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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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<strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> e le scienze sociali<br />

dopoguerra, dall’avvento del fascismo in Italia e dalla sua autarchia, che<br />

fu non solo economica ma anche culturale e che doveva paradossalmente<br />

contribuire alla “<strong>di</strong>ttatura dell’idealismo” crociano, pur blandamente<br />

antifascista, e dalla presa del potere in Germania del nazismo, <strong>di</strong>eci anni<br />

dopo, che avrebbe ridotto le scienze sociali a scienze <strong>di</strong> puro servizio e<br />

accertamento demografico a favore della <strong>di</strong>ttatura, come in Italia, i critici<br />

delle scienze sociali, capitalizzando ampiamente sulle riserve ra<strong>di</strong>cali<br />

espresse da <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong>, riducevano la sociologia a pseudoscienza.<br />

Nel giro <strong>di</strong> una generazione, questa <strong>di</strong>sciplina, che del resto era insegnata<br />

come incarico a me<strong>di</strong>cina e a giurisprudenza, per lo più sotto le vesti<br />

<strong>di</strong> criminologia, sarebbe scomparsa (la «Rivista italiana <strong>di</strong> sociologia»<br />

cessa le pubblicazioni nel 1925), per rinascere solo nel secondo dopoguerra,<br />

con la istituzione della prima cattedra a livello pieno nel 1960,<br />

per merito <strong>di</strong> una facoltà a torto ritenuta minore, il Magistero <strong>di</strong> Roma,<br />

dove pure avevano a suo tempo insegnato <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong>, Guido De<br />

Ruggiero e Luigi Pirandello.<br />

Per comprendere a fondo i meriti e i limiti <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong> rispetto<br />

alle scienze sociali, a parte le Lettere a Engels e altri interventi, come<br />

Discorrendo <strong>di</strong> socialismo e <strong>di</strong> filosofia, e l’opera fondamentale su La concezione<br />

materialistica della storia, può essere utile riprendere contributi in<br />

apparenza marginali, ma forse proprio per questo rivelatori. Uno <strong>di</strong><br />

questi è certamente il saggio La dottrina <strong>di</strong> Socrate secondo Senofonte, Platone<br />

ed Aristotele, premesso all’e<strong>di</strong>zione italiana dei Memorabili <strong>di</strong> Senofonte<br />

(ed. Rizzoli, 1989). In questo saggio, come sempre negli scritti <strong>di</strong><br />

<strong>Labriola</strong>, si notano ottima documentazione <strong>di</strong> prima mano, una sequenza<br />

logico–razionale impeccabile; eppure, il saggio è, almeno in parte,<br />

fuorviante. Intanto, per cominciare, può essere dubbio che esista una vera<br />

e propria “dottrina” <strong>di</strong> Socrate. Del resto, ciò suona contrad<strong>di</strong>ttorio<br />

con la tesi principale del saggio, che consiste nel concepire l’apporto <strong>di</strong><br />

Socrate come una lezione, <strong>di</strong> “vita pratica, <strong>di</strong> onestà morale”, una lezione<br />

non certamente impartita ex cathedra, ma secondo suggerimenti permeati<br />

<strong>di</strong> moderazione ed equilibrio. Rispetto alla concezione platonica <strong>di</strong><br />

Socrate, che sarebbe stato tutto proteso e de<strong>di</strong>cato alla pura speculazione<br />

filosofica, da considerarsi come il compito e insieme la pienezza degli<br />

esseri umani, non mi sembra dubbio che <strong>Labriola</strong> colga in Senofonte al-<br />

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