciapiedi sulle natiche nude. Un gran<br />
s<strong>il</strong>enzio claustrale dentro e fuori. E un tripudio insensato di<br />
risa e di lacrime.<br />
«Dicevo che prego Dio ogni sera di darmi la forza per reagire<br />
al Sorcio, ripeto la richiesta numerose volte, assieme a<br />
molte altre, intercalando le suppliche con dei Padrenostro.»<br />
Non è molto che prega Nicolò, per anni se lo è vietato,<br />
anche se sopravvivevano primitive forme di religiosità come<br />
gli articolati scongiuri che ritualmente nel corso di ogni<br />
giornata si permetteva.<br />
La preghiera è una delle molte concessioni che si è preso<br />
dopo la crisi depressiva che lo ha colpito qualche anno fa e<br />
che ha creato di colpo uno spartiacque nella sua esistenza:<br />
un prima e un dopo la depressione. Insieme alla musica leggera,<br />
ai romanzi d’intrattenimento, all’ozio, allo sballo quotidiano…<br />
Per anni si è vietato tutto, per non sprecare <strong>il</strong> tempo<br />
(questa era la motivazione che si dava). Tutto quello che<br />
faceva era finalizzato all’economia del tempo nella prospettiva<br />
di diventare artista: siccome <strong>il</strong> tempo era poco, la vita<br />
breve, non doveva sprecarlo con quelle che considerava<br />
sciocchezze. E in quelle sciocchezze faceva rientrare l’ottanta<br />
per cento delle cose umane.<br />
«Vivevo con questo bastone nel culo, perdoni l’espressione.»<br />
«Rende perfettamente l’idea. Ma mi faccia qualche esempio.»<br />
«Be’, era sciocco, per esempio, ascoltare qualcosa di diverso<br />
dalla musica classica e dal jazz. Dario aveva cercato invano<br />
di iniziarmi al rock.»<br />
IL SORCIO 77<br />
«E poi?»<br />
«E poi era sciocco passeggiare per negozi, andare in palestra,<br />
fare vacanze in montagna, era sciocco partecipare a un<br />
matrimonio, andare a un concerto rock, fare figli, era sciocco,<br />
appunto, pregare… La lista potrebbe continuare.»<br />
Da allora una vocina insinuante dentro di lui gli dice «è<br />
stato Dio che ti ha guarito, e tu adesso devi ricambiarlo credendo<br />
in Lui, convertendo quanta più gente al suo verbo,<br />
mediante la tua testimonianza, la tua letteratura, tu che hai<br />
la fortuna di farti leggere. Devi raccontare la tua conversione.<br />
Ma la cosa più importante, prioritaria, è di trasmettere la<br />
fede a tuo figlio che è più plasmab<strong>il</strong>e che mai. Devi farne un<br />
credente. Questo è <strong>il</strong> tuo compito. Se tu lo farai», si dice<br />
Nicolò, «Dio non ti farà tornare mai la depressione e accoglierà<br />
le tue preghiere.»<br />
«Anche Gogol’ aveva questa idea messianica della propria<br />
letteratura…»<br />
«È condivisa da molti artisti, non necessariamente grandi,<br />
sa?»<br />
Da allora F<strong>il</strong>ippo se lo porta a messa ogni domenica, gli fa<br />
assistere a tutta la funzione partecipando al rito. L’ha perfino<br />
presentato al parroco, che gli ha spiegato <strong>il</strong> significato dell’eucarestia<br />
con una mano poggiata sul capo biondo e ricciuto.<br />
Lui non ha avuto <strong>il</strong> coraggio di dire al sacerdote che è un convertito<br />
recente, che ancora non riesce a dichiararsi cattolico,<br />
che si vergogna di segnarsi in pubblico, e tutto <strong>il</strong> resto, perché<br />
c’era F<strong>il</strong>ippo davanti, sennò magari si sarebbe sbottonato.<br />
«Credo che prima o poi lo farò, quando vincerò l’orrore<br />
fisico che mi suscitano ancora i preti…»<br />
«Ha subìto qualche violenza fisica dai preti?»
78 PARTE PRIMA<br />
«No, no, nessuna violenza diretta, qualche tirata d’orecchie,<br />
qualche scappellotto al massimo. La violenza si respirava<br />
nella scuola fra gli studenti… Fenomeni di nonnismo,<br />
di masch<strong>il</strong>ismo, di fascismo.»<br />
«Capisco.»<br />
Tace qualche istante, l’analista, guarda l’ora senza darlo a<br />
vedere, poi chiede:<br />
«Ma non doveva esserci la presentazione di un suo libro<br />
ristampato?»<br />
«Sì, c’è stata ieri. Speravo che mi avrebbero quasi asfissiato<br />
i fans, dottore, e invece la sala era piena solo di parenti e<br />
amici, soprattutto di Stella. Mi sentivo un po’ a disagio a<br />
celebrarmi davanti a tutto <strong>il</strong> parentado di mia moglie.<br />
Avranno pensato che volessi mettermi in mostra, visto che<br />
mi sono curato di invitarli tutti, telefonandogli uno per<br />
uno.»<br />
«Lo ritiene così deplorevole mettersi in mostra?»<br />
«Be’, Dario sostiene…»<br />
«È la sua opinione che ci interessa.»<br />
Il critico Cristi, accanto a lui e agli altri due relatori sul palco,<br />
parlava con assoluta convinzione della sua opera – non<br />
erano azzardi, ipotesi, era una entità esegetica ormai consolidata<br />
negli anni, attraverso sei libri.<br />
«È sempre molto lusinghiero quello che dice dei miei libri,<br />
riesce a farmi credere uno scrittore importante…»<br />
Si crogiolava proprio con questo pensiero, Nicolò, ricordando<br />
Cristi che parlava nella saletta gremita della libreria,<br />
spendendo generosi aggettivi su di lui, ormai più nel sonno<br />
che nella veglia, quando emerge dalla piccola folla l’alta e<br />
magra figura di Dario che avanza verso di lui. Cristi se ne<br />
IL SORCIO 79<br />
accorge e interrompe <strong>il</strong> suo intervento e si mette anche lui<br />
ad osservare quello sp<strong>il</strong>ungone accigliato che raggiunge <strong>il</strong><br />
lungo tavolo dei relatori, e schiaffeggia Nicolò ripetutamente<br />
(quattro volte) senza rispondere alla sua domanda quasi<br />
implorante: «Che vuoi, che ti ho fatto dopotutto?» Quando<br />
lui ha abbozzato una reazione, con <strong>il</strong> terrore che venisse presa<br />
sul serio, Dario ha tirato su col naso e gli ha sputato<br />
addosso del catarro denso e grigio, in tutto uguale a quello<br />
che sputa lui ogni mattina nel lavabo. Poi si è girato e se ne è<br />
andato passando in mezzo al pubblico che si apriva al suo<br />
passaggio mormorando di disapprovazione e biasimo. Nessuno<br />
ha fatto per bloccarlo. Nicolò si è pulito la faccia con lo<br />
scottex che qualcuno misericordiosamente gli ha passato, ha<br />
preso <strong>il</strong> microfono e ha detto:<br />
«È una cosa assurda, davvero assurda, sarebbe troppo lungo<br />
spiegarvi, comunque lo conosco, sì, era un mio amico, <strong>il</strong><br />
mio migliore amico… ma adesso, vi prego, continuiamo…»<br />
«Non ho mantenuto la promessa di non bere per l’intera settimana<br />
bianca, ho retto solo due giorni. Però ho sciato, senza<br />
accusare poi una grande stanchezza, dottore…»<br />
«Uhmmmm…»<br />
«Sono stato così bene, sentivo che la nostra triade era<br />
armonica, funzionava. Al Sorcio quasi non ho pensato, e ho<br />
dormito tutte le notti.»<br />
«Allora sua madre ha rifiutato <strong>il</strong> suo invito…»<br />
«Come sempre, dottore. Tira in ballo i suoi mali, specie<br />
l’incontinenza e la difficoltà a camminare. Ma in realtà mi sa<br />
che non sta bene con noi.»
80 PARTE PRIMA<br />
«Comunque vi sentivate al telefono?»<br />
«Ogni giorno.»<br />
«E di cosa parlavate?»<br />
«Provo a riferirle una classica telefonata… Be’, come<br />
andiamo?, le dico.»<br />
«Che cosa?»<br />
«Come andiamo, come va?»<br />
«Ah, bene, abbastanza bene.»<br />
«Ti è venuto ancora l’affanno?»<br />
«Un poco… Soprattutto la sera…»<br />
«E la tosse, ti ha fatto dormire la notte?»<br />
«Sì, qualche ora sì, grazie a Dio…»<br />
«F<strong>il</strong>ippo ha proprio imparato bene, scia già meglio di me.»<br />
«Ah, sì?»<br />
«Sì, sì, dovevi vederlo, viene giù come un diavolo.»<br />
«Ma non si farà male?»<br />
«No, no, stai tranqu<strong>il</strong>la, ha sempre un istruttore alle costole.»<br />
«Anche <strong>il</strong> pomeriggio?»<br />
«Il pomeriggio c’è la madre, mentre io dormo.»<br />
«Ah, be’…»<br />
«E tu? Che hai fatto?»<br />
«Stamattina sono uscita per comprare qualcosa… Non<br />
avevo più niente in frigo…»<br />
«E adesso, che facevi?»<br />
«Ho appena finito di stirare.»<br />
«Magnifico!», la sfotto.<br />
«Eh, già…»<br />
«E stasera? Che danno alla televisione?»<br />
«C’è Il Commissario Montalbano…»<br />
IL SORCIO 81<br />
«Ah, bene, allora hai qualcosa da vedere…»<br />
«Sì…»<br />
«E Sara?»<br />
«Non l’ho ancora sentita oggi. C’era l’ambasciatore, ha<br />
lavorato fino a tardi…»<br />
«Salutamela quando la senti… D<strong>il</strong>le che ogni tanto<br />
potrebbe farsi viva.»<br />
«Va bene.»<br />
«Ti chiamo domattina, okay? Anzi ti faccio chiamare dal<br />
piccolo…»<br />
«Buona serata.»<br />
«Buona serata, mamma, a domani…»<br />
Resta per dieci minuti in piedi bagnando <strong>il</strong> pavimento del<br />
corridoio del reparto, senza osare sedersi sul divanetto verde.<br />
«Dottore, l’ho aspettata per dirle che sono zuppo, come<br />
vede, non voglio ammalarmi e non voglio bagnare tutto, me<br />
ne andrei a casa.»<br />
«È proprio sicuro?»<br />
«Be’, sì, perché?»<br />
«Sono diverse volte che saltiamo…»<br />
«Avevo degli impegni…»<br />
«L’impegno lo ha già qui, <strong>il</strong> martedì alle quindici.»<br />
«…»<br />
«…»<br />
«Si ricorda di cosa abbiamo parlato l’ultima volta?»<br />
«No, sinceramente adesso non ricordo…»<br />
«Faccia come vuole, se preferisce vada pure, ma abbiamo<br />
parlato di Musa, un argomento che dobbiamo esplorare
82 PARTE PRIMA<br />
meglio perché contiene delle verità importanti sulla sua personalità.<br />
Insomma pensavo che lei oggi fosse venuto a parlarmi<br />
di questo…»<br />
Nicolò alla fine abbocca all’amo dello psicologo, gli viene<br />
la fregola di parlare di sé, di vomitare <strong>il</strong> rospo. Eccolo dunque<br />
nello studio che getta uno sguardo all’intorno in cerca<br />
di un posto dove appoggiare <strong>il</strong> suo giaccone zuppo, alla fine<br />
se lo toglie e lo appende all’appendiabiti di metallo lucido,<br />
br<strong>il</strong>lante e guarda le gocce che cadono impietose sul pavimento<br />
piastrellato. Poi leva gli occhi, quasi al soffitto, fino ad<br />
inquadrare la lunga e stretta finestra satinata.<br />
«Mi dispiace…»<br />
«Non si preoccupi, si sieda.»<br />
«Allora parliamo di Musa, dottore…»<br />
«Sono tutto orecchi.»<br />
Nicolò non sa ancora capacitarsi che la sua vita, sebbene a<br />
lui – e non solo a lui, anche a Dario – appaia tanto grigia e<br />
insignificante, ecciti la curiosità di qualcuno. Certo, ci sono i<br />
soldi, ma non può essere soltanto per <strong>il</strong> danaro che <strong>il</strong> dottore<br />
mostra tanto interesse per i suoi casi.<br />
«Mi parlava di Aurelio Giordani, <strong>il</strong> caporedattore…»<br />
«Lo affiancavo in tutto quello che faceva, Aurelio. Mi attraevano<br />
<strong>il</strong> suo carattere originale e la sua dedizione alla rivista, che<br />
faceva un certo effetto in quell’atmosfera di lassismo generale.»<br />
«Lassismo?»<br />
«Be’, <strong>il</strong> direttore, un giornalista della televisione che faceva<br />
pure lo scrittore, non c’era mai… Il vicedirettore, uno scrittore<br />
grasso che lavorava in un giornale di partito, idem. L’unico<br />
che lavorava veramente, e che veramente ci credeva in quella<br />
rivista, era lui. Mi piaceva che Aurelio non alludesse mai alle<br />
IL SORCIO 83<br />
mie mansioni di fattorino, parlava solo dei miei articoli, mi<br />
presentava come giornalista o poeta. Sembrava restarci male<br />
anche più di me quando <strong>il</strong> direttore mi mandava a fargli commissioni<br />
personali.»<br />
«Era frequente?»<br />
«Era la regola. In mezzo a qualche riunione importante di<br />
redazione, una volta pure alla pomposa inaugurazione della<br />
rivista, mi metteva i soldi in mano e mi spediva a comprargli<br />
le sigarette o a ritirargli un vaglia alla posta… Era um<strong>il</strong>iante,<br />
ma ero giovane e disposto a subire qualche um<strong>il</strong>iazione pur<br />
di avere un posto dove scrivere.»<br />
«Fu la sua prima palestra letteraria, quella rivista, è così?»<br />
«Proprio così.»<br />
Più Nicolò lo frequentava, Aurelio, più lo trovava bizzarro in<br />
un certo modo che allo stesso tempo gli induceva curiosità,<br />
divertimento e timore. Era un personaggio davvero unico,<br />
Aurelio Giordani, capace delle cose più impensab<strong>il</strong>i. Poteva<br />
gettare la classica polpetta avvelenata nel giardino d’un vicino,<br />
facendo secco un cane lupo perché abbaiava troppo, raccontando<br />
l’indomani l’accaduto ai colleghi e spassandosela come<br />
un matto nel descrivere la lunga agonia della bestia che aveva<br />
seguìto passo passo fino agli ultimi rantoli dalla finestra.<br />
Oppure poteva baciare sulla bocca e accarezzare per un’ora<br />
una capra rognosa e puzzolente presso lo stab<strong>il</strong>imento della<br />
tipografia in attesa che uscissero le prime copie. Ma <strong>il</strong> suo<br />
chiodo era <strong>il</strong> sesso. Omosessualità, perversioni varie, tradimenti:<br />
centrato l’obiettivo, ci ricamava sopra a lungo, con la<br />
malizia scoperta e ingenua di un adolescente, ridacchiando in<br />
sussulti che lo scuotevano da capo a piedi, contorcendosi come<br />
un clown, ammollandoti generose pacche sulle spalle.
84 PARTE PRIMA<br />
«Era un omosessuale non dichiarato, forse si era innamorato<br />
di me. Mi diceva che avevo due occhioni… Quando<br />
parlavo di Stella, si irrigidiva e cambiava discorso…»<br />
«Si era innamorato di lei.»<br />
La vig<strong>il</strong>ia di Capodanno regalò delle mutandine rosse di<br />
pizzo a una segretaria di redazione, con la quale aveva sempre<br />
mantenuto un atteggiamento cortese e cerimonioso fino<br />
all’affettazione.<br />
«Un’altra volta mise la pulce nell’orecchio alla moglie d’un<br />
collaboratore adultero che non sopportava.»<br />
Ricorda benissimo, Nicolò, quest’ultima circostanza. In<br />
redazione erano rimasti in tre: oltre loro due, c’era Baldacci,<br />
un paroliere bolognese che scriveva di musica leggera e faceva<br />
traduzioni dal francese. Era tardi, le segretarie avevano staccato<br />
da un pezzo. Lo sfortunato giornalista, un sessantenne che<br />
dimostrava i suoi anni, era venuto poco prima a consegnare<br />
un articolo in compagnia di una bella figa bionda. Come la<br />
coppia se ne fu andata, in un trionfo di risatine abbottonate,<br />
Aurelio mise i colleghi al corrente della tresca. Dietro alle spesse<br />
lenti gli occhi gli ardevano di un’allegria isterica, malata.<br />
«M’è venuta un’idea!» concluse, slanciandosi al telefono, e<br />
facendogli segno di accostarsi. Inforcò la cornetta, la riagganciò.<br />
Voleva che Nicolò ascoltasse la telefonata da un<br />
apparecchio comunicante, posto sulla scrivania di fronte.<br />
Nicolò seguì alla lettera le sue istruzioni, otturando <strong>il</strong><br />
microfono col palmo della mano e sollevando la cornetta<br />
solo ad un cenno convenuto. Il barbuto Baldacci li osservava<br />
dalla porta, sorridendo e scuotendo <strong>il</strong> capo come si fa coi<br />
ragazzini che combinano qualche marachella.<br />
«Buonasera, Ida, come va?»<br />
IL SORCIO 85<br />
«Bene, benone. Tommaso non è in casa. Non so dove sia.<br />
Hai provato al giornale?»<br />
«No, no, non sta al giornale, è venuto qui a Musa ch’è<br />
poco.»<br />
«Musa?»<br />
«Sì, la rivista letteraria. Non ti ricordi?»<br />
«Ah, sì.»<br />
«Volevo solo chiederti di avvertirlo che la Iovini s’è dimenticata<br />
qui una busta.»<br />
«La Iovini?»<br />
«Sì, quella bionda della televisione. È venuto qui con lei e<br />
sono andati via assieme. Non so cosa contenga questa busta,<br />
roba di abbigliamento mi pare. Comunque, puoi dirglielo tu<br />
a Tommaso, ché <strong>il</strong> telefono della ragazza non ce lo abbiamo<br />
qui?»<br />
«Glielo dirò.»<br />
L’accento della donna s’era fatto freddo e sbrigativo.<br />
«Grazie, Ida, a presto.»<br />
«La busta c’era veramente. L’aveva trafugata lui in un attimo<br />
di distrazione generale. La bionda si presentò l’indomani<br />
perché gliela rendessimo…»<br />
Sembrava uno di quei personaggi minori un po’ mattoidi,<br />
tratteggiati a tutto tondo, di un romanzo d’appendice. Brutto,<br />
canuto benché appena quarantenne, zitello, più bibliof<strong>il</strong>o<br />
che colto, anemico, mammone. E poi pedante, acidulo o<br />
manieroso secondo i casi. Anacronistico in tutto: nel suo<br />
non voler guidare l’automob<strong>il</strong>e, nel suo dichiarato odio per<br />
la modernità in ogni sua forma ed espressione, nel suo<br />
modo di vestire muffoso, sciatto, da pensionato delle<br />
poste… Lo strambo moralismo che manifestava sembrava
86 PARTE PRIMA<br />
essersi sedimentato nel solco delle sue frustrazioni sessuali,<br />
della sua vita privata solitaria e triste.<br />
«Penso alla sua arte vendicativa puntigliosa e spesso crudele,<br />
dottore, e alla doppiezza di cui non solo non si vergognava,<br />
ma che portava in giro come un fiore all’occhiello,<br />
quella doppiezza che lo faceva adulare <strong>il</strong> direttore in sua presenza<br />
quasi strisciando, scrivere recensioni entusiastiche sui<br />
suoi libri, e dirgli dietro di tutto, ch’era un mediocre scrittore,<br />
un mezzobusto lottizzato eccetera.»<br />
Il suo appartamento era una sentina di sozzeria e anticaglie<br />
in una vecchia palazzina a Monteverde. Tutte le volte che<br />
Nicolò ci andava – e capitava spesso – si chiedeva come si<br />
potesse viverci. Non c’era niente che fosse meno che decrepito<br />
lì dentro. I parati di stoffa, rosi, ingialliti dall’umidità,<br />
scollati agli angoli delle pareti dove pendevano sudici grumi<br />
di ragnatele, e le stanze da bagno, con sanitari e saponette<br />
del paleolitico, asciugamani stazzonati e tutti sf<strong>il</strong>acciati agli<br />
orli, e lo studio, che usava anche come stanza da letto e dove<br />
era solito ricevere gli ospiti più intimi, Nicolò compreso:<br />
scaffali e mob<strong>il</strong>i tarlati, tende ingozzite dalla sporcizia di<br />
anni, attraverso cui non f<strong>il</strong>trava un barlume di luce neppure<br />
a mezzogiorno e libri, scartoffie, quotidiani ingialliti che<br />
s’affastellavano dappertutto in spettrali colonne vellutate di<br />
polvere e come niente trovavi sopra a una p<strong>il</strong>a del genere un<br />
calzino o uno straccio di camicia. E c’era anche un gatto<br />
scheletrico, spelacchiato, che se ne stava tutto <strong>il</strong> giorno<br />
immob<strong>il</strong>e su una vecchia poltrona.<br />
Il fiore di quel degrado, comunque, era rappresentato senz’altro<br />
dai suoi genitori. Due esseri quasi centenari che sf<strong>il</strong>avano<br />
come spettri lungo i vani delle porte facendoti sobbal-<br />
IL SORCIO 87<br />
zare sulla sedia dallo spavento. E lui allora li cacciava in malo<br />
modo trattandoli alla stregua di due bestiacce invadenti.<br />
«T’ho detto di non uscire dalla tua stanza. Vai a letto, f<strong>il</strong>a! che<br />
ti ha detto <strong>il</strong> medico? Se hai bisogno di qualcosa, chiama col<br />
campanello!» Dopodiché con una macabra ironia gli diceva<br />
ridacchiando di custodire un’autentica rarità archeologica in<br />
quell’appartamento, due mummie egizie in perfetto stato di<br />
conservazione e, fatto ancora più incredib<strong>il</strong>e, semoventi.<br />
Vedendo che Nicolò si scompisciava dalle risa, arrivava ad<br />
apostrofarli coi nomi dei faraoni. «Ramsete!, Ramsete!», si<br />
sgolava, affacciato sul corridoio, voltandosi continuamente<br />
per assicurarsi che rideva ancora, «adesso arriva, stai a vedere…<br />
<strong>il</strong> tempo di sbrogliare le fasciature e sarà qui.»<br />
«Di lui non avevo più notizie. Quando, poco tempo fa, mi<br />
capita, per gioco e per noia, di digitare <strong>il</strong> suo nome sotto<br />
internet e mi compare <strong>il</strong> resoconto di una conferenza sull’Aids.»<br />
Guarda meglio, Nicolò, stringe la ricerca e scopre la sconcertante<br />
verità: affetto da Aids conclamato, Giordani ha<br />
scritto un libro un paio di anni fa sulla sua esperienza di<br />
malato. Immediatamente Nicolò se lo compra e lo divora in<br />
una sera.<br />
«È un testo di buona qualità letteraria (Giordani ha sempre<br />
scritto molto bene), ma soprattutto è una testimonianza<br />
su quell’atroce malattia, su come lui ha saputo conviverci<br />
per anni, assistendo alla lunga agonia della compagna (che<br />
nella realtà doveva essere <strong>il</strong> compagno).»<br />
Ma non riesce a rintracciarlo. Nessuno sa più nulla di lui.<br />
Al tempo della pubblicazione gli dicono che stava già molto<br />
male. Ha paura che gli rivelino ch’è morto.
88 PARTE PRIMA<br />
«Se potesse sentirmi adesso gli direi che, con tutte le sue<br />
bizzarrie, le sue morbosità, le sue doppiezze, mi ha lasciato<br />
qualcosa dentro.»<br />
Oggi, mentre Nicolò consumava <strong>il</strong> suo frugale pasto da sua<br />
madre a base di prosciutto di Parma e pane arabo, è suonato<br />
<strong>il</strong> telefono. Si è alzato per rispondere. Era la figlia della signora<br />
anziana che abita al piano di sotto, <strong>il</strong> nono. Dalla postazione<br />
del telefono in corridoio Nicolò inquadrava lo spigolo del<br />
massiccio tavolo st<strong>il</strong>e impero in soggiorno, con i leoni incisi<br />
sulle zampe robuste del mob<strong>il</strong>e, e quasi si aspettava assurdamente<br />
che ne emergesse <strong>il</strong> prof<strong>il</strong>o di suo padre in vestaglia,<br />
intento magari ad andare a riporre un volume del dizionario<br />
enciclopedico Treccani nella libreria a giorno del corridoio.<br />
«Volevo chiedere <strong>il</strong> favore di scendere a suonare a mia<br />
madre, che non risponde al citofono… Sa, come al solito è<br />
rotto l’ascensore… Lei è <strong>il</strong> figlio della signora Consorti, vero?»<br />
«Sì… Vado io, vado subito a vedere… Resti pure in attesa.»<br />
«Richiamerò fra cinque minuti, grazie…»<br />
Nicolò sbuffa, dice che palle alla madre ed esce sul pianerottolo,<br />
scende le scale con qualche sinistro presentimento, e<br />
dinanzi all’interno 18 della signora Morelli si accorge che la<br />
porta d’ingresso, inquadrata da qualche sparuto rampicante,<br />
è socchiusa, fermata con lo zerbino. Suona un paio di volte,<br />
prima di entrare, cauto. «Signora Morelli, signora Morelli?,<br />
sono Consorti del piano di sopra… C’è nessuno, c’è nessuno?»<br />
Nell’appartamento triste e vecchio come quello di sua<br />
madre c’è un forte odore di soffritto, <strong>il</strong> pavimento è di piastrelle<br />
a losanghe molto piccole. Nicolò sta per tornare indie-<br />
IL SORCIO 89<br />
tro, quando una luce gialla e livida lo attira nel bagno. Apre<br />
completamente la porta e inquadra la vecchia sulla tazza del<br />
cesso. Ci mette un po’ a capire ch’è morta in quella um<strong>il</strong>iante<br />
posizione. Dentro c’è l’odore delle sue ultime feci. La testa è<br />
incassata nelle spallette rachitiche, la sottoveste sollevata sulle<br />
cosce avvizzite. Una scena che Nicolò si sarebbe risparmiato<br />
volentieri. Trattiene un conato stornando lo sguardo e inquadrando<br />
così la vecchia lavatrice tutta scrostata.<br />
I figli giungono pochi minuti dopo, s’avanzano sul vano<br />
della porta di ingresso dell’appartamento col fiatone e l’espressione<br />
incredula e vagamente interrogativa che si ha<br />
sempre di fronte alla morte.<br />
«Nel bagno, io non ho toccato niente…» biascica Nicolò<br />
inforcando la rampa di scale. «Mi dispiace…»<br />
Non vuole trattenersi un minuto di più. Sale alla svelta le<br />
scale:<br />
«Muoiono tutti! – commenta tristemente sua madre accogliendolo<br />
sulla soglia – Ormai dei vecchi inqu<strong>il</strong>ini ci sono<br />
rimasta soltanto io, finché non mi cacciano…»<br />
«Ma tu stai bene, mamma…»<br />
«Eh, magari…»<br />
«Non ti puoi lamentare!», conclude ineffab<strong>il</strong>mente Nicolò<br />
come se ignorasse la squallida esistenza presente e passata di<br />
sua madre e la sua prossimità alla morte.<br />
Oggi con l’analista Nicolò ha tradito l’etichetta, che vuole<br />
che <strong>il</strong> flusso della conversazione sia sempre orientato in una<br />
sola direzione, gli ha detto che dall’accento gli sembrava<br />
sic<strong>il</strong>iano.
90 PARTE PRIMA<br />
«Di Marsala», ha risposto lui consentendo con <strong>il</strong> capo.<br />
«Marsala non la conosco…»<br />
«Perché mi chiede se sono sic<strong>il</strong>iano?»<br />
«Così, per l’accento…»<br />
«Conosce la Sic<strong>il</strong>ia?»<br />
«Poco, molto poco… Sono stato solo due volte in Sic<strong>il</strong>ia.<br />
La prima risale forse al 1990 durante le feste natalizie. Vidi la<br />
Sic<strong>il</strong>ia in una condizione climatica davvero inedita per l’isola:<br />
fredda, piovosa, in parte coperta di neve. Avevamo fatto<br />
un pacchetto tramite un’agenzia di viaggi, che prevedeva<br />
cinque pernotti in tre Jolly Hotel situati a Siracusa, Palermo,<br />
Catania. Fu un viaggetto divertente e godereccio: ogni scusa<br />
era buona per fermarsi ad apprezzare qualche specialità<br />
gastronomica o a degustare un bicchiere di vino. Ma perché<br />
le racconto tutto questo…»<br />
«Continui, non si preoccupi di questo. C’è sempre un<br />
motivo per ricordare.»<br />
Nicolò aveva prenotato da Roma una ut<strong>il</strong>itaria, ma, come<br />
spesso succede, al noleggio c’erano disponib<strong>il</strong>i soltanto fuori<br />
serie, sicché partirono da Punta Raisi con una smagliante<br />
BMW 3.20 bianca che sembrava ancora più bella perché gli<br />
costava come una Panda. Non aveva mai guidato una macchina<br />
sim<strong>il</strong>e, Nicolò. Diede subito un passaggio a un ragazzo<br />
tutto intirizzito dal freddo.<br />
«Bella macchina!», disse salendo a bordo.<br />
Evitarono di spiegare che era in noleggio, si gustarono la<br />
sensazione di esserne proprietari.<br />
«Si guida con un dito!», Nicolò disse, accelerando e sbracandosi<br />
sul morbido sed<strong>il</strong>e di pelle nera.<br />
«A quanto andiamo?», chiese Stella.<br />
IL SORCIO 91<br />
«Centoventi.»<br />
«E sembra di andare a settanta…»<br />
«Già.»<br />
Visitarono Palermo stretta in una morsa di gelo, una nebbiolina<br />
sott<strong>il</strong>e veniva su dall’asfalto umido. Sembrava una<br />
città fantasma, quasi deserta, cadente, caliginosa. Si persero<br />
in una lurida e fatiscente periferia. Davanti al muro franato<br />
di una chiesetta una donna chiedeva soldi per <strong>il</strong> figlio drogato.<br />
Gli fece capire che era in astinenza e aveva urgente<br />
bisogno di una dose. «Vi prego, aiutatemi…» Il ragazzo,<br />
infagottato in un pastrano nero rattoppato, li guardava dal<br />
bordo del marciapiede con occhi supplicanti. Allungarono<br />
alla donna pochi spiccioli e si allontanarono quasi impauriti.<br />
Alla sera cenarono a piazza Bellini, ammirando prima di<br />
entrare nel ristorante la rinomata scenografia delle chiese di<br />
San Cataldo e della Martorana e scattando un paio di foto.<br />
Fuori non c’era anima viva, dentro <strong>il</strong> ristorante invece era<br />
caldo e pieno zeppo di persone. Mangiarono con gusto la<br />
cena casereccia e bevvero del buon vino rosso. Un accogliente<br />
e ben riscaldato Jolly Hotel dalle parti del porto li<br />
aspettava.<br />
«Stella era allegra come non la vedevo più da molto tempo.<br />
Si immalinconì solo un poco nella hall perché c’erano due<br />
bimbi. In quel periodo non poteva vedere bambini piccoli,<br />
dottore, senza intristirsi, perché immediatamente le veniva <strong>il</strong><br />
pensiero che a noi non ci venivano… Quella sera facemmo<br />
sesso con più trasporto del solito e alla fine le dissi: vedrai<br />
che questa è la volta buona!»<br />
Il discorso non tornò più fino all’ultima sera, quando,<br />
mentre i due mangiavano in un ristorantino di Mondello
92 PARTE PRIMA<br />
una pasta all’aragosta che gli costava una fortuna, Stella disse:<br />
«Sai perché a noi non ci vengono?»<br />
«Perché, sentiamo…»<br />
«Perché tu nel profondo non li vuoi.»<br />
«Se li vuoi tu, li voglio anch’io!»<br />
«Appunto… Se fosse per te, tu non li vorresti…»<br />
«Però faccio tutto <strong>il</strong> possib<strong>il</strong>e… Mi sono fatto visitare, ho<br />
fatto l’esame dello sperma, lo facciamo a ogni ovulazione…<br />
Che altro posso fare?»<br />
Non gli rispose e si mise un po’ con <strong>il</strong> muso.<br />
«Cazzo, ma non possiamo goderci una vacanza tranqu<strong>il</strong>li,<br />
senza stare sempre a pensarci su!? Questi giorni eri stata brava,<br />
poi adesso all’improvviso… Che cosa è successo adesso?,<br />
non ci sono neppure bambini…»<br />
«Non lo so Nicolò, non lo so… Forse non siamo fatti l’uno<br />
per l’altra…»<br />
«Ah, sì, e te ne accorgi dopo quindici anni che stiamo<br />
insieme?»<br />
Passeggiarono per <strong>il</strong> freddo lungomare di Mondello senza<br />
dirsi più nulla. Un arabo vendeva statuette africane sopra un<br />
telo di plastica sciorinato sul marciapiede. La coppia indugiò<br />
a lungo dinanzi a quei manufatti, apparentemente interessata.<br />
L’arabo chiamò un suo collega africano, alto e nero come<br />
<strong>il</strong> carbone.<br />
«Volete comprare?», chiese.<br />
Ma loro non pensavano alle sue statuette e si allontanarono.<br />
Anche l’indomani sull’aereo per Roma ciascuno era perso<br />
nei suoi pensieri.<br />
«E lei a cosa pensava?»<br />
IL SORCIO 93<br />
«Io sicuramente pensavo che la vacanza era finita e tutto<br />
sarebbe ripreso come prima: <strong>il</strong> lavoro in banca che detestavo,<br />
le sbronze anestetiche che allora erano forse solo durante<br />
<strong>il</strong> weekend, gli amici che mi deludevano, Stella che non<br />
riuscivo a rendere felice…»<br />
«E la seconda volta?», chiede l’analista.<br />
«La seconda volta di che?»<br />
«La seconda volta ch’è stato in Sic<strong>il</strong>ia…»<br />
«Ah, sì, sono tornato in Sic<strong>il</strong>ia l’anno scorso con Stella e<br />
con <strong>il</strong> bambino che aveva ormai cinque anni. L’occasione<br />
stavolta era <strong>il</strong> premio Mondello, che ci ospitava tre giorni<br />
perché un mio romanzo era finito nella terna dei vincitori, si<br />
ricorda dottore?…»<br />
«Certo.»<br />
Arrivarono di notte senza bagagli (che per un classico disguido<br />
della compagnia aerea non erano stati imbarcati) al<br />
Palace Hotel.<br />
«Ci accompagnò un facchino ai nostri principeschi alloggi:<br />
una suite vasta e lussuosa che si affacciava sul golfo nero<br />
delimitato dal r<strong>il</strong>ievo del Monte Pellegrino.»<br />
Si affacciarono tutti e tre sulla terrazza, <strong>il</strong> piccolo venne<br />
preso in braccio per consentirgli di vedere oltre la spalletta:<br />
nel mare scint<strong>il</strong>lavano lontano i lumini dei pescherecci.<br />
Dinanzi al letto, su un carrello, erano stati sistemati del salmone<br />
affumicato e una bottiglia di champagne.<br />
«Non eravamo abituati a tutto quel lusso e ci sembrò persino<br />
esagerato. Tuttavia, spazzolammo <strong>il</strong> salmone – di cui<br />
mio figlio F<strong>il</strong>ippo andava ghiotto – e io mi scolai quasi tutto<br />
lo champagne finendo a letto ubriaco.»<br />
«Un buon inizio…»
94 PARTE PRIMA<br />
La sera della premiazione Nicolò conobbe i giurati, a ciascuno<br />
dei quali presentò la sua famigliola. Uno di loro gli<br />
chiese cosa facesse per vivere:<br />
«Lavoro in banca.»<br />
«Ah, come <strong>il</strong> protagonista del romanzo, ma allora è roba<br />
vera. Io pensavo che fosse tutto inventato!»<br />
«Il lavoro in banca è vero, verissimo. E anche la depressione.»<br />
Quel giurato, vestito tutto di nero anche per nascondere<br />
un eccesso di pinguedine, aveva una folta chioma canuta. Di<br />
lui Nicolò aveva sentito nel pomeriggio un appassionato<br />
intervento a un convegno sulla Neoavanguardia che si era<br />
tenuto nella maestosa cornice dello chalet Charleston. Il giurato<br />
scoppiò teatralmente a ridere:<br />
«Ma allora tu, tutte le mattine, ah, ah, ah, da bravo travet,<br />
te ne vai in banca in giacca e cravatta, ah, ah, ah… In mezzo<br />
a quella gente del romanzo…»<br />
Quelle risate gli parvero oltraggiose, ma non disse niente.<br />
Pensò che <strong>il</strong> fatto di essersi portato tutta la famiglia accentuava<br />
l’impressione che quel giurato, con quella risata e<br />
quelle parole, aveva fin troppo esplicitamente testimoniato.<br />
«Qui tutti mi disprezzano!», disse a Stella. «Mi fanno i<br />
complimenti su di te, sul piccolo, ma in realtà pensano che<br />
sono un miserab<strong>il</strong>e piccoloborghese…»<br />
«Con i tuoi romanzi sei proprio un borghesuccio!», lo<br />
incoraggiò Stella, ma la sera a cena capitarono al tavolo di<br />
quel giurato ed erano entrambi a disagio.<br />
«Siete proprio una bella famigliola! Il piccolo poi è stupendo,<br />
potrebbe fare le pubblicità!»<br />
«Oh, sì, bellissimo… Bellissimo!», confermò una vecchia<br />
poetessa gent<strong>il</strong>e e carica di trucco.<br />
IL SORCIO 95<br />
Il giurato canuto guardò a turno i tre componenti della<br />
piccola famiglia, poi disse:<br />
«Ma sì, la felicità è anche questa, perché no?»<br />
«Lei che cosa fa per vivere?», gli domandò Stella a bruciapelo,<br />
cancellandogli dalla faccia quel sorrisetto sognante.<br />
«Io scrivo, non potrei fare altro, non so fare altro…»,<br />
rispose <strong>il</strong> giurato canuto sorseggiando <strong>il</strong> suo Regaleali e<br />
guardandosi attorno soddisfatto.<br />
«Si vede che se lo può permettere.»<br />
«Be’, oggi sì, oggi me lo posso permettere, ma per anni è<br />
stata dura. Non avrei mai potuto fare <strong>il</strong> lavoro che fa lui…<br />
Oddìo, proprio no. E lei, Stella, invece, che cosa fa?»<br />
«Sono biologa. Come nel romanzo… Ma non l’ho mai tradito,<br />
se è questo che voleva sapere…»<br />
«E io non sono mai diventato barbone, grazie a Dio!», fece<br />
Nicolò suscitando delle blande risate nella tavolata.<br />
Si parlò del lavoro di Stella. I commensali le chiedevano<br />
questo e quello, ma si vedeva che non gliene fotteva nulla a<br />
nessuno. Volevano solo capire se lei lo aveva tradito davvero<br />
in quel modo sconcio come nel romanzo. Quando la cena<br />
finì, Stella lo prese sottobraccio e gli fece: «Mi credono una<br />
mignotta…»<br />
«È probab<strong>il</strong>e!»<br />
Una pausa, un repentino cambio di espressione:<br />
«Comunque anche se non vinci, <strong>il</strong> tuo è <strong>il</strong> romanzo più<br />
bello! Alla faccia loro!»<br />
La strinse a sé, Nicolò, e si appoggiò a lei, avendo scarsa<br />
nozione della propria dipendenza, pensando di nuovo che<br />
avrebbe fatto molto meglio a venire da solo, senza la famiglia,<br />
sarebbe stato meno a disagio. Molta gente uscì nella terrazza
96 PARTE PRIMA<br />
a fumare. Nicolò se ne andò al bar a spararsi un whisky doppio<br />
con ghiaccio. Quando tornò nella hall, Stella e la editor<br />
della sua casa editrice lo aspettavano ansiose:<br />
«È già cominciato! – gli dissero – Stanno leggendo le motivazioni…»<br />
Presero posto nella sala gremita. Poco dopo Nicolò fu invitato<br />
sul palco per ritirare <strong>il</strong> premio. Ringraziò la giuria. Si<br />
dichiarò contento di quel prestigioso riconoscimento, disse<br />
qualche banalità sulla letteratura sic<strong>il</strong>iana che si era preparato<br />
e se ne tornò al posto con una targa d’argento e le orecchie<br />
incandescenti. F<strong>il</strong>ippo gli disse:<br />
«Papà, me la regali?»<br />
«Certo, però papà te la dà dopo, adesso non sta bene.»<br />
Ma F<strong>il</strong>ippo non distoglieva gli occhi da quella targa d’argento<br />
inquadrata da una elegante scatola blu. Cominciò lo<br />
spoglio delle schede. Già si sapeva chi sarebbe stato <strong>il</strong> vincitore.<br />
Ma <strong>il</strong> bimbo non si dava pace, smaniava, ogni voto che<br />
veniva assegnato agli altri due scrittori della terna, che erano<br />
seduti nella f<strong>il</strong>a davanti alla loro, sbuffava rumorosamente.<br />
Quando fu chiaro anche a lui che <strong>il</strong> suo papà non avrebbe<br />
vinto, scoppiò a piangere e gli scappò anche una bottarella<br />
dispettosa sulle spalle del vincitore, che si voltò con un sorrisetto<br />
stiracchiato.<br />
«Non si può sempre vincere, va bene così!», gli faceva Stella<br />
per quietarlo, ma F<strong>il</strong>ippo era una valle di lacrime.<br />
Non riuscirono a consolarlo quella sera, si addormentò fra<br />
le lacrime. Stella mentre gli rimboccava le coperte diceva:<br />
«Ma lo vedi che angioletto, questo è <strong>il</strong> premio più bello che<br />
abbiamo avuto, non è vero?»<br />
«Be’, anche <strong>il</strong> Super Mondello non sarebbe stato male!»<br />
IL SORCIO 97<br />
«Ecco, non sei mai contento! Ti hanno premiato, ti hanno<br />
fatto venire qui.»<br />
«Ma sì, ma sì, sono contento. Che cosa posso volere di più?»<br />
«E questo è tutto… Sa qual è un mio sogno ricorrente, da<br />
allora, dottore? Mi sogno di ritirare <strong>il</strong> premio Mondello<br />
completamente nudo. Sf<strong>il</strong>o davanti alla giuria, sistemata<br />
sugli scranni neri in fondo al palco, col batacchio che mi<br />
sbatte sulle cosce producendo un rumore come di frusta<br />
bagnata. Intanto dico: “Sono molto contento di ritirare questo<br />
premio, la Sic<strong>il</strong>ia è un’isola meravigliosa, i sic<strong>il</strong>iani un<br />
popolo straordinario…” Stringo la mano a tutti i giurati<br />
vestiti di nero che tuttavia, anziché sorridermi come è accaduto<br />
nella realtà, mi guardano severamente l’uccello penzolante.<br />
L’ultimo della f<strong>il</strong>a, <strong>il</strong> giurato canuto che mi ha riso in<br />
faccia, mi fa dandomi la mano: “I tuoi romanzi sono mediocri<br />
proprio come la tua vita! Vatti a rivestire, sei ridicolo, ci<br />
metti tutti in imbarazzo.”»
PARTE SECONDA
IL SORCIO 101<br />
«Ricordo uno dei primi, strazianti venerdì sera della malattia<br />
di mio padre. Avevamo appreso da poco che aveva un<br />
cancro al polmone destro della grandezza di una noce. A lui<br />
gli si raccontavano mezze verità, e lui fingeva di crederci: tessuto<br />
precanceroso, cazzate sim<strong>il</strong>i.»<br />
Questo era <strong>il</strong> patto sottaciuto. I venerdì sera tuttavia, per<br />
loro stessa natura, mettevano in crisi la parte che erano tutti<br />
chiamati a interpretare. Suo padre non riusciva a piegarsi<br />
alla recita dell’umore lieto, loro alla esplicita manifestazione<br />
dell’angoscia.<br />
«Ridete, ridete, vi divertite, eh?, state bene…» disse <strong>il</strong> vecchio,<br />
con un sorriso sprezzante, raggelando tutti i commensali.<br />
«Bene, mi fa piacere, continuate, continuate pure, vi ho<br />
interrotto? Di che parlavate, di vacanze, di condizionatori<br />
mi pare…»<br />
«Non si rideva, papà, si cercava di non starci sempre a pensare,<br />
ecco tutto…», disse Nicolò.<br />
«Del resto non c’è nulla da pensare, non c’è nulla di tragico,<br />
papà – disse sua sorella, tenendosi fedele al copione – ti<br />
abbiamo detto o no che è benigno? Ti fai un piccolo intervento<br />
chirurgico e passa tutto…»
102 PARTE SECONDA<br />
«Non mi opererò mai, mettetevelo bene in testa!»<br />
«Ma papà, pensaci, <strong>il</strong> professor Castelli dice che sarebbe<br />
opportuno…»<br />
In realtà <strong>il</strong> rinomato professor Castelli, esimio chirurgo<br />
toracico del Forlanini, aveva chiesto ancora l’età di suo<br />
padre e poi aveva fatto spallucce, con un professionale cinismo<br />
che aveva mandato Nicolò su tutte le furie.<br />
«Se la faccia lui l’operazione! Anzi, fatevela voi! Voi non<br />
avete bisogno di essere operati?, voi non dovete morire?»<br />
Sprizzava fiele, voleva che qualcuno perdesse le staffe.<br />
Cosa che non accadde. Guardava fisso negli occhi sua madre<br />
con un sorriso sprezzante, di sfida, come a dire, Avanti!,<br />
vediamo se hai <strong>il</strong> coraggio di dirmi quello che realmente ho!<br />
Sua madre ricambiava quel suo sguardo ferino sorridendo<br />
impacciata.<br />
«Mio padre non si operò mai, e <strong>il</strong> cancro lo divorò in nove<br />
mesi scarsi. Il tempo della gravidanza di Stella. È diffic<strong>il</strong>e<br />
non leggere qualcosa di soprannaturale in tale coincidenza:<br />
ho concepito F<strong>il</strong>ippo lo stesso giorno nel quale ho appreso<br />
della malattia di mio padre. Proprio quella sera… Non lo<br />
trova sorprendente?»<br />
«Lo fece intenzionalmente?»<br />
«Sì, ma per Stella, io non lo volevo un figlio, dottore, né<br />
maschio né femmina. E non era – come pensava Stella – una<br />
posizione preconcetta da sessantottino rintronato. No, era<br />
proprio che non mi sentivo all’altezza, temevo che avrei fatto<br />
dei guai. Temevo che Stella cambiasse, come poi è stato, temevo<br />
che ci si imborghesisse, come poi è stato anche questo.»<br />
Anche suo padre non desiderava né <strong>il</strong> matrimonio né i<br />
figli, dovette adattarsi malvolentieri a entrambi, e fu un pes-<br />
IL SORCIO 103<br />
simo marito e un pessimo padre. Per Nicolò, viste le numerose<br />
somiglianze caratteriali, era lecito paventare che sarebbe<br />
andata allo stesso modo, anche nel rapporto con i figli e<br />
in primis con <strong>il</strong> figlio maschio. Insomma, questo lo preoccupava<br />
molto. A ogni modo non venivano, <strong>il</strong> problema ancora<br />
non si poneva.<br />
Si sottopose, assai di malavoglia, alle solite indagini che si<br />
fanno in questi casi. I suoi spermatozoi risultarono scarsi e<br />
poco attivi. «Del resto non poteva essere altrimenti giacché<br />
bisognava produrli, quegli spermatozoi, la mattina alle sei<br />
meno un quarto, appena alzati, in tre minuti scarsi, con la<br />
bocca amara e la prospettiva di una intera giornata di lavoro<br />
davanti. A parte gli scherzi, i miei spermatozoi erano a posto,<br />
solo che Stella invece di precipitarsi a portarli al laboratorio di<br />
analisi, se la prendeva comoda (un’ora, un’ora e mezza), e così<br />
ne arrivavano a destinazione pochi e per così dire spompati.»<br />
Un giorno Nicolò decise di fare tutto da sé. Si tirò una sega<br />
in macchina a viale XXI Apr<strong>il</strong>e, sotto al cappotto, all’ombra<br />
di un platano malato, davanti al palazzetto liberty del laboratorio<br />
di analisi coperto di edera, e immediatamente consegnò<br />
<strong>il</strong> prezioso seme agli analisti. Il risultato non fu br<strong>il</strong>lante,<br />
tuttavia rientrava nella norma. Nicolò ne fu piuttosto fiero.<br />
Lo riferiva a tutti.<br />
«Assistette al parto?»<br />
«Be’, sì, a parte l’ultimo atto… Ricordo i due giorni precedenti,<br />
in ospedale: scrivevo febbr<strong>il</strong>mente nella saletta d’attesa<br />
con <strong>il</strong> pc portat<strong>il</strong>e un articolo su Brecht che mi avevano<br />
commissionato al giornale.»<br />
Ricorreva l’anniversario della nascita o della morte. Bisognava<br />
scrivere otto cartelle di commemorazione.
104 PARTE SECONDA<br />
«Non sapevo un cazzo di Brecht e di letteratura tedesca.<br />
Avevo letto a vent’anni in italiano le commedie più famose,<br />
qualche poesia, e basta. Non so perché accettai. Mi lusingava<br />
la proposta. E poi la smania di pubblicare, quella specie di<br />
febbre narcisistica di vedere la firma stampata…»<br />
«Aveva appena perso suo padre…»<br />
«Da qualche settimana, ero sconvolto…»<br />
«E nonostante suo padre appena morto, nonostante Stella<br />
che doveva partorire, lei accettò quell’incarico.»<br />
«Già, sembra assurdo, eh…»<br />
«Be’, doveva importarle parecchio!»<br />
Si mise sotto a leggere di tutto su Brecht, pigliando appunti,<br />
come uno studente. Aveva quattro giorni scarsi di tempo,<br />
e Stella da un momento all’altro doveva partorire.<br />
«Io pensavo solo a quel maledetto pezzo. Mi dicevo in preda<br />
alla preoccupazione: questa è la volta che ti sputtani, tutti<br />
capiscono che improvvisi senza sapere un cazzo.»<br />
Il primo giorno passò tutto <strong>il</strong> tempo a leggere e a scrivere,<br />
un po’ nella saletta d’attesa, un po’ direttamente in camera,<br />
seduto scomodamente su una sedia di plastica, con <strong>il</strong> portat<strong>il</strong>e<br />
appoggiato sulle ginocchia. Alla sera lui e Stella si videro<br />
un f<strong>il</strong>m con Bombolo, quello che passava <strong>il</strong> convento, una<br />
roba terrificante giusto per passare <strong>il</strong> tempo. L’indomani<br />
sveglia del reparto alle sei.<br />
«Cristo, che vita di merda che si conduce in ospedale!»<br />
Nicolò attacca subito a scrivere. Alle undici ha finito <strong>il</strong> pezzo<br />
e lo invia al giornale approfittando della stampante e del<br />
fax del reparto. Finalmente è libero e può godersi l’evento.<br />
La giornata però trascorre lentissima. Le doglie non arrivano.<br />
Stella è serena, paciosa, come se stesse in un albergo a<br />
IL SORCIO 105<br />
godersi una vacanza. «Era bellissima: <strong>il</strong> volto roseo e sorridente,<br />
due grandi occhi che scint<strong>il</strong>lavano di gioia e di serenità,<br />
la chiostra candida dei denti sempre in mostra. Era <strong>il</strong><br />
ritratto della salute e della gioia.»<br />
Nel reparto già tutti la conoscevano e l’amavano. Lui invece<br />
si aggirava per quel reparto di ostetricia e ginecologia<br />
irrequieto e pallido, con la faccia malsana:<br />
«Stavo male, tanto per cambiare, dottore, ingoiavo pasticche<br />
contro la diarrea come caramelle…»<br />
Il secondo giorno Nicolò cominciò a manifestare ansia.<br />
Voleva concludere in giornata, perché gli era toccato prendere<br />
dei giorni di ferie per la bisogna e non voleva esagerare.<br />
«Fare economia sulle ferie è <strong>il</strong> primo compito di ogni d<strong>il</strong>igente<br />
impiegato.»<br />
Per fortuna la sua impazienza era condivisa dalla suocera<br />
che non vedeva l’ora di diventare nonna. Convinsero Stella a<br />
farsi provocare artificialmente le contrazioni. Come le spalmarono<br />
<strong>il</strong> gel stimolante, cominciarono le doglie, e subito<br />
frequenti, robuste. Mezz’ora dopo in sala travaglio Stella<br />
soffriva ma ancora in s<strong>il</strong>enzio. Le altre puerpere urlavano, e<br />
lei gli disse: «Ma come fanno a str<strong>il</strong>lare a quel modo, senza<br />
ritegno, io non potrei mai.»<br />
Fra una puerpera e l’altra c’era solo un corto tramezzo<br />
divisorio foderato di tessuto blu, potevi vedere tutto al di là.<br />
Nicolò cercava di non guardare le altre, per discrezione, ma<br />
anche perché gli facevano abbastanza schifo ridotte com’erano:<br />
affrante, sudate, erubescenti, sdraiate con le gambe<br />
spalancate.<br />
«Un’ora dopo eravamo rimasti soltanto noi in sala travaglio<br />
e Stella mi urlava di fare qualcosa…»
106 PARTE SECONDA<br />
Nicolò corse in infermeria. Una giovane infermiera alta e<br />
bionda con la faccia angolosa da donna del III Reich gli fece<br />
con manifesto sgarbo: «Il parto, signore mio, non è una passeggiata!»<br />
Nicolò le rispose che sua moglie non aveva nessuna<br />
voglia di soffrire e aveva chiesto che le venisse praticata<br />
l’anestesia epidurale.<br />
«Mi dispiace, – gli fece l’infermiera – doveva farne esplicita<br />
richiesta!»<br />
«Bene, la faccio adesso esplicita richiesta!»<br />
«Adesso non c’è l’anestesista che la fa!»<br />
«E quando arriva?»<br />
«Più tardi.»<br />
«Più tardi quando?»<br />
«Non lo so.»<br />
Tornò da Stella, provò a tranqu<strong>il</strong>lizzarla, ma era impossib<strong>il</strong>e,<br />
soffriva come una bestia, cominciava a perdere molto<br />
sangue. Le ore passarono, tornò più volte in infermeria senza<br />
ottenere nulla: solo generiche assicurazioni che tutto stava<br />
procedendo bene, che tutto era regolare. Stella ormai perdeva<br />
sangue a fiotti, <strong>il</strong> letto del travaglio ne era imbrattato.<br />
Lui le teneva la mano e la supplicava in modo melodrammatico<br />
di resistere.<br />
«Non ce la faccio più… Fai qualcosa, cazzo, non startene lì<br />
impalato!»<br />
Il turp<strong>il</strong>oquio per lei era una novità e Nicolò ne dedusse<br />
l’assoluta unicità del momento.<br />
«I medici dicono che va tutto bene, piccola, cosa posso<br />
fare?, dimmelo tu…»<br />
«Voglio <strong>il</strong> cesareo, voglio <strong>il</strong> cesareo subito…»<br />
Stavolta Nicolò affrontò l’infermiera a brutto muso.<br />
IL SORCIO 107<br />
«Sono dodici ore che stiamo là dentro. Mia moglie è stufa,<br />
sfinita, vuole <strong>il</strong> cesareo…»<br />
«Il cesareo lo decide <strong>il</strong> medico, caro signore, non sua<br />
moglie, né lei, né io…»<br />
Nicolò cominciò a gridare, col cuore che gli batteva a martello,<br />
che lui e sua moglie avevano fatto una emerita cazzata<br />
a scegliere <strong>il</strong> Gemelli, dove notoriamente, in quanto ospedale<br />
cattolico legato al Vaticano, se ne fottevano di terapie del<br />
dolore.<br />
«L’epidurale si fa dovunque, ormai, solo voi fate difficoltà.»<br />
«E se anche fosse… Siamo contrari, e allora?… Gesù dice,<br />
Partorirai con dolore…»<br />
«Partorirai con dolore? Me ne frego di quello che ha detto<br />
Gesù, capito?»<br />
La visitarono per l’ennesima volta, monitorarono i battiti<br />
del feto, <strong>il</strong> medico le ficcò una mano dentro per cercare la testa<br />
del piccolo. Gli dava fastidio che quel tizio trafficasse sulla fica<br />
di sua moglie. Ma davvero nulla si poteva fare per impedirlo.<br />
«Tutto bene. Continui a spingere…»<br />
«A mezzanotte e mezza stavamo ancora in quella cazzo di<br />
sala travaglio a soffrire e imprecare. Io avevo ingoiato otto<br />
pastiglie di Imodium, i dolori alla pancia mi tormentavano,<br />
ma in quella situazione come facevo a lamentarmene?»<br />
Le contrazioni di Stella ormai da diverse ore si susseguivano<br />
continue, e così le sue urla disperate. Nicolò uscì per<br />
pisciare e liberarsi dell’aria. C’erano tutti i parenti di Stella<br />
assiepati nel corridoio del reparto, come sempre assai partecipi.<br />
Dei suoi, invece, neppure un cane. La zia di Stella gli<br />
disse: «Non te la prendere Nicolò. Il dolore passa. L’importante<br />
è la salute del piccolo.»
108 PARTE SECONDA<br />
«Me ne fotto della salute del piccolo! Basta che Stella la<br />
smette di soffrire…»<br />
Nessuno osò più dirgli una parola. Quando tornò in sala<br />
travaglio attorno al letto di Stella c’era un capannello di<br />
medici e infermieri. La visita durò più del solito, alla fine<br />
decisero per <strong>il</strong> cesareo, in quanto <strong>il</strong> piccolo premeva lateralmente<br />
e stava lacerando i tessuti dell’utero. C’era pericolo<br />
per la salute della madre. Quando i medici se ne andarono,<br />
prese la mano di Stella: «Adesso passa davvero tutto, ce l’abbiamo<br />
fatta…»<br />
Stella riuscì a sorridergli pur piangendo a dirotto.<br />
«Digli di sbrigarsi, non ce la faccio più!»<br />
«Arrivano subito, vedrai! Resisti, piccola, resisti. Cristo, ma<br />
perché deve soffrire così?»<br />
Stella fu caricata sulla lettiga e trasportata in sala parto.<br />
Un’ora dopo Nicolò osservava – insieme ai parenti di Stella<br />
ch’erano ancora lì malgrado fossero quasi le due del mattino<br />
– attraverso <strong>il</strong> vetro della nursery i neonati.<br />
«Che bello, che bello!», esultava la suocera.<br />
«Perché, tu sai qual è?»<br />
«Ma sì, ancora non l’hai capito? È quello, quello in mezzo<br />
coi capelli scuri!»<br />
«Accidenti, se era quello, era proprio una botta di culo,<br />
come si dice…»<br />
Un faccino tondo tondo senza rughe né occhi abbottati né<br />
lineamenti alterati: <strong>il</strong> cesareo l’aveva risparmiato dallo sforzo<br />
del parto naturale. Fatto è che gli altri erano tutti dei mostriciattoli<br />
rugosi e frignanti, lui un piccolissimo putto s<strong>il</strong>enzioso<br />
e splendente. Nicolò non arrivò a piangere, era troppo stanco.<br />
Abbracciò sua suocera. Baciò la zia cui aveva risposto male<br />
IL SORCIO 109<br />
nel pomeriggio. Naturalmente era maschio: l’aveva sempre<br />
saputo. Nove mesi prima aveva chiesto a Stella e a tutti i<br />
parenti di non rivelargli mai <strong>il</strong> sesso, per non rovinargli la sorpresa<br />
finale (e nessuno infatti glielo aveva detto). Ma dentro<br />
di sé lo sapeva dal giorno del concepimento. Sapeva che quel<br />
piccolo sarebbe venuto a risarcirlo della perdita di suo padre.<br />
E dunque non poteva essere che maschio. Per replicare <strong>il</strong> rapporto<br />
padre-figlio. Perché Nicolò si convertisse.<br />
«Era un messaggio del Padreterno quello. Certe cose si<br />
sentono.»<br />
«Lei pensa che fosse un messaggio dell’Onnipotente?»<br />
«Proprio così.»<br />
Quella notte in ospedale accanto a Stella restò la madre.<br />
Nicolò tornò a casa. Però l’indomani di buonora era di nuovo<br />
lì. Trovò Stella con in braccio <strong>il</strong> piccolino. Stamani, senza<br />
la luce soffusa, ovattata della nursery, era meno bello. Ma era<br />
comunque un sogno di neonato.<br />
Siccome piangeva a dirotto, gli ficcò un dito in bocca e lui,<br />
ciucciando, si calmò subito e fece una smorfia di beatitudine<br />
che poteva essere un sorriso. Stella e la madre, invece di<br />
aggredirlo, lo rimbrottarono benevolmente e si misero a<br />
ridere insieme all’infermiera.<br />
«Ha capito tutto!», gli fece l’infermiera. «Sarà un ottimo<br />
padre!»<br />
«Poi come arrivammo a casa, fu l’inferno…»<br />
Quel nuovo ospite esigente e rumoroso lo disturbava,<br />
anche se non badava alle sue cacche e ai suoi pannolini,<br />
anche se non dormiva con lui, anche se non doveva dargli <strong>il</strong><br />
latte, insomma anche se non faceva praticamente nulla per<br />
lui, lasciando tutto <strong>il</strong> carico a Stella.
110 PARTE SECONDA<br />
«Il fatto è che volevo vivere esattamente come prima che<br />
nascesse… Non tolleravo alcun cambiamento a causa sua.<br />
Mi urtava che fossimo ormai reclusi a casa, senza possib<strong>il</strong>ità<br />
di evasione. Che non si leggesse più la sera, che non si andasse<br />
più al cinema, che non si potesse vedere neppure più un<br />
cazzo di f<strong>il</strong>m in cassetta dall’inizio alla fine. Mi urtava che<br />
Stella non parlasse ormai di altro che del bambino e delle<br />
sue esigenze. Che tutto <strong>il</strong> resto fosse passato improvvisamente<br />
in secondo piano…»<br />
«Che cosa intende per tutto <strong>il</strong> resto?»<br />
«La mia scrittura, dottore, la mia malattia…»<br />
Al mare fu anche peggio. Lì c’erano tutti i parenti di Stella<br />
che venivano a visitare <strong>il</strong> bambino e lui non lo sopportava.<br />
Non sopportava l’improvvisa invadenza della suocera, che<br />
irrompeva nella sua camera e sbraitava: «E apri questa finestra,<br />
senti che puzza di fumo, vuoi far ammalare <strong>il</strong> piccolo?!»,<br />
non sopportava le m<strong>il</strong>le regole di vita che <strong>il</strong> neonato gli<br />
imponeva (non fumare in casa, non andare in spiaggia nelle<br />
ore calde, non disturbarlo quando dormiva, non fare questo<br />
non fare quello…).<br />
Quando, assai di rado, doveva badare lui al bambino –<br />
benché fosse buono – riusciva comunque a perdere la<br />
pazienza. In qualche occasione fu maldestro e violento: lo<br />
scuoteva rabbiosamente per farlo smettere di piangere, alzava<br />
la voce terrorizzandolo. Insomma, tutto andava secondo<br />
le peggiori previsioni.<br />
«Mi stavo dimostrando un pessimo padre, ansioso, impaziente,<br />
nevrotico. Buon sangue non mente, riflettevo, e naturalmente<br />
pensavo a mio padre.»<br />
«Te l’avevo detto! – diceva a Stella, trascinando con fatica<br />
IL SORCIO 111<br />
la carrozzina lungo un viale ciottoloso di V<strong>il</strong>la Ada – Io non<br />
dovevo metterlo al mondo un figlio, non dovevo…»<br />
«Be’, ormai l’hai fatto! Datti una regolata!»<br />
C’era la v<strong>il</strong>la, <strong>il</strong> verde, l’aria profumata di resina ed erba<br />
umida, un tramonto purissimo dietro la f<strong>il</strong>a di castagni, ma<br />
lui non guardava niente e sentiva solo <strong>il</strong> ventre che gli doleva<br />
e un generalizzato senso di colpa.<br />
«Non sono capace a fare <strong>il</strong> padre, accidenti, devi capirmi,<br />
aiutarmi… Sto male, ho <strong>il</strong> mio mal di pancia, <strong>il</strong> mio malessere,<br />
mio padre che se ne è andato per sempre, come fai a<br />
non capire?»<br />
«Ah, io dovrei aiutarti? Ma scherzi?… Sei tu che dovresti<br />
aiutarmi fino a prova contraria… E non fai nulla! Almeno<br />
non mettermi i bastoni fra le ruote! E piantala di piangerti<br />
addosso! Non ne posso più del tuo vittimismo!»<br />
«Eppure F<strong>il</strong>ippo – malgrado tutto – sembrava chissà come<br />
attaccarsi anche a me.»<br />
Certe volte, quando lo prendeva in braccio, poggiava la<br />
testolina sull’incavo della sua spalla e smetteva all’istante di<br />
piangere e lamentarsi.<br />
«Mi faceva certi sorrisi che avrebbero commosso chiunque.<br />
Mi mettevo talvolta a guardarlo mentre dormiva. Non<br />
era solo bellissimo, era anche straordinariamente tranqu<strong>il</strong>lo<br />
e buono. Lo dicevano tutti: ripetevano ch’eravamo stati<br />
baciati dalla fortuna, che più buono di così non avrebbe<br />
potuto venirci.»<br />
In certi momenti a Nicolò sembrava che quel piccolo gli<br />
dicesse: «Io cerco di darti meno fastidio possib<strong>il</strong>e, vero?»<br />
Non aveva che da lasciarsi andare. Ma non poteva.<br />
«Stavo sempre peggio. La notte non chiudevo occhio, <strong>il</strong>
112 PARTE SECONDA<br />
ventre gonfio mi doleva, liberavo peti dolorosi in continuazione,<br />
andai a dormire nello studio per questo, per non<br />
appestare la camera da letto, un’invincib<strong>il</strong>e stanchezza mi<br />
sfiniva, non potevo vedere nessuno, non potevo sorridere.»<br />
«Era nel pieno della sua depressione!»<br />
«Proprio così.»<br />
I litigi con Stella alzarono di tono. Le crisi di pianto li<br />
colpivano entrambi, frequenti, sempre più diffic<strong>il</strong>i da<br />
domare. Avevano rinunciato tutti e due a consolarsi. Lui<br />
non faceva che lamentarsene. Si sentiva trascurato da lei a<br />
motivo del piccolo. La vedeva così innamorata di F<strong>il</strong>ippo<br />
che provava una virulenta gelosia. Non poteva odiarlo,<br />
perché era così tenero, buono e bello, ma comunque avrebbe<br />
preferito che non ci fosse, che ritornasse da dove era<br />
venuto e che le cose fra lui e Stella riprendessero dal punto<br />
di partenza. Ah, se lui non fosse mai nato e suo padre non<br />
fosse mai morto!<br />
Pensò che <strong>il</strong> motivo della crisi di coppia che indubitab<strong>il</strong>mente<br />
stavano attraversando dipendesse dal fatto che non<br />
avevano più un briciolo di intimità, che non erano mai soli.<br />
Dovevano ritagliarsi degli spazi soltanto loro, dovevano<br />
uscire insieme, andare al cinema, a cena fuori, dovevano fare<br />
nuovamente dei weekend in Umbria o in Toscana come una<br />
volta. Ma Stella faceva resistenza. Non voleva lasciarlo mai,<br />
F<strong>il</strong>ippo, soprattutto durante la notte. Doveva tenerlo sempre<br />
sotto controllo.<br />
Lo amava, di un amore esclusivo e febbr<strong>il</strong>e. Viveva per lui,<br />
era diventata un computer dedicato alla maternità, al prosieguo<br />
della specie. Il risultato di qualche weekend fuori fu<br />
disastroso.<br />
IL SORCIO 113<br />
«Stella fremeva, non vedeva l’ora di ritornare, non riusciva<br />
a godersi un cazzo!»<br />
«Si riferisce a un episodio particolare?»<br />
«Sì, un settimanale mi aveva commissionato un pezzo sulle<br />
discoteche rivierasche, con le annesse mitologie decadenti,<br />
ritualistiche e autodistruttive delle droghe, delle stragi<br />
stradali, dello stordimento collettivo.»<br />
Bisognava visitarle, cercando di mettere da parte i pregiudizi,<br />
le fac<strong>il</strong>i etichette, i moralismi. Insomma, occhi asciutti,<br />
sguardo oggettivo. Armato di questi e altri buoni propositi,<br />
mentre Stella si fa bella in albergo, Nicolò cerca in giro informazioni<br />
sulla discoteca più sballata della zona. Gli rispondono<br />
in modo pressoché unanime – dall’albergatore, al cameriere<br />
di un ristorante al porto, ai giovani che si danno allo<br />
struscio per <strong>il</strong> Corso – Le cocoricò di Riccione. Aveva già avuto<br />
la medesima dritta a Roma, prima di partire. Bene, è sabato<br />
sera e non resta che andarci.<br />
Lo informano che è inut<strong>il</strong>e arrivare prima delle due di notte<br />
e dunque cenano con comodo, lui e Stella, in un ristorante<br />
a veranda lungo <strong>il</strong> nebbioso porto canale e poi fanno di tutto<br />
per tirare tardi passeggiando per gli eleganti viali di Riccione.<br />
Solo che c’è un gran vento freddo che invola cicche e cartacce,<br />
per strada non gira un cane e le vetrine, se non dispiacciono<br />
a Stella, a lui lo annoiano terrib<strong>il</strong>mente. Stella,<br />
malvolentieri, gli permette una puntatina all’Horror Obitory<br />
bar per l’ultimo bicchierino. «Con questo posto ci sfango<br />
mezzo reportage!» Gliela mette così per non dover discutere,<br />
già allora, del proprio tasso alcolico. Davanti all’ingresso un<br />
carro funebre con la scritta Trans<strong>il</strong>vania. Sulla soglia un tizio<br />
tutto nero con <strong>il</strong> volto incipriato di bianco e una dentatura
114 PARTE SECONDA<br />
draculina. Dentro, teschi, ceri, simboli satanici. Stella non<br />
beve neppure un’aranciata. Nicolò si maledice per non essere<br />
venuto da solo.<br />
«Ma perché devi bere, stasera, me lo vuoi spiegare?»<br />
«Quando mai s’è visto uno che va in discoteca savio?»<br />
I fari delle macchine si mescolano alle luci delle insegne e<br />
sono macchie unte d’argento. Ancora un solo bicchierino, e<br />
adesso sarebbero probab<strong>il</strong>mente in un fossato. Un cartello<br />
stradale sb<strong>il</strong>enco con su scritto, semplicemente, Discoteche<br />
punta verso Riccione alta. Lo segue. La strada s’inerpica tortuosa<br />
e buia per la collina. Qua e là, emergono i prof<strong>il</strong>i delle<br />
v<strong>il</strong>le e dei lussuosi ristoranti <strong>il</strong>luminati, e poi alcuni gruppetti<br />
di ragazzi dai look arditi che camminano sul bordo<br />
della strada: capelli viola e gialli e cinturoni fosforescenti e<br />
striminzite minigonne di pa<strong>il</strong>lettes e lunghi pastrani neri e<br />
cappellacci da cowboy e tacchi a sp<strong>il</strong>lo di plastica verde e<br />
azzurra… Nicolò si accosta, <strong>il</strong>lumina coi fari: alcuni giovani<br />
si stanno cambiando d’abito al bordo della strada. Inf<strong>il</strong>ano<br />
dentro le sacche i vestiti normali e indossano i capi estrosi<br />
della festa.<br />
Arrivano a Le cocoricò, o meglio al parcheggio dove li indirizzano<br />
i cartelli: un enorme spiazzo sterrato che sconfina<br />
nella campagna buia e caliginosa. Alcuni addetti gli sp<strong>il</strong>lano<br />
denaro e gli fanno cenno di inf<strong>il</strong>are l’auto a spina lungo una<br />
coda già piuttosto lunga.<br />
«Non siamo i primi», commenta Nicolò.<br />
Mentre fa manovra, altre macchine parcheggiano al fianco<br />
e un’altra coda va già formandosi alle loro spalle. Stella non<br />
pensa che a una cosa.<br />
«Diglielo, diglielo, sennò poi ci imbottigliano…»<br />
IL SORCIO 115<br />
«Senta – chiede Nicolò a uno dei parcheggiatori – io non<br />
credo che resterò fino alla chiusura… Posso uscire a qualunque<br />
ora, vero?»<br />
Li tranqu<strong>il</strong>lizzano, e si avviano verso l’entrata. Oltre un’alta<br />
siepe di pitosforo comincia a stagliarsi <strong>il</strong> fabbricato ancora<br />
seminascosto dai rami di un albero: una specie di voliera<br />
piramidale a vetri, tutta pulsante di luci psichedeliche, percorsa<br />
in lungo e in largo da sott<strong>il</strong>i nervature di ghisa. Una<br />
voliera o una gabbia o una prigione iperrealistica da f<strong>il</strong>m di<br />
fantascienza. In tutti i casi suscita un’idea di claustrazione.<br />
Man mano che si avvicinano, cominciano a distinguersi<br />
anche gli arredi interni: lunghi coni di lamiera e maxischermi<br />
ovali e alti trespoli neri e vetrine piene di pistole, sì, sembrano<br />
proprio pistole, ma da lì è ancora diffic<strong>il</strong>e dirlo con<br />
certezza… E poi un pannello recante <strong>il</strong> disegno di un miss<strong>il</strong>e<br />
e un motto sib<strong>il</strong>lino: Non sarò mai più un ragazzo dello spazio.<br />
Il locale sta aprendo proprio adesso e c’è già una folta<br />
coda di ragazzi tutti pigiati all’ingresso, presidiato da una<br />
schiera di corpulenti buttafuori vestiti di nero (tute att<strong>il</strong>latissime,<br />
che fanno risaltare le apprezzab<strong>il</strong>i muscolature) con<br />
lo stemma del locale affisso al petto. Si mettono in coda<br />
anche loro sotto <strong>il</strong> fuoco di m<strong>il</strong>le sguardi ironici e indagatori.<br />
I ragazzi li guardano pieni di curiosità. D’accordo, pensa<br />
Nicolò, siamo piuttosto stagionati ormai, però non siamo i<br />
soli ad aver superato i trent’anni accidenti! Perché non guardano<br />
quella coppia di galli cedroni sulla sinistra, accanto al<br />
buttafuori, oppure quel tizio tutto calvo col codino o quella<br />
checca sui trampoli laggiù? Quanti anni pensano che abbia<br />
quello lì? Almeno trentacinque, garantito. Poi all’improvviso<br />
capisce. Non è l’età (o almeno non solo) a stimolare quella
116 PARTE SECONDA<br />
divertita attenzione, a renderli diversi ai loro occhi, ma <strong>il</strong><br />
look, o meglio, la totale assenza di look: lui indossa un insignificante<br />
giaccone di velluto e mocassini e pantaloni di flanella,<br />
mentre Stella è elegante ma in modo del tutto tradizionale:<br />
veste un sobrio ta<strong>il</strong>leur grigio con i bottoni d’oro<br />
che sembra la divisa di una hostess. Inut<strong>il</strong>e insistere, è<br />
impossib<strong>il</strong>e mimetizzarsi. Tanto vale allora far valere le<br />
ragioni della diversità, oltretutto <strong>il</strong> biglietto costa un bel po’<br />
di soldi. Escono dalla f<strong>il</strong>a facendosi largo quasi a spallate e<br />
raggiungono <strong>il</strong> buttafuori dall’esterno. «Senta, sono un giornalista.»<br />
gli fa Nicolò, per farla breve. «Vorrei entrare con<br />
mia moglie per un servizio!» Quello lo squadra con un’espressione<br />
poco rassicurante. Le cose sono due: o non gli<br />
crede, oppure odia i giornalisti. Nicolò gli mostra la tessera.<br />
Qualcuno l’acchiappa al volo e la porta via.<br />
Poco dopo arriva <strong>il</strong> direttore – un bell’uomo giovane e<br />
alto, in grigio – con un sorriso a trentadue denti: «Prego,<br />
accomodatevi, via, via, ragazzi, scansatevi, – dice con l’aria<br />
atteggiata a un paternalistico disgusto – lasciateli passare…»<br />
Prima di entrare, Nicolò si regala un’ultima occhiata trionfante<br />
ai ragazzi ancora pigiati nella f<strong>il</strong>a.<br />
Proprio accanto alle biglietterie c’è una scalinata spartita<br />
da una balaustra a forma di pistola.<br />
«Proprio così, un enorme pistolone nero, la cui canna lucida<br />
puntava verso la cima della scala.»<br />
«Sì, la pistola è <strong>il</strong> nostro motivo invernale.» Si ferma, <strong>il</strong><br />
direttore, lo guarda negli occhi con un sorrisetto: «Non tragga<br />
subito le sue conclusioni, dottor Consorti, mi raccomando…<br />
Non è un inno alla violenza, ma solo un gioco.»<br />
«Doveva avere una coda di paglia lunga fino a Napoli…»<br />
IL SORCIO 117<br />
«Abbia pazienza, ma siamo un po’ sospettosi con la stampa…»<br />
Fa l’ingenuo, Nicolò, gli domanda perché anche se lo sa<br />
benissimo (è venuto qui apposta). «Scrivono sempre delle<br />
cattiverie su di noi, tipo che vendiamo l’ecstasy insieme al<br />
biglietto e fomentiamo risse… Figurarsi…» In cima alla scala,<br />
contro la parete, c’è un baldacchino davvero curioso:<br />
sopra una spallata di lattughe, una bacheca abitata da vermi<br />
e coleotteri e da un giovane seminudo languidamente<br />
sdraiato su un fianco. Il direttore si gusta le sue reazioni di<br />
sconcerto, e un po’ anche di schifo: «Bello, eh?», gli fa. Nicolò<br />
e Stella osservano quegli insetti che passeggiano sulla faccia<br />
di quel povero cristo immob<strong>il</strong>e e muto e bensì vivo e vegeto.<br />
«Poverino» dice Stella.<br />
«Oh, non si preoccupi per lui. Lui sta benissimo. Quegli<br />
animaletti sono inoffensivi e là dentro c’è una temperatura<br />
di ventidue gradi.»<br />
Il direttore gli offre da bere (Stella si bagna appena le labbra<br />
con del Martini rosso) e gli mostra le varie sale del locale.<br />
Quella principale è enorme ed ellittica, con la pista sormontata<br />
da quattro coni irraggiati da una mezzaluna, alla<br />
base dei quali un maxischermo ovale proietta un frullato di<br />
videoclip che si susseguono a ritmi vertiginosi.<br />
«Inut<strong>il</strong>e dire che prevalevano di gran lunga le scene di sesso<br />
e di violenza.»<br />
Proprio adesso una donna si sta affettando una tetta con<br />
un trapano elettrico. Ma niente paura, sono solo immagini.<br />
Così come finte sono le pistole che guarniscono le pareti.<br />
Dopo una serie di stretti e oscuri corridoi anch’essi adorni di<br />
pistole ben allineate dentro bacheche di vetro, visitano una
118 PARTE SECONDA<br />
saletta labirinto: «Questa è una sala sperimentale. Ognuno<br />
deve scegliere la sua strada» gli fa <strong>il</strong> direttore, ironico. «Ma<br />
dove bisogna andare?», gli chiede Nicolò, non vedendolo più<br />
al suo fianco. Gli giunge la sua voce, in echi sfiatati, intermittenti:<br />
«Gliel’ho detto, ognuno deve trovare la sua strada.»<br />
Davvero divertente, pensa Nicolò.<br />
«Alla fine lo raggiungemmo, quel burlone del direttore,<br />
prima io e poi Stella.»<br />
La saletta sperimentale in realtà è un buco saturo di suoni<br />
sim<strong>il</strong>i al gorgoglio di un cesso guasto. Il direttore gli mostra<br />
un’altra sala ancora, dove si suona musica underground, e<br />
poi tornano in quella principale, ormai quasi piena. «No, no,<br />
saremo appena in duem<strong>il</strong>a stasera. Alle volte superiamo i<br />
trem<strong>il</strong>a. Non cominciamo mai prima dell’una. Vedrà, l’inizio<br />
è molto emozionante. Ora deve scusarmi…» Lo lascia in<br />
compagnia di una tettona dell’organizzazione. Stella lo<br />
aspetta seduta a un tavolino col suo Martini in mano.<br />
«Manca ancora qualche minuto, venga, le faccio vedere<br />
una cosa divertente.»<br />
Nicolò si lascia condurre dalla tettona nei bagni femmin<strong>il</strong>i,<br />
dove c’è un imbec<strong>il</strong>le travestito da Mara Venier tutto mossette<br />
e gridolini che fa gli onori di casa. «Oddìo un uomo,<br />
aiuto, aiuto…» In un angolo, una console e un DJ già pronto:<br />
«Abbiamo messo la musica anche qui. Così le ragazze<br />
continuano a ballare anche mentre fanno le loro cose. Divertente,<br />
no?» Invece di sorridere, trattiene un conato. Allora gli<br />
fanno spazio e lui si slancia sul primo water libero e ci vomita<br />
dentro. Ci mette qualche tempo per liberarsi, riprendersi,<br />
pulirsi la faccia, scaricare e uscire.<br />
«Cos’è, si sente male?» gli chiede la tettona.<br />
IL SORCIO 119<br />
«Devo aver bevuto troppo… Ma è passato tutto… Ora va<br />
bene…»<br />
Ha inizio la musica, ed effettivamente non è uno scherzo.<br />
Il pavimento comincia a tremare forte, le vibrazioni salgono<br />
potentissime e sorde dal basso, dai visceri si direbbe, e i<br />
ragazzi gridano come ossessi con le braccia levate in aria. Un<br />
istante dopo tutti, ma proprio tutti, cominciano a dimenarsi<br />
in ogni angolo della sala, compresa la sua accompagnatrice.<br />
«Che genere di musica è?», le urla Nicolò nell’orecchio,<br />
guardando con interesse <strong>il</strong> suo traballante décolleté. Lei gli<br />
risponde che è techno.<br />
«Questo lo avevo capito da solo, chiedevo <strong>il</strong> nome del<br />
gruppo.»<br />
Le pastiglie cominciano a girare. Non ci vuole una volpe<br />
per accorgersene. I ragazzi se le passano con estrema disinvoltura,<br />
certuni si imboccano a vicenda. Nicolò vorrebbe<br />
chiedere qualcosa in proposito al suo popputo angelo custode.<br />
Poi ci ripensa. Le domanda invece qual è la potenza dell’impianto,<br />
cosa di cui a lui non frega nulla e che butta lì tanto<br />
per parlare. Quella lo guarda storto: «Non lo so. Io mi<br />
occupo di pubbliche relazioni. Che razza di domande sono<br />
queste?»<br />
Si sposta, Nicolò, cerca di liberarsi, ma, non sa come, se la<br />
ritrova sempre fra i piedi. Invidia Stella che se ne sta per i<br />
fatti suoi.<br />
«Si sta divertendo, dottore?»<br />
«Ci provo.»<br />
Si aggira finalmente solo per la sala, scosso dalle violente<br />
vibrazioni della musica, ancora con uno strascico di nausea.<br />
I potenti laser <strong>il</strong>luminano, intermittenti, porzioni della pista
120 PARTE SECONDA<br />
dove i ragazzi si muovono incessantemente con movimenti<br />
da robot, o forse è lui, cedendo a una vulgata assai diffusa e<br />
convenzionale, che li vede così, una folla di legnosi replicanti.<br />
Si affaccia la scena di un salotto borghese, tutte quelle<br />
persone ammodo che vogliono disperatamente uscire ma<br />
una forza misteriosa le trattiene dentro sino alla morte:<br />
l’Angelo sterminatore.<br />
«E se succedesse anche qui, adesso?, mi dissi… In questo<br />
preciso momento? Cristo, lo vedevo, dottore, corpi affagottati<br />
gli uni sugli altri, ammassati, come porci dentro un porc<strong>il</strong>e<br />
stretto, presso le porte… La mia immaginazione non<br />
lesinava dettagli. Perdio, sarebbe stato formidab<strong>il</strong>e!…»<br />
Nicolò, nonostante <strong>il</strong> residuo di nausea, si va a bere qualcosa<br />
al banco e se lo porta al tavolo sotto <strong>il</strong> dominio di questa<br />
immaginazione che è deciso ad usare come collante metaforico<br />
del suo reportage. Stella non ha bevuto nulla (<strong>il</strong> bicchiere<br />
di Martini è ancora pieno) e comincia subito a lamentarsi che<br />
c’è troppo casino, che vuole andarsene.<br />
«Tanto quello che dovevi vedere l’hai visto, no?… Eppoi<br />
sei sbronzo, guardati, sei verde, ma sei in grado di capire<br />
qualcosa in quello stato?…»<br />
La verità è che era preoccupata per F<strong>il</strong>ippo che stava dalla<br />
nonna a Roma e aveva pianto tutto <strong>il</strong> giorno perché voleva la<br />
sua mamma. Questa notizia l’aveva gettata nell’inquietudine.<br />
Così se ne andarono e l’indomani partirono di buonora<br />
per tornare a casa anticipando <strong>il</strong> rientro.<br />
«Ma la lezione non l’avevo imparata, non mi rassegnavo.»<br />
Le proponeva continuamente questo e quello, Nicolò, non<br />
la lasciava mai in pace. La metteva alla prova. E ogni volta si<br />
confermava del suo cambiamento e ne soffriva. Ormai par-<br />
IL SORCIO 121<br />
lava del passato con un tono nostalgico e amaro. Fra lui e<br />
Stella non c’era mai stata tanta distanza. Il piccolo aveva scavato<br />
una crepa fra loro. Lo accusava nell’intimo di questo.<br />
Ma quello continuava segretamente a rispondergli che cercava<br />
di non dargli fastidio. E Nicolò si affezionava.<br />
«Anche ai cani ci si affeziona!», gli faceva Stella.<br />
«Ma cristo, che cosa vuoi da me?»<br />
Cominciava a soffrire quando non lo vedeva, <strong>il</strong> bimbo, era<br />
quello <strong>il</strong> sintomo, come gli era accaduto nella vita soltanto<br />
con Stella. Quello era amore, come altro chiamarlo? Se lo<br />
sbaciucchiava, e F<strong>il</strong>ippo si seccava. Faceva le coccole alla<br />
madre, ma a lui poco o niente.<br />
«Certo, lo tratti come un animale domestico… Quando ti<br />
gira, lo sbaciucchi e lo coccoli… Poi non te lo f<strong>il</strong>i per giorni e<br />
lo rimproveri per ogni cosa…»<br />
«Stella vedeva chiaro, doveva soffrirne anche lei. Ma poi<br />
qualcosa successe…»<br />
«Racconti…»<br />
«Eravamo a San Candido sulle Dolomiti. Rientravamo al<br />
rifugio dopo una breve escursione a un laghetto alpino le cui<br />
rive erano disseminate di cacche di animali, alcune enormi,<br />
di mucca, che per ridere chiamavamo tort<strong>il</strong>las, altre, di<br />
capra, piccole e lucenti come biglie. Il piccolo mi chiese di<br />
prenderlo in braccio e una volta lì mi mise le braccine attorno<br />
al collo e si strinse forte, come non aveva mai fatto.<br />
Rimasi di stucco, un fiotto di tenerezza mi invase <strong>il</strong> petto.»<br />
«Ecco, questo suo racconto dimostra che ha torto quando<br />
si accusa di non avere sentimenti… Il suo comportamento<br />
non è sempre avaro di sentimenti o cinico…»<br />
«Però si tratta di eccezioni, ha ragione Dario…»
122 PARTE SECONDA<br />
Era l’estate della sua guarigione. Prendeva <strong>il</strong> nuovo farmaco<br />
da un mese, Nicolò. Si sentiva meglio, gli tirava nuovamente<br />
<strong>il</strong> cazzo, riaffiorava in lui <strong>il</strong> sorriso e una ancora incerta<br />
voglia di vivere. Ma allora <strong>il</strong> piccolo avvertiva in lui <strong>il</strong> cambiamento?<br />
«Con mio padre non si parlò mai più così direttamente della<br />
morte che lo aspettava come quel primo venerdì della sua<br />
malattia.»<br />
Del resto subito dopo quell’episodio smise di parlare. I<br />
venerdì sera continuavano, ma lui a tavola taceva. Teneva gli<br />
occhi bassi sul piatto che aveva di fronte, non guardava nessuno<br />
dei commensali, sembrava non ascoltare neppure i<br />
loro discorsi, che venivano fatti solo per non tradire <strong>il</strong> copione,<br />
e dunque a esclusivo beneficio suo: si sarebbero acconciati<br />
assai più volentieri al s<strong>il</strong>enzio anche tutti loro.<br />
Ma no, si doveva parlare, fingere che tutto andasse normalmente.<br />
E la normalità del venerdì sera era una moderata<br />
allegria da inizio weekend. Dovevano sorridersi, farsi<br />
domande, stab<strong>il</strong>ire uno straccio di conversazione. Certe volte<br />
lui li osservava con una smorfia irridente, sicché smettevano<br />
subito di parlare, gli chiedevano timorosi:<br />
«Che c’è papà, ti facciamo ridere?»<br />
Allora lui diceva che si era sbagliato, che inseguiva un pensiero,<br />
o meglio faceva soltanto un segno con la mano che<br />
questo sottintendeva. Neppure con sua madre si aprì mai<br />
completamente. Non ebbe mai, che Nicolò sappia, una crisi<br />
di pianto. Non le disse mai Non voglio morire…, o qualcosa<br />
di sim<strong>il</strong>e. Rimase tragicamente cosciente fino alla fine, seb-<br />
IL SORCIO 123<br />
bene da ultimo le metastasi gli avessero invaso <strong>il</strong> cervello.<br />
Ebbe qualche momento di delirio: vedeva delle grosse cornacchie<br />
sui muri della sua camera e cominciava ad agitare le<br />
mani e a urlare per scacciarle. Cambiava continuamente di<br />
posto ai quadri appesi alle pareti, sicché restavano sui muri i<br />
rettangoli più chiari dei quadri asportati. Alla fine, non<br />
potendolo più fare lui, lo faceva fare a Nicolò o alla figlia<br />
Sara quando andavano a trovarlo. Seguiva un disegno tutto<br />
suo nella dislocazione di quei quadri, in qualche caso l’allineamento,<br />
la simmetria, in altri tutto <strong>il</strong> contrario.<br />
«Chissà come mi comporterei di fronte a una fine sim<strong>il</strong>e!?»<br />
«Purtroppo è una fine molto comune.»<br />
«Io credo che farei come lui, preferirei non farci mai completamente<br />
i conti con la morte, almeno davanti agli altri:<br />
per evitare un cambiamento radicale e dagli esiti imprevedib<strong>il</strong>i<br />
dei rapporti.»<br />
Il Sorcio oggi ha insultato una cliente al telefono urlando. Il<br />
capo lavorava e fingeva di non far caso a quello che stava<br />
succedendo, al canaio che stava scatenando. Tutti gli impiegati,<br />
Nicolò compreso, sono spuntati fuori dai loro immaginari<br />
recinti coi musi curiosi.<br />
Elena ha in faccia un’espressione schifata.<br />
«Senti che sta facendo quello stronzo…» dice.<br />
«Ti rendi conto, cristo! dice lui – senti, senti quell’animale.»<br />
«No, signora mia benedetta, io non posso farci niente del<br />
suo bollettino, me faccia parla’, bene allora inf<strong>il</strong>atelo su per <strong>il</strong><br />
culo <strong>il</strong> bollettino…»<br />
Nicolò freme e tiene d’occhio <strong>il</strong> capo, <strong>il</strong> quale adesso si è
124 PARTE SECONDA<br />
alzato e guarda <strong>il</strong> Sorcio che continua a insultare la mutuataria<br />
al telefono. «Il tasso è al 15%, sì, al 15 e <strong>il</strong> capitale residuo<br />
87 m<strong>il</strong>ioni… Vuole <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e, perché, che je vole di’ al<br />
responsab<strong>il</strong>e. Allora <strong>il</strong> capitale residuo… No, io nun jelo<br />
passo.»<br />
Il Sorcio si sgola in piedi, brandendo la cornetta, vermiglio<br />
in faccia per la collera. Il capo gli si avvicina, con l’aria di chi<br />
deve fare una cosa contro la propria volontà. «Calma, calma,<br />
Eraldo, passala a me.» Ma <strong>il</strong> Sorcio continua a inveire. «Fammi<br />
un favore, passamela oppure attacca.» Il Sorcio allora<br />
riaggancia la cornetta con furia rabbiosa. Dopodiché si blocca,<br />
letteralmente, guardando <strong>il</strong> capo che lo cinge con <strong>il</strong> braccio<br />
come se volesse soccorrerlo, in realtà per farlo sedere. Il<br />
Sorcio dice in un sospiro:<br />
«So’ così io, nun ce posso fa’ niente! M’ha fatto gira’ le palle,<br />
quella troia!»<br />
«Lo so, certo, non è successo niente, però adesso calmati,<br />
siediti, non ti fa bene questo sforzo…»<br />
Quando rientrano tutti nei loro cubicoli, e Nicolò è seduto<br />
dinanzi al computer, sente che <strong>il</strong> cuore pompa con furia e <strong>il</strong><br />
volto gli arde come se avesse la febbre: soffocare la rabbia è<br />
un compito penoso che impegna molti organi.<br />
PARTE TERZA
IL SORCIO 127<br />
«L’amicizia non è un passatempo piacevole, è un campo di<br />
lavoro. È sempre stato così nella mia vita con i miei migliori<br />
amici: Gabriele, poi Gigi, poi Dario… Ho sempre preteso<br />
molto (troppo), ecco perché li ho persi tutti.»<br />
«Non conviene fare di tutta l’erba un fascio. Sono amicizie<br />
che appartengono a età diverse della vita e quindi a diversi<br />
Nicolò…»<br />
«Già, con Gabriele siamo appena nell’infanzia e nella preadolescenza…»<br />
«Che cosa le viene in mente di quel periodo?»<br />
«Com’era bello avere <strong>il</strong> mercato proprio sotto casa, questo<br />
mi viene in mente. Scendevo in strada in ciabattine infradito,<br />
era estate, avrò avuto otto o forse dieci anni. Ciabattavo<br />
dentro le pozzanghere puzzolenti di pesce e mele marce dietro<br />
alle vesti scure di mia nonna.»<br />
«Sua nonna materna?»<br />
«Sì, abitava proprio di fronte a noi, un altro palazzone di<br />
dieci piani…»<br />
Oltre alla spesa al mercato, Nicolò andava a messa insieme<br />
con la nonna <strong>il</strong> sabato sera. Suo padre si informava, assentiva<br />
con un accenno di sorriso canzonatorio sulle labbra, e
128 PARTE TERZA<br />
regolarmente poi gli chiedeva: «Tutto bene? Com’è andata la<br />
messa? Vi siete divertiti?» E lui ribatteva a provocazioni e<br />
ironie facendo con le dita <strong>il</strong> segno di vittoria. Era piccolo, e<br />
diceva di credere. E l’ateismo sbandierato di suo padre gli<br />
incuteva un oscuro timore e in qualche modo lo offendeva.<br />
Come gli piaceva, Gabriele, quanto gli voleva bene! L’amicizia<br />
in certi periodi della vita sgorga spontanea e densa<br />
come l’amore. Lui era innamorato di Gabriele. Se non lo<br />
vedeva tutti i giorni, gli mancava, ci stava male.<br />
Era proprio un mattino di mercato… I due amichetti stavano<br />
sulla terrazza che girava per tre quarti intorno a casa di<br />
Nicolò, quella terrazza che li inorgogliva tutti in famiglia.<br />
Quella terrazza nella quale lui giocava con gli amici alle<br />
olimpiadi. Facevano salto in alto (atterravano su un materassaccio<br />
di crine), salto in lungo, salto triplo e varie gare di<br />
corsa. Correvano in su e in giù per <strong>il</strong> terrazzo: prove di velocità<br />
e anche di mezzofondo. Si fermavamo ai m<strong>il</strong>lecinquecento<br />
metri che avevano calcolato essere alcune centinaia di<br />
volte andata e ritorno da una parte all’altra del terrazzo.<br />
Dovevano fare un baccano tremendo. I suoi però non protestavano<br />
tanta era la soddisfazione di potergli offrire quel<br />
meraviglioso terrazzo (che chiamavano, con una punta di<br />
snobismo verso gli altri condomini, attico), un così bel posto<br />
all’aria aperta! Che trenta metri più sotto corresse uno dei<br />
viali più inquinati della città era una cosa che non li riguardava.<br />
Gli faceva un baffo a loro, lassù, l’aria malsana! La presenza<br />
di quel terrazzo fu una delle ragioni che fece innamorare i<br />
suoi dell’appartamento a viale Eritrea, in faccia alla libreria<br />
omonima, che a quel tempo non esisteva. Però era pur sempre<br />
una casa in affitto in un palazzone popolare. Quanto disagio<br />
IL SORCIO 129<br />
dava a Nicolò quella consapevolezza! Inceneriva i sogni! Tutti<br />
i suoi amici, compreso Gabriele, erano benestanti e vivevano<br />
in una casa di proprietà, cioè tutta loro. Certi ne possedevano<br />
più di una. Lo stesso Gabriele aveva una casa a Roma e una in<br />
paese. Loro invece stavano in affitto, perché non avevano i soldi<br />
per comprare un appartamento. Non erano dunque uguali<br />
agli altri: c’era una differenza. In realtà ce n’erano innumerevoli<br />
di differenze, e la scoperta di ciascuna era fonte di pena e<br />
vergogna per Nicolò. Per sua madre la casa è stato un cruccio<br />
tutta la vita. E lo è tuttora che l’ente ha messo in vendita l’appartamento,<br />
sarà costretta ad andarsene, perché, ancora, non<br />
ha abbastanza soldi per comperare l’immob<strong>il</strong>e.<br />
«Povera mamma, dovrà sloggiare, la sfrattano!»<br />
«Ha una buona pensione e troverà certo una dignitosa<br />
sistemazione», lo tranqu<strong>il</strong>lizza l’analista.<br />
«Ma le portano via la sua casa, maledizione, la casa dove ha<br />
trascorso metà e più della sua vita! La casa dove è morto mio<br />
padre. La casa dove ci ha visto crescere…»<br />
Suo padre glielo ricordava sempre con una specie di sadismo<br />
quel particolare dell’affitto, tanto lui essendo comunista<br />
della proprietà se ne fregava, ci sputava sopra. Eppure<br />
anche lui come ci teneva a casa sua, come si compiaceva di<br />
mostrarla, di arredarla bene coi mob<strong>il</strong>i antichi ricevuti in<br />
eredità, di curare le piante sul terrazzo. Aveva creato una serra<br />
rigogliosa su quel terrazzo. Suo padre era abitato da molte<br />
contraddizioni. E ciò ai suoi occhi allora pareva di un’assoluta<br />
gravità. Più tardi si fece forte di quelle contraddizioni<br />
per contestarlo. Gliele rinfacciò una per una con spietata<br />
esattezza. Ma non riuscivi mai a farlo capitolare! Si risollevava<br />
sempre. Aveva la tempra del combattente.
130 PARTE TERZA<br />
«Ma <strong>il</strong> mio primo libro è riuscito a stenderlo davvero. Già,<br />
quel libro è uscito nel 1990, lui è morto nel luglio del ’96.»<br />
Sei anni, dunque, sei anni sono la misura giusta per allevarsi<br />
un tumore. E non è tanto assurdo se si pensa al contenuto<br />
di quel libro. Le parole possono uccidere. «Perché non<br />
provi a cambiare la fine?» gli disse suo padre, sfidando <strong>il</strong><br />
patetismo, dopo averlo letto. «Io se fossi in te cercherei di<br />
riscattare nel finale la figura del padre, che ne pensi?, far<br />
vedere che in fondo, malgrado tutto, è un buon diavolo!»<br />
Poveretto, equivaleva a una coltellata vedersi raffigurato da<br />
suo figlio con tanto inclemente realismo. Lui che pontifica<br />
con sua sorella e ammannisce sermoni a tutti.<br />
«Un essere vanitoso e cattivo, che come può mortifica <strong>il</strong><br />
prossimo, fra cui <strong>il</strong> figlio stesso, creandogli un’infinità di<br />
complessi, ecco come usciva mio padre da quel libro…»<br />
«Lei l’aveva ucciso scaricandogli addosso una colpa insostenib<strong>il</strong>e<br />
per qualunque essere umano. La colpa di tutte le<br />
colpe: quella sul figlio! È così che la vede?»<br />
«Proprio così. Ce n’è abbastanza per alimentare furiosi<br />
sensi di colpa…»<br />
«Altroché…»<br />
«Ma ho divagato… dove stavo?»<br />
«Stavate sul terrazzo, lei e Gabriele…»<br />
«Perché non ci vai tu a comprare Caballero?» gli disse. «A<br />
te l’edicolante non ti conosce.»<br />
«Non ci penso nemmeno» rispose Gabriele.<br />
Lo abbracciò da tergo, lo strinse forte puntandogli i pugni<br />
chiusi sullo sterno che sporgeva ossuto.<br />
«Allora, adesso ci vai?»<br />
«È inut<strong>il</strong>e, non ci vado, anche se mi atterri non ci vado!»<br />
IL SORCIO 131<br />
Alla fine Gabriele ci andò, ma l’edicolante gli disse che<br />
quel giornaletto era vietato ai minori di quattordici anni.<br />
L’indomani erano sul balcone di casa di Gabriele a viale<br />
Liegi. Lui gli indicava l’edicola all’angolo della strada, una<br />
macchia policroma sotto <strong>il</strong> mantello scuro dei platani.<br />
«Vai, adesso tocca a te!»<br />
Gli girava un po’ la testa mentre scendeva le scale. Gli si era<br />
pure asciugato <strong>il</strong> palato. Arrivò all’edicola. Cominciò a girarci<br />
attorno senza osare avvicinarsi e nascondendosi alla vista<br />
dell’edicolante. Pensava: «Se ci riesco, accidenti, se ho <strong>il</strong><br />
coraggio di fare questo, allora sono un uomo. Gabriele l’ha<br />
fatto, questo è ciò che conta, <strong>il</strong> coraggio… E se invece non<br />
l’avesse fatto per niente, e a te avesse detto <strong>il</strong> contrario per<br />
farsi bello!? No, diavolo, Gabriele con me non mente!»<br />
Non ricorda, Nicolò, quanto tempo gironzolò sul marciapiede,<br />
irresoluto. Forse dieci minuti, forse più. Gli parvero<br />
lunghissimi. Alla fine si accostò e glielo chiese: «Cavallo, sa,<br />
Cavallero, sì, Caballero, qualcosa del genere…», disse senza<br />
guardarlo negli occhi, già, questo era <strong>il</strong> segreto, snocciolargli<br />
tutta la frase preparata senza mai guardarlo in faccia. L’edicolante<br />
lo guardò al disopra degli occhialetti tondi:<br />
«Ce l’hai gli anni?»<br />
«Cosa? Ma è per mio fratello, se non me lo può dare non<br />
importa, glielo dico e faccio venire lui. Quand’è che chiudete?»<br />
Lo guardò ancora, alla fine alzò le spalle e sbuffò:<br />
«Va be’, tieni, tieni… Ma non farti troppe seghe!»<br />
Prese in mano quel giornaletto pieno di vergogna proprio<br />
come se l’edicolante lo avesse appena visto a tirarsele.<br />
Tornò su salendo di corsa le scale, mentre prima era sceso<br />
assai lentamente.
132 PARTE TERZA<br />
«Adesso ero felice, cazzo, fierissimo di me!»<br />
Si sentiva leggero e allo stesso tempo si sentiva un uomo.<br />
Gabriele sulla porta gli fece segno di tacere, c’era l’ombra<br />
enorme di sua madre sul muro. Entrò in s<strong>il</strong>enzio, Caballero<br />
lo teneva inf<strong>il</strong>ato nei calzoni, stretto dalla cintura, con <strong>il</strong><br />
maglioncino sopra. Si chiusero in camera. Cominciarono a<br />
sfogliare quelle immagini meravigliose di cosce, tette,<br />
chiappe, perfino qualche pelo… Quelle immagini gli piacevano<br />
da impazzire. A scuola ne facevano mercato. Tutti<br />
foglietti stropicciati che lui nascondeva sopra lo scarico<br />
dell’acqua nel bagnetto di servizio. Ma la rivista intera e<br />
nuova era una novità, un lusso insperato. Ricorda che stavano<br />
sdraiati a pancia sotto e lui se lo sentiva duro che premeva<br />
sul parquet. Gabriele sfogliava le pagine e rideva. A<br />
lui invece non andava di ridere. Voleva godersi quella cosa<br />
proibita in religioso s<strong>il</strong>enzio. Gabriele rideva spesso, aveva<br />
una risata tr<strong>il</strong>lante, che Nicolò trovava a volte fastidiosa, a<br />
volte carezzevole.<br />
Ma aveva anche i suoi segreti momenti di tristezza,<br />
Gabriele. Come quando andarono a trovare un suo zio in<br />
montagna, nel reatino. La BMW del padre di Gabriele si<br />
arrampicava ruggendo fra gli stretti tornanti di montagna<br />
dai versanti sassosi, butterati di ulivi ritorti. Era un paesaggio<br />
biblico, ti aspettavi che da un momento all’altro comparisse<br />
Gesù a predicare sopra una balza. Lui e Gabriele occupavano<br />
<strong>il</strong> sed<strong>il</strong>e di dietro insieme alla sorella, una sp<strong>il</strong>ungona<br />
sempre con <strong>il</strong> muso. I due ragazzini invece sprizzavano felicità<br />
da tutti i pori. Giunsero nella bella e grande casa dello<br />
zio di Gabriele, che aveva diversi ettari di terreno intorno<br />
messo a ulivo e a vite. Si era appena spretato quello zio, era<br />
IL SORCIO 133<br />
simpatico, diceva le parolacce. I due ragazzini giocarono un<br />
poco prima di pranzo, poi mangiarono in abbondanza nella<br />
luminosa veranda e bevvero anche del vino rosso, denso e<br />
opaco di produzione dello zio.<br />
«Il papà di Gabriele – un gigante buono con la faccia da<br />
pug<strong>il</strong>e a riposo – ce ne versava di continuo, malgrado fossimo<br />
marmocchi. Com’era diverso da quel rompicoglioni di<br />
mio padre! Avrei fatto <strong>il</strong> cambio su due piedi! Un padre<br />
così, che diceva di Gabriele tutto <strong>il</strong> bene possib<strong>il</strong>e, che ci<br />
lasciava fare qualunque cosa, che ci portava in giro con la<br />
sua meravigliosa BMW nera, che ci dava perfino da bere <strong>il</strong><br />
vino, che diceva le parolacce come noi… Accidenti, non<br />
sembrava neanche un padre! Eppoi era dottore, un avvocato,<br />
e a me quella cosa sembrava degna della più alta considerazione.»<br />
Dopo <strong>il</strong> pranzo improvvisamente Gabriele sparisce. Nessuno<br />
sa dove si è cacciato. Cominciano tutti a cercarlo invano<br />
in ogni angolo della casa. Finalmente la sorella lo trova in<br />
giardino, dentro <strong>il</strong> capanno degli attrezzi: piangeva disperatamente.<br />
Tutti accorsero al richiamo della sorella. Nicolò<br />
arrivò per primo e occhieggiò dentro <strong>il</strong> capanno: nella<br />
penombra, seduto su una sella di cuoio appoggiata sopra<br />
una specie di pagliericcio umido, c’era lui, ancora scosso dai<br />
singhiozzi.<br />
«Ma che gli è successo?»<br />
«Non lo so – fece la sorella – e non lo sa neanche lui!»<br />
Appena furono di nuovo dentro casa da soli, gli chiese che<br />
avesse, cosa diavolo fosse successo.<br />
«Niente… Ogni tanto mi succede… Poi passa.»<br />
Per tutto <strong>il</strong> pomeriggio giocarono in giardino a pallone,
134 PARTE TERZA<br />
ma Gabriele non sorrise mai. Quella crisi di pianto gli aveva<br />
inciso sul volto un’afflizione che davvero accorava sulla sua<br />
bella faccetta lentigginosa da ragazzino.<br />
«Io ti voglio bene, Gabriele, tu sei <strong>il</strong> mio miglior amico,<br />
perché non mi vuoi dire che hai, che ti è successo prima?…»<br />
«Non ho niente, lasciami in pace!»<br />
Ci rimase molto male. Il suo s<strong>il</strong>enzio lo offendeva e offendeva<br />
l’idea dell’amicizia che aveva. Non riusciva a convincersi,<br />
Nicolò, che quel pianto non avesse una ragione, e sgorgasse<br />
spontaneo come nella depressione, malattia che naturalmente<br />
non conosceva allora. Più probab<strong>il</strong>mente Gabriele<br />
voleva nascondere la causa di quelle lacrime: magari una lite<br />
con <strong>il</strong> padre, che non rivelava per non offuscare la bella opinione<br />
che si era fatto su di lui. Non lo seppe mai. Alcuni anni<br />
fa – l’ultima volta che l’ha visto – ripensando a quell’antico<br />
episodio, gli fece: «Una volta piangesti senza motivo, ricordi?,<br />
eri disperato, da quel tuo zio ex prete nel reatino…»<br />
Non poteva non ricordare. Eppure così disse, guardandolo<br />
storto e sospetto.<br />
Quell’episodio rese più esclusivo e struggente <strong>il</strong> sentimento<br />
che nutriva per lui. E per questo più acuta fu la delusione<br />
quando Gabriele gli preferì Luca, che sapeva lusingare nel<br />
ruolo che gli era così congeniale di capobranco, di lottatore<br />
grosso e buono, di volgare e rozzo compagnone. Luca era<br />
grosso, muscoloso, i capelli fini e lucidi, due glutei tosti e<br />
sporgenti. Era fierissimo della sua forza: sempre a caccia di<br />
cristoni – anche grandi d’età – che potessero impegnarlo a<br />
braccio di ferro.<br />
Provò anche Nicolò a stringere amicizia con Luca. Per un<br />
periodo si vedevano in tre. Nicolò soffriva, la gelosia di<br />
IL SORCIO 135<br />
Gabriele lo macerava. Cercava anche lui di conquistare Luca,<br />
per partecipare del piacere dell’amico. Pensava: se piace a<br />
Gabriele deve essere fantastico. E allora Luca diventava<br />
magnifico, si <strong>il</strong>luminava di una luce particolarissima, dai<br />
contorni leggendari.<br />
Nicolò faceva di tutto per farlo ridere, per attirare in qualche<br />
modo la sua attenzione. Luca abbracciava camminando<br />
Gabriele con fare protettivo e quasi mai faceva altrettanto<br />
con lui. Era pieno di gregari con i quali faceva l’amicone,<br />
non c’era solo Gabriele. Ma certo Gabriele doveva contare<br />
più di tutti. Luca si crogiolava delle attenzioni di Gabriele.<br />
Nicolò non lo lusingava altrettanto bene.<br />
«Non sono mai stato un bravo gregario… Devo essere <strong>il</strong><br />
numero uno per divertirmi…»<br />
«I rapporti di forza possono non essere l’unico codice possib<strong>il</strong>e,<br />
possono non bastare per spiegare certi rapporti…»<br />
«Cioè?»<br />
«Il rapporto che aveva con Gabriele era assai complesso.<br />
Forse ci serve qualche altro elemento…»<br />
Ci si vedeva sempre al garage di Luca, un box nel cort<strong>il</strong>e di<br />
casa sua, fra la Nomentana e Sant’Angela Merici, dove lui<br />
aveva tirato su una specie di officina motociclistica. Ci venivano<br />
in tanti, era diventato un posto di ritrovo, quel fazzoletto<br />
d’asfalto sul quale si affacciavano una dozzina di box (sei<br />
da una parte, sei dall’altra) con le saracinesche verdi. Era lì<br />
che Luca faceva le sue correzioni alle testate dei motorini e<br />
praticava tutti i suoi oscuri magheggi meccanici. Nicolò non<br />
sapeva ancora chi fosse, si sforzava penosamente di interessarsi<br />
a quell’universo di bulloni, f<strong>il</strong>tri e rondelle. Sostituì<br />
anche lui <strong>il</strong> carburatore al suo Garelli verde sporcandosi tutto
136 PARTE TERZA<br />
di grasso. Si aggregava quando si andava a fare cross sotto <strong>il</strong><br />
Ponte delle Valli, fra l’Aniene che attraversava in ampie anse<br />
tutta la valle acquitrinosa e la ferrovia. Il suo Garelli si affannava<br />
su quei dossi fangosi ma non teneva assolutamente <strong>il</strong><br />
passo del motorino di Luca, un Caballero modificato, o degli<br />
altri motorini che gli schizzavano attorno da tutte le parti<br />
come palline di un flipper. Il Garelli lo aveva solo lui.<br />
«Cristo, dovevo sempre stare una tacca sotto gli altri: <strong>il</strong><br />
mio motorino era fra i più economici, costava molti soldi<br />
meno degli altri…»<br />
«Forse era <strong>il</strong> massimo che i suoi potevano spendere!»<br />
«Già, per i miei costava una fortuna!»<br />
Gabriele li accompagnava, ma non faceva cross. Lui non<br />
poteva neanche farlo poiché aveva un Morini 50 da strada.<br />
Un bel motorino da fichi, anche quello assai più costoso del<br />
suo. Ma ancora peggio se la passava sua sorella: quella poveretta<br />
<strong>il</strong> padre la mandava in giro con l’Aqu<strong>il</strong>otto rosso, una<br />
specie di aborto, né bicicletta né motorino. Sara non era esosa,<br />
chiedeva soltanto un banalissimo Ciao, e lui le rispondeva:<br />
«L’Aqu<strong>il</strong>otto andrà benissimo. Che motivo hai di comprare<br />
<strong>il</strong> Ciao, che costa molto di più?»<br />
«Papà, ti prego, non voglio andare in giro con quel coso.<br />
Non ce l’ha nessuno. Mi vergogno!»<br />
Non l’avesse mai detto! Il vecchio la guardava di traverso e<br />
cominciava la sua tirata moralistica: «Ecco, Sara, lo vedi, non<br />
vuoi mica <strong>il</strong> Ciao perché è meglio, ma solo perché ce l’hanno<br />
tutti! È conformismo <strong>il</strong> tuo! Bene, allora, proprio per questo,<br />
tu dovrai accontentarti dell’Aqu<strong>il</strong>otto!»<br />
«Ma a me piace <strong>il</strong> Ciao, l’Aqu<strong>il</strong>otto non mi piace…»<br />
«Avrai l’Aqu<strong>il</strong>otto, sennò vai con l’autobus…»<br />
IL SORCIO 137<br />
Alla fine <strong>il</strong> vecchio le comprò quel cazzo di Aqu<strong>il</strong>otto, ma<br />
lei non lo prendeva mai. Ogni tanto ci faceva un giro suo<br />
padre e quando tornava a casa diceva a Sara: «Be’, perché<br />
non lo prendi? Non andrà di moda, ma va benissimo, è perfetto…»<br />
e ricominciava a pontificare che lei era complessata<br />
e conformista, che si vergognava di tutto, che doveva cambiare,<br />
uscire dalla sua tana eccetera.<br />
«Mi scusi dottore, ho di nuovo perso <strong>il</strong> f<strong>il</strong>o.»<br />
«Parlava di Gabriele…»<br />
«Dio quanto ne soffrivo del tradimento di Gabriele! Avrei<br />
voluto prenderlo in disparte e dirglielo papale papale: “Se sei<br />
amico mio, non puoi essere anche amico di Luca!” Ma non<br />
glielo dissi mai. Non volevo sembrare una specie di checca. E<br />
così Gabriele praticamente lo persi.»<br />
Crescendo Gabriele s’avvicinò ad altri. Per ripicca si cercò<br />
anche Nicolò dei nuovi amici: Gigi, Alessandro, Miccia,<br />
Francesco, Kater, Dario… Tutto <strong>il</strong> gruppo del Paris.<br />
«Ma dapprincipio furono un ripiego, dottore…»<br />
«Succede spesso così.»<br />
Nicolò frequentava un gruppo in competizione con quello<br />
di Gabriele.<br />
«Loro erano dei veri pariolini, si vedevano a Piazza<br />
Ungheria o a Piazzale delle Muse (Piazzale e basta veniva<br />
chiamato dai pochi aff<strong>il</strong>iati con le zeta blese). Noi eravamo<br />
sempre pariolini, ma un po’ più sfigati, un po’ più spostati<br />
verso Corso Trieste e <strong>il</strong> quartiere africano. Il nostro bar di<br />
riferimento era <strong>il</strong> Paris bar a corso Trieste, vicino al liceo<br />
Giulio Cesare, dove ci vedevamo tutti i pomeriggi e anche<br />
la sera.»<br />
Davanti a quel bar, in crocchi attorno ai motorini issati sui
138 PARTE TERZA<br />
cavalletti, fumavano, chiacchieravano, parlavano di fica,<br />
rimorchiavano le ragazzine che passavano e molestavano la<br />
gente.<br />
«Eravamo piuttosto rinomati nella zona: quelli del Paris,<br />
dicevano di noi: cioè ragazzi fichi, di destra, in soldi, ragazzi<br />
del quartiere!»<br />
Nicolò faceva di tutto per apparire come gli altri, ma ogni<br />
tanto un dettaglio veniva a rammentargli la sua diversa<br />
estrazione: di solito roba griffata che gli mancava o che aveva<br />
posticcia. Sua madre per non fargli mancare niente si<br />
caricava di faticosi straordinari, la sera tornava sempre più<br />
tardi, ma i soldi a Nicolò non bastavano mai. Sicché spesso<br />
rubava le banconote fresche di stampa dal cassetto di sua<br />
madre.<br />
«Capitava che montassimo dei gran bordelli fino a tardi<br />
davanti al bar. Una volta Gigi e Dario litigarono di brutto…<br />
Fu una litigata mitica, di cui si continuò a parlare per anni.»<br />
«Racconti…»<br />
I due ragazzi si rincorsero nell’isola pedonale alberata fra<br />
le due carreggiate, e poi in mezzo alle macchine incolonnate<br />
nel traffico. Alla fine Gigi, piccolo, scattante che scappava da<br />
Dario, altissimo, magro, un po’ scoordinato per via delle<br />
gambe troppo lunghe, Gigi, balzò sopra una macchina parcheggiata.<br />
Se ne stava in piedi sul tettuccio di quell’auto con gli stivali<br />
Camperos che mandavano lampi gialli nell’ambrata oscurità<br />
che li avvolgeva. «Scendi, nano di merda, che ti rompo <strong>il</strong><br />
culo!» Era avvelenato Dario, la luce rossastra di un’insegna<br />
di negozio tagliava in tre parti <strong>il</strong> suo volto magro e furente.<br />
Gigi, Nicolò e tutti gli altri che avevano raggiunto la scena si<br />
IL SORCIO 139<br />
spanciavano dalle risate. Il motivo di tanta ira e di tanta <strong>il</strong>arità<br />
era che Gigi aveva pisciato sul giubbino di Dario…<br />
«Così chiamava Dario quell’indumento, facendoci sganasciare<br />
anche per via di quell’espressione che a noi suonava<br />
terrona…»<br />
«Aveva pisciato sul giubbino?»<br />
Dario era dentro la sua Polo nera parcheggiata, con <strong>il</strong> braccio<br />
appoggiato alla base del finestrino aperto: conversava<br />
con qualcuno dentro la macchina. Gigi, che era con Nicolò e<br />
altri ragazzi lì in piedi, appoggiato al montante di un cartellone<br />
pubblicitario che lo copriva parzialmente, con nonchalance<br />
si aprì la patta, lo tirò fuori, lo inf<strong>il</strong>ò nello spazietto fra<br />
i due ferri del montante, e gli pisciò a colombella sul braccio.<br />
Così, a freddo, quello che si dice <strong>il</strong> colpo di genio, inscenò<br />
quella perla senza consultarsi con nessuno. Insomma Dario<br />
ne aveva ben donde per essere incazzato. Ma c’era fra loro<br />
anche un altro e più profondo motivo di attrito. La ragazza<br />
salernitana che Gigi si faceva era molto amica del suo conterraneo<br />
Dario, e con lui si lamentava del fatto che Gigi la<br />
trattasse come un pezzo di troia: la vedeva, se la scopava, e<br />
poi non si faceva vivo per un mese. Finché non aveva di<br />
nuovo necessità di svuotarsi i coglioni. Un bel giorno lei<br />
rimase incinta.<br />
«E Gigi neppure andò mai a trovarla in ospedale, se ne strafotteva<br />
di lei e del suo aborto, di cui lui era <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e.»<br />
Per questo, per questo suo cinismo masch<strong>il</strong>ista, Dario lo<br />
disprezzava. Comunque quella sera a Gigi andò bene: a un<br />
certo punto Dario si stancò di correre come un idiota attorno<br />
alla macchina in cima alla quale Gigi saltellava ag<strong>il</strong>e, e se<br />
ne tornò alla sua Polo nera dinanzi al Paris. Finalmente Gigi
140 PARTE TERZA<br />
poté scendere dalla macchina, che dopo quel suo balletto<br />
aveva <strong>il</strong> cofano e <strong>il</strong> tettuccio vistosamente ammaccati.<br />
«Facevamo i pariolini, dicevo, ma io non mi sentivo affatto<br />
pariolino: mio padre era solo un impiegato di gruppo B del<br />
ministero del Tesoro, mia madre una impiegata del Poligrafico<br />
dello Stato…»<br />
Non erano professionisti (la sola parola lo faceva rodere<br />
d’invidia e um<strong>il</strong>iazione). E poi suo padre era un comunista,<br />
aveva fatto <strong>il</strong> partigiano, fascisti e pariolini lui li detestava. E<br />
così si metteva a detestarli anche Nicolò, pur stando dalla<br />
stessa parte.<br />
«Questa modalità di comportamento, o secondo la formula<br />
di Dario, lo scollamento narcisistico, cominciò a manifestarsi<br />
allora. Odiavo i pariolini, ma uscivo con loro, frequentavo<br />
gli stessi locali, gli stessi posti di ritrovo, mi vestivo<br />
come loro, ero snob come loro, portavo anche io i capelli<br />
corti e sbasettati, parlavo con <strong>il</strong> loro gergo…»<br />
«Ma al contempo li prendeva in giro, li disprezzava e li<br />
offendeva pubblicamente…»<br />
«Proprio come oggi parlo male della piccola borghesia,<br />
che rappresento impietosamente nei miei romanzi, e ne faccio<br />
parte, altroché se ne faccio parte…»<br />
In discoteca tutti alzavano <strong>il</strong> braccio nel saluto fascista<br />
durante <strong>il</strong> leitmotiv di una certa canzone di disco, lui no,<br />
mai. Restava con <strong>il</strong> braccio rigidamente abbassato, <strong>il</strong> pugno<br />
chiuso, grondando rabbia ma anche sorda fierezza. Come<br />
poteva, si dichiarava comunista e ateo come suo padre.<br />
Mentre la regola in quel giro era essere fascisti e cattolici (la<br />
stessa scuola dove andavano, <strong>il</strong> San Leone, doveva forgiarli<br />
in quella guisa).<br />
IL SORCIO 141<br />
«Non posso pensare che da quella scuola, proprio da quella<br />
scuola, uscirono fuori i mostri del Circeo. Ogni tanto ci<br />
penso e rabbrividisco.»<br />
Stamani erano soli, lui e <strong>il</strong> capo: gli altri stavano tutti in sede<br />
a un’assemblea sindacale. Un momento che era andato in<br />
archivio, Nicolò ha tirato fuori dal portafoglio quel biglietto<br />
da visita, ha letto <strong>il</strong> numero e ha chiamato senza starci troppo<br />
a pensare su. «Buon giorno, sono Nicolò Consorti, noi<br />
non ci conosciamo, mi ha dato <strong>il</strong> suo numero la signora<br />
Coraggio, diverso tempo fa…»<br />
«Vuole vedermi?»<br />
Gli dà appuntamento a San Francesco a Ripa, davanti a un<br />
ristorante indiano. Quando arriva, benché sia in anticipo di<br />
dieci minuti, lui, Mike Lozzi, è già lì. Non è diffic<strong>il</strong>e riconoscerlo:<br />
è un armadio d’uomo vestito tutto di nero, come gli<br />
aveva preannunciato. Ha una cicatrice vistosa sul collo, che<br />
cerca di nascondere con l’abbronzatura e forse del fondotinta.<br />
«Ciao Nicolò» gli fa molto amichevole, sorridendo e mettendo<br />
in mostra dei denti grossi e bianchi, proprio come<br />
l’immaginava. Gli dà la mano senza stringere troppo, gli dice:<br />
«Vogliamo andarci a bere una cosa? Vieni, vieni con me, è qui<br />
dietro, sono solo due passi. Allora ci hai pensato un bel po’.»<br />
«Già.»<br />
«Hai fatto bene. Queste cose bisogna ponderarle bene.»<br />
«L’ho ponderata anche troppo.»<br />
«Non è mai troppo, credimi…»<br />
Sembra quasi cercare di dissuaderlo, Nicolò è un po’ sconcertato.<br />
Siedono fuori, sotto un angusto pergolato di glicine,
142 PARTE TERZA<br />
schiacciati da una cappa umida di caldo. Nicolò ordina della<br />
vodka ghiacciata, Mike un bicchiere d’acqua minerale.<br />
Entrambi sudano in faccia. Nicolò di più.<br />
«Non bevo, a parte qualche rarissimo caso. Ma purtroppo<br />
non è questo… Ma veniamo a noi… Di cosa hai bisogno?»<br />
Nicolò osserva quella specie di Schwarzenegger che gli è di<br />
fronte e pensa che in qualunque altro posto rispetto a questo<br />
starebbe in grave disagio.<br />
«La maga Coraggio mi ha detto che lei potrebbe aiutarmi a<br />
dare una lezione a qualcuno…»<br />
«Tu, tu, dammi del tu, siamo coetanei, chiamami Mike. Di<br />
chi si tratta?»<br />
«Di un mio collega, che tutti chiamano <strong>il</strong> Sorcio…»<br />
Nicolò gli spiega diffusamente come stanno le cose, indugiando<br />
con un perverso godimento sui dettagli più um<strong>il</strong>ianti.<br />
Quello gli dà corda, lo tratta proprio da amico. Lo guarda<br />
negli occhi assentendo. Alla fine, dopo quella tirata melodrammatica<br />
di una decina di minuti, Schwarzy dice soltanto:<br />
«Gli faremo abbassare la cresta.»<br />
«Be’, io vorrei qualcosa di più…»<br />
«Cosa?»<br />
«Vorrei… Vorrei…»<br />
«Dimmi, avanti… Dimmi che c’è? Cerco sempre di accontentare<br />
i miei amici… Se poi sono degli scrittori, be’…»<br />
«Ah, lo sapevi…»<br />
«Naturalmente… Allora che c’è?»<br />
«Vorrei assistere.»<br />
L’uomo riflette prima di accettare.<br />
«Vuoi che <strong>il</strong> Sorcio sappia che sei tu o no?»<br />
«Per ora meglio di no.»<br />
IL SORCIO 143<br />
«Allora d’accordo, avrai modo di assistere. Anch’io lo vorrei<br />
al tuo posto.» Gli sorride e aggiunge: «Basta che non mi<br />
metti in uno dei tuoi romanzi…»<br />
«Se possib<strong>il</strong>e, niente narcotici, lo voglio sveglio e concentrato!»<br />
«Naturalmente. E adesso veniamo all’argomento più spinoso,<br />
mio caro Nicolò, <strong>il</strong> compenso…»<br />
«Non è spinoso. Quanto?»<br />
«Sarebbero 3.000 euro, ma tu mi sei molto simpatico: facciamo<br />
2.800.»<br />
«Porca troia!» esclama Nicolò, pensando che Stella si<br />
accorgerà dell’ammanco sull’estratto conto che arriva infallib<strong>il</strong>mente<br />
ogni mese. Come fare? O be’, intercetterà la posta,<br />
o le inventerà una balla. Come extrema ratio le dirà la verità,<br />
cosa può succedere?<br />
«Qualche problema?» chiede la checca muscolosa. «Se<br />
vuoi possiamo lasciar perdere tutto, siamo ancora in tempo,<br />
mi ha fatto molto piacere conoscerti e non è stato tempo<br />
perso.»<br />
«No, no, ti faccio subito un assegno, voglio andare fino in<br />
fondo a questa storia… Solo, mi sembra davvero tanto! Cristo,<br />
con 3.000 euro ci compri uno scooter!»<br />
«Questo servizio puoi trovarlo anche a molto meno, questo<br />
lo sappiamo…»<br />
«No, io veramente non lo sapevo. Ma comunque ormai<br />
voglio farlo con te. Non ho tempo da perdere.»<br />
Nicolò se ne torna alla Vespa con un misto di eccitazione e<br />
ansia, preoccupato per i soldi, per tutto, ma anche galvanizzato<br />
dalla cosa.
PARTE QUARTA
IL SORCIO 147<br />
«Se solo io avessi fatto, durante la malattia di mio padre, un<br />
decimo di quello che ha saputo fare Stella per la madre in<br />
ospedale quando fu operata di tumore, la pianterei di soffrire<br />
di sensi di colpa retrospettivi. In realtà ho fatto molto poco.»<br />
Non fece che due o tre notti insieme a sua madre. Trovava<br />
sempre delle scuse. Non voleva rinunciare al sonno. E poi lo<br />
preoccupava proprio quello che era chiamato a fare: ovvero<br />
sollevare suo padre da terra dopo una eventuale caduta (a<br />
ben altro mandato era chiamata sua madre!). Gli ultimi<br />
tempi era frequente che si accasciasse in mezzo al corridoio<br />
sfinito fra le braccia di sua madre mentre andavano al<br />
bagno, o tornavano dal bagno in camera. Lo sforzo di sollevarlo<br />
a dire <strong>il</strong> vero era minimo, giacché <strong>il</strong> cancro l’aveva<br />
ridotto a un esserino f<strong>il</strong>iforme di trentacinque ch<strong>il</strong>i. E tuttavia<br />
sua madre da sola non ce la faceva: anche lei era stremata<br />
dopo mesi di assistenza ventiquattr’ore su ventiquattro.<br />
Per fortuna quel compito penoso Nicolò dovette svolgerlo<br />
soltanto una volta. Non ebbe bisogno che sua madre venisse<br />
a svegliarlo perché udì distintamente <strong>il</strong> tonfo della caduta.<br />
Accorse in corridoio. Accese la luce e <strong>il</strong>luminò così i dettagli<br />
di una scena che non vorrebbe ricordare: suo padre, vestito
148 PARTE QUARTA<br />
solo di canottiera e pannolone, buttato malamente sul pavimento.<br />
Pareva già morto.<br />
«Non vorrei ricordare, cristo, ma ricordo!»<br />
Ricorda <strong>il</strong> padre seduto in bagno su un malcerto e scricchiolante<br />
panchetto nero di legno: lui sta dietro, in piedi, gli<br />
sta facendo la barba. Sullo specchio del lavabo si staglia in<br />
primo piano la faccia ossuta, scavata, di suo padre, di un pallore<br />
spettrale sullo sfondo scuro del proprio bacino. Il vecchio<br />
deve guardare, deve guardarsi, non può girare la testa,<br />
altrimenti rischia di farsi tagliare con <strong>il</strong> rasoio.<br />
«Per questo non voleva mai radersi, povero papà. “Allora,<br />
papà, rimandiamo anche oggi, sei troppo stanco?”»<br />
La notte prima che morisse, Nicolò dormiva nella stanzetta<br />
di servizio come quando era piccolo: una stiva gorgogliante<br />
a causa dei cassoni condominiali confinanti. Leggeva<br />
per l’ennesima volta Lo straniero di Camus che aveva preso<br />
dalla libreria di suo padre, fra risucchi, scrosci, brontolii.<br />
Non si sentiva colpevole di leggere, ma di provare piacere<br />
nella lettura sì. Però andava avanti lo stesso. Chissà se riuscirò<br />
a finirlo, pensava sfogliando quello sm<strong>il</strong>zo libriccino, tant’erano<br />
ormai disperate le condizioni di suo padre. Non lo<br />
finì infatti. Quella notte arrivò alla veglia funebre alla madre<br />
morta, senza riuscire a scandalizzarsi neppure un poco della<br />
fredda indifferenza di Mersault. Poi si addormentò. L’indomani<br />
andò al lavoro, ma a metà mattinata sua sorella gli telefonò:<br />
«Papà respira male, vieni.»<br />
La madre lo accolse sulla porta con le mani nei capelli:<br />
«Non c’è più, tuo padre non c’è più!» Nicolò irruppe nell’appartamento<br />
piangendo e str<strong>il</strong>lando, proprio come succede<br />
nei f<strong>il</strong>m, si precipitò nella camera di suo padre, scansando<br />
IL SORCIO 149<br />
brutalmente dalla porta <strong>il</strong> cognato, la sorella e <strong>il</strong> giovane<br />
medico volontario che tenne compagnia a suo padre durante<br />
le ultime due settimane di vita. Chiuse la porta dietro di<br />
sé. Si chinò, ma non riuscì a baciare quella fronte bianca e<br />
ossuta. Allora gli prese la mano e se la strinse al petto. Rimase<br />
così per alcuni minuti scosso dai singhiozzi. La mano di<br />
suo padre era già fredda.<br />
Nulla di speciale insomma. Quando si vivono questi<br />
momenti si pensa sempre che siano unici, irripetib<strong>il</strong>i.<br />
«La morte di mio padre l’ho raccontata ogni volta diversamente<br />
nei miei libri, cercando invano l’originalità.»<br />
Analista e paziente stanno un po’ in s<strong>il</strong>enzio a osservarsi i<br />
rispettivi piedi. La luce che spiove dalla finestrella in alto è<br />
perfino più pallida e smorta del solito. Nella sala c’è una<br />
sciatta penombra. L’analista sorride due o tre volte che<br />
incrocia <strong>il</strong> suo sguardo.<br />
«Be’, di che parliamo, dottore?»<br />
«Decida lei…»<br />
«La volta scorsa di che abbiamo parlato?»<br />
«La volta scorsa, si ricorda, abbiamo parlato a lungo del<br />
suo amico Gabriele…»<br />
«Gabriele, sì… Gabriele è capace di una sott<strong>il</strong>e perfidia,<br />
che forse vedo soltanto io, perché gli altri lo considerano tutti<br />
una gran brava persona. Quando mi doleva la pancia tutto<br />
<strong>il</strong> giorno che nessun farmaco riusciva a lenirla, un giorno<br />
Gabriele mi disse con aria preoccupata: “Guarda, oltre <strong>il</strong> farmaco<br />
che prendi tu, c’è solo la morfina!” Lo disse per spaventarmi,<br />
e io mi spaventai perché lui era medico e non aveva<br />
fama di spararle. Pensai subito a un cancro e mi rivoltai<br />
da capo a piedi come un pedalino: lastre lungo tutto <strong>il</strong> tubo
150 PARTE QUARTA<br />
digerente, dall’esofago ai visceri. Ma in realtà proprio perché<br />
bravo medico Gabriele doveva aver capito immediatamente<br />
che si trattava di depressione, ma non me lo diceva per<br />
vedermi allarmato. Da ragazzi, si stava a casa di una mia<br />
fiamma di allora, e lui mi raggelò dicendomi davanti a lei:<br />
ma Nicolò, hai i piedi sporchi, come fai ad andare in giro con<br />
quei piedi luridi? Oggi Gabriele è grassoccio, ha pochi capelli<br />
e fa <strong>il</strong> medico in un grande ospedale. Negli ultimi anni <strong>il</strong><br />
rapporto si è definitivamente guastato. L’ultima goccia è stata<br />
la pubblicazione del mio primo romanzo. Si è riconosciuto<br />
in uno dei personaggi del libro, e, cosa assai più grave, ha<br />
riconosciuto la sua famiglia. Ora, la rappresentazione indulgeva<br />
in alcuni tratti al grottesco, devo ammetterlo, dottore,<br />
ma ciò malgrado la sua reazione mi è sempre sembrata spropositata.<br />
Si è offeso, si è offeso a morte.»<br />
Non glielo ha detto espressamente, gli ha detto solo di<br />
aver riconosciuto i propri fam<strong>il</strong>iari e <strong>il</strong> paese di Norcia, dove<br />
loro stavano in vacanza. Ma è evidente che se la prese a<br />
male, per come virò da quel momento <strong>il</strong> loro rapporto a<br />
pura formalità.<br />
«Forse quello che non ha davvero digerito è la menzogna,<br />
<strong>il</strong> fatto cioè che lei avesse continuato a negare, nonostante<br />
l’evidenza.»<br />
«Già, del resto come potevo ammettere che <strong>il</strong> bestione era<br />
suo padre, la cagna sua madre e la scucchiona sua sorella?»<br />
Ma era così che doveva rappresentarli, Nicolò, come dei<br />
mediocri e sozzi provinciali, cafoni, parvenu, di idee arretrate,<br />
anche se loro nella realtà erano diversissimi, persone<br />
misurate, buone, gent<strong>il</strong>i. Lui cercava nella fantasia una famiglia<br />
tipo da prendere a bersaglio, da impallinare, da riempire<br />
IL SORCIO 151<br />
di invettive alla Céline, una famiglia ideale verso la quale<br />
scaricare tutto <strong>il</strong> suo odio antiborghese, gli capitò quella, ma<br />
poteva prenderne qualunque altra purché fosse sempre di<br />
quell’ambiente sociale.<br />
«Ne è sicuro? Guardi che non sono mai casuali le scelte che<br />
facciamo. E <strong>il</strong> rapporto con <strong>il</strong> suo amico Gabriele contempla<br />
forse anche <strong>il</strong> desiderio di rivalsa e di vendetta.»<br />
«Ma perché offendersi, dottore? Il romanzo è finzione, non<br />
avevo mica scritto i loro nomi veri…»<br />
«Lei al suo posto come l’avrebbe presa?»<br />
«Un conto sono le cose reali, un altro conto i romanzi…»<br />
«Sappiamo che non è vero, anche per lei stesso. È lei <strong>il</strong> primo<br />
a confondere continuamente i due piani…»<br />
Squ<strong>il</strong>la <strong>il</strong> telefono, scatta la segreteria. Ascoltano in s<strong>il</strong>enzio<br />
la voce registrata.<br />
«Lo sa che cosa mi ha detto l’ultima volta che l’ho visto,<br />
alla mia festa dei quarant’anni, dopo che non lo vedevo da<br />
anni? Ammazza quanto sei ingrassato, in faccia sei gonfio,<br />
gonfio… Capisce che gratuita cattiveria!? Ero stato male, mi<br />
ero imbottito di antidepressivi che mi avevano fatto ingrassare:<br />
insomma, non era una cosa carina da dirsi, sapeva che<br />
mi feriva. Comunque Gabriele cominciò tanto tempo fa a<br />
deludermi. Quando avevamo dodici anni, lui si allontanò da<br />
me e si legò a qualcun altro molto più forte di me.»<br />
«Luca…»<br />
A quell’età <strong>il</strong> rapporto d’amicizia deve essere esclusivo, o<br />
non essere.<br />
E infatti Nicolò non diceva più di lui è <strong>il</strong> mio migliore amico.<br />
Trovava delle formule attenuative.<br />
«Con <strong>il</strong> suo romanzo lei scaricava la sua rabbia, la sua
152 PARTE QUARTA<br />
delusione sul suo primo amico che l’aveva tradita tanto tempo<br />
fa. All’alba dei tempi, all’alba dei suoi tempi, diciamo…<br />
Che immagine aveva di sé in quel tempo? Questo dobbiamo<br />
riuscire a rappresentarci. Non siamo ancora all’epoca del<br />
gruppo dei pari, <strong>il</strong> suo ruolo ancora non si era definito.»<br />
«La mia bellezza femminea mi faceva vergognare moltissimo.<br />
Mi tormentava <strong>il</strong> fatto che qualcuno mi scambiasse per<br />
una femmina.»<br />
«Qualche anno dopo, grazie a quella bellezza, attorno alla<br />
sua figura aleggiava la fama di fico, di rubacuori.»<br />
«In realtà non riuscivo a concludere con nessuna… Mi<br />
sborravo nei calzoni, una cosa patetica…»<br />
Ma questo gli amici non potevano saperlo, lo vedevano<br />
supercorteggiato e si figuravano chissà che chiavate.<br />
«La sua prima volta, se la ricorda?»<br />
Quell’estate Francesca sverginò, oltre lui, una mezza dozzina<br />
di suoi amici. Le piaceva fare da apripista, ci prendeva<br />
gusto, ma non sessualmente, le piaceva che si sapesse in giro<br />
che lei la dava subito, senza storie. Era un primato anche<br />
quello.<br />
E così lo fecero, nella sua gloriosa tenda arancione.<br />
«Perché gloriosa?»<br />
«Perché è stata più volte immortalata dai miei romanzi.»<br />
«Ah.»<br />
«Francesca non era granché e doveva saperlo.»<br />
Fu una cosa squallida e breve, senza preamboli. Non<br />
riusciva a indossare <strong>il</strong> preservativo, Nicolò, e allora glielo<br />
mise lei, e lui era in un imbarazzo pazzesco. Due minuti<br />
nemmeno, e già glielo guidava verso la sua fica dal pelo rossastro<br />
che aveva intravisto in un lampo prima di montarle<br />
IL SORCIO 153<br />
sopra. Nicolò ricorda che spingeva più che poteva ed era<br />
preoccupato di non averlo abbastanza duro. La fica che cercava<br />
di penetrare era asciutta e stretta.<br />
«Gigi è stato <strong>il</strong> secondo suo migliore amico.»<br />
«Oggi è divorziato, con due figli che vedrà sì e no una volta<br />
al mese. È funzionario in una grande banca. È rimasto identico,<br />
come se <strong>il</strong> tempo per lui non fosse passato. Gira con un<br />
Porsche nero e, a quanto si dice, <strong>il</strong> sabato sera va a rimorchiare<br />
le straniere a Fontana di Trevi o a Piazza Navona.»<br />
Nicolò non lo frequenta più da anni, da quando un bel<br />
giorno, verso i trent’anni, lo accusò di essere un mediocre e<br />
incolto impiegatuccio. Erano a cena a casa di Gigi, lui aveva<br />
appena pubblicato <strong>il</strong> suo primo libro e si sentiva una specie<br />
di genio eretico e ispirato e dovunque vedeva dell’ipocrisia<br />
travestita. Disse a Gigi e alla moglie – una donna bassa e<br />
bruna che dimostrava più della sua età – che i loro gusti<br />
cinematografici e artistici tradivano la loro mediocrità piccoloborghese,<br />
la loro assoluta incapacità di riconoscersi<br />
quali realmente fossero e di mettersi in discussione. Lo accusò<br />
di seguire la moda del made in Italy (erano gli anni<br />
Ottanta) per stupidità e, ancora, conformismo, e <strong>il</strong> craxismo<br />
per fare carriera con spudorato spirito opportunistico dentro<br />
la sua grande banca lottizzata. Insomma, gli fece una<br />
solenne lavata di capo, e lui se la prese, naturalmente. Non<br />
subito. Subito continuò a sorridere esibendo la sua chiostra<br />
di denti bianchi, radi e piccoli, che tradivano un’ascendenza<br />
araba, ma da allora non gli telefonò più. Nicolò per qualche<br />
tempo gli telefonava in ufficio. Poi smise anche di chiamar-
154 PARTE QUARTA<br />
lo. E pensare che c’era stato un tempo in cui erano davvero<br />
uniti e fraterni.<br />
«Ci facevamo le prime canne insieme, cosa c’è di più fraterno?»<br />
Gigi dovette anche vincere la sua resistenza, che pare strano<br />
ma durò qualche tempo.<br />
«No, Gigi, non insistere…»<br />
«Ma perché? Che cazzo te ne frega!»<br />
«Non voglio. Fattela pure se vuoi, ma io non voglio.»<br />
Finché un giorno pronunziò la frase fatidica: «Solo una<br />
tirata, vediamo che succede»<br />
Gigi era esultante.<br />
Le facevano in camera sua, che a Nicolò piaceva tantissimo<br />
perché era inviolata dagli adulti (i genitori non entravano<br />
mai, rispettavano la loro privacy: in gioventù anche<br />
loro, a Tripoli, avevano fumato erba). Il vizio, che Gigi non<br />
giudicava tale, l’aveva preso in Scozia, dov’era stato per tre<br />
mesi a lavorare come lavapiatti in un ristorante italiano. Il<br />
sottofondo musicale a casa sua variava da Jackson Brown<br />
alla colonna sonora de Il laureato o de L’uomo da marciapiede.<br />
«Ci facevamo delle buone fumate in quella stanza, ut<strong>il</strong>izzando<br />
i più svariati strumenti in circolazione (pipe, frutta,<br />
bicchieri, bottiglie…) ascoltando musica e raccontandoci<br />
dei nostri tiramenti. Stavamo da dio, ecco tutto… A volte<br />
ci facevamo le canne e poi andavamo al cinema, magari al<br />
Drive in, dove continuavamo a rollarcene dentro la macchina.<br />
Il Drive in era fantastico! Com’era bello vedere <strong>il</strong><br />
f<strong>il</strong>m in quel posto e in quello stato. Ti sembrava di stare<br />
dentro la scena. Pazienza se scambiavi per capolavori f<strong>il</strong>m<br />
IL SORCIO 155<br />
soltanto buoni come Soldato blu e Un piccolo grande uomo.<br />
I western ci mandavano in sollucchero. Gigi scopava parecchio.<br />
Purché trovasse un buco, ci inf<strong>il</strong>ava <strong>il</strong> suo piccolo cazzo<br />
scuro, quasi nero (le dimensioni non contano, diceva<br />
ridendo). Le sue ragazze erano sempre d’aspetto mediocre,<br />
sebbene tutte però avessero qualche eccellente attributo<br />
sessuale. Per esempio, stava con una certa Lory, la salernitana<br />
bassina e bruttina ma con un gran bel culo che era<br />
amica di Dario. Lui se la scopava davanti, e, a quanto diceva,<br />
anche dietro. Un giorno gli fece: «Guarda, Lory non<br />
sarà una gran fica, ma con un bel po’ di fumo in corpo con<br />
lei ti fai delle chiavate pazzesche!»<br />
«Bene.»<br />
«Ma allora te lo devo dire proprio chiaro: quella ti si vuole<br />
fottere pure a te, me l’ha detto…»<br />
«Ah, sì?»<br />
«Papale papale… Potete farlo anche qua a casa mia, domani<br />
pomeriggio… Non ci starà nessuno…»<br />
«No, grazie.»<br />
«Ma perché?»<br />
«Perché non mi piace»<br />
«Ma quella ti dà pure <strong>il</strong> culo!»<br />
«Lascia perdere, non m’interessa.»<br />
Nicolò mentiva, se la sarebbe fatta molto volentieri la sua<br />
salernitana, ma aveva paura di non essere all’altezza, era<br />
imbranato, aveva l’alito cattivo, aveva già la sua cazzo di<br />
malattia, gli doleva l’uccello quando sborrava e sborrava<br />
troppo in fretta. Così faceva credere di avere gusti diffic<strong>il</strong>i.<br />
«Allora, sei sicuro? Ba’, io lo sai come la penso, per conto<br />
mio ogni lasciata è persa.»
156 PARTE QUARTA<br />
«Lo so, ma io ragiono diversamente.»<br />
«Ma perché, se non ti piace le metti un cuscino in faccia…<br />
Guarda che un culo come quello non lo vedi nemmeno nelle<br />
pubblicità!»<br />
Un giorno Gigi chiese alla salernitana se poteva svezzare<br />
suo fratello più piccolo. E quella accettò senza battere ciglio.<br />
Si fece pure <strong>il</strong> fratello, al quale però, a quanto disse Gigi,<br />
rifiutò <strong>il</strong> culo.<br />
«Avevamo finito <strong>il</strong> fumo. Sicché cenammo in una pizzeria<br />
di Trastevere e poi raggiungemmo Santa Maria in Trastevere<br />
in cerca di qualche spacciatore. L’antica piazza era gremita di<br />
gente, la fontana letteralmente assediata dai giovani. Interrogammo<br />
un paio di gruppi di pelosi, come si diceva allora,<br />
ma invano. Ci dissero che stavano aspettando qualcuno che<br />
aveva del libanese rosso. A un certo punto, ci si avvicinano<br />
due ragazze piuttosto malmesse.»<br />
«Cercate fumo o erba?» chiede una delle due, che aveva<br />
pochi denti sciupati su una faccia segnata.<br />
«È lo stesso» fece subito Gigi, esultante.<br />
«Avete la macchina?»<br />
«Sì. L’abbiamo parcheggiata sul Lungotevere…»<br />
«Noi ce l’abbiamo un po’ di fumo (dell’afgano… olio…<br />
una bomba!). Ma a casa, non qui. Allora facciamo uno scambio:<br />
noi vi diamo l’olio e voi ci accompagnate a casa, ok?»<br />
Gigi disse subito di sì, Nicolò lo prese in disparte e gli fece:<br />
«Ma l’hai viste? Sono drogate…»<br />
«E allora? Che cazzo ce ne frega! Andiamo da loro, ci facciamo<br />
dare <strong>il</strong> fumo e magari ci scappa pure una scopata…»<br />
«Senti, Gigi, io non ho voglia di scopare con quelle.»<br />
«La biondina non ha i denti ma di corpo non è male…»<br />
IL SORCIO 157<br />
«Ma vaffanculo!»<br />
«Hai paura dell’Aids? Allora fatti fare un pompino!»<br />
Alla fine cedette e andarono. Le due tossiche scherzavano<br />
con Gigi in macchina e prendevano in giro Nicolò:<br />
«Che ci ha <strong>il</strong> tuo amichetto biondo, non gli piacciono le<br />
donne?»<br />
«È timido!» diceva Gigi soffocando le risa.<br />
«Peccato, è così carino…»<br />
«Cristo, lo odiavo, e odiavo me stesso che mi ero messo in<br />
quella situazione!»<br />
Arrivarono in un condominio popolare dalle parti della<br />
Magliana. La notte era afosa e pesta.<br />
«Bene, sali tu, Gigi, io aspetto in macchina…»<br />
Le ragazze ridevano ancora a causa sua. L’amico cercava di<br />
convincerlo affacciato al finestrino.<br />
«E forza, non fare <strong>il</strong> ragazzino rompicoglioni, saliamo su,<br />
di che cazzo hai paura? Mica ti mangiano…»<br />
«Non ho paura!», mentì Nicolò.<br />
Attraversarono un cort<strong>il</strong>e semibuio e deserto, coi lampioncini<br />
condominiali semidistrutti, le ampolle di vetro rigirate<br />
coi f<strong>il</strong>i penzolanti, immondizia per terra, pezzi di vialetto sterrati.<br />
Varcarono un portone socchiuso, salirono una rampa di<br />
scale e arrivarono davanti all’ingresso del loro appartamento:<br />
la porta aveva la serratura sfasciata e non si chiudeva. Dentro<br />
c’era puzza di frutta andata a male e di chissà che altro. Nel<br />
salone non c’erano mob<strong>il</strong>i: solo tappeti indiani per terra e<br />
mensole al muro. Le pareti spoglie e ingiallite.<br />
«Le tracce dei loro buchi stavano dappertutto, cristo: siringhe<br />
ancora sporche di sangue sulla mensola, cucchiaini, pezzi<br />
di stagnola… Uno schifo, dottore…»
158 PARTE QUARTA<br />
Una delle due ragazze prese da una scatoletta cinese <strong>il</strong><br />
fumo e glielo diede. Non era molto, ma per la serata sarebbe<br />
bastato. Ormai potevano andarsene, e lui non vedeva l’ora,<br />
quel posto gli comunicava un’angoscia tremenda.<br />
Ma Gigi tergiversava. S’era seduto per terra: «Possiamo<br />
spararcela qua?» chiese.<br />
Le due ragazze neppure risposero. Sicché lui cominciò a<br />
rollarsi una canna seduto per terra su quel tappeto indiano<br />
consumato e lurido. Anche le ragazze si sedettero. Nicolò<br />
rimase in piedi imbarazzato.<br />
«Be’, Gigi, tu fai come vuoi, ma io me ne vado» disse.<br />
Gigi sbuffò. La più malandata gli fece:<br />
«Non ti piace fottere a te?»<br />
«No» fece lui.<br />
«Preferisci i maschietti, ah, ah, ah… Dai, Gigi, fatelo voi<br />
due, noi guardiamo…»<br />
Gigi sbuffando e sospirando si alzò e gli fece, passandogli<br />
la canna da accendere che era grossa, vagamente conica, perfetta,<br />
come le faceva lui che era un maestro.<br />
«E va bene… Sei un bel rompicoglioni!»<br />
«Ce la facciamo dopo in macchina», gli fece Nicolò, che<br />
andò via con <strong>il</strong> muso.<br />
Giunti in macchina, scoppiò: «Non mettermi più in una<br />
condizione sim<strong>il</strong>e, Gigi, capito?»<br />
«E non la fare tanto lunga… Potevamo farci una chiavata.»<br />
«Se vuoi chiavartele, vai, torna su e poi fatti accompagnare<br />
a casa da loro…»<br />
«Cammina, su, non ti incazzare, accendi questa cazzo di<br />
macchina… Andiamo via… Poi non venirti a lamentare che<br />
ci facciamo solo seghe.»<br />
IL SORCIO 159<br />
«Era così, Gigi. Non temeva di essere contagiato, non tanto<br />
dal virus, di cui allora poco si sapeva, ma dal degrado. Sembrava<br />
destinato a deragliare nella vita, ma non andò così. È<br />
assai più integrato di me.»<br />
«A giudicare da come lei lo descrive non direi…»<br />
Una sera si presentò da lui giallo come un limone spremuto,<br />
con gli occhi rossissimi ridotti a una fessura. Per fortuna i<br />
suoi non c’erano, ma Gigi non poteva saperlo.<br />
«Che cazzo hai fatto?»<br />
Non gli rispose. Barcollò fino alla cucina, e sprofondò a<br />
sedere su una seggiola accanto al tavolo.<br />
«Me lo fai un caffè bello forte?»<br />
Nicolò gli preparò <strong>il</strong> caffè.<br />
«Allora, che hai, ti senti male?»<br />
«No, sto benissimo, mi sono fatto un tiro di ero da Mario.»<br />
«Eroina? Ma sei matto fracico allora, ma che cazzo ti dice <strong>il</strong><br />
cervello?»<br />
«Ti prego, non farmi prediche, sennò me ne vado.»<br />
Proprio in quel momento tutto cominciò a tremare, <strong>il</strong><br />
lampadario della cucina osc<strong>il</strong>lò paurosamente. Sembrava<br />
una risposta di Dio. Era <strong>il</strong> terremoto e al decimo piano si<br />
sentiva parecchio.<br />
Gigi <strong>il</strong>lividì se possib<strong>il</strong>e ancora di più, si aggrappò al tavolo<br />
e cominciò a tremare di paura.<br />
«Cristo, scappiamo!» fece senza però muoversi, le piccole e<br />
brune mani artigliate al tavolo, tutta la sua minuta figura<br />
scossa da brividi.<br />
«Ma che vuoi scappare, non lo vedi come cazzo stai combinato?<br />
Vuoi farti dieci piani a piedi in quelle condizioni?»<br />
Ci furono altre due scosse più lievi.
160 PARTE QUARTA<br />
«E poi…»<br />
«E poi basta. Con Gigi non parlavo mai della mia malattia,<br />
della mia così precoce malinconia. Ci avevo provato un<br />
paio di volte, ma le sue reazioni mi indussero a non tentarne<br />
una terza.»<br />
Si distraeva, sbuffava, alla fine gli diceva, troncando <strong>il</strong> discorso:<br />
«Facciamoci un bel cannone e non ci pensi più!»,<br />
oppure: «Uno come te ci mette un attimo a trovare fiche!»<br />
Lui non era bello, era assai piccolo di statura con la bocca<br />
troppo grande. Le donne doveva sudarsele.<br />
«Ma certo <strong>il</strong> suo rapporto con Gigi non si esauriva qui,<br />
altrimenti non lo avrebbe considerato, per un certo periodo,<br />
come <strong>il</strong> suo migliore amico. Gigi incarnava per lei lo spirito<br />
d’avventura, tipicamente adolescenziale, la trasgressione…»<br />
«Che si esprimeva non solo attraverso le canne, anche in<br />
cose più banali…»<br />
«Per esempio?»<br />
«Nelle seghe a scuola, nei furti delle macchine dei nostri<br />
genitori senza patente a sedici anni, nelle molestie alla gente,<br />
nel bullismo…»<br />
«Che genere di molestie?»<br />
«Passavamo accanto alla gente con <strong>il</strong> motorino e gli toccavamo<br />
<strong>il</strong> culo, per esempio, soprattutto alle donne naturalmente…<br />
Io gli davo proprio delle pacche, lui le accarezzava<br />
pesantemente… Che risate che ci facevamo, cazzo!»<br />
«Immagino…»<br />
«Dovrei vergognarmene?»<br />
«Lei se ne vergogna anche troppo!»<br />
«Crede?»<br />
«Be’…»<br />
IL SORCIO 161<br />
«Comunque Gigi non resistette a lungo in quella posizione<br />
di miglior amico. Ebbe <strong>il</strong> suo ruolo al tempo del gruppo del<br />
Paris. A lui subentrò in modo permanente Dario, come io<br />
cominciai a interpretare la parte dell’intellettuale e a essere<br />
malato di una malattia che non si capiva.»<br />
«Decisi di andare a Londra, per spezzare <strong>il</strong> ciclo degli studi<br />
universitari (che stentavano), della malattia che prosperava<br />
e per imparare finalmente una lingua. Una decisione tutt’altro<br />
che improvvisa, maturata anzi da tempo. Ne avevo parlato<br />
tanto con Stella e con Dario.»<br />
I suoi genitori erano felici, o almeno così sembrava, gli<br />
avevano messo a disposizione anche una discreta somma<br />
per evitare che a Londra dovesse lavorare. Insomma, tutto<br />
per <strong>il</strong> meglio. Ci andava da signore, a Londra.<br />
«Ma non immaginavo quale ombra nera mi stesse accompagnando…»<br />
Arrivò a Heathrow nelle prime ore del pomeriggio. Un taxi<br />
lo accompagnò dall’aeroporto fino a casa della famiglia che<br />
doveva ospitarlo in una squallida ma ordinata periferia londinese<br />
(aiuole e prato inglese, alberi tosati, tetti di ardesia,<br />
facciate dei palazzi popolari annerite). Come scese dal taxi e<br />
percorse <strong>il</strong> vialetto lastricato, bordato di es<strong>il</strong>i alberelli incassati<br />
nell’asfalto, che doveva portarlo all’ingresso di casa, un<br />
drappo pesante e nero gli rovinò addosso e tinse improvvisamente<br />
tutto di piombo.<br />
Entrò, la casetta era triste e ordinata, la padrona una vedova<br />
dimessa. Restò due ore, forse tre, in camera al piano di sopra a<br />
guardare attraverso <strong>il</strong> vetro affumicato e i pizzi bianchi delle
162 PARTE QUARTA<br />
tendine la giornata piovosa pervaso da una tristezza (mista ad<br />
ansia) abnorme, pazzesca, che non si può dire, che non era<br />
assolutamente commisurab<strong>il</strong>e al luogo e alla circostanza.<br />
Così, all’improvviso. Senza alcun preavviso e apparentemente<br />
senza una ragione. Un tormentoso senso di inadeguatezza<br />
all’ambiente, alla prospettiva di altri giorni così da vivere.<br />
Una feroce nostalgia di casa, di Stella…<br />
Insomma, in un lampo capisce che se vuole liberarsi da<br />
quella sensazione angosciosa deve andare via, scappare, ritornare<br />
subito a casa sua, a Roma. Ma che cosa avrebbero detto i<br />
suoi che avevano già pagato in anticipo un mese alla vecchia<br />
londinese, oltre al viaggio andata e ritorno e anche alla prima<br />
settimana di lezioni presso una costosa scuola di inglese? E<br />
poi Stella, e i genitori di Stella e tutti? E anche Kater, <strong>il</strong> suo<br />
amico che a Londra da un anno ci viveva, parlava ormai bene<br />
la lingua, e lo avrebbe introdotto nel giro delle sue amicizie?<br />
Quale balla colossale poteva inventare con tutti per ripartire<br />
per Roma immediatamente? Ci pensò neppure molto. L’ultimo<br />
pensiero fu per <strong>il</strong> padre, <strong>il</strong> cui scetticismo sarebbe di lì a<br />
poco stato premiato. «Per me vai pure, figurati… – gli aveva<br />
detto <strong>il</strong> padre – ma non sei in grado di farlo.»<br />
«Perché?»<br />
«Be’, vai, vai, poi ne riparliamo…»<br />
Così aveva preconizzato suo padre. L’indomani si imbarcò<br />
sul primo aereo per Roma. A Stella disse che era morta sua<br />
nonna, ai suoi che Stella era incinta e doveva abortire. Nessuno<br />
gli credette, naturalmente, ma per fortuna nessuno<br />
pretese spiegazioni. Per suo padre era <strong>il</strong> trionfo. La sua totale<br />
inettitudine alla vita e al mondo si era rivelata una volta<br />
per tutte! Lui l’aveva capito da sempre. Fu perfino avaro<br />
IL SORCIO 163<br />
nelle celebrazioni della vittoria, gli eroi non hanno bisogno<br />
di fanfare.<br />
«All’università stentavo e presto avrei mollato, lui ne era<br />
certo, lavori all’orizzonte non si prof<strong>il</strong>avano, adesso neppure<br />
imparavo l’inglese, insomma <strong>il</strong> mio avvenire si prefigurava<br />
assai gramo.»<br />
La vita riprese in qualche modo dopo la luttuosa parentesi<br />
londinese. Ma con una consapevolezza in più. Nicolò era<br />
tiranneggiato dal suo male, che gli impediva di fare qualunque<br />
cosa, di allontanarsi dalla sua città, dalla sua casa, dalla<br />
sua camera. Agorafobia si chiama questa malattia, una<br />
parente stretta della depressione (si cura con gli stessi farmaci:<br />
se a quell’epoca qualche medico gli avesse prescritto <strong>il</strong><br />
farmaco che prende oggi, lo avrebbe salvato con vent’anni di<br />
anticipo). Insomma, era un malato, anche se a quell’epoca<br />
tutti lo consideravano un malato immaginario, anche Stella.<br />
Si sentiva sempre male. Tutti i mali possib<strong>il</strong>i. Pancia, stomaco,<br />
testa, ossa… Un lazzaretto!<br />
«I medici che consultai – una caterva – non capivano un<br />
cazzo! Seguitavano a prescrivermi farmaci per la gastrite, per<br />
la colite, tuttalpiù qualche debole ansiolitico.»<br />
Nicolò non voleva più uscire. Gli amici lo chiamavano, ma<br />
lui trovava sempre delle scuse. Passava le giornate a casa<br />
infagottato in un enorme e spesso golf a maglia larga tipo<br />
eschimese che non si cambiava mai. Si ingozzava di medicine<br />
di tutti i tipi che gli passava stoltamente sua madre. Gli<br />
diceva: «E se fosse <strong>il</strong> fegato?, certe volte <strong>il</strong> fegato dà quei sintomi,<br />
prova un po’ con queste iniezioni di Toxepasi…»<br />
E lui giù a spararsi Toxepasi, senza che nessun medico ne<br />
fosse a conoscenza, senza che le sue analisi del sangue giu-
164 PARTE QUARTA<br />
stificassero alcuna azione sul fegato. Lui non soffriva affatto<br />
di fegato né ci aveva mai sofferto. Ma provava tutto, purché<br />
ci fosse la vaga possib<strong>il</strong>ità di guarire da quel male. Ma questo<br />
non succedeva, e anzi i farmaci che assumeva causavano<br />
innumerevoli effetti collaterali… Intanto si lavava e si radeva<br />
sempre meno. Stava continuamente a sentirsi l’alito, a<br />
studiare <strong>il</strong> suo aspetto allo specchio: si vedeva pallido, sciupato,<br />
si vergognava del suo stato. Usciva poco e sempre con<br />
gli occhiali scuri per nascondere quelle che credeva – e forse<br />
erano – occhiaie vistose, e con un giubbotto di lana cammello<br />
che aveva una quantità di macchie incrostate sulla<br />
lana ruvida.<br />
Ricominciò a studiare con maggiore lena. Diede anche<br />
qualche esame, ma suo padre, lungi dall’incoraggiarlo, tornava<br />
la sera tardi, lo vedeva ancora sui libri, e gli faceva<br />
sprezzante: «È inut<strong>il</strong>e che ti metti a studiare quando arrivo<br />
io, è alla mattina che devi studiare. Ma alla mattina <strong>il</strong> barone<br />
dorme!» E allora lui si rivolgeva implorante alla madre:<br />
«Diglielo tu, mamma, ti prego, è vero o non è vero che ho<br />
studiato tutta la mattina e tutto <strong>il</strong> pomeriggio, come sempre?!»<br />
Ma <strong>il</strong> padre alzava scettico le spalle, gli diceva di non<br />
essere bugiardo.<br />
«Accidenti, io non mentivo! Mi facevo un mazzo così su<br />
quei libri incomprensib<strong>il</strong>i, pieni di formule e teoremi, tutto<br />
<strong>il</strong> giorno e tutti i giorni! Ma lui non voleva – non poteva! –<br />
darmi soddisfazione.»<br />
Quando portava i suoi sudatissimi 18 in Fisica I, 19 in Chimica,<br />
22 in Geometria I, 25 in Analisi I, 19 in Analisi II, anziché<br />
congratularsi – per <strong>il</strong> biennio di Ingegneria in fondo<br />
potevano andare quei voti – gli faceva: «Ecco, lo vedi, sem-<br />
IL SORCIO 165<br />
pre voti mediocri, quando lo capirai che l’università non è<br />
cosa per te? Certo che vai male, non frequenti mai le lezioni,<br />
per forza, ti svegli a mezzogiorno.»<br />
Faceva così anche con sua sorella, che pure era iscritta a<br />
Lettere e andava piuttosto bene e aveva avuto una malattia<br />
del cuore che quasi la portava nella tomba. Non voleva che si<br />
laureassero i figli, altrimenti lui, che aveva appena <strong>il</strong> diploma<br />
di maestro, veniva scavalcato, non era più lui l’intellettuale<br />
della famiglia. Con <strong>il</strong> tempo aveva maturato un pesante<br />
complesso verso i laureati. Con Stella, anni dopo, ciò si<br />
manifestava con imbarazzante evidenza. Le diceva ridacchiando<br />
offensivo: «Ecco, ecco la dottoressa, ah, ah, ah, la<br />
dottoressa dei miei…» Suo padre faceva anche finta di non<br />
ricordare mai <strong>il</strong> suo nome, per non darle importanza, la<br />
chiamava con m<strong>il</strong>le nomi diversi tranne che con <strong>il</strong> suo, e poi<br />
si sganasciava (solo lui). Stella sorrideva a denti stretti,<br />
ingoiava amaro. E anche Nicolò. Ma pure un altro sentimento<br />
si appaiava a questo: un’ansietà struggente per la sua vecchiaia<br />
che avanzava, per la sua morte che sentiva insopportab<strong>il</strong>mente<br />
vicina.<br />
«Ho cominciato a soffrire della morte di mio padre molti<br />
anni prima che lui morisse.»
PARTE QUINTA
IL SORCIO 169<br />
E così due motociclisti tagliano la strada al Sorcio, a un passo<br />
da casa sua, in una miserab<strong>il</strong>e appendice del Tuscolano,<br />
un palazzone lambito dai grigi p<strong>il</strong>astri della tangenziale.<br />
Nicolò è riparato dietro un leccio del giardinetto comunale<br />
sopraelevato. Lo fanno uscire dalla macchina, <strong>il</strong> Sorcio si<br />
dimena, bestemmia forte ma i due uomini incappucciati –<br />
entrambi assai ben messi fisicamente – lo azzittano inf<strong>il</strong>andogli<br />
un fazzoletto in bocca.<br />
Uno dei due accosta d<strong>il</strong>igentemente la sua Yamaha TMax<br />
al marciapiede. Lo trascinano con la forza lungo le scale che<br />
mettono al parco, e poi attraverso un sentierino, che li porta,<br />
al di là di un terrapieno di pozzolana, a un malconcio fabbricato<br />
di legno e lamiere, che un tempo poteva essere una<br />
scuderia. Lui dal suo punto di osservazione sollevato può<br />
assistere comodamente senza essere visto. Ad onta di tanto<br />
degrado c’è una siepe piena di biancospino miracolosamente<br />
intatta.<br />
Ci ha passato una intera mattinata qui, in questo cesso di<br />
giardino, per trovare la postazione favorevole. Si accosta di<br />
una decina di metri per assistere dappresso, facendo attenzione<br />
a non scalciare lattine di birra, barattoli di vernice e
170 PARTE QUINTA<br />
altri rifiuti disseminati fra l’erba. I due uomini lo sbattono<br />
contro <strong>il</strong> tronco di un albero, lo riempiono di calci e pugni,<br />
<strong>il</strong> Sorcio si difende assai bene, Nicolò non pensava fino a<br />
questo punto, risponde con precise mosse di karate che, se<br />
non stendono i due robusti aggressori, tuttavia li confondono.<br />
Ci vuole del tempo per piegare la sua resistenza. Ed<br />
ecco finalmente <strong>il</strong> fischio, che lo avverte che l’operazione<br />
finale è cominciata. Il Sorcio è buttato a faccia in giù sul<br />
cofano di una vecchia Opel con le cromature ancora r<strong>il</strong>ucenti,<br />
le braccia legate, già stremato di percosse: «Bastardi,<br />
che cazzo volete, bastardi, vermi, vi ammazzo a tutti e due,<br />
infami…»<br />
Ora i due picchiatori, pur non potendolo vedere, gli mandano<br />
un segno di intesa.<br />
Quello che ha le braccia tappezzate di tatuaggi tira fuori<br />
un manganello nero da dentro la cintura e comincia a colpirlo<br />
su una spalla, sul collo, mentre <strong>il</strong> collega lo tiene<br />
immob<strong>il</strong>izzato.<br />
«Ficcateglielo nel culo!» gli scappa detto forte a Nicolò. I<br />
due restano un po’ interdetti, ma non obbediscono. Ed ecco<br />
l’urlo sfiatato del Sorcio, una lunga bestemmia strascicata,<br />
che fa seguito a un poderoso calcio sulle palle. Nicolò si gode<br />
lo spettacolo del pestaggio, guardando di tanto in tanto<br />
attorno, ma come avevano previsto con Mike non c’è un’anima,<br />
questo parco sudicio è popolato solo dopo le nove di<br />
sera dai tossici, di giorno nessuno ci mette piede tranne i<br />
gatti e i cani randagi.<br />
Quel capanno e quella carcassa d’auto sono una vera benedizione,<br />
pensa Nicolò. Alla fine abbandonano <strong>il</strong> corpo del<br />
Sorcio sul cofano dell’auto, e pian piano scivola per terra e<br />
IL SORCIO 171<br />
batte la testa sul selciato come un burattino dei pupi (<strong>il</strong><br />
rumore è cancellato dalla distanza). Il tutto, quei due, senza<br />
dire una parola.<br />
Il capo ha comunicato agli impiegati del servizio che <strong>il</strong> Sorcio<br />
ha avuto un incidente con la macchina, ha passato un<br />
paio di giorni in ospedale, ed ora è a casa in convalescenza.<br />
Questa la versione ufficialmente divulgata dal Sorcio.<br />
Nicolò non ha detto niente a nessuno, naturalmente, neppure<br />
a Elena, che tuttavia deve aver mangiato la foglia perché<br />
ogni tanto gli passa davanti con un sorrisetto malizioso.<br />
Il sordomuto è assolutamente convinto che <strong>il</strong> merito sia della<br />
fattura.<br />
«Vedi, ha funzionato, ha funzionato!» giub<strong>il</strong>ava giorni fa<br />
con <strong>il</strong> faccione raggiante.<br />
«Sì, ma non farti capire, chiaro? Lo sappiamo solo noi… È<br />
un nostro segreto…»<br />
«Certamente, stai tranqu<strong>il</strong>lo amico. Sei l’unico amico che<br />
ho qua dentro, lo sai?»<br />
«Sì. Già me lo hai detto.»<br />
Il Sorcio è tornato al lavoro un venerdì, tutto abbacchiato e<br />
ancora segnato in faccia dalle percosse. Subito un capannello<br />
di colleghi gli si è fatto incontro e tutti hanno ascoltato la<br />
sua storia: due balordi in moto lo avrebbero fermato, gli<br />
avrebbero strappato via <strong>il</strong> Rolex dopo un combattimento<br />
durato alcuni minuti.<br />
Elena gli ha chiesto:<br />
«Ma <strong>il</strong> tuo Rolex non era falso?»<br />
«Sì, – risponde <strong>il</strong> Sorcio stolidamente – e allora?»
172 PARTE QUINTA<br />
«E quelli si sono dati tutto quel daffare per una patacca?<br />
Ma vattene!» E se ne è andata con una scrollata di spalle.<br />
È incredib<strong>il</strong>e come <strong>il</strong> trattamento abbia trasformato <strong>il</strong> Sorcio.<br />
È diventato s<strong>il</strong>enzioso, educato, gli passa le telefonate<br />
con garbo, cerca di farsi notare <strong>il</strong> meno possib<strong>il</strong>e. Evidentemente<br />
sospetta di lui quale mandante. L’ipotesi che prima o<br />
poi si vendichi pare a Nicolò improbab<strong>il</strong>e. Più verosim<strong>il</strong>e<br />
che fra qualche tempo, ormai dimentico della lezione,<br />
riprenda a torturarlo. Il solo pensiero che questo possa accadere<br />
getta un’ombra di inquietudine sul suo presente.<br />
Gli viene fatto di chiedersi che cosa succederebbe se raccontasse<br />
tutto a Stella. Lo stimerebbe completamente rincoglionito<br />
dall’alcol.<br />
Durante la pausa pranzo, Nicolò ha dato fuoco a un cartone<br />
nella rampa in faccia all’ufficio. È rimasto a guardare le<br />
fiamme che ardevano. Alla fine lo scheletro del cartone è<br />
crollato su se stesso e per terra è rimasto un pugno di cenere<br />
grigia che quando i colleghi sono rientrati <strong>il</strong> vento aveva già<br />
spazzato via. Qualcuno si è lamentato della puzza di fumo,<br />
ma nessuno gli ha chiesto niente.<br />
«Un violentatore è quasi sempre stato un violentato. Intendiamoci,<br />
lei non ha violentato nessuno, ma la violenza è un<br />
tema che non la lascia indifferente e che come abbiamo visto<br />
esercita e subisce… Da dove nasce per esempio la sua ispirazione<br />
riguardo al tema della violenza sessuale?»<br />
«Be’, vede, Sveva subì violenza dai mostri del Circeo un<br />
IL SORCIO 173<br />
paio di anni prima che si mettesse con me e che loro diventassero<br />
famosi. Quando stavamo insieme aveva sedici anni.»<br />
«Molti suoi ricordi risalgono ad allora, questi mitici sedici<br />
anni…»<br />
«Già. Quanti anni aveva Sveva quando quei porci la<br />
costrinsero a succhiarlo a due di loro in un anfratto di Monte<br />
Antenne? Forse quattordici, forse anche meno.»<br />
Lei era la ragazza di uno di loro, che la tradì vigliaccamente<br />
offrendola agli amici.<br />
«Ho avuto con Sveva un rapporto allegro, disinvolto,<br />
cameratesco.»<br />
«Molto diverso da quello che ha instaurato con Stella.»<br />
«Assolutamente.»<br />
Nicolò le diceva tutto, ma proprio tutto, come se fosse un<br />
uomo, un amico. Ridevano da matti insieme. La lasciava<br />
seduta sul sellino di dietro del vespone in mezzo al traffico,<br />
metteva <strong>il</strong> cavalletto e si allontanava a piedi. Lei cominciava a<br />
sgolarsi per chiamarlo. Ma lui ritornava con tutto comodo<br />
fra i clacson che stridevano intorno e i moccoli che volavano.<br />
Lei era piccoletta, non riusciva a scendere… Cominciava a<br />
indicarla ridendo: «Guardatela, guardatela, è seduta sul cesso!<br />
Ah, ah, ah…» Lei arrossiva e gli strofinava <strong>il</strong> suo musetto<br />
appuntito da topo addosso per la vergogna. Era bionda, i<br />
capelli molto fini, già allora un po’ sfibrati, raccolti in una<br />
cipolla sul capo. Se la portava dietro dappertutto anche in<br />
serate per soli maschi a base di whisky e poker. Ci si trovava a<br />
casa di qualcuno degli amici e si tirava tardi fino alle tre, alle<br />
quattro del mattino. Nicolò, Dario, Kater, Miccia, Gigi, Alessandro,<br />
Francesco, Manuel… Tutto <strong>il</strong> gruppo del Paris.<br />
«Ci era presa brutta, per un certo periodo giocavamo tutte
174 PARTE QUINTA<br />
le sere. Io non facevo che rubare banconote nel cassettone di<br />
mia madre per pagare i debiti di gioco.»<br />
Sveva lo seguiva, benché fosse la sola ragazza presente a<br />
quelle serate. Lei non beveva, non fumava, ma si divertiva e<br />
soprattutto non faceva prediche. Poteva fare tardi come loro,<br />
nessuno le rompeva i coglioni.<br />
«Sapeva farsi grasse e vir<strong>il</strong>i risate con me e con i miei amici,<br />
che con lei si trattenevano appena. Miccia era <strong>il</strong> più trucido.»<br />
Le sparava sempre più grosse per farli ridere, faceva qualunque<br />
cosa per divertire gli amici. In effetti era comico sentirlo<br />
esclamare sconcezze da m<strong>il</strong>itare davanti a loro che giocavano<br />
a carte e a Sveva che assisteva vicino a lui. Lei recitava<br />
la parte della donna del capo. Sì, in fondo in quegli anni nel<br />
gruppo Nicolò aveva in mano lo scettro del comando. Un<br />
capo tollerante, spietato o generoso secondo i casi. Ma<br />
comunque un capo.<br />
«Chissà se anche i miei amici mi guardavano come a un<br />
capo.»<br />
«Lei che pensa?»<br />
«Penso di sì. Per un certo periodo… Godevo fama di bello<br />
e di vincente… Sa, a quell’età è tutto…»<br />
«È ut<strong>il</strong>e capire esattamente <strong>il</strong> suo ruolo all’interno del<br />
gruppo dei pari.»<br />
«Il gruppo dei… pari?»<br />
«Il gruppo dei pari, monosessuale e omosessuale, è <strong>il</strong> gruppo<br />
dei coetanei adolescenti. Un momento fondamentale che<br />
prepara alla formazione della coppia eterosessuale…»<br />
Manuel era ricco sfondato e la sua casa era bellissima (una<br />
palazzina liberty tappezzata di fioriti rampicanti dalle parti<br />
di V<strong>il</strong>la Massimo) e anche <strong>il</strong> salone dove giocavano aveva un<br />
IL SORCIO 175<br />
superbo tavolo da gioco, con delle fiches d’avorio e madreperla<br />
che aveva portato <strong>il</strong> padre di ritorno da qualche viaggio<br />
d’affari in Medio Oriente. Per terra c’erano costosi tappeti<br />
orientali, alle pareti arazzi e quadri di valore. Dio, quanto<br />
gli sarebbe piaciuto essere ricco come Manuel… Da<br />
Manuel tutto era permesso: whisky (ne aveva di tutte le<br />
marche!), linguaggio da trivio, canne (tanto i suoi, che erano<br />
nella diplomazia, non c’erano mai) e se capitavano anche<br />
rutti e scoregge. Miccia sparava delle pere rumorose, senza<br />
minimamente preoccuparsi della presenza di Sveva, che<br />
abbassava gli occhi fingendosi piena di vergogna ma rideva<br />
sotto i baffi. Manuel – capelli folti e duri, fronte bassa, denti<br />
pronunciati, colorito scuro, occhi chiari scint<strong>il</strong>lanti – spizzando<br />
lentamente le sue carte, arricciava appena <strong>il</strong> naso e<br />
diceva: «Ecco, lo sapevo, quel maiale ha colpito ancora!»<br />
Tutti cominciavano a insultare <strong>il</strong> Miccia, che ridacchiava<br />
guardandoli di sottecchi e malcelando la sua fierezza per la<br />
sozza bravata che aveva fatto. Sul tavolo da gioco gravava per<br />
alcuni minuti, mescolato al fumo, un tanfo di fogna, ma si<br />
continuava a giocare, puntando soldi, magnetizzati dalle<br />
carte: niente, neppure un terremoto avrebbe potuto distrarli.<br />
Una sera, mentre Kater era andato un attimo a pisciare,<br />
Miccia si ficcò una mano nei calzoni e cominciò a strapparsi<br />
dei peli del pube che via via ammucchiava davanti al posto<br />
dell’amico, fra le sue carte sul tavolo. Poi, quando Kater tornò,<br />
gli soffiò tutti quei pelacci addosso. Kater sputava saliva<br />
mista a peli pubici del Miccia.<br />
«Non ricordo se c’era Sveva quella volta…»<br />
«Possiamo supporre che ci fosse… E allora <strong>il</strong> significato<br />
della burla diventa assai più inquietante.»
176 PARTE QUINTA<br />
Miccia era (ed è ancora) così, un burlone, un cazzaro simpatico,<br />
sempre dominato da una ansietà fatta di concitazione,<br />
eccitazione, entusiasmo, <strong>il</strong> nemico numero uno dei più<br />
deboli, un perfetto gregario. Aveva un padre persino più cazzaro<br />
di lui, con cui scherzava spesso in modo anche pesante.<br />
Gli diceva che la moglie, Alessia, cioè sua madre, era una gran<br />
puttana, cose del genere. Il padre non lavorava e non aveva<br />
mai lavorato in vita sua, se ne stava tutto <strong>il</strong> giorno a ciondolare<br />
fuori della boutique della moglie (Alessia boutique), dietro<br />
via Veneto, sempre elegantissimo, offrendo caffè e cappuccini<br />
a tutti quelli che lo andavano a trovare. Si divertiva<br />
da matti con loro, diceva anche lui le parolacce, si scambiava<br />
botte sulle palle con <strong>il</strong> figlio. «Salutaci quella pompinara di<br />
Alessia!», gli urlava Miccia dal vespone mentre andavano via.<br />
Aveva anche un cane, <strong>il</strong> Miccia, che si chiamava Bu, e che talvolta<br />
si portava dietro al Paris, e che gli amici pigliavano<br />
volentieri a calci. Il Miccia si imbestialiva sul momento, ma<br />
poi si divertiva e scalciava la povera bestia anche lui. Annunciò<br />
così la malattia di Bu: Ci ha du’ cancri ar culo… Miccia a<br />
scuola prevedib<strong>il</strong>mente era una capra, all’università pure.<br />
«Molto prevedib<strong>il</strong>mente.»<br />
«Alla fine si è sposato una ricca negoziante. E ha svoltato,<br />
come si dice, ha preso a vivere come viveva <strong>il</strong> padre. Oggi è<br />
un gagliardo quarantenne, calvo, atletico, sportivo: da ragazzo<br />
era un budellone bianchiccio che tutti prendevano in<br />
giro. Però a tutto c’è un prezzo: <strong>il</strong> suocero lo tratta come un<br />
garzone di bottega, lo manda di qua e di là a fare commissioni<br />
personali. E Miccia ne soffre. “Quel vecchio ebreo è proprio<br />
uno stronzo, o se preferisci, quel vecchio stronzo è proprio<br />
un ebreo!”, mi ha detto. Era sempre lui, Miccia, a orga-<br />
IL SORCIO 177<br />
nizzare gli scherzi più feroci e spietati a Kater, quello che<br />
dopo <strong>il</strong> liceo se ne partì per Londra dove è restato (di sicuro<br />
anche a causa nostra).»<br />
Kater è l’abbreviazione di Katerp<strong>il</strong>lar (cioè Caterp<strong>il</strong>lar, l’escavatrice<br />
agricola) per via delle buche con le ragazze che<br />
continuamente rimediava. Il suo vero nome era Tiziano.<br />
Quel nomignolo glielo aveva affibbiato Miccia una sera in<br />
discoteca, dopo l’ennesima buca consumata fra uno svelto e<br />
un drink alcolico al banco del locale. Ci provava con tutte,<br />
Kater. Non si vergognava di nulla, invitava a ballare una<br />
ragazza e ballando era capace di toccarle <strong>il</strong> culo. La reazione<br />
variava da una sberla a un calcio negli stinchi. Lui se ne tornava<br />
al tavolo a occhi bassi, ma dopo un paio di minuti si era<br />
già ripreso ed era pronto a ricominciare con un’altra. Sapeva<br />
essere di spirito, Kater: lui e Nicolò tenevano in una radio<br />
privata un programma di canzoni italiane e chiacchiere che<br />
avevano battezzato Katerp<strong>il</strong>lar sound.<br />
«Era divertente: io prendevo per <strong>il</strong> culo in trasmissione<br />
Kater e ridevo di lui. Lo tratteggiavo come uno sfigato, ma<br />
anche come un arrapato cronico. Kater interpretava se stesso<br />
ed era magnifico, una spalla perfetta!»<br />
Telefonavano un sacco di ragazze, che si divertivano a quel<br />
teatro e gli appuntamenti si sprecavano. Erano quasi tutte<br />
borgatare.<br />
«Sicché le attiravamo nel gruppo dove venivano regolarmente<br />
trattate a pesci in faccia e poi rispedite nella periferia<br />
lurida donde provenivano. Una aveva <strong>il</strong> padre idraulico e le<br />
cantammo tutto <strong>il</strong> giorno lo stornello dello stagnaro. Alla fine<br />
lei si mise a piangere, mentre noi ci spanciavamo dal ridere col<br />
Miccia che cercava di metterle una mano sotto alla gonna.»
178 PARTE QUINTA<br />
A volte Kater e Nicolò si trattenevano dopo la trasmissione<br />
con <strong>il</strong> padrone dell’emittente, che era un ricco ciccione di<br />
ventidue anni – loro ne avevano, al solito, sedici o giù di lì –<br />
appassionato di musica celtica ed esoterismo. Quel grassone<br />
con l’orecchino, pieno di tic e di ninnoli addosso, gli insegnò<br />
quella che chiamava la scrittura automatica: ti mettevi seduto<br />
a un tavolino con una matita nella mano inerte appoggiata<br />
su un foglio bianco. E dopo un po’ la mano cominciava<br />
impercettib<strong>il</strong>mente a muoversi e sulla carta veniva scritto<br />
qualcosa. E allora tu prendevi a interrogare lo spirito che ti<br />
possedeva. E quello ti rispondeva scrivendo sulla carta. Lo<br />
spirito di Nicolò si chiamava Oasis, era vissuto nel Seicento,<br />
era stato bruciato sulla pubblica piazza come eretico. Non si<br />
deve credere che lui fosse superstizioso e fac<strong>il</strong>mente suggestionab<strong>il</strong>e.<br />
Non credeva a un cazzo, a quei tempi, sull’esempio<br />
di suo padre. Eppure quella cosa succedeva sotto i suoi<br />
occhi, non era suggestione: la mano si muoveva da sola!<br />
«Quel cazzo di Oasis mi parlava…»<br />
Si facevano delle lunghe chiacchierate. Nicolò gli chiedeva<br />
anche cose sul futuro. Ma lui rispondeva con battute scherzose<br />
e quasi sempre incomprensib<strong>il</strong>i. Era uno spiritello burlone.<br />
«Come sib<strong>il</strong>la non valeva un cazzo, Oasis, non ne azzeccava<br />
una!»<br />
Insomma, Kater era simpatico, per nulla musone e permaloso,<br />
sapeva ridere di se stesso. Ma a loro del Paris non bastava.<br />
Loro dovevano um<strong>il</strong>iarlo. Lo legarono attorno a un albero<br />
di V<strong>il</strong>la Ada e lo lasciarono a gridare e a piangere per due<br />
ore. Gli riempirono la sua Renault 4 di foglie secche e rifiuti.<br />
Gli spalmarono la merda di cane sulle maniglie della macchina.<br />
Simularono un suo rapimento, tutti incappucciati…<br />
IL SORCIO 179<br />
Lui in macchina era terrorizzato, ripeteva piangendo: «Mio<br />
padre non ha tanti soldi, avete sbagliato, avete sbagliato…»<br />
Era diventato <strong>il</strong> pupazzo del gruppo, quello che veniva<br />
regolarmente messo in mezzo, sacrificato sull’altare della<br />
loro adolescenziale ferocia e del loro divertimento.<br />
Dario si rifiutava di partecipare alla corrida, s<strong>il</strong>enziosamente<br />
disapprovava. Mentre fra gli aguzzini Nicolò era <strong>il</strong><br />
peggiore, <strong>il</strong> più spietato. Mostrava un sadismo! Organizzava<br />
insieme al Miccia gli scherzi peggiori. Miccia era l’esecutore,<br />
lui la mente. Malgrado ciò, Kater con Nicolò si confidava.<br />
Una volta, con <strong>il</strong> nodo in gola, gli disse: «Tu sei <strong>il</strong> più forte, se<br />
tu la smetti di prendermi in giro, la smettono anche gli altri.<br />
Ti prego, fallo!»<br />
Non lo fece, Nicolò, anzi diventò ancora più spietato.<br />
Scrisse assieme al Miccia sul muro della sua casa con lo spray<br />
indeleb<strong>il</strong>e: Il padre di Katerp<strong>il</strong>lar è frocio!, Kater lo piglia in<br />
culo dal padre! Un giorno Kater gli fece leggere <strong>il</strong> suo diario,<br />
sul quale aveva versato tutte le sue lacrime disperate. Vi diceva<br />
che prima o poi avrebbe fatto qualche azione folle… E la<br />
fece. Dopo <strong>il</strong> m<strong>il</strong>itare, partì per Londra, e ci restò. Non tornò<br />
più in Italia. Cambiò paese, città, per potersi ricostruire<br />
un’immagine vergine, lontano dai suoi amici aguzzini e<br />
anche da suo padre che lo trattava male. Adesso pesa centoventi<br />
ch<strong>il</strong>i, si ubriaca, picchia la moglie e i tre figli. La violenza<br />
che ha incamerato per anni la scarica su di loro. Di<br />
mestiere fa <strong>il</strong> venditore di mob<strong>il</strong>i d’epoca, Kater, ha una sua<br />
piccola e prospera impresa. Ma si mangia tutto, dicono, con<br />
alcol e puttane, è rimasto spesso al verde. Allora torna a<br />
Roma per un paio di settimane, piangendo sulle spalle del<br />
padre, e riparte carico di soldi. Ma l’ultima volta non è anda-
180 PARTE QUINTA<br />
ta così. La moglie lo ha lasciato e si è portata via i figli. E lui è<br />
rimasto solo… Allora in piena notte ha preso a gridare come<br />
un ossesso dalla finestra di casa sua. Poi è sceso in strada e ha<br />
cominciato a prendere a calci le macchine parcheggiate e i<br />
bidoni della spazzatura. Alla fine l’hanno portato via e nell’infermeria<br />
della questura gli hanno fatto un’endovena di<br />
qualcosa che l’ha calmato. Tutte voci riferite da qualche amico,<br />
beninteso, lui non lo vede e non lo sente più.<br />
«Ma che fai, non lo chiami un amico come Kater? – gli ha<br />
fatto <strong>il</strong> Miccia tempo fa accorato – Sta a Roma, sai? Vuoi <strong>il</strong><br />
cellulare? Ha appena avuto una brutta operazione…»<br />
«Ah, sì?»<br />
«Sì, tumore alla vescica…»<br />
«Cristo!»<br />
«Deve farsi due cicli di chemio, poi riparte per Londra.<br />
Allora, lo vuoi <strong>il</strong> cellulare, sì o no?»<br />
«No, grazie, preferisco di no.»<br />
«Ma come? Perché? Lui parla spesso di te, ti vuole ancora<br />
bene…»<br />
«Non ho nulla da dirgli.»<br />
«Insomma eravate un gruppo pseudodelinquenziale…<br />
Ricorda altri episodi in cui venne fuori questa anima teppistica?»<br />
«Oh, un’infinità… Per esempio ricordo una festa dalle<br />
parti di Porta Pia, in una casa lussuosa, dov’eravamo tutti<br />
imbucati. Verso mezzanotte, io, Miccia e Gigi ci siamo chiusi<br />
nella stanza da letto dove erano stati rovesciati i cappotti<br />
degli invitati.»<br />
I tre amici cominciarono a cazzeggiare, a indossare i loden<br />
uno sopra all’altro, sette o otto ciascuno. Poi uscirono e se ne<br />
IL SORCIO 181<br />
andarono come niente fosse dalla festa. Lungo le scale del<br />
palazzo se la facevano sotto dal ridere tutti infagottati in<br />
quei loden di varie misure che avevano rubato. Li buttarono<br />
in mezzo alla strada continuando a ridere e a urlare: «Arsenio<br />
Loden, Arsenio Loden…» Qualcuno di loro ci pisciò<br />
anche sopra. Miccia se ne tenne un paio che gli andavano a<br />
pennello e se li portò a casa. E <strong>il</strong> padre, che di abbigliamento<br />
se ne intendeva ed era sempre elegantissimo, l’indomani gli<br />
disse: «Eccellente qualità, nuovissimi, avete fatto bene!»<br />
«Eravamo i fratelli più piccoli dei mostri del Circeo, gliel’ho<br />
detto… Loro erano personaggi tragici, però… Noi ne rappresentavamo<br />
una parodia romanesca e ridanciana.»<br />
«Questo è un giudizio a posteriori.»<br />
«Naturalmente. Però sarebbe bastato poco perché le nostre<br />
strade si incrociassero…»<br />
L’analista gli chiede di precisare ancora, insieme a lui, da<br />
chi fosse costituito <strong>il</strong> gruppo dei pari, e quale ruolo ciascuno<br />
esercitasse al suo interno, e Nicolò si lascia prendere da una<br />
insidiosa nostalgia goliardica.<br />
«Ricordo un tale strepitoso che si chiamava Mario Mattoli,<br />
proprio come <strong>il</strong> regista di Totò, nella Prinz grigio topo del<br />
Miccia… Ma è una cretinata, non è importante…»<br />
«Lasci giudicare me, racconti…»<br />
Mario era buffo, un po’ grassoccio, bruno, peloso, con foltissimi<br />
sopraccigli che accentuavano l’ombrosità dello<br />
sguardo e peli arruffati sulle orecchie. Aveva già, a diciott’anni,<br />
problemi di irsutismo. La sua specializzazione erano gli<br />
scherzi in macchina. Era rinomato per questo, conteso da<br />
vari gruppi. Talvolta si faceva pagare. A loro fece lo spettacolo<br />
gratis perché era amico del Miccia.
182 PARTE QUINTA<br />
Insomma quel giorno in macchina guidava Miccia, Nicolò<br />
stava dietro e lui, Mario, dalla parte del passeggero con <strong>il</strong><br />
finestrino aperto. Chiamava i pedoni sporgendosi fuori con<br />
<strong>il</strong> vento che gli spartiva i folti capelli corvini in due bande<br />
lucide: «Mi scusi, vorrei un’indicazione, si può avvicinare<br />
per cortesia.» Era gent<strong>il</strong>issimo senza essere leccato.<br />
«Elegante. Magnifico. Sembrava Dustin Hoffman nel Laureato,<br />
ha presente, dottore? Uno di cui non puoi diffidare.»<br />
Miccia avvicinava la macchina al marciapiede, <strong>il</strong> malcapitato<br />
di turno si accostava con ottime intenzioni. Mario gli<br />
faceva, serissimo: Venga, venga, parli direttamente con lui che<br />
guida, così facciamo prima. Quello ficcava quasi la testa dentro<br />
<strong>il</strong> finestrino per conferire con <strong>il</strong> Miccia. A quel punto, lui,<br />
Mario Mattoli, gli ammollava un ceffone portentoso, mentre<br />
Miccia aveva già ingranato la prima ed era partito.<br />
«Cristo, bisognava vederlo in azione, un talento unico! Una<br />
sincronia perfetta avevano! Io nel sed<strong>il</strong>e di dietro me la facevo<br />
sotto. Mi spanciavo: Ancora, ancora, vi prego, non smettete!,<br />
gemevo. E allora lui cominciava a urlare alle coppie, vecchie e<br />
giovani, ma soprattutto vecchie, cose come: E falla tua!, Dagli<br />
la mazza!, Sfondala, Fatte bacia’ er pupo! A quell’epoca questo<br />
repertorio machista lo trovavo straordinariamente comico.<br />
Tutt’oggi invero capita che urli qualcosa alla gente dalla macchina<br />
(solo complimenti però, tipo A bello!, Sei fichissimo!, Ti<br />
trovo splendido!) e F<strong>il</strong>ippo si diverte un mondo e mi incita a<br />
continuare. Lo sto educando all’insubordinazione civ<strong>il</strong>e, al<br />
bullismo e al vandalismo… Lo so, è assurdo.»<br />
«Lo sta educando, certo a modo suo, anche allo spirito, al<br />
divertimento, al lato comico della vita, che nella vita non è<br />
un fatto secondario.»<br />
IL SORCIO 183<br />
Miccia si allontanava, ma molto lentamente, per non perdersi<br />
e non fargli perdere le reazioni del tizio che quasi sempre<br />
dallo sconcerto passava a una stizza impotente e rabbiosa.<br />
Imparò subito la lezione di Mario Mattoli, <strong>il</strong> Miccia, dall’indomani<br />
si mise a praticarla per proprio conto. Ma non<br />
era altrettanto divertente. Gli mancava l’aria grave, seria,<br />
quel distacco aristocratico del Mattoli. Lui era volgare, sbottava<br />
subito a ridere, esagerava con gli insulti…<br />
Ma anche <strong>il</strong> Miccia aveva le sue perle. Era magistrale quando<br />
pigliava a calci i cani, questa era la sua specialità, in cui<br />
sfiorava la perfezione. Allorché <strong>il</strong> bar era pieno, si avvicinava<br />
al banco, chiamava <strong>il</strong> barman e faceva in un trionfo delle sue<br />
erre mosce: Per favore, per favore, da questa parte… e frattanto<br />
scaricava una gragnola di calcetti alla bestiola che scattava,<br />
si torceva, grugniva sul pavimento. Ma quando <strong>il</strong> padrone<br />
del cagnolino guardava in basso, era troppo tardi, lui aveva<br />
smesso.<br />
Miccia frequentava la sezione missina di Talenti. Non era<br />
iscritto, ma gli piaceva stazionare da quelle parti, con <strong>il</strong> suo<br />
giubbotto di renna dalle maniche di lana elasticizzate tirate<br />
su a scoprire la peluria biondastra sui magri avambracci, la<br />
cinta di Gucci e i rayban specchiati e le sue memorab<strong>il</strong>i scarpe<br />
a punta di Cervone (ne aveva a decine…). Ho visto Tizio,<br />
c’era anche Caio in sezione, alla manifestazione eravamo io<br />
e Sempronio, e Tizio, Caio e Sempronio erano famosi picchiatori<br />
fasci che lui era fierissimo di conoscere e che era<br />
convinto che tutti gli amici gli invidiassero.<br />
Un giorno Miccia prese Dario in disparte, fuori di una<br />
discoteca, e gli disse: «A te lo posso dire, vedi, con Nicolò<br />
bisogna mentire, che vuoi?, lui è fatto così… Insomma…
184 PARTE QUINTA<br />
Hai presente <strong>il</strong> casino all’università del primo maggio… I<br />
fischi a Lama e compagnia… Be’, io c’ero! Abbiamo pestato<br />
un bel po’ di pelosi! Abbiamo sparato! Però mi raccomando:<br />
non dirlo a Nicolò, lui sai com’è, mi romperebbe le palle!»<br />
«Certo, io gli rompevo le palle, ricordandogli che lui aveva<br />
più volte dichiarato di essere compagno. Ma che vuole, Miccia<br />
era così, e andava preso com’era! Come quando alzava <strong>il</strong><br />
braccio nel saluto fascista in discoteca e mi diceva: “Lo so,<br />
Nicolò, tu penserai che è un’assurdità, ma a me piace, non<br />
vuol dire un cazzo per me, lo faccio così perché lo fanno tutti,<br />
per cazzeggiare…”»<br />
Fece in modo che Dario vedesse la pistola che aveva in<br />
macchina nel portabagagli. Dario lo raccontava spanciandosi.<br />
Gli scrissero sotto casa Miccia in campana!, con la vernice<br />
rossa. E gli misero vicino la sigla di un agguerrito gruppo<br />
autonomo e <strong>il</strong> disegno di una P38. Poi gli telefonarono<br />
per godersi le reazioni. Lui si confidò solo con Dario. Gli<br />
disse che ormai era solo questione di giorni. I compagni l’avevano<br />
individuato e prima o poi gliele avrebbero suonate<br />
(nella migliore delle ipotesi). Era preoccupato davvero, si<br />
cagava sotto.<br />
«Speriamo che non ti sparino!» la tirava in lungo Dario,<br />
che non riusciva più a trattenere le risate al telefono. «Hai<br />
fatto sparire quell’arma dalla macchina?»<br />
«Me la puoi tenere tu per qualche tempo?»<br />
«Mi vuoi mettere nei guai, eh? E va bene, d’accordo, portamela<br />
stanotte, ma fai attenzione di non essere seguito.»<br />
Erano una decina di ragazzi ad accoglierlo a casa di Dario<br />
quando si presentò nottetempo con l’arma tutta ravvolta in<br />
un panno e la faccia terrea da cospiratore. Le risate esplosero<br />
IL SORCIO 185<br />
nel pianerottolo, amplificandosi e rincorrendosi nella stretta<br />
tromba delle scale. Quella pistola l’aveva per davvero.<br />
Al Paris giungevano voci di sue fughe memorab<strong>il</strong>i alle<br />
manifestazioni. Nessuno lo prendeva sul serio. Si presentava<br />
con la sua Prinz grigio topo, e intenzionalmente, per farli<br />
ridere, la mandava a urtare contro gli alberi o contro le macchine<br />
parcheggiate o i cartelloni pubblicitari. Ormai era tutta<br />
ammaccata. Certe volte la prendeva a calci con gli stivali<br />
Camperos sfondati.<br />
«Miccia era <strong>il</strong> tipo più conformista che abbia mai conosciuto.<br />
Mutava pelle a seconda dell’interlocutore che aveva di<br />
fronte. Vestiva sempre alla moda, tutta roba firmata. Raccontava<br />
cazzate a non finire. Nessuno gli credeva naturalmente,<br />
ma tutti ardevamo dal desiderio di sentire le sue cazzate.»<br />
Raccontò che una certa Patricia del Giulio Cesare gli aveva<br />
fatto un pompino sull’autostrada mentre lui guidava la sua<br />
Prinz lanciata a bomba. «Le ho sborrato in faccia e qualche<br />
schizzo è finito sul cruscotto e sul vetro… Non si vedeva più<br />
un cazzo…» Un’altra volta aveva leccato la fica di una cliente<br />
nella boutique della madre, mentre quella si provava un<br />
intimo, e aggiunse che un poco le puzzava.<br />
«M<strong>il</strong>lantava di aver fatto un affare di non so che cosa con<br />
un commerciante di via Veneto e di averci guadagnato dieci<br />
m<strong>il</strong>ioni e poi di essersi inculato l’appetitosa moglie del fratello<br />
al bagno del cinema Rivoli, dietro al negozio…»<br />
Facevano campeggio libero sulla spiaggia di Rio Claro<br />
presso Terracina. Miccia s’era portato una quantità di scarpe,<br />
tutte rigorosamente a punta e tutte verniciate alla perfezione.<br />
Le famose scarpe di Cervone. Le aveva allineate sul<br />
fianco della tenda, sotto <strong>il</strong> sopratelo. Quella mattina, mentre
186 PARTE QUINTA<br />
stava ancora ronfando dentro la canadese, Nicolò e Gigi presero<br />
su tutte le sue scarpe e le buttarono a mare. Quando lui<br />
si svegliò e le vide che galleggiavano sulla riva come tante<br />
boe multicolori, ci rimase di merda. «Siete degli stronzi!»<br />
Dovette farsi <strong>il</strong> bagno per raccogliere tutte le sue scarpe e le<br />
mise ad asciugare al sole. Ma asciugandosi quelle prendevano<br />
delle forme strane, imprevedib<strong>il</strong>i. Gigi e Nicolò si tenevano<br />
la pancia.<br />
«Non ci rivolse la parola per qualche ora, che per uno<br />
come lui era un’eternità.»<br />
«Possiamo dire che <strong>il</strong> suo ruolo all’interno del gruppo dei<br />
pari era quello del giullare?»<br />
«Be’, forse sì…»<br />
Una ne faceva e cento ne pensava, <strong>il</strong> Miccia! Un vandalo<br />
della più bell’acqua. Andandosene via dalle feste pisciava<br />
regolarmente nei vasi delle piante, o si fregava gli zerbini…<br />
Un giorno a Luca, alto, grosso, indiscutib<strong>il</strong>mente capo in<br />
tutti i gruppi che si degnava di frequentare, lo minacciò, «Ti<br />
sparo, giuro che ti sparo!» Luca rise di gusto, additandolo<br />
alla nostra beffa, gli si accostò lentamente, dondolando sulle<br />
anche come uno scimmione, continuando a ridere e a rivolgersi<br />
a noi dietro le spalle, Miccia insisté: «Se mi tocchi, ti<br />
sparo.» «Certo, sparame, sparame una sega!», fece Luca<br />
avventandoglisi contro e stendendolo con un paio di mosse<br />
di judo. Divenne famoso <strong>il</strong> Ti sparo! del Miccia, ogni tanto<br />
qualcuno lo recitava e tutti scoppiavano a ridere. Miccia<br />
odiava a morte Luca (tutt’ora lo guarda in cagnesco). Era <strong>il</strong><br />
suo nemico numero uno.<br />
«Ricordo quando cacarono in mare e si spalmarono la<br />
merda addosso, dinanzi alle famiglie perbene di Rio Claro<br />
IL SORCIO 187<br />
che pigliavano <strong>il</strong> sole sul vasto aren<strong>il</strong>e. All’inizio si stentava a<br />
crederci, sembrava un brutto sogno, poi all’improvviso realizzavi<br />
che era tutto vero, quelli erano proprio due matti che<br />
si stavano spalmando la rispettiva merda addosso. Le<br />
maschere che aveva la gente esprimevano questo sentimento<br />
di improvvisa e nauseata consapevolezza.»
PARTE SESTA
IL SORCIO 191<br />
Sono bastate poche settimane per far rientrare <strong>il</strong> Sorcio nei<br />
suoi panni di sempre. Ha ripreso a parlare a voce alta, a<br />
insultare, a imprecare, a tiranneggiare… Nicolò e <strong>il</strong> sordomuto<br />
si beccano nuovamente le sue rozze molestie. «Dobbiamo<br />
rifare la fattura», gli fa Lerici mentre passa davanti<br />
alla sua scrivania con delle stampe in mano.<br />
«Basta con queste cazzate!» replica Nicolò a muso duro.<br />
«Cazzate…»<br />
«Sì, cazzate, cazzate, non serve a nulla, non hai capito<br />
ancora? Ma che hai in quel testone?»<br />
«Ma qualcosa è successo!»<br />
Nicolò fa spallucce con ostentazione. Se ne va per l’ennesima<br />
volta a pisciare. Resta chiuso per un po’ in bagno a fumare<br />
un sigar<strong>il</strong>lo e a rimuginare sui casi suoi, a maledire <strong>il</strong> Sorcio.<br />
Venti minuti dopo è di nuovo in bagno con la vescica<br />
piena. È capace di pisciare una decina di volte nel corso della<br />
mattinata.<br />
Tornando per l’ennesima volta al posto dopo la minzione<br />
ode <strong>il</strong> Sorcio che parlando al telefono, dice: «Se ci avessi un<br />
figlio frocio, lo piglierei a frustate, quant’è vero Dio!» L’argomento<br />
lo stuzzica ma <strong>il</strong> Sorcio non dà seguito al suo pensiero.
192 PARTE SESTA<br />
Nicolò finge di lavorare e intanto ripercorre gli istanti del<br />
pestaggio. Certi dettagli – <strong>il</strong> manganello nero, <strong>il</strong> braccio<br />
tatuato del picchiatore – gli regalano ancora scampoli d’emozione.<br />
Telefona a Mike. «Ciao, sono Nicolò. Il Sorcio fa di<br />
nuovo lo stronzo», gli dice con un tono di voce piuttosto<br />
basso per non farsi sentire neppure da Elena che gli lavora di<br />
fronte.<br />
«Non mi piace parlare al telefono.»<br />
Uscito dall’ufficio va immediatamente all’appuntamento,<br />
ma quello manda un ragazzino in canottiera rossa per dirgli<br />
che adesso non può e per fissare un incontro in serata. Stavolta<br />
si trovano in un pub nel cuore di Trastevere, un locale a<br />
prevalenza gay, dove suonano <strong>il</strong> jazz. Si chiede per qualche<br />
attimo, <strong>il</strong> tempo di sedersi e ordinare una Ceres, se questo<br />
pezzo d’uomo vestito come Querelle di Fassbinder, lo pigli<br />
nel culo. Attorno alla tavolata accanto a loro – incastonata di<br />
taglio fra due pareti adorne di specchi e maioliche fiorate<br />
tipo azulejos – ci sono altre quattro o cinque persone, quasi<br />
tutte donne.<br />
«Io sconsiglio un nuovo intervento. Ormai <strong>il</strong> soggetto è<br />
allertato… L’altra volta non abbiamo scherzato…»<br />
«Cristo!»<br />
«Ti capisco… Fatti trasferire, cambia ufficio, non puoi?»<br />
«Vedremo… Comunque non si può fare nulla, è così?»<br />
L’uomo assente. Indossa occhiali da vista dalla montatura<br />
metallica che stridono un po’ con <strong>il</strong> suo aspetto da supermaschio.<br />
Come al solito ha ordinato una minerale che beve<br />
stancamente trattenendo <strong>il</strong> liquido in bocca qualche istante<br />
a ogni sorsata, come se fosse sul punto di sputarlo. «Posso<br />
darti un consiglio fraterno? – gli fa prendendogli la mano<br />
IL SORCIO 193<br />
sul tavolo – Rivolgiti al sindacato nazionale. Se vuoi conosco<br />
qualcuno alla direzione generale della Cisl. Oggi <strong>il</strong> mobbing<br />
lo prendono sul serio. Fallo licenziare quel figlio di puttana!<br />
Fatti pagare i danni morali!»<br />
«Sì, ci avevo già pensato» dice Nicolò, liberando la mano<br />
con qualche ribrezzo.<br />
Si prende i recapiti dei sindacalisti della Cisl, riflettendo<br />
che forse si rivolgerà direttamente ai carabinieri. Passeggia a<br />
lungo nel tumulto grave e afoso di Trastevere prima di prendere<br />
la Vespa e tornare a casa.<br />
«In banca soltanto lei approfittava del computer di lavoro?»<br />
«No… Intanto non ero <strong>il</strong> solo a nutrire ambizioni letterarie.<br />
Un collega sistemista scriveva poesie sulla mamma e <strong>il</strong><br />
paesello natio.»<br />
Veniva chiamato ’O Cazzone. Le faceva leggere a tutti, le sue<br />
poesie, ’O Cazzone, anche al capo, ma di Nicolò si vergognava.<br />
Un giorno i colleghi sistemisti gli fecero uno scherzo feroce:<br />
gli cancellarono tutte le sue poesie sia dal suo pc che dal<br />
sistema centrale. Lui fece una tragedia, protestò dal capo divisione,<br />
scrisse al Direttore Generale, che lo convocò a colloquio.<br />
Era al settimo cielo giacché poteva conoscere personalmente<br />
e magari stringere la mano a sua altezza <strong>il</strong> Direttore<br />
Generale, <strong>il</strong> numero uno. Si presentò al lavoro tutto elegante<br />
quella mattina, ’O Cazzone, con una cravattona grigio perla<br />
che luccicava e un vestito pure grigio che gli stava assai stretto<br />
e faceva risaltare la sua flaccida pinguedine. Aveva appuntamento<br />
alle dodici e trenta, tutta la mattina ciondolò per i corridoi<br />
e dinanzi alle erogatrici dei caffè… Era troppo agitato
194 PARTE SESTA<br />
per lavorare. Chiunque gli passasse davanti esclamava: «A<br />
mezzojòrno e mezza i’ vag’ da u’ Direttore Generale…»<br />
Il Direttore Generale lo trattò affettuosamente. Gli chiese<br />
una copia del suo libro e gli disse che per un paio di giorni<br />
poteva dedicarsi alla nuova stesura delle sue poesie ammesso<br />
che se le ricordasse.<br />
«Ce l’ho tutte qui…»<br />
«E allora lo faccia…»<br />
«Ma veramènde, diretto’, veramènde? Lei è un angelo, un<br />
angelo del paradiso…»<br />
«Cazzo, erano altri tempi quelli! A quell’epoca c’era una<br />
gestione quasi fam<strong>il</strong>iare dell’azienda…»<br />
’O Cazzone era un personaggio buffo, folcloristico, con <strong>il</strong><br />
suo dialetto cafone, la sua panza, le sue cazzate! Raccontava<br />
di essersi scopato in treno questa o quella soubrette della<br />
tivù. In quella tratta Roma-Foggia a sentir lui fioccavano le<br />
chiavate. Le sue poesie erano punteggiate di svarioni ortografici<br />
che tuttavia alla maggior parte dei colleghi sfuggivano. La<br />
sua attività letteraria era una cosa innocua, divertente.<br />
Per Nicolò la questione era radicalmente diversa. Lui incuteva<br />
soggezione. Delle sue cose letterarie non parlava mai e<br />
poi mai in ufficio.<br />
«Se mi chiedevano qualcosa, poiché avevo sempre la coda di<br />
paglia sul fatto che scrivevo un po’ al lavoro, minimizzavo.»<br />
«E nutriva <strong>il</strong> suo senso di colpa…»<br />
«Sì, maledizione…»<br />
Finché ci fu la pubblicazione del suo libro che diventò<br />
f<strong>il</strong>m. Uscirono sul giornale un fiume di recensioni e interviste<br />
con la sua foto e la foto del regista. Andò in tivù diverse<br />
volte, Nicolò. In banca molti si complimentavano, gli chie-<br />
IL SORCIO 195<br />
devano copie firmate del libro, lo indicavano quando passava<br />
nei corridoi.<br />
Uno dei personaggi più trucidi del romanzo lo aveva chiamato<br />
Sorcio. Il Sorcio, incrociandolo in corridoio insieme<br />
ad altri colleghi, gli disse: «Me devi da’ i diritti d’autore!» Lui<br />
rise. Forse <strong>il</strong> Sorcio cominciò a odiarlo allora.<br />
Nicolò fu convocato dal Direttore Generale, che gli chiese<br />
una copia del libro, come aveva fatto con <strong>il</strong> suo collega ’O<br />
Cazzone. Lo riconvocò dopo averlo letto, e lo coprì di generici<br />
complimenti, mentre lui restava impacciato sulla porta<br />
del prestigioso ufficio.<br />
Qualche collega cominciò a lamentarsi con i capi che lui<br />
invece di lavorare si faceva i cazzi suoi. La contromossa di<br />
Nicolò fu di chiedere al suo capo ufficio <strong>il</strong> permesso di scrivere<br />
un’ora al giorno in modo da istituzionalizzare la situazione.<br />
Ma quello non glielo diede e anzi spifferò la cosa al<br />
capo divisione, e lo caricò di lavoro extra: lo sorvegliava continuamente,<br />
come se fosse un ragazzino, lo mandava in giro<br />
per l’Istituto con <strong>il</strong> cacciavite a montare e smontare pezzi di<br />
computer, non gli dava un attimo di tregua. Si chiamava<br />
Pastore, testone calvo e mani tozze e raspose da contadino, <strong>il</strong><br />
mignolo e l’anulare sinistri tranciati a tre quarti da un qualche<br />
attrezzo agricolo. Non azzeccava un congiuntivo. Diceva<br />
facci, come Totò. Nicolò era sempre sul punto di correggerlo,<br />
ma poi non lo faceva, e lo chiamava fra sé <strong>il</strong> servo.<br />
Un giorno gli disse, davanti a vari colleghi, sprezzante:<br />
«Complimenti per la mise, ti sei proprio ripulito!» S’era messo<br />
tutto acchittato per una convention dell’azienda: <strong>il</strong> colletto<br />
grosso e inamidato sopra l’abito blu elettrico rifletteva la luce<br />
dei lampadari. «Ci sarai te, ripulito!», gli rispose, ma era
196 PARTE SESTA<br />
un’uscita davvero povera, e Nicolò osservò con acre godimento<br />
<strong>il</strong> volto largo e rustico del collega ardere di offesa.<br />
Un’altra volta erano appena rientrati dalla pausa pranzo,<br />
Nicolò lo prese in disparte, lo condusse dentro la sala<br />
magazzino, ingombra di materiale elettrico ed elettronico,<br />
gli fece: «Vuoi capire che a me di questo lavoro non me ne<br />
frega un cazzo, possib<strong>il</strong>e che non capisci che io qui ci sto di<br />
passaggio, io sono uno scrittore, è chiaro, tu non hai nessun<br />
diritto di ostacolarmi… Un giorno dovrai renderne conto a<br />
qualcuno… Capisci che devo andare a Venezia, al Festival<br />
del Cinema, l’hai visto <strong>il</strong> giornale no?, ho bisogno di prepararmi<br />
qualcosa, m’intervisteranno… Fammi scrivere un po’<br />
al computer questa settimana, per favore.»<br />
Pastore gli disse di nuovo che non era autorizzato. Aggiunse<br />
che l’azienda pagava i suoi dipendenti per lavorare, non per<br />
fare i cazzi propri. «Se vuoi fare lo scrittore, se vuoi lavorare<br />
per <strong>il</strong> cinema, licenziati e avrai tutto <strong>il</strong> tempo che ti serve!»<br />
«E io non ho ancora avuto <strong>il</strong> coraggio di farlo dottore…<br />
Certo, se Stella mi incoraggiasse…»<br />
«Non crede che Stella sia un alibi?»<br />
«No.»<br />
Era proprio un figlio di puttana, Pastore. Anzi no, molto<br />
peggio, era uno che credeva (e tuttora crede) nell’azienda,<br />
che si prof<strong>il</strong>ava nel suo orizzonte come una seconda famiglia.<br />
I genitori lavoravano la terra e lui stesso vi si dedicava<br />
durante <strong>il</strong> weekend. Nicolò gli faceva l’elogio, con argomenti<br />
pasoliniani, della società contadina, che contrapponeva allo<br />
squallido universo piccoloborghese che condividevano.<br />
L’ottuso Pastore non capiva come potesse sputare nel piatto<br />
dove mangiava. Per lui era inconcepib<strong>il</strong>e.<br />
IL SORCIO 197<br />
«Voi avete una vostra rozza morale» gli faceva Nicolò<br />
mentre montavano l’ennesima scheda di computer. «Invece<br />
<strong>il</strong> piccoloborghese al fondo è cinico e amorale… L’uomo<br />
medio, lo sappiamo, è un mostro.»<br />
Pastore non sapeva se doveva prenderla come un insulto o<br />
un complimento, sicché sorrideva stolidamente. Ancora<br />
non aveva fatto la spia, quando Nicolò gli regalò una copia<br />
firmata del suo romanzo, e una sera accettò anche un invito<br />
a cena a casa sua, un appartamento non lontano dal raccordo,<br />
arredato con mob<strong>il</strong>i laccati di nero, cornici argentate,<br />
argento anche sulle pareti in pretenziosi bassor<strong>il</strong>ievi, e<br />
vetrine cariche di cristallo di terz’ordine. Non sa come,<br />
dinanzi a quella scint<strong>il</strong>lante esibizione di pacchianeria piccoloborghese,<br />
e dinanzi alla mogliettina brutta di Orvieto<br />
Scalo che lo guardava rapita, riuscì anche a balbettare dei<br />
vaghi complimenti.<br />
«Altro che orizzonte contadino, quelli sbavavano per assomigliare<br />
a noi, capisce che cosa disgustosa?»<br />
Ieri pomeriggio <strong>il</strong> Sorcio ha chiuso a chiave nel bagno <strong>il</strong> sordomuto.<br />
Erano rimasti solo loro due al lavoro, a parte gli<br />
operai dell’archivio: Nicolò e gli altri colleghi del settore erano<br />
tutti a una convention in sede. Lerici pisciava di spalle<br />
alla porta del bagno che aveva lasciata socchiusa secondo la<br />
sua inveterata abitudine.<br />
Il Sorcio è sopraggiunto insieme a Marco, un operaio della<br />
compagnia addetta ai trasporti. Ha estratto la chiave dall’interno,<br />
l’ha inf<strong>il</strong>ata fuori della porta e l’ha chiuso dentro. Il<br />
sordomuto ha cominciato a bussare, a chiamare, invano.
198 PARTE SESTA<br />
«Così la prossima vorta se impara a chiudese dentro… A me<br />
nun me va da vedeje l’uccello…»<br />
Dopo averlo chiuso dentro, <strong>il</strong> Sorcio se ne è andato beatamente<br />
a prendere un caffè fuori insieme all’operaio, portandosi<br />
via le chiavi. E ha riaperto la porta solo mezz’ora dopo,<br />
quando è rientrato <strong>il</strong> capo e <strong>il</strong> sordomuto urlava come un’aqu<strong>il</strong>a<br />
scalciando violentemente la porta. Finalmente liberato,<br />
Lerici, ancora sconvolto, voleva informare dell’accaduto<br />
<strong>il</strong> Personale, ma <strong>il</strong> capo è riuscito a dissuaderlo facendo leva<br />
sulla sua famigerata avarizia, lo ha convinto insomma che<br />
non conveniva neanche a lui mettere in mezzo l’ufficio del<br />
Personale, in quanto aveva sfasciato la porta e gliel’avrebbero<br />
addebitata.<br />
Stamani hanno visto tutti la porta del bagno sfondata, con<br />
le impronte degli scarponi di Lerici, squarci viola e neri nel<br />
legno opaco.<br />
«Gliela devono fa’ ripaga’ a ’sto stronzo! Ma ndo’ se crede<br />
da sta’, a casa sua?» ha detto <strong>il</strong> Sorcio.<br />
Nicolò ed Elena ne hanno discusso alle macchinette del<br />
caffè. Lui non poteva darsi pace dell’omertà del capo. «Gli<br />
deve dei soldi…», gli ha spiegato infine Elena, abbassando la<br />
voce. In mattinata sono venuti a sostituire la porta, la cui<br />
spesa <strong>il</strong> capo ha imputato a un guasto idraulico inesistente<br />
per non denunciare l’accaduto al Personale (l’idraulico lo ha<br />
in casa, per dir così, è un operaio della compagnia).<br />
«Il Sorcio alza la posta, sempre di più, sempre di più…»<br />
«Hai fatto bene a denunciarlo al Personale…»<br />
«Sì, ma a che è servito? Ha continuato come prima. Ah, ma<br />
se continua così davvero un giorno o l’altro, perdio, chiamo<br />
la polizia o i carabinieri… Il posto del Sorcio è la galera!»<br />
IL SORCIO 199<br />
Lerici li raggiunge. Ha capito che parlano del Sorcio e vuole<br />
liberare anche lui un po’ di veleno.<br />
«Mia madre mi ha detto che lo devo denunciare al sindacato<br />
dei sordomuti quel bastardo!»<br />
«Al Personale lo devi denunciare! Quale sindacato dei sordomuti!»<br />
gli fa Nicolò, gesticolando assai perché l’ingenuità<br />
del sordomuto in certi frangenti gli sembra un insulto rivolto<br />
a se stesso.<br />
«Già non fanno un cazzo i sindacati normali! – commenta<br />
Elena – Figuriamoci quelli dei sordomuti…»<br />
Lerici la prende quasi come un’offesa (politicamente scorrettissima)<br />
alla categoria, fa per andarsene, ma Elena lo trattiene:<br />
«Dai retta a Nicolò, denuncialo al Personale. Se lo<br />
denunci pure tu, quello lo cacciano con le note di servizio<br />
che si ritrova…»<br />
«Perché, che note di servizio ha?», le chiede.<br />
«C’è scritto tutto, là…» dice contenta di potergli dare<br />
un’altra notizia.<br />
«E del Sorcio, che dice?»<br />
«Dice che appena assunto ha dato un violento calcio sui<br />
testicoli a un collega, che riportò una grave lesione, gli causò<br />
ster<strong>il</strong>ità e impotenza, mica una cosa da ridere!…»<br />
Nicolò prova ancora a convincere Lerici, ma lui gli concede<br />
soltanto la promessa di consultarsi nuovamente con la<br />
madre.<br />
Se ne torna al posto di pessimo umore. Lavora stancamente,<br />
alternando conteggi di estinzione a lunghi momenti di<br />
ebetudine. A mezzogiorno si presenta un cliente sordomuto<br />
insieme alla figlia (non sordomuta), una ventenne carina e<br />
un po’ discinta. Lerici ha annusato <strong>il</strong> suo sim<strong>il</strong>e ed è tutto in
200 PARTE SESTA<br />
fibr<strong>il</strong>lazione: ogni scusa è buona per passare davanti alla sua<br />
scrivania e curiosare. «È molto nervoso, sa…» ha detto a<br />
Nicolò la ragazza con un sorriso e alludendo al padre. Nicolò<br />
fa accomodare i due clienti davanti alla sua scrivania, ma<br />
<strong>il</strong> vecchio si rialza subito. Comincia a scartabellare febbr<strong>il</strong>mente<br />
dei fogli dentro una cartellina rosa. Alla fine gli rovescia<br />
sul tavolo tutto quel materiale cartaceo e comincia a<br />
gracidare in un modo incomprensib<strong>il</strong>e esibendo ora questo<br />
ora quel documento. La ragazza cercava di calmarlo e intanto<br />
sorrideva a Nicolò.<br />
«Calmati, papà, siediti, stai buono, <strong>il</strong> signore adesso ci<br />
spiega tutto… Non è vero?»<br />
«Certo, ditemi, che c’è?»<br />
«Lei è gent<strong>il</strong>issimo, vedi, papà, <strong>il</strong> signore adesso ci spiega<br />
tutto… Vede, c’è che <strong>il</strong> nostro tasso è al 14,5 per cento e mio<br />
padre non vuole più pagare.»<br />
«È un mutuo agevolato?»<br />
Cerca di spiegargli la solita solfa: che non si fanno più<br />
rinegoziazioni d’ufficio e diffic<strong>il</strong>mente anche per scambio di<br />
lettera con la direzione perché hanno ceduto le licenze bancarie,<br />
sono diventati una società di servizi, insomma, tutta la<br />
pappa che gli hanno insegnato a dire. Il sordomuto si fa<br />
avanti, si propone mediatore, ma Nicolò lo scaccia.<br />
«L’unica è estinguere!» dice infine, cercando di non guardare<br />
l’espressione incollerita, anzi furiosa, del vecchio e<br />
quella stolida e delusa di Lerici.<br />
L’estinzione del mutuo è la parola magica. La si consiglia a<br />
tutti, direttiva dell’azienda. Nicolò allora si mette pazientemente<br />
a spiegare alla ragazza la spesa cui andrebbero incontro<br />
qualora scegliessero di estinguere <strong>il</strong> debito. Le fa una<br />
IL SORCIO 201<br />
proiezione di spesa al computer, con la penale, le spese di<br />
conteggio e tutto. Lei traduce al padre che comincia a battere<br />
forte i pugni sul tavolo gridando contro di lui e la sua banca.<br />
«Usurai, usurai, ci volete sul lastrico, vergognatevi, usurai!!!»<br />
La ragazza si alza, cerca di calmare <strong>il</strong> vecchio.<br />
«Fate una cosa, rivolgetevi al mio responsab<strong>il</strong>e, per reclami<br />
parlate con lui, là, dentro <strong>il</strong> gabbiotto… Ora lo avverto…»<br />
Passa la grana al capo, Nicolò, poi torna a pisciare. Non gli<br />
fanno neppure un po’ di pena questi miserab<strong>il</strong>i mutuatari.<br />
Non gli dispiace affatto che la banca gli sgonfi i portafogli. Il<br />
sordomuto lo aspetta fuori della porta.<br />
«Mia madre viene a prendermi. Perché non ci parli tu<br />
con lei?»<br />
«Dimentichi che io ho <strong>il</strong> part-time, esco alle due.»<br />
«Si tratterebbe di aspettare fino alle cinque…»<br />
«No, mi dispiace, non lo farei neppure se me lo chiedesse <strong>il</strong><br />
Direttore Generale in persona.»<br />
«Cristo – riflette Nicolò – a quarant’anni suonati non fa<br />
nulla senza <strong>il</strong> permesso della madre, questo imbec<strong>il</strong>le!»<br />
Durante l’ora di pausa pranzo tutti escono. Restano in ufficio,<br />
come al solito, soltanto lui e <strong>il</strong> Sorcio. Nicolò aspetta che<br />
finisca <strong>il</strong> suo orario navigando su internet o chiacchierando<br />
al telefono, <strong>il</strong> Sorcio si apparecchia la scrivania e mangia le<br />
cose che si è portato da casa.<br />
Naturalmente i due impiegati si ignorano, ma non si fanno<br />
sfuggire neppure una mossa uno dell’altro. Nicolò per esempio<br />
adesso, mentre si alza e se ne va al cesso, segue con attenzione<br />
lui che divora con quieta voracità <strong>il</strong> suo spezzatino coi
202 PARTE SESTA<br />
piselli attingendo direttamente dal termos. Quando torna,<br />
dopo aver telefonato alla madre, come sempre laconica, poiché<br />
è ancora presto per andarsene, si va a fumare un sigar<strong>il</strong>lo<br />
fuori, nella rampa dell’ingresso. Ma lo tiene sempre d’occhio,<br />
<strong>il</strong> Sorcio, attraverso le vetrate spesse e appannate. Ha<br />
finito di mangiare e si fuma <strong>il</strong> toscanello leggendo <strong>il</strong> giornale<br />
sportivo, in una positura ignorante come poche, come un<br />
pistolero nel saloon, i piedi allungati sulla scrivania con le<br />
gambe un poco divaricate. Disegnato sulla parete di vetro lo<br />
vede rispondere al telefono, ritirare indietro le gambe, mettersi<br />
composto, ascoltare a lungo prima di… sciogliersi in<br />
pianto, non può udire i singhiozzi, ma la sua espressione è<br />
inequivocab<strong>il</strong>e. È chino, una mano sulla fronte per nascondersi…<br />
Cazzo, non sta sognando, quello è proprio <strong>il</strong> Sorcio<br />
che piange. Immediatamente getta <strong>il</strong> sigaro nel lungo vaso di<br />
rampicanti e rientra. Riguadagna <strong>il</strong> suo posto cercando di<br />
non farsi né vedere né sentire. Intanto lo sente singhiozzare.<br />
Continua per forse un minuto, poi smette di botto accorgendosi<br />
che Nicolò è rientrato. Fa capolino dietro un separé per<br />
confermarsi della sua presenza. E si va a chiudere in bagno.<br />
Quando torna, Nicolò si sta preparando per uscire, e <strong>il</strong> Sorcio<br />
ha l’espressione arcigna e insolente di sempre. Naturalmente<br />
non si salutano.<br />
Dunque anche <strong>il</strong> Sorcio piange, anche lui è capace di soffrire,<br />
anche lui custodisce dei sentimenti in quel suo cuore<br />
rognoso, riflette Nicolò mettendo in moto la Vespa e risalendo<br />
la rampa erta mentre comincia ad aprirsi <strong>il</strong> cancello automatico<br />
lampeggiando di giallo in cima ai cardini. Certo,<br />
anche <strong>il</strong> Sorcio è un uomo, l’aveva quasi dimenticato osservandolo<br />
nell’esercizio quotidiano della sua violenza.<br />
IL SORCIO 203<br />
L’indomani Nicolò viene a sapere che con quella telefonata<br />
gli annunciavano la morte del padre. I colleghi fanno una<br />
colletta per acquistare un cuscino di fiori da mandare al<br />
funerale, colletta a cui orgogliosamente Nicolò non partecipa.<br />
Al sordomuto neppure lo hanno chiesto tant’era scontata<br />
la risposta.<br />
«Perché, che c’entra <strong>il</strong> padre?», gli chiede Follini, <strong>il</strong> diabetico<br />
alcolista, commentando <strong>il</strong> mancato contributo che ha<br />
reso più esigua la somma da investire nell’omaggio floreale e<br />
meno appariscente l’omaggio stesso.<br />
«Il padre l’ha messo al mondo!» gli fa Nicolò ridendo. Ma<br />
lui non vuole sdrammatizzare e insiste:<br />
«Che cosa vi ha fatto quel povero vecchio?»<br />
Cristo, quanto lo deprime essere associato al sordomuto!<br />
«Niente» gli fa sbuffandogli volontariamente in faccia <strong>il</strong><br />
fumo della sigaretta. «Proprio non riesci a capire che i cuscini<br />
non si fanno per onorare i morti, ma per consolare i<br />
vivi?»<br />
«Che hai detto? Ripeti un po’…»<br />
«Non importa.»<br />
Osserva la faccia tonta di Follini, arrossata ed enfiata dall’alcol,<br />
mentre Elena sopraggiunge ridendo e gli str<strong>il</strong>la all’orecchio:<br />
«Che fai, gli parli diffic<strong>il</strong>e a questo?! ah, ah, ah…»<br />
«Comunque ci sarà la scritta i colleghi del Back Office,<br />
mentre tu e Lerici non avete sganciato un euro, questo è un<br />
fatto…» commenta Follini tossendo e allontanandosi.<br />
Più tardi Nicolò si trova a indugiare nell’archivio con <strong>il</strong><br />
sigar<strong>il</strong>lo in bocca, ascoltando senza volerlo la radio, perennemente<br />
sintonizzata su una stazione romanista sparata a<br />
tutto volume dagli operai, quando gli passa davanti Follini,
204 PARTE SESTA<br />
con <strong>il</strong> casco già indossato, diretto al cesso, scosso dalle sua<br />
solita tosse convulsa. Alfio, l’orco dell’archivio, un gigante di<br />
quasi due metri con la faccia simpatica e <strong>il</strong> ventre prominente,<br />
smette di parlargli per guardare Follini con ostentato disprezzo.<br />
«Me fa schifo, mi fai schifo…», gli dice sulla faccia.<br />
Poi rivolto a Nicolò: «Me fa schifo, è malato fracico ma continua<br />
a veni’ qua a rompece i coglioni…»<br />
«Poveraccio!»<br />
«Poveraccio? Ci ha <strong>il</strong> diabete, e beve come una spugna, ci<br />
ha i polmoni marci e fuma come un turco… Un giorno o<br />
l’altro ce mòre qua dentro, vuoi scommettere?»<br />
Anche Elena disprezza Follini per la sua salute malcerta e<br />
per la sua debolezza. Lo sentono scatarrare rumorosamente<br />
al cesso, e Alfio storce le labbra, schifato. «Senti, senti che<br />
roba, se fa usci’ i regazzini morti…»<br />
Esce dal bagno, <strong>il</strong> piccolo Follini, sempre col casco già<br />
indossato per affrettare i tempi: alle 13.15 in punto sarà,<br />
come sempre, a cavallo del suo sgangherato motorino pronto<br />
a f<strong>il</strong>are a casa per <strong>il</strong> pranzo, a cui non rinuncia mai, neppure<br />
quando è in lite con la moglie. «È mia moglie, mi deve<br />
fa’ da magna’!», è la sua sentenza preferita, che regolarmente<br />
manda Elena fuori dai gangheri.<br />
Nicolò resta per un po’ a commentare con Alfio la notizia,<br />
pervenutagli soltanto oggi, che presto rientreranno tutti in<br />
sede. L’orco non è contento, tanto più che con ogni probab<strong>il</strong>ità<br />
verrà messo nella stessa stanza di Follini.<br />
«Te rendi conto, tutto <strong>il</strong> giorno co’ quel lazzaretto sonato…<br />
Me vogliono fa’ usci’ pazzo…»<br />
«E io allora, che rischio di finire in stanza col Sorcio dopo<br />
quello che è successo?…»<br />
IL SORCIO 205<br />
La sola idea lo fa rabbrividire, ma sebbene qualcuno l’abbia<br />
ipotizzato (Lerici, che quasi ci godeva), preferisce non<br />
crederci e confidare nel buon senso dei suoi capi e nella clemenza<br />
del fato.<br />
«Oggi quel pezzo di merda del Sorcio mi ha inf<strong>il</strong>ato un topo<br />
morto in un cassetto della scrivania.»<br />
Mentre lavorava ne percepiva l’olezzo disgustoso, ma ritenevano,<br />
lui ed Elena, che provenisse dai cassonetti fuori<br />
penetrando dalla porta socchiusa dell’ingresso. A un certo<br />
punto ha aperto <strong>il</strong> cassetto per prendere una sigaretta e si è<br />
imbattuto in quella vista orrenda: un topo di fogna bello<br />
grosso, grigio – un <strong>sorcio</strong> con la bocca aperta e la lingua di<br />
fuori a causa del veleno ingerito – buttato fra le carte, i<br />
dischetti HD e due pacchetti di Marlboro. Immediatamente<br />
chiude <strong>il</strong> cassetto e caccia una voce. Accorrono tutti, tranne <strong>il</strong><br />
Sorcio, intento a fare fotocopie di atti ipotecari in fondo allo<br />
stanzone. Lo si sente di lontano ridacchiare cavernoso fra sé.<br />
«Cristo, io non ce la faccio più, non ce la faccio più…»<br />
comincia senza volerlo a lamentarsi Nicolò. Elena cerca di<br />
consolarlo. Alla fine <strong>il</strong> capo in persona si occupa di prelevare<br />
<strong>il</strong> <strong>sorcio</strong> e buttarlo fuori nel cassonetto. Dà ordine a un operaio<br />
dell’archivio di svuotare <strong>il</strong> suo cassetto e disinfettarlo.<br />
Frattanto Nicolò continua a liberare le sue inani giaculatorie:<br />
«Questo è troppo, questo è veramente troppo, gliela faccio<br />
pagare a quello stronzo…» si lamenta a voce alta per farsi<br />
sentire da tutti e anche dal Sorcio, che continua imperterrito<br />
a fare fotocopie di atti di consenso, scosso dalle sue<br />
oltraggiose risate. Alla fine tanta è la rabbia repressa che si
206 PARTE SESTA<br />
sente mancare l’aria. Un paio di colleghi lo accompagnano a<br />
braccia e lo adagiano sulla poltrona dello spartano salottino<br />
d’attesa in faccia all’ingresso. Quello che ci vorrebbe è un bel<br />
bicchierino, ma nessuno ci pensa. Qualcuno gli dice che è<br />
pallidissimo. Poco dopo, attorno a Nicolò ci sono tutti i suoi<br />
colleghi del Back Office, pure <strong>il</strong> Sorcio che tuttavia è rimasto<br />
un po’ distante.<br />
«Allora, sei contento adesso? Ti sei divertito?» gli fa.<br />
Il capannello di colleghi si apre a ventaglio per permettere<br />
loro di dialogare.<br />
«Che cazzo vòi? – replica <strong>il</strong> Sorcio – Io nun c’entro un cazzo!»<br />
«Ah sì, tu non ne sai niente, ma certo, come no… Ma io<br />
questa te la faccio paga’, miserab<strong>il</strong>e analfabeta, che ti credi, io<br />
chiamo <strong>il</strong> capo del Personale e ti faccio caccia’ via, io ti<br />
denuncio ai carabinieri, io…»<br />
«Sì, sì, fammela paga’!» lo interrompe <strong>il</strong> Sorcio scettico,<br />
allontanandosi nel corridoio fra le scrivanie. Allora un attacco<br />
isterico lo scuote tutto, a Nicolò:<br />
«Piagni, piagni…», lo sente commentare. «È capace solo a<br />
piagne e a rubba’ lo stipendio, quer verme…»<br />
All’ora di pranzo arrivano, a seguito di una sua ma<strong>il</strong> dai<br />
toni melodrammatici, <strong>il</strong> capo del Personale e <strong>il</strong> suo rappresentante<br />
sindacale. Si chiudono in cinque nell’ufficietto dell’archivio.<br />
Lui si lamenta vivacemente, interrompendosi per<br />
<strong>il</strong> nodo alla gola. Cristo, questa parte da donnetta quanto<br />
preferirebbe non farla! Il Sorcio ha la testa bassa e tace,<br />
come nell’altro incontro al Personale. Il capo del Personale<br />
alla fine gli fa: «Lei non ha proprio nulla da dire per discolparsi?»<br />
IL SORCIO 207<br />
Il Sorcio barbuglia qualcosa che non si capisce, versi da<br />
animale. Il capo traduce per lui: «Era solo uno scherzo, uno<br />
scherzo di cattivissimo gusto, ma solo uno scherzo…»<br />
«Uno scherzo?» esclama Nicolò. Ma <strong>il</strong> capo del Personale,<br />
che soltanto adesso si accorge non essere come al solito<br />
impeccab<strong>il</strong>e ma un po’ stazzonato nell’abito scuro, con uno<br />
stemmino di non so che sulla giacca che fa pendant con la<br />
cravatta, gli fa segno di mantenere la calma e di lasciar fare a<br />
lui. Si alza: «Sarò costretto a intraprendere un’azione disciplinare.»<br />
Detto ciò, se ne va insieme al rappresentante sindacale<br />
(che ha fatto la bella statuina) su una Volvo scura con gli<br />
interni di pelle di proprietà dell’Istituto.<br />
L’indomani gli arriva tramite posta elettronica la comunicazione<br />
dell’immediato trasferimento del Sorcio alla sede di<br />
rappresentanza di Ancona. Va <strong>il</strong> capo in persona a informarlo.<br />
Il Sorcio se ne sta muto per mezz’ora radunando le sue<br />
cose, poi all’improvviso comincia a gridare e a imprecare<br />
correndo verso di lui, «l’ammazzo, l’ammazzo quel cane,<br />
porcoddio, l’ammazzo…», e gli si avventa addosso, scavalcando<br />
con un balzo felino la scrivania. Comincia a picchiarlo<br />
duro liberando barriti da animale: «Hai finito da’ fa’ er verme!»<br />
Nicolò, al solito, anziché reagire e difendersi, si immob<strong>il</strong>izza<br />
come una lucertola e si becca impotente quelle legnate<br />
riparandosi appena con le braccia. Quando finalmente gli<br />
tolgono di dosso quella bestiaccia tentacolare, e riprende faticosamente<br />
a respirare, l’um<strong>il</strong>iazione che prova è allo stesso<br />
tempo luttuosa e inebriante. Il risultato ultimo è che si vergogna<br />
di guardare in faccia i colleghi, specie Elena, che ha capito<br />
<strong>il</strong> suo imbarazzo e si mantiene a debita distanza. Non<br />
rivolge la parola a nessuno e nessuno la rivolge a lui, un clas-
208 PARTE SESTA<br />
sico, però oggi la faccenda è un po’ diversa dal solito. Torna a<br />
casa con un occhio tumefatto e nell’orecchio destro un sib<strong>il</strong>o<br />
intermittente. Quando Stella rientra dal lavoro, lo abbraccia,<br />
gli fa: «Bene, finalmente hai reagito, ti sei battuto.»<br />
«Non ho mosso un dito.»<br />
«Però l’hai fatto trasferire. Hai vinto tu… Non lo avrai più<br />
fra i piedi…»<br />
Sull’onda dell’espressione incoraggiante di sua moglie,<br />
dice: «Sì, è vero, forse ho vinto.»<br />
«Lei si troverà sempre dei Sorci nella vita, io temo… Dobbiamo<br />
entrare nell’ordine di idee che la sua natura forse ha<br />
bisogno di un Sorcio…»<br />
«Avrei bisogno dell’offesa, della sconfitta, dell’um<strong>il</strong>iazione?<br />
Allora sono un masochista.»<br />
«Lo ha detto lei.»<br />
«Sì, ma lei lo pensa. Un narcisista depresso e sadomasochista.»<br />
«Lasci stare le definizioni… Stiamo lavorando su alcuni<br />
concetti fondamentali che naturalmente rimandano a un<br />
quadro psicopatologico che conosciamo…»<br />
Ecco, questo va interpretato come un sì, ormai Nicolò sa<br />
che quando comincia così, vacuo e perifrastico, vuol dire che<br />
è nell’angolo. E allora è onesto e cavalleresco lasciargli qualche<br />
istante per riordinare i pensieri.<br />
«Un inconscio godimento nell’um<strong>il</strong>iazione… Qualcosa<br />
del genere in effetti è presente in tutti i miei libri…»<br />
«Questo non posso confermarglielo, perché…»<br />
«Perché non legge i miei libri, lo so, dottore…»<br />
IL SORCIO 209<br />
Già, per non farsi condizionare, gli ha spiegato. Ma che<br />
senso ha? Perché mai verrebbe condizionato dai suoi libri?<br />
Nicolò se fosse al suo posto leggerebbe i romanzi di un suo<br />
paziente scrittore, si sentirebbe in dovere di farlo. Ma naturalmente<br />
questo non glielo dice. Non si conquistano lettori<br />
con la forza.<br />
«Ma secondo lei perché io continuo a venire qui, perché<br />
continuo a credere nel nostro lavoro?»<br />
«Forse per non imbattersi più in Sorci che la um<strong>il</strong>iano.»<br />
«E per non um<strong>il</strong>iare con sadismo i miei amici più cari… E<br />
così perderli…»<br />
Di solito la seduta settimanale dallo psicologo è un buon<br />
viatico per la serata, e anche per la settimana appena cominciata,<br />
meglio perfino di un paio di bicchieri. Nicolò torna a<br />
casa con <strong>il</strong> cuore allagato di conoscenza di sé. Purtroppo da<br />
qualche tempo l’analista anziché tirargli su <strong>il</strong> morale (come<br />
faceva i primi tempi), celebrando le sue doti e le sue virtù,<br />
scacciando i suoi sensi di colpa, lo bastona proponendogli<br />
deprimenti immagini di sé. Eppure sostiene di fare <strong>il</strong> contrario.<br />
Forse ha esaurito le virtù. Potrebbe anche darci un taglio<br />
a questo costoso passatempo, come lo definisce Stella. Ci<br />
pensa spesso, ma poi pensa pure che:<br />
«Finché avrò delle cose da raccontarle, dottore, è bene che<br />
continui, vero?»<br />
«L’importante però è che io per lei non diventi un alibi per<br />
non cambiare, cioè un’ennesima sua dipendenza… Dopo<br />
quella dai farmaci, dall’alcol, da Stella, e come abbiamo visto<br />
persino dai ghiaccioli o dalle caramelle…»<br />
«Anche Stella sostiene che io sia dipendente da lei. È una<br />
patologia frequente, dottore, questa dipendenza dall’analista?»
210 PARTE SESTA<br />
«Diciamo che non è <strong>il</strong> solo ad avere certe reazioni emotive.»<br />
«Come si guarisce? Si deve smettere la terapia, immagino<br />
di no.»<br />
Aggrotta la fronte e scuote la testa in una composta negazione<br />
che non desidera nemmeno pronunciare.<br />
«Deve riuscire ad abbandonare, qualche volta, la sua condizione<br />
da assistito, mi permetta questa espressione un po’<br />
forte, che è poi una posizione di priv<strong>il</strong>egio sulle cose e sul<br />
mondo.»<br />
«E perché mai dovrei cambiare? Con quale convenienza?<br />
Da padrone lei mi vuole trasformare in servo…»<br />
«Questo lo pensa lei…»<br />
Anche nella capricciosa casualità della conversazione è<br />
persuaso che risieda la forza della terapia. Ha avuto occasione<br />
di verificarlo sul campo varie volte. Inoltre si sente offeso,<br />
sì, offeso dalle parole dell’analista, per quella «condizione da<br />
assistito» che gli è scappato detto. Per rendere <strong>il</strong> concetto<br />
ancora più chiaro, aggiunge: «La sua condizione è magnificamente<br />
sintetizzata da quella borsa gialla della roba pulita<br />
che lei ha ritirato da sua madre.»<br />
Non capisce che cazzo vuol dire, ma certo non si tratta di<br />
un complimento. Sicché preferisce cambiare discorso.<br />
«Ieri sera conversando con Stella e <strong>il</strong> piccolo a cena è venuto<br />
fuori che io vado dallo psicologo. Il bambino per la prima<br />
volta mi ha chiesto chi è uno psicologo, anche se l’aveva sentito<br />
nominare un sacco di volte, poi mi ha domandato perché<br />
ci vado.»<br />
«E lei cosa ha risposto?»<br />
«Un grande dolore può fare ammalare le persone, gli ho<br />
detto, ed è proprio ciò che è accaduto a papino quando morì<br />
IL SORCIO 211<br />
nonno Carlo. Da allora, ogni settimana papino va da un<br />
dottore che lo aiuta a non pensarci.»<br />
«Una formula interessante», dice l’analista.<br />
«Ma F<strong>il</strong>ippo era già con la mente altrove, ha detto una cosa<br />
che non c’entrava niente, in relazione ai superpoteri di qualche<br />
alieno nel f<strong>il</strong>m Matrix.»<br />
Prima di dormire, mentre gli dava <strong>il</strong> bacio della buonanotte,<br />
gli ha fatto: «Un giorno anche tu morirai?»<br />
«Sì, ma fra tantissimo tempo, quando sarò vecchietto, non<br />
devi pensarci adesso.»<br />
«Certe volte si sogna che siamo vecchietti, io e Stella, e si<br />
sveglia piangendo, povero piccino.»<br />
«Ogni età ha la sua paura della morte» conclude saggiamente<br />
<strong>il</strong> dottore.<br />
Arrivano libri a ripetizione, una dozzina alla settimana forse.<br />
La maggior parte non vengono da Nicolò neppure aperti<br />
e finiscono in un paio di piccole librerie di transito.<br />
Quando viene qualche parente affamato di libri (ce ne sono<br />
sempre), ne preleva parecchi che quelli si portano via con le<br />
buste della spesa.<br />
«Ma sono buoni?», gli chiedono sospettosi, vedendo la leggerezza<br />
con cui se ne libera. «Non lo so, non li ho letti», dice<br />
loro. Potrebbe rivenderli, come fanno alcuni critici che conosce.<br />
O cederli alle biblioteche. O almeno potrebbe barattarli<br />
con altri libri che gli piacciono di più in libreria, come faceva<br />
una volta, sotto la sua vecchia casa. Ma nelle librerie di Talenti<br />
i librai non accettano, sono ligi alle regole fiscali che impongono<br />
una bolla in entrata e una bolla in uscita.
212 PARTE SESTA<br />
«All’Eritrea mi trattavano coi guanti. Marcello, <strong>il</strong> titolare,<br />
era ed è un vero signore. Qui se ne fregano che io sia uno<br />
scrittore, e per giunta uno scrittore che nei suoi romanzi<br />
può anche parlare del loro fottuto quartiere. Qui neppure<br />
espongono i miei libri in vetrina quando escono. Mi ignorano,<br />
mi trattano come un qualunque cliente. Anzi, peggio,<br />
perché, ricevendo ormai in omaggio quasi tutti i libri che<br />
desidero, spendo da loro pochi soldi, soltanto per i libri del<br />
bambino. Pensi che razza di grettezza mentale, dottore, solo<br />
<strong>il</strong> brutale e immediato profitto… Potrebbero chiedermi di<br />
fare delle presentazioni, farmi conoscere alla clientela, cose<br />
così… Ma questi, questi sono dei miserab<strong>il</strong>i…»<br />
Fra i padroni della libreria c’è un gay di trent’anni, scapigliato<br />
e frenetico, perennemente sculettante da tutte le parti.<br />
«È <strong>il</strong> cuore pulsante della libreria, di cui non dirò <strong>il</strong> nome<br />
per non fargli réclame.»<br />
«Non ci andrei comunque…»<br />
Tutti si rivolgono a lui. Quando Nicolò si è presentato,<br />
neppure ha smesso quello che stava facendo.<br />
«Ah sì, lei è scrittore…», ha commentato distrattamente<br />
passando a servire un altro cliente.<br />
«Intendiamoci, dottore, io adoro l’anonimato.»<br />
«Ne è proprio sicuro?»<br />
«Be’, mi piace stare nell’ombra…»<br />
«Sì, lei si ritira nell’ombra, ma vuole che gli altri la riconoscano,<br />
la stanino…»<br />
«Restare in ombra in una libreria per uno scrittore, lei<br />
capisce, è <strong>il</strong> massimo dell’insuccesso…»<br />
«Lei se la sentirebbe di generalizzare?»<br />
Resta a pensarci ma <strong>il</strong> pensiero presto diventa: «Ma che<br />
IL SORCIO 213<br />
cazzo ha in mente, questo stronzo, di farmi vergognare di<br />
me stesso? Forse è una strategia per mandarmi via, giacché<br />
mi ha riconosciuto dipendente dalla sua figura… Insomma,<br />
mi caccerebbe via per <strong>il</strong> mio bene…»<br />
«A cosa pensava?»<br />
«Pensavo che non avrò più <strong>il</strong> Sorcio al lavoro.»<br />
«Un buon pensiero, allora…»<br />
«Già.»<br />
«Ci vediamo martedì prossimo, <strong>il</strong> tempo è esaurito…»<br />
«Martedì prossimo.»<br />
Si alza e fa per andarsene. Ma poi indugia sull’uscio: «Sa,<br />
non gliel’ho mai detto, dottore, ho fatto pestare <strong>il</strong> Sorcio.»<br />
Il dottore inscena lo sbigottimento, poi allarga le braccia,<br />
come a dire che comunque l’ora è finita e devono salutarsi.<br />
Un freudiano lo riconosci in circostanze come questa. L’applicazione<br />
della regola prima di tutto. Se l’ora è finita, è finita,<br />
impossib<strong>il</strong>e derogare, anche se <strong>il</strong> paziente gli sta annunciando<br />
l’inverosim<strong>il</strong>e.<br />
L’analista non ha modificato apparentemente né la terapia,<br />
né l’atteggiamento nei suoi confronti, per quello che gli ha<br />
raccontato. Aver pagato degli sgherri per pestare qualcuno<br />
non lo ritiene più grave di aver mandato in uno stesso giorno<br />
trenta ma<strong>il</strong> a Dario. Forse è persuaso che l’alcol stia<br />
facendo <strong>il</strong> suo naturale e orrendo gioco.<br />
«Lei non vuole liberarsi di me, vero, dottore? Non vuole<br />
lasciarmi da solo… Ma io non sono guarito…»<br />
«Lei non è affatto guarito, non fosse altro c’è un serio problema<br />
di dipendenza, e io non la lascerei da solo, la metterei
214 PARTE SESTA<br />
nelle affidab<strong>il</strong>i mani di un mio stimato collega, all’interno di<br />
questa stessa struttura…»<br />
«E cosa le fa credere che io accetterei di ricominciare tutto<br />
<strong>il</strong> lavoro con un altro che neppure conosco?»<br />
«Lo farebbe per <strong>il</strong> suo interesse.»<br />
«Ci vorrebbero mesi solo per raccontargli di nuovo tutto.»<br />
«Di questo non si deve preoccupare. Io ho un registro, sul<br />
quale annoto…»<br />
«Ma lei proprio non può…»<br />
«Le ho spiegato… Si tratta di un impegno in ospedale che<br />
non posso rifiutare…»<br />
«Ah.»<br />
«Il cambiamento potrebbe giovarle, come fa a escluderlo?»<br />
Quando sarà <strong>il</strong> momento, lo metterà alla porta. Anzi praticamente<br />
lo ha già fatto. E lui non sa se può accettarlo.<br />
Ha aspettato la fine del resoconto di un suo sogno contorto<br />
su Dario morto, <strong>il</strong> dottore, per comunicargli la fine del<br />
percorso terapeutico. Lo temeva, Nicolò, ma cercava di non<br />
pensarci, sperava dovesse avvenire più avanti nel tempo, in<br />
quel futuro indeterminato in cui conta di smettere di bere e<br />
di mollare la banca. «Non ci andrò mai, dottore, dal suo collega,<br />
e non andrò da nessun altro. La terapia per me finisce<br />
adesso, anche se non mi sento guarito.»<br />
«Se non vuol farlo per sé, lo faccia per la sua famiglia, per<br />
suo figlio. Lei ancora non può abbandonare la terapia, mi<br />
creda.»<br />
«Se dovesse succedere qualcosa, mi avrà sulla coscienza,<br />
dottore, non so dirle altro!»<br />
IL SORCIO 215<br />
«Non credo che lei rischi <strong>il</strong> suicidio, se questa è la sua<br />
preoccupazione.»<br />
«Perché non sa…»<br />
«Cosa dovrei sapere?»<br />
«Non c’è solo <strong>il</strong> suicidio fra le disgrazie… Potrei andare<br />
semplicemente alla deriva…»<br />
«Non ci vuole nemmeno pensare un po’ su?»<br />
«No, mi dispiace per <strong>il</strong> portafogli del suo amico», risponde<br />
acido. «Non potrà gonfiarsi per bene come ha fatto <strong>il</strong> suo per<br />
più di un lustro con <strong>il</strong> mio denaro…»<br />
I risultati di quell’uscita malevola e insolente di Nicolò si<br />
colgono all’istante.<br />
«Le oltraggiose immagini di me contenute nei suoi<br />
romanzi – gli dice con un’asprezza sconosciuta e una tensione<br />
palpab<strong>il</strong>e nella voce e tuttavia una impassib<strong>il</strong>ità altera e<br />
tragica nella figura – ora vengono confermate.»<br />
«Stavo scherzando naturalmente…»<br />
«Lei distrugge tutto ciò che tocca, Dario aveva ragione.»<br />
«Non mi lasci dottore, la prego…»<br />
«Si rende conto che lei mi ha definito nel suo romanzo come<br />
una mignatta assetata di quattrini, come un menagramo?»<br />
«Ma è un romanzo, è una finzione! Cos’è, si è offeso anche<br />
lei, dottore?»<br />
«…»<br />
«Io ho bisogno come <strong>il</strong> pane di venire qui da lei una volta<br />
alla settimana… Tanto più adesso…»<br />
Nicolò lo dice restando immob<strong>il</strong>e sul vano della porta, una<br />
mano appoggiata alla maniglia, le gambe incrociate all’altezza<br />
dei polpacci in una posa disinvolta che stride con <strong>il</strong> tono<br />
accorato delle sue parole.
216 PARTE SESTA<br />
«Mi dispiace per lei, e la prego di non rendere le cose più<br />
diffic<strong>il</strong>i con penose code melodrammatiche, come è accaduto<br />
con Dario.»<br />
Accidenti, sentirlo vibrare di cattivi sentimenti, libero dalla<br />
rigida e rassicurante maschera della professione, è una<br />
sgradevole novità. Gli comunica una sensazione di solitudine<br />
e di morte.<br />
«Anche lei mi odia, dottore… Anche lei mi abbandona…<br />
Ma non aveva detto che dovevamo prepararci alla separazione<br />
con almeno un anno di anticipo?»<br />
L’analista gli fa segno con la mano di andar via.<br />
«Non le ho ancora detto la cosa più importante: Stella forse<br />
mi lascerà e si porterà dietro <strong>il</strong> piccolo. Ecco, ora l’ho detto!<br />
Sarò presto solo, dottore… se lei mi abbandona, dottore,<br />
io non so cosa…»<br />
«Cosa?»<br />
«Cosa potrei fare…»<br />
«Da alcuni minuti non mi riguarda più.»<br />
«Se mi uccidessi…»<br />
«Se ne vada! Vada a piangere da qualcun altro!»<br />
Monta sulla Vespa umida di pioggia, raggiunge la stazione e<br />
parcheggia in un grosso garage, affida le chiavi a un garagista<br />
pelato non più giovane che somiglia al Miccia, esce a<br />
piazza dei Cinquecento, in faccia ai ruderi delle Terme di<br />
Diocleziano, che si intravedono fra <strong>il</strong> fogliame degli alberi<br />
frusto, grondante di pioggia. Cristo, ti ha mollato su due piedi!<br />
È bastato l’insulto sul portafoglio. Ma aveva già deciso di<br />
scaricarti. Non aspettava altro.<br />
IL SORCIO 217<br />
C’è un sacco di gente di tutte le razze, come sempre, traffico<br />
robusto ma non caotico, una pioggerella insistente, i<br />
binari del tram e i sampietrini sdrucciolevoli sotto le Clarks.<br />
Per prima cosa si compra un cappellaccio da un marocchino<br />
per ripararsi dalla pioggia, poi comincia a camminare attraverso<br />
la piazza allontanandosi dalla stazione. E adesso cosa<br />
accadrà? Niente, tornerai a casa, amico, e tutto continuerà<br />
come prima. A che serve un analista per vivere così? Non ci<br />
vuole uno psicologo per questo.<br />
A piazza della Repubblica una scura e vasta volta di storni<br />
che, gracidando e volteggiando, cacano in testa ai passanti e<br />
sulle macchine parcheggiate. Per fortuna ha comprato <strong>il</strong><br />
cappello. I benzinai tengono sempre l’ombrello aperto qui,<br />
fanno bene, pensa Nicolò.<br />
Mezz’ora dopo è a piazza di Spagna, dinanzi a eleganti<br />
vetrine, e gente benvestita che fa bene agli occhi dopo tanti<br />
straccioni vecchi e giovani. Ci sono molti sacchi di immondizia<br />
fuori dei negozi, uno particolarmente grosso sotto <strong>il</strong><br />
palazzotto dei Borgognoni che è la sede della fondazione De<br />
Chirico. Ma c’è già chi provvede a raccoglierli: un sacco di<br />
spazzini che fanno capo a tre o quattro camionette della nettezza<br />
urbana dislocate da una parte e dell’altra della piazza.<br />
Si siede sulla Barcaccia del Bernini e osserva la strada che<br />
rapidamente viene pulita dai sacchi e dalle immondizie. A<br />
via Frattina cerca invano un bar aperto per un bicchiere. Un<br />
extracomunitario del Comune sta provvedendo a innaffiare<br />
le piante appese in vasi eleganti sotto i primi piani dei palazzi:<br />
per fare ciò usa un curioso strumento dotato di una lunga<br />
pompa a forma di rampino. L’acqua viene pompata da una<br />
manichetta che l’addetto porta legata dietro le spalle a mo’
218 PARTE SESTA<br />
di bombola nautica. La gente che passa osserva divertita<br />
quell’operazione, un coattello lancia una voce strafottente<br />
all’operaio (ma sta a piove’, che cazzo fai?) che non lo degna<br />
di uno sguardo e continua <strong>il</strong> suo ufficio con pazienza e<br />
determinazione.<br />
Quando torna a piazza di Spagna, ci sono altri spazzini che<br />
caricano l’ennesima camionetta. Di fianco all’American<br />
Express, una immaginifica fuga di manichini sotto vetro<br />
dietro le finestre del palazzetto dell’Expensive.<br />
Dopo dieci minuti di cammino, entra in una chiesa, si siede<br />
sull’ultima panca. Osserva un altare debolmente <strong>il</strong>luminato<br />
alla sua destra sotto una volta affrescata con un dipinto<br />
settecentesco del Giudizio. In uno di quei volti lunghi e ascetici<br />
di santi, <strong>il</strong>luminati da sapienti e invisib<strong>il</strong>i riflettori, si<br />
alternano i tratti sim<strong>il</strong>i di Dario e dello psicologo. Un vecchio,<br />
che sembra uscito dal dipinto, gli si avvicina. Il sorriso<br />
gli scopre una dentiera che aderisce in modo impreciso alla<br />
bocca larga. È vestito come un barbone. Anche se Nicolò<br />
conosce dei critici letterari che si abbigliano esattamente<br />
così, con molti strati sovrapposti di velluto a coste. «Qualunque<br />
sia <strong>il</strong> motivo che ti ha portato qui, non morirai per<br />
questo, vecchio mio», gli fa <strong>il</strong> barbone con la dentiera che gli<br />
sciacqua in bocca, alitandogli in faccia <strong>il</strong> suo fiato pesante.<br />
«Che vuoi dire?»<br />
«Dammi qualcosa, amico.»<br />
Gli allunga un euro, e quello se ne va ciabattando. Cammina<br />
ancora per poco sotto la pioggia con uno strano senso di<br />
libertà e di gratitudine. Un altro povero cristo che mendica.<br />
Anche a lui allunga qualche spicciolo, non sia mai che un<br />
domani ti trovi in quella condizione. Si regala due grappini<br />
IL SORCIO 219<br />
gelati in un bar povero e poco <strong>il</strong>luminato. Scrive un messaggio<br />
telefonico all’analista: «Per ora tutto ok. La prego, non<br />
mi odi», poi uno a Stella: «Ho paura che la prossima litigata<br />
te ne andrai.» Torna alla chiesa di prima, riesce ad accendere<br />
con un pulsante un cero di plastica senza inserire denaro in<br />
offerta. Si abbandona all’oggetto del suo voto: naturalmente<br />
<strong>il</strong> suo vecchio.<br />
Se lo rivede cinquantacinquenne, magro come sempre ma<br />
gagliardo, scattante, appena un po’ di grigio sulle tempie,<br />
che faceva salto in alto con lui sul terrazzo. Com’era ancora<br />
ag<strong>il</strong>e! Anche in quella disciplina vantava un primato. Era<br />
arrivato terzo a una gara nazionale, così diceva, aveva saltato<br />
un metro e settantadue, che a quell’epoca (durante la guerra)<br />
era un bel po’… Ma probab<strong>il</strong>mente si trattava di una<br />
panzana. Comunque Nicolò dice una preghiera per <strong>il</strong> suo<br />
vecchio, perché dovunque sia, se la passi bene. «Ti voglio<br />
bene, te ne ho sempre voluto, vecchio mio, anche se può<br />
riuscirti diffic<strong>il</strong>e crederci visto le cose che ho scritto. Ma io<br />
sono fatto così, tendo a distruggere chi amo.» Si sente retorico<br />
e osserva senza interesse <strong>il</strong> deambulatorio, l’abside spoglia,<br />
la decorazione a stucchi delle pareti, tutti particolari<br />
che registra la sua retina ma non la sua testa. Si avvicina a<br />
una pala d’altare che rappresenta la Gloria di qualche santo.<br />
Quando esce dalla chiesa è l’imbrunire e non piove più. Il<br />
cielo è grigio, l’aria ferrosa, come sempre a via Quattro Fontane.<br />
Raggiunge la sommità della salita, attraversa l’incrocio<br />
più sontuoso e inquinato della città. A onta di tutto, si dice<br />
mentalmente che non può essere la fine. Qualcosa deve<br />
ancora succedere, lo sente nei lombi insolitamente scattanti<br />
e nella testa come intasata di cose.
220 PARTE SESTA<br />
Improvvisamente capisce quello che deve fare. Entra in<br />
una cartoleria con un malizioso sorriso dipinto sulla faccia e<br />
compra della carta da pacchi, dell’alcol e un accendino zippo<br />
che gli costa quindici euro. Raggiunge <strong>il</strong> primo giornalaio di<br />
via Veneto. Sull’altro marciapiede, oltre l’incrocio, c’è l’ambasciata<br />
americana presidiata da macchine della polizia e<br />
guardie del corpo con giubbotti antiproiett<strong>il</strong>e. Gira due o tre<br />
volte attorno all’edicola, prova a fumare una sigaretta per<br />
darsi un contegno, ma <strong>il</strong> vento gliela consuma troppo in<br />
fretta. Accende tre volte lo zippo per prova: funziona magnificamente,<br />
la fiammella anche esposta al vento resta accesa.<br />
C’è molta gente che va a viene, ma nessuno fa caso a Nicolò.<br />
Nessuno lo guarda. La situazione è identica a quando comprò<br />
<strong>il</strong> giornaletto pornografico sotto casa di Gabriele trenta<br />
anni fa. Si guarda intorno, confermandosi che nessuno lo sta<br />
osservando. Per cui svolge tutte le operazioni con cura, precisione,<br />
senza fretta né indugi come se l’avesse già provato<br />
molte volte. Apre la carta da pacchi, l’arrotola e la schiaccia<br />
in modo da farne una specie di mazzetta e ci versa sopra tutta<br />
la boccetta di alcol. L’ha visto fare in un f<strong>il</strong>m, o forse lo ha<br />
letto in un racconto, comunque sta solo ripetendo bene un<br />
copione. Accende lo zippo e dà fuoco alla mazzetta che poi,<br />
divenuta come un tizzone ardente, lancia all’interno dell’edicola.<br />
Appicca <strong>il</strong> fuoco ai giornali appesi al gabbiotto. Nonostante<br />
la pioggerella che seguita a cadere, grazie al vento <strong>il</strong><br />
fuoco monta subito in vigorosi pennacchi. Le guardie di là<br />
dalla strada forse hanno visto, ma non si muovono, qualcuno<br />
da dentro <strong>il</strong> gabbiotto lancia un urlo, qualcun altro attraversa<br />
precipitosamente la strada, un cagnetto guaisce. Nicolò<br />
si allontana ma senza correre. Ogni tanto si gira per<br />
IL SORCIO 221<br />
ammirare <strong>il</strong> luminoso disastro che ha provocato. All’incrocio<br />
fra via Veneto e via Boncompagni <strong>il</strong> cielo è nero, viola e<br />
rosso porpora, fra le traiettorie sghembe dei palazzi, come in<br />
un dipinto di Scipione. Sale ancora la via. L’edicola diventa<br />
sempre più piccola e sempre più rossa. Resta a contemplarla<br />
per qualche secondo, da lontano, insieme ad altre persone<br />
che dicono nello stesso momento, dandosi l’un l’altro sulla<br />
voce: «È doloso.»<br />
«Cristo!»<br />
«My God!»<br />
«Lo vorrei conoscere, quel bastardo!»<br />
«Un attentato!»<br />
Nicolò si allontana un po’ di più tra la folla ancora meravigliosamente<br />
anonima e distratta. Nel buio di Porta Pinciana<br />
si siede sul guardra<strong>il</strong> e respira a fondo, fissando l’arancione<br />
lampeggiante del semaforo e le strisce bianche di attraversamento<br />
pedonale. I colori sono netti, precisi. Mentre accende<br />
una sigaretta osserva un signore vestito con abiti eleganti ma<br />
lisi, crespo di lino e paglietta, che attraversa la strada. Ogni<br />
cosa appare al suo posto e <strong>il</strong> battito del cuore è appena un<br />
po’ accelerato.
Ep<strong>il</strong>ogo<br />
La condanna
IL SORCIO 225<br />
Aveva preso alloggio a Montefalco, <strong>il</strong> paese di suo padre e di<br />
suo nonno Omero, <strong>il</strong> paese della sua infanzia, delle segrete<br />
bevute di sagrantino dolce nella cantina della casa avita<br />
durante i lunghi pomeriggi estivi, delle spericolate corse in<br />
bicicletta per lo stradone (così chiamato dai paesani perché<br />
taglia in due <strong>il</strong> paese come un’anguria, anche se in realtà è<br />
una strada di un paio di metri di larghezza che da piazza<br />
Matteotti scende ripida alle mura), delle lunghe passeggiate<br />
con suo padre per la campagna immensa e profumata…<br />
Aveva scelto un alberghetto squallido, proprio sullo stradone:<br />
non c’era niente di meglio.<br />
Una sera rientrò alle otto, dopo una lunga giornata di<br />
colti e salutari peregrinaggi fra duomi, piazzette, abbazie,<br />
vicoli, profumo di legna bruciata e di campagna, osterie<br />
fumose.<br />
Il portiere di notte era già al di là del banco della reception.<br />
Gli ha fatto cenno di avvicinarsi, con un’aria impacciata e<br />
ambigua, nella quale serpeggiava una nota di compassione.<br />
«Anche lei da solo, dottore?» gli ha detto, a occhi bassi.<br />
«Sì. Ma non sono dottore.»<br />
«È triste la vig<strong>il</strong>ia da soli, non trova?»
226 EPILOGO<br />
«No, non triste, è strana. Deprime ed eccita allo stesso<br />
tempo. Ci si sente ai margini del consorzio civ<strong>il</strong>e. Lei<br />
comunque è solo per necessità, mi pare.»<br />
«Oh, no, no. Avremmo chiuso stasera. Chiudiamo sempre<br />
presto la sera della vig<strong>il</strong>ia. Sa, oltretutto lei è l’unico cliente<br />
rimasto, e ha la chiave… Il Natale la gente lo passa a casa,<br />
con la famiglia.»<br />
«Dunque stasera avete tenuto aperto per me…»<br />
«No, no, le ho detto. Le abbiamo dato anche la chiave, può<br />
entrare e uscire quando vuole. Lei ormai è di casa. È che… tanto,<br />
per me, qui in albergo o a casa, un posto vale l’altro. Almeno<br />
qui mi <strong>il</strong>ludo di lavorare. Mi <strong>il</strong>ludo di starci, come lei diceva,<br />
per necessità. A casa, sa, fa più tristezza. Ma lei, lei perché.»<br />
«Perché cosa?»<br />
«Lo passa da solo?»<br />
«Diciamo che mi sto prendendo una vacanza.»<br />
«Mi scusi, non volevo farmi i fatti suoi.»<br />
«Non si preoccupi. Bene, allora io andrei. A proposito, mi<br />
saprebbe indicare un posto dove mangiare stasera? Qui nei<br />
dintorni… In paese i ristoranti chiudono tutti.»<br />
«Temo anche nei dintorni. Se lo desidera, potremmo mangiare<br />
un boccone insieme, qui in albergo. Non sarà tacchino,<br />
ma qualcosa di cucinato senz’altro.»<br />
«Non vorrei disturbare.»<br />
«Sciocchezze!»<br />
Nicolò nota che sul petto – sopra la camicia fantasia e<br />
seminascosta dalla giacca dozzinale – gli br<strong>il</strong>la un pesante<br />
crocefisso d’oro, tenuto da una catena parimenti massiccia.<br />
«Io comunque andrei a cambiarmi. La raggiungo fra<br />
poco.»<br />
IL SORCIO 227<br />
«Vada, vada pure. Ora chiudo e vedo cosa c’è in cucina.<br />
Della carne surgelata senz’altro. Vino rosso, va bene per lei<br />
vino rosso?, del Chianti credo…»<br />
«Bene, ottimo, faccia lei.»<br />
«Vedrà, troveremo anche lo spumante per brindare a mezzanotte.»<br />
Torna dopo un bel po’, per non assistere ai preparativi, o<br />
peggio darsi da fare per aiutarlo. Il portiere ha già apparecchiato<br />
una tavola del ristorante. Il locale, povero e deprimente,<br />
che gli è noto solo per la prima colazione del mattino,<br />
gli sembra ancora più triste del solito per via della scarsa<br />
<strong>il</strong>luminazione. Il portiere ha acceso soltanto un lampadario,<br />
<strong>il</strong> più vicino alla tavola apparecchiata e alla porta scorrevole<br />
che mette nella cucina. Il resto della sala è immerso nelle<br />
tenebre. Il s<strong>il</strong>enzio accentua l’atmosfera di solitudine e di<br />
squallore. Proprio nel centro della tavola, imbandita per <strong>il</strong><br />
resto con semplicità, spicca un vasetto di cristallo smerigliato<br />
con un mazzetto di dalie e viole un po’ sciupate dentro:<br />
fiori da ospedale e vasetto cimiteriale. Vorrebbe proporre al<br />
portiere di accendere le altre luci, per rallegrare un po’ l’ambiente.<br />
Ma poi ci ripensa. Il buio almeno inghiottisce gli<br />
orrendi festoni da dopolavoro polacco faticosamente sistemati<br />
ieri da lui e dal padrone.<br />
«Si accomodi, la prego. Beva <strong>il</strong> prosecco, gliene ho già versato<br />
un bicchiere. Ci sono anche delle patatine. Non un<br />
granché come aperitivo, ma ho trovato solo quelle. Le danno<br />
fastidio i fiori? Li sposti, li sposti pure.»<br />
Scansa un poco <strong>il</strong> vasetto verso l’apparecchiatura del suo<br />
ospite. E prende posto al tavolo, deciso a farsi servire e riverire<br />
tutta la sera.
228 EPILOGO<br />
«Sa, – continua a giustificarsi <strong>il</strong> portiere vociando dalla<br />
cucina – la cuoca e <strong>il</strong> cameriere sono via da ieri, bisognerà<br />
arrangiarsi.»<br />
«Non si preoccupi, andrà tutto benissimo. L’alternativa<br />
erano dei panini col formaggio.»<br />
Torna in sala, mentre dalla cucina giunge un invitante sentore<br />
di ragù. Siede di fronte a lui, e si versa da bere, in attesa<br />
che <strong>il</strong> sugo sia cotto al punto giusto. È allegro e r<strong>il</strong>assato.<br />
Sembra felice. D’un tratto però: «Io sono rimasto solo, sa?<br />
Mia moglie è morta l’estate di sei anni fa.»<br />
«Mi dispiace. Comunque me lo aveva già detto.»<br />
«Ah, sì?»<br />
«Sì.»<br />
Tace. Poi riprende:<br />
«La mia povera mamma è ricoverata all’ospizio di Bevagna,<br />
è molto malata, non ci sta più con la testa. Sono andato<br />
stamani a trovarla e a farle gli auguri. Una pena. Non mi<br />
riconosce mica più. Le ho portato in regalo dei cioccolatini.<br />
Me li ha tirati appresso. Già da qualche tempo, a dire <strong>il</strong> vero,<br />
non mi riconosce…»<br />
«Mi dispiace molto anche per la sua povera mamma.»<br />
«Sa, io non mi lamento mai, ma la mia vita… Eppure<br />
quello che vorrei è solo… dei figli. Ecco, questo mi renderebbe<br />
felice. Se almeno fosse riuscita a lasciarmi dei figli. Era<br />
ster<strong>il</strong>e, sa, mia moglie. E ne soffriva tanto, povera donna.<br />
Oggi staremmo bene. Ho dei risparmi. Poca roba, però<br />
abbastanza per… Ho risparmiato denaro tutta la vita. Una<br />
famiglia. Una famiglia è maledettamente importante. È l’unica<br />
cosa veramente importante. Uno se ne accorge in giorni<br />
come questi. Lei è ancora giovane. Ha figli?»<br />
IL SORCIO 229<br />
«Sì.»<br />
Si versa dell’altro prosecco e fa segno al portiere di non<br />
pensarci e di brindare con lui, così la finisce di piagnucolare<br />
sulle sue sventure e di parlargli della famiglia. Le coppe tintinnano.<br />
«Perché non ci diamo del tu?» gli fa <strong>il</strong> portiere.<br />
«D’accordo.»<br />
È già un po’ fatto, Nicolò, quando Renato torna nuovamente<br />
in cucina. Pure si versa altro vino, mangiandoci sopra<br />
qualche patatina. Di lì a poco ecco di nuovo Renato in sala<br />
con la pasta, che fumiga dentro una teglia d’alluminio rettangolare,<br />
con i manici dorati. Mangiano entrambi avidamente.<br />
I bicchieri del vino vengono continuamente rimboccati<br />
sino all’orlo dal portiere con un Chianti curiosamente<br />
frizzantino. Gli chiede più volte di ripetere <strong>il</strong> rito del brindisi,<br />
sorridendogli con affettazione di ritegno.<br />
Nicolò sente la sbornia crescere. Vede br<strong>il</strong>lare riflessi di<br />
luce nelle pup<strong>il</strong>le del portiere, la sclerotica arde, sulla fronte<br />
pure scint<strong>il</strong>lano perline di sudore in una fantasmagoria di<br />
st<strong>il</strong>le corrusche. La sua faccia si gonfia, si stringe, poi si<br />
allunga, sotto la lente deformante dei suoi occhi ubriachi.<br />
Ha in faccia un’espressione ridente adesso, però su un fondo<br />
di amarezza melensa che lo irrita e lo disgusta. La somiglianza<br />
fisica con <strong>il</strong> Sorcio si è resa palese solo adesso.<br />
Scompare e torna col secondo, una fiorentina un po’ dura<br />
che spartisce in due e alcune costolette d’abbacchio.<br />
Frattanto parla del suo hobby preferito: scrivere poesie. E<br />
nel farlo tiene gli occhi bassi secondo <strong>il</strong> suo modesto costume.<br />
Chiede a Nicolò se gli farebbe piacere leggerle, le sue poesie.<br />
Nicolò dice di sì. Allora si allontana velocemente e torna
230 EPILOGO<br />
con un blocco manoscritto tenuto insieme da un’attache<br />
gigante. Nicolò scorre quelle pagine a una a una.<br />
«Oh, sono piccole cose! Sai, non mi <strong>il</strong>ludo di essere un<br />
poeta. È un modo per parlare con me stesso. Uno sfogo. Ma<br />
veramente ti sembrano buone?»<br />
«Sono, direi, autentiche. Si sente che vi arde del sentimento.»<br />
«Mi confonde, sai, sentirmi dire queste cose. Non ci sono<br />
abituato.»<br />
«Non devi confonderti. Devi perseverare. Spedirle a qualche<br />
casa editrice per la pubblicazione. È roba che vale.»<br />
Il portiere lo informa, con trascurata fierezza, di aver collaborato<br />
alla redazione di una guida turistica del paese che gli<br />
ha visto sfogliare stamani nella hall.<br />
«Ho curato alcune ricerche bibliografiche. Ho corretto le<br />
prime bozze. Il mio nome figura anche nella prefazione,<br />
insieme ad altri amici.»<br />
«Fantastico.»<br />
Adesso è Nicolò ad allontanarsi: va alla reception per telefonare<br />
a Stella e alla madre. Stella gli dice che F<strong>il</strong>ippo chiede<br />
sempre di lui. Aggiunge che è <strong>il</strong> primo Natale che passano<br />
lontani, ma non lo ha mai sentito tanto vicino. Vuol sapere<br />
come si sente. Si preoccupa per la serata. Gli dice ridendo<br />
che <strong>il</strong> giorno di Natale si uccidono un sacco di persone…<br />
Nicolò la informa che ha trovato un compagno per la serata.<br />
La telefonata con la madre è ancora più asciutta. Poi va a<br />
pisciare. Come torna <strong>il</strong> portiere gli dice, secco, come se per<br />
tutto quel tempo non avesse pensato ad altro: «Scrivi anche<br />
tu, vero? Scusami eh, ma inavvertitamente, ieri, accompagnando<br />
una delle donne delle pulizie, ho visto <strong>il</strong> tuo computer<br />
portat<strong>il</strong>e acceso sullo scrittoio e mi sono permesso…»<br />
IL SORCIO 231<br />
«Il mio portat<strong>il</strong>e acceso?»<br />
«Sì, dovevi averlo dimenticato così.»<br />
«È molto strano. Si spegne da solo dopo dieci minuti che<br />
non lo usi. E come mai accompagnavi la donna delle pulizie?»<br />
«Lo faccio spesso, la aiuto. È una donna anziana, sai, una<br />
zia della mia povera moglie. Al mattino mi trattengo sempre<br />
un po’ di più e…»<br />
«D’accordo, d’accordo. Comunque, per tornare alla tua<br />
domanda, sì, sono uno scrittore.»<br />
Il portiere lo guarda ammirato. Vuole sapere della sua attività<br />
letteraria. Parla a lungo, Nicolò, con quella eruttante<br />
loquacità che spesso dà l’alcol. Infine gli chiede della sua<br />
opera in cantiere, La condanna.<br />
«È solo <strong>il</strong> primo racconto di una raccolta che ho in mente.<br />
Ma non mi convince. Del resto lo hai letto, no?»<br />
«Che cosa non ti convince?»<br />
«Diffic<strong>il</strong>e dire. Tutto e niente.»<br />
«Manca… se posso fare un’obiezione…»<br />
«Devi, devi…»<br />
«Manca un movente, un vero movente!»<br />
«Potrei dirti che <strong>il</strong> movente è <strong>il</strong> disprezzo del protagonista e<br />
la stupidità o ipocrisia della vittima. Ma non è così, o lo è solo<br />
in parte. Il movente più profondo è l’insensatezza di tutto:<br />
della vita, della morte… Vorrei abbattere <strong>il</strong> confine fra arte e<br />
vita, fra finzione e realtà, ma abbatterli veramente, non so se<br />
mi capisci. In certi momenti, per esempio, sento che potrei<br />
far fuori qualcuno. Dico sul serio. Ecco, se riuscissi…»<br />
Impallidisce e gli volge uno sguardo allertato.<br />
«Non c’è da fare quella faccia. Mica ho detto che voglio<br />
farti fuori.»
232 EPILOGO<br />
«Ma quel personaggio…»<br />
«Lo so, lo so, i caratteri della vittima coincidono parzialmente<br />
con i tuoi. Ma è solo perché… Be’, perché fatalità ha<br />
voluto che adesso abbia conosciuto te e abbia tempo di scrivere.<br />
Sai come sono i romanzieri, attingono dove capita, e<br />
traducono quello che trovano nel loro mondo, più o meno<br />
deformandolo. Ma gli spunti sono solo pretesti, frutto di<br />
coincidenze. Sei uno scrittore anche tu, dovresti saperlo.<br />
Tieni, bevi altro vino…»<br />
E gli versa un’altra coppa fino all’orlo. Poi gli chiede <strong>il</strong> cavaturaccioli<br />
per aprire la terza bottiglia, l’ultima di cui dispongono.<br />
Glielo indica sul tavolo, seminascosto dalla sua salvietta.<br />
«E l’hai chiamato anche col mio nome.»<br />
Beve e anche Nicolò beve un altro bicchiere, a lente sorsate.<br />
Tra una sorsata e l’altra lo guarda senza parlare. Pare davvero<br />
sul punto di svenire tanto è diventato pallido. Le orecchie<br />
sporgono livide ai due lati della faccia, un po’ sghembe<br />
lungo l’arco superiore. Sotto le palpebre, sull’epidermide<br />
unta, corre un solco grigio. Sul capo gli br<strong>il</strong>lano, ammazzettati,<br />
quei pochi capelli neri che gli restano. È patetico: una<br />
maschera kabuki incipriata, messa sul volto d’un povero di<br />
spirito.<br />
Nicolò gli chiede come festeggerà <strong>il</strong> Natale domani.<br />
«Al mattino andrò al cimitero, a portare i miei auguri a<br />
mia moglie… – sorride di malavoglia – proprio come nel<br />
tuo racconto.»<br />
«Già… E poi, dopo <strong>il</strong> cimitero?»<br />
Resta qualche istante pensoso a guardarlo, come se non si<br />
aspettasse questa domanda.<br />
IL SORCIO 233<br />
«Ci sarà un dopo?» gli chiede.<br />
«Non scherzare, mi fai sentire in imbarazzo, è solo un racconto!»<br />
«Poi andrò alla messa del Duomo a mezzogiorno.»<br />
«E <strong>il</strong> pranzo?»<br />
«Da Luigi, un caro fratello della comunità.»<br />
«La comunità?»<br />
«Sì, la mia comunità. La comunità neocatecumenale della<br />
Speranza.»<br />
«Ah, sei un neocatecumeno, dovevo immaginarlo.»<br />
«Perché?»<br />
«Mah, così.»<br />
«Sai qualcosa del nostro movimento?»<br />
«Qualcosa.»<br />
Lo guarda intensamente negli occhi fino a farglieli abbassare.<br />
Il portiere continua a bere senza sosta. Si è già riempito<br />
<strong>il</strong> bicchiere quattro volte, mescendo dalla terza bottiglia.<br />
«Rischiamo di sentirci male, con tutto questo vino. E poi<br />
dobbiamo lasciarci un po’ di spazio per lo spumante. Tra<br />
meno di venti minuti è la mezzanotte.»<br />
«Io lo reggo bene.»<br />
A Nicolò invece la testa gira parecchio, e stenta a parlare a<br />
causa della bocca impastata. Però ancora non ha alcun sintomo<br />
di nausea. Vorrebbe alzarsi per vedere fino a che punto<br />
è sbronzo. Ma teme di non reggersi sulle gambe. La luce cruda<br />
del lampadario ritaglia i multipli prof<strong>il</strong>i della colonna<br />
accanto al tavolo. L’idea di quel robusto sostegno lo incoraggia.<br />
Allora si alza e si appoggia con la schiena alla colonna.<br />
Barcolla. Stando in piedi, la testa gli gira più velocemente, le<br />
immagini turbinano: la figura seduta di Renato, che vede
234 EPILOGO<br />
adesso di prof<strong>il</strong>o, <strong>il</strong> tavolo, ingombro di vettovaglie, bottiglie<br />
e piatti, la tovaglia imbrattata da macchie purpuree di vino e<br />
piena di briciole di pane, la formaggiera, i piatti sporchi del<br />
secondo, resti di carne abbruciacchiata su un ovale di portata,<br />
le tre bottiglie di vino che mandano riflessi, e più in basso,<br />
sotto al tavolo, <strong>il</strong> pavimento opaco di linoleum verde con<br />
le scarpe di vernice nera di Renato.<br />
Si siede di nuovo. Di lì a poco si sente meglio. Dà la stura a<br />
un discorso, uno qualunque, <strong>il</strong> primo che gli viene in mente.<br />
Parla dell’ufficio, del Sorcio, della rottura con Dario…<br />
«Se semini odio non puoi ricevere amore…»<br />
«Già.»<br />
«A ogni modo, con tutto <strong>il</strong> tuo odio non credo che sia possib<strong>il</strong>e<br />
realizzare un omicidio a quel modo. A freddo, senza<br />
una causa scatenante.»<br />
«E perché?»<br />
«Perché <strong>il</strong> personaggio sarebbe un mostro. E io un mostro<br />
non riesco a sentirlo verosim<strong>il</strong>e.»<br />
«Eppure ne girano tanti.»<br />
«Sì, ma sono dei malati. La causa scatenante in loro è la<br />
malattia. Il tuo eroe è un malato?»<br />
Glissa la domanda, Nicolò, e va al dunque.<br />
«Potrebbe accadere, con la semplicità con cui accadono<br />
tutte le cose. Domani potrei svegliarmi e cominciare una<br />
nuova vita da assassino.»<br />
«Allora <strong>il</strong> tuo personaggio è veramente un mostro? Debbo<br />
credere questo? Potrebbe davvero uccidere senza battere<br />
ciglio un innocente?»<br />
«Perché, ti senti innocente, tu?»<br />
Non risponde. Incalza: «La mia malattia mi rende, come<br />
IL SORCIO 235<br />
dire, moralmente ipersensib<strong>il</strong>e.»<br />
«La tua malattia?»<br />
«Sai, non ho alcun ritegno a parlarne, tanto più oggi, con<br />
tutto questo vino… Si tratta di depressione…»<br />
Lo fissa con allucinata insistenza, non in faccia però, all’altezza<br />
del petto.<br />
«E quali sarebbero i sintomi?»<br />
«Oh, sono molti…»<br />
«Mi spieghi perché ti ho ispirato tutto quell’odio?» dice<br />
Renato con un sorriso supplichevole a mezza bocca.<br />
Si alza di nuovo e torna ad appoggiarsi al muro della<br />
colonna. Lui non si muove ancora.<br />
«E così sei un fervente cattolico, tu?»<br />
«Ma adesso che c’entra questo?»<br />
«Così, pensavo a quel crocefisso così invadente che porti<br />
sul petto.»<br />
«Ah sì, un regalo della povera mamma.»<br />
«Povera mamma!»<br />
«…»<br />
«E poi quelle belle immagini di Padre Pio al bureau. Ci<br />
scommetto che le hai attaccate tu.»<br />
Assente fieramente con la testa.<br />
«Dovevi farti prete, Renato, ah, ah, ah…»<br />
«Se è per questo, ho fatto anche <strong>il</strong> seminario da ragazzo, ad<br />
Assisi.»<br />
«Ah sì? Vedi? Ah, ah, ah…»<br />
«Non capisco proprio cosa c’è da ridere.»<br />
«Ma non hai preso i voti…»<br />
«No. Ero innamorato. Mollai alla fine del liceo. E mi sposai<br />
un anno dopo.»
236 EPILOGO<br />
«Ma che bella storia! Commovente…»<br />
«È la verità! Dovevo capirlo subito: siamo molto, troppo<br />
diversi noi due. Già l’altro giorno, leggendo <strong>il</strong> tuo racconto e<br />
qualcuna delle ma<strong>il</strong> al tuo amico Dario…»<br />
«Pure le ma<strong>il</strong> hai letto?»<br />
«È stato un errore avvicinarti. Cercare di capirti, di aiutarti.»<br />
«Che volevi fare? Aiutarmi?»<br />
«Sì. Avevo capito che stavi attraversando un periodo diffic<strong>il</strong>e<br />
della tua vita e pensavo di poterti aiutare.»<br />
«E come?»<br />
«Non so, facendoti sfogare stasera, portandoti alla<br />
Comunità.»<br />
«Già, sei un neocatecumeno, dimenticavo. Devi fare proseliti.<br />
Ma bene, benone! Il quadro della vittima così è completo.<br />
Comunque accetto volentieri l’invito. Studierò un<br />
po’ l’ambiente e i personaggi che lo abitano. Mi sei stato<br />
ut<strong>il</strong>e, sai? Tu non sai quanto! Mi hai fatto capire, per esempio,<br />
che non sei più innocente del peggior criminale. Proprio<br />
tu che all’apparenza sei l’uomo più buono, più giusto,<br />
più mite del mondo. Comunque, tornando alla Comunità,<br />
sarebbe bello ambientarvi un capitolo del racconto. Sarebbe<br />
fantastica una di quelle vostre confessioni pubbliche.<br />
Magari proprio quella della vittima. L’ultima, prima di<br />
tirare le cuoia.»<br />
«Avevo visto giusto. Il mio fiuto non mi ingannava. Sei<br />
malvagio. Lo sei veramente.»<br />
«Non aver paura, non ti torcerò neppure un capello. La<br />
violenza mi limito a esercitarla sulla carta. Sapessi com’è<br />
terapeutica!»<br />
«Non ho paura. Solo, non mi piaci. Sei circondato da una<br />
IL SORCIO 237<br />
nuvola di odio, <strong>il</strong> tuo amico Dario ha ragione…»<br />
«Certo, tutti danno ragione al mio amico Dario… È talmente<br />
fac<strong>il</strong>e!»<br />
Lo osserva con occhi pieni di sarcasmo, liberando una<br />
risata lunga e strascicata. Intanto si versa dell’altro vino, la<br />
scolatura della bottiglia o poco più.<br />
«Devo andare al bagno» gli dice.<br />
«Vedi di non dartela a gambe!» lo ammonisce Nicolò continuando<br />
a ridere, e lui aumenta <strong>il</strong> passo fino a scomparire<br />
nella sala buia. Durante la sua assenza, Nicolò resta incollato<br />
al muro tiepido. Il s<strong>il</strong>enzio della sala ha qualcosa di innaturale,<br />
ultramondano.<br />
Renato torna. Procede piano, strusciando i tacchi sul linoleum.<br />
«Mi sono anche dato una rinfrescata… Sai che ora sono?<br />
L’ una spaccata.»<br />
«Il bimbo è già nato, meglio così! E adesso ce lo avremo fra le<br />
palle tutto l’anno a parte quei deliziosi tre giorni di Pasqua.»<br />
«Mi stai offendendo!»<br />
Torna a sedersi. E dal suo prof<strong>il</strong>o gli pare adesso più fermo<br />
e composto, più dignitoso.<br />
«Lo so, è quello che voglio. Te lo meriti. Ti sei permesso<br />
troppe confidenze. Sei subdolo e impiccione. E anche stupido,<br />
visto che hai creduto di potermi aiutare con i tuoi miserab<strong>il</strong>i<br />
strumenti. Pensavi di aver trovato l’anima gemella,<br />
solo perché scriviamo tutti e due. Imbec<strong>il</strong>le! I tuoi versi sono<br />
solo una pastetta, un’ignob<strong>il</strong>e pastetta di ugge sen<strong>il</strong>i. Piena di<br />
falsi sospiri, di falsi lamenti, proprio come te. E quanto alla<br />
guida, è approssimativa, confusa e scritta di peste.»<br />
Il portiere ha un sorrisetto estenuato, che gli scopre la sua
238 EPILOGO<br />
dentatura minuta, bianchissima, da topo.<br />
«Un giudizio severo – sospira. – Peccato che l’autore di<br />
quel volume è <strong>il</strong> professor Lonardi, docente all’università di<br />
Urbino.»<br />
Nicolò comincia a ridere a crepapelle. Gli rifà <strong>il</strong> verso. L’eco<br />
della sua voce impastata gli trasmette una dirompente<br />
energia. Così prende a girare febbr<strong>il</strong>mente attorno alla<br />
colonna e al tavolo, dov’è Renato che non lo guarda più.<br />
Giocherella con alcune molliche di pane, lui, e intanto osserva<br />
gli accurati e laboriosi movimenti delle sue mani grassocce.<br />
Questo suo contegno lo rende furioso contro di lui.<br />
Rifiuta d’affrontarmi, pensa Nicolò. Mi tratta come si trattano<br />
i pazzi pericolosi. Di certo si è edotto a questa flemma<br />
controllata piena di buon senso con la vecchia madre arteriosclerotica.<br />
«Io ti odio, Renato» grida. «Hai capito? Anche se sei solo<br />
un ometto mediocre. Mi ascolti, mi ascolti?»<br />
Si china su Renato, e prende a scuoterlo, strattonandolo<br />
per i revers della giacca:<br />
«Sì, ti ascolto, ti ascolto…»<br />
Ha una voce tremula e ossequiosa. Adesso non c’è dubbio<br />
che ha paura. Nicolò continua a strattonarlo per un bel po’ e<br />
intanto lo insulta, dandogli più volte dell’ipocrita, del vigliacco,<br />
incitandolo a reagire. Ma lui niente. È incredib<strong>il</strong>e, riflette<br />
Nicolò, ho trovato qualcuno perfino più vigliacco di me!<br />
A un certo punto la stoffa della giacca non regge più e si<br />
lacera sotto un revers. Allora molla la presa e si abbandona<br />
sullo schienale ormai privo di energie, sudato, sfiatato,<br />
distrutto. Di colpo sulle membra è piombato <strong>il</strong> peso di tutto<br />
l’alcol ingerito. Non sente quasi più le gambe. Le palpebre si<br />
IL SORCIO 239<br />
sono fatte pesantissime. Ha pure dolore agli occhi e irritazione<br />
alla gola per le grida. È veramente necessario dormire,<br />
riposare, a lungo. Guarda Renato, confuso ormai in una<br />
nebbia lattiginosa. Gli sembra con gli occhi pieni di lacrime.<br />
Però ha ripreso a giocherellare con le mollichine di pane<br />
come un fanciullo.<br />
Appena salito in camera si butta sul letto, ma da sdraiato la<br />
testa gli gira di più. Sicché si siede allo scrittoio e macchinalmente<br />
accende <strong>il</strong> pc. Gli duole la testa, gli bruciano gli occhi, i<br />
caratteri sul monitor sfarfallano e sbiadiscono, ma legge avidamente<br />
<strong>il</strong> racconto, fino in fondo, fino all’omicidio di Renato<br />
nel camposanto del paese con <strong>il</strong> crick della macchina.<br />
«…Solo un pezzo di carne morta da sotterrare insieme alla<br />
moglie», ecco, così si conclude <strong>il</strong> racconto, e adesso a Nicolò<br />
sembra buono, cupo e incalzante come piacciono a lui. Ma <strong>il</strong><br />
giudizio da sbronzi, lo sa, non è quasi mai attendib<strong>il</strong>e.<br />
Riprova a sdraiarsi, guarda le crepe del soffitto che gli<br />
appaiono zigrinate, come le strisce di un televisore mal sintonizzato.<br />
Ecco, ora si sente come un personaggio tragico e<br />
maledetto di Hemingway o di Fitzgerald e questo fatto gli dà<br />
una strana forza. La testa gli duole ancora, gli occhi bruciano,<br />
ma come fa per chiuderli, immediatamente ricomincia a<br />
girargli tutto. Niente da fare, deve restare sveglio ancora un<br />
po’. È la vendetta di Renato, questa veglia ubriaca. Quel fesso!<br />
Col suo fare amichevole e cerimonioso, i suoi ideali<br />
miserab<strong>il</strong>i, la sua fede fanatica e meschina, le sue poesie,<br />
meriterebbe di morire davvero. Anziché scuoterlo per la<br />
giacca, si dice Nicolò, avresti potuto inforcare un coltello e
240 EPILOGO<br />
ucciderlo lì stesso, nella sala da pranzo dell’albergo. Via <strong>il</strong><br />
cimitero, troppo lugubre, troppo simbolico. Tu che invece di<br />
andare al telefono nella hall, raggiungi furtivamente la cucina,<br />
cerchi un coltellaccio bello grosso, lo trovi immediatamente<br />
sul vasto piano dei fornelli, torni e glielo pianti a tradimento<br />
sulla schiena. E poi lo guardi agonizzare: la faccia<br />
affondata nel piatto fra i resti delle costole d’abbacchio e le<br />
bucce d’arancia, gli occhi stravolti, la bocca unta, muta,<br />
semiaperta nell’atto di urlare una supplica o un’imprecazione.<br />
Sì, è così che doveva finire, così. Finalmente si assopisce,<br />
poi, dopo un tempo che non sa quantificare, si trova la figura<br />
di Renato ritta al centro della camera: imbraccia un fuc<strong>il</strong>e<br />
da caccia e glielo tiene puntato contro. Un piglio soldatesco,<br />
che non gli ha mai visto, sulla faccia piena. Ha acceso la luce<br />
centrale che diffonde una cruda luce bianca, che scalza l’ombra<br />
senza garbo da ogni angolo della stanza.<br />
«Alzati! Fai la tua roba e vattene!»<br />
Non sa se è desto o sta ancora sognando quando comincia<br />
precipitosamente e tutto tremante a rifare la valigia sotto <strong>il</strong><br />
fuoco di quella canna lucida che manda sinistri bagliori ogni<br />
volta che si gira a guardarla. Le parole di Renato gli vibrano<br />
nelle orecchie, mentre cerca di ficcare dentro anche <strong>il</strong> pc<br />
portat<strong>il</strong>e. «Muoviti, bastardo!, hai finito di fare <strong>il</strong> gradasso!»<br />
Indossa alla svelta <strong>il</strong> soprabito, esce dalla camera trascinando<br />
la valigia. L’ultima rampa Nicolò la fa ruzzolando con la<br />
valigia che si apre seminando una scia di vestiti lungo la guida<br />
rossa. «Cammina, alzati, raccogli quei tuoi stracci e togliti<br />
dai coglioni!» Si ritrova nella notte diaccia dentro la sua<br />
automob<strong>il</strong>e con i vetri coperti da un fitto strato di brina e <strong>il</strong><br />
motore che non vuol saperne di accendersi. È avvenuto tutto<br />
IL SORCIO 241<br />
così alla svelta che ancora non riesce a capacitarsi, aspetta da<br />
un momento all’altro di ridestarsi da quest’incubo angoscioso.<br />
Finalmente la macchina si mette in moto. La lascia<br />
accesa con l’aria tirata e scende per togliere <strong>il</strong> grosso della<br />
brina gelata dal cristallo anteriore. Ci vuole del tempo per<br />
ritagliare uno spazietto vagamente esagonale di pochi centimetri.<br />
Nicolò attraversa <strong>il</strong> paese mentre le prime luci dell’alba<br />
fioriscono faticosamente dalla bruma e dalle tenebre. Si<br />
ferma appena fuori le mura cittadine dinanzi a una grossa e<br />
malconcia casa colonica sul limitare di una vallata coperta di<br />
neve in fondo alla quale si intravede <strong>il</strong> piccolo cimitero<br />
comunale. Non l’ha mai visto da questo punto. Scende dalla<br />
macchina, si pone sul ciglio. Dinanzi a lui c’è una distesa<br />
vasta, bianca, caliginosa. Un uccello grigio cala in picchiata,<br />
vira e si posa dolcemente sul ramo più sporgente di un alberello.<br />
Poi frulla le ali liberando una candida pioggia di neve.<br />
Nicolò ascolta un abbaiare cupo, ovattato, lontanissimo, lo<br />
scalpiccio dei passi di qualche rustico ancora invisib<strong>il</strong>e che<br />
procede a mezza costa qualche tornante più in basso. Si<br />
accende una sigaretta, aspira profondamente, e poi piange.<br />
Sì, piange, come non gli accadeva da tanto, ma senza ansia<br />
né sensi di colpa né alcuna commiserazione di sé. Un pianto<br />
quieto di commozione per la purezza e la pace che lo circondano.<br />
«Renato non c’entra, – dice emettendo sbuffi di candido<br />
vapore – continuerà per sempre a morire in quel piccolo<br />
cimitero di paese. Questa è la sua condanna.»
INDICE<br />
7 PROLOGO IL PRANZO DALLA MADRE<br />
17 PARTE PRIMA<br />
99 PARTE SECONDA<br />
125 PARTE TERZA<br />
145 PARTE QUARTA<br />
167 PARTE QUINTA<br />
189 PARTE SESTA<br />
223 EPILOGO LA CONDANNA
Design: ab&c - Roma - tel. 0668308613 - studio@ab-c.it<br />
Impaginazione: Roberta Arcangeletti - roberta.arcangeletti@gaffi.it<br />
Stampa: Edizioni GR s.r.l. - via Carlo Ferrario, 1 - Besana in Brianza (MI)<br />
tel. 0362996728 - edizionigr@edizionigr.com<br />
Alberto <strong>Gaffi</strong> editore aderisce all’appello di GREENPEACE Italia<br />
“Scrittori per le foreste” e ut<strong>il</strong>izza carta proveniente da fonti sostenib<strong>il</strong>i<br />
come quelle certificate dal Foresty Stewardship Counc<strong>il</strong> (FSC).<br />
Questo libro è stato finito di stampare nel mese di apr<strong>il</strong>e 2007<br />
su carta Glicine da 90 gr. della linea Natura della Cartiera Verde della Liguria,<br />
una carta riciclata di alta qualità che ut<strong>il</strong>izza nella produzione maceri<br />
di diversa estrazione e, non avendo sbiancamento al cloro, non garantisce la<br />
continuità di tinta.