Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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78 Franco Ferrarotti portante giornale di battaglia, perché prendeva le mosse dalla base della società per costruire veramente una società nuova. In Gramsci c’era questa esigenza “di base”, che in Lenin invece non c’era. Anche Togliatti sosteneva, che la nuova società post capitalistica doveva nascere e crescere dalla base della società; non doveva essere imposta come una riforma. Erano le persone che dovevano essere convinte che quella avrebbe potuto essere la società migliore. E questa era una concezione molto diversa del potere. In Lenin vive l’idea di un potere dittatoriale brutale; l’idea dell’assalto al Palazzo d’Inverno. Per Lenin c’era molta ammirazione in Italia. Indubbiamente, egli fu un uomo incredibile, un rivoluzionario di professione. Per Togliatti, invece, la politica era accomodamento, analisi delle forze in campo, volontà di non correre pericoli, di non scommettere sulla rivoluzione, scommessa troppo pesante. […] Prima di tutto ho avuto la grande fortuna di avere la prima cattedra di Sociologia in Italia, come conseguenza, quasi, della mia lunga polemica contro Croce, il neoidealismo, il marxismo staliniano, il diamat, eccetera. E tutti pensavano che avendo la cattedra, mi sarei messo tranquillo, invece no. Perché lo stesso spirito che mi muoveva come critico, un po’ anarchicheggiante, contro l’idealismo, contro il marxismo, contro il cattolicesimo bigotto, diciamo contro la mancanza di libertà, mi muoveva anche contro la sociologia. Io non volevo, cioè, una sociologia di establishment; non volevo essere un sociologo all’americana, che è un tecnico sociale, a cui si domanda di risolvere un problema circoscritto. Io volevo una sociologia in senso ampio, grande, cioè capace di fare le ricerche empiriche molto bene (e questo in America lo fanno); ma anche capace di collegarsi con il pensiero sociale europeo, con la grande tradizione occidentale. Allora, io mi sono trovato ad essere anche contro i sociologi, e perché? Forse perché spiegavo che la sociologia non era sociografia; non bastava, cioè, a descrivere una situazione pratico–inerte; doveva invece condurre ad un’analisi sociologica, che fosse nello stesso tempo accertamento del dato e consapevolezza critica: quindi, accertamento scientifico e trascendimento della situazione. Non bisognava fare la sociologia descrittivistica, che io chiamavo sociografismo demografico e statistico, bisognava fare la sociologia critica. Quella sociologia critica, che non aveva avuto molta fortuna. Gran parte dei sociologi in Italia e

Antonio Labriola e le scienze sociali fuori, del resto, sono ancora oggi legati alle istituzioni. Non è un mistero. Come non è un mistero, che io non faccio parte di alcuna istituzione. Io vivo qui, vivo a casa poco lontano da qui, vivo in questa specie di ufficio e faccio la mia rivista. Però, secondo me, la sociologia, quando rinuncia alla sua vocazione critica, rinuncia anche a studiare bene le cose che dovrebbe studiare. Come un raggio di luce entra nello spettrometro e viene suddiviso nei vari colori dell’arcobaleno, così un fatto sociale studiato dalla sociologia dovrebbe non soltanto rivelare le sue caratteristiche di fatto, ma dovrebbe pure rivelare le motivazioni profonde che stanno alla base di esso. In altre parole, per me la sociologia è il tentativo di risalire dal comportamento osservabile alle motivazioni interne, dall’esterno all’interno. E, quindi, scoprire la verità interna sia delle strutture istituzionali sia delle persone. Ecco perché la sociologia deve avere una impostazione multidisciplinare: perché non c’è sociologia senza scienze sociali (antropologia, etnologia, psicologia dal profondo, psicologia sperimentale), senza storia, senza filosofia, ecc. Per me la filosofia è molto importante. Io trovo che oggi i sociologi che s’incontrano ai convegni non hanno letto i classici, sono ignoranti, non ragionano in maniera filosofica, non vanno fino in fondo, non pensano fino in fondo i loro pensieri. E, poi, non leggono, non conoscono la letteratura. La letteratura non è un fatto esornativo; non è neppure un’attività di “rispecchiamento”; la letteratura è la manifestazione dello spirito interiore che muove la gente. Un sociologo che non conosca la letteratura del paese in cui opera, o anche di altri paesi, è finito; non ha basi comparative. Tuttavia, l’obiezione che si fa alla mia posizione qual è? È che, in effetti, questa sorta di impostazione sinottica, globale può comportare un pericolo, cioè il pericolo del dilettantismo, della superficialità, di una specie di parafilosofia che è anche poi una parasociologia. Questo è vero. Lo ammetto. Però, sulla base di questa impostazione sinottica, si può affermare che un tema sociologico preciso da indagare, vada poi indagato in profondità. Esempio: io ho scritto il libro Giovani e droga; è chiaro che ho dovuto interrogare dei giovani drogati. Ma, poi, sono risalito alle famiglie, sono risalito alla cultura da cui provenivano, alla classe sociale. Questo mi ha portato non solo alla sociologia critica, ma alla adozione dei metodi qualitativi: e qui c’è una sorta di congiunzione con il nostro amico Siciliani de Cumis. C’è stata una svolta nella svolta: dunque, prima, sociologia, cattedra di so- 79

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Franco Ferrarotti<br />

portante giornale <strong>di</strong> battaglia, perché prendeva le mosse dalla base della<br />

società per costruire veramente una società nuova. In Gramsci c’era questa<br />

esigenza “<strong>di</strong> base”, che in Lenin invece non c’era. Anche Togliatti sosteneva,<br />

che la nuova società post capitalistica doveva nascere e crescere<br />

dalla base della società; non doveva essere imposta come una riforma.<br />

Erano le persone che dovevano essere convinte che quella avrebbe potuto<br />

essere la società migliore. E questa era una concezione molto <strong>di</strong>versa<br />

del potere. In Lenin vive l’idea <strong>di</strong> un potere <strong>di</strong>ttatoriale brutale; l’idea<br />

dell’assalto al Palazzo d’Inverno. Per Lenin c’era molta ammirazione in<br />

Italia. Indubbiamente, egli fu un uomo incre<strong>di</strong>bile, un rivoluzionario <strong>di</strong><br />

professione. Per Togliatti, invece, la politica era accomodamento, analisi<br />

delle forze in campo, volontà <strong>di</strong> non correre pericoli, <strong>di</strong> non scommettere<br />

sulla rivoluzione, scommessa troppo pesante.<br />

[…] Prima <strong>di</strong> tutto ho avuto la grande fortuna <strong>di</strong> avere la prima cattedra<br />

<strong>di</strong> Sociologia in Italia, come conseguenza, quasi, della mia lunga<br />

polemica contro Croce, il neoidealismo, il marxismo staliniano, il <strong>di</strong>amat,<br />

eccetera. E tutti pensavano che avendo la cattedra, mi sarei messo tranquillo,<br />

invece no. Perché lo stesso spirito che mi muoveva come critico,<br />

un po’ anarchicheggiante, contro l’idealismo, contro il marxismo, contro<br />

il cattolicesimo bigotto, <strong>di</strong>ciamo contro la mancanza <strong>di</strong> libertà, mi muoveva<br />

anche contro la sociologia. Io non volevo, cioè, una sociologia <strong>di</strong> establishment;<br />

non volevo essere un sociologo all’americana, che è un tecnico<br />

sociale, a cui si domanda <strong>di</strong> risolvere un problema circoscritto. Io<br />

volevo una sociologia in senso ampio, grande, cioè capace <strong>di</strong> fare le ricerche<br />

empiriche molto bene (e questo in America lo fanno); ma anche<br />

capace <strong>di</strong> collegarsi con il pensiero sociale europeo, con la grande tra<strong>di</strong>zione<br />

occidentale. Allora, io mi sono trovato ad essere anche contro i sociologi,<br />

e perché? Forse perché spiegavo che la sociologia non era sociografia;<br />

non bastava, cioè, a descrivere una situazione pratico–inerte; doveva<br />

invece condurre ad un’analisi sociologica, che fosse nello stesso<br />

tempo accertamento del dato e consapevolezza critica: quin<strong>di</strong>, accertamento<br />

scientifico e trascen<strong>di</strong>mento della situazione. Non bisognava fare<br />

la sociologia descrittivistica, che io chiamavo sociografismo demografico<br />

e statistico, bisognava fare la sociologia critica. Quella sociologia critica,<br />

che non aveva avuto molta fortuna. Gran parte dei sociologi in Italia e

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