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Antonio Labriola e «La Sapienza» - Archivi di Famiglia

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Girolamo de Liguori<br />

fedele stu<strong>di</strong>oso, che Ferrarotti definisce argutamente «speleologo più<br />

che filologo della formazione del pensiero <strong>di</strong> <strong>Antonio</strong> <strong>Labriola</strong>» (p. 541).<br />

Catalogo, si <strong>di</strong>ceva, nel vero e profondo senso del termine: non soltanto<br />

nel significato letterale <strong>di</strong> enumerazione o sequenza sistematica <strong>di</strong> nomi,<br />

oggetti o manufatti, ma anche in quello, più sottilmente filosofico, intriso<br />

della ironia socratica, <strong>di</strong> elenco (élegkhos), confutazione ovverosia esame<br />

<strong>di</strong>alettico cui Socrate sottoponeva asserzioni, ipotesi e tesi contrapposte al<br />

fine <strong>di</strong> confutare gli errori tra i quali la classica ignoratio elenchi. Lo richiama<br />

anche lo stesso autore in apertura del catalogo, presentando il suo lavoro<br />

come “un <strong>Labriola</strong>–catalogo”, catalogo <strong>di</strong> cataloghi su <strong>Labriola</strong> e<br />

l’Università che fu sua (p. 11). Viene riba<strong>di</strong>to qui subito, in apertura del lavoro,<br />

il suo esplicito non voler essere libro. Soltanto catalogo, presupposto,<br />

cioè, <strong>di</strong> altre tappe della ricerca: in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> lavoro, bilancio e messa a<br />

punto ― come in un consuntivo ― <strong>di</strong> quanto è stato fatto per sgombrare<br />

la strada a quanto si dovrà fare ― come in un preventivo. È tutta qui la<br />

originalità del lavoro che non si circoscrive alle 690 pagine <strong>di</strong> zibaldone<br />

che si offrono alla lettura ma si collegano al già fatto e al da farsi, alla<br />

scuola, alle in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> metodo, al lavoro parallelo <strong>di</strong> altri stu<strong>di</strong>osi: storici,<br />

politici, sociologi, filosofi, pedagogisti che proseguono la complessa e<br />

minuta opera <strong>di</strong> ricerca nei loro singoli campi.<br />

È, in fondo, la lezione ancora operante <strong>di</strong> <strong>Labriola</strong> filosofo, politico,<br />

educatore, da lui portata avanti al Caffè Aragno, come all’università, nei<br />

circoli, tra gli operai: la lezione <strong>di</strong> un Socrate dei nostri giorni che Nicola<br />

Siciliani era andato già in<strong>di</strong>viduando criticamente, non solo in <strong>Labriola</strong><br />

ma nel suo stesso lavoro <strong>di</strong> docente, ed emulando in quello dei suoi maestri,<br />

tra i quali, in modo particolare, Garin. Antefatto <strong>di</strong> questo lavoro<br />

resta certamente Laboratorio <strong>Labriola</strong>, del 1994 ma, ancor più, il volumetto<br />

dell’anno prima, A scuola con Socrate, una peregrinazione amorosa con<br />

Eugenio Garin nei luoghi socratici da questi percorsi nel suo lungo itinerario<br />

<strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> storico della filosofia me<strong>di</strong>oevale, rinascimentale e<br />

moderna e talora rimasti in ombra o ad<strong>di</strong>rittura negletti. In punta <strong>di</strong><br />

pie<strong>di</strong>, com’è suo costume, Siciliani raccatta i fili dei percorsi ideali e avvia<br />

l’or<strong>di</strong>to della ricostruzione storiografica su cui sola si fonda una conoscenza<br />

criticamente sostenuta. Ed è per questa sua capacità che può, a<br />

<strong>di</strong>spetto degli anni e dei fati, sedersi a un stesso tavolo, con il suo <strong>Labriola</strong>,<br />

il suo professore <strong>di</strong> liceo a Catanzaro, Giovanni Mastroianni e i suoi gio-

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